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INTRODUZIONE AL CORSO Con il termine generale di “sito contaminato” si designa un’area geografica nella quale sia stata rilevata una contaminazione dei suoli che può determinare pericoli per l’ambiente o per la salute dell’uomo. Per suolo si intende qui, oltre che il terreno fisico superficiale e gli strati sottostanti, generalmente designati come substrato, anche le acque in essi contenute. Cause di contaminazione, nel significato più generale del termine, possono essere: - gli eventi catastrofici naturali, come terremoti, inondazioni, frane, ecc.; - le attività antropiche non direttamente correlate con la produzione e la gestione di materiali di scarto, come per esempio le attività di deforestazione all’origine dell’erosione di versanti e della modificazione dei bacini imbriferi, la costruzione di opere civili, la rimozione di terreni o coperture che favoriscono la degradazione generata dal permafrost, ecc.; - le attività antropiche associate con la produzione di rifiuti, come per esempio la demolizione di opere civili, lo sversamento di sostanze pericolose, la fuoruscita di tali sostanze da depositi anche sotterranei, la non corretta gestione della produzione di rifiuti pericolosi, la deposizione di sedimenti inquinanti, ecc.; - l’inquinamento di terreni e di sistemi acquiferi da sorgenti diffuse, come per esempio le attività agricole e di forestazione che impiegano fertilizzanti o pesticidi e talune attività di allevamento ecc. In questo corso verranno in particolare considerati gli aspetti connessi con la contaminazione originata dalle due ultime categorie di attività antropiche, essendo gli aspetti relativi alle prime due categorie di pertinenza di altri specifici corsi. La Figura 1 schematizza i percorsi potenziali attraverso i quali le sostanze contaminanti un determinato sito possono raggiungere i vari ricettori biotici. Fig. 1–Schema delle possibili vie di trasferimento degli inquinanti da un

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INTRODUZIONE AL CORSO

Con il termine generale di “sito contaminato” si designa un’area geografica nella quale sia stata rilevata una contaminazione dei suoli che può determinare pericoli per l’ambiente o per la salute dell’uomo.

Per suolo si intende qui, oltre che il terreno fisico superficiale e gli strati sottostanti, generalmente designati come substrato, anche le acque in essi contenute.Cause di contaminazione, nel significato più generale del termine, possono essere:- gli eventi catastrofici naturali, come terremoti, inondazioni, frane, ecc.;- le attività antropiche non direttamente correlate con la produzione e la gestione di materiali di

scarto, come per esempio le attività di deforestazione all’origine dell’erosione di versanti e della modificazione dei bacini imbriferi, la costruzione di opere civili, la rimozione di terreni o coperture che favoriscono la degradazione generata dal permafrost, ecc.;

- le attività antropiche associate con la produzione di rifiuti, come per esempio la demolizione di opere civili, lo sversamento di sostanze pericolose, la fuoruscita di tali sostanze da depositi anche sotterranei, la non corretta gestione della produzione di rifiuti pericolosi, la deposizione di sedimenti inquinanti, ecc.;

- l’inquinamento di terreni e di sistemi acquiferi da sorgenti diffuse, come per esempio le attività agricole e di forestazione che impiegano fertilizzanti o pesticidi e talune attività di allevamento ecc.

In questo corso verranno in particolare considerati gli aspetti connessi con la contaminazione originata dalle due ultime categorie di attività antropiche, essendo gli aspetti relativi alle prime due categorie di pertinenza di altri specifici corsi.

La Figura 1 schematizza i percorsi potenziali attraverso i quali le sostanze contaminanti un determinato sito possono raggiungere i vari ricettori biotici.

Il grado di pericolo determinato dagli inquinanti che viaggiano lungo tali percorsi, nonché i processi che influenzano il destino di questi inquinanti lungo gli stessi percorsi, costituiscono ovviamente i principali fattori chiave che determineranno le azioni richieste per minimizzare o eliminare i pericoli proposti dalla contaminazione, cioè per realizzare gli interventi che vengono comunemente designati di bonifica dei suoli contaminati. Queste azioni comprendono come si vedrà la rimozione dei contaminanti, il loro contenimento, la riduzione della loro tossicità ed ogni altra misura che permetta la mitigazione della contaminazione al di sotto dei limiti previsti dalle legislazioni e/o dalla pratica comunemente accettata.

La bonifica dei suoli contaminati è oggi divenuta un’attività professionale di grande attualità per l’impellente necessità, imposta anche per via legislativa, di limitare i rischi per la salute umana e per l’ambiente, e di ripristinare quindi il valore economico delle aree degradate, riconsegnandole ad un uso pubblico che ne permetta un nuovo sviluppo produttivo.

Fig. 1–Schema delle possibili vie di trasferimento degli inquinanti da un terreno contaminato ai ricettori biotici.

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L’intensa attività di ricerca sviluppata negli ultimi anni ha reso disponibili numerose opzioni tecniche in grado di permettere l’efficace ed economica decontaminazione di un’area degradata.Il corso è essenzialmente dedicato alla descrizione ed all’analisi dei procedimenti di decontaminazione ormai consolidati ma, poiché la scelta ottimale di tali procedimenti richiede la conoscenza di taluni elementi che sono alla base del problema genericamente definito di “contaminazione dei suoli”, la prima parte del corso è dedicata allo studio dei più significativi di tali elementi. Ci si riferisce in particolare agli aspetti riguardanti:- la natura dei suoli, - la natura dei vari inquinanti presenti nel substrato, - la distribuzione e la ripartizione degli inquinanti nel substrato, - la mobilità potenziale (possibilità di variazione della composizione e/o della concentrazione)

degli stessi ed il ruolo esercitato in tal senso dal substrato, - la tossicità degli inquinanti, - i principi alla base delle metodologie di decontaminazione, ecc.

Si richiamano inoltre preliminarmente le attuali disposizioni legislative di carattere nazionale in materia di bonifica dei siti contaminati.

LA LEGISLAZIONE VIGENTE IN MATERIA DI BONIFICA DEI SITI INQUINATI

Negli anni più recenti, anche su sollecitazione di direttive comunitarie, sono stati elaborati riferimenti normativi nazionali che, oltre ad individuare le soglie di rischio sanitario, definiscono con precisione le metodologie da adottare nella caratterizzazione dei siti inquinati e le linee guida da osservare per la realizzazione delle successive bonifiche, identificandone inoltre gli attori. Queste norme sono riportate nel D. Lgs. n. 22/97 (meglio noto come Decreto Ronchi) e nei successivi D. Lgs. n. 152/99, in materia di tutela delle acque e D.M. n. 471/99, in materia di bonifica dei siti inquinati.

Quest’ultimo decreto in particolare definisce cosa debba intendersi per sito contaminato, per bonifica, per misure di sicurezza, per messa in sicurezza permanente, per ripristino ambientale e per sito potenzialmente inquinato; fissa i criteri e le procedure amministrative con cui debbono essere condotte le bonifiche dei siti contaminati ed i relativi controlli; fissa inoltre:- i limiti di accettabilità di contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e sotterranee;- le procedure per il prelievo e l’analisi dei campioni di suolo e di acque;- i criteri generali per la progettazione degli interventi di bonifica;- le linee direttrici dell’analisi di rischio.

Il D.M. 471/99 definisce Sito Inquinato un sito in cui la concentrazione nel suolo, sottosuolo, acque superficiali e acque sotterranee di una o più sostanze inquinanti supera il valore di concentrazione stabilito in funzione dell’uso del sito.

L’allegato 1 al medesimo decreto, alla Tabella 1 (sotto riprodotta), fissa, per le sostanze più frequentemente rilevate nei siti inquinati e per ognuna di esse, il valore di concentrazione limite accettabile (CLA) per suolo e sottosuolo in dipendenza dell’uso del sito. In tabella 2 sono invece riportati i valori di CLA per le acque sotterrane

Nei casi in cui i valori di concentrazione nei terreni e/o nelle acque sotterranee risultino superati anche per uno solo degli agenti inquinanti indicati nell’allegato, con una tolleranza del 10%, ovvero nelle acque superficiali a valle dell’area si riscontri una concentrazione del/i contaminante/i superiore a quella/e riscontrate a monte, il sito viene definito inquinato ed il titolare del sito ha l’obbligo di procedere ad un intervento di bonifica.

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Per bonifica di un sito contaminato si intende l’intervento atto a rimuovere la fonte di inquinamento ed a ridurre la concentrazione dell’agente inquinante nei suoli e nelle acque sotterranee e superficiali ad un livello inferiore ai limiti di accettabilità indicati nell’allegato, in funzione della destinazione d’uso.

Altre definizioni di interesse sono:- ripristino ambientale: con questo termine si designano gli interventi di riqualificazione

ambientale e paesaggistica di completamento degli interventi di bonifica;- misure di sicurezza: sono quegli interventi atti a garantire l’isolamento ed il contenimento della

fonte di inquinamento, al fine di impedire la migrazione degli agenti inquinanti; comprendono anche il monitoraggio di verifica dell’efficacia delle azioni intraprese;

- bonifica con misure di sicurezza: comprendono l’insieme degli interventi atti a ridurre la concentrazione degli inquinanti sebbene a concentrazioni superiori a quelle di tabelle 1 e 2 quando questi valori non possono essere ottenuti neppure applicando le migliori tecnologie a costi accettabili; in tal caso il criterio della concentrazione limite viene superato ed i valori di concentrazione residua accettabile vengono determinati attraverso una metodologia di analisi di rischio (vedi dopo);

- messa in sicurezza permanente: si intende l’insieme degli interventi atti ad isolare definitivamente le fonti inquinanti, qualora queste sia costituite da rifiuti stoccati e non sia possibile la loro rimozione pur applicando le migliori tecnologie a costi accettabili.

Il soggetto che deve provvedere alla bonifica è il responsabile o il titolare di un diritto reale sul sito. Lo stesso soggetto deve eseguire le indagini preliminari mirate all’accertamento del superamento dei valori di CLA quando il sito, a causa di attività produttive o di gestione di rifiuti o di incidenti, sia a sia stato oggetto di fenomeni di inquinamento. Se il soggetto anzidetto non ritiene di dover intervenire, l’accertamento anzidetto potrà essere eseguito dal Comune interessato, o dalla Regione nel caso siano interessati più Comuni.

Le indagini preliminari di cui sopra devono essere svolte mirando ad individuare le fonti della contaminazione, i bersagli e tutte le possibile vie di migrazione delle sostanze inquinanti. Al riguardo è importante specificare che le analisi del suolo e del sottosuolo devono essere effettuate separando le frazioni di dimensione superiore a 2 mm da quelle di dimensione inferiore: sono i risultati ottenuti su queste ultime che devono essere comparati con i valori di CLA di cui all’allegato 1. Per quanto riguarda le frazioni di dimensione superiore può essere necessario sottoporle a test di cessione confrontando le concentrazioni dell’eluato con i valori di concentrazione definiti per le acque sotterranee (allegato 1).

Qualora le analisi delle matrici ambientali dimostrino il superamento dei valori di CLA si ha l’obbligo della bonifica: il relativo progetto deve essere presentato al Comune o, nel caso di più Comuni interessati, alla Regione di competenza.

Il D.M. 471/99 specifica che tale progetto deve essere articolato sui seguenti tre livelli di approfondimento:- Piano di caratterizzazione- Progetto preliminare- Progetto definitivo.

Con il Piano di caratterizzazione, che deve essere presentato dal responsabile entro 30 giorni dall’avvenuto accertamento del superamento dei valori di CLA (o quanto meno del concreto pericolo di superamento), devono essere forniti tutti gli elementi conoscitivi riguardanti il sito ed in particolare:

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- tutti gli elementi conoscitivi che permettono di ricostruire tutte le attività sviluppate, nel passato ed anche nel presente nel sito;

- la descrizione delle correlazioni tra le attività sviluppate e tipo, localizzazione ed estensione della possibile contaminazione;

- tutti gli elementi che descrivono le caratteristiche ambientali e territoriali sia all’interno del sito che nelle aree da esso influenzate.

Sulla base di questi elementi deve essere formulato il cosiddetto “Modello Concettuale” preliminare, che definisce i rapporti tra sorgente dell’inquinamento, le possibili vie di trasporto e migrazione ed i possibili bersagli esposti all’inquinamento. Il Modello Concettuale cioè permette di orientarsi circa la diffusione della contaminazione e dunque di facilitare l’identificazione dei punti di prelievo.

A seguito dell’approvazione del Piano di Caratterizzazione, vengono eseguite le indagini dirette o indirette, il campionamento e le analisi indicate nel Piano. I risultati di queste attività di indagine devono essere elaborati per definire:- l’estensione areale della contaminazione per le principali sostanze inquinanti rilevate;- i volumi di suolo e sottosuolo interessati dall’inquinamento;- la variazione di concentrazione nel tempo e nello spazio delle eventuali sostanze inquinanti

nelle acque sotterranee.Nel Progetto preliminare i risultati delle attività di caratterizzazione vengono elaborati in

rappresentazioni cartografiche e viene dettagliato, utilizzando i dati raccolti in fase investigativa, il Modello Concettuale. Sulla base di tali elaborazioni vengono definiti gli obiettivi delle azioni di bonifica e presentata la rassegna delle tecnologie di bonifica che possono essere adottate per l’inquinamento in discussione.

A seguito dell’approvazione del Progetto preliminare deve essere presentato il Progetto definitivo che contiene il dettaglio degli interventi, dei costi e definisce gli interventi necessari all’attuazione delle eventuali limitazioni all’uso del sito richieste dall’autorità competente.

L’approvazione del Progetto definitivo permette di avviare gli interventi.Il D.M. 471/99 distingue tre tipi di bonifica:

- bonifica e ripristino ambientale- bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza- messa in sicurezza permanente.

Si è già definito cosa si intenda con le diverse denominazioni. E’ nel progetto preliminare che si stima se l’adozione delle migliori tecnologie permette di raggiungere le CLA nelle matrici ambientali e nel sito (bonifica e ripristino ambientale). Nel caso che ciò non sia possibile, il disinquinamento avverrà fino al raggiungimento dei valori residui ed il progetto di bonifica deve essere corredato da Misure di sicurezza che garantiscano che tali concentrazioni residue non rappresentino un rischio per la salute ambientale (vedi dopo analisi del rischio).

Misure di sicurezza possono essere:- la costruzione di una barriera di pozzi che permetta l’estrazione delle acque sotterranee

contaminate;- la prevenzione della diffusione delle polveri contaminate mediante ricoprimento con suolo non

contaminato;- la limitazione all’uso di parti dell’area; ecc.

La messa in sicurezza permanente riguarda i rifiuti stoccati in passato, abusivamente o comunque con modalità incompatibili con la protezione ambientale, la cui volumetria sia tale da non permetterne la rimozione ed il trattamento. In questo caso il progetto di bonifica deve prevedere

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il completo e permanente isolamento dei rifiuti e la contestuale bonifica delle aree che sono state inquinate a causa dello stoccaggio dei rifiuti.

Nella progettazione degli interventi di bonifica fra i criteri che devono essere osservati vi è quello secondo cui gli obiettivi perseguiti devono essere raggiunti adottando preferenzialmente tecnologie che permettano di trattare il suolo, il sottosuolo, il materiale di riporto e le acque sotterranee in-situ o on-site. Deve inoltre essere limitato il ricorso al conferimento in discarica di suoli contaminati non sottoposti a trattamento ai soli casi di constata inefficacia delle tecnologie disponibili e dell’adozione di misure di sicurezza.

Un altro criterio è quello che prevede che la valutazione comparativa dei costi deve comprendere non solo i costi degli interventi immediati ma anche quelli connessi con i controlli (monitoraggio) e la gestione successivi.

La decisione di consentire che al termine degli interventi di bonifica le sostanze inquinanti abbiano concentrazioni residue superiori alle CLA è basata sulla stima del rischio indotto sull’ambiente e la salute pubblica. Le metodologie di analisi di rischio con cui stimare le concentrazioni residue vengono esaminate in un paragrafo successivo.

METODOLOGIE DI CARATTERIZZAZIONE DELLE MATRICI CONTAMINATE

Il primo elemento conoscitivo che può guidare la strategia di intervento su un’area potenzialmente inquinata è costituito, come si è accennato, dalla caratterizzazione del sito. Si tratta di un’operazione fondamentale ai fini dell’elaborazione del citato “Modello Concettuale”.

La Caratterizzazione di un sito, finalizzata alla successiva bonifica richiede, oltre che la ricostruzione delle caratteristiche geologiche ed idrogeologiche dell’area con metodologie di indagine dirette (scavi superficiali e sondaggi), o indirette (metodi geofisici), la verifica dell’esistenza di inquinamento di suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee, atmosfera, nonché il grado e l’estensione volumetrica dell’inquinamento.

Per conseguire questi due ultimi obiettivi (grado ed estensione volumetrica della contaminazione) si rende ovviamente necessario effettuare un campionamento delle matrici ambientali, elaborando preventivamente un “piano di campionamento” .

L’ubicazione dei punti di campionamento (mediante prelievo, scavo o sondaggio) può essere determinata secondo due strategie principali:- la scelta è basata sulla caratterizzazione del sito e sul modello concettuale fornito (strategia

ragionata);- la scelta è effettuata sulla base di un criterio di tipo casuale o statistico, ad esempio

campionando sulla base di una griglia predefinita o casuale; questa scelta è ovviamente preferibile quando la scarsità di informazioni sul sito non permettono di ottenere una caratterizzazione soddisfacente e di prevedere quindi la localizzazione delle più probabili fonti di contaminazione.Ovviamente il campionamento deve essere effettuato in modo da fornire un campione

rappresentativo della reale concentrazione di una determinata sostanza nello spazio ed eventualmente della sua evoluzione nel tempo.

Campionamento del suolo

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Le diverse strategie adottabili di campionamento dei suoli sono schematizzate in Figura 2. Ognuna di tali strategie ha un preciso ambito di applicazione: la Tabella 3 illustra come selezionare le strategie di campionamento in relazione alla finalità della caratterizzazione.

Tabella 3. Strategie di campionamento in relazione alla finalità dell’indagine di caratterizzazione 1= più adatta, 2= possibile, 3= poco adatta, 4= meno adatta A= da applicare con tecnica di vagliatura analitica, B= adatta solo se sono conosciute le tendenze, C= verifica statistica se il sito e coperto, D= possibile se il sito è considerato pulito.OBIETTIVO STRATEGIA DI CAMPIONAMENTO

Casuale Sistematica SistematicaCasuale

Ricerca CasualeStratificata

Per profili Ragionata

Identificaz. sorgente 4 2A 3 2 2 3 1Delimitaz. estensione 3 1B 1 1 3 1 4Analisi di rischio 4 2A 3 3 3 2 1Studio per la bonifica 3 2 2 4 1 2 3Controllo bonifica 1C 1B 1 1 3 1D 4

Nel caso si proceda con una disposizione a griglia il lato di ogni maglia potrà variare da 25 a 100 metri a seconda del tipo e della dimensione del sito. Sulla base delle dimensioni del sito possono assumersi le seguenti indicazioni:- <10.000 m2 – almeno 5 punti- 10.000-50.000 m2 - da 5 a 15 punti- 50.000-250.000 m2 - da 15 a 60 punti- 250.000-500.000 m2 – da 60 a 120 punti- >500.000 m2 – almeno 2 punti ogni 10.000 m2 .

La profondità del prelievo varia con la necessità di caratterizzare l’area dal punto di vista geologico e idrogeologico, di definire la profondità dell’inquinamento, la variabilità orizzontale e verticale della contaminazione e deve essere definita in fase di predisposizione del piano di campionamento.

Campionamento delle acque sotterranee

Occorre definire i punti di prelievo sulla base della caratterizzazione idrogeologica dell’area, del modello concettuale e delle caratteristiche degli acquiferi d campionare. Almeno 1 dei piezometri per ciascun acquifero deve essere localizzato immediatamente a monte del sito (valore di riferimento in ingresso) ed almeno 1 per ciascun acquifero considerato immediatamente a valle in modo da verificare le caratteristiche delle acque di falda in uscita dal sito.

I piezometri devono essere realizzati a carotaggio ed in numero tale da osservare le seguenti linee guida:- area minore o uguale a 50.000 m2 = almeno 4- area compresa fra 50.000 e 100.000 m2 = almeno 6- area compresa fra 100.000 e 250.000 m2 = almeno 8- area maggiore di 250.000 m2 = almeno 1 ogni 25.000 m2.

Fig. 2 - Schema delle strategie di cam- pionamento dei terreni:

A = casuale, B = sistematica, C = sistematica-casuale, D= ricerca, E = casuale stratificata, F = per profili, G = ragionata

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La profondità dei piezometri dovrà interessare almeno la base del primo acquifero individuato e comunque profondità non inferiori a 2/3 della potenza dell’acquifero stesso.

Campionamento delle acque superficiali

Per i corsi d’acqua è necessario caratterizzare la situazione chimica e ambientale a monte del sito, nel tratto mediano ed a valle, lungo il senso di scorrimento del corpo idrico. Nel caso di laghi, lagune o mare, si deve operare secondo la disposizione “transetto”, con tre transetti (a monte, a valle e mediano), con spaziatura trasversale e longitudinale dipendente dalle dimensioni del corpo idrico e con almeno tre prelievi verticali per ogni punto.

NATURA E CARATTERIZZAZIONE DEI SUOLI

Le caratteristiche dei suoli, ed in particolare le proprietà di superficie delle frazioni solide che li costituiscono, influenzano considerevolmente le interazioni fra suolo e contaminanti. A loro volta, queste interazioni controllano il trasporto e la sorte dei contaminanti poiché da esse dipendono le capacità tamponanti e attenuanti dei materiali costituenti il suolo.

Si consideri, per esempio, il caso della migrazione di percolato da una discarica controllata dotata di barriera di fondo, schematizzato in Figura 3. Uno dei problemi più significativi che si propongono consiste nell’accertare se il pennacchio rilasciato rischia o meno di inquinare l’acquifero sottostante. Il fattore chiave dell’accertamento è evidentemente la capacità del substrato e della barriera naturale di trattenere gli inquinanti, riducendone così la concentrazione nel pennacchio.

Questa capacità è in relazione diretta con la natura del suolo.

I suoli sono il risultato della degradazione sia di materiali inorganici (rocce) che di materiali organici, causata da vari agenti atmosferici e/o dall’attività antropica.

La parte inorganica è costituita da minerali primari e secondari fra i quali, per quanto concerne l’interazione con i contaminanti, interessano soprattutto le argille, i materiali amorfi, ed i vari ossidi e carbonati. Occorre qui precisare che nell’ingegneria geotecnica si designano genericamente come argille le frazioni di suolo di dimensioni inferiori a 2 micrometri. In realtà la classificazione geotecnica, basata esclusivamente sulle caratteristiche dimensionali, può essere altamente fuorviante quando ci si riferisca all’argilla come minerale. Per questo motivo utilizzeremo la denominazione di “particelle di dimensione argillosa” quando ci si riferisce alle caratteristiche dimensionali e “minerali argillosi” quando ci si riferisce a quei minerali, cristallini o amorfi, in larga misura costituiti da silicati alluminosi.

La parte organica è costituita da componenti che, in funzione della più o meno giovane età, vanno da tessuti vegetali praticamente inalterati (polisaccaridi) sino a frazioni altamente umificate

Fig.3 – Rilascio di pennacchio inquinante e capacità di attenuazione del substrato.

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stabili. Queste frazioni umiche sono generalmente legate alle superfici minerali del suolo, e ne alterano perciò le intrinseche caratteristiche superficiali.

Minerali argillosi

I minerali argillosi sono in genere dei minerali secondari caratterizzati da elevata superficie specifica. Essi sono dei silicati dotati di struttura stratificata (fillosilicati) e possono essere distinti in gruppi diversi in funzione del cristallo unitario di base (cella) formante gli strati elementari e gli strati unitari di base, della sovrapposizione di tali strati unitari e della natura degli interstrati, cioè degli strati che separano gli strati unitari.

In Figura 4 sono mostrate le strutture tetraedriche e ottaedriche dei cristalli unitari di base formanti gli strati elementari. La formazione degli strati unitari a partire dalle celle unitarie e dagli strati elementari, così come la sovrapposizione di questi strati elementari in strati unitari è mostrata in Figura 5 per quanto riguarda la caolinite.

La caolinite appartiene all’unico gruppo di minerali argillosi (gruppo delle caoliniti-serpentiniti) che possiede una struttura del tipo 1:1, cioè uno strato elementare tetraedrico ed uno ottaedrico, con lo strato tetraedrico sovrapposto allo strato ottaedrico (struttura triclinica). In generale come mostra la Figura 4, ma in modo ancora più chiaro le Figure 6 (a e b), le posizioni tetraedriche sono occupate da ioni Si e due terzi delle posizioni ottaedriche sono occupate da ioni Al.

Lo strato tetraedrico è formato dalla connessione dei tetraedri in forma esagonale, la base dei tetraedri essendo all’incirca coplanare, mentre i vertici ed i relativi ossigeni apicali, assieme agli ioni OH- localizzati al centro degli esagoni formano la base dello strato ottaedrico.

Talvolta la struttura triclinica è più o meno disordinata: i corrispondenti minerali si considerano appartenenti ad un altro gruppo e vengono denominati “Kanditi”.

Le serpentiniti, appartenenti allo stesso gruppo della caolinite possiedono la medesima struttura di questa, eccetto che le posizioni ottaedriche possono essere occupate da Mg, Al, Fe ed altri ioni, che le conferiscono proprietà mineralogiche e chimiche più complesse, sebbene esse sono meno comunemente presenti nei suoli poiché, essendo forme meno stabili, vengono facilmente trasformate in altri minerali.

Tutti gli altri gruppi di minerali argillosi hanno una struttura del tipo 2:1, costituita cioè da due strati elementari tetraedrici ed uno ottaedrico. Lo strato ottaedrico con gli ioni Al che occupano due terzi delle posizioni disponibili è conosciuta come “struttura gibbsite” con formula chimica Al2(OH)6. Quando il Mg è presente nello strato elementare ottaedrico, tutte le posizioni sono

Fig. 4- Strutture tetraedriche e ottaedriche di base dei minerali argillosi.

Fig. 5 – Cella unitaria di base e strati unitari elementari formanti lo strato unitario di base della Caolinite.

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occupate perché è necessario bilanciare la struttura, detta “struttura brucite”, e la formula chimica diventa Mg3(OH)6 .

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Le illiti (Figura 7) appartengono al gruppo delle miche. Il termine si riferisce infatti ai minerali micacei argillosi, i quali possiedono strati elementari caricati con ioni K come occupanti gli interstrati unitari di base. La differenza fra le illiti e le miche macroscopiche consiste in un minor contenuto di K e maggiore di idrossili delle prime rispetto alle seconde.

Le cloriti (Figura 7) hanno anch’esse struttura del tipo 2:1, ma costituiscono un altro gruppo a causa della presenza di interstrati ottaedrici, costituiti da uno strato elementare di idrossidi, i quali differiscono dagli strati elementari regolari in quanto non hanno un piano di atomi condivisi dagli strati elementari tetraedrici adiacenti.

Le smectiti-vermiculiti sono un gruppo di minerali con struttura 2:1 e con interstrati di cationi dotati di variabili caratteristiche di idratazione in presenza di umidità. Questi interstrati possono facilmente venire rimossi per essiccazione dando luogo alle vermiculiti disidratate aventi spaziatura basale di 1 nm che può espandersi a 1,4 nm corrispondenti a due strati molecolari di acqua. Appartengono al gruppo delle smectiti i minerali montmorillonite, beidellite e nontronite. Le bentoniti, spesso utilizzate per costituire barriere impermeabilizzanti, sono una miscela di montmorillonite, generalmente in proporzioni comprese fra il 90 ed il 50%, e di beidellite, Uno degli aspetti peculiari

Fig. 6,a – Proiezione di un cristallo di caolinite sul piano (001). (Altezza degli atomi sopra il piano 001).

Fig. 6,b – Proiezione di un cristallo di caolinite lungo gli assi y ed x evidenzianti la sovrapposizione degli strati elementari ed unitari successivi nelle direzioni x ed y rispettivamente.

Fig. 7 – Celle unitarie di base, strati elementari e strati unitari di cloriti, montmorillonite e mica.

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della montmorillonite è rappresentato dalla capacità rigonfiante determinata appunto dalle caratteristiche di idratazione degli interstrati di cationi (vedi dopo).

Lo stabilirsi di una carica elettrica non bilanciata in tutti questi minerali deriva dalle loro condizioni di formazione. La sostituzione di cui si è detto di uno ione con un altro di minore valenza positiva nel reticolo cristallino (per esempio di Si4+ con Al3+ negli strati elementari di silice, o di Al3+ con Mg, Fe o Li negli strati elementari di allumina), oppure le imperfezioni della superficie (specialmente ai bordi) che si verificano durante la formazione, determinano lo sviluppo di una carica elettrica negativa sulle particelle, denominata “carica fissa”. Questo aspetto è importante in quanto, per esempio, i metalli pesanti sono caricati positivamente e dunque vengono attratti elettrostaticamente dalle superfici caricate negativamente. L’effetto è tanto più significativo in relazione con l’elevata superficie specifica che caratterizza i minerali argillosi.

Ma oltre alla carica fissa di cui si è detto, taluni componenti del suolo, in particolare gli ossidi e gli ossidi idrati e un gran numero di componenti organici ed inorganici non cristallini, possono essere dotati di “carica variabile”, cioè di carica elettrica positiva o negativa in funzione del pH dell’ambiente liquido circostante. Le relativi superfici sono dette “superfici amfoteriche o a carica variabile” in contrapposizione con le citate “superfici a carica fissa”. Fra i minerali argillosi solo la caolinite è dotata di carica fissa e di carica variabile, in particolare le superfici sono considerate a carica fissa ed i bordi a carica variabile. Maggiori dettagli al riguardo sono forniti nel capitolo riguardante il sistema suolo-acqua

Sostanze organiche

Le sostanze organiche dei suoli possono essere di origine vegetale o animale. Esse vengono generalmente classificate in termini di stato di degradazione in:1. sostanze inalterate (anche vecchie per età);2. sostanze decomposte che non mantengono le caratteristiche morfologiche originarie,

ulteriormente classificabili in:a) materiali amorfi (cioè sostanze

umiche);b) materiali decomposti che fanno

parte di classi riconoscibili, come polisaccaridi, lignine, polipeptidi, ecc.).

Il termine amorfo è qui utilizzato per significare che i materiali trasformati non possiedono proprietà e caratteristiche dei materiali originari e di cui quindi non è possibile specificare l’origine.

Le tipiche sostanze organiche amorfe nei suoli sono sostanze umiche (acidi umici, acidi fulvici e umine), cioè polimeri aromatici caratterizzati da un alto contenuto di gruppi funzionali (vedi dopo).

Fig. 8 – Tecnica di estrazione dai suoli di polisaccaridi, acidi umici, acidi fulvici e umine.

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Una diffusa classificazione dei suoli organici è proprio basata sulla distinzione in umiche (risultanti dalla degradazione chimica e biologica dei materiali non umici) e non umiche (sostanze organiche indecomposte o solo parzialmente degradate). Questo metodo di classificazione è basato sulla procedura di estrazione di tali sostanze, illustrata in Figura 8.

Ossidi e ossidi idrati

Queste frazioni, molto importanti per quanto concerne l’interazione dei suoli con i contaminanti, includono vari minerali che in genere sono i principali costituenti dei suoli tropicali fortemente alterati come le lateriti e le bauxiti: ematite, goetite, gibbsite, boemite, anatasio e quarzo. Si tratta di ossidi, idrossidi e ossiidrossidi soprattutto di Fe, Al, Mn ed in minor misura di Ti e Si che differiscono dai minerali silicatici stratificati per il fatto che la loro superficie è costituita da legami rotti.

Gli ossidi e gli ossidi idrati possiedono caratteristiche elettriche superficiali variabili dipendenti dal pH.

Carbonati e solfati

Questi minerali sono considerati relativamente più solubili dei minerali silicatici. I più comuni carbonati presenti nei suoli sono la calcite (CaCO3) e la dolomite (CaMgCO3). Altri carbonati sono magnesite (MgCO3), trona (Na3CO3HCO3), naccolite (NaH CO3), soda (Na2 CO3.10H2O) e siderite (Fe CO3).

Il gesso (CaSO4.2 H2 O) è il più comune solfato presente nei suoli, specialmente nei suoli aridi o semi aridi.

In effetti, la già citata relativamente alta solubilità dei carbonati e dei solfati, rispetto a quella esibita dai minerali silicatici, dagli ossidi, idrossidi e ossidrossidi, sottolinea come la presenza di loro grandi quantità sia confinata alle regioni nelle quali si realizzano scarse possibilità di lisciviazione ed alta possibilità di evaporazione, cioè nelle regioni aride e semi aride. Struttura dei suoli

La disposizione e la distribuzione nella massa del suolo delle diverse frazioni influenza direttamente non solo le proprietà fisiche del suolo, per esempio densità e porosità, ma anche le caratteristiche che dipendono da quelle proprietà, come per esempio la resistenza a taglio, la consolidazione e la conduttività idraulica. La disposizione geometrica delle particelle di suolo è definita “tessitura del suolo” mentre il termine più generale “struttura del suolo” viene usato meglio per descrivere il le caratteristiche di un suolo e si riferisce non solo alla tessitura ma anche a varie altre proprietà che derivano dal tipo e dalla proporzione delle varie frazioni di suolo.

La Figura 9 riporta una veduta schematica di un volume elementare rappresentativo di suolo (VER) e mostra anche l’esistenza in esso di macropori e micropori. Il diagramma mostra la combinazione arbitraria di vari aggregati di particelle argillose ed evidenzia la macrostruttura, determinata dalla disposizione degli aggregati, e la microstruttura, determinata dalla disposizione delle particelle negli aggregati.

Il ruolo esercitato dalle frazioni diverse dai minerali argillosi (ossidi, carbonati, sostanza organica, ecc.) nell’influenzare la tessitura e soprattutto la struttura dei suoli dipende naturalmente dalla proporzione di tali frazioni.

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Le proprietà fisiche del suolo ed in particolare la resistenza meccanica ed i processi di trasporto nel suolo sono come si è detto particolarmente influenzati dalla struttura del suolo, per esempio, in funzione della natura delle frazioni costituenti e del modo con cui il suolo si è formato è possibile che venga favorita una orientazione orizzontale delle particelle, degli aggregati e dei macro- e micropori: ciò determina un comportamento anisotropo del suolo che è molto importante dal punto di vista dei processi di trasporto.

La Figura 10 mostra varie orientazioni della tessitura sia degli aggregati che degli elementi di VER.

Il trasporto dei contaminanti avviene attraverso i macropori ed i micropori: in funzione della continuità che si è stabilita fra i macropori e del tipo e della densità dei micropori risulterà fondamentalmente regolata la diffusione dei contaminanti il cui trasporto in un suolo potrà dunque verificarsi prevalentemente per avvezione (cioè trasporto del contaminante dovuto al moto del fluido) o prevalentemente per diffusione, (trasporto nella direzione di concentrazione decrescente del contaminante) sebbene molto spesso abbia luogo contemporaneamente per avvezione e per diffusione.

Fig. 9 – Volume elementare rappresentativo (VER) di un suolo costituito da aggregati di particelle di minerali argillosi formanti ped. I pori intra-aggregati sono micropori, i pori inter-aggregati sono macropori.

Fig. 10 – Tessitura anisotropa ed isotropa di aggregati e anisotropia/isotropia del suolo.

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IL SISTEMA SUOLO-ACQUA

Il sistema acqua-suolo non è altro che una massa di suolo che comprende le frazioni solide e la fase acquosa che vi è contenuta. In realtà con il termine generale “suolo” si intende anche il sistema acqua-suolo, sebbene talvolta sia necessario ricorrere a quest’ultimo termine per sottolineare gli aspetti che si riferiscono alle interazioni fra frazioni solide e fase liquida.

Con riferimento agli aspetti che riguardano tali interazioni è necessario considerare la natura delle superfici delle varie frazioni di suolo e soprattutto il tipo di forze associate a queste superfici, in quanto da queste è possibile risalire al perché certe frazioni di suolo trattengono più contaminanti di altre ed al perché taluni contaminanti sono trattenuti più a lungo di altri, in altre parole come i contaminanti si ripartiscono all’interno del sistema acqua-suolo.

Superfici reattive delle frazioni organiche ed inorganiche dei suoli

Si è visto come le frazioni dei suoli dotate di superfici reattive comprendono fillosilicati (minerali argillosi), componenti organici, ossidi idrati, carbonati e solfati.

Si definiscono “superfici reattive” le superfici che reagiscono, in termini chimici o fisico-chimici, con i soluti presenti nella fase acquosa contenuta nei pori del sistema suolo-acqua.

Un buon esempio al riguardo è rappresentato dalla superficie dei minerali argillosi con strutture del tipo 1:1 o 2:1. La scissione degli strati formanti il reticolo cristallino rompe i legami in corrispondenza degli strati superficiali e dei bordi e gli atomi coinvolti possiedono conseguentemente legami non completamente compensati. I cationi e gli anioni della fase acquosa nei pori tendono a compensare questi legami rotti con un meccanismo di interazione che può essere chimico (adsorbimento chimico) o fisico (adsorbimento fisico). Nell’adsorbimento chimico gli ioni della fase acqua si legano con legami covalenti ai cationi strutturali del solido mediante i gruppi O e OH. Nell’adsorbimento fisico la compensazione si verifica invece per attrazione elettrostatica.

I gruppi reattivi che rendono reattive le superfici delle sostanze in discussione sono denominati “gruppi funzionali superficiali” e sebbene questo termine venga più frequentemente usato con riferimento alle sostanze organiche del suolo, anche le frazioni inorganiche del suolo possiedono tali gruppi: i gruppi idrossilici superficiali (OH) sono i gruppi funzionali superficiali più comuni delle frazioni inorganiche; le superfici di queste frazioni inorganiche vengono perciò denominate “superfici idrossilate”.

I materiali organici dei suoli possiedono una grande varietà di gruppi superficiali funzionali. Di questi i più comuni sono mostrati in Figura 11.

La struttura di base di quei materiali organici è costituita da atomi di C che sono combinati in strutture ad anello sature o non sature oppure in catene. Gli atomi di C o di N si combinano con l’ossigeno e/o con l’idrogeno per dar luogo a diversi gruppi funzionali che controllano appunto le proprietà delle molecole organiche e le loro reazioni con la fase acqua dei suoli. I gruppi funzionali più comuni sono l’ossidrilico, il carbossilico, il fenolico e l’amminico. Questi gruppi possono essere protonati o deprotonati in funzione del pH della fase acqua, sviluppando cariche positive o negative rispettivamente. In particolare la presenza dell’idrogeno nei gruppi funzionali contenenti ossigeno può dissociarsi

Fig. 11 – Schema di materiale organico del suolo che mostra i vari tipi di gruppi funzionali.

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conferendo al materiale carattere elettricamente negativo, cioè proprietà acide. I gruppi carbossilici e fenolici contribuiscono all’insorgere di cariche negative e, come vedremo, influenzano significativamente la capacità di scambio cationico (CEC).

I materiali inorganici dei suoli esibiscono superfici reattivi che possono essere esaminate in relazione alle strutture del reticolo cristallino discusse in precedenza.I minerali argillosi con struttura 1:1 possiedono strutture silosaniche e gibbsitiche sulle facce opposte delle superfici basali delle particelle. La superficie silosanica è la superficie basale piana costituita dagli atomi di ossigeno che si legano al Si negli strati elementari tetraedrici con gruppi silosanici (-Si-O-Si-). Ne consegue che illiti, montomorilloniti e vermiculiti possiedono superfici silosaniche su entrambe le facce superficiali.

Le superfici silosaniche diventano reattive per effetto di sostituzioni isomorfe, cioè quando l’atomo di Si è sostituito da un atomo di valenza inferiore. In tal caso ha luogo lo sviluppo di una carica elettrica negativa che rende la superficie silosanica reattiva. Considerazioni analoghe valgono per quanto riguarda lo strato gibbsitico di confine che assume una carica elettrica negativa per effetto di sostituzioni isomorfe.Analogamente quando i bordi del reticolo di un fillosilicato sono rotti ha luogo la formazione di ossidi idrati sul bordo superficiale.

La Figura 12 mostra lo schema di una particella di caolinite con una superficie silosanica superiore ed uno strato gibbsitico inferiore. Sulle superfici dei bordi sono esposti gli ioni Al3+ degli strati elementari ottaedrici e gli ioni Si4+ degli strati elementari tetraedrici, ma mentre i secondi si complessano solo con ossidrili OH- con formazione di gruppi silanolici (-SiOH), i primi possono complessarsi con entrambi gli ioni H+ e OH- nei gruppi coordinati OH, detti gruppi alluminolici. L’associazione degli idrossidi superficiali con un protone lascia la superficie caricata positivamente, secondo lo schema generale Al(OH)3 + H+ = Al(OH)2

+ + H2O; al contrario la perdita o donazione di un protone lascia la superficie caricata negativamente secondo lo schema Al(OH)3 + OH- = AlO2

- + 2 H2O.Anche lo strato gibbsitico della superficie basale possiede ovviamente gruppi alluminolici, ma

essi non influiscono sulla carica elettrica netta negativa di questa superficie.Le superfici degli ossidi idrati (per esempio di ferro o di alluminio) possiedono anch’esse gruppi ossidrilici coordinati che si protonano o deprotonano in funzione del pH del mezzo circostante secondo gli schemi sopra riportati.

Cariche elettriche superficiali e fenomeni elettrici all’interfase

I vari gruppi funzionali sulle superfici basali e sui bordi delle frazioni inorganiche, le sostituzioni isomorfiche nei reticoli cristallini dei fillosilicati ed i gruppi funzionali associati alle sostanze organiche dei suoli, determinano una distribuzione di cariche elettriche negative e positive sulla superficie delle frazioni di suolo.

Fig. 12 - Gruppi silanolici e alluminolici sulle superfici di confine e di bordo di una particella di caolinite.

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Poiché i minerali argillosi possiedono piani basali caratterizzati da superfici silosaniche o gibbsitiche (ossidi idrati) non deve sorprendere il fatto che le cariche elettriche risultanti distribuite sulle loro superfici riflettano le cariche tipiche di queste superfici.

Gli ossidi idrati come goethite (α-FeOOH) e gibbsite [γ-Al(OH)3] invece hanno una carica elettrica che dipende dal pH della fase acquosa.

La somma delle cariche elettriche distribuite sulla superficie di una particelle costituisce la “densità di carica superficiale netta” della particella, che per semplicità viene denominata “densità di carica”.

Quando una particella di suolo viene a contatto con una soluzione acquosa, le superfici reattive della particella interagiscono con gli ioni e le molecole in soluzione e, poiché le anzidette superfici sono elettricamente cariche, i controioni (cioè gli ioni caricati di segno opposto) in soluzione interagiscono con tali superfici. Poiché come si è detto la carica netta delle particelle dei minerali argillosi è negativa, ciò significa che i cationi in soluzione tendono ad accumularsi in prossimità della superficie della particella.

Helmoltz, che per primo ha considerato il fenomeno, lo schematizzò nello stabilirsi di un doppio strato elettrico, in cui lo strato di cariche sulla superficie del solido e lo strato di cariche in soluzione sono assimilabili alle piastre di un condensatore (Figura 13). Secondo Gouy-Chapman, invece, gli ioni del doppio strato non possono essere concentrati ad una distanza definita della superficie solida perché deve esistere un equilibrio fra le forze elettriche responsabili dell’esistenza del doppio strato e le forze osmotiche che tendono a mantenere l’omogeneità. Conseguentemente non può esservi un brusco mutamento nella concentrazione di ogni tipo di ioni in vicinanza del doppio strato, ma un graduale aumento di concentrazione di ioni di un certo segno e diminuzione di ioni di segno opposto. La densità di carica elettrica nell’atmosfera ionica decresce secondo una legge esponenziale e non linearmente come postulato da Helmoltz.

Infine, Stern suggerì un modello di doppio strato elettrico che è la combinazione del modello a strato fisso di Helmoltz e di quello a strato diffuso di Gouy-Chapman. Questo modello, di cui la Figura 14 fornisce uno schema semplificato, sembra descrivere meglio la reale distribuzione dei potenziali quando ha luogo uno specifico adsorbimento di contro-ioni, cioè di contro-ioni che possiedono affinità specifica nei confronti della superficie solida e che vengono adsorbiti da forze diverse da quelle di natura puramente elettrostatica.

Fig. 13 – Modello di DSE di Helmoltz.

Fig. 14 - Schema di doppio strato elettrico di una particella di minerale argilloso con cationi ed anioni nello strato diffuso.

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Si supponga ora che la soluzione si muova rispetto alla particella solida (o viceversa): si verificherà uno scorrimento fra il piano di Stern (lo strato di Stern è solidale alla particella) e lo strato di Gouy-Chapman, oltre ad una parte di esso di spessore dipendente dalla velocità relativa, della viscosità della soluzione, ecc., sarà trascinata nel moto. Il potenziale in corrispondenza del piano di scorrimento, o meglio la differenza di potenziale fra gli strati trascinati nel moto e la fase liquida indisturbata, è denominato potenziale zeta o potenziale elettrocinetico (ζ). In pratica, il potenziale zeta (ζ) può essere assunto in prima approssimazione uguale al potenziale di Stern (ψδ).

Naturalmente, a seconda della costituzione ionica della superficie dello strato fisso, il potenziale zeta può essere dello stesso segno o di segno opposto del potenziale elettrochimico. I due casi sono schematizzati in Figura 15. In essa, AB è la superficie al limite fra fase solida (a) e fase liquida (b), CD il limite dello strato fisso di spessore δ, EF il limite dello strato diffuso di spessore d e P1, P2 e P3 rispettivamente il potenziale della fase solida, dell’estremo limite dello strato fisso e della massa liquida indisturbata.

La curva P1 P2 rappresenta la caduta di potenziale nello strato fisso, la curva P2 P3 il potenziale nello strato diffuso. Il potenziale del punto P2 è il potenziale ζ, il potenziale del punto P1 è il potenziale elettrochimico ψδ.

A seconda della composizione ionica della superficie dello strato fisso, dipendente a sua volta dal potenziale di superficie, dalla concentrazione di elettrolita e dalla distribuzione di carica, il potenziale elettrocinetico può essere dello stesso segno (curva I) o di segno opposto (curva II) al potenziale elettrochimico. Anche l’entità del potenziale ζ è funzione dell’anzidetta costituzione ionica. Il pH (costituzione ionica) corrispondente ad un valore di ζ= 0 è detto “punto isoelettrico” , mentre il pH in corrispondenza del quale, nel doppio strato, si uguagliano le densità di carica dei cationi e degli anioni, è detto “punto zero di carica” (pzc).

Poiché le interazioni fra ioni in soluzione (cationi e anioni) e le superfici cariche delle particelle solide sono di natura coulombiana, le considerazioni quantitative relative alla distribuzione dei potenziali ψe delle cariche, secondo il modello a strato diffuso di Gouy-Chapman, possono essere sviluppate a partire dall’equazione di Poisson-Boltzmann seguente:

in cui ni e zi rappresentano la concentrazione e la valenza della i specie di ioni in soluzione, e, k, ε e T sono rispettivamente la carica elettronica, la costante di Boltzmann, la costante dielettrica e la temperatura.

La soluzione di quest’equazione, qui non riportata per semplicità fornisce la distribuzione del potenziale ψ in funzione della distanza x dalla superficie della particella:

Fig. 15 - Potenziale ζ dello stesso segno o di segno opposto al potenziale elettrochimico.

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Il segno negativo del secondo membro dell’equazione (2) indica che il potenziale ψ immediatamente dopo lo strato di Stern, decresce man mano che ci si allontana dalla superficie della particella, come indicato in Figura 16 ed in Figura 17 che mostra il valore risultante di ψ nell’interazione fra due particelle adiacenti.

La distribuzione dei cationi n+ mostrata in Fig. 12 può calcolarsi con l’equazione:

Il modello di Stern tuttavia considera che i controioni totali che bilanciano la carica negativa netta della superficie reattiva sono sia quelli dello strato di Stern che sono adsorbiti sulla superficie, sia quelli dello strato diffuso del modello di Gouy-Chapman la cui distribuzione è descritta dalla distribuzione di Boltzmann (2). In altre parole la carica superficiale σo è bilanciata dalla carica dello strato di Stern (σδ) più quella dello strato diffuso (σd), cioè σo =σδ + σd.

Ciò è importante perché il potenziale decade dal valore di ψ0 (il cui valore dipende dalla carica elettrica della particella e dalla concentrazione dell’elettrolita) al valore di ψδ nello strato di Stern, oltre il quale la variazione di ψ è governata dall’equazione (2). D’altra parte, come è stato accennato, ψδ può essere considerato quasi uguale (al limite uguale) al valore di ζ che come è noto è misurabile con l’apparato zeta-meter usando l’equazione di Helmolz-Smoluchowsky.

La relazione fra densità di carica superficiale e potenziale superficiale è data da:

Poiché il potenziale ψ0 è costante per uno specifico valore del pH per i minerali a carica variabile, la seguente relazione di Nernst può essere utilizzata per spiegare la dipendenza del potenziale ψ0 dalla presenza degli ioni determinanti il potenziale nello strato di Stern

Fig. 16 - Distribuzione del potenziale nello strato di Gouy-Chapman.

Fig. 17 - Interazione fra due particelle adiacenti e valore di ψ risultante

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dove pHo = pH al quale il potenziale superficiale ψ0= 0.Il modello di Stern come sopra descritto è stato modificato da Graham, secondo il quale lo strato

di Stern, in effetti consiste di due strati:- uno più interno, detto piano interno di Helmoltz (pih), costituito da ioni che sono

specificamente e chimicamente adsorbiti e che hanno dunque la capacità di influenzare il segno e l’entità della carica superficiale;

- uno più esterno, immediatamente a contatto del precedente, detto piano esterno di Helmoltz (peh).

Nel modello di Stern-Graham il potenziale di Stern (ψδ) è appunto assegnato al peh. La Figura 18 mostra una rappresentazione schematica degli anioni e cationi idratati immediatamente adiacenti alla superficie reattiva di una particella. La Figura 19 mostra la corrispondente localizzazione dei vari potenziali. A partire dal valore di ψδ = ψpeh , ψ può determinarsi con la precedente relazione (2). Questa relazione è spesso usata in prima approssimazione come base di calcolo nelle interazioni fra suolo e contaminanti.

E’ possibile infatti partendo da questa dal modello di Stern Graham determinare le energie di interazione fa ioni, molecole e siti superficiali carichi.

La concentrazione di ioni di specie i nel pih può essere calcolata dalla relazione di Boltzmann con l’espressione:

dove Epih ed Epeh sono le energie di interazione in pih e peh rispettivamente, risultanti rispettivamente:

Fig. 18 - Diagramma schematico della distribuzione degli anioni e dei cationi nelle immediate adiacenze della superficie reattiva.

Fig. 19 – Localizzazione dei vari potenziali rispetto alla superficie di una particella.

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- Epih dall’interazione coulombiana fra gli ioni e le forze associate con le cariche negative situate sulla particella;

- Epeh dal contributo di quattro energie componenti, l’energia di interazione coulombiana, di interazione ione-dipolo, di interazione dipolo-dipolo e di interazione dipolo e sito superficiale.

I corrispondenti valori possono calcolarsi con le relazioni:

in cui μ= 1,8.10-10 esu.cm è il momento di dipolo della molecola d’acqua, r è la somma dei raggi dello ione e della molecola d’acqua, R è la distanza fra il centro dello ione i e la carica elettrica negativa situata sulla particella, r1 la distanza fra il centro del dipolo e la corrispondente carica negativa sulla particella e Dn un fattore geometrico uguale a 0,334 per 3 molecole d’acqua (1,188 per 6 molecole d’acqua).

Queste relazioni possono essere usate per calcolare la distribuzione degli ioni nello strato di Stern ed anche nello strato diffuso.

La Figura 20 mostra l’esempio di una particella di montmorillonite che interagisce con NaCl 10-3

M. Le ascisse rappresentano il numero di strati di acqua distanti dalla superficie della particella. Nell’esempio si è supposto che lo spazio occupato dal pih è equivalente ad un singolo strato molecolare di acqua; la stessa assunzione è stata fatta per lo spazio occupato dal peh che funge da confine per lo strato diffuso. Le distanze equivalenti ad oltre le tre molecole d’acqua appartengono allo strato diffuso. I calcoli mostrano un’alta concentrazione di ioni sodio in pih e peh, mentre tali concentrazioni cadono di un ordine di grandezza quando si passa nello strato diffuso.

Ovviamente tali calcoli devono essere presi con precauzione quando si considerano i sistemi reali nei quali la presenza di altre particelle interagenti complicano i calcoli. Il loro uso può tuttavia fornire informazioni riguardanti l’interazione particella-soluto e le capacità di trattenere l’acqua.

Un modello riguardante le energie di interazione fra particelle è invece il modello DLVO (Derjaguin, Landau, Verwey e Overbeek), il quale nei calcoli delle forze interparticellari di aggregazione tiene conto della natura delle superfici caricate di suolo, della composizione chimica del sistema suolo-acqua e delal tessitura del suolo (cioè disposizione delle particelle e distanze di separazione). Questi calcoli considerano sia le forze di attrazione di van der Waals sia le forze di repulsione sviluppate dallo strato diffuso di Gouy. Assumendo i potenziali superficiali costanti e l’influenza degli ioni determinanti i potenziali sui potenziali superficiali, l’energia di repulsione fra le superfici affacciate due particelle che interagiscono parallelamente è data da:

Fig. 20 – Distribuzione di ioni sodio a varie distanze dalla superficie di una particella di montomorillonite nell’interazione con 10-3 M di NaCl

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dove: Erff è l’energia di repulsione fra le facce parallele delle 2 particelle; z i e ni la valenza e la

concentrazione complessiva dei controioni rispettivamente; k costante di Boltzmann; T temperatura assoluta; y potenziale adimensionale (y = -eψ/kT); DH il reciproco della distanza di Debye-Huckel (raggio efficace dell’atmosfera ionica); d la distanza fra le particelle.

L’energia di repulsione fra facce e bordi (Erfb) è modellizzata sulla base dell’interazione fra una

sfera grande di diametro af e corrispondente potenziale ψf ed una piccola sfera di raggio ab e corrispondente potenziale ψb . Indicando con la costante dielettrica, il valore dell’energia di repulsione è data da:

L’energia di repulsione fra bordi è data da:

Le energie di attrazione fra bordi (Eabb), fra superficie e bordi (Ea

fb) e fra superfici parallele (Eaff)

sono date da:

in cui A rappresenta la costante di Hamaker, assunta in genere pari a circa 4,4.10-13 ergs.I calcoli delle energie di repulsione con l’uso del modello DLVO si sono dimostrati

sperimentalmente corretti per distanze di separazione fra le particelle superiori a 3 nm. A distanze inferiori in realtà le forze di attrazione di van der Waals sovrastano le energie di repulsione.

Influenza della struttura del suolo

Si è considerata in precedenza la struttura e la tessitura dei suoli senza attenzione alle interazioni delle relative diverse frazioni con l’acqua. Le precedenti considerazioni hanno in effetti

Fig. 21 - Struttura idealizzata di suolo che mostra la distribuzione dei vari tipi di frazioni solide.

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fatto esclusivo riferimento alle interazioni delle frazioni argillose, ma la presenza delle altre frazioni ed il modo con cui esse sono distribuite nel suolo possono alterare sia la macro che la microstruttura e quindi alcune delle più importanti caratteristiche del suolo, come ad esempio la CEC, la superficie specifica, la conduttività idraulica, ecc.

La Figura 21 mostra le caratteristiche principali di una struttura di suolo.La presenza di carbonati sia come particelle individuali sia come ricoprimento di altre particelle

del suolo alterano per esempio la superficie specifica del suolo, perché le particelle tendono ad aggregarsi per effetto delle connessioni carbonatiche. Inoltre i carbonati e la calcite (CaCO3) in particolare possiedono caratteristiche tamponanti: le loro proprietà di precipitare e di solubilizzarsi contribuiscono al regime delle acque nella porosità dei suoli. Le cariche superficiali delle particelle sono influenzate dagli ioni Ca2+ e CO3

2-. Le cariche superficiali sono generalmente positive ai pH superiori a 4,5 (pzc), mentre a pH inferiori diventano sempre più negative.

I materiali amorfi (ferro amorfo, allumina, ossidi silicatici idrati) formano dei ricoprimenti fra particelle aggregandole fra loro e modificandone anche le caratteristiche superficiali. Un materiale amorfo consta di un cuore e di uno strato esterno di ricoprimento. Il cuore è costituito essenzialmente da Si in coordinazione tetraedrica con qualche sostituzione isomorfica del Si con Fe o Al ed è ricoperto parzialmente con Fe o Al in coordinazione ottaedrica. Lo strato esterno viene distrutto quando sottoposto a lisciviazione acida. Il cuore rimane perciò caricato negativamente come è illustrato nello schema di Figura 22. Tuttavia, la superficie dei materiali amorfi è amfoterica e la carica elettrica superficiale si inverte nuovamente nel passare da valori di pH inferiori a valori di pH superiori al punto isoelettrico.

Anche i componenti organici del suolo, in funzione della carica dei gruppi funzionali superficiali, possono influenzare in modo significativo le proprietà superficiali dei suoli a causa delle loro proprietà aggreganti e ricoprenti.

Rilevanza particolarmente interessante ai fini ingegneristici rivestono quei materiali che vengono denominati “argille rigonfianti”, comunemente usate per costituire le cosiddette barriere naturali a bassa permeabilità. Si è già visto come siano costituiti gli strati unitari delle smectiti. Una caratteristica importante di tali argille è rappresentata dalla capacità di immagazzinare acqua con conseguente effetto di rigonfiamento ed aumento di volume che può arrivare a circa il 100% del volume iniziale del solido secco. La spaziatura basale delle

smectiti anidre, dell’ordine di 0,95-1,0 nm, può infatti espandersi sino a 1,25 - 1,92 nm in relazione con la quantità di acqua immagazzinata (idratazione). Quest’ultima dipende dalla natura dei cationi scambiabili presenti negli interstrati e dal contenuto iniziale di acqua del suolo. Nell’esposizione all’acqua predomina dapprima il fenomeno di idratazione dei cationi presenti nell’interstrato (rigonfiamento cristallino), successivamente l’acqua viene immagazzinata a causa

Fig. 22 – Aggregati di argilla ricoperti da materiale amorfo: Lo schema in alto mostra la struttura del suolo naturale mentre lo schema sottostante mostra la medesima struttura dopo lisciviazione acida.

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delle forze del doppio strato, cioè delle forze osmotiche determinate dai cationi dell’interstrato. Il movimento dell’acqua nei pori di varia dimensione (Fig. 7) deriva proprio dal meccanismo di assorbimento dell’acqua che opera entro tali spazi.

Potenziali suolo-acqua

La capacità di trattenere l’acqua delle frazioni del suolo può essere espressa in termini energetici prendendo in considerazione i vari potenziali termodinamici che caratterizzano il suolo.

Si considerino (Figura 23) due cilindri verticali di vetro aventi le estremità inferiori appoggiate su bacinelle contenenti acqua e riempiti a secco uno con particelle di quarzo e l’altro con un suolo argilloso. L’altezza della risalita capillare (suzione capillare) nel primo di tali cilindri è data dall’espressione

dove : σ = tensione superficiale dell’acqua, α = angolo di contatto dell’acqua con le superfici del solido, r = raggio effettivo dei pori nella colonna di sabbia e γw = densità dell’acqua.

Poiché per minori valori di r il valore di h aumenta, se nel secondo cilindro fosse responsabile della risalita soltanto il raggio dei pori si vedrebbe l’altezza dell’acqua portarsi più vicina all’altezza mediana del tubo. Invece, come mostra lo schema di figura, la risalita supera addirittura l’altezza mediana del tubo, questa ulteriore risalita essendo dovuta agli effetti esercitati dalle superfici delle particelle argillose.

In termini energetici si può dire che la risalita h è dovuta all’esistenza di un potenziale ψc che è detto “potenziale di capillarità” e misura l’energia che trattiene l’acqua per effetto delle forze di capillarità, cioè è il potenziale dovuto alle forze di capillarità alle interfacce aria-acqua nei pori del suolo occupati dall’acqua

Se si considera il lavoro richiesto per muovere l’acqua in una massa di suolo o per spiazzare l’acqua dal suolo, allora occorre cambiare di segno al potenziale che, in tal caso, è denominato “potenziale dell’acqua nel suolo” (ψ). Quest’ultimo concetto esprime meglio il tipo di forze interne che contribuiscono alla ritenzione e al moto dell’acqua nei suoli. Poiché i potenziali sono definiti in base ad un riferimento, questa base è normalmente rappresentata da un bacino di acqua libera alla stessa altitudine e temperatura del suolo e sotto una pressione atmosferica. I diversi componenti del potenziale totale ψ, un numero negativo che esprime il lavoro totale richiesto per muovere una quantità unitaria d’acqua dal bacino di riferimento ad un determinato punto nel suolo desiderato sono: ψ m = potenziale di matrice, proprietà della matrice del suolo che si riferisce alle forze di

adsorbimento fra frazioni di suolo e acqua del suolo ed è spesso erroneamente assunto uguale al

Fig. 23 – Risalita capillare in colonne contenenti materiali diversi.

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potenziale capillare. In effetti ciò è valido per i materiali granulari ma non lo è per i suoli argillosi.

ψ g = potenziale gravitazionale = -γwgh , con γw = densità dell’acqua, g= accelerazione di gravità e h = altezza del suolo sopra superficie dell’acqua libera, negativa se il punto del suolo è ad un livello inferiore rispetto alla superficie, perciò il corrispondente potenziale diventa positivo.

ψ π = potenziale osmotico = ψ0 = potenziale del soluto per i suoli non rigonfianti. In tali casi ψ π

= ψ 0 = nRTc, dove n = numero di molecole per mole di sale, c = concentrazione del sale, R = costante universale dei gas, T = temperatura assoluta. Nel caso di suoli rigonfianti si applicano, con le relative limitazioni, i concetti discussi a proposito del doppio strato elettrico.

ψ p = potenziale di pressione, dovuto alla pressione applicata esternamente e trasmessa attraverso la fase fluida del suolo.

ψ a= potenziale della pressione pneumatica, derivante dalla pressione nella fase aria. Si applica nei suoli parzialmente saturati.

La misura del potenziale ψ può essere effettuata con diversi sistemi, fra questi i più semplici sono: (A) i tensiometri di Heines e (B) i sistemi a membrana. Il principio di questi sistemi è illustrato in Figura 24. Il tensiometro di Heines a sinistra della figura misura la tensione dell’acqua nel suolo attraverso la lunghezza della colonna d’acqua che è sostenuta dal campione di suolo. Poiché questo sistema è di difficile utilizzazione, più spesso viene utilizzato un manometro a mercurio con il quale però si possono misurare tensioni dell’acqua in cui le differenze di pressione sono inferiori ad 1 atmosfera. Per misurare più alti valori di tensione dell’acqua nei pori si può utilizzare l’apparato (B). La pressione dell’aria alimentata nella parte alta del disco poroso controlla il valore massimo della pressione che può essere applicato al campione nella cella. Introducendo aria a pressione nella cella si tenta di espellere l’acqua dal campione. All’equilibrio l’acqua che rimane nei campioni di suolo si considera trattenuta da un insieme di forze che sono, anche se di poco, superiori di quelle applicate dalla pressione dell’aria introdotta nella cella.

Tipiche curve di suzione sono mostrate in Figura 25 per diversi tipi di suolo. Le ascisse sono espresse in pF, che è una misura in scala log correlata all’altezza di acqua h equivalente alla pressione applicata ai campioni, cioè pF = log10h. Questi valori possono facilmente essere convertiti in altre unità come kPa o bar. La diversa capacità di trattenere l’acqua dei campioni di suolo

Fig. 24- Apparati di laboratorio per la misura della capacità dei suoli di trattenere l’acqua.

Fig. 25 – Curve di suzione per tre tipi di suolo.

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di cui alla figura può essere individuata nelle differenze di superficie specifica e di forze superficiali attive delle particelle solide.

Fra i vari componenti del potenziale ψ da cui dipende la capacità dei suoli di trattenere l’acqua, quelli che esercitano la maggiore influenza sono i potenziali di matrice ψm ed osmotici ψπ , mentre è trascurabile il contributo dei componenti gravitazionale ψg, di pressione ψp e pneumatico ψa. Il meccanismo descritto di idratazione dei materiali rigonfianti è come si è visto costituito da due fasi, una prima fase di rigonfiamento cristallino che satura gli spazi interstrato e che è legata alle forze associate con il potenziale di matrice ψm , un’ulteriore fase di espansione di volume oltre il rigonfiamento cristallino dovuta alle forze del doppio strato elettrico cioè alle forze associate con il potenziale osmotico ψπ.

In definitiva, le caratteristiche energetiche definite dai potenziali dell’acqua nei suoli permettono di valutare quanto fortemente l’acqua sia trattenuta nei suoli. Questo aspetto è particolarmente importante perché influisce direttamente sulle caratteristiche delle interazioni fra suolo e contaminanti. Come si può intuire il potenziale di matrice ψm , che è una proprietà delle superfici solide del suolo, è il componente di gran lunga il più importante nell’interazione dell’acqua con i suoli. Sfortunatamente non si è ancora in grado di correlare questo componente con i potenziali allo strato di Stern o al piano interno di Helmoltz (pih). Per contro, i valori calcolati dei potenziali di interazione fra i controioni e le superfici reattive delle particelle solide nei modelli di doppio strato diffuso si sono dimostrati in buon accordo con il potenziale osmotico ψπ. Questi valori e quelli dei potenziali dell’acqua dei suoli forniscono perciò una buona base di conoscenza per meglio comprendere come i contaminanti in forma di soluto si diffondono nel sistema acqua-suolo.

INTERAZIONI SUOLO-CONTAMINANTI

In questo paragrafo verranno presi in considerazione i meccanismi di carattere generale ed i processi coinvolti nelle interazioni fra contaminanti e frazioni di suolo. Sono questi processi che determinano la natura e la distribuzione finale dei contaminanti, cioè il “destino” dei contaminanti .

Questi meccanismi non necessariamente assicurano una rimozione permanente dei contaminanti disciolti da parte dei fluidi di trasporto. Fra i processi che contribuiscono all’attenuazione dell’inquinamento, occorre infatti distinguere fra “ritardo”, “ritenzione” e “diluizione”, che conducono a risultati finali appunto diversi.

La ripartizione degli inquinanti causata da meccanismi di ritenzione è connessa ad un adsorbimento irreversibile degli inquinanti da parte delle frazioni di suolo; ci si aspetta perciò che non possa verificarsi un desorbimento o rilascio dell’adsorbato. Il termine ritardo si riferisce invece ad un meccanismo alquanto diverso dal precedente che coinvolge processi di adsorbimento reversibili e che perciò possono dar luogo a rilascio.

La Fig. 26 illustra gli effetti risultanti dai due processi. Se l’impulso di soluto inquinante (il cui carico inquinante totale è rappresentato dall’area rettangolare) è ritardato, l’area compresa entro ciascuna curva di impulso rimane costante man mano che l’impulso viaggia verso

Fig. 26– Processi di ritardo e di ritenzione.

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l’acquifero supposto situato alla destra della sorgente (in quanto il carico inquinante rimane costante): l’altezza delle curve a campana diminuisce ma aumenta la base. Per contro, la ritenzione dell’impulso fornisce un’area, racchiusa dalle curve d’impulso, decrescente in quanto l’adsorbimento irreversibile riduce il carico inquinante totale. Nello stesso tempo anche la concentrazione diminuisce ed una minor quantità di inquinanti è trasportata verso l’acquifero.

Gli inquinanti più comunemente presenti nei siti contaminati appartengono alle due seguenti categorie:

(a) sostanze inorganiche, per es. metalli pesanti come Pb, Cu, Cd ecc; e(b) composti chimici organici, come idrocarburi policiclici aromatici (IPA), benzene, toluene,

etilene, xilene, ecc.Poiché le interazioni fra contaminanti e suolo si verificano fra i gruppi reattivi che caratterizzano

le superfici sia delle frazioni di suolo che degli inquinanti, appare opportuno un breve richiamo circa la natura delle due categorie di contaminanti, nonché dei vari fattori che controllano le citate interazioni.

Principali contaminanti

Per quanto concerne i metalli, i metalli alcalini ed alcalino-terrosi appartengono al I e II gruppo della tavola periodica. I metalli alcalini (Li, Na. K, Rb, Cs e Fr) sono agenti fortemente riducenti e non si trovano mai allo stato elementare perché reagiscono facilmente con tutti i non metallici. Anche i metalli del II gruppo (Be, Mg, Ca, Sr, Ba e Ra), similmente ai metalli alcalini, sono forti riducenti e reagiscono con molti non metallici.

A rigore i “metalli pesanti” sono gli elementi con numero atomico più elevato di 38 ( n. atomico dello Sr). Spesso tuttavia il termine viene applicato agli elementi con numero atomico maggiore di 20 (n. atomico del Ca), i quali a loro volta possono essere distinti nei seguenti tre gruppi.- elementi con n. atomico da 22 a 34 – Ti, V, Cr, Mn, Fe, Co, Ni, Cu, Zn, Ga, Ge, As e Se;- elementi con n. atomico da 40 a 52 – Zr, Nb, Mo, Te, Ru, Rh, Pd, Ag, Cd, In, Sn, Sb e Te;- elementi con n. atomico da 72 a 83 – Hf, Ta, W, Re, Os, Ir, Pt, Au, Hg, Tl, Pb e Bi.

I più comuni metalli pesanti tossici associati con le attività antropogeniche ( percolati di discarica, rifiuti dell’industria chimica, dell’industria mineraria, fanghi, ecc.) comprendono Pb, Cd, Cu, Cr, Ni, Fe, Hg e Zn. Ioni metallici come Cu2+, Cr2+ , ecc (ioni Mn+) non possono esistere in soluzione acquosa come ioni individuali. Essi sono generalmente coordinati (cioè legati chimicamente) a sei molecole d’acqua e nella loro forma idrata esistono come M(H2O)x

n+. La sostituzione delle molecole d’acqua coordinate con Mn+ può verificarsi per lo stabilirsi di una legame con anioni inorganici . Si definiscono “leganti” quegli anioni che possono formare composti coordinati con ioni metallici. Il numero di leganti legati allo ione metallico centrale è denominato “numero di coordinazione”. In generale, il numero di coordinazione di uno ione metallico è lo stesso indipendentemente dalla natura del legante. Il numero di coordinazione per Cu2+ per esempio, è 4, come in Cu(H2O)4

2+ e CuCl2-. Nel caso di Fe3+ , il cui numero di coordinazione è 6, si ha Fe(CN)6

3- e Fe(H2O)63+. I numeri di coordinazione comuni per i metalli pesanti sono 2, 4 e 6, ma

quest’ultimo è il più frequente. I complessi con numero di coordinazione 2 possiedono una disposizione lineare dei leganti, quelli con numero di coordinazione 4 una disposizione tetraedrica ed i complessi con numero di coordinazione 6 una disposizione dei leganti ottaedrica.

Fra i più comuni leganti inorganici formanti complessi con i metalli possono citarsi: CO32-, SO4

2, Cl-, NO3

-, OH-, SiO3-, CN-, F- e PO4

3-. Oltre che con questi leganti anionici, complessi metallici possono formarsi con molecole con una sola coppia di elettroni, per es. NH3 e PH3 . Esempi di

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questo tipo di complessi sono Co(NH3)43+ , in cui NH3 è una base di Lewis ed un legante neutro,

oppure Fe(CN)64- , in cui CN- è ancora una base Lewis ed un legante anionico.

I complessi che si formano fra composti organici dei suoli e ioni metallici sono generalmente dei “complessi chelati”. Questo termine si applica ai complessi che si formano fra ioni metallici e leganti multidentati (cioè leganti caratterizzati da più atomi dotati di capacità legante, detti anche agenti chelanti).

Taluni metalli pesanti possono esistere nelle acque interstiziali dei suoli in più di uno stato di ossidazione in funzione del pH e del potenziale redox di quelle acque. Per esempio il selenio può trovarsi come SeO3

2- , con valenza +4 , e come SeO42- con valenza +6. Analogamente nelle acque

interstiziali possono esistere i due stati di valenza +1 e +2 per il rame, per es. CuCl e CuS rispettivamente. Per il cromo può aversi uno stato di valenza 6 (CrO4

2- e Cr2O72- rispettivamente)

oppure 3 (es. Cr(OH)3). Per il Fe si può avere Fe2+ ed FeS per lo stato +2 ed Fe3+ e Fe(OH)3 per lo stato +3.

La variabilità negli stati di ossidazione è una caratteristica degli elementi di transizione (metalli di transizione). Tuttavia in generale questi elementi possiedono uno stato che è più stabile: lo stato più stabile per il Fe è Fe(III) e Co(II) e Ni(II) per Co e Ni. Ciò spiega perché il Fe(II) può essere facilmente ossidato a Fe(III) mentre l’ossidazione di Co(II) a Co (III) e di Ni(II) a Ni(III) è piuttosto difficile da ottenere.

Gli inquinanti organici comprendono una estesa gamma di sostanze commerciali: possono citarsi ad es. i solventi organici, le vernici, i pesticidi, gli oli, i gasoli e gli oli combustibili, creosoto, grasso, ecc. Da un punto di vista generale questi composti possono essere raggruppati nelle seguenti categorie:- idrocarburi – comprendono gli idrocarburi derivati dal petrolio, i vari alcani, alcheni e

idrocarburi aromatici (come il benzene) e gli idrocarburi aromatici policiclici (come il naftalene e il benzopirene);

- composti organoclorurati – fra cui i più noti sono gli organoclorurati, tricloroetilene, tetracloruro di carbonio, vinilcloruro, bifenili policlorurati, bifenili polibromurati;

- altri gruppi contenenti composti organici contenenti ossigeno - come fenolo e metanolo, o contenenti azoto, come trinitrotoluene.

Questi composti quando presenti nel suolo possiedono la proprietà di essere più leggeri o più densi dell’acqua, e ciò costituisce motivo di interesse, perché questa proprietà influenza le caratteristiche del loro trasporto come si vedrà con maggior dettaglio in seguito. Se quei composti sono più leggeri dell’acqua essi stanno al di sopra della superficie freatica, se per contro sono più densi affondano portandosi a contatto con il fondo impermeabile (bedrock). Tipici componenti più leggeri dell’acqua sono il gasolio, il petrolio lampante, il kerosene, la benzina. Fra i componenti più pesanti si possono citare gli organoclorurati ed i composti organici contenenti ossigeno come creosoto, tricloroetano, tetracloruro di carbonio, pentaclorofenoli diclorobenzeni e tetracloroetilene.

Meccanismi di distribuzione e di adsorbimento

Per distribuzione, o ripartizione, dei contaminanti si intendono i processi chimici o fisici, designati con il termine “adsorbimento”, alla base del trasferimento di massa dei contaminanti dall’acqua interstiziale, in cui sono disciolti, alle superfici delle frazioni di suolo.

I contaminanti adsorbiti costituiscono l’adsorbato mentre le frazioni di suolo responsabili della ripartizione vengono denominate adsorbente. I soluti disciolti comprendono ioni, molecole e composti.

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Le reazioni alla base dell’adsorbimento sono fondamentalmente governate dalle proprietà superficiali delle frazioni di suolo, dalle caratteristiche chimiche degli inquinanti e delle acque interstiziali e dal pE-pH dell’ambiente nel quale si verificano le interazioni in discussione.

Le forze che intervengono nei meccanismi di adsorbimento possono comprendere sia forze di natura chimica a debole raggio d’azione, sia forze ad ampio raggio d’azione come le forze elettrostatiche.

Da queste forze traggono origine i diversi tipi di legami, la loro energia relativa e gli effetti che essi producono, tutti aspetti di grande importanza nell’interpretazione dei fenomeni superficiali d’interazione fra contaminanti e superfici delle frazioni di suolo.

Interazioni molecolari e legami

Legame ionico

Il legame ionico, il più semplice fra i legami chimici, risulta dall'attrazione coulombiana dell'eccesso di carica elettrostatica di ioni di segno contrario.

In funzione della sua struttura elettronica un atomo può cedere i suoi elettroni di valenza e diventare così uno ione positivo o accettare elettroni e diventare uno ione negativo: possono così formarsi cationi ed anioni stabili, capaci di mantenere le loro strutture elettroniche quando si combinano l'un l'altro per formare una molecola od un cristallo avente una configurazione stabile.

Il legame ionico possiede un campo d'azione esteso (forza long-range) e non ha una direzione definita ma si esercita in tutte le direzioni su tutti gli ioni eteronimi circostanti indipendentemente dalla loro posizione relativa.

Quando un cristallo ionico è immerso in un liquido ad elevata costante dielettrica ε (liquido polare), le forze attrattive fra cariche elettriche di segno opposto diminuiscono proporzionalmente ad 1/ε, determinando la disgregazione del reticolo cristallino e la produzione di soluto. Nell'acqua questo soluto è usualmente presente sotto forma di ioni solvatati.

Nella fratturazione di un solido ionico le nuove superficie create sono sempre fortemente idrofiliche, polari, ed attraggono gli ioni o i dipoli dell'ambiente circostante.

Una varietà di legame ionico è il cosiddetto legame idrogeno che gioca un ruolo importante nell'associazione delle molecole d'acqua (vedi dopo). Questo tipo di legame si stabilisce quando un atomo di idrogeno si trova situato fra due atomi elettronegativi di un altro elemento, il che comporta un'interazione fra di loro.

Legame covalente

Il legame covalente, detto anche omopolare, si stabilisce quando due atomi possono condividere una coppia (o più coppie) di elettroni, ciascun atomo contribuendo per un elettrone di ciascuna coppia. Risulta così definita una configurazione stabile degli atomi coinvolti.

Esempi di legami covalenti si hanno, ad esempio:- nelle molecole di H2 (H:H), di Cl2 (Cl:Cl) o di HCl (H:Cl);- nella molecola CH4 del metano, in cui i legami covalenti interessano più di due atomi - nella molecola di azoto (:N:::N:), in cui gli atomi di N condividono sei elettroni.

Il legame covalente può essere interpretato indifferentemente facendo riferimento o alla “teoria del legame di valenza” o alla teoria “molecolare”. Quest’ultima è basata sul concetto di sovrapposizione degli orbitali (ibridazione).

L’ibridazione conduce alla formazione di orbitali con direzioni ed angoli del legame

HH:C:H

H

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caratteristici. Ad esempio, da un orbitale 1s ed uno 2p, possono formarsi due orbitali ibridi sp orientati in direzioni diametralmente opposte (Fig. 27,a). La combinazione di un orbitale 1s con orbitali 2px e 2py , dà luogo alla formazione di tre orbitali ibridi sp2, diretti sul piano a 120° l’uno rispetto all’altro (Fig. 27,b). L’ibridazione di 2s e tre 2p orbitali fornisce quattro sp 3 orbitali diretti verso i vertici di un tetraedro regolare, ecc.

Il legame covalente si forma a più debole distanza del legame ionico e, contrariamente a quest'ultimo, è un legame forte, orientato e localizzato e si esercita secondo una direzione ben determinata rispetto al sistema molecolare. Pertanto, quando si vogliano separare due atomi legati da legami covalenti occorre spendere una notevole quantità di energia.

La rottura di un legame covalente in un solido dà luogo alla ionizzazione degli atomi che condividono gli elettroni. Perciò ogni nuova superficie creatasi per rottura di legami covalenti originariamente presenti in un solido, a meno che la ionizzazione non venga neutralizzata (per esempio per adsorbimento dal mezzo circostante), dovrebbe diventare ionizzata, con carattere polare e perciò idrofila.

Il legame covalente può esplicarsi anche in modo diverso da quello prima visto. La struttura dell'acqua, ad esempio consiste di un atomo di ossigeno che condivide due distinte coppie di elettroni con altrettanti atomi di idrogeno. A questo tipo di legame covalente si dà il nome di legame coordinativo o di coordinazione.

In certe molecole, infine, possono stabilirsi contemporaneamente legami ionici e legami covalenti, come ad esempio nella molecola del solfato di bario, in cui i legami fra gli atomi di S e di O sono covalenti, mentre il legame fra l'atomo di Ba ed il gruppo SO4 è ionico, oppure nella molecola del carbonato di calcio, in cui i legami fra gli atomi di C e di O sono covalenti, mentre il legame fra l'atomo di Ca ed il gruppo CO3

è ionico.

E' possibile la variazione continua di un tipo fondamentale di legame all'altro. Così è stata introdotta la dizione di “legame risonante” fra i due limiti covalente e ionico. Nell'acido cloridrico, ad esempio, il legame può risuonare tra un limite covalente H:Cl: ed uno ionico H+Cl-, ossia esiste un legame covalente con parziale carattere ionico.

Infatti una molecola biatomica A-B è puramente covalente soltanto se A e B possiedono la stessa elettronegatività. Se ciò non accade il legame è parzialmente ionico. In altre parole, il legame ionico è favorito dalle alte differenze in elettronegatività, mentre il legame covalente è favorito dalle deboli differenze in elettronegatività.

La percentuale di carattere ionico di una molecola biatomica può essere calcolata con la seguente formula empirica:

% di carattere ionico = 16(xa-xb)+3,5(xa-xb)2

in cui xa = elettronegatività di A e xb = elettronegatività di B.Anche il passaggio fra gli altri tipi di legami fondamentali può avvenire senza discontinuità (dal

covalente al metallico, dal metallico allo ionico, etc.)

Fig. 27. Ibridazione degli orbitali nel legame covalente:(a) formazione di orbitali ibridi

sp da orbitali 1s e 2px; (b) (b) formazione di orbitali

ibridi sp2 da orbitali 1s, 2px e 2py.

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Il legame idrogeno

Quando l'idrogeno è legato ad un elemento francamente elettronegativo (O, F, Cl, N) o a un gruppo altamente elettronegativo ( -CCl3 o -CN), si determina una forte tendenza all'associazione di molecole. Questa associazione è, ad esempio, evidente nei liquidi polari come l'acqua, o gli alcoli, con formazione di aggregati di molecole (nell'acqua) o di dimeri (negli alcoli). Nel caso dell'acqua può verificarsi la struttura di Fig. 28, in cui i legami idrogeno sono tratteggiati mentre i legami covalenti sono a tratto pieno. Nel caso degli alcoli la struttura è quella di Fig. 29, in cui R rappresenta una catena idrocarbonica del tipo CnH2n+1.

Gli aggregati di molecole caratterizzati da legami idrogeno sono peraltro temporanei poiché le energie termiche delle molecole sono in genere sufficienti da causare la rapida rottura di tali legami.Sebbene la forza del legame idrogeno (3-10 kcal/mole) sia molto minore di quella di un legame covalente, questi legami possono giocare un ruolo importante in molti fenomeni interfacciali, specialmente nei sistemi che coinvolgono ossidi o minerali ossidati, carbonati, silicati e acqua.

Anche la lunghezza dei legami idrogeno è molto maggiore di quella dei legami covalenti.La formazione di un legame idrogeno può essere spiegata facendo riferimento alla teoria orbitale

molecolare o, in modo più semplice, attribuendola ad effetto elettrostatico. Un legame covalente fra idrogeno ed un atomo fortemente elettronegativo è altamente polarizzato: si forma cioè un dipolo che tende ad interagire con ogni altro atomo B francamente elettronegativo,

A- - H+ ..... B- -dando luogo in pratica ad un'interazione dipolo-dipolo.

Il legame idrogeno assume un ruolo importante: (a) nel legame che si stabilisce fra gli strati dei minerali argillosi; (b) nell’idratazione delle superfici delle particelle argillose e; (c) nel legame fra molecole organiche e superfici dei minerali argillosi.

Sostanze polari, non polari ed eteropolari

Una struttura molecolare consta di cariche elettriche positive e negative ordinatamente disposte. Se i baricentri dell'insieme delle cariche elettriche positive e di quelle negative coincidono ( ossia i legami sono simmetrici rispetto all’atomo centrale, come per es. CCl4, CH4, CO2, ecc.), la molecola, oltreché elettricamente neutra, non risente dell'azione orientatrice di un campo elettrico, cioè non possiede un momento di dipolo, ed è detta non polare. Se per contro, i baricentri non coincidono (molecole non simmetriche), la molecola, pur elettricamente neutra, risente dell'azione elettrostatica di un campo elettrico: la molecola è detta polare e possiede un momento di dipolo, si comporta cioè come un dipolo.

La polarità è determinata dalle caratteristiche di composizione e struttura delle sostanze. Se gli atomi interagenti possiedono la medesima elettronegatività la polarità scompare, per contro quanto maggiore è la differenza di elettronegatività tanto più alta e la polarità.

Le molecole di una sostanza non polare sono incapaci di scambiare gli elettroni condivisi da due o più atomi della molecola con altri atomi e possiedono inoltre, come si è detto, una struttura

Fig. 28. Legame a idrogeno fra molecole d’acqua.

Fig. 29. Legame a idrogeno fra molecole di alcoli.

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simmetrica, cosicché le loro proprietà sono indipendenti dalla disposizione spaziale relativa. Queste proprietà consistono nel fatto che esse non si dissociano in ioni, sono chimicamente poco attive, attraggono l'acqua in misura estremamente debole (idrofobicità) ed hanno una attività superficiale piuttosto ridotta.

Tipiche sostanze non polari sono ad esempio gli idrocarburi oleosi e gli oli.Le proprietà delle molecole polari sono opposte, poiché esse sono capaci di scambiare elettroni

con altre molecole a causa della loro struttura asimmetrica e pertanto in un campo di forze eterogeneo interagiscono con le molecole circostanti. Le sostanze polari hanno notevole attività superficiale e sono, in genere, facilmente solubili in acqua e sempre idrofiliche.

Tipiche sostanze polari sono l'acqua, i sali e gli acidi inorganici.Le cosiddette sostanze eteropolari, costituite cioè da una parte polare ed una non polare,

possiedono proprietà che sono una combinazione dei due tipi (vedi dopo).Quando due dipoli si trovano in vicinanza l’uno dell’altro, indipendentemente dalle loro caratteristiche chimiche, interagiscono fra loro unendosi per attrazione fra i poli eteronimi. L’energia di interazione, è detta “energia di orientazione” (effetto Keesom), ed essendo attrattiva, assume segno negativo.

Anche nell’interazione fra due molecole una polare ed una non polare si verifica un’attrazione, in quanto la molecola polare tende a polarizzare la molecola non polare (polarizzazione indotta). La corrispondente energia di interazione è in tal caso detta “energia di induzione” (effetto Debye).

Forze di London o di dispersione. Legame di van der Waals

London ha dimostrato che a causa del moto continuo degli elettroni nelle molecole, anche nelle molecole non polari si creano dei dipoli rapidamente fluttuanti che interagiscono fra loro.

Questa interazione fra molecole non polari covalentemente legate si traduce, in funzione della temperatura e della pressione, in un certo grado di aggregazione anche allo stato gassoso, che diventa completo nella condensazione sotto forma di liquidi o nella solidificazione. Questa aggregazione è dovuta a forze che prendono il nome di “forze di dispersione o di London” e la corrispondente energia è detta “energia di dispersione”.

L’interazione complessiva fra due atomi o molecole (interazione di van der Waals) è dunque data dalla somma di quelle di orientazione, induzione e dispersione. Nelle molecole altamente polari, come H2O, prevalgono le forze di orientazione, mentre man mano che la polarità (momento di dipolo) diminuisce, le forze di dispersione acquistano sempre maggior importanza e, nel caso di molecole non polari (ad es. i legami fra le catene idrocarboniche di un tensioattivo nelle micelle, o anche fra le catene idrocarboniche di più tensioattivi condensati alle interfasi, oppure nella CO2, ecc.), le forze di interazione sono essenzialmente quelle di dispersione.

L’energia di dispersione è sempre un’energia attrattiva nel vuoto, ma se le molecole interagiscono in presenza di un terzo mezzo, allora l’energia di dispersione può essere attrattiva o repulsiva in funzione dei valori delle costanti dielettriche delle specie interagenti e del mezzo. In particolare, se le specie 1 e 2 possiedono la stessa costante dielettrica, ossia ε 1 = ε2, esse si attraggono qualunque sia la costante dielettrica del mezzo ε, purché non siano caricate; se invece ε 1, ε2 ed ε sono diverse, le specie 1 e 2 si attraggono quando ε1 ed ε2 sono entrambe maggiori o minori di ε mentre si respingono se ε è intermedia fra ε 1 ed ε 2.

Le forze di van der Waals sono sempre presenti in tutti i sistemi multifase, influenzando in misura determinante l’adsorbimento e l’adesione, sia sulla superficie dei solidi sia alle interfasi liquido-gas e liquido-liquido, di molecole non polari, di molecole polari, ed anche di aggregati come particelle colloidali. Il legame di van der Waals è in ogni caso un legame debole ed essendo

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un legame di tipo fisico è assai meno selettivo dei legami chimici di cui si è prima discusso; inoltre la forza del legame di van der Waals diminuisce rapidamente con la distanza.

Come si è detto queste forze possono essere attrattive o repulsive, cosicché a causa della loro azione, piccole particelle possono migrare verso un’interfase, o essere allontanate da un’interfase. Naturalmente quando un atomo (o una molecola o una particella colloidale) si avvicina ad un aggregato di atomi, l’interazione complessiva è data dalla somma di tutte le interazioni che si esplicano nelle tre direzioni (come con più dettaglio verrà esposto a proposito della teoria dell’adsorbimento). Si consideri esemplificativamente a questo riguardo il caso delle sospensioni colloidali, la cui stabilità è determinata dal bilancio fra le forze attrattive di van der Waals (forze di coesione) e le forze repulsive che si stabiliscono fra le cariche dei doppi strati elettrici che circondano ciascuna particella colloidale.

Scambio cationico

Lo scambio cationico nei suoli si verifica quando ioni positivamente caricati presenti nelle acque interstiziali sono attratti dalle superfici delle frazioni argillose. Il processo si genera per la necessità di soddisfare l’elettroneutralità ed è stechiometrico. L’elettroneutralità richiede che i cationi sostituenti compensino la carica elettrica negativa sbilanciata delle superfici dei minerali argillosi. Nel modello di doppio strato elettrico ciò significa che, se le cariche negative delle superfici dei minerali argillosi devono essere bilanciate, i cationi che abbandonano lo strato diffuso devono essere sostituiti da un’equivalente quantità di cationi. I cationi sostituiti sono detti “cationi scambiabili” perché un catione può essere facilmente sostituito da un altro di uguale valenza, o da due di valenza pari alla metà del catione originario. Questo aspetto è particolarmente importante per quanto riguarda la previsione della ripartizione degli inquinanti. Così, per esempio, se il substrato di suolo è un materiale che contiene sodio come catione scambiabile, lo scambio cationico con una subentrante soluzione di PbCl2, dovrebbe avvenire secondo la reazione

Na2 argilla + PbCl2 < Pb argilla + 2 NaClLa quantità di cationi scambiabili trattenuta dal suolo è detta “capacità di scambio cationico”

(CEC) del suolo, ed è generalmente uguale all’entità della carica negativa. Essa viene espressa in milliequivalenti per 100 g di suolo (meq/100 g di suolo). I cationi scambiabili prevalenti nei suoli sono il calcio ed il magnesio, con il potassio ed il sodio presenti in piccola quantità. Nei suoli acidi i cationi scambiabili prevalenti sono l’alluminio e l’idrogeno.

Poiché la valenza dei cationi ha la maggiore influenza dal punto di vista della facilità di sostituzione, quanto più elevata è la valenza del catione tanto maggiore è la sua potenza sostituente. Inversamente, quanto più alta è la valenza del catione alla superficie delle particelle argillose, tanto più difficile è la sua sostituzione. Per ioni della stessa valenza, un aumento della dimensione fornisce una maggior potenza sostituente.

La relativa potenza sostituente dei principali cationi può essere rappresentata come segue:Na+ < Li+ < K+ < Rb+ < Cs+ < Mg2+ < Ca2+ < Ba2+ < Cu2+ < Al3+ < Fe3+ < Th4+

Il numero dei cationi scambiabili sostituiti dipende ovviamente dalla concentrazione di ioni nella soluzione sostituente (soluzione contaminante). Se un’argilla contenente cationi sodio è messa in contatto con una soluzione contaminante contenente ioni bivalenti, lo scambio avverrà sino a che, all’equilibrio, una certa percentuale di ioni scambiabili saranno ancora sodio e i rimanenti saranno gli ioni bivalenti contaminanti (es. Pb2+ , Cd2+ , ecc.).

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La seguente equazione di Gapon fornisce la proporzione di ciascun catione scambiabile sul totale CEC al variare della concentrazione esterna della ione :

in cui : M ed N rappresentano le specie di cationi; gli indici m ed n sono le valenze dei cationi; gli indici e ed o rappresentano gli ioni scambiabili e gli ioni nella massa della soluzione; la costante K è funzione dello specifico catione adsorbito e dalla natura della superficie argillosa (K decresce all’aumentare della densità di carica superficiale).

Adsorbimento fisico e adsorbimento chimico

L’adsorbimento fisico nelle frazioni di suolo dei contaminanti presenti nelle acque interstiziali è determinata dall’attrazione esercitata sui contaminanti dalle superfici degli elementi solidi costituenti il suolo. I cationi e gli anioni sono adsorbiti dai solidi “specificamente” oppure “non specificamente”.(Figura 30) a seconda che essi interagiscano nello strato di Stern o nello strato diffuso.

Gli ioni adsorbiti non specificamente lo sono a causa di forze elettrostatiche e la loro concentrazione nello strato diffuso, in funzione della distanza, può essere calcolata con l’espressione (2). Esempi di adsorbimento non specifico sono gli adsorbimenti di cationi alcalini o alcalino-terrosi sui minerali argillosi.

Naturalmente le frazioni di suolo caratterizzate da cariche positive (soprattutto quindi ossidi, idrossidi e bordi di taluni minerali argillosi) possono adsorbire fisicamente gli anioni in condizioni favorevoli di pH. La selettività di adsorbimento degli anioni è maggiore di quella dei cationi ed avviene nel seguente senso di preferenza:

Cl = NO3 < SO4 << PO4 < SiO4

L’adsorbimento specifico dei contaminanti ha luogo quando l’adsorbimento dei loro ioni è dovuto a forze diverse da quelle associate con i potenziali elettrici entro lo strato di Stern. Gli ioni specificamente adsorbiti (ioni specifici) possono influenzare il segno di ψ. I cationi specificamente adsorbiti nella parte interna dello strato di Stern abbasseranno il pzc, mentre l’adsorbimento specifico di anioni tenderà a sposatre il pzc verso valori più alti.

L’adsorbimento chimico riguarda l’adsorbimento specifico che si verifica nello strato interno di Helmoltz mediante legami covalenti. Gli ioni chimicamente adsorbiti possono influenzare il segno di ψ e sono denominati ioni determinanti il potenziale. Per la natura stessa del fenomeno, l’adsorbimento chimico è caratterizzato da elevate energie di adsorbimento, ne consegue ad esempio che la barriera di energia fra lo ione (o la molecola) adsorbita e la superficie solida può essere superata quando si verifica una reazione. La formazione di un legame chimico è spesso associato ad un elevato calore esotermico di reazione, ed il primo strato è chimicamente legato alla superficie con strati addizionali legati da forze di van der Waals. I tre principali tipi di legami chimici fra atomi sono come si è visto:

Fig. 30 – Controioni specificamente e non specifica-mente adsorbiti nel modello di doppio stratoelettrico.

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- il legame ionico, quando il trasferimento di elettroni fra gli atomi deriva da un’attrazione elettrostatica fra ioni dotati di carica opposta;

- il legame covalente, quando gli atomi condividono due o più elettroni;- il legame coordinato-covalente, quando gli elettroni condivisi appartengono ad un solo partner.

pH, Solubilità e Precipitazione

Un processo di precipitazione consiste nella formazione, nell’acqua interstiziale o sotto forma di precipitato legato alla superficie delle frazioni solide del suolo, di una nuova sostanza. Si tratta dunque di un processo inverso rispetto a quello di dissoluzione. Poiché i vari meccanismi di adsorbimento e precipitazione determinano una rimozione dei contaminanti dall’acqua, non è facile distinguere se un certa rimozione è dovuta a all’uno o all’altro di questi fenomeni, anche perché i legami chimici che si formano nei due casi sono simili.

I fattori principali che influenzano la formazione di precipitati sono il pH del suolo e dell’acqua interstiziale, il tipo e la concentrazione di metalli pesanti, la disponibilità di leganti inorganici e organici.

La Figura 31 riporta il diagramma di solubilità-precipitazione per un idrossido metallico. L’area tratteggiata alla sinistra, indicata come “solubile” identifica la zona in cui i metalli sono presenti sotto forma di complessi caricati positivamente. L’area tratteggiata alla destra riguarda i metalli in forma solubile con composti caricati negativamente. La “regione di precipitazione” fra le due aree anzidette è relativa all’esistenza di varie specie di idrossidi metallici. Consideriamo per es. il caso del Pb introdotto sotto forma di PbCl2: nell’area tratteggiata alla sinistra gli ioni in soluzione dovrebbero essere o idratati o formare complessi, cioè Pb2+, Pb(OH)+ e PbCl+ ; nell’area tratteggiata alla destra dovrebbero ottenersi PbO2H- e PbO2

2-.

I diagrammi sono ovviamente qualitativamente diversi per i diversi metalli. La Figura 32 riporta ad esempio il caso di tre diversi metalli.

Fig. 31 – Diagramma di solubilità-precipitazione per un idrossido metallico. Nella zona “solubile” alla sinistra, il metallo è in forma solubile con complessi formati con leganti inorganici. Nella zona “solubile” alla destra, il metallo è in forma solubile con composti caricati negativamente. La “regione di precipitazione” individua il campo in cui esiste l’idrossido metallico.

Fig. 32 – Influenza del pH sulla precipitazione di Pb, Cu e Zn. I diagrammi inferiori in grassetto si riferiscono alla precipitazione da soluzioni di nitrati metallici con uguali proporzioni di ciascun metallo (100 meq/l). Le curve superiori si riferiscono a soluzioni dei singoli metalli in concentrazione di 300 meq/l ciascuno.

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Caratterizzazione della capacità di adsorbimento

La capacità tamponante di un suolo viene definita come il numero di mole di H+ o OH- che deve essere addizionata per innalzare o abbassare il pH di 1 kg di suolo di 1 unità di pH. La capacità tamponante è il reciproco della pendenza della curva di titolazione del suolo. In Figura 33 sono riportate alcune curve di titolazione dalle quali è possibile ricavare le corrispondenti curve di capacità di tamponamento (Figura 34). Se si esprime cioè la capacità tamponante di un suolo in termini di quantità di ioni OH- o H+ addizionati e di mutamenti di pH risultanti si può quantificare la capacità tamponante con l’espressione : β = dOH-/dpH = dH+/dpH.

Le curve di fig. 34 evidenziano bene le differenti capacità tamponanti dei suoli considerati: quando il pH del sistema suolo-acqua è superiore a 4, la capacità tamponante dell’illite è più alta sia di quella della montmorillonite che di quella, del suolo naturale, ad indicare che l’illite ha una più alta resistenza ai cambiamenti di pH degli altri suoli.

Isoterme di adsorbimento

La caratterizzazione della capacità di adsorbimento di un certo tipo di contaminante da parte di un suolo viene generalmente effettuata usando procedure “ batch” di determinazione della concentrazione di equilibrio per concentrazioni progressivamente crescenti nella fase acquosa del contaminante considerato. I risultati ottenuti possono essere espressi in forma grafica, come evidenziato in Figura 35, le cui ordinate riportano la concentrazione del metallo pesante (Pb) rimosso dalla fase acquosa da parte del solido, mentre le ascisse riportano la concentrazione del contaminante nella fase acquosa. Possono ottenersi: (a) una relazione fra il Pb adsorbito e la concentrazione iniziale del Pb nella fase liquida e (b) una relazione fra il Pb adsorbito e la concentrazione di equilibrio del Pb nella fase liquida. Quest’ultimo metodo è quello al quale generalmente si preferisce fare riferimento.

Fig. 33 - Curve di titolazione di 4 suoli diversi. Fig. 34 – Curve di capacità di tamponamento di 4 suoli diversi.

Fig 35 – Isoterme di adsorbimento di Pb su illite in funzione della concentrazione di Pb nella fase acquosa. Si noti la diversa pendenza delle isoterme di adsorbimento per le diverse espressioni di concentrazione di Pb in soluzione (ascisse).

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Si richiama qui che le isoterme di adsorbimento possono essere caratterizzate da forme diverse (Figura 36), per esempio “tipo lineare”, “tipo Freundlich” , “tipo Langmuir”, le cui espressioni sono:Lineare : c* = k1c + k2

Freundlich : c* = k1ck2

Langmuir : c* = k1c /(1+k2c)in cui c* = concentrazione del contaminante adsorbito e k1 e k2 = coefficienti di velocità determinati con gli esperimenti di laboratorio.

Se si esprime l’equazione di Freundlich in forma logaritmica si ottiene

log c* = log k1 + k2 log cossia riportando in ordinate log c* ed in ascisse log c si otterrà una retta con pendenza k2 che intersecherà in log k1 l’asse delle ordinate. Questa pendenza k2 viene definita come “coefficiente di distribuzione” kd (Figura 36) che, come si vedrà oltre, si dimostra utile per la valutazione e/o la previsione del trasporto dei contaminanti.

RIPARTIZIONE DEI CONTAMINANTI – I METALLI PESANTI

Come si è visto i metalli pesanti possono adsorbirsi sulle frazioni di suolo. Il successivo rilascio di questi metalli (desorbimento) e dunque il fatto che essi vengano resi mobili, cioè trasportabili, può essere dovuto a varie cause. Vi sono almeno quattro possibili fattori che possono influenzare la mobilità dei metalli pesanti nei suoli:- una variazione di acidità del sistema;- una variazione della forza ionica del sistema;- una variazione del potenziale di ossido-riduzione del sistema;- la formazione di complessi.

In generale, i principali meccanismi coinvolti nella “ritenzione” dei metalli pesanti comprendono la precipitazione sotto forma di fase solida (ossidi, idrossidi, carbonati) e reazioni di complessazione, cioè meccanismi di adsorbimento specifico ed altri meccanismi come l’adsorbimento chimico. L’adsorbimento mediante scambio ionico deve invece considerarsi come processo di “ritardo” poiché i contaminanti adsorbiti con tale meccanismo possono essere desorbiti facilmente. Il rilascio di ioni metallici preventivamente adsorbiti può verificarsi quando l’adsorbimento è saturo e quando gli ioni nella fase acquosa (o nell’acqua interstiziale) sono presenti in concentrazione minore rispetto a quella degli ioni inizialmente adsorbiti. Si richiama qui che il desorbimento può aver luogo anche mediante sostituzione secondo la scala già citata

Na+ < Li+ < K+ < Rb+ < Cs+ < Mg2+ < Ca2+ < Ba2+ < Cu2+ < Al3+ < Fe3+ < Th4+

Le Figure 37 (per le singole specie introdotte in concentrazione di 1 cmol/kg di suolo) e 38 (per l’interazione del suolo con una miscela dei metalli ciascuno introdotto in concentrazione di 1 cmol/kg) riportano l’influenza del pH sulla quantità di Pb, Cu, Zn e Cd trattenuta da un suolo illitico contenente anche sostanza organica e carbonati.

Questi risultati permettono di osservare che: il 100% di ritenzione ai più alti valori di pH appare in relazione con la precipitazione di idrossidi; questa precipitazione cresce al crescere del pH e delle concentrazioni di metallo; inoltre la presenza di altri metalli non sembra modificare la quantità totale trattenuta da parte del suolo illitico (come si vede dalla sovrapposizione delle curve).

Fig. 36 – Determinazione di kd

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Occorre anche sottolineare che si stabilisce una certa selettività nelle preferenze di adsorbimento dei metalli pesanti da parte delle differenti tipologie di suoli. Questa preferenza è inoltre condizionata dal tipo di metalli pesanti e dalla loro concentrazione. Per una concentrazione costante la maggiore o minore cinetica della reazione di adsorbimento dipenderà dalle immediate condizioni di pH determinate dal suolo (e dal contaminante), nonché dal tipo, distribuzione e disponibilità di superfici reattivi. Ad esempio a valori di pH elevati i cationi metallici si idrolizzano dando luogo a metalli complessi solubili secondo la seguente espressione valida per i metalli bivalenti:

M2+ (acq) + nH2O > M(OH)n2-n + nH+

Questa idrolisi determina la precipitazione sui suoli di idrossidi metallici, i quali non sono sperimentalmente distinguibili dai metalli rimossi dalla soluzione dai vari meccanismi di adsorbimento.

Determinazione della ripartizione e Coefficienti di ripartizione

In precedenza si è fatto riferimento all’adsorbimento dei metalli pesanti in termini di isoterme di adsorbimento e di coefficienti di distribuzione kd, ricavando queste caratteristiche con misure su sospensioni di suolo. Poiché tuttavia tali caratteristiche dipendono dal modo con cui i suoli interagiscono con i contaminanti, e dunque dal ruolo esercitato dalle varie frazioni di suolo anche in termini di tessitura e struttura, è evidente che l’uso dei risultati di prove di adsorbimento su sospensioni di suolo possono non rappresentare il comportamento del suolo compatto nel substrato.

Questo comportamento sembra possa essere meglio rappresentato dalle cosiddette “curve caratteristiche di adsorbimento” rilevate con prove in colonna. Occorre cioè distinguere fra “isoterme di adsorbimento” determinate con prove batch di equilibrio su sospensioni di suolo e “ curve caratteristiche di adsorbimento” determinate con prove in colonna. Queste ultime infatti riguardano la ripartizione dei contaminanti nella colonna di suolo in seguito all’alimentazione continua della soluzione di contaminante. Man mano che quest’ultima viene trasportata lungo la colonna la curva caratteristica di adsorbimento migrerà verso l’alto (Figura 39), ma poiché il suolo compatto non possiede la stessa quantità di superfici reattive esposte essa permarrà in ogni caso al di sotto della isoterma di adsorbimento. Di conseguenza, il coefficiente di distribuzione kd, detto anche “coefficiente di ripartizione”, deve essere usato in relazione alle misure effettuate in colonna.

Fig. 37 – Ritenzione di metalli pesanti in un suolo illitico. Metalli pesanti introdotti sotto forma di specie singole.

Fig. 38 – Ritenzione di metalli pesanti in un suolo illitico. Metalli pesanti introdotti in miscela in uguali proporzioni.

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Gli aspetti principali relativi alle prove di lisciviazione in colonna sono mostrati in Figura 40. Il grafico riportato sul lato destro riporta le curve caratteristiche di adsorbimento derivanti dall’alimentazione continua della soluzione di contaminante. Il volume di soluzione è espresso in termini di “volume dei pori”, parametro adimensionale normalizzato costituito dal rapporto fra il volume di soluzione influente ed il volume dei pori del campione di suolo. Il grafico riportato sul lato sinistro mostra la distribuzione dei contaminanti adsorbiti dal suolo in funzione della profondità.

La quantità adsorbita in ogni punto della colonna comprende: (a) la concentrazione di contaminanti adsorbita dalle frazioni solide del suolo in quel particolare punto e (b) la concentrazione dei contaminanti nell’acqua interstiziale in quello stesso punto. Man mano che il volume di soluzione influente continua ad essere alimentato, la concentrazione totale di contaminante adsorbito ad ogni profondità aumenterà fino a che non viene raggiunta la capacità di adsorbimento del contaminante da parte delle frazioni solide del suolo.

Si è in precedenza visto che il pH esercita un’influenza significativa sulla capacità di adsorbimento delle frazioni solide del suolo. Utilizzando le curve di solubilità-precipitazione del tipo di quelle di cui alla Fig. 31 è possibile individuare le proporzioni di metalli pesanti adsorbiti dalle frazioni solide del suolo e quelle che rimangono in soluzione (Figura 41). Il diagramma dimostra che la concentrazione del contaminante nell’acqua interstiziale dipende oltre che dalla presenza e dalla natura delle superfici reattive anche dal pH.

Si consideri il diagramma di Figura 42. Esso riporta i risultati dell’interazione suolo-Pb ottenuti mediante prove in sospensione ed illustra come nella parte destra del diagramma sia necessario distinguere fra Pb rimosso dalla fase acquosa e Pb adsorbito dalle frazioni di suolo. Le linee continue mostrano la concentrazione di Pb rimossa dalle frazioni di suolo in termini di ppm. Questa concentrazione rappresenta sia il Pb adsorbito dalle frazioni di suolo sia il Pb rimosso per

Fig. 39 – Raffronto fra caratteristiche di adsorbimento d sospensioni di suolo e di campioni di suolo compatto. I valori delle ascisse (concentrazioni di equilibrio) e delle ordinate (concentrazioni adsorbite) sono ottenuti per quantità crescenti di soluzione percolante.

Fig. 40 -Distribuzione del contaminante in una colonna di percolazione.

Fig. 41 – Diagramma di solubilità-precipitazione per un metallo evidenziante l’adsorbimento del metallo da parte delle frazioni di suolo in funzione del pH.

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precipitazione sotto forma di idrossido. Nel diagramma sono riportate anche le concentrazioni di Pb adsorbite dalla caolinite e dall’illite, (i due suoli possiedono diversa capacità di adsorbimento in relazione con la diversa natura delle superfici reattive).

Si può constatare come a taluni valori del pH la concentrazione di MP totale applicata meno la concentrazione di MP in fase acquosa può non risultare uguale alla concentrazione di MP adsorbita dalle frazioni di suolo nella sospensione di suolo. Se ne deduce dunque che non costituisce una procedura corretta la valutazione della concentrazione adsorbita sulla base del bilancio di massa a partire dai valori di concentrazione totale applicata e di concentrazione residua in fase liquida.

Considerazioni analoghe possono avanzarsi per quanto riguarda le analoghe prove in colonna con in più la considerazione che in questo tipo di misure si possono commettere errori notevoli. Di fatto in questo caso sarebbe necessario replicare gli esperimenti utilizzando quantità variabili di soluzione permeante attraverso le colonne, effettuando poi l’analisi dei MP adsorbiti sia sulle frazioni solide (ioni scambiabili ed estraibili) sia sull’acqua interstiziale, sia naturalmente sull’effluente, in modo da valutare sulla base del bilancio di massa l’entità dello scostamento rispetto alle concentrazioni applicate (le considerazioni di cui alla tecnica ESS di cui alle pagine seguenti illustreranno meglio questo concetto). La Figura 43 mostra le informazioni che possono ottenersi da questo tipo di prove in colonna. La porzione del grafico non tratteggiata rappresenta il Pb che non verrebbe preso in considerazione (cioè che si valuterebbe come adsorbito sul solido) se la valutazione fosse effettuata sulla base del bilancio di massa fra concentrazione applicata, concentrazione nell’acqua interstiziale e concentrazione dell’effluente.

Se si utilizzano le misure in colonna nella forma riportata in Figura 44 possono ricavarsi ulteriori informazioni circa la capacità di adsorbimento dei metalli pesanti. Le ordinate riportano la concentrazione relativa Ci/Co ossia il rapporto fra la concentrazione del contaminante in uscita all’istante i e la concentrazione Co dello stesso in ingresso . Il punto di ordinata 50% indica il

Fig. 42 - Pb rimosso dalla fase acquosa e Pb adsorbito da caolinite e da illite.

Fig. 43 – Profilo di concentrazione del Pb in colonna per un suolo caolinitico che mostra il Pb adsorbito ed il Pb nell’acqua interstiziale. Soluzione influente sottoforma do Pbnitrato a pH = 3. Concentrazione di Pb = 200 ppm, Carico idraulico = 2 m.

Fig. 44 – Tipiche curve di rottura.

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“punto di rottura” del contaminante nel suolo di prova. Le curve di cui alla fig. mostrano la diversa capacità di adsorbimento dei suoli considerati.

La caolinite, dotata di scarsa capacità tamponante, ha le caratteristiche di un suolo a bassa capacità di adsorbimento, mentre la illite, dotata di elevata capacità tamponante (vedi Fig. 34), ha le caratteristiche di un suolo ad alta capacità di adsorbimento. La superiore capacità di adsorbimento della illite è evidente e deve essere messa in relazione con la sua più elevata capacità tamponante rispetto a quella della caolinite. In altre parole l’alto pH del suolo illitico contribuisce significativamente al risultato osservato a causa della ripartizione fra i meccanismi di adsorbimento e di precipitazione.

Distribuzione dei metalli pesanti ripartiti

Per distribuzione dei metalli pesanti ripartiti si intende il modo con cui questi metalli pesanti adsorbiti sono trattenuti da ciascuna tipologia di frazione solida costitutiva del suolo: riflette cioè la diversa capacità di adsorbimento di tali frazioni.

La conoscenza di questa distribuzione è utile perché chiarisce il ruolo delle frazioni individuali del suolo nel processo di ripartizione e fornisce informazioni per determinare:- la capacità potenziale di adsorbimento del suolo in base alla conoscenza della sua

composizione;- il destino preferenziale e la mobilità di contaminanti adsorbiti in base alla conoscenza dei

processi di adsorbimento da parte delle singole frazioni solide;- la capacità potenziale di rimozione dei contaminanti adsorbiti mediante le varie tecniche di

decontaminazione.I procedimenti che permettono di valutare la distribuzione dei metalli pesanti ripartiti, cioè i

metalli pesanti adsorbiti, comprendono: (a) tecniche di estrazione che possono rimuovere selettivamente il contaminante obiettivo da

specifiche frazioni solide;(b) tecniche di rimozione sistematica di frazioni di suolo negli studi dell’interazione

contaminanti-suolo;(c) tecniche di addizione sistematica di frazioni di suolo per lo studio della ritenzione dei

contaminanti da parte di suoli ricostituiti in laboratorio.Queste tecniche sono denominate rispettivamente “tecniche di estrazione selettiva sequenziale”

(ESS), “tecniche di rimozione selettiva di frazioni di suolo” (RSFS) e “tecniche di addizione sistematica di frazioni di suolo” (ASFS).

Procedura di estrazione selettiva sequenziale (ESS)

In questa procedura vengono utilizzati reagenti chimici, scelti in modo da distruggere selettivamente i legami esistenti fra i metalli pesanti inquinanti e le specifiche frazioni individuali di suolo. La letteratura riporta numerosi reagenti utilizzati allo scopo (elettroliti inerti concentrati, acidi deboli, agenti riducenti, agenti complessanti, agenti ossidanti, acidi forti), e poiché i risultati che si ottengono dipendono dall’aggressività dei reagenti anzidetti, è necessario specificarli. Ciò significa anche che i risultati che si ottengono dovrebbero essere considerati qualitativi più che quantitativi. In ogni caso la sequenza di applicazione deve applicarsi partendo dal reagente meno aggressivo.

Possono distinguersi 5 diverse fasi alle quali sono legati i metalli pesanti:

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1. Metalli scambiabili (fase scambiabile). I metalli estratti in questo gruppo sono considerati non specificamente adsorbiti e possono essere sostituiti da cationi concorrenti. Le frazioni solide coinvolte sono le argille, i suoli oragnici ed i materiali amorfi. Come estraenti sono comunemente usati sali neutri (MgCl2, CaCl2 , KNO3, NaNO3) che promuovono il rilascio dei metalli legati per attrazione elettrostatica ai siti negativamente caricati.

2. Metalli associati ai carbonati (fase carbonatica). I metalli precipitati come carbonati possono essere rilasciati utilizzando un acetato acidificato, per es. una soluzione di 1 M HOAc-NaOAc (pH 5), che è generalmente sufficiente per dissolvere calcite e dolomite senza sciogliere sostanza organica, ossidi o superfici di minerali argillosi.

3. Metalli associati con ossidi (fase idrossido/ossido). Sono i metalli legati agli ossidi di Fe, Al e Mn amorfi o debolmente cristallizzati che si presentano sotto forma di ricoprimenti, di concrezioni o di particelle detritiche. Il grado di cristallizzazione fornisce varie forme di associazione con i metalli pesanti: forme scambiabili superficialmente complessate con gruppi funzionali (ossidrilici, carbonilici, carbossilici, amminici, ecc.), con soluti di interfase (elettroliti), fissati moderatamente per precipitazione o coprecipitazione (amorfi) o legati in modo relativamente forte. I reagenti estraenti non dovrebbero attaccare i silicati né la sostanza organica. Un buon esempio a questo riguardo è rappresentato dall’uso di idrossilammina idroclorica eventualmente associata con il 25% in volume di acido acetico.

4. Metalli associati con la sostanza organica (fase organica). L’associazione deriva da fenomeni di complessazione, adsorbimento e chelazione, spesso concomitanti. La tecnica generalmente utilizzata è basata sul rilascio dei metalli in seguito all’ossidazione (per esempio con perossido di idrogeno) della sostanza organica.

5. Metalli contenuti nella frazione residua. La proporzione di questa frazione è solitamente limitata. I metalli fanno parte del reticolo cristallino e diventano disponibili solo dopo attacco con acidi a temperature elevate. La determinazione dei metalli associati a questa frazione è importante ai fini del bilancio di calcolo.

In Tabella a pagina seguente sono riportati i reagenti utilizzati da vari autori. La Figura 45 riporta i risultati relativi all’adsorbimento del Pb da parte dell’illite. All’aumentare

dell’aggressività dell’azione estraente aumenta la capacità di ritenzione del suolo, di conseguenza essa costituisce una misura dell’irreversibilità dell’adsorbimento.

A valori del pH oltre 4 si verifica un inizio di precipitazione e coprecipitazione del Pb. La distribuzione di Fig. 45 indica che questa precipitazione avviene sotto forma di carbonati e

idrossidi (o è ad essi associata), ma non è facile distinguere fra ritenzione per adsorbimento (fisico o

Fig. 45 – Esempio di applicazione della procedura ESS del Pb su illite.

Fig. 46 -. Distribuzione della ripartizione del Cd su illite con procedura ESS

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chimico) e ritenzione per precipitazione. Gli ioni scambiabili possono essere considerati non specificamente adsorbiti, cioè possono essere sostituiti da cationi in competizione. Questi ioni sono in minor quantità quando il pH di precipitazione del Pb è sorpassato in quanto altri meccanismi diventano predominanti. A valori del pH inferiori a 4, il Pb è invece presente come catione libero (Pb2+) ed il meccanismo predominante di ritenzione è lo scambio cationico.

La Fig. 46 riporta invece la ripartizione del Cd su illite. Il risultato riportato è facilmente comprensibile alla luce delle considerazioni svolte in precedenza circa il comportamento delle diverse specie di metalli pesanti contaminanti nei confronti delle diverse tipologie di suolo.

Procedura di addizione sistematica di frazioni di suolo” (ASFS)

Si tratta di una procedura di laboratorio che prevede l’utilizzazione di una frazione di suolo base per prima (di solito caolinite). L’interazione con i metalli pesanti può essere condotta o rilevando le isoterme di adsorbimento o con prove su colonna. Le altre frazioni (carbonati, idrossidi, sostanze organiche) verranno addizionate in sequenza nelle proporzioni dipendenti dagli obiettivi della sperimentazione, ottenendo così una serie di campioni. Su ciascun campione verranno condotte le misure dell’interazione con i contaminanti, rilevando le isoterme di adsorbimento o le curve caratteristiche di adsorbimento. I risultati permetteranno di valutare l’influenza qualitativa delle diverse frazioni di suolo sulla distribuzione dei metalli pesanti ripartiti.

Procedura di rimozione selettiva di frazioni di suolo” (RSFS)

In generale questa procedura utilizza per la rimozione delle diverse frazioni di suolo reagenti simili a quelli che sono utilizzati per l’estrazione selettiva sequenziale. Si inizia con il suolo naturale che viene portato ad interagire con i contaminanti di interesse (o con esperimenti in colonna oppure in sospensione). Successivamente si prepareranno i campioni nei quali saranno stati rimosse le varie frazioni. La rimozione dei carbonati verrà ottenuta usando 1 MNH4Ac-HAc a pH 5. Per estrarre fra il Fe amorfo si userà 0,2 M (NH4)2C2O4+0,2 M H2C2O4 (ossalato d’ammonio + acido ossalico), mentre per il Fe strutturale (di reticolo) si userà lo stesso reagente ma con l’aggiunta di 0,1 M acido ascorbico.

La determinazione dei metalli pesanti ripartiti verrà effettuata allo stesso modo che nella procedura ESS, cominciando cioè dalla fase scambiabile seguita dalla rimozione dei carbonati, e quindi degli ossidi di manganese, degli ossidi di ferro amorfo e degli ossidi di ferro cristallini. La procedura permetterà di ottenere informazioni sul ruolo giocato dalle frazioni individuali di suolo nell’adsorbimento dei metalli pesanti.

Ciò che distingue dunque le diverse procedure è il campione sul quale si opera il processo di estrazione: nella ESS si intende determinare le caratteristiche di ritenzione delle frazioni individuali di suolo distruggendo i legami fra metalli pesanti e frazione obiettivo. La RSFS è concettualmente simile ma le frazioni di suolo sono rimosse prima di procedere alle prove di estrazione. Le tecniche discusse tendono in ogni caso tutte a misurare la capacità di ritenzione ottimale delle varie frazioni di suolo.

Influenza della struttura del suolo sulla ripartizione

L’importanza della struttura del suolo nella ritenzione dei metalli pesanti può essere illustrata paragonando la ritenzione ottenuta da prove di equilibrio batch con prove in colonna (Fig. 39). L’isoterma di adsorbimento rappresenta la massima capacità di adsorbimento del suolo totalmente

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disperso, mentre i risultati della prove in colonna, che riguardano campioni di suolo intatti, tengono conto del fatto che non tutte le superfici reattive sono disponibili. Ciò determina una capacità di adsorbimento più bassa.

Se poi si considerano i diagrammi di Fig. 47 si può osservare che la quantità A, misurata all’inizio della regione in cui l’isoterma di adsorbimento è praticamente parallela alla curva caratteristica di adsorbimento, rappresenta la variazione della ritenzione di contaminante (Pb) dovuto all’influenza della struttura del suolo. E’ evidente poi che tale quantità rimane costante alla destra del diagramma a causa dell’andamento asintotico delle curve.

Fig. 47 – Isoterma di adsorbimento e curva caratteristica di adsorbimento di equilibrio per un suolo caolinitico.

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Tabella di sintesi delle procedure di estrazione

Autori Scambiabile Legata ai carbonati Legata a ossidi di Fe-Mn Legata a sostanza organica ResidualeTessier et al. (1979) 1 – MgCl2 2 – NaOH/HOAc 3 – NH2OH.HCl in 25%

HOAc4 – H2O2/HNO3 + NH4OAc 5 – HF + HClO4

Chester & Hughes (1967) 1 – NH3OHCl+CH3COOH 2 - NH3OHCl+CH3COOH 3 - NH3OHCl+CH3COOHChang et al. (1984) 1 – KNO3 4 – Na2EDTA 3 - NaOH 5 – HNO3 (70-80°C)Emmerich et al. (1982) 1 – KNO3 4 – Na2EDTA 3 - NaOH 5 – HNO3 Gibson & Farmer (1986) 1 - CH3COONH4 pH 7 2 - CH3COONa pH 5 3-4 – Idrossilammonio +

HNO3 /Acido acetico5 – H2O2 + HNO3 85°C 6 – Acqua regia + HF +

Acido BoricoYanful et al. (1988) 1 - MgCl2 + Ag tiourea 2-CH3COONa+ CH3COOH 3 – NH2OH.HCl 4 - + solfuri

H2O2+ HNO3

5 – HNO3+HClO4+HF

Clevenger (1990) 1 – MgCl2 2 – NaOAc/HOAc 3 - HNO3/H2O2 4 - HNO3

Belzile et al. ( (1989) 1 – MgCl2 2 - CH3COONa/ NH2OH.HCl/ HNO3

3 – ossido di Mn NH2OH.HCl/ HNO3,NH4OAc / HNO3

4 - + solfuri H2O2/HNO3.

NH4OAc / HNO3

Guy et al. (1978) 1-(scamb.+adsorb.+organ.) CaCl2+CH3COOH + K-pirofosfato

4 – (carb.+adsorb.+noduli) Fe-Mn ) NH3OHCl + CH3COOH

2 – (ossidi metall. + organ.) H2O2+diotinite + bromo- etanolo

Engler et al. (1977) 1 – (scamb. + adsorb.) NH4OAc

2 – NH2OH.Cl 3 - H2O2/HNO3. 4 – Na2S2O4/HF/HNO3

Yong et al. (1993) 1 – KNO3 2 – NaOAc pH 5 3 - NH2OH.HCl 4 - H2O2 (3 stadi) 5 – HF/ HClO4 + HClI numeri 1, 2 , 3, 4, 5 indicano la sequenza delle operazioni di estrazione

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RIPARTIZIONE DEI CONTAMINANTI – LE SOSTANZE CHIMICHE ORGANICHE

Le interazioni fra frazioni di suolo e gli inquinanti chimici di natura organica possono essere più complesse di quelle prima descritte relative ai contaminanti inorganici, a causa anche della possibile presenza di microorganismi che svolgono un’influenza importante nel destino dei contaminanti. I contaminanti chimici organici sono infatti generalmente soggetti a biodegradazione cosicché un aspetto importante è costituito dalla loro resistenza alla biodegradazione. Quando un particolare inquinante organico si dimostra resistente alla degradazione viene designato come recalcitrante.Da un punto di vista generale la persistenza e dunque il destino di una sostanza chimica organica nel substrato dipende dai seguenti processi:- reazioni chimiche dei contaminanti stessi fra loro,- reazioni con le varie frazioni di suolo,- idrolisi, fotolisi e biodegradazione.In questo paragrafo tuttavia verranno discussi esclusivamente gli aspetti riguardanti la persistenza ed il destino degli inquinanti chimici organici relativi alle interazioni con i vari costituenti del suolo.

Meccanismi di adsorbimento e legami

In generale composti chimici organici sviluppano meccanismi d’interazione con le frazioni di suolo che possono essere diversi da quelli prima discussi relativi ai contaminanti inorganici. Si consideri, ad esempio il trasporto degli idrocarburi petroliferi nei suoli. Quei meccanismi di interazione sono influenzati dalla natura dei suoli , dal tipo di olio e dalla presenza di acqua.Per quanto riguarda l’influenza delle frazioni di suolo, così come nel caso delle interazioni con i contaminanti inorganici, la ritenzione dell’olio risulterà significativamente esaltata dalla presenza di frazioni a superficie attiva (frazioni organiche, materiali amorfi, minerali argillosi).La presenza di acqua è molto importante perché quanto maggiore è lo sviluppo dello strato di Stern (cioè quanto maggiore è il numero di strati d’acqua che circondano le superfici delle particelle di suolo) tanto minore risulterà la quantità di olio associata con le frazioni di suolo, in relazione sia alla scarsa solubilità in acqua sia alla grande dimensione molecolare dei vari idrocarburi (da 1 a 3 nm contro 0,3 nm di una molecola d’acqua) che rendono difficoltosa la loro penetrazione nello strato di Stern. In definitiva l’adsorbimento di sostanze organiche (macromolecole, polimeri) sulle superfici delle particelle di suolo è favorita in assenza di strati di idratazione sulle superfici di tali particelle.Per quanto riguarda infine le caratteristiche dell’olio occorre considerare la sua natura idrofobica o idrofilica, nonché altre caratteristiche come per esempio il valore della costante dielettrica rispetto a quella dell’acqua. L’evidenza sperimentale permette di stabilire infatti che:- le sostanze idrofobiche (come l’eptano, l’anilina, lo xilene, ecc.) nell’interazione con il suolo

danno luogo ad una permeabilità del sistema molto inferiore rispetto alle corrispondenti permeabilità del sistema suolo-acqua;

- l’interazione dei minerali argillosi con sostanze chimiche organiche dotate di costante dielettrica più bassa di quella dell’acqua determinano lo sviluppo di interstrati più sottili a causa della contrazione del sistema suolo-acqua.

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Tutti questi aspetti sono fondamentali nell’influenzare la ripartizione ed il trasporto nei suoli dei contaminanti chimici di natura organica.

Interazioni molecolari

I meccanismi di interazione che sono alla base dei legami che si stabiliscono fra sostanze chimiche organiche e frazioni di suolo comprendono le seguenti forze, reazioni e processi:- forze di London-van der Waals- reazioni idrofobiche- legami idrogeno e trasferimento di cariche- scambio di leganti e scambio ionico- adsorbimento chimico.L’influenza delle forze di London-van der Waals (forze di Keesom, forze Debye e forze di dispersione) diminuisce proporzionalmente a 1/R6 (R = distanza fra le molecole), ne consegue che le molecole organiche di grande dimensione vengono più favorevolmente adsorbite a causa della maggior disponibilità di tali forze, che danno luogo alla rottura degli strati d’acqua immediatamente associati alle superfici solide.Le reazioni idrofobiche, a loro volta, hanno la tendenza a legare le molecole chimiche di natura organica alle superfici idrofobiche delle particelle di sostanza organica del suolo: il fenomeno è dovuto alla preferenza dell’acqua ad associarsi con se stessa piuttosto che con la porzione non polare della sostanza chimica organica. La corrispondente interazione è designata come “legame idrofobico” .La formazione di complessi per trasferimento di cariche hanno luogo fra molecole di elettron donatori ed elettron accettori. Nel legame idrogeno, che costituisce un caso particolare di formazione di complessi per trasferimento di cariche, l’atomo di idrogeno funge da ponte fra due atomi elettronegativi attraverso un legame covalente con uno di essi ed un legame elettrostatico con l’altro. Si tratta di un meccanismo che si verifica nell’interazione fra un reagente chimico e sostanza organica del suolo a causa della presenza di gruppi aromatici negli acidi umici e nelle umine.L’interazione per scambio di leganti si verifica quando un reagente chimico possiede una più elevata capacità chelante rispetto al legante che viene sostituito. E’ ovvio che la possibilità che si verifichi simile interazione dipenderà dalle caratteristiche ioniche (cioè del gruppo funzionale ionico) del contaminante chimico organico. Gli acidi umici, gli acidi fulvici e le umine costituiscono le più importanti frazioni capaci di intervenire in questo tipo di interazioni.Il meccanismo di scambio ionico che coinvolge ioni organici è anch’esso, come nel caso di quello per scambio di leganti, simile all’analogo meccanismo che si stabilisce fra ioni inorganici e frazioni solide. Anche in questo caso acidi umici, acidi fulvici e umine giocano un ruolo importante. Per esempio, gli acidi fulvici sono generalmente idrofilici e forniscono un’influenza minima nella ristrutturazione degli strati d’acqua; al contrario le umine, altamente idrofobiche, giocano un ruolo importante nella ristrutturazione dell’acqua.Naturalmente non ci si deve aspettare che il legame fra un contaminante organico e le frazioni di suolo derivino da uno solo di tali meccanismi, ma a causa delle differenti tipologie di superfici reattive e della varietà di gruppi funzionali coinvolti (sia degli inquinanti che delle frazioni di suolo) è possibile che intervengano diversi processi ( per esempio scambio ionico e legami idrofobici).

Gruppi funzionali e legami

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Una iniziale differenza fra le caratteristiche dei contaminanti chimici organici consiste nella distinzione fra acidi o basi organiche e liquidi non miscibili con l’acqua (NAPL). Questi ultimi, a loro volta possono distinguersi in DNAPL e LNAPL, rispettivamente più densi e meno densi dell’acqua. I DNAPL, fra i quali quelli di origine antropogenica comprendono gli idrocarburi clorurati, il tetracloruro di carbonio, tricloroetano, clorofenoli clorobenzeni e tetracloroetilene, hanno dunque tendenza ad affondare nel substrato sino al limite dello strato impermeabile. I legami fra contaminanti chimici organici e frazioni del suolo sono controllati oltre che dalla costituzione delle acque interstiziali ( per es. dalla presenza di leganti organici e inorganici) dai gruppi reattivi dei medesimi contaminanti e delle frazioni di suolo. Questi gruppi funzionali sono atomi o gruppi di atomi chimicamente reattivi, di natura acida o basica, presenti nella struttura del composto. Nel caso degli inquinanti organici chimici le caratteristiche di tali gruppi funzionali, (struttura, dimensioni, polarità, polarizzabilità e solubilità in acqua) sono molto importanti nell’adsorbimento da parte delle frazioni di suolo. Cosi, ad esempio, poiché talune molecole organiche (ammine, gruppi carbonilici) si caricano positivamente per protonazione, le superfici acide delle frazioni di suolo (minerali argillosi) tenderanno ad adsorbire questi cationi organici, inoltre a causa del loro alto peso molecolare questi ultimi verranno adsorbiti preferenzialmente rispetto ai cationi inorganici.I più comuni gruppi funzionali dei contaminanti chimici organici sono mostrati in figura 48. Come è

Fig. 48 – Gruppi funzionali principali di inquinanti chimici organicistato detto in precedenza si tratta di gruppi funzionali che sono presenti anche sulle superfici reattive delle frazioni di suolo sia di natura inorganica (minerali argillosi, ossidi, idrossidi silicati amorfi) – ed in tal caso il gruppo funzionale prevalente è quello ossidrilico – sia di natura organica.Gli alcoli sono considerati neutri in quanto il gruppo OH non si ionizza. Il loro adsorbimento può ottenersi o per effetto di legami idrogeno o per interazioni catione-dipolo. Gli alcoli si comportano da acidi , cioè accettori di elettroni, quando perdono il loro OH e da basi, cioè donatori di elettroni, quando il loro atomo di ossigeno accetta un protone.I contaminanti con gruppi funzionali dotati di legami C=O (carbossilico, carbonilico, metossilico, gruppo degli esteri e quelli con gruppi funzionali dotati di legami N (gruppi amminici e nitrilici) possono acquisire una carica positiva o negativa per dissociazione di H+ dai o sui gruppi funzionali,

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in dipendenza della costante di dissociazione di ciascun gruppo funzionale e dal pH del sistema suolo-acqua. Come nel caso dei composti organici dotati di gruppi funzionali OH, ad alti valori di pH i gruppi funzionali con legami C=O si dissociano e rilasciano H+ con sviluppo di carica elettrica negativa, secondo gli schemi seguenti

R-COOH ---- R-COO- + H+ ; R-OH ---- R-O- + H+

L’eventuale adsorbimento iniziale sulle frazioni di suolo del composto chimico organico dovuto a legame cationico (catione-dipolo) verrà meno a causa di questa inversione di carica ed il contaminante organico verrà rilasciato. Quest’ultimo potrà quindi essere adsorbito da quelle frazioni di suolo che possiedono superfici con carica elettrica positiva (bordi di caoliniti, ossidi e frazioni organiche). In assenza di tali frazioni il contaminante è libero di muoversi, si stabiliscono cioè condizioni di mobilità del contaminante che favoriranno la sua diffusione.Il gruppo funzionale NH2 è il gruppo altamente polare tipico delle ammine primarie. Esso può essere solubilizzato in acqua e a causa della coppia libera di elettroni dell’atomo di azoto si protona assumendo una carica elettrica positiva.Gli idocarburi del petrolio sono generalmente non polari, o al più debolmente polari, e scarsamente solubili in acqua, di conseguenza essi possono essere adsorbiti dalle frazioni del suolo mediante legami deboli (essenzialmente legami di van der Waals). Ovviamente i composti debolemte polari sono adsorbiti più facilmente rispetto a quelli non polari.

Ripartizione dei contaminanti chimici organici

La ripartizione dei contaminanti chimici organici avviene con modalità in qualche misura diverse da quelle dei metalli pesanti. Infatti, mentre in quest’ultimo caso la precipitazione dei metalli pesanti determina una certa rimozione del contaminante, nel caso dei contaminanti chimici organici questo meccanismo di precipitazione non avviene. Di conseguenza la rimozione dei contaminanti organici avverrà solo per adsorbimento sulle frazioni solide. La loro ripartizione può essere descritta mediante un coefficiente kd, analogo a quello relativo alla ripartizione dei metalli pesanti, cioè mediante la Cs = kdCw, in cui Cs è la concentrazione del contaminante organico adsorbito e Cw

la concentrazione residua in fase acquosa (acqua interstiziale).Il coefficiente kd può essere ottenuto con procedure simili a quelle descritte in precedenza a proposito delle isoterme di adsorbimento. Vale cioè l’espressione generale dell’isoterma di Freundlich Cs = k1Cw

n, in cui i termini k1 ed n (indicati precedentemente con k1 e k2 ) sono noti come costanti di Freundlich. Il parametro n è associato con la pendenza delle curve (Figura 49): per n =1 si ha un adsorbimento lineare, cioè l’adsorbimento è una proporzione costante del contaminante disponibile; per n <1 il contaminante chimico adsorbito diminuisce proporzionalmente all’aumentare del contaminante disponibile, ossia la capacità di adsorbimento tende ad esaurisri; per n> 1 si stabilisce una situazione per la quale l’adsorbimento del contaminante organico incrementa la capacità di adsorbimento del suolo. Questo naturalmente non significa che l’adsorbimento possa verificarsi senza limiti, ma tali limiti potranno essere individuati solo con sperimentazione sistematica.La solubilità in acqua delle molecole organiche esercita un ruolo importante nella ripartizione dei contaminanti organici, come il caso di figura 50 illustra esemplificativamente. Il naftalene (C10H8) ed il 2-metilnaftalene (C11H10) hanno la stessa solubilità in acqua (30 e 25 mg/l rispettivamente),

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Fig. 49 – Tipi di isoterme di adsorbimento per reagenti chimici organici adsorbiti sulle frazioni solide.

Fig. 50 – Isoterme di adsorbimento per naftalene, 2-metilnaftalene e 2-naftolo su caolinite.

mentre il 2-naftolo (C10H8O) possiede una solubilità che è 25-30 volte maggiore. Ne consegue che quest’ultimo è maggiormente trattenuto in fase acquosa, l’adsorbimento sul solido cioè è minore.

Processi di trasformazione dei contaminanti organici

Si definiscono contaminanti organici persistenti quei contaminanti organici che resistono alle trasformazioni derivanti da processi biotici o abiotici e, come si è detto, recalcitranti quando sono totalmente resistenti a tali trasformazioni.

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La persistenza di un contaminante chimico organico di pende da almeno tre fattori: (a) le proprietà chimico-fisiche dello stesso contaminante; (b) le proprietà chimico-fisiche del suolo, e (c) le forme microbiche presenti nel suolo che possono degradare o assimilare i contaminanti. Le reazioni abiotiche e le trasformazioni che ne conseguono, di cui qui ci si occupa, sono sensibili ai fattori (a) e (b).I processi di trasformazione abiotica possono verificarsi con o senza trasferimento di elettroni.Alla categoria dei processi di trasformazione abiotici senza trasferimento di elettroni appartengono le reazioni di idrolisi cioè le reazioni chimiche fra sostanze chimiche organiche e l’acqua. In tali reazioni la molecola d’acqua o lo ione OH- sostituisce gruppi di atomi (o un altro atomo) della sostanza organica: si rompe cioè il legame con il gruppo X che viene rilasciato e si forma un nuovo legame covalente con lo ione OH- (Figura 51). L’idrolisi come ora descritta è definita come idrolisi neutra, ma l’idrolisi può anche essere catalizzata per l’azione catalitica di H+ (catalisi acida) o OH-

(catalisi basica) con conseguente modificazione della cinetica di idrolisi. I prodotti delle reazioni di idrolisi possiedono generalmente un carattere più polare degli originari composti chimici organici e avranno perciò proprietà differenti.I processi di trasformazione abiotica che comportano il trasferimento di elettroni sono le reazioni di ossido-riduzione (redox). Si richiama qui che: (a) le reazioni chimiche di ossidazione si riferiscono alla rimozione di elettroni dal soggetto interessato e (b) le reazioni chimiche di riduzione si riferiscono al processo in cui il soggetto anzidetto (ossidante) guadagna elettroni da un donatore di elettroni (riducente). A causa del guadagno di elettroni la valenza positiva del soggetto diminuisce ed il processo è detto di riduzione.Le reazioni abiotiche redox dei contaminanti chimici organici nei suoli si verificano quando sono presenti elettron accettori. I suoli argillosi funzionano bene come elettron accettori (ossidanti): il processo di ossidazione dei composti chimici organici avviene a causa della presenza di cationi strutturali (soprattutto Al ed Fe nel caso della montmorillonite) o di cationi sui bordi (Al parzialmente coordinato) i quali funzionano da acidi Lewis che possono accettare elettroni.Nelle reazioni redox mediate biologicamente, il processo metabolico è generalmente catabolico (cioè con rilascio di energia) e dà luogo ad un trasferimento di elettroni dal C organico che determina l’ossidazione del contaminante. Come è noto gli accettori di elettroni nei suoli sono l’ossigeno, i nitrati i solfati il Fe3+, il Mn4+ ed altri metalli in traccia. L’attività dei micoorganismi che determina la trasformazione dell’originario composto chimico organico può anche alterare la natura chimica o fisica dei suoli e questo modificherà l’interazione fra suolo e contaminanti.In definitiva la natura complessa delle varie frazioni di suolo, dei contaminanti chimici organici e soprattutto la miriade di composti intermedi che si formano con il tempo, determinano una grande varietà di trasformazioni di natura fisica o chimica dei vari composti chimici organici nel suolo (trasporto, adsorbimento, desorbimento) e poiché questi diversi processi si verificano simultaneamente è al momento ancora difficile caratterizzarli e quantificarli completamente.

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Fig. 51 – Rappresentazione schematica delle reazioni di trasformazione chimica con trasferimento di elettroni (ossidazione- riduzione) e senza trasferimento netto di elettroni (idrolisi).

RIMOZIONE DEI CONTAMINANTI

La riduzione della capacità dei suoli di trattenere i metalli pesanti può essere ottenuta mediante la modificazione del microambiente che circonda la massa del suolo, ossia mediante variazioni del pH, del pE e della forza ionica. Per i contaminanti organici le procedure più semplici comprendono la distruzione dei gruppi funzionali associati ai contaminanti.

Come si è discusso in precedenza le interazioni che si verificano fra contaminanti e frazioni di suolo sono essenzialmente costituite da processi di adsorbimento fisico e chimico. Per rimuovere i contaminanti adsorbiti è necessario distruggere o quanto meno indebolire le forze di legame fra contaminanti e frazioni di suolo. L’obiettivo può essere conseguito introducendo agenti esterni o procedure di trattamento che possono:

- superare le energie di interazione sviluppate fra contaminanti e frazioni di suolo;

- indebolire le energie di interazione; e- competere con le frazioni di suolo

nell’adsorbimento dei contaminanti.Un caso di competizione nell’adsorbimento di

MP, è l’uso di leganti organici dotati di affinità per i MP. L’uso di EDTA per esempio (acido

Fig. 52 – Profili di concentrazione del Pb nelle acque interstiziali in presenza ed in assenza di EDTA nella soluzione Percolante. I pv asteriscati corrispondono a soluzioni liscivianti con EDTA.

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etilendiamintetraacetico) riguarda tale procedura. L’affinità dell’EDTA nei riguardi dei MP è dimostrato dai diagrammi di Fig. 52, riguardanti esperimenti in colonna. Nel diagramma il confronto fra la concentrazione di Pb nell’acqua interstiziale è fatto per un’alimentazione con e senza EDTA. L’elevata affinità dell’EDTA per il Pb è dimostrata, oltre dalla diminuzione nei valori di kd, dalla più elevata concentrazione di Pb nell’acqua interstiziale.

I più importanti fattori di controllo del destino dei MP sono il pH del suolo e lo stato del pE del microambiente circostante. La solubilità dei metalli, per esempio, e la loro abilità a formare chelati è direttamente influenzata dal pH del suolo. Inoltre, il rilascio dei metalli può derivare dall’ossidazione di minerali solfurati e da sostanza organica del suolo, a causa della modificazione del microambiente circostante da condizioni anossiche a condizioni ossiche, oppure a causa di attività batterica.

Le energie con cui i contaminanti sono legati alla matrice solida possono essere teoricamente calcolate con l’uso dei modelli di doppio strato elettrico o del modello DLVO precedentemente discussi. Ovviamente i risultati che si otterranno costituiranno una larga approssimazione, nondimeno essi forniranno un’idea dello sforzo richiesto per il rilascio degli inquinanti dalle frazioni di suolo.

Determinazione del rilascio dei contaminanti

La scelta dei metodi di trattamento necessari per ottenere il rilascio dei contaminanti da un suolo contaminato comporta la necessità di determinare il cosiddetto “rilascio potenziale del contaminante” dalle frazioni del suolo. Le tecniche comunemente utilizzate per determinare questo parametro sono :

(a) studi di equilibrio in batch comprendenti anche esperimenti del tipo isoterma di desorbimento e di ESS;

(b) esperimenti di deadsorbimento in colonna;(c) studi bench-top.

Studi di equilibrio in batch

Questi studi vengono generalmente condotti con sospensioni di suolo. Possono effettuarsi almeno due tipi di prove con sospensioni di suolo: (a) determinazione delle caratteristiche di desorbimento del suolo contaminato in considerazione, e (b) studi di soil-washing tendenti ad indebolire le forze di legame, secondo le linee discusse in precedenza.

Le prove di desorbimento sono utili per ricavare informazioni sulle possibilità di desorbimento, perché come minimo permettono di stabilire quanto energicamente i contaminanti presi in considerazione sono legati alle frazioni di suolo.

La procedura più semplice per determinare se può ottenersi rilascio di metallo da un suolo contaminato consiste nell’eseguire prove di estrazione usando sospensioni di

Fig. 53 - Desorbimento-estrazione del Pb da un suolo illitico contaminato da Pb. Reagente estraente = HNO3 diluito a pH 2.

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suolo. L’uso di estraenti a vari livelli del pH fornisce le informazioni necessarie.

La Figura 53 per esempio, che riporta i risultati di desorbimento di un suolo illitico contaminato da Pb, mostra che la percentuale di metallo rilasciato dipende dallo stato iniziale del suolo, cioè dalla concentrazione del Pb adsorbito nel suolo contaminato. Inoltre, il numero dei lavaggi mecessari per ottenere il completo rilascio del metallo è anch’esso dipendente dallo stato iniziale del suolo.

La determinazione delle caratteristiche di desorbimento dei suoli contaminati può essere generalmente condotta secondo due distinte procedure.

Nella prima, i risultati di lavaggi multipli successivi di campioni contaminati ottenuti a vari livelli della isoterma di adsorbimento vengono usati per costruire la curva di desorbimento come illustrato in Figura 54. I punti sulla isoterma di adsorbimento sono utilizzati per le prove multiple di desorbimento.. Naturalmente la soluzione di lavaggio usata per il per determinare il desorbimento può essere acqua o un reagente chimico.

In una seconda procedura, ciascun campione usato per determinare l’isoterma di adsorbimento è a sua volta utilizzato come campione sul quale effettuare singole prove di desorbimento. Come nella prima procedura anche in questo caso la soluzione estraente dipenderà dagli obiettivi perseguiti (per esempio si useranno sali neutri secondo la procedura ESS per estrarre i metalli scambiabili, ecc). La curva di desorbimento che si ottiene è la cosiddetta curva di desorbimento “proiettata”.

Esperimenti analoghi possono essere condotti su suoli contaminati con sostanza organica. La Figura 55 riporta, per esempio, le caratteristiche di desorbimento del 2-metil-naftalene mediante estrazioni multiple.. Come nel caso dei metalli pesanti le curve di desorbimento ottenute dipendono fortemente dal mezzo di estrazione utilizzato e dalla natura dei campioni.

Prove in colonna

Gli esperimenti di desorbimento in colonna vengono condotti con le medesime tecniche di cui agli esperimenti tendenti a determinare le caratteristiche di adsorbimento in colonna. Questi esperimenti sono utili se le informazioni sulla capacità dei vari estraenti viene utilizzata come procedura di screening. Essi sono anche utili per valutare la permeabilità e quindi la mobilità dei contaminanti nel suolo.

Fig. 54 - Procedura di caratterizzazione del desor-bimento. La curva di desorbimento ottenuta è una curva di desorbimento “proiettata”. M+ rappresenta ilmetallo contaminante.

Fig. 55 - Caratterizzazione di desorbimento del 2 metil naftalene.

Page 54: INTRODUZIONE AL CORSOgeoing.unica.it/sitidocenti/Muntoni/Dispense Bonifica... · Web viewPertanto, quando si vogliano separare due atomi legati da legami covalenti occorre spendere

Per queste prove di desorbimento i campioni di suolo contaminato sono introdotti nelle colonne e viene utilizzato un ben determinato estraente che viene fatto permeare nella colonna. Le restanti procedure rimangono poi le stesse che nelle prove di adsorbimento.

Analisi selettiva sequenziale

La procedura di estrazione selettiva sequenziale (ESS) è molto utile al fine di valutare la facilità con cui i MP possono essere rimossi da campioni di suolo contaminato. Si è visto in precedenza quali reagenti utilizzare come estraenti. Le informazioni di cui alla Figura 45 possono essere utilizzate per valutare la facilità di rimozione dei MP adsorbiti o, il che è lo stesso, per valutare quanto fortemente i contaminanti sono legati alle frazioni di suolo.

I principali meccanismi responsabili dell’accumulazione dei MP sono sensibili ai valori del pH dell’ambiente immediatamente circostante, come si può notare dalla medesima figura.. I risultati riportati in Figura 55 illustrano oltre che questa sensibilità nei confronti di diversi MP, anche la distribuzione dell’adsorbimento nei confronti delle diverse frazioni di suolo, nonché la preferenzialità dell’adsorbimento nei confronti dei diversi MP.

Prove “bench-top”

Si definiscono con questo termine le prove condotte su masse compatte di solido utilizzando metodi di trattamento progettati per ottenere il rilascio dei contaminanti dalle frazioni di suolo. Un buon esempio a questo riguardo è costituito dai bio-trattamenti riguardanti la rimozione di contaminanti costituiti da reagenti organici , un altro esempio è quello dei trattamenti chimici che alterano il legame fra i contaminanti organici/ inorganici e le frazioni di suolo, un altro esempio ancora è costituito dai test elettrocinetici , ecc.

Altre importanti categorie di prove bench-top sono quelle applicate a modelli di barriera allo scopo di studiare le interazione fra agenti reattivi intercalati nelle barriere ed i contaminanti che permeano attraverso le medesime barriere: le informazioni ottenute permettono di valutare non soltanto l’efficienza del trattamento ma anche i parametri di scale-up.

Fig. 55 – Influenza del pH sulla distribuzione dei MP nelle frazioni di un suolo illitico. Si possono notare le differenze delle diverse specie di MP trattenute dalle diverse frazioni di suolo in relazione al pH.