Interreg in Ticino

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lunedì 6 dicembre 2010 laRegioneTicinoL’approfondimento 2SpecialeRegionitransfrontaliere/1

di Silvano De Pietro

foto Ti-Press

La cooperazione transfrontaliera non ha lo stesso successosu tutto il perimetro delle frontiere svizzere.Cerchiamo di capirne il perchécon l’aiuto del consigliere agli Stati Dick Marty

Il Servizio federale per lacooperazione transfrontaliera,che dipende dalla Divisione po-litica del Dipartimento degliaffari esteri, elenca ben 18 or-ganismi transfrontalieri ed eu-roregioni che si occupano dellerelazioni fra entità territorialia cavallo delle frontiere elveti-che. Si tratta di forme di colla-borazione più o meno istituzio-nalizzate, accanto alle qualioperano alcune conferenze in-tercantonali (a livello svizzeroo per regioni) che coordinanodeterminate attività transfron-taliere. Non mancano, poi, gliaccordi intercomunali di qua edi là della frontiera, basati uni-camente sul diritto ammini-strativo o persino privato. Atutto questo si aggiungano icontatti informali di coopera-zione transfrontaliera, comequelli tra Camere di commer-cio, associazioni padronali,sindacali e di altro genere.

Da questo quadro si dovreb-be desumere che la Svizzerasia intensamente collegata edinteragisca con le strutture po-litiche, economiche, sociali eculturali dei territori limitrofi.La realtà è però leggermentediversa da come appare, nelsenso che il grado d’intensitàdella collaborazione transfron-taliera non è uniforme. Alcuneregioni sono straordinaria-mente attive, hanno realizzatoe continuano a sviluppare nu-merosi progetti e raccolgono apiene mani i vantaggi dell’inte-grazione dei sistemi locali.Non hanno avuto paura né diinvestire, né di fidarsi dello“straniero”. Altre realtà nonsono invece riuscite a decollarealtrettanto bene; e per esse lacollaborazione transfrontalie-ra rimane un miraggio fatico-samente inseguito e mai realiz-zato, oppure un bell’auspiciofissato solo sulla carta.

I risultati migliori sono statiottenuti sinora con le realizza-zioni a cavallo della frontierasettentrionale e di quellaorientale. Sarebbe facile trarnesubito delle conclusioni som-marie, magari basandosi suisoliti pregiudizi culturali circale differenze fra Nord e Sud, fratedeschi e latini. Ma la cornicenormativa è federale, quindiuguale per tutti i cantoni. Lenorme europee sono le stesse, aNord come a Sud, ad Est comead Ovest della Svizzera. Ed an-

che il Fondo europeo di svilup-po regionale, al quale i progettitransfrontalieri possono attin-gere, è sempre lo stesso ed ope-ra con le stesse modalità. Nep-pure le differenti forme orga-nizzative hanno un’influenza:che siano di diritto pubblico oprivato, in alcuni posti opera-no meglio, in altri meno bene.

Per trovare delle spiegazio-ni, occorre invece tentare di ca-pire anzitutto come funziona lacooperazione transfrontaliera.Le relazioni internazionalisono certamente compito dellaConfederazione. Ma la Costitu-zione federale consente ai can-toni di svolgere una politicaestera molto attiva, per cui essidispongono comunque dei po-teri necessari per agire in que-sto campo. Ciò significa chepossono concludere accordicon enti territoriali dei paesivicini (quindi, in sostanza,trattati internazionali), alloscopo di risolvere problemi lo-cali comuni e di parteciparealla realizzazione di progettianche al di là della frontiera.

Questa politica di coopera-zione locale e regionale in pas-sato rientrava nell’ambito deitrattati di stato intergovernati-vi, della cui attuazione veniva-no incaricate commissioni lo-cali “ad hoc”. Ha però assuntonuove forme e ricevuto ungrande impulso da quando,agli inizi degli anni Novanta,la Commissione europea halanciato il programma di coo-perazione territoriale “Inter-reg”, sostenuto dal Fondo euro-peo di sviluppo regionale appo-sitamente istituito. Questospiega perché alcuni organi-smi creati già negli anni Set-tanta (come la Conferenza in-ternazionale del Lago Bodani-co e la Comunità di lavoro re-gioni alpine, nate nel 1972; ilComitato regionale franco-gi-nevrino, del 1973, e la Confe-renza franco-germano-svizze-ra del Reno superiore, sortadue anni dopo) a partire dal1990 siano stati trasformati erilanciati con l’istituzione del-le regioni di cooperazione tran-sfrontaliera.

Ma l’elemento decisivo cheda parte svizzera ha provocatoquesta corsa agli accordi di col-laborazione locale con i vicini,è stato il rifiuto popolare, il 6dicembre 1992, di aderire alloSpazio economico europeo. Daquella data sono stati moltipli-cati gli sforzi per affrontarecon i nostri vicini, grazie allanuova cooperazione transfron-taliera, certi problemi comuni,quali: la protezione dell’am-biente, la navigazione e la pe-sca, lo sfruttamento della forzaidrica, i trasporti ferroviari estradali, lo sviluppo urbano erurale, la protezione della po-polazione, l’imposizione fiscaledei frontalieri. Gli obiettivi sisono poi gradualmente estesiall’economia, alla scienza, allacultura, ecc. Restano fuori dal-la collaborazione locale o re-gionale, perché di esclusivacompetenza nazionale o sovra-nazionale (europea), gli aspettirelativi alla liberalizzazioneeconomica ed all’integrazionedei mercati.

Le linee guida di questa poli-

tica di cooperazione sono quel-le del programma europeo In-terreg, nell’ambito del qualel’Ue sostiene progetti interre-gionali e transfrontalieri cheabbiano lo scopo di rafforzarela coesione economica e socia-le all’interno dell’Ue e con ipaesi limitrofi. Anche la Sviz-zera si appoggia a questo pro-gramma, del quale sono attual-mente quattro le versioni tran-sfrontaliere che le interessano:Interreg France-Suisse, Inter-reg Italia-Svizzera, InterregReno superiore, Interreg Renoalpino-Lago di Costanza-AltoReno.

Da parte sua, per incoraggia-re e sostenere la partecipazio-ne alla cooperazione transfron-taliera dei cantoni e di altrisoggetti (regioni montane, areerurali, zone di frontiera, maanche aziende, organizzazionio persone), la Confederazioneelargisce aiuti finanziari nel-l’ambito della cosiddetta Nuo-va politica regionale (Npr). Lapriorità viene data anzituttoalla creazione di condizioni

quadro competitive per l’eco-nomia regionale di esportazio-ne nel settore dell’industria edel turismo. In secondo luogo,vengono sostenute le strutturedi produzione e di servizio ne-gli ambiti dell’energia, dell’a-gricoltura, delle risorse natu-rali e della formazione.

A dire il vero, le regioni sviz-zere di frontiera più attive e dimaggior successo, come quelladi Basilea e del Lago di Costan-za, vanno parecchio oltre: rie-scono cioè a realizzare molto dipiù appoggiandosi direttamen-te ai programmi dei rispettivipartner d’oltrefrontiera, finan-ziati dal Fondo europeo di svi-luppo regionale. Comunque,con l’attuale piano di finanzia-mento della Npr per il periodo2008-2015, la Confederazioneassicura un sostegno di com-plessivi 230 milioni di franchi.Sono versamenti che, aggiuntiai cosiddetti mutui Lim (gliaiuti agli investimenti nelle re-gioni montane), costituisconola base finanziaria della politi-ca regionale elvetica.

Signor Marty, la Confederazioneha fatto o sta facendo abbastanzaper promuovere la cooperazionetransfrontaliera?

«La cooperazione transfrontalieradovrebbe essere anzitutto una com-petenza dei cantoni, che alcune regio-ni già sfruttano ampiamente. Poi, èchiaro che c’è una cooperazione tran-sfrontaliera in senso più vasto. Contutti i paesi vicini vi sono, per esem-pio, accordi di cooperazione di poli-zia che permettono, che so, di prose-guire un inseguimento sul territoriodell’altro paese. In questo senso, gliaccordi che la Confederazione fa congli stati vicini concernono più che al-tro la gestione della frontiera».

Sarebbe più utile dare ai canto-ni maggiore autonomia in politicaestera?

«Non penso, perché con la stessafrontiera dello stesso paese rischie-rebbero di esserci poi tante soluzionidiverse. Ci sono, dalle due parti dellafrontiera, identità regionali che nonhanno né la stessa forza economica,né lo stesso grado di competenze. Equesto, evidentemente è un handi-cap. A Basilea e a Ginevra, malgradola piccola dimensione del territorio,la situazione è per noi facilitata dalfatto che il centro urbano, dove c’èmaggiore forza economica, è piutto-

sto sul nostro territorio. Nelle altreregioni siamo svantaggiati, perché inostri partner d’oltreconfine, comela Lombardia o altre regioni francesi,sono molto grandi e spesso non han-no nemmeno un interesse evidente acercare una collaborazione».

Questo spiegherebbe il minorsuccesso della Regio Insubrica?

«Solo in parte. Bisogna dire che ibasilesi sono stati molto bravi nel co-minciare molto presto. È da qua-rant’anni che una collaborazione si èsviluppata mattone dopo mattone, epoggia su contatti personali abba-stanza stretti: la gente si conosce daanni e ci sono incontri regolari a tut-ti i livelli. Alla regione Insubrica pur-troppo non capita».

Che cosa si dovrebbe fare persuperare la diffidenza reciprocaa cavallo della frontiera meridio-nale?

«Bisognerebbe che ci fosse unacostellazione positiva di contattiumani che improvvisamente fun-zionino, per rendersi conto che cisono degli interessi comuni, anchese la dimensione dei partner è mol-to diversa. È chiaro che il Ticinonon ha per la Lombardia lo stessosignificato che la Lombardia ha peril Ticino».

Nella regione del Lago di Co-stanza, dove il rapporto tra i part-ner è più o meno simile, le cosefunzionano meglio. Forse perchéc’è più pragmatismo?

«Sì, anche perché non c’è una gran-de metropoli che concentra tutto suse stessa. Sono stato di recente aSciaffusa con i colleghi del Consigliodegli Stati, dove ci hanno ricevutoanche le autorità germaniche localidall’altra parte della frontiera. Ho po-tuto vedere, sentire, capire che le per-sone si conoscono bene da anni esono abituate ad incontrarsi e a risol-vere pragmaticamente i problemi.C’è anche una dimensione culturale,dobbiamo dirlo apertamente: il nor-dico è probabilmente più pragmatico,più centrato sui problemi e meno sul-lo spettacolare. A Basilea, a Sciaffusaecc. gli incontri avvengono proprio intermini di lavoro: non ci sono ognivolta la televisione, la radio, i giorna-li. Sono più rivolti al lavoro concretoper risolvere un problema concreto.C’è però anche da dire che dalla parteitaliana abbiamo il problema che, an-che a livello di ministeri, l’interlocu-tore continua a cambiare».

Perché il Parlamento non sol-lecita un nuovo rapporto delConsiglio federale sulla coopera-zione transfrontaliera (l’ultimoè del 1994), anche alla luce delle

tensioni attuali in Europa?

«Noi riteniamo che la collaborazio-ne tipicamente transfrontaliera deb-ba essere opera dei cantoni. Quelloche semmai si pone in Svizzera sem-pre di più, è sapere se la nostra orga-nizzazione in 26 cantoni sia ancoraadeguata ad affrontare questi proble-mi. E se non si debba parlare non solodi fusioni di Comuni, ma anche di fu-sioni di cantoni per creare entità re-gionali più forti e più operative, edunque in grado di dialogare meglio,negoziare e collaborare con le entitàdall’altra parte della frontiera».

Le conferenze intercantonalinon bastano?

«Sì, ma sono cose estremamentemacchinose; e al loro interno nontutti hanno gli stessi interessi. Cisono però altre proposte: l’ex diretto-re dell’Ufficio federale per la pianifi-cazione territoriale propone di divi-dere la Svizzera in 9 cantoni-regioni.Questo permetterebbe di negoziaremolto meglio gli aspetti di frontiera,visto che dall’altra parte ci sono disolito unità molto più grandi ed este-se dei cantoni svizzeri. Ma non risol-verebbe il problema del Ticino, cheprobabilmente rimarrebbe da solo,forse con l’aggiunta della Mesolcina,a costituire uno dei nove macrocan-toni».

L’intervista

Marty: ‘Per avere successo, più contatti umani e pragmatismo, meno incontri-spettacolo’

Il profiloLuganese, 65 anni, dottore in giuri-sprudenza ed esponente del Plr, DickMarty è membro del Consiglio degliStati, dove dal 1995 rappresenta il Ti-cino e dove, tra l’altro, presiede laCommissione dell’economia e deitributi ed è membro della Commis-sione di politica estera (di cui è statopresidente dal 2007 al 2009). In passa-to ha anche ricoperto la carica diconsigliere di Stato del Canton Tici-no, dal 1989 al 1995.

Chi collaborae chi no

Regio Insubrica

Dick Marty