Intervista a Francisco Rico apparsa sull'inserto il Venerdì di Repubblica - 15 Marzo 2013

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Intervista a Francisco Rico apparsa sull'inserto il Venerdì di Repubblica - 15 Marzo 2013

Transcript of Intervista a Francisco Rico apparsa sull'inserto il Venerdì di Repubblica - 15 Marzo 2013

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SANT CUGAT (Barcellona). Esi-

stesse una giustizia, questo ar-

ticolo dovrebbe contenerne

due: uno sulla nuova, sontuosa

edizione italiana del Don Chi-

sciotte (Bompiani) e un altro sul

suo curatore spagnolo Francisco Rico – tra

i massimi esperti di Cervantes, ma anche

del Lazarillo de Tormes e di Petrarca. Non-

ché membro della Reale Accademia di

Spagna, della British Academy, dell’Acca-

demiaa dei Lincei e pure della Crusca.

Filologo insigne, in pensione – emerita –

dall’anno scorso, di lui mi raccontano che

ha lasciato nelle aule universitarie «un’au-

ra di leggenda». Altri te lo descrivono co-

me un orco di egocentrismo, erudizione,

perfidia. Uno che detesta viaggiare, anda-

re al cinema, a teatro, alle mostre («Molto

meglio uscire a cena con gli amici»). E del-

la letteratura dice: «Preferisco studiarla

che leggerla. I romanzi, ormai, mi impigri-

scono». Tabagista fanatico e donchisciotte-

sco militante pro nicotina nel dibattito

pubblico, gli attribuiscono una fobia per i

noccioli delle olive e una passione altret-

tanto incoercibile per le bolle di sapone.

Potrebbe essere uno di quegli universitari

bizzosi e geniali che popolano le storie di

Saul Bellow. Però, a trasformarlo in perso-

naggio letterario ci ha pensato Javier Ma-

rías: nei suoi romanzi il professor Franci-

sco Rico spunta, in camei, ormai piuttosto

di frequente. Con nome e cognome. Nell’ul-

timo, Gli innamoramenti, è ritratto così:

«La bocca morbida, la calvizie tersa e por-

tata molto bene, gli occhiali piuttosto gran-

di, l’eleganza negligente – un po’ inglese,

un po’ italiana – il tono sdegnoso e l’atteg-

giamento tra l’indolente e il mordace (...)

come se fosse un uomo che, sentendosi or-

mai passato, deplorasse di dover ancora

trattare con i suoi contemporanei, igno-

ranti e volgari in maggioranza».

NELLA FOTO GRANDE,FRANCISCO RICO,

CURATORE DELLA NUOVAEDIZIONE (SOPRA)

DEL DON CHISCIOTTE

(BOMPIANI, PP. CXXI-2166, EURO 30,TRADUZIONE DI ANGELO

VALASTRO CANALE).IN ALTO, SULLO SFONDO,

IL DISEGNO DI PICASSO

dal nostro inviato MARCO CICALA

DONCHISCIOTTE

I L V E N E R D I D I R E P U B B L I C A

culturaFINZIONI

QUEL CAPOLAVORO CON CUI COMBATTODA UNA VITAESCE IN ITALIA UNA NUOVA EDIZIONE FILOLOGICA DEL GRANDE ROMANZO DI CERVANTES. INCONTRO CON FRANCISCO RICO, LO STUDIOSO SPAGNOLO CHE L’HA CURATA. E CHE È A SUA VOLTA UN PERSONAGGIO. LETTERARIO

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cultura

Nell’immediatezza discorsiva risiedeanche la teatralità spontanea del ro-manzo. «Se mi chiedessero: Che mestie-

re fa Don Chisciotte? Direi: l’attore. In-nanzitutto nel senso che racconta a sestesso la propria vita». Mapure perché si lancia nell’av-ventura on the road già tra-vestito. Nel saggio che intro-duce la nuova edizione italia-na, Francisco Rico spiega co-me il kit del personaggio nonsia quello di un cavalierereale «modesto, ma genui-no», bensì un costume da pa-lio o una maschera di carne-vale. «D’altronde, la simula-zione della guerra in giostree tornei – a loro volta impre-gnati di letteratura – sorge praticamen-te in contemporanea con la cavalleria.Che nella rappresentazione di se stessasoddisfa il bisogno di una vita stilizzata,plastica, in contrasto con una societàdisordinata e violenta».

In altre parole: «Molto presto il ca-valiere si guarda nello specchio dellapropria immagine letteraria, o comun-que idealizzata, e fa di tutto pur di asso-migliarle. La finzione dapprima imita larealtà e poi finisce per condizionarla».Diresti una società dello spettacolo ante

litteram. Però, non è lo show a segnareil declino della cavalleria «che invece vamesso in relazione con fenomeni quali:il progresso delle armi da fuoco, l’affer-marsi degli eserciti professionali, l’ac-centramento regio dei poteri e la nasci-ta degli stati nazionali» precisa Rico.

Qualcuno ha detto che se tutta la fi-losofia occidentale non è alla fine cheuna lunga glossa all’opera di Platone, lanarrativa non è che una lunga variazio-ne sul tema del Quijote –apripista del romanzo mo-derno («Fino al realismomagico e alla metaletteratu-ra». Da Goethe a Dickens,da Stendhal a Dostoevskij, aKafka, Faulkner, Borges, ra-ramente un libro avrà mes-so d’accordo nell’ammirazio-ne tanti lettori illustri. Nel2002 una giuria formata da

gente come Milan Kundera, SalmanRushdie, John Le Carré o Mario Var-gas Llosa definì il Don Chisciotte: The

World’s Best Work of Fiction. Eppure,con cronica miopia, i soliti snob conti-nuano a ripeterci che – come tutti iclassici – è un libro molto citato, ma po-

co letto. «Quasi fosse una debolezza. In-vece è un punto di forza del romanzo ilfatto che continui a parlarci con film,spettacoli, fumetti, libri per ragazzi oaddirittura videogiochi. La letteraturanon si trasmette solo attraverso il te-sto. E poi, ci pensi: Don Chisciotte èl’unico personaggio letterario imme-diatamente riconoscibile. Picasso l’hasintetizzato in pochi tratti. Chi sarebbein grado di identificare allo stesso mo-

do Julien Sorel, Anna Kare-nina o Madame Bovary?».

Rico controlla l’orologio:«Beh, s’è fatta ora di pranzo.Che ne direbbe se mangias-simo un boccone qui in ca-sa? Ho crocchette, stufato...E percebes. Li conosce?». Sì.E ho imparato ad adorarlicome a temerli. Sono crosta-cei tanto rari quanto costosi

che stanno aggrappati allescogliere di Galizia. Hannol’aspetto horror di una ma-nina, una zampetta grigiainfilata dentro un guscio acannula. Il sapore è quellototale del mare quando ti ci

tuffavi da ragazzino. Ma sbucciarli èoperazione impervia che può metterein imbarazzo perfino i più addestratigourmet. Il professor Rico prova ad ini-ziarmi a un metodo di sua concezioneche consiste nel frantumare l’involucrocon i denti posteriori estraendone ilcontenuto senza che balzi tra i capellidel commensale di fronte. Mi ci mettod’impegno, ma ricoprendomi di schizzisalmastri e vergogna. Meno male chepassiamo allo stufato.

Chiedo a Rico che effetto gli facciavedersi romanzato dall’amico JavierMarías: «Appena esce un nuovo libro,frugo alla caccia delle pagine dove siparla di me. Poi mi occupo del resto».All’università, il professore ha avutotra i suoi alunni lo scrittore Javier Cer-cas, che ancora si rivolge a lui come aun tribunale letterario: «Prima dellapubblicazione, mi manda i manoscritti.È bravo. Ma esagera con i punti e vir-gola. Glieli riduco».

Francisco Rico è un accademico ditutto, ma anche un accademico sui ge-

neris. Tecno-entusiasta, tesse encomidi internet come di Kindle. Ancora im-bufalito contro le leggi antifumo, en-trate in vigore in Spagna due anni fa,ripone grosse speranze nella Las Ve-gas europea che gli americani promet-tono di costruire vicino Madrid: «Spe-riamo ci riescano. Gioco, ragazze, e fu-mo libero: sarebbe un paradiso».

Come dessert, il professore mi pro-pone certe arance speciali che si fa ar-rivare ogni settimana da Valencia. Glie-le sbuccia una macchinetta che è unospettacolo in tre atti: prima toglie lascorza esterna, poi la pellicola bianca einfine ti porge il risultato. Rico ne va vi-sibilmente fierissimo. Nemmeno fossela prima edizione del Quijote. Sarebbegrandioso se inventassero un aggeggiosimile anche per espugnare i percebes.

Date tali premesse, è con apprensio-ne venata di terrore che vado ad incon-trare Francisco Rico nella sua casa-bi-blioteca alle porte di Barcellona. Fortu-na che, qualche mese fa, mi sono rilettoper intero il Don Chisciotte. Del quale pe-rò – tanto per cominciare – il professorenon vuole parlare. «Iniziamo piuttostoda Petrarca». Ma come, e l’editio maior

di Cervantes? «Dopo, dopo... C’è tutto iltempo». E sia. «Sa, in Italia, avete unavisione edulcorata, agiografica, dell’ami-cizia tra Petrarca e Boccaccio». In real-tà non si potevano vedere? «Non pro-prio. Ma Petrarca snobbava il suo am-miratore Boccaccio. Lo riteneva un tipofrivolo e un po’ tonto. E stroncò il Deca-

meron: Quel tuo libraccio in volgare... Non

l’ho letto». Prendo appunti disciplinati.Poi, alla chetichella, provo a riportare laconversazione in zona Cervantes.

Domanda: a proposito di Italia, perché

da noi la fortuna del Quijote è stata a lun-

go una sfortuna, un oblìo? «Per via del-l’onnipotenza del classicismo che, nellavostra grande tradizione letteraria, èstato sempre ostile al realismo». Don

Chisciotte romanzo realista? «Nella tra-ma e nel personaggio no. Un pazzo co-me il cavaliere dalla triste figura si sareb-be fatto arrestare dai Carabinieri dueore dopo essersi messo in viaggio. No, ilrealismo del libro non va inteso in sensoottocentesco, ma sta nell’ambiente, quo-tidiano, e nel linguaggio. Che è quello diuna conversazione familiare, o a tavolatra amici. In Italia, la fondamentale co-dificazione della lingua elaborata daPietro Bembo nel Cinquecento fissamolto in alto le norme di ciò che è lette-ratura. E quella precettistica classicistachiude le porte alla realtà del parlato».

Rico, invece, mi apre le porte dellasua biblioteca. Nel penetrale,inestimabili edizioni cervanti-ne. Lui, il Chisciotte lo ha lettoper la prima volta a 14 anni, inun hotel di Saragozza. Che ef-fetto gli fece il libro chel’avrebbe tenuto inchiodatoper una vita? «Ricordo che mipiacque» minimizza richiuden-do le ante del tabernacolo.

Poi, in una matassa di fu-

mo, ricorda che nemmeno la Spagna futanto riconoscente con Cervantes: «IlQuijote fu certo un grande successo po-polare, ma a capirne davvero la porta-ta innovativa furono per primi gli in-glesi. Di fatto, gli spagnoli non lo pren-dono sul serio che a partire dal Sette-cento». Mentre la grande operazione dimarketing fu opera dei romantici tede-schi «che fanno del personaggio l’em-blema della lotta tra ideale e reale».Tragica colluttazione. Eppure, alle ori-gini, il libro fu letto come un’opera co-mica. «E lo è. Ma tutt’e due le interpre-tazioni hanno una loro legittimità. Senon altro perché è lo stesso Cervantesa renderle entrambe plausibili».

Infatti, nella seconda parte del ro-manzo, uscita nel 1615 adieci anni di distanza dallaprima, il personaggio DonChisciotte muta di regi-stro. Non solo perché haappreso di essere diventa-to nel frattempo il protago-nista di un libro, ma so-prattutto perché «non èpiù il visionario forsennatoche confonde fantasia e re-

altà. Lo ritroviamo più malinconico,dubbioso, consapevole, tragico. È comese Cervantes si fosse affezionato a unacreatura inizialmente concepita peruna novella, ma che, in corso d’opera,gli è cresciuta tra le mani. È come sene avesse infine scoperto l’umanità.Un’umanità che travalica il comico».Fino alla scena della morte che, a rileg-gerla, ci annoda ogni volta la gola.

Spesso strumentalizzato – al pari delsuo eroe – come vessillo patriottardo diuna Spagna triumphans, lo stesso Cer-vantes era del resto un autore crepu-scolare: «Un sopravvissuto del secoloprecedente. Aveva combattuto a Le-panto, la madre di tutte le battaglie perla cristianità, e sognato che Filippo IIdiventasse una specie di nuovo Goffre-do di Buglione, partendo alla riconqui-sta di Gerusalemme. Ma poi si reseconto lucidamente che quel sistema divalori era ormai tramontato e lui era fi-glio di un’altra epoca». Anche lettera-riamente: «A dominare è ormai il ba-rocco dalla prosa oscura. Cervantes sischiera contro quella moda. E dunquecontro l’establishment». A lambicca-menti, cerebralismi vertiginosi, e tal-volta mirabili, oppone «una letteraturadella verità, dell’esperienza, della vita.Anche per questo, più che scritto, DonChisciotte è un libro detto. Cervantessta tutto dentro il racconto orale». Ecompone il romanzo quasi come unalunga improvvisazione – palinsensto dipoesia, farsa, favola, episodi pastorali ofolclorici, cronache d’attualità: «Cer-vantes lascia correre la penna comefosse la voce. Da qui, la mancanza disuddivisione in paragrafi, e una punteg-giatura quasi assente, una larga preva-lenza delle coordinate sulle subordina-te, un’ortografia ballerina...».

Per non parlare delle incongruenze,un mucchio: «Personaggi che cambia-no di nome o che, nella stessa scena,cenano due o tre volte. Ma, appunto,più che a un testo stampato dobbiamopensare a una parola viva, a una nar-razione conviviale, fluida, diretta. Il li-bro non esprime chissà quali idee filo-sofiche, la sua unica filosofia è quelladel buon senso».

È l’unico eroeletterarioidentificabile.Chi potrebbericonoscerein un’immagineEmma Bovary?

Spero riesca il progetto diuna Las Vegasspagnola.Gioco e fumolibero: sarebbeun paradiso

LO SCRITTORE MIGUEL DE CERVANTES,NATO AD ALCALÁ DE HENARES NEL 1547E MORTO A MADRID NEL 1616. LA PRIMAEDIZIONE DEL CHISCIOTTE È DEL 1605

DALL’ALTO A SINISTRA, IN SENSO ORARIO:STENDHAL, FRANZ KAFKA,FËDORDOSTOEVSKIJ, JORGE LUIS BORGES. TUTTIAMMIRATORI DEL CAPOLAVORO SPAGNOLO

MARCO CICALA

FINZIONI

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