Interni immaginari - Ausonia

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Catalogo della mostra personale di Ausonia tenutasi a Lucca durante Lucca Comics and Games 2010

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INDICE

INtroduzione Compagni per caso

5 di Renato Genovese Ausonia è uno stupido!

6 di Mauro Bruni Interni Immaginari

7 di Matteo Benedetti e Roberto Irace

pinocchio Recensione

9 di Ettore Gabrielli La storia di Collodi

11 di Ausonia Morbido tagliente/Pungente morbido

16 di Ausonia

p-hpc Recensione

23 di Matteo Benedetti Recensione

24 di Massimo Galletti Evoluzione della specie

26 di Simone Celli

beauty industries Recensioni

37 di Lorenzo Pellegrini, Simone Celli

Ausonia’s serious toyz Recensione

43 di Luca Baboni La realtà che ti invecchia

44 di Ausonia Recensione

50 di Ettore Gabrielli

Interni Recensione

51 di Luigi Siviero La copertina di Interni

53 di Luigi Siviero

maestro64 di Michele Ginevra

disegnini66 di Ausonia

Urania epix74 di Ausonia

Un libro da costruire77 di Luigi Siviero

bibliografia78 a cura di Mr Alabama

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Compagniper caso

di Renato Genovese - Direttore Lucca Comics & Games

Si può conoscere una persona dopo solo quattro giorni di frequentazione?

No.

Ma anche se la suddetta frequentazione è stata intensa, cioè colazione-pranzo-cena, viaggi aerei, soste lunghe negli aeroporti di

Francoforte, Mosca e Vienna, dove essa (persona) si immolava – apparentemente capace di intendere e di volere - negli allucinanti

autodafé per fumatori!?

No. Assolutamente.

Ma nemmeno se da questa persona ti sei fatto fare le foto davanti al Cremlino visto da lontano perché c’erano le celebrazioni per

la vittoria nella Grande Guerra Patriottica del 1941-45 e di calpestare il patrio suolo della Piazza Rossa nemmeno a parlarne? Ma

nemmeno se con essa (persona) ci hai parlato in piena full immersion e non pareva che fossero sempre banali conversazioni sul

tempo o le tigri degli Urali? Ma nemmeno se sei rimasto ad ascoltarlo, rapito e stupidamente orgoglioso come se fosse figlio tuo,

mentre raccontava il suo lavoro con parole concrete e sommesse e l’aiuto di un DVD ad una platea di giovani russi ammirati nel

salone del festival Kommissia?

No. Ho detto no e basta!

Vabbé. Peccato.

Pensavo di aver capito qualcosa di Francesco Ciampi e di potervene raccontare un pezzetto. Ma non del suo talento indiscutibile

e di come riesce a trasfondere nei suoi lavori la sua anima di artista in incontrollabile e perenne evoluzione senza compromessi

né condizionamenti, che nessuno mai potrà irreggimentare in schemi o definizioni dettate a priori. Né di quella sensibilità a volte

aspra e inquieta ma profondissima che si intuisce, si vede, si tocca, si annusa e a volte si assapora tra lingua e palato nello sfogliare

i suoi libri o nell’ammirare le sue foto.

Io avrei solo voluto rivelarvi che Francesco non è solo quel polemico combattente senza peli sulla lingua, protagonista di accalorati

e radicali prese di posizione sui campi di battaglia virtuali dei blog o nelle trincee a volte inespugnabili dei forum, ma è anche – e

soprattutto – una persona aperta totalmente verso il mondo, verso l’arte, verso la cultura, verso la vita. Un uomo con le sue idee

chiare (anzi chiarissime), dotato anche di una grandissima carica umana, con un sorriso disarmante e limpido, che è lo specchio

fedele di quello che si porta dentro.

Peccato che tutto questo non ve lo possa dire: non lo conosco.

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ausoniaè uno stupido!

di Mauro Bruni - Responsabile mostre espositive Lucca Comics & Games

Ausonia: dietro questo nom de plume si cela uno dei talenti artistici più veri e genuini dell’editoria italiana:

sceneggiatore, disegnatore, illustratore, pittore, fotografo e chissà cos’altro.

Ausonia disegna, realizzando matite espressive e potenti.

Ausonia dipinge con ogni tipo di materiale e su ogni tipo di superficie.

Ausonia colora anche in digitale, con una precisione e una delicatezza riservata solo ai grandi Artisti.

Ausonia scrive: le sue sceneggiature sono poetiche, disturbanti, surreali, mai banali o scontate.

Ausonia filma e fotografa tutto e tutti.

Ausonia ha assimilato ogni tipo di medium e lo rimette in gioco riveduto e corretto dalla sua sensibilità.

Ausonia parla di ogni prossimo progetto con entusiasmo; gli occhi trasmettono una limpida convinzione

nei propri mezzi e nelle proprie idee.

Ausonia è commercialmente stupido; ogni volta che realizza un successo, commerciale e di critica,

cambia stile e personaggio. Il peggior incubo di ogni Editore.

Ausonia è un Autore, ma Ausonia è soprattutto Francesco Ciampi. Una persona, una bella persona, interessante,

arguta e intelligente. Se avete l’occasione scambiate due parole con Francesco,

sicuramente non sarà una conversazione banale.

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INTerniIMMAGINARI

di Matteo Benedetti e Roberto Irace -Curatori della mostra espositiva

Ausonia è la ricerca continua. Ausonia è la sperimentazione continua nell’ambito della comunicazione visiva.

Ausonia è un artista e un caleidoscopio di idee.

Nella personale antologica che Lucca Comics & Games dedica all’opera dell’autore fiorentino, si riuniscono tutte le strade

battute dalla sua arte. Arte che vanta opere da Pinocchio, rilettura a “tinte forti” di un classico della letteratura dove il fumetto la fa

da padrone, a P-HPC dove l’illustrazione trova una naturale commistione con la fotografia per un prodotto innovativo, passando

per Serious Toyz, carrellata di mostriciattoli pop e riflesso di una società cruda completamente allo sbando,

e Beauty Industries, divertissement onirico.

Conclusione ideale di questo percorso è poi Interni, saga autoprodotta che termina in concomitanza con il

Festival grazie all’uscita del terzo e ultimo volume: una storia nella storia, un racconto sull’Arte e il viver l’Arte, un dialogo continuo

tra autore e creatura dove i confini tra prodotto immaginario e realtà tangibile sono estremamente labili, al punto che l’autore

stesso è portato a distruggere la sua creatura.

E questo avviene sia nella finzione che nella realtà.

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pinocchiostoria di un bambinoEttore Gabrielli su Lo Spazio Bianco

“...e se la fiaba del burattino bugiardo fosse essa stessa una bugia?

Rileggendola al contrario se ne ricava un messaggio che spinge alla rivolta.”

Così commenta Ausonia, in quarta di copertina del suo ultimo lavoro. Punto di partenza è il celeberrimo romanzo per ragazzi di

Carlo Collodi, fiaba famosa in tutto il mondo e ancora oggi oggetto di recite, spettacoli teatrali, prodotti cinematografici e televisi-

vi, modi di dire; Ausonia prende il canovaccio originale e lo ribalta, nelle premesse e nei significati. Pinocchio è un

burattino di carne (carne da macello, che fa i vermi, che invecchia, ingrassa e diventa molle e disgustosa) creato dal macellaio Gep-

petto, in un mondo fatto di uomini di legno e viti (legno che si fa riparare se si deteriora, legno come apparenza). Pinocchio non è il

bugiardo per antonomasia, ma anzi l’unico che sembra dire sempre la verità tra una folla di consapevoli e fieri bugiardi.

Sono due variazioni apparentemente minime, operazione che ormai rappresenta un elemento classico della narrativa moderna,

ovvero reinterpretare i classici o la storia modificandone alcuni elementi, principali o secondari che siano. Il significato che

assume la favola alla luce di questi cambiamenti diventa totalmente differente da quello originario, assolutamen-

te spiazzante, spietatamente attuale e cinico. Le metafore che ne nascono sono completamente diverse, la morale tipicamente

favolesca viene distorta e ritorta fino a diventare grottesca eppure concreta e lampante. In un mondo popolato di burattini, la bugia

sembra la principale via di fuga dalla presa di coscienza delle proprie responsabilità, la chiave per giustificare i peggiori vizi e le

peggiori colpe, per dipingersi una favola bellissima dove in realtà c’è guerra e ingiustizia. In questo contesto, la verità diventa

un reato, diventa inutile e dannosa; non solo, diventa qualcosa di cui vergognarsi, una stupida perdita di tempo. Tanto da essere

processata, condannata, vilipesa e insultata. Il racconto si sviluppa come un lungo interrogatorio; Pinocchio, colpevole contro ogni

possibile discolpa, racconta la sua triste vita davanti a un implacabile giudice senza avere la possibilità di comprendere perché la

sua innocenza sia reato. Un processo che diventa parodia della giustizia, atto d’accusa contro la burocrazia, il cavillame e la

corruzione che hanno fatto perdere la fiducia verso chi dovrebbe creare e verso chi dovrebbe applicare la legge.

“Il fatto che dica la verità, non significa che abbia ragione! [...] Io ho bisogno di prove... Non di verità.”

Il racconto della vita di Pinocchio è pregno di violenza, esposta tanto sommessamente, senza sottolineature particolarmente

esplicite, quanto in maniera gelida e terribile. La creatura di carne ha conosciuto solo le percosse del padre, i raggiri del gatto e del-

la volpe e soprattutto, ancora più vili e agghiaccianti, le prevaricazioni e gli abusi degli altri burattini, a cominciare da Mangiafuoco

che per 5 monete approfitta di lui, fino ai compagni di cella in carcere. È una violenza mai mostrata esplicitamente, ma commenta-

ta in maniera rassegnata, triste ma quasi colpevole da parte di Pinocchio. La reazione di chi sembra non aver subito altro che

soprusi nella vita, tanto da sentirli ormai come quasi normali; Pinocchio per primo si sente sbagliato, più ancora dei comporta-

menti altrui. È un aspetto marginale dell’opera, eppure tratteggiato ottimamente, che contribuisce a un generico

senso di straniamento e di orrore.

“...in pochi giorni di vita ho conosciuto le percosse, lo stupro... e sono stato derubato. È molto per un bambino... mi creda.”

Solo l’incontro con Lucignolo dona al povero Pinocchio una pausa di felicità e spensieratezza. Il periodo trascorso nel Paese dei Ba-

locchi, là dove i giovani burattini “non ancora corrotti dall’esistenza” vivono senza le costrizioni e le meschinità del mondo adulto.

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Se il messaggio sembra all’apparenza dei più classici, ovvero la gioventù come innocenza (o, dal punto di vista dei burattini adulti,

come incoscienza), è anche velato di amarezza perché la “corruzione dell’esistenza” sembra un fatto certo e innegabile

con la crescita. Anche perché, perfino in quel posto tanto lontano dalla falsità, tutti rimangono burattini. Basta poco, basta aguz-

zare la vista, per vedere tutti i fili che legano ogni persona, fin da giovanissima, a un grande burattinaio nascosto in alto nel cielo.

Un burattinaio cui il lettore può dare migliaia di nomi diversi a seconda dell’occasione, ma che sempre tiene quei fili da cui è tanto

doloroso staccarsi, quei fili che sono sì costrizione ma anche rassicurante sicurezza.

“Quei fili... Pinocchio, ma dove vanno a finire? Tu lo sai?”

“No... Non lo so.”

Il tema centrale del racconto resta la guerra, fisica e non solo immaginaria, tra chi difende la falsità e il confor-

mismo come ragione di vita e chi invece coltiva la verità. Una guerra che si presenta crudele quanto tenuta ai margini del

sentito, quasi nascosta lontano dagli occhi di chi, perso tra tante bugie, non sa più cosa farsene del mondo reale. Ma chi difende

il valore della sincerità, del vero? Sono i grilli, i grilli che si insediano nelle bocche dei burattini e li rendono sinceri, portandoli

verso una guerra fratricida. Ecco ancora che il ribaltamento della prospettiva colpisce il lettore: la condizione naturale per queste

persone, fatte sì di legno ma molto, molto simili a noi, è la menzogna. La verità è una condizione esterna, quasi aliena,

che sembra arrivare a disturbare la quiete della società e il buon vivere della gente “normale”. Una delle scene più significative in

questo senso è il dialogo tra Pinocchio e un burattino diviso in due parti perfettamente simmetriche da una bomba; una metà ha

dentro sé un grillo, l’altra no, e tra loro litigano sulla versione da dare dei fatti, in continua contrapposizione, verità contro falsità,

fino a renderle entrambe così labili da non distinguerle più. Il pensiero non può che andare alla politica, dove si può assistere al

distorcimento della realtà elevato quasi ad arte; ma anche nella società comune, dove regna l’ipocrisia o il conformismo a tutti i

costi, si può assistere a quanto sia semplice alterare la verità fino a renderla confusa. Quando la verità deve difendersi da ciò

che vero non è, continuamente, rischia di perdere forza e valore, riducendo la sua affermazione a uno scontro

dialettico surreale e screditante.

“Qualsiasi assurdità può essere giustificata! Con l’ingegno e la menzogna!”

Se la favola originaria di Collodi terminava con la classica morale educativa, con il messaggio indirizzato ai bambini che non obbe-

discono ai genitori, la versione di Ausonia ribalta anche il concetto di morale stessa. Perché il finale, in cui gli aguzzini di Pinocchio

lo dissezionano per trovare la causa del suo “male”, è amaro non meno del resto del volume. Pinocchio è un perdente, la sua condi-

zione è quella di chi ha cercato di vivere nella verità e per questo ha ricevuto solamente insulti, violenza, infelicità.

“So solo che è difficile... Provare ad essere libero. È stata un’avventura spaventosa.”

Il tratto esibito da Ausonia è assolutamente funzionale al racconto. Figure malsane, bizzarre, corrotte anche visivamente,

burattini dagli sguardi ottusi e impietosi, colori cupi e opprimenti. La massa di carne di Pinocchio si fa molliccia e grassa, il suo

naso di carne si allunga in tanti filamenti di interiora. Il montaggio è abile, coinvolgente, le inquadrature guidano il senso di lettura

in maniera non banale ma senza mai perdersi nell’esercizio di stile fine a sé stesso; il capitolo finale, in cui si mescolano la vivise-

zione di Pinocchio con i suoi ricordi e il suo inconscio, è riuscitissimo, disturbante, malinconico.

Quello di Ausonia è un fumetto che non esiterei a definire politico nel senso più ampio del termine. La critica alla società, per

quanto già sentita e già affrontata in tanti ambiti, è resa con arguzia e intelligenza. Il racconto non assume mai il senso di una vo-

lontà moralizzatrice, è piuttosto una critica sottilmente feroce, capace di passare quasi in sordina per riaffiorare a lettura ultimata,

costringendo a rileggere e ad affrontare nuovamente la storia per coglierne il quadro generale, le implicazioni più evidenti e quelle

sottintese. Dopo anni di lontananza, il ritorno di Ausonia è una sorpresa di quelle che lasciano il segno, una voce origi-

nale e acuta da non lasciarsi scappare.

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la storia dicollodi

Ausonia in un’intervistarilasciata all’amica Gea

“L’idea forse è nata quand’ero piccolo.

Era il 1979, mia madre mi forzava ogni

mattina, prima di andare a scuola, a leggere

qualche pagina di una vecchia edizione di

Pinocchio (Adriano Salani, 1946) illustrata

benissimo da F. Faorzi. Il punto è che a sei

anni tutto ciò che provi a leggere... lo detesti.

Fai fatica, è difficile. Così ancor prima di

capire di cosa stia parlando il libro che hai

tra le mani, sai già che lo odi. Che lo odi

profondamente. Andavo a scuola e ogni

mattina dicevo a qualcuno “Pinocchio

è una merda”.

E per anni (una ventina) ho ripetuto

“Pinocchio di Collodi? È una merda”.

inquadrature guidano il senso di lettura in maniera non banale m

a senza mai perdersi

nell’esercizio di stile fine a se’ stesso; il capitolo finale, in cui si mescola la vivisezione di

Pinocchio con i suoi ricordi e il suo inconscio, è riuscitissimo, disturbante, m

alinconico.

Vittorio Pavesio Productions

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Nel 1999 qualcuno mi disse che mi sbagliavo

e di grosso, e che Collodi aveva scritto

qualcosa di davvero interessante. Decisi di

comprarne un’edizione economica, Giunti,

mi pare... con le bellissime illustrazioni di

C. Chiostri incise su legno da A. Bongini.

Lo lessi in un giorno. Più lo leggevo, più

mi sembrava incredibile scoprire come

Pinocchio fosse un libro pericolosamente

sovversivo che spingeva all’omologazione e

alla perdita dell’individualità e che obbligava

i figli a riconoscere i padri come padroni a

cui sacrificare le loro vite

e le loro aspirazioni.

Passarono ancora degli anni.

I motivi per cui continuavo a parlare male di

quel libro erano cambiati, ma continuavo a

parlarne male.

Avevo letto ancora una volta Pinocchio

e, nonostante le mie opinioni a riguardo,

notai che conteneva non poche suggestioni

visive... cominciai a riconoscere che

Collodi era, comunque, riuscito a creare

un’ambientazione straordinaria e che i suoi

personaggi, appena nati dalla sua penna,

erano già dei classici: Mangiafuoco, il

gatto e la volpe... credo ne fosse

consapevole lui stesso.

Nel momento in cui Pinocchio

entra nel “teatro dei burattini”, infatti,

le maschere classiche come Pulcinella e

Arlecchino lo riconoscono subito, urlano:

“È il nostro fratello Pinocchio!”, come

se fosse già uno di loro. Un classico,

appunto. E in quel caso ho trovato Collodi

davvero moderno, presuntuosamente pop.

Grandioso.

Ma in quell’ultima lettura del libro

Pagine di storyboard, formato 21 x 29,7 cm, 2005

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cominciai ad individuare cose, nel testo,

quantomeno contraddittorie. La prima fu

proprio il nome che Geppetto mette al suo

bambino. Pinocchio. Se io fossi un povero

vecchio solo, desideroso di avere un figlio...

e me ne costruissi uno... beh, lo chiamerei

Mario, davvero. O Felice. Giorgio. Francesco.

Insomma, gli darei il nome di un essere

umano. Perché desidero che diventi di carne.

Reale. Vivo. “Occhio di Pino” è il nome di un

bimbo di legno impossibilitato a crescere. È

il nome giusto per una marionetta. E quando

Geppetto spiega le origini di quel nome, lo fa

così: “Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo

nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto

una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio

il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i

ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più

ricco di loro chiedeva l’elemosina”.

Ora, i nomi propri sono degli

auspici, dei portafortuna che i genitori

regalano ai figli... esiste il nome Gioia, non

Tristezza. Speranza, non Vanasperanza.

Esiste Vittorio, non Sconfitto. Franco, non

Subdolo... certo, Geppetto sembra un uomo

di spirito, ma il suo amore per quel bambino

è troppo profondo per dargli un nome che lo

inchiodi per sempre al legno e alla sua non

umanità. Stranissimo.

Collodi, parlandoci della trasformazione di

un monello in bambino perbene, ci parla di

un contesto sociale degradato e violento. E

lo fa con toni davvero splatter, a volte. Scene

che la Disney non ha potuto che censurare

nella sua bigotta versione cinematografica.

Come quella in cui i due assassini (il gatto

e la volpe) cercano di derubare il burattino: Pagina di storyboard, formato 21 x 29,7 cm, 2005

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“Allora l’assassino più piccolo di statura,

cavato fuori un coltellaccio provò a

conficcarglielo, a guisa di leva e di scalpello,

fra le labbra: ma Pinocchio gli azzannò la

mano con i denti, e dopo avergliela con un

morso staccata di netto, la sputò”.

Pinocchio è una vittima del mondo in cui

vive. Questo capivo della fiaba di Collodi.

Pinocchio è un’Arancia meccanica ante

litteram. Ecco perché Geppetto gli da quel

nome, perché niente potrà mai salvare quel

bambino dal suo destino di schiavo,

appeso per i fili.

In quel periodo, era il 2005, Gipi stava

girando I cento Pinocchi, un medio

metraggio su una famiglia di burattini che

costruiva burattini... mi chiamò una volta,

per avere un parere tecnico su dei nasi in

lattice da applicare agli attori, e ebbi modo

di parlargli di un’idea che avevo avuto su una

possibile rilettura della fiaba di Pinocchio...

e mi venne fuori per la prima volta, così, di

getto. E ci sembrò buona. Mi pare.

Fu da quel momento che

cominciai a prendere appunti e a volerne fare

un libro a fumetti.

L’idea era semplice ma efficace, usare

il libro di Pinocchio come fonte principale

e ricavarne una sceneggiatura al contrario.

Così immaginai un mondo popolato da

burattini, in cui ce n’era uno, Geppetto, il

macellaio, che trovando un pezzo di carne

parlante decide di farne un bambino, che

dovrà essere così ubbidiente da sembrare

un burattino. Eccola l’idea. E mai come

in questo caso la fiaba di Pinocchio mi è Pagina di storyboard, formato 21 x 29,7 cm, 2005

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Page 17: Interni immaginari - Ausonia

sembrata più coerente e vera.

Non dovevo quasi inventare nulla, era già

tutto scritto, ma era tutto sbagliato e dovevo

correggerlo e metterlo a posto. Facile.”

Pagine di storyboard, formato 21 x 29,7 cm, 2005

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Page 18: Interni immaginari - Ausonia

MORBIDOTaglientepungentemorbido

Ausonia

“C’erano delle macchie scure tutte intorno.

E al centro qualcosa di meraviglioso che

sentivo di dover estrarre e poi osservare.

Più o meno la sensazione è questa, ogni volta

che capisco che sta per venirmi fuori

un’idea per una storia.

Ma all’inizio non puoi metterti lì e capire

China e matita bianca su cartoncino colorato, formato 32,5 x 46 cm, 2006

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Page 19: Interni immaginari - Ausonia

cosa sia. Cosa c’è al centro di quella nebulosa

scura. Non puoi disegnarlo… se non disegni

prima la nebulosa stessa.

Così cominci a fare cose con una penna, per-

ché quello che hai non è neanche un’idea. È

un po’ come i disegnini geometrici che faccio

quando sono al telefono.

Traduco le parole della conversazione in

segni. La mano apparentemente segue

solo quei suoni e non il loro significato. Ho

rubriche piene di scarabocchi. Scarabocchi

magici, che a riguardarli bene ti torna in

mente ogni singola frase della telefonata. China e matita bianca su cartoncino colorato, formato 32,5 x 46 cm, 2006

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Page 20: Interni immaginari - Ausonia

China e matita bianca su cartoncino colorato, formato 32,5 x 46 cm, 2006

Associavo il suono della parola burattino

al suono della parola burro. Morbido. E a

quello della parola pattino. Il pattino che

scivola e incide il ghiaccio. Tagliente. dise-

gnavo cerchi morbidi che finivano per avere

un angolo su un lato.

E quella, a mia insaputa, sarebbe stata la

forma geometrica che avrebbe caratterizzato

l’aspetto dei burattini che avrebbero

popolato la mia storia. Personaggi morbido-

taglienti. Degli ossimori deambulanti e

parlanti. E soprattutto bugiardi. Ma niente di

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