Intenzionalità della percezione - UniBG · Intenzionalità della percezione È diffiile rinuniare...

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Intenzionalità della percezione È difficile rinunciare all’idea che la percezione abbia natura relazionale, cioè che gli stati di esperienza percettiva siano intenzionali. Il paradigma di stato intenzionale è la credenza. Una credenza è vera se e solo se il contenuto della credenza corrisponde a come stanno le cose nel mondo. Si potrebbe cercare di caratterizzare l’esperienza percettiva in modo analogo, come uno stato dotato di un contenuto che rappresenta, veridicamente o meno, il mondo.

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Intenzionalità della percezione

È difficile rinunciare all’idea che la percezione abbia natura relazionale, cioè che gli stati di esperienza percettiva siano intenzionali.Il paradigma di stato intenzionale è la credenza. Una credenza è vera se e solo se il contenuto della credenza corrisponde a come stanno le cose nel mondo. Si potrebbe cercare di caratterizzare l’esperienza percettiva in modo analogo, come uno stato dotato di un contenuto che rappresenta, veridicamente o meno, il mondo.

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Intenzionalità della percezione

Le esperienze sono tuttavia diverse dalle credenze: io posso pensare a qualcosa che non c’è, ma non posso percepire (nel suo senso primario) qualcosa che non c’è: sembra essere intrinseca al concetto di esperienza l’idea di un contatto tra un soggetto e un oggetto.

Ciò apre la strada alla possibilità di distinguere l’esperienza percettiva dall’allucinazione.

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La teoria causale

La percezione è un tipo di relazione causale: affinché X abbia un’esperienza percettiva di un O, O deve essere un fattore causale dell’esperienza.

Più rigorosamente:

X ha un’esperienza visiva di un O se e solo se

a) A X sembra di vedere un O

b) O è causa dell’esperienza di X

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Argomenti per la teoria causale (1)

(La clausola caratteristica della teoria causale è la b, quindi è per essa che si devono fornire argomenti).

Argomento di Grice (1961): se non si impone il requisito specificato dalla (b), allora il fatto che io abbia un’esperienza veridica potrebbe essere una mera coincidenza e le allucinazioni veridiche (allucinazioni che, fortuitamente, corrispondono al vero) sarebbero percezioni genuine.

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Allucinazioni veridiche

C’è una mela rossa di fronte a me. Un neuroscienziato interviene sul mio cervello in modo tale da indurre un’esperienza percettiva esattamente identica a quella che avrei se non ci fosse stato tale intervento. Poiché il neuroscienziato avrebbe potuto indurre a piacere un’altra esperienza (ad es. di una mela verde), il fatto che la mia esperienza sia veridica è del tutto fortuito: la mela reale non è un fattore causale della mia esperienza. Non si tratta di un’esperienza percettiva.

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Argomenti per la teoria causale (2)

Argomento epistemologico: se la percezione deve essere fonte di conoscenza, deve esserci un processo affidabile alla base. Se non ci fosse un nesso causale, non saremmo in grado di giustificare il valore informativo (conoscitivo) dell’esperienza percettiva.

(non è obbligatorio che la giustificazione del valore conoscitivo passi attraverso il requisito b, ma certamente il requisito a non è sufficiente).

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Obiezioni alla teoria causale

- Pluralità dei fattori causali rilevanti (luce, occhio, nervo ottico ecc.).

Replica: è sufficiente che l’oggetto esterno sia un fattore causale, non che sia l’unico.

- Problema delle catene causali devianti: l’oggetto è all’origine del processo causale, ma la sua identità (ciò che esso è) non svolge alcun ruolo nel determinare il contenuto dell’esperienza visiva.

In questi casi i requisiti della definizione sono soddisfatti anche quando intuitivamente non vorremmo dire che si tratta di una esperienza percettiva genuina.

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Catene causali devianti: un esempio

Il mio cervello è collegato con degli elettrodi a un sistema digitale che induce un’esperienza visiva di una mela rossa tutte le volte che un oggetto qualsiasi viene posto sul tavolo di fronte al quale sono seduto (la funzione dell’oggetto è cioè meramente quella di innescare il funzionamento del sistema, senza influire sul tipo di esperienza visiva, che è prefissata, sempre la stessa). Supponiamo ora di mettere sul tavolo una mela rossa, così da rendere indistinguibili l’esperienza visiva indotta artificialmente e quella che avrei in condizioni naturali, senza alcun apparato . In questo caso c’è una catena causale che collega l’oggetto reale col mio cervello, ma è l’apparato artificiale che determina il tipo di esperienza (come nelle allucinazioni veridiche).

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Il problema delle catene causali devianti

Si potrebbe precisare il requisito b della definizione, dicendo che il tipo di processo causale in questione deve essere “normale” o “appropriato” .

Es. “X ha un’esperienza percettiva di un O se e solo se a X sembra di percepire un O e la sua esperienza è indotta, tramite un normale processo causale, da O”.

Obiezione (Lewis 1980): clausole di questo tipo rischiano di negare la possibilità di avere percezioni genuine a soggetti che hanno telecamere al posto degli occhi o chip in sostituzione di circuiti cerebrali compromessi (visione protesica). La visione protesica è nondimeno visione genuina.

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La proposta di Lewis

1) Per definire le condizioni di appropriatezza del nesso causale, bisogna prendere in considerazione anche situazioni controfattuali rispetto all’esperienza in atto.

2) Oggetto e contenuto dell’esperienza devono covariare

Formalmente:

X ha un’esperienza visiva di una scena S se e solo se:a) nelle circostanze attuali il contenuto dell’esperienza di X è causato da S e corrisponde a S;

b) in circostanze simili a quelle attuali, una scena S*causerebbe un’esperienza con un contenuto corrispondente a S*.

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Obiezioni alla teoria causale (segue)

Non è chiaro come si debba trattare l’illusione. Sembrerebbe che non possano essere considerate casi genuini di percezione, perché non c’è (completa) corrispondenza tra ciò che appare al soggetto e ciò che causa l’esperienza (cfr. Calabi 2009, p. 58).

Replica: si può cercare di modificare il requisito a

Es. «X percepisce O se e solo se ha un’esperienza il cui contenuto si confà [suitably matches] ad O» (Lowe2000, p. 139).

Come nel caso delle clausole di normalità/appropriatezza, c’è un problema di vaghezza di formulazione.

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Indeterminatezza della teoria causale

Più che una teoria, quella causale è una condizione che teorie più specifiche potrebbero voler soddisfare: la teoria causale soffre di una certa indeterminatezza.

Non si riesce facilmente a trovare una formulazione che non sia né troppo restrittiva né troppo liberale.

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La teoria disgiuntiva

Idea-guida: la percezione è costitutivamente una relazione con parti del mondo.

Gli oggetti reali con le loro proprietà sono costituenti (dei contenuti) dell’esperienza.

Le allucinazioni non sono esperienze percettive

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La teoria disgiuntiva

Formulazione:

A X sembra di vedere un O =

o X ha un’esperienza visiva di un O

o X ha un’allucinazione di un O

(disgiunzione esclusiva)

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La teoria disgiuntiva

Il primo disgiunto (X ha un’esperienza visiva di un O) è da interpretarsi nel senso che l’oggetto O è un costituente del contenuto di esperienza.

Dunque il contenuto non è una rappresentazione, bensì è dato dalla collezione degli oggetti e delle proprietà reali dello scenario percepito.

In questo senso la teoria disgiuntiva implica che un’esperienza percettiva sia un contatto diretto col mondo. Nell’esperienza, incontro il mondo (come prescrive il principio di trasparenza)

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Argomenti per la teoria disgiuntiva

- Tratta allucinazione e percezione come due esperienze di natura completamente diversa, come è ragionevole sostenere a dispetto della possibilità di identità fenomenologica.

- È l’unica teoria che dà davvero conto (o almeno, è quella che meglio dà conto) del principio di trasparenza: solo considerando gli oggetti reali come parti del contenuto si cattura l’idea del contatto diretto

- è la teoria che meglio giustifica la tesi secondo cui la percezione è fonte di conoscenza.

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Obiezioni alla teoria disgiuntiva

In base alla definizione le illusioni non sono casi genuini di esperienza percettiva, perché sono proprietà che l’oggetto non possiede; d’altra parte le illusioni non sono allucinazioni.

Replica (Brewer 2007): nelle illusioni un oggetto sembra avere una proprietà che in realtà non possiede, ma questa proprietà è, in altre circostanze, esemplificata. In altre parole, nelle illusioni attribuiamo erroneamente una proprietà a un oggetto, ma non per questo la proprietà è “irreale”. Qualunque spiegazione delle illusioni (e in generale di ciò che appare) presuppone il concetto di percezione veridica.

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La replica di Brewer

«The basic idea is that the core subjective character of perceptual experience is given simply by citing the physical object which is its mind-independent direct object. From various points of view, and in various circumstances of perception, physical objects have visually relevant similarities with paradigms of various kinds, or types, of such things. These may intelligibly lead us to take them as instances of such kinds when seen from the relevant points of view in the circumstances in question. Thus, they look various ways to us. Illusions are cases in which the direct object of experience has such similarities with paradigms of a kind of which it is not in fact an instance.»

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Obiezioni alla teoria disgiuntiva (segue)

La teoria nega la common kind assumption, cioè la tesi secondo cui un’esperienza percettiva veridica e una non veridica (un’illusione) possono essere lo stesso tipo di esperienza (Martin 2004; Burge 2005).

Replica: un’esperienza percettiva veridica e una non veridica possono condividere soltanto un fattore fenomenologico, ma non si vede perché l’identità fenomenologica dovrebbe implicare identità di tipo di esperienza.

[controreplica: non è detto che il fattore sia puramentefenomenologico: in circostanze diverse due esperienze possono avere lo stesso contenuto, pur essendo una vera e

l’altra falsa, vedi oltre le teorie rappresentazionali]

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Obiezioni alla teoria disgiuntiva (segue)

La teoria prevede che una differenza in un oggetto o proprietà reale non rilevata dai recettori sensoriali faccia nondimeno una differenza per il contenuto dell’esperienza. Questo è intuitivamente implausibile e in contrasto con quanto sappiamo dalla psicologia empirica della percezione (Burge 2005; 2010).

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Obiezioni alla teoria disgiuntiva (segue)

L’idea del contatto diretto è poco più di una metafora. Il primo disgiunto (X ha un’esperienza visiva di un O) è in effetti analizzato solo “negativamente”, nel senso che ci viene detto soltanto come non deve essere inteso:

- Non è richiesto un nesso causale

- Non è una relazione tra un soggetto e una rappresentazione

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La teoria rappresentativa (o intenzionalista)

Avere un’esperienza percettiva di qualcosa è avere una rappresentazione mentale di quella cosa.

Se la rappresentazione corrisponde alla cosa, allora l’esperienza è veridica, altrimenti l’esperienza è falsa.

Nell’esperienza percettiva il mondo ci è dato in un certo modo, e questo modo in cui ci è dato può riflettere il modo in cui il mondo è più o meno adeguatamente.

Le qualità dell’esperienza sono rappresentazioni di proprietà. Non c’è una sensazione al di là del contenuto rappresentazionale dell’esperienza.

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La teoria rappresentativa (o intenzionalista)

Questione della distinzione tra oggetto e contenuto.

Poiché diverse volte noi esperiamo semplicemente oggetti: (vedere che P vs. vedere un O), bisogna raffinare la teoria: il contenuto di un’esperienza percettiva è costituito da una collezione di proprietà.

Es. vedere un cubo rosso = <forma cubica, rossezza> (se il cubo in realtà è verde, l’esperienza è falsa illusione).

Le cosiddette proprietà qualitative sono proprietà degli oggetti percepiti così come ci sono date nell’esperienza percettiva: «le proprietà che gli oggetti sono rappresentati avere»

(Dretske 1995, p. 65). L’esperienza della rossezza non è nient’altro che il vedere un oggetto come rosso.

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La teoria rappresentativa (o intenzionalista)

Le esperienze possono essere relazioni col mondo solo in quanto sono rappresentazioni. Il tipo di relazione tra esperienza e mondo è rappresentativo.

( esperienze come immagini del mondo).

Le esperienze percettive “funzionano” come le credenze (e come altri stati mentali): esse sono relazioni tra un soggetto e un “contenuto”, il contenuto rappresentazionale o intenzionale, che è una rappresentazione (veridica o meno) di una situazione.

X contenuto rappresentazionale (o intenzionale) mondo

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La teoria rappresentativa (o intenzionalista)

«Come il termometro (…) ha la funzione di dare informazioni sulla temperatura di qualunque corpo con cui sia messo a contatto, così l’esperienza (senza la necessità di alcuna convenzione) ha la funzione di dare informazioni sull’ambiente.» (Calabi 2009, p. 43)

Il termometro rappresenta la temperatura di un corpo. L’esperienza rappresenta oggetti e proprietà di una porzione di ambiente.

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La teoria rappresentativa (o intenzionalista)

Vedere (che ci sia ) una penna sul tavolo. Se non c’è una penna sul tavolo, allora l’esperienza è in realtà un’allucinazione, in quanto non è veridica (ma è nondimeno un’esperienza percettiva necessità di spiegare che differenza c’è tra un’esperienza percettiva e la credenza falsa che ci sia una penna sul tavolo).

Le credenze hanno per contenuto una proposizione, le esperienze percettive no (una proposizione è una struttura articolata in costituenti discreti; il contenuto di un’esperienza percettiva è di natura analogica, simile a un’immagine).

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Argomenti per la teoria intenzionalista

Offre la soluzione migliore alla questione della controversia tra realismo diretto e realismo indiretto.

Realismo diretto = i costituenti dei contenuti dell’esperienza percettiva sono oggetti e proprietà del mondo reale

Realismo indiretto = i costituenti dei contenuti dell’esperienza percettiva sono enti mentali

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Realismo diretto vs. indiretto

Teoria disgiuntiva Realismo diretto

Teoria del dato sensoriale Realismo indiretto

Teoria rappresentazionale ? (realismo rappresentativo)

Cfr. ad es. «L’esperienza percettiva non è una reale apertura al mondo, nel senso che non comporta essenzialmente una relazione ai suoi oggetti. Ma la tesi dell’intenzionalista è che l’esperienza, come le altre forme di intenzionalità, comporta l’apparenza di una relazione.» (Crane 2005)

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Realismo diretto vs. indiretto

Il problema secondo Crane:

Qualunque analisi dell’esperienza percettiva deve dar conto del principio fenomenico e del principio di trasparenza ma i due principi non possono essere simultaneamente veri nei casi in cui l’esperienza percettiva non è veridica.

Principio fenomenico = se a X sembra che qualcosa sia F, c’è qualcosa con cui X è in relazione.

Principio di trasparenza = le proprietà costitutive dei contenuti di esperienza ci appaiono come proprietà del mondo, non come proprietà intrinseche dell’esperienza stessa.

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La soluzione intenzionalista

Una rappresentazione, cioè uno stato intenzionale, può vertere anche su oggetti non esistenti.

I contenuti degli stati di esperienza percettiva hanno un’esistenza meramente intenzionale. Essi esistono, ma non nel senso che sono parti del mondo reale.

I soggetti non sono, perlomeno non sempre, in grado di discriminare esistenza reale (“autentica”) da esistenza intenzionale. Ciò corrisponde al fatto che un’allucinazione può essere fenomenologicamenteidentica a una percezione veridica.

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La soluzione della teoria intenzionalista

Quando l’esperienza è allucinatoria, i soggetti sono in relazione con oggetti meramente intenzionali.

Quando l’esperienza è veridica, i soggetti sono in relazione con enti reali (oggetti autentici).

Nell’esperienza veridica e specificamente nelle illusioni gli oggetti ci sono tuttavia dati in un certo modo.

I modi in cui gli oggetti ci sono dati sono i costituenti dei contenuti di esperienza.

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Obiezioni alla teoria intenzionalista

Non abbiamo la minima idea di che cosa sia l’in-esistenza intenzionale. Qualunque cosa essa sia, non è esistenza autentica, e allora non c’è nessuna differenza tra la teoria intenzionalista e la teoria del dato sensoriale (la teoria intenzionalista è quindi una versione di realismo indiretto).

Replica: i contenuti intenzionali sono delle finzioni teoriche. Ci sembra di essere in relazione a qualcosa, ma non ci sono davvero entità nella nostra testa con cui siamo in relazione.

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Obiezioni alla teoria intenzionalista

La teoria rappresentativa non è in grado (come invece pretende) di dar conto del principio di trasparenza, perché noi non esperiamo l’esperienza come una rappresentazione del mondo; il mondo ci è bensì dato “direttamente” nell’esperienza (Martin 2004).

Replica: Essere in relazione con un contenuto rappresentativo non implica che le proprietà costitutive del contenuto debbano essere esperite come rappresentazioni: non è necessario che il contenuto di esperienza sia un oggetto di consapevolezza

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Obiezioni alla teoria intenzionalista

Se il contenuto dell’esperienza è una rappresentazione, i soggetti sono in relazione diretta con la rappresentazione e non col mondo anche la teoria intenzionalista è compromessa col problema del “velo della percezione” (realismo indiretto)

Replica: le rappresentazioni sono modi in cui gli oggetti ci sono dati. Ma noi siamo in relazione con gli oggetti (datici in certi modi), non con i modi in quanto tali. I modi in cui gli oggetti ci sono dati non sono oggetti ulteriori.

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Obiezioni alla teoria intenzionalista

L’obiezione della visione sfuocata.

Vedo, con gli occhiali, il libro sul tavolo. Mi tolgo gli occhiali. Continuo a vedere il libro sul tavolo, ma lo vedo sfocatamente: non c’è differenza nel contenuto rappresentativo, perché la sfocatezza non è percepita come una proprietà dell’oggetto. Dunque la sfocatezza è una proprietà intrinseca dell’esperienza e non del contenuto. Ci sono sensazioni visive over and above i contenuti rappresentativi.

Replica: c’è differenza nel contenuto rappresentativo. Se il libro mi appare sfuocato, questo è un modo in cui il libro mi è

dato. Il “libro sfuocato” è un costituente del contenuto.

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Realismi a confronto

Pro realismo diretto:

- Principio di trasparenza

- Successo dell’azione

- No scetticismo

Pro realismo indiretto:

- Analogie tra percezioni veridiche, illusioni e allucinazioni

(common-kind assumption)

- Natura non meramente passiva dei sistemi sensoriali