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DOSSIER / MERCATI E VALORI Salute e diritti Il modello ebraico Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 9 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00 n. 6 - giugno 2017 | סיוון5777 SHABBAT KORACH 24 GIUGNO 2017 MILANO 20.07 22.08 | FIRENZE 20.42 21.43| ROMA 20.31 21.31| VENEZIA 20.45 21.45 www.moked.it Sergio Della Pergola/ a pag. 23 Informazione, una forzatura che desta inquietudine CULTURA / ARTE / SPETTACOLO Culto, storia e mito del candelabro a sette braccia che simboleggia l’ebraismo. Due mostre e una collaborazione senza precedenti fra Musei Vaticani e Museo ebraico di Roma. a pagg. 30-31 UNA GRANDE MOSTRA PER LA MENORÀ 1967 David Bidussa MITO Anna Segre DIALOGO Marco Cassuto Morselli ISRAELE Daniel Haviv ISRAELE Francesco Lucrezi INTEGRAZIONE Emanuele Calo GENOCIDIO Gadi Luzzatto Voghera OPINIONI A CONFRONTO ------------------------------------ PAGG. 23-26 --------------------------------- IL LIBRO CHE VINCE Il ministro della Cultura Dario Franceschini, il mondo degli editori con Ricardo Franco Levi, le nuove anime del Salone del Libro Massimo Bray, Mario Montalcini e Nicola Lagioia. Un dialogo a più voci sulla cultura italiana che vuole crescere. / alle pagg. 2-3 e 28-29 Ebrei di Libia, una storia indelebile Gli appuntamenti per ricordare i 50 anni dalla cacciata e l’arrivo in Italia a pag. 2 Allievo di Leibowitz e Lacan, Gérard Haddad spiega le radici dell’intolleranza “Il fanatismo? Mandiamolo dallo psicanalista” a pagg. 6-7 giorgio Albertini Durante la sua prima visita in Israele da quando è alla guida degli Stati Uniti il Presidente Donald Trump ha lasciato intendere che la pace è a portata di mano. “Lo sappiamo tutti - ha detto - entrambe le parti devono affrontare decisioni difficili, ma gli israeliani e i palestinesi possono raggiungere un accordo”. “Farò la pace tra israeliani e palestinesi” aveva annunciato pochi mesi prima di essere eletto. alle pagg. 8-9 Trump a Gerusalemme Cambia la politica Una società si distingue anche per il livello di assistenza che è in grado di offrire alle fasce più deboli. Il tema al centro del festival Trento Economia in un dossier che racconta alcune prospettive ebraiche di politica sanitaria. / alle pagg. 15-22 © Harvard University

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DOSSIER / MERCATI E VALORI

Salute e diritti

Il modello ebraico

Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 9 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00

n. 6 - giugno סיוון | 2017 5777

SHABBAT KORACH 24 GIUGNO 2017MILANO 20.07 22.08 | FIRENZE 20.42 21.43| ROMA 20.31 21.31| VENEZIA 20.45 21.45

www.moked.it

Sergio Della Pergola/a pag. 23 Informazione, una forzatura che desta inquietudine

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

Culto, storia e mito del candelabro a sette bracciache simboleggia l’ebraismo. Due mostre

e una collaborazione senza precedenti fra Musei Vaticani e Museo ebraico di Roma.

a pagg.30-31

UNA GRANDE MOSTRA

PER LA MENORÀ

1967David Bidussa

MITOAnna Segre

DIALOGOMarco Cassuto Morselli

ISRAELEDaniel Haviv

ISRAELEFrancesco Lucrezi

INTEGRAZIONEEmanuele Calo

GENOCIDIOGadi Luzzatto Voghera

OPINIONI

A CONFRONTO------------------------------------ PAGG. 23-26 ---------------------------------

IL LIBRO CHE VINCEIl ministro dellaCultura DarioFranceschini, ilmondo degli editoricon Ricardo FrancoLevi, le nuoveanime del Salonedel Libro MassimoBray, MarioMontalcini e Nicola Lagioia. Un dialogo apiù voci sulla cultura italiana che vuolecrescere. / alle pagg. 2-3 e 28-29

Ebrei di Libia, una storia indelebileGli appuntamenti per ricordare i 50 anni dalla cacciata e l’arrivo in Italia a pag. 2

Allievo di Leibowitz e Lacan, Gérard Haddad spiega le radici dell’intolleranza

“Il fanatismo? Mandiamolo dallo psicanalista” a pagg.

6-7

gior

gio

Albe

rtini

Durante la sua prima visita in Israele daquando è alla guida degli Stati Uniti il

Presidente Donald Trump ha lasciatointendere che la pace è a portata di mano. “Lo sappiamo tutti - ha detto - entrambe leparti devono affrontare decisioni difficili, magli israeliani e i palestinesi possonoraggiungere un accordo”. “Farò la pace traisraeliani e palestinesi” aveva annunciatopochi mesi prima di essere eletto.

alle pagg. 8-9

Trump a GerusalemmeCambia la politica

Una società si distingue anche per il livello

di assistenza che è in grado di offrire alle

fasce più deboli. Il tema al centro del

festival Trento Economia in un dossier che

racconta alcune prospettive ebraiche di

politica sanitaria. / alle pagg. 15-22

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/ P2 POLITICA / SOCIETÀ n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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Un mondo poco conosciuto, alungo rimasto in silenzio, ma chenel recente passato ha riscopertoil suo valore e il desiderio di riaf-fermare, anche in pubblico, leproprie tradizioni. È quello del-l'ebraismo delle comunità pro-venienti dai paesi arabi, che circamezzo secolo fa furono costrettead abbandonare le proprie casee scelsero di fare l'aliyah (la "sa-lita" verso Israele) oppure di tro-vare rifugio in paesi come l'Italia.Nell'anniversario dalla cacciatae del loro arrivo nel nostro pae-se, la storia degli ebrei libici tornain particolare ad emozionare contutto il suo carico di dolore, maanche di impegno e vitalità. Lasperanza e la creatività sprigio-nate da questo mondo come vei-

colo per abbattere ogni ostaco-lo. Al Cinquantenario sono dedicatenumerose iniziative in program-ma nelle prossime settimane, aRoma e non solo. Con al centrouna grande serata, mercoledì 28giugno al Teatro Argentina (di-rezione artistica del ConsigliereUCEI Hamos Guetta) che por-terà in scena la ricchezza e lacomplessità di questa comunità.Le sue peculiarità, i suoi perso-naggi fondamentali. Prima ancora un significativomomento istituzionale con la vi-sita nel Tempio maggiore di Ro-ma, mercoledì 7 giugno, del pre-mier Paolo Gentiloni. L'occasio-ne per ricordare i pogrom e sof-ferenze di quei giorni, ma anche

per rendere omaggio a due sto-riche figure della comunità libicanella Capitale: Shalom Tesciubae Sion Burbea. Ad essere cele-brato sarà infatti lo straordinarioapporto alla vita comunitaria diquesto nucleo, la sua capacità digenerare nuovo entusiasmo enuovi progetti. Il Primo Ministronon soltanto interverrà, ma por-terà una propria testimonianzaal riguardo. "L’arrivo degli ebrei di Libia inItalia, in fuga dopo la guerra delgiugno 1967, ha profondamentesegnato la realtà demografica,culturale e religiosa dell’ebraismoromano. Tenendo per sé il lorocarico di dolore, gli ebrei tripolinie bengasini, come prima di lorogli ebrei fuggiti dalla totalità dei

paesi arabi e islamici, hanno con-tribuito al rinnovamento dellavita comunitaria in ogni suoaspetto" ha sottolineato sulloscorso numero del giornale del-l'ebraismo italiano Pagine Ebrai-che l'assessore alla Cultura del-l'Unione David Meghnagi, inter-venendo all'interno dello specialedossier "Edot e De'ot". "Attraverso questa celebrazione- aggiunge Meghnagi - l’ebrai-smo italiano prende atto con ciòche ne consegue, di cambiamentipiù ampi cui è andato incontrolungo l’arco degli ultimi decennicon altri arrivi che li hanno pre-ceduti da altre parti del mondoarabo e islamico". Tra gli iscrittialle comunità ebraiche italianeal giorno d'oggi infatti oltre il 30

per cento è costituito da personela cui storia famigliare è diretta-mente e indirettamente collegataalle vicende della persecuzionedegli ebrei nel mondo arabo. Undato non indifferente e che hadelle implicazioni politiche e cul-turali, nei rapporti con il mondoesterno, riflette Meghnagi, “maanche interne nel modo in cuigli ebrei italiani percepiscono sestessi e nei rapporti con le grandirealtà della migrazione ebraicain Israele". Significativa al riguardo l'azionedi memoria intraprese dallo Sta-to ebraico, con la recente istitu-zione di una Giornata dedicataai rifugiati ebrei 'mizrahim' (daipaesi arabi e dall'Iran). “La lorovoce deve essere ascoltata all'in-

Ebrei di Libia, una storia indelebileNumerosi gli appuntamenti in agenda per ricordare i 50 anni dalla cacciata e l’arrivo in Italia

I numeri parlano chiaro, dannotutto il senso di una sfida vinta.Anzi, stravinta. In totale 165.746visitatori, di cui 140.746 al Lin-gotto e oltre 25mila al SaloneOff. Cifre calcolate volutamenteal ribasso, per essere sicuri di nonfare il benché minimo errore. Il Salone internazionale del librodi Torino appena conclusosi,l'edizione forse più impervia (al-meno alla vigilia) nei trenta annidi vita della manifestazione, haconfermato che la città resta unosnodo fondamentale per i destinidell'editoria italiana e internazio-nale. Molto più di uno snodo, inrealtà: un luogo di confronto ir-rinunciabile. Il luogo, anzi. E conferma che, a otto anni dallaprima volta, dall'edizione che se-gnò il lancio del nuovo giornalenel mondo dell'informazione,non c'è Salone senza Pagine

Ebraiche. Ormai una presenzafissa tra i saloni del Lingotto, unriferimento imprescindibile perle molte migliaia di visitatori chesi sono fermati nei pressi dellapostazione del giornale del-

l'ebraismo italiano. Come raccontiamo anche all'in-terno di questo numero, con unospeciale approfondimento, il Sa-lone di Pagine Ebraiche è statoricco di stimoli, emozioni e suc-

cessi. "A un anno di distanza dal-la grande crisi e dalla minacciadi chiusura, di smembramento,la città ha reagito chiamando araccolta la cultura italiana. La ri-sposta è arrivata e non poteva

essere più chiara" ha scritto il di-rettore della redazione UCEIGuido Vitale, in diretta dal Sa-lone, all'interno di un desk let-teralmente preso d'assalto e se-gnato da numerosi incontri si-gnificativi. “Viviamo in una società dovetutto è accelerato, è tutto di cor-sa. Però la lettura non può di-ventare più veloce, non può es-sere multitasking. Questo chepuò sembrare un grande limite,deve essere lo strumento da va-lorizzare: la lettura come unapausa esclusiva di lentezza, unmomento di pausa nel frastuonodella velocità: quindi un valoree non un limite” ha detto tra glialtri il ministro della Cultura Da-rio Franceschini, poco prima di

Salone del libro, una prova superata

Alcuni giovani ebrei a Tripoli, in un’immagine del 1911u Studenti della scuola ebraica di Benghasi durante una lezione u

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/ P3pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017 POLITICA / SOCIETÀ

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terno del sistema dell'istruzione,nei media, nelle arti e nelle isti-tuzioni ufficiali del paese, comeha bisogno di essere ascoltata inambito internazionale, al fine diriparare l'ingiustizia storica, e pergarantire i risarcimenti econo-mici dovuti” ha sottolineato inoccasione dell'istituzione di talegiornata il Presidente israelianoReuven Rivlin.Da qui anche la richiesta formu-lata alle Nazioni Unite di ricono-scerne in modo ufficiale lo statusdi rifugiati. “Questa storia deveessere ascoltata. Ancora oggi, Te-heran e Haled, Baghdad, Sana'ae Tripoli, sono posti vietati agliebrei israeliani; i tesori culturalie i beni lasciati da molti di loroin quei luoghi sono stati vanda-lizzati e saccheggiati”. Perché, co-me ha raccontato Raphael Luzonnel suo libro-testimonianze Tra-monto libico (ed. Giuntina), in queigiorni ebbe fine una storia di con-vivenza durata più di duemila an-ni. "Dalla distruzione del PrimoTempio di Gerusalemme e finoal 1967, anno in cui iniziano levicende di Tramonto libico - scriveLuzon - gli ebrei hanno testimo-niato ogni nuovo conquistatore,hanno combattuto insieme aiberberi contro gli eserciti diMaometto, hanno contribuitoalla crescita della regione durantel’impero ottomano e poi nel pe-riodo di colonizzazione italiana,si sono talvolta mescolati con lapopolazione locale”. Ma, aggiun-ge Luzon, hanno sempre man-tenuto le proprie tradizioni e illegame saldo con la propria fede.Anche a costo di conseguenzee ripercussioni nelle lorovite. Una grande storia di attac-camento identitario, mai comeoggi al centro dell'attenzione.

Un ospite imprevedibile

© w

arp

L’incontro in Vaticano tra due personalità forti come Jorge Ber-goglio e Donald Trump non è certo passato inosservato in Italiae nel mondo. Ecco l’ironia con cui l’ha raccontato il disegnatoreKim Warp sul New Yorker.

far visita al nostro stand. “Lo confesso, questa notte nonho chiuso occhio” ha invece rac-contato alla redazione il presi-dente della Fondazione per il Li-bro, la Musica e la Cultura Mas-simo Bray, poco prima dell’aper-

tura del Salone. Di casa allo spa-zio di Pagine Ebraiche è statoanche Mario Montalcini, presi-dente del consiglio di ammini-strazione della Fondazione. Invisita anche Gianluigi Benedetti,attuale consigliere diplomatico

al Ministero dell’istruzione e giàconfermato come prossimo am-basciatore italiano in Israele. Nicola Lagioia, direttore edito-riale del Salone, ha così riassuntoil valore dell'edizione 2017: "Inquesti cinque giorni - le sue pa-role, in conferenza stampa - èsuccesso qualcosa che nessunoavrebbe previsto, anche se ognu-no di noi l’aveva desiderato alungo, in un tempo e in un mon-do in cui ti dicono che le coseche davvero desideri hanno pocasperanza di realizzarsi. Che siastato un enorme successo è tal-mente evidente a tutti che nonc’è bisogno di spiegarlo, ma cre-do sia accaduto qualcosa di mol-to più grosso, e di più profondo:il Godot che per tanti anni ave-vamo aspettato che comparissesulla scena, si è finalmente mo-strato”.

Una delle terrazze più belle di Ro-

ma, gremita dal tramonto alla se-

conda serata. Un viaggio nei se-

coli, tra musica, danza e arte, per

lasciare un segno lontano dai ve-

leni della dialettica geopolitica

che da tempo contamina l'illustre

festeggiata. Un viaggio avviato

soprattutto per raccontare una

città che fa del multiculturalismo

il suo principale punto di forza e

che, tra mille complessità, tra

mille sfide e inciampi quotidiani,

è luce per il mondo intero.

Ha attratto un folto pubblico la

serata organizzata ai Mercati di

Traiano per “Yom Yerushalaim” (il

giorno di Gerusalemme) nel cin-

quantesimo anniversario della

riunificazione. Voluta da Unione

delle Comunità Ebraiche Italiane,

Comunità ebraica di Roma, Am-

basciata d’Israele e Chevrat Ye-

hudei Italia, la serata (il momen-

to più importante di una serie di

iniziative dedicate a Gerusalem-

me vista da molteplici angolazio-

ni, dalla Tradizione all'high tech,

dal cinema all'arte) ha offerto un

repertorio vasto. Le melodie

cantate dai cori Ha-Kol e Nizza-

nim, le improvvisazioni con la

sabbia dell'artista Ilana Yahav, il

balletto Yerushalaim Golden Ro-

ots ideato dal coreografo Mario

Piazza e portato in scena dagli

studenti dell’Accademia Naziona-

le di Danza. Ma anche la voce po-

tente del Maestro Claudio Di Se-

gni. Un ponte ideale Roma e Ge-

rusalemme, in conduzione Eyal

Lerner. “Abbiamo voluto rendere

omaggio alla storia plurimillena-

ria di Gerusalemme, ai luoghi sa-

cri custodi di speranze e tradi-

zioni, ai suoi abitanti e popola-

zioni che nei vicoli del tempo,

fuori e dentro le mura, si sono

incontrati ed oggi si incontrano”

ha sottolineato la Presidente

UCEI Noemi Di Segni nel suo in-

tervento di saluto. “Il legame tra

Roma e Gerusalemme è da sem-

pre intenso. Doloroso talvolta,

ma anche ricco di momenti gio-

iosi. Come nel caso dei festeggia-

menti per la nascita dello Stato

di Israele, sotto l’arco di Tito.

Un’immagine simbolicamente po-

tente” ha invece osservato la Pre-

sidente della Comunità ebraica

romana Ruth Dureghello.

“Su Gerusalemme, da sempre, si

concentra l’attenzione del popo-

lo ebraico nel suo insieme. Geru-

salemme è una e tante allo stesso

tempo. Una città che è al centro

dei nostri cuori e delle nostre

passioni” il pensiero espresso dal

rabbino capo rav Riccardo Di Se-

gni. Una grande notte di speran-

za, il patrimonio più importente

da coltivare. Ha osservato al ri-

guardo Sergio Della Pergola, il

presidente degli ebrei italiani in

Israele: “Sono trascorsi cin-

quant’anni dal proditorio attacco

contro lo Stato d’Israele e la sua

capitale, di cui alcuni di noi furo-

no diretti testimoni. Non abbia-

mo dimenticato le giornate di te-

sa apprensione che precedettero

la Guerra dei Sei Giorni, e i mo-

menti di sincera gioia e solleva-

zione seguiti all’allontanamento

del pericolo, grazie all’eroico

sforzo e sacrificio dei nostri gio-

vani combattenti di Zahal, le For-

ze di Difesa di Israele. È rimasto

indimenticabile nei nostri cuori

il momento della liberazione dei

luoghi più cari e più carichi di sa-

cre memorie nella tradizione

ebraica. In quel breve momento

di sollevazione degli spiriti ab-

biamo sentito e creduto che fos-

se giunta la fine del conflitto e

che si aprisse una nuova era di

pace e di speranza. Purtroppo

oggi sappiamo che questi nostri

sentimenti sinceri non hanno tro-

vato corrispondenza nella realtà

politica ostile del Medio Oriente”.

Ma ciò non deve distogliere dal-

l'unico obiettivo possibile, ha ag-

giunto Della Pergola: un futuro

con meno tensioni, migliore con-

vivenza e finalmente una pace

condivisa.

“Gerusalemme, speranza di pace”

Alcune immagini della serata ai Mercati di Traiano per festeggiare Yom Yerushalaimu

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Da Sciesopoli di Selvino, in pro-

vincia di Bergamo, fino a Brin-

disi. Tutta l'Italia in bici, senza

soste. Dalla Puglia Giovanni

Bloisi si è poi imbarcato verso

Israele. Ultima destinazione lo

Yad Vashem, il Memoriale della

Shoah. Un viaggio lungo quasi

due mesi per tenere i riflettori

accesi sull'ex colonia fascista

che nel comune lombardo di-

venne, al termine del secondo

conflitto mondiale, luogo di ac-

coglienza per molti bambini

ebrei scampati alla Shoah. Una

memoria in pericolo, che Bloisi

ha voluto rappresentare al-

l'ambasciatore israeliano Ofer

Sachs e ai membri dell'Associa-

zione Interparlamentare di

Amicizia Italia-Israele guidati

dal loro presidente Maurizio

Bernardo che l'hanno accolto

al ritorno in Italia, assieme al

sindaco di Selvino Diego Ber-

tocchi e allo storico Marco Ca-

vallarin, animatore di molte

iniziative per Sciesopoli e tra i

curatori de Il viaggio di Giovan-

ni Bloisi - ed. Unicopli.

La pedalata di Giovanni Bloisi è

lenta, potente e progressiva.

Non lo fermano le Alpi o l'Ap-

pennino, né gli Urali o gli im-

pervi sterrati. Mai sfodera la

grinta del velocista o dell'ar-

rampicatore, e non si ferma

sotto la pioggia più torrenzia-

le. Così è stato quando, partito

dal suo lago nei pressi di Vare-

se, è arrivato a Selvino, mille

metri ripidissimi sopra Berga-

mo, tra le valli Seriana e Brem-

bana. È arrivato carico di fred-

do e di pioggia, il 16 aprile del

2016, accompagnato da due

emuli che gli si erano affiancati

al Memoriale della Shoah di Mi-

lano, per incontrare Avraham

e Ayala Aviel, due ex Bambini

di Selvino tornati per ritrovare

il luogo della loro salvezza, del

loro ritorno alla vita e del loro

primo incontro adolescenziale.

Giovanni Bloisi aveva percorso

le strade rurali che da Varano

Borghi vanno lungo il Ticino e

i navigli, fino al Campo Profu-

ghi di Magenta, per il quale so-

no passate, dopo la guerra, mi-

gliaia di reduci ebrei della Sho-

ah in cerca di rifugio sulla rotta

verso la Palestina, l'Eretz Israel

dove non avrebbero più subito

l'insulto delle persecuzioni e

dell'eccidio. Lì Giovanni ha dor-

mito, nella sua tenda, ha pre-

parato il suo cibo con il fornel-

lino da campeggio, ha reimpac-

chettato tutto ricaricandolo

sulla bici, una normalissima bi-

cicletta un po' robusta con le

sacche per il piccolo bagaglio,

pesante 45 chili a pieno carico,

lui escluso, la bandiera multi-

colore della pace sventolante

dal manubrio.

in tiratura limitata (127 copie intutto) e frutto della collaborazio-ne tra la casa editrice ACC Arte

Scritta e l'imprenditore messica-no Dan Tartakovski. A Bergoglioè andata la prima copia, altre sa-

ranno fatte avere prossimamentea personalità riconosciute nelcampo della spiritualità, a Capidi governo, a opi-nion leader.L’idea è che laTorah possa esse-re fonte di ispira-zione per tutti,nessuno escluso. “Il nostro è unprogetto di am-pio respiro chepunta a coinvol-gere alcune dellefigure più influenti dei nostrigiorni, facendole convergere suun piano comune di idee e sen-

sibilità. Nel nome dei valoriebraici più autentici, che sonoluce per l'umanità intera” spiega

Skorka a PagineEbraiche. Sostieneinoltre il rabbinoargentino: “Nel ri-spetto delle singolepeculiarità, senzafare un polpettoneindistinto che tuttoè fuorché Dialogo,la sfida è di far sìche alcune barrierealla comunicazio-

ne cadano definitivamente. Nellospecifico del rapporto tra ebreie cristiani credo sia dovere di

/ P4 POLITICA / SOCIETÀ n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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“Il Dialogo non è un concettoastratto, una sfida vuota e reto-rica come sostengono alcuni de-trattori. Ma certo sta a noi, lea-der religiosi con un ruolo di re-sponsabilità nel nostro mondo,far sì che questo percorso sia ali-mentato da momenti che lascinodavvero il segno, che ci permet-tano di maturare una consape-volezza ancora più forte di quel-lo che siamo e di dove vogliamoandare. La mia sensazione è che,nonostante i tanti ostacoli che sipossono incontrare nel nostrolavoro ogni giorno, viviamoun'epoca di grandi opportunitàper chi ha a cuore un futuro dipace. Non coglierle sarebbe unerrore. Gravissimo”. Rettore del Seminario RabbinicoMarshall T.Meyer, AbrahamSkorka (nell’immagine a destra)è considerato il più stretto con-fidente di papa Bergoglio sul pia-no delle relazioni tra ebraismoe cristianesimo. Una lunga ami-cizia, nata ai tempi di BuenosAires, poi evoluta in una serie diiniziative che hanno fatto parlare.Tra gli altri un libro, Il cielo e laterra, raccolta di una serie di con-versazioni sui temi più disparati,che è diventato quasi un classiconel suo genere. È ormai di casa in Vaticano, ilrabbino Skorka. Ci è stato anchealcune settimane fa, per mettereal corrente l'amico Jorge diun'iniziativa che gli sta partico-larmente a cuore: il Torah Pro-ject. Di che si tratta? Di una versionepregiata della Bibbia, realizzata

“Per il Dialogo serve anche bellezza”Il rabbino Skorka, di casa in Vaticano, tra i promotori di un progetto che mette al centro arte e valori ebraici

In bici per Selvino, un viaggio di emozioni

Passo dopo passo, con un can-tiere che pulsa spedito e un di-segno che prende forma in mo-do sempre più tangibile, al Mu-seo Nazionale dell’Ebraismo Ita-liano e della Shoah di Ferrara sista compiendo una rivoluzionedolce, per l’armonizzazione conil contesto, e al contempo radi-cale, per la virata nella destina-zione d’uso. Del passato, del presente e delfuturo del MEIS, che sta sorgen-do sul sito dell’ex penitenziariocittadino, si è parlato nel corsodi un incontro aperto al pubbli-co, in occasione della Giornatainternazionale dei musei pro-mossa da ICOM e qui declinatacon il titolo “Trasformare un car-cere in un museo”.

Anna Maria Quarzi, Presidentedell'Istituto di Storia Contempo-ranea di Ferrara, si è soffermatasulla reclusione, dagli anni Tren-ta in avanti, di alcune figure em-blematiche di antifascisti – ebreie dissidenti politici – che fecerodella prigione un vivaio di ideedi libertà: dalla maestra socialista

Alda Costa al gelataio comunistaGigetto Calderoni, rastrellati nel-la lunga notte del ’43 insieme adoltre settanta persone. L’appenaquindicenne Corrado Israel DeBenedetti riuscì a salvarsi, mentreall'alba del 15 novembre il ma-gistrato del re Pasquale Cola-grande, colpevole di aver dispo-

sto la liberazione dei detenutipolitici, e l’avvocato socialistaUgo Teglio caddero con diversialtri davanti al muretto del Ca-stello Estense, sotto i colpi deifucili fascisti. “Fino al luglio del’43 – ha ricordato Quarzi – circa180 ferraresi vennero condannatidal Tribunale Speciale. E parec-chi di questi, specie nel triennio1940-42, erano studenti, come isedici catturati per le scritte an-tifasciste sui negozi. A GiorgioBassani toccò nel maggio del ’43e l’esperienza della reclusione gliprocurava profonda noia e ma-linconia, che solo la rilettura deiclassici leniva un po’”.Vicende che non hanno più mol-to a che vedere con il MEIS, co-me ha spiegato Carla Di Fran-

Meis, il nuovo museo un cantiere a porte aperte

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Così ha raggiunto Milano, la

Stazione Centrale, via Ferrante

Aporti, piazza Edmond J.Safra,

il Memoriale della Shoah. Poi,

inforcata di nuovo la pesantis-

sima bici, ha ripreso a pedalare

verso Selvino, verso Sciesopoli

Ebraica, verso Ayala e Avraham

Aviel.

Giovanni pedala lentamente, si

guarda intorno alla ricerca di

natura, dell'ambiente dei cam-

pi e delle coltivazioni, del volo

delle garzette e delle cicogne,

che cominciano a ritornare in

Lombardia, dei segni della sto-

ria. Pedala lento, pensa ai va-

lori di umanità rispettati, e a

quelli offesi. E si indigna per

quelli offesi, e vorrebbe che

quanto è successo, e ancora si

manifesta, non abbia più ad ac-

cadere. La sua volontà girova-

ga si fa testimonianza, si fa di-

fesa, si fa memoria, si fa con-

segna del testimone ai giovani

che, più lontani da quella guer-

ra, forse non conoscono, forse

non si preoccupano nemmeno

di conoscere perché ignorano

cosa ci sia da conoscere. A loro

è stato detto, per esempio, che

i posti del confino erano luoghi

di villeggiatura, e ben pochi,

sfiduciati, hanno avuto voglia

di spiegare che quella era una

bugia perfida, che il confino

era durissimo per quelli che si

ostinavano a difendere la di-

gnità degli uomini, che i lager

erano la morte violentissima

per la popolazione ebraica eu-

ropea, colpevole della sola col-

pa di esistere. E Giovanni, inve-

ce racconta a quei giovani della

ospitalità dei loro nonni che

hanno nascosto ebrei a rischio

della vita, a costo della vita,

che hanno combattuto per la

libertà nella Resistenza contro

l'invasore nazista e il fantoccio

fascista a rischio della vita, a

costo della vita, e suggerisce

loro che tanta generosità dei

vecchi andrebbe ripresa per di-

ventare l'accoglienza dei pro-

fughi, l'aiuto a chi soffre, l'op-

posizione contro le ingiustizie,

solidarietà. Forse anche a ri-

schio della vita, a costo della

vita. Questo è il lento pedalare

di Giovanni Bloisi, uomo del

Sud trapiantato al Nord dalla

ricerca del lavoro dei suoi ge-

nitori, oggi alpinista, cammi-

natore, ciclista, pensatore,

amante di giustizia e di pace.

Con questo armamentario ru-

dimentale di oggetti indispen-

sabili e di altrettanto indispen-

sabili pensieri, Giovanni ha per-

corso in bici tutt'Europa, i la-

ger, i campi di battaglia, i ghet-

ti degli ebrei, i valichi della sal-

vezza, i nascondigli delle fughe,

le pietre d'inciampo, i poligoni

delle fucilazioni, le lapidi che

ricordano, i Memoriali della Re-

sistenza, i crematori e le came-

re a gas. I luoghi della Memo-

ria. E poi racconta, con linguag-

gio diretto e onesto, gentile, a

chi vuole ascoltarlo, a chi gli si

affianca per un tratto di strada

in cerca di compagnia, a chi gli

chiede, in una scuola, di riflet-

terne con gli studenti.

Marco Cavallarin

tutti i protagonisti lavorare perun incontro sempre più basatosu motivazioni autentiche. C'èun termine che amo, la parolafratellanza”. “Questo – insiste Skorka – nonpuò che essere il nostro obietti-vo, il fine ultimo di ogni nostrainiziativa. In un mondo attraver-sato da nuovi venti di odio esconvolto da terribili azioni chebestemmiano il nome dell'On-nipotente, dobbiamo avere laforza e la voglia di essere fratelli.Lo studio della Torah, natural-mente con delle differenze, èparte di questo sforzo”. Dalla Dichiarazione Nostra Ae-tate in poi, secondo Skorka, lecose sarebbero decisamentecambiate nelle relazioni tra ebreie cristiani. “Non dico con questoche ogni problema sia risolto, cimancherebbe. Ma sono diversele buone pratiche adottate ad al-

to livello così come a un livellolocale. Vedo in particolare uo-mini di Chiesa animati da inte-

resse genuino. Un fatto semprepiù evidente - riflette - soprat-tutto negli ultimi tempi”.

Ma nulla, avverte, si costruisceper caso. Nessun risultato puòessere raggiunto senza impegno

e determinazione su entrambi ifronti. Per questo, aggiunge Skor-ka, sta lavorando su alcuni dos-sier strategici. “Sono idee, input,nuovi progetti da valutare edeventualmente lanciare in futuro.Non posso dire molto di più almomento, salvo che sono ono-rato della fiducia che mi è stataaccordata per portare avantiquesto compito”.Altra parola chiave, oltre a fra-tellanza, è bellezza. “Sì, bellezza.Tutta l'umanità, senza distinzio-ne, ne ha bisogno. In questo To-rah Project abbiamo cercato dimettercene tanta: a partire da 27straordinari disegni realizzati daun artista cubano, Baruj Salinas,che rendono la lettura delle pa-gine una esperienza unica. Labellezza salverà il mondo, d’al-tronde. Non sono il primo a dir-lo. E spero neanche l'ultimo”.

Adam Smulevich

/ P5pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017 POLITICA / SOCIETÀ

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cesco, Responsabile unico delprocedimento: “La sede dell’excarcere è stata scelta nel 2008 ela sfida di volgere una prigionenel suo contrario, un luogo aper-to, è senz’altro impegnativa”.In genere, si inaugura un edificioin funzione della sua vocazionea particolari utilizzi. Non cosìper il MEIS. “Abbiamo volutomantenere un senso urbano al-l’ex penitenziario – prosegue l’ar-chitetto – conservando il corpodi fabbrica che verrà inauguratoil 13 dicembre, con la grandemostra sui primi 1200 anni dipresenza ebraica in Italia”. Quellasezione – che tra ristrutturazione,adeguamento e rimodulazionevale circa 8 milioni di euro – èrappresentativa della tipologiacarceraria inaugurata da CarloFontana nel 1703, a Roma, conla casa di correzione San Miche-

le: un carcere stretto e lungo, do-tato di corridoi e di un ballatoiosu cui affacciano le celle. Gli obiettivi dell’Amministrazio-ne – riconvertire la prigione aluogo permeabile a persone eidee, percorribile da tutte le parti– si sono tradotti, nel 2011, inun concorso per la progettazionedel MEIS. I vincitori hanno col-

to quegli obiettivi prevedendo,ad esempio, dei varchi sui muriperimetrali, per ritmare il pas-saggio tra spazi interni ed esterni.Costo complessivo dell’opera-zione: circa 45 milioni di euro,a garanzia di un hardware tec-nologicamente e funzionalmentecalibrato sul nuovo impiego.“Senza dimenticare che siamo a

Ferrara – conclude Di Francesco– l’estrema modernità architet-tonica e le facciate vetrate si re-lazioneranno bene all’intornominuto. I nuovi fabbricati, quelloverso Rampari San Paolo (da cuisi entrerà, con bookshop e risto-rante) e quello destinato all’areaespositiva e all’auditorium, sa-ranno caratterizzati da elementirettangolari a lame, sfalsati inpianta e ad altezze diverse, chenon supereranno mai quelledell’edilizia circostante”. “Per come procede, è un percor-so davvero poco italiano” hacommentato Roberta Fusari, as-sessore all’Urbanistica del Co-mune di Ferrara. “L’apertura dellebuste del bando è stato uno deimomenti più emozionanti dellascorsa legislatura: 53 studi inter-nazionali avevano analizzato lanostra città e lì abbiamo capito

che stavamo facendo la storia,ma ‘alla ferrarese’: legandoci ar-moniosamente alla cultura, al-l’architettura e al vissuto preesi-stenti”. Ora c’è il finanziamentoper tutti e quattro i corpi delMEIS e va avanti la riqualifica-zione dell’area dell’ex MercatoOrtofrutticolo e della Darsena,“quinte” del Museo, grazie ancheai 18 milioni di euro in arrivo dalProgramma straordinario di in-tervento per la riqualificazioneurbana e la sicurezza delle peri-ferie. “Puntiamo a espandere ilcentro storico – spiega Fusari –mantenendone la qualità archi-tettonica fino al fiume. Il MEISdiventerà una grande porta dacui visitare e conoscere Ferraracon lenti speciali, e la città dovràesserne all’altezza”.

Daniela Modonesi

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/ P6 INTERVISTA n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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Ada Treves

Gérard Haddad, psicanalistafrancese che è anche psichiatra,saggista, editore e traduttore, ol-tre che ingegnere agronomo, no-to soprattutto per un recente li-bro dedicato alla psicanalisi delfanatismo, risponde in un italianomorbido, raffinato, in cui si per-cepisce appena un leggero ac-cento difficile da definire. Dichia-ra subito che gli fa piacere par-lare in italiano, e aggiunge: "Ve-dremo poi se basta, se mi ingar-buglio troppo torniamo al fran-cese", prima di spiegare che ilsemplice fatto di essere nato aTunisi nel 1940 lo avvicina mol-to all'Italia. Tunisi, spiega, era unpaese in cui aquell'epoca sui tremilioni circa diabitanti almeno ildieci per centoveniva dall'Italia,dalla Sicilia preva-lentemente. "Cosìanche io mi sentoun po' italiano. E poi ho ancheuna moglie italiana". Ma non è l'unica lingua che par-la fluentemente, Haddad, che hafatto anche il traduttore dal-l'ebraico al francese, dedicandosiprevalentemente all'opera di Ye-shayahu Leibowitz, insieme aJacques Lacan il pensatore chepiù l'ha influenzato. Paradossal-mente, però, la maggior partedelle sue opere circola molto po-co in Israele, e le più recenti nonsono tradotte in italiano.

Il suo libro sulla psicanalisi del fa-

natismo sta per uscire in arabo.

Sì, è una vicenda curiosa. Il mioDans la main droite de Dieu. Psy-chanalyse du fanatisme è statoscritto prima degli attentati chehanno scosso Parigi, e ovviamen-te dopo quello che è successoho iniziato a ripensare al sensodel lavoro da poco concluso. Hosentito forte l'esigenza di amplia-re la riflessione e ho molto lavo-rato a una nuova edizione am-pliata, molto più lunga, che peròin Francia non è stata ancorapubblicata. Sono stato invece loscorso autunno in Libano, a Bei-rut, per la Fiera del libro franco-fono, e una casa editrice algerinane ha comprato i diritti. Usciràprima in arabo che in francese.

La sorprende, questa scelta?

Inizialmente forse sì, ma ho po-tuto poi riscontrare nei circoli

“Il fanatismo? Mettiamolo sul lettino”Per lo psicanalista Gérard Haddad il rifiuto del proselitismo è la difesa contro ogni forma di estremismo

Noto psicanalista, allievo di Jacques Lacan e discepolo di Yesha-

yahu Leibowitz, di cui ha tradotto in francese le opere, Gérard

Haddad è nato a Tunisi nel 1940. Autore di numerosi libri, ha

avuto grande successo con Dans la main droite de Dieu: psycha-

nalyse du fanatisme, uscito per le Edizioni Premier Parallèle nel

2015, a poche settimane dagli attentati di Parigi. Più recente-

mente ha pubblicato Le complexe de Caïn. Terrorisme, haine de

l’autre et rivalité fraternelle (Premier Parallèle, 2017). Spiega

che l’ebraismo ha una caratteristica sostanziale che lo distingue

da cristianesimo e islam: non solo non si pone come universale,

ma rifiuta nettamente il proselitismo, una potentissima difesa

contro ogni forma di fanatismo. La serata “Psicoanalisi del fa-

natismo e follia collettiva” al Centro Ebraico Il Pitigliani di Roma,

lo ha avuto come protagonista, intervistato da Eva Ruth Palmieri.

arabi un grande interesse perquesto libro, e la responsabiledella casa editrice ha espressopiù volte la speranza e l'augurioche tutto il mondo arabo lo leg-ga. Credo poi che vada ricordataun'altra cosa, che ho recente-mente discusso con il regista diun film sul nazismo in Siria: haribadito più volte come il mondoarabo debba "capire finalmente,e fare i conti col nazismo, per

non rimanere indietro”.Mi ha ricordato che molti nazistirifugiatisi nel mondo arabo si so-no poi dedicati a istruire e for-mare i militari e i poliziotti delmondo arabo, trasmettendo lorouna certa competenza anche infatto di tortura. Ne hanno sof-ferto anche loro.

Che reazioni si aspetta, per l’uscita

della nuova edizione?

Non lo so, ma è un libro a cuitengo molto. Mi piace partico-larmente, è un lavoro a cui sonolegatissimo... In fondo abbiamotutti un preferito, come con ibambini, no?

Da poco ne è uscito un altro, Le

complexe de Caïn. Terrorisme, hai-

ne de l’autre et rivalité fraternelle.

Ho cercato di capire cosa spingecosì tante persone ad uccidernealtre. Ho voluto sottolineare chepossono essere molte le causein nome delle quali agisce il fa-natismo. Le religioni sono solouna di esse, ma non possiamonon prendere in considerazione

quanto gli individui ne siano for-temente influenzati, in manierapiù o meno consapevole.

Si può dire che è la prosecuzione del

libro precedente?

Sono entrambi risultato del miosforzo di comprendere le originidel fanatismo, del terrorismo edella distruzione in particolaredella cultura. Ci lavoro da tren-t'anni, e vi ho dedicato in pre-cedenza almeno altri due libri -Les Biblioclastes, del 1991, e Lu-mière des astres éteints, uscito nel2012. In Le complexe de Caïn, ipo-tizzo che la violenza e l'odioomicida del fanatico e del terro-rista abbiano le proprie radici nelconflitto fraterno dell'infanzia,che viene represso, amplificatodalla repressione, mosso, in ul-tima analisi, da "nemici" che so-no solo fratelli immaginari.

Uscirà però anche la nuova edizio-

ne della Psychanalyse du fanatisme

Sì, in Francia verrà pubblicatapresto, ma solo dopo che l'edi-tore avrà esaurito la prima edi-zione. Ho avuto purtroppo moltialtri spunti di riflessione, e i mieiragionamenti su cosa sia un ka-mikaze ora sono sicuramente di-versi. Inoltre ho molto riflettutosu una cosa che Lacan dicevanegli anni Settanta: sostenevache uno dei problemi principalista nel rapporto fra universale eparticolare, con l'universale checorrisponde più a una visione

Gérard HaddadDANS LA MAINDROITE DE DIEU Premier Parallèle

Gérard HaddadLE COMPLEXE DE CAÏN Premier Parallèle

La prima parte di Dans la main droitede Dieu. Psychanalyse du fanatisme,il volume di Gérard Haddad pubblicatoda Premier Parallèle a settembre 2015,descrive il fanatismo come soggetto col-lettivo, composto oggi da fanatici mille-naristi, non solo islamici, ma che inaltre epoche si è presentato in forme dif-ferenti, dalle pulizie etniche ai fascismial nazismo. Come ha spiegato su Dop-piozero Pietro Barbetta, docente di Teo-rie psicodinamiche all’Università diBergamo: "Il progetto dei fanatici mille-naristi contemporanei consiste nellosterminio di chiunque non concepisca lafede come un progetto di sterminio ge-neralizzato, una sorta di circolarità dellosterminio. A prima vista, il fanatismo èuna lotta fratricida totale: ebrei, cri-stiani, laici, islamici. Il suo teorema è ladistruzione dell'umanità. In questa

lotta contro gli infedeli, ci sarà semprequalcuno più fedele che ucciderà l'altro,in un processo infi-nito: il fratricidioappunto". Un fra-tricidio di cui Had-dad si è occupato inmaniera più appro-fondita nel suo piùrecente Le Com-plexe de Caïn Ter-rorisme, haine del'autre et rivalité,uscito presso lostesso editore loscorso gennaio. Haddad spiega, nelvolume del 2015,che “Il fanatico iso-lato è un fenomeno psichiatrico, l'appar-tenenza a un gruppo gli permette di

accedere a una dignità superiore, quelladi avere un ruolo politico, ovvero di in-

fluire sulla storia”. Ilfanatismo è cancel-lare la storia, è un ri-cominciare dalprincipio senza tra-dizioni, ricreando leproprie origini, par-tendo da nuove ra-dici. Il fanatismo, spiegaHaddad, si può pre-sentare sotto quattroforme: nazionalismo,razzismo, totalitari-smo e fondamentali-smo religioso,fondato sull'idea di

possedere la verità. Il volume di Haddad prosegue analiz-

Le forme dell’intolleranza

Gior

gio

Albe

rtini

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/ P7pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017 INTERVISTA

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Liat Tapiero, israeliana di ori-gine guatemalteca, 24 anni, èuno dei fiori all’occhiello della fa-coltà di legge della Hebrew Uni-versity di Gerusalemme. Lavoraal Ministero della Giustizia delloStato d’Israele alla redazionedelle proposte di legge, alla Geor-getown University di Washin-gton DC studierà per i prossimidue semestri diritto internazio-nale. Ma facciamo un salto in-dietro, all’infanzia in SudAmerica. Il papà era rabbinocapo di Città del Guatemala:“Fin da piccola ho vissuto acontatto con gli ebrei locali diogni età, eravamo un’allegrabrigata, una famiglia allargata,molto sionista, affiatata, celebra-vamo i Sabati e le feste sempreinsieme, in comunità, congrande gioia e partecipazione.”Il paese è grande come la Loui-siana, gli ebrei circa 800, pocopiù di 200 famiglie su 14 mi-lioni di abitanti.

Nel 2001, dopo l’inizio della se-conda intifada e il lancio deiprimi razzi Qassam su Israele,Liat compie l’alyà. “A Gerusa-lemme mi sono subito ambien-tata, senza quasi accorgermi horaggiunto il momento più im-portante per ogni giovane israe-liano: l’inizio del militare. Ilprimo giorno sono stata asse-gnata all’unità del portavocedell’esercito, non l’ho più la-sciata. Dopo il corso per ufficialiho ottenuto l’incarico della for-mazione delle reclute, a 20 anni,da luogotenente, mi hanno pro-mossa responsabile della stessaunità da cui ero partita comesoldato semplice. Quando ho ri-cevuto la notizia ho provato unaemozione forte e indescrivibile,sono orgogliosa di aver ricopertoun ruolo così prestigioso, impe-gnativo e stimolante, che mi hapermesso di dialogare con imedia israeliani e stranieri. Ilsuo luogo del cuore è Alicante.In Spagna ogni anno trascorre ilperiodo delle feste ebraiche au-tunnali, dove il papà fa il rab-bino “itinerante” nella comunitàlocale. “È un modo - dice Liat -per rituffarsi nella vita ebraicadella diaspora, con Gerusa-lemme nel cuore, da lì tutto è co-minciato con il matrimonio deimiei genitori e lì tutto torna!”.

ú– DONNE DA VICINO

Liat

Claudia De BenedettiProbiviro dell’Unionedelle ComunitàEbraiche Italiane

maschile del mondo, mentre ledonne fanno più difficilmentegruppo, e corrispondono più auna visione del particolare. Sonoosservazioni fatte ben prima di

tutto lo sviluppo delle teorie sulgenere, va ricordato.

E rispetto al fanatismo...

Se si prende in considerazione

con che forza una parte consi-stente del mondo arabo esprimeuna decisa fobia del femminile,e si ragiona sul fatto che una del-le motivazioni principali del fa-

natismo è il desiderio di far sìche tutti seguano una stessaideologia, che deve essere uni-versalmente riconosciuta comegiusta, corretta, unica... Mi pareche sarebbe bene non ignorarela questione.

Lei però sostiene anche che ci sia

un altro problema di base rispetto

al mondo musulmano, forse di ge-

stione più semplice.

Sì, sono convinto che in Europa,definendo la nostra come "civi-lizzazione ebraico-cristiana" stia-mo facendo un grosso errore.Questa esclusione del mondomusulmano dalla storia e dalleradici della nostra cultura è unosbaglio, oltre che un'ingiustizia.La civilizzazione europea si èmoltissimo avvantaggiata dellacultura musulmana, che ci ha da-to tanto.Senza quell'apporto non sarebbearrivata a noi allo stesso modola filosofia greca, ci mancherebbela matematica. Ho proposto piùvolte di modificare questaespressione usata e abusata, oltreche errata, e parlare di mondogreco-abramitico. Vorrei moltopoter contribuire alla soluzionedi un problema di cui non c'èabbastanza consapevolezza.

Pensa sia sufficiente?

Ovviamente no, ma io sono unuomo di dialogo, e non vogliouna guerra senza fine con l'Islam,dobbiamo trovare un modo perrispettarci reciprocamente. Servediplomazia. Cerco una strada,sempre, che porti al mutuo ri-spetto. È difficile, è tortuosa, eforse troppo stretta. Ma non pos-so evitare di percorrerla.

twitter @ada3ves

zando la struttura psichica del fanaticoquando è inserito in un gruppo. SpiegaBarbetta che esiste oggi un soggetto col-lettivo che si prodiga nel sostituirsi aDio, delirando dentro una simbolicafatta di costumi macabri, di armi tecno-logiche, di video in cui i corpi delle vit-time vengono decapitati e straziati.Quando il fenomeno non è isolato la psi-copatologia si modifica. Se il fanaticoisolato è un folle disperato, il fanaticocome soggetto collettivo si manifesta inuna patologia ben più grave e social-mente pericolosa, ossia quella del narci-sista. È ancora più grave perché mentreil paranoico è drammaticamente solo, ilnarcisista crea consenso e convince glialtri della verità del suo delirio. Il narci-sista, figura chiave della modernità, èdotato di capacità carismatiche e di unaparticolare forma di intelligenza nel do-minio delle masse. Fa proseliti attri-buendo ogni problema sociale aqualcuno di esterno e proponendo comesoluzione semplice e immediata la forza,

l'illegalità, lo sterminio. Caratteristica principale del narcisista èl'efficienza. In un'epoca in cui la buro-crazia, con la sua neutralità, diventa fe-nomeno autoritario, che blocca ognipossibile iniziativa pubblica e privata,nel momento in cui si è di fronte a crisidi onestà, di solidarietà, di amore e giu-stizia, nascono nuove forme di narcisi-smo. La descrizione del narcisista, secondoHaddad, ha a che fare con il mancato su-peramento dello stadio lacaniano dellospecchio. Si tratterebbe di analizzarel'interfaccia tra la questione generale delfanatismo e la sua esperienza indivi-duale. Lo stadio dello specchio rappre-senta il noto “colpo di fulmineinaugurale”, la cui intensità è variabile,ma necessaria a chiunque per attraver-sare la vita. La fissazione a questo stadiopuò produrre la patologia narcisista. Per Barbetta, invece, il narcisismo non èun fenomeno psicogenetico bensì un fe-nomeno ontologico che ha peculiarità

culturali ben definite. Non esiste, comescrive lo stesso Haddad, un solo narcisi-smo, né il narcisismo è avulso dal-l'espressione. Il fanatismo è in primoluogo un fenomeno di violenza nei con-fronti delle proprie tradizioni, di attaccoverso la propria lingua materna, un fe-nomeno di parricidio, solo successiva-mente di fratricidio, per eliminare itestimoni. Il fanatico, come un androide di PhilipDick, non ha memoria, recita il librosacro come fosse un linguaggio di pro-grammazione del computer; questa lasua peculiarità, la sua variazione d'in-tensità si mostra nella negazione dellesue stesse origini, per questa ragione ilprogetto del fanatico millenarista è rap-presentato dall'idea della fine delmondo, che – da narcisista che si sosti-tuisce a Dio – non può che avvenire persua stessa mano. E il primo libro da bru-ciare è proprio il libro fondamentale,quello al quale si rifa, alla lettera, il suostesso programma.

Gior

gio

Albe

rtini

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“Il peggior attacco terroristico

nel nostro paese negli ultimi

dodici anni”. A condividere lo

shock di un'intera nazione di

fronte alla strage di Manche-

ster, il rabbino capo di Gran

Bretagna rav Ephraim Mirvis.

“La devastazione portata da

questo tipo di attacchi sta di-

ventando sempre più familiare,

purtroppo. In quest’ora di pro-

fondo dolore e di vicinanza ai

familiari delle vittime, ci tengo

comunque a sottolineare la rea-

zione compatta che la città di

Manchester sta mostrando al

mondo. Gli hotel che hanno ac-

colto persone a titolo gratuito,

i taxi – la sua riflessione – che

hanno fatto lo stesso così da

permettere a persone amate di

ricongiungersi”. Questo attac-

co, ha quindi osservato rav Mir-

vis, è “pura crudeltà”. Anche

per il fatto di essere stato ri-

volto contro “vite giovani e in-

nocenti”. A definire però lo spi-

rito di una nazione, ha concluso

il rabbino capo riallacciandosi

al concetto precedentemente

espresso, è proprio la fermezza

della reazione. “Quando siamo

attaccati dall’odio, noi rispon-

diamo con l’amore. Nulla o nes-

suno riuscirà a dividerci”. L'at-

tentato è stato compiuto la se-

ra del 22 maggio, nel foyer del-

la Manchester Arena, un palaz-

zetto di Manchester, nel quale

si stava tenendo un concerto

della popstar americana Ariana

Grande, popolare soprattutto

tra gli adolescenti. Nell’attacco

sono state uccise 22 persone e

altre 59 sono rimaste ferite.

L’attentatore è stato poi iden-

tificato come Salman Abedi, 22

anni, cittadino britannico figlio

di immigrati libici e l'attacco è

stato in seguito rivendicato dal

movimento terroristico dello

Stato Islamico.

Come segno di solidarietà per

quanto accaduto, il rabbino ca-

po Mirvis ha chiesto a tutte le

comunità ebraiche britanniche

di leggere un testo da lui com-

posto, o meglio una preghiera

a Dio, per lo shabbat successi-

vo. “L'atrocità brutale e spie-

tata commessa questa settima-

na a Manchester è una dissa-

crazione spietata del Tuo pre-

zioso dono di vita ed è un af-

fronto ai valori della pace e

della democrazia. Noi piangia-

mo per coloro che sono stati

uccisi e preghiamo affinché sia

data consolazione alle loro fa-

miglie nel profondo del loro

dolore”. Nel testo, il rav si ri-

volge a Dio chiedendo di “pro-

muovere la riconciliazione e il

rispetto tra le religioni e i suoi

fedeli in questa terra, affinché

possiamo vivere in pace e sicu-

rezza, lavorando insieme per il

bene di tutti”.

“Non si può immaginare cosa

sia una notizia del genere per

un genitore - racconta Jonny

Wineberg, vicepresidente del

Consiglio rappresentante ebrai-

co, la cui figlia adolescente era

al concerto teatro del attacco

– Come avrebbe fatto qualsiasi

padre, un secondo dopo che ho

sentito la notizia, ho cercato

di chiamare mia figlia. Il tempo

che ci ha messo a rispondere

mi è sembrata un'eternità, ma

poi ha risposto e sapevamo che

era ok. Altri genitori non sono

stati così fortunati”.

Tra le voci dell'ebraismo bri-

tannico che hanno espresso il

proprio pensiero sulla situazio-

ne, anche il predecessore di rav

Mirvis, rav Jonathan Sacks. “La

risposta delle forze della sicu-

rezza e della città di Manche-

ster – il suo pensiero – ci ha

mostrato il meglio di cui l’uma-

In un'intervista telefonica di al-cuni anni fa, Vittorio Dan Segre,giornalista e diplomatico italo-israeliano con una grande cono-scenza del Medio Oriente, spiegòin poche battute la situazione delconflitto tra israeliani e palesti-nesi: “Vede, ho l'impressione chein molti debbano riprendere inmano il romanzo di GiuseppeTomasi di Lampedusa e segnarsila famosa frase, 'Se vogliamo chetutto rimanga come è, bisognache tutto cambi'”. Era il 2011, ilsoldato israeliano Gilad Shalitstava per essere liberato dopocinque anni nelle mani dei ter-roristi di Hamas; in Egitto, me-diatore dell'accordo tra Israele eHamas, al potere c'erano i mili-tari dopo la destituzione di Mu-barak e i Fratelli musulmani pre-paravano il terreno per la vittoriaelettorale dell'anno successivo;negli Stati Uniti, il presidente Ba-rack Obama era all'ultimo annodel suo primo mandato. Sei annidopo molto è cambiato soprat-tutto con l'imprevisto arrivo allaCasa Bianca di Donald Trump:“Se dovessi diventare presidente,farò la pace tra israeliani e pale-stinesi”, aveva annunciato dal pal-co dell'Aipac – organizzazioneamericana impegnata nel soste-nere le ragioni d'Israele - pochimesi prima di diventare presi-dente. Lo ha ribadito lo scorsomaggio durante la sua prima vi-

sita in Israele da quando è allaguida degli Stati Uniti. “Lo sap-piamo tutti – ha detto Trump -entrambe le parti devono affron-tare decisioni difficili, ma gli

israeliani e i palestinesi possonofare un accordo”. “Intendo faretutto ciò che è in mio potere perraggiungere l'intesa”, ha dichia-rato il presidente Usa, dopo aver

incontrato a Gerusalemme“l'amico” (come diverse volte loha definito lui stesso) BenjaminNetanyahu, primo ministrod'Israele, e a Betlemme il leader

palestinese Mahmoud Abbas. “Ilpresidente Abbas mi ha assicu-rato di essere pronto a lavorarein buona fede per un accordo dipace ed il premier Netanyahu hafatto lo stesso” le parole dell'in-quilino della Casa Bianca, ac-compagnato nel suo tour medio-rientale dalla moglie Melania,dalla figlia Ivanka e dal generoJared Kushner. A quest'ultimo, ebreo ortodossonewyorchese, il suocero ha affi-dato di seguire la questione deinegoziati e di riaprire il tavolodelle trattative tra israeliani e pa-lestinesi. Non è il suo unico com-pito, il che già segna una diffe-renza rispetto al passato: Ku-shner infatti, su indicazione diTrump, ha nella sua agenda an-che i rapporti con la Cina, ilMessico e il Canada, oltre adavere responsabilità su questionidi politica interna. Quale sia ilsuo piano per il Medio Orientenon è chiaro o comunque non èstato reso pubblico, il che po-trebbe essere un bene. “Mante-nere le proprie carte nascoste, inquesto prima fase non è proba-bilmente una cosa negativa - hadichiarato alla stampa DennisRoss, inviato di pace in MedioOriente sotto il presidente Ge-orge H.W. Bush e il presidenteBill Clinton – Rivelare troppoprima di sapere cosa puoi rag-giungere e quando puoi riuscirci...

/ P8 ORIZZONTI n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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Trump a Gerusalemme, la politica cambia strada

“Manchester, l’odio non ci dividerà”

Nell’immagine una delle manifestazioni tenutesi a Manchesteru

dopo l’attentato terroristico che il 22 maggio ha colpito la città

TRUMP IN ISRAELE: in alto un momento della vi-u

sita al Kotel (Muro Occidentale) di Donald Trump

assieme al genero e consigliere personale Jared Ku-

shner (a sinistra). Trump è stato il primo presi-

dente degli Stati Uniti a recarsi sul luogo più sacro

per l'ebraismo durante il proprio incarico alla Casa

Bianca. Nell'immagine a sinistra, l'arrivo di Trump

all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, accolto dal

primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e

dal presidente dello Stato Reuven Rivlin.

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/ P9pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017 ORIZZONTI

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Quando ancora in molti pensa-vano che la candidatura di Em-manuel Macron alle presidenzialifrancesi non avrebbe portato l'exministro all'Eliseo, Deborah Abi-sror aveva già puntato su di lui.Dalla prima ora – da quel apriledello scorso anno in cui Macronannunciò il suo partito, En Mar-che! - Abisror aveva scelto di farparte del suo comitato elettorale.“Macron parlava di futuro, gli al-tri invece rimpiangevano il pas-sato, dicendo si stava meglio pri-ma e cose così. Macron parlavadi fiducia e di Europa mentre glialtri dipingevano quadri foschi”,racconta a Pagine Ebraiche Abi-sror, dal 2010 al 2012 direttricedella European Union of Je-wish Students (Eujs), organizza-zione rappresentativa degli stu-denti ebrei del Vecchio Conti-nente. Per un anno Abisror –laureata in legge alla Sorbonnee autrice di un blog sulla versio-ne francese del sito Times ofIsrael – ha fatto campagna elet-torale a favore di Macron, se-guendone tutta la sua evoluzio-ne. “Il momento più difficile?Quanto accaduto ad Amiens, al-lo stabilimento della Whirpool.Li ho temuto che il messaggiodi En Marche! non fosse arrivatoa tutta una fetta di elettorato”. Ilriferimento è alla visita di Ma-cron il 26 aprile scorso alla fab-brica della Whirpool, dove glioperai stavano protestando damesi. Mentre il candidato di EnMarche! incontrava le rappre-sentanze sindacali dell'aziendacome da programma, Marine Le Pen si era presentatanel piazzale dello stabilimentotra gli operai, rubandogli la sce-na. La Le Pen era stata accoltatra gli applausi e i selfie daglioperai mentre per Macron, unavolta arrivato anche lui ad in-contrarli, c'era stata una pioggiadi fischi. Segno evidente di unaclasse operaia sfiduciata, prontaa votare per protesta e rabbia unpartito ultranazionalista e xeno-fobo e con cui il nuovo presi-dente della Repubblica francesedovrà ancora confrontarsi. Cosìcome la questione sicurezza, unpunto su cui si è giocata moltola battaglia elettorale. “Forse èstato il tema su cui Macron è ap-parso meno forte. Credo che siacompetente e ha le sue idee manon è riuscito molto a mostrarloal pubblico. Se l'attentato diManchester (del 22 maggio scor-so) fosse stato prima del voto al-le presidenziali, le cose per noisarebbero potute andar peggio”,spiega Abisror. La questione si-

curezza, come ha dimostrato ilG7 di Taormina, rimane un temacardine della politica internazio-nale così come per quella fran-cese, dove il mondo ebraico hapagato a caro prezzo la violenzadel terrorismo islamista. Tra gliebrei francesi, spiega Abisror,Macron gode comunque di so-stegno: “Al primo turno,l'elettorato ebraico si è di-viso, votando per metà EnMarche e per metà l'Ump(Unione per un Movi-mento Popolare) di Fran-çois Fillon. E al ballottag-gio i voti si sono riversatisul primo”. Sul tema ebrai-co c'è una preoccupazio-ne cara ad Abisror daitempi della suo impegnoper la European Union ofJewish Student. “Non socome sia la situazione inItalia ma in Francia c'è unproliferare di siti che fab-bricano fake news o checomunque distorcono no-tizie vere per attaccarepolitici o figure di primopiano del mondo intellet-tuale francese e non. Al-cuni di questi siti sono legati almondo ebraico, altri no, ma inogni caso diversi ebrei condivi-dono queste notizie false facendoun danno a tutta la comunità. Inquesto modo - riflette - presen-tano un'immagine distorta dellavoce ebraica e le fanno perderecredibilità”. Un esempio che citaAbisror è il caso di un sindacofrancese che aveva deciso di av-viare un progetto di sostegno so-ciale per un villaggio nella WestBank. Su uno di questi siti pseu-

dogiornalistici, si diceva che l'ini-ziativa finanziava i terroristi diHamas. “Ora noi tutti combat-tiamo contro chi cerca di dele-gittimare Israele e contro il mo-vimento Bds ma condividerequesto tipo di falsità è contro-producente. Sono armi in manoai populisti: Brexit, le elezioni

americane, francesi ne sono ladimostrazionie”. Un altro esem-pio è quello riportato da Abisrorin un suo editoriale sul Times ofIsrael proprio su questo tema:un articolo online recitava nel ti-tolo, “Il nazista George Sorosgiura di 'demolire' il PresidenteTrump”. “Qualsiasi siano le sueopinioni politiche sul conflitto,su Trump o il modo in cui spen-de i suoi soldi - la denuncia diAbisror - niente, voglio dire nul-la, può giustificare di trattare da

nazista un ex prigioniero delghetto! Questo è giornalismo oun processo alle intenzioni? Sonoarticoli di opinione o una formadi dittatura del pensiero? Oppor-tunamente - continuava l'edito-riale - ci facciamo sentire ognivolta che un giornalista o un po-litico, per convenienza, utilizza

la Shoah mettendola aconfronto con situazionifuori contesto. Ma comepossiamo avere una le-gittimazione, essere cre-dibili, ascoltati, quandoallo stesso tempo, i mez-zi di comunicazione chesostengono di apparte-nere alla nostra comunitàti trattano sempre comeun traditore, un nazista,e non esitano a metterviuna bandiera delle SSsulla schiena?”. È un pro-blema, spiega Abisror aPagine Ebraiche, checoinvolge tutta la società,non solo l'ebraismo. Maguardando all'internodella Comunità, “le no-stre istituzioni sono im-preparate di fronte a

questa sfida. Nell'era dei natividigitali, pensano ancora di poteraffrontare i problemi con solu-zioni del passato. Ma è necessa-rio un cambio di rotta”.“Come Eujs ad esempio abbia-mo combattuto contro questotipo di comunicazione e siamoriusciti assieme ad altre associa-zioni ad ottenere che in Franciavi siano degli avvisi quando vie-ne condiviso sui social networkmateriale proveniente da siticonsiderati non attendibili”.

nità disponga: ciascun indivi-

duo che si trovasse nei paraggi

coinvolto nei soccorsi, i tanti

che hanno aperto le porte di

casa propria, degli hotel e dei

negozi per dare ospitalità a chi

ne aveva bisogno. O ancora chi

si è offerto di portare a casa

bambini sconvolti letteralmen-

te sotto shock”. I terroristi vo-

gliono portare la paura nel no-

stro mondo, ha aggiunto rav

Sacks, “ma hanno sottostimato

la nostra forza, come comunità

locali, come nazione e come so-

cietà globale”. Anche per que-

sto, conclude, “alla fine saran-

no loro a perdere”.

Tante le manifestazioni spon-

tanee organizzate in ricordo

delle vittime dell'attentato. E

tra queste hanno fatto il giro

del mondo le immagini di una

anziana donna ebrea, Renee

Black, e di un religioso musul-

mano, Sadiq Patel. I due, ami-

ci da oltre dieci anni, si sono

recati insieme a Manchester

per rendere omaggio a chi è

stato colpito dall'attacco ter-

roristico.

è probabilmente il modo miglio-re per intaccare la tua capacitàdi ottenere velocemente qualco-sa”. Un approccio che, scrive ilNew York Times, sembra esserelo stesso adottato da DonaldTrump, che nei suoi discorsi pub-blici in Israele e nei territori nonha mai toccato i temi più com-plessi, e cioè la questione degliinsediamenti israeliani e il temadella soluzione dei due Stati. Perl'analista Ben Caspit, Trump (chein patria vive un momento diffi-cile vista l'indagine a suo caricorispetto al rapporto con i russi)è riuscito a conquistarsi la fiduciadell'opinione pubblica israeliana– almeno di quella di destra chegià lo aveva sostenuto ma cheera rimasta perplessa da alcunesue affermazioni - e ha rinsaldatoi suoi rapporti con Netanyahu,che deve far fronte al tentativodell'alleato di coalizione NaftaliBennett di rimpiazzarlo nel pros-simo futuro. “Vi posso garantireche la mia amministrazione saràsempre dalla parte d'Israele” hadichiarato Trump a Gerusalem-me, che sicuramente ha adottatoun approccio molto diverso dallaprecedente amministrazione.Tutto è cambiato, infatti. Neiprossimi quattro anni, vedremose per rimanere come è.

Con Macron rispunta la fiducia

Nell’immagine in basso Deborah Abisror, volontaria del comitato elettorale per Emmanuel Macronu

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Il 5 giugno 2017 segna i 50 annidalla Guerra di Sei giorni. Du-rante il conflitto – scatenato dallavolontà dei paesi arabi di distrug-gere Israele – l'esercito israelianoconquistò territori che triplica-rono le sue dimensioni e riuni-ficò Gerusalemme, ponendolasotto il suo controllo. Sebbeneil paese decise successivamentedi cedete la maggior parte dellezone conquistate in un accordodi pace con l'Egitto, la guerracambiò non solo i confini ma an-che gli equilibri interni alla po-litica israeliana, aprendo una frat-tura ideologica che da allora, damezzo secolo, rimane ancoraaperta. Oggi, i sostenitori della"Grande Israele" – tra cui si di-stinguono posizioni diverse, chevanno da quella del PresidenteReuven Rivlin a quella del par-tito nazionalista HaBayt HeYe-hudi di Naftali Bennet - sosten-gono il continuo controllo deiterritori della Giudea e Samaria(noti internazionalmente comeCisgiordania o West Bank) e ilrafforzamento al loro interno de-gli insediamenti ebraici. Un con-trollo che è, agli occhi di chi haquesta posizione, espressione deldiritto storico del popolo ebraico

sulla Terra d'Israele nonché unanecessità fondamentale per la si-curezza. Dall'altra parte ci sonocoloro che sostengono il ritiro

dalla Giudea e dalla Samaria ecredono che il compromessoterritoriale sia presupposto perla pace con i palestinesi. La per-

petuazione della situazione at-tuale, dicono i secondi, in cui iresidenti della stessa zona nongodono di uguali diritti, gettauna nube pesante sul futuro de-mocratico di Israele. In questo quadro è interessantedare uno sguardo ad alcuni deidati del report sulla società israe-liana pubblicati dall'Israel De-mocracy Institute, think tank conbase a Gerusalemme. Nel report,basato su dati del 2016, ci sonodiverse statistiche che inquadra-no sentimenti diffusi all'internodel mondo israeliano e raccon-tano delle sue divisioni (ebrei-arabi, sinistra-destra). Prima sta-tistica presentata, la percentualedi israeliani che si dicono orgo-

gliosi di esserlo: l'81 per centoha risposto in modo affermativo.È immaginabile che tra quel 19mancante ci sia una quota di ara-bi israeliani, che rappresentanoil 20 per cento della popolazione.E infatti alla domanda, “ti sentiparte dello Stato e dei suoi pro-blemi”, l'84 per cento degli ebreiha detto sì a fronte di un moltopiù basso 39 per cento degli ara-bi. Fa riflettere poi il fatto che ingenerale, il 40 per cento degliisraeliani descriva la sua situa-zione come così-così, a maggiorragione in un paese economica-mente forte e che vanta una di-soccupazione bassissima. In ge-nerale comunque, scrivono i re-dattori dell'indagine, gli israeliani

Per i suoi cinquant’anni si è

ammantata di bianco e blu, in-

cantando i suoi abitanti e i vi-

sitatori con spettacolari giochi

di luce sulle mura della Città

vecchia, cuore della sua iden-

tità antica e contemporanea.

D’altronde nell’ultimo decennio

o poco più, Gerusalemme ha

preso gusto a farsi conoscere

non soltanto per la sua straor-

dinaria storia e per le testimo-

nianze del ruolo che ricopre

per ebraismo, cristianesimo e

islam, ma anche per festival,

iniziative culturali e sportive,

riqualificazione di spazi o quar-

tieri trasformati in poli di at-

trazione e intrattenimento,

dalla Tachanah Rishonah, la

stazione costruita ai tempi del-

l’impero ottomano, fino a Ma-

chanè Yehuda, il suo tipico

shuk (mercato) mediorientale

che la sera fiorisce di pub, ri-

storanti e musica. E per dimo-

strare una volta di più che una

città che vuole custodire e ri-

manere profondamente con-

nessa al suo passato deve esse-

re capace di guardare al futu-

ro, una delle insospettabili mis-

sioni della Capitale israeliana

per i prossimi cinquant’anni è

quella di trasformarsi in un el-

dorado dell’high tech.

“Più conosciuta come antico

centro sacro per miliardi di

persone in tutto il mondo, Ge-

rusalemme sta sperimentando

un grande risveglio e offre una

straordinaria fusione di storia

e modernità introvabile in

qualsiasi altro luogo del mon-

do. La città è diventata un fio-

rente centro in imprese bio-

mediche, energia pulita, star-

tup legate a internet e mobile,

acceleratori, investitori e for-

nitori di servizi” scriveva la ri-

vista Time nel 2015, inserendo

la Città santa al primo posto

tra i cinque ‘tech hubs’ emer-

genti nel mondo.

“Negli ultimi cinque anni, gli in-

vestimenti in venture capital

(capitale di rischio messo a di-

sposizione di imprese altamen-

te innovatrici ndr) a Gerusa-

lemme sono cresciuti di cinque

volte, raggiungendo gli 800 mi-

lioni di dollari in oltre 160 so-

cietà, mentre gli eventi pubbli-

ci legati all’high-tech e al busi-

ness sono passati da 12 a 400

all’anno” spiega il sito di Ma-

deinJLM, organizzazione no

profit nata nel 2012 che si pro-

pone di trasformare le città in

uno dei 20 centri più innovativi

del mondo. “Nello sviluppare

l’economia creativa di Gerusa-

lemme, cambiamo la percezio-

ne che si ha della città e creia-

mo opportunità per gli impren-

ditori in tutto lo spettro socio-

economico. Il nostro obiettivo

ultimo è farla diventare uno

dei migliori posti al mondo per

vivere, lavorare e innovare”.

Così la comunità high tech di

Gerusalemme non si limita a vi-

vere nell’orario di ufficio, ma

si immerge nella città a 360

gradi, con aperitivi in cui ai

nuovi imprenditori viene data

la possibilità di presentare la

propria idea su un palco davan-

ti a un pubblico, brunch dove

insieme a workshop legati alle

tecnologie raccontano il pro-

prio lavoro artisti emergenti di

ogni genere, riunioni dedicate

a programmatori, esperti mar-

keting, designer, nei diversi

settori, lezioni di Torah e inno-

vazione e così via.

Ad oggi sono oltre 550 le im-

prese tecnologiche, che impie-

/ P10 ERETZ n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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IL COMMENTO LO SNACK DELLA DISCORDIA

Chiunque sia stato in Israele, e non abbia parti-colari pretese da salutista o da gourmand, sache cos’è un Tortit: la barretta di wafer rico-

perto al cioccolato, parve e dunque adatto aogni momento della giornata, che costituisceuno degli snack più diffusi nel Paese (ovvia-mente dopo i bamba, che si meritano il primoposto, e con un ampio margine). Di Tortit s’è

parlato in queste settimane per una vicendapiuttosto seria: Marwan Barghuthi, il leader diFatah condannato all’ergastolo per gli attentatiterroristici della Seconda Intifada, che sta gui-dando lo sciopero della fame dei detenuti pale-

stinesi, è stato sorpreso mentre mangiava (dinascosto, o così almeno credeva lui) per l’ap-punto un Tortit. Le autorità israeliane, che sta-vano segretamente filmando la sua cella, hannodiffuso la registrazione: ecco, vedete, è un ipo-

ANNA MOMIGLIANO

Guardarsi allo specchio cinquant’anni dopo

Gerusalemme, obiettivo high-tech

81% 71% 84%degli ebrei

84%degli arabi

Orgogliosi di essereisraeliani

Israeliani convinti di potercontare l’uno sull’altro

Israeliani che si sentono parte dello Stato e dei suoi problemi

Livello di ottimismo rispetto all’orientamento politico

Sinistra Centro Destra

44%

64%

82%

n Ottimismo

100%

90%

80%

70%

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%

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Elia Richetti, rabbino

7 giugno 1967. La “Guerra dei seigiorni” è scoppiata qualche giornofa, dopo un crescendo di tensionefra l’Egitto e Israele, favorito anchedall’acquiescenza del segretario ge-nerale dell’Onu, U-Thant, che hapermesso la chiusura dello Strettodi Tiran ed il conseguente soffo-camento del porto di Eilat. Poi,l’attacco egiziano contro Israeledal Sinai, la simultanea rispostaisraeliana con la distruzione a terradell’aviazione egiziana ed il con-trattacco via terra, ed infine la te-muta apertura di altri due fronti,quello giordano e quello siriano.Il mondo è letteralmente col fiatoin sospeso. Nulla fa pensare cheIsraele possa farcela. Ed è dapper-tutto una corsa a dimostrare soli-darietà ad Israele (allora era così!)che sta per essere sopraffatto. Tutti,indistintamente, bevono con ansiale notizie che giornali, televisionee radio lanciano. E ad ogni ora lenotizie cambiano: Israele non eraimpreparato, e reagisce fulminea-mente.Anche noi a scuola, qui a Milano,vivevamo con ansia quei momenti,e noi liceali avevamo avuto il per-messo di portare a classe le radio-line per sentire i bollettini del gior-

nale radio. Ogni mezz’ora (8.30,9.00, 9.30 e così via) la lezione sifermava, e si ascoltava la radio. Al-cuni insegnanti si limitavano a la-sciarci ascoltare i notiziari e poi ri-prendevano la lezione, altri com-mentavano con noi le notizie. Ri-cordo in particolare la professo-ressa di scienze, la Sonnino (nonebrea, nonostante il cognome), chesi infervorava per ogni millimetrodi Sinai da cui gli Egiziani si riti-ravano: “Dài, forza, ancora un chi-lometro, buttàteli oltre il canale!”.Quel giorno, il 7 giugno, ormai labattaglia del Sinai era al termine,e gli israeliani erano ormai sul Ca-nale di Suez. Era il fronte giordanoquello più attivo, e fin dalla mattinapresto avevamo sentito parlare diun attacco di paracadutisti israe-liani a Gerusalemme est. La bat-taglia era sicuramente terribile, esi viveva col fiato sospeso.Doveva essere, se non sbaglio, l’oradi filosofia, e la professoressa Dienas’interruppe per il notiziario che sidispose ad ascoltare, al suo solito,sfogliando i tanti libri che si por-tava sempre appresso. La voce del-lo speaker era concitata: “Ci giungenotizia che gli Israeliani hannoconquistato Gerusalemme est. Ab-biamo in linea il nostro corrispon-dente. Pronto, mi senti?”. E subitoda Yerushalaim il corrispondenterispondeva, ancor più concitato:“Sì, pronto ... la battaglia di Geru-salemme ... mi dicono... è terminata... Stiamo percorrendo ... le strade... della Città Vecchia ... (un rumorea raffica). Bisogna stare attenti ...ogni tanto ... (qualche colpo) c’èancora qualche cecchino ... ma ri-peto ... la battaglia è finita ... Stiamodirigendoci ... verso il Muro delPianto ... i soldati ... stanno portan-do sulle spalle, in trionfo ... Il Rab-bino dell’esercito ... Shlomo Goren... è un momento speciale ... storico

... dopo quasi duemila anni ... gliEbrei tornano a possedere questepietre ... Il resto ... dl Tempio di Sa-lomone ...c’è gente che prega, cheè commossa ... il Rabbino tira fuoriun corno ... si chiama shofàr ...” Equi udimmo in diretta il suono del-lo Shofàr davanti al Kòtel.Non ricordo altro delle parole del-lo speaker, se ce ne siano state omeno. Non ricordo se la lezione èripresa. Ricordo, o credo di ricor-dare, un silenzio attonito, dal qualeci ha riscossi il “bzzz” del cicalinodell’interfono che ci annunciavauna comunicazione del Preside. In-fatti ecco la voce di Rav Schau-mann cominciare come al solito:“Ehm, pronto, Shalom, chiedo scu-sa un momento. Abbiamo sentitoadesso che i nostri soldati israelianihanno riconquistato anche il mon-te del Tempio ...”. In quel momento,un deciso bussare alla porta dellanostra aula: è la Irma, sì, la miticaIrma, bidella della nostra scuoladall’immediato dopoguerra e dopoancora per decenni. E la Irma an-nuncia: “Richetti in presidenza!”.Stupore mio e di tutti. Che cosasuccede, che cosa ho fatto? Maproprio adesso? Mi alzo e la seguo.Entro in presidenza, e Rav Schau-mann è ancora lì, all’interfono, chemi fa cenno di avvicinarmi, mentredice: “Adesso un vostro compagnoleggerà la preghiera per lo Statod’Israele”, e mi mette in mano ilmicrofono ed un siddùr, ahimé an-cora chiuso! Mentre cerco - e tro-vo - la pagina, comincio intimorito– è la prima volta che la recito io!– con la cantilena che usava miononno: “Avìnu sheba-shamàimTzur Israel we-goalò, barèkh etmedinàt Israel reshìt tzemichàtgheullaténu...”.Ricordo che mentre recitavo la Te-fillàli-shlòm ha-medinà suonò ilcampanello per l’inizio della ricrea-zione, ma questa non cominciòche al termine di quella preghiera;e nessun campanello scandì i suc-cessivi momenti della mattinata:fino all’uscita (anticipata alle 12.50anziché alle 16:00) ci aggirammotutti, allievi ed insegnanti, incredulie festosi nei corridoi, sorridendo edandoci manate sulle spalle, quasia complimentarci di aver assistitonon solo ad un momento storico,ma ad un miracolo.

gano oltre 15mila persone, con

15 acceleratori e altrettanti

fondi di investimento per favo-

rire nascita e sviluppo.

Negli scorsi mesi, a portare Ge-

rusalemme sulla bocca di tutto

il mondo è stata poi l’acquisi-

zione, da parte dell’americana

Intel, della società Mobileye,

impresa gerosolimitana dedi-

cata allo sviluppo di program-

mi per le auto senza guidatore,

e in particolare a sensori e in-

telligenza artificiale che con-

sente ai veicoli di capire dove

si trovano in relazione ad altri

veicoli, pedoni od oggetti nelle

immediate vicinanze. La cifra

di 15,3 miliardi di dollari, insie-

me alla garanzia che il cuore

dell’operatività di Mobileye ri-

marranno in Israele ne ha fatto

una delle ‘exit’ (accordi di ven-

dita di start up di successo) più

favoleggiate della storia, e in

tanti già si chiedono quali

aziende possano diventare i

nuovi ‘unicorni’ (aziende inno-

vative che hanno raggiunto la

valutazione di almeno un mi-

liardo di dollari) della città: tra

le papabili Orcam, che si occu-

pa di sviluppare tecnologia per

risolvere problemi di vista fino

alla stessa cecità, e Freightos,

specializzata nel settore dei

trasporti merce.

“Gerusalemme forse ancora

non offre le stesse opportunità

di Tel Aviv, ma si sta avvicinan-

do molto” spiega Roy Munin,

uno dei fondatori di Ma-

deinJLM.

Se Tel Aviv e i suoi dintorni ri-

mangono infatti forse il prin-

cipale polo d’attrazione d’Israe-

le per gli imprenditori di tutto

il mondo, a dare una mano a

Gerusalemme potrebbe essere

anche il nuovo treno veloce

che collegherà i due centri in

28 minuti e dovrebbe essere

inaugurato nel 2018.

E d’altra parte la cooperazione

e la facilità di raggiungersi a

vicenda non potrà che giovare

a entrambe le città. Perché, co-

me si legge in un poster appeso

all’interno di Siftech, uno degli

acceleratori della Capitale,

“Israele è una start up vecchia

cinquemila anni” e il suo avve-

nire va costruito lavorando

tutti insieme.

Rossella Tercatin

/ P11pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017 ERETZ

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si dicono ottimisti ma c'è unagrande differenza nelle rispostadate da chi dice di essere di si-nistra, di centro e di destra: soloil 44 per cento dei primi si diceottimista, si sale al 64 per i se-condi, e si va ancora più in alto– molto di più - con i terzi, ov-vero all'82 per cento. Queste si-

gnificative differenze tra destrae sinistra sembrano rifletterequella divisione citata all'iniziosulla questione dei territori del'67 e sul processo di pace. Amezzo secolo dal conflitto, sot-tolineano dall'Israel DemocracyInstitute, questa spaccatura deveessere affrontata.

foto

: Yae

l Ila

n

Presidente

Corte Suprema

Governo

Polizia

Parlamento

Media

Partiti politici

Esercito

Arabi Ebrei

32%

26%

52%

20%

27%

18%

15%

12%

90%

67,5%

56,5%

48,5%

42%

28%

26%

14%

In chi hanno fiducia gli israeliani

1%Non sa

23%Dice che la situazione è cattiva

40%Dice che la situazione è così così

36%Dice che la situazione è buona

Come si sentono gli israelianirispetto a Israele

1967, il primo Yom Yerushalaim

crita, lui mangia mentre chiede ai suoi uominidi rischiare la vita. Attraverso i suoi rappre-sentanti, Barghuthi ha dichiarato che il fil-mato è un falso. Non è chiaro quanto il videoisraeliano abbia avuto effetti concreti sull’opi-

nione pubblica palestinese e nel mondo arabo;né se abbia effettivamente spinto altri prigio-nieri a interrompere lo sciopero della fame(qualcuno, a dire il vero, ha desistito, ma nonè chiaro se c’entri con questa vicenda). Se-

condo alcuni Israele ci ha fatto una brutta fi-gura: insomma, filmare di nascosto un prigio-niero! Secondo altri, è stato un bel colpo asegno messo a punto, anche dal punto di vistamediatico: la figuraccia è soprattutto di Bar-

ghuthi, visto che l’ipocrita è lui. In realtà, nelbene o nel male, il dibattito su Israele e la que-stione palestinese è così polarizzato che le tifo-serie tendono a credere soltanto a ciò chevogliono credere.

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aprirà le porte della guerra: pochesettimane dopo, lunedì 5 giugno,l'Israel Air Force con un'operazio-ne lampo distrusse le forze aree di

Nasser, o come disse l'allora Capodi Stato maggiore Yitzhak Rabin,“l’aviazione egiziana ha cessato diesistere”. Il giorno seguente, mar-

tedì, Israele ruppe le massicce di-fese militari egiziani nel Sinai. Mer-coledì i soldati di Tsahal miseroin fuga l'esercito giordano – en-

/ P12 ECONOMIA n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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IL COMMENTO LEVIATANO DI PACE

Ripetutamente si è parlato, anche su que-ste pagine, della rilevanza strategica deicircuiti di reperimento, lavorazione e di-stribuzione dei gas naturali e degli idro-carburi. Sono non solo elementiimprescindibili dell’economia ma anchestrumenti di potere. Quanto meno, con-corrono a generare gli equilibri geopoliticie, in immediata conseguenza, il loro even-

tuale mutamento. Concorrono alle guerrecosì come possono diventare strumenti dipace. Nel mese di aprile di quest’anno, afronte dei deludenti risultati ottenuti conil vertice dei Sette Grandi mondiali sul-l’energia, si è invece firmato l’accordograzie al quale il gasdotto EastMed colle-gherà il Mediterraneo orientale all’Eu-ropa. La fonte primaria sono gli enormidepositi di gas che si trovano a nordd’Israele, a partire dall’area del «Levia-

tano». Ne deriverà, pertanto, la costru-zione di un gasdotto sottomarino dellalunghezza di 1.300 chilometri, tra Israelestesso, Cipro, Creta e la Grecia, al quale siricollegheranno altri 600 chilometri in su-perficie. La stima di spesa è di sei miliardi,per una capacità di trasporto di circa diecimiliardi metri cubi annui, raddoppiabiliall’occorrenza. La dimensione di «Levia-tano» è calcolata, al momento, intorno ai530 miliardi di metri cubi. Il gasdotto Ea-

stMed incide sugli assetti geopolitici indiversi modi. Il primo di essi è che si ponenella logica della creazione di un mercatounico dell’energia nel Mediterraneo.Anche per questa ragione ha scontato per-plessità e difficoltà. Israele, in quantopaese produttore, si è dovuto confrontaresia con la riserva, espressa dalla Knesseth,di preservare una cospicua quota per ilfabbisogno nazionale a venire sia con l’op-zione, poi decaduta, di venderlo all’area

CLAUDIO VERCELLI

Nel 2010 l'allora governatore dellaBanca di Israele Stanley Fischer –oggi vice presidente della FederalReserve System, la banca centraledegli Stati Uniti – disse che la pacecon i palestinesi avrebbe potutofar crescere di almeno 5 punti per-centuali il Pil israeliano. Qualcheanno dopo, la Rand Corporation,un think tank americano, confer-mò questo assunto: l’accordo dipace con la soluzione dei due Stati,affermava lo studio dell'istitutoUsa, porterebbe nel corso di undecennio nelle casse israeliane 120miliardi di dollari. Numeri da te-nere a mente nell'anno che sanci-sce i 50 anni dalla Guerra dei Seigiorni del 1967 e che vede un'opi-nione pubblica, sia israeliana siapalestinese – seppur per motivi di-versi – oramai sfiduciata dalla pos-sibilità di raggiungere un accordodi pace tra le parti. Su questa que-stione, l'odierno dibattito politicointerno alla politica israeliana, di-rettamente riconducibile a quantoaccade nel '67, è diviso tra chi pen-sa di dare i territori conosciuti in-ternazionalmente come Cisgior-dania o West Bank – conquistatida Israele proprio nella Guerra deiSei giorni – ai palestinesi perchévi costruiscano il proprio Stato echi invece vuole una Grande Israe-le e per motivi religiosi quanto disicurezza non vede la concessioneterritoriale come un'opzione. Il conflitto, per dare un contestostorico, esplose il 5 giugno di cin-quant'anni fa. Da anni il fronte ara-bo, composto da Egitto, Giorda-nia, Siria e Iraq, minacciava l'esi-stenza d'Israele. Nel 1963 il presi-dente iracheno Abdul Salam Ariqdichiarava che “lo scopo degliArabi è la distruzione di Israele”.Affermazione condivisa e sotto-scritta dal presidente egiziano Nas-ser, che quattro anni dopo procla-merà la chiusura degli stretti di Ti-ran alla navigazione verso Eilat,unico sbocco sul Mar Rossod'Israele. Un atto unilaterale che

Sei giorni, ogni vittoria ha un prezzo

Lo Stato di Israele ha conseguitoimportanti e lusinghieri risul-tati in campo economico neisuoi primi 69 anni di vita: no-nostante la sua relativamente“giovane età”, il reddito pro-ca-pite è da qualche anno pari aquello dell’Italia (circa 37.000dollari l’anno), economia diassai più antica vocazione indu-striale ma in declino da alcunidecenni. Ma lo stato di bellige-

ranza con i palestinesi e ilmondo arabo impone comunque

dei costi, diretti e indiretti, assaielevati per l’economia: in as-

senza di questi costi la perfor-mance economica sarebbe an-cora più brillante e il tenore divita dei suoi abitanti, misuratocon il reddito pro-capite, sarebbedi almeno il 35 per cento piùelevato. È questa la tesi di Jo-seph Zeira, docente di economiapolitica a Tel Aviv e alla Luiss,che di recente ha tenuto dei se-minari a Roma. Secondo Zeira i principali costieconomici del conflitto sono tre:in primo luogo le spese militari,che incidono per il 7 per centocirca del reddito nazionale; insecondo luogo vi è una perdita di“capitale umano” arrecata dallaleva militare obbligatoria (3 anni

Israele e i costi economici del conflitto Aviram Levyeconomista

trato in guerra al fianco di Nasser– conquistando la Città Vecchiadi Gerusalemme in quella che inIsraele, e non solo, viene ricordatacome la riunificazione della città.Tra giovedì e venerdì, gli israelianiraggiunsero prima il Canale diSuez a Sud, poi le alture del Golana Nord. La sera di sabato fu di-chiarato il cessate il fuoco. “E ilsettimo giorno – come ha scrittoAnton La Guardia in un reportagesull'Economist - i soldati di Israelesi riposarono”. Alcuni dei territoriconquistati furono restituiti, altri,tra cui Gaza e la Giudea e Samaria– o West Bank – rimasero sotto ilcontrollo israeliano e, ovviamenteanche Gerusalemme. A riguardo La Guardia (nell'im-magine, le cartine che accompa-gnano la sua analisi sull'Economiste che raccontano dell'attuale divi-sione della Cisgiordania e di Ge-rusalemme) ricorda le parole pro-nunciate dal Primo ministro LeviEshkol quando venne a conoscen-za della conquista dell'attuale Ca-pitale d'Israele: “Ci è stata datauna buona dote, ma arriva con una

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delle nazioni del Pacifico (peraltro dispo-nibili a pagare, in regime di mercato, unterzo di più per ogni unità di fornitura).Non di meno, ed è il secondo elemento divalutazione, se si parla di gasdotti il ruolodella Russia di Putin e, in immediato ri-flesso, della Turchia di Erdogan e dellaGermania di Merkel, si fa tangibile. Poi-ché le loro fisionomie politiche si giocanomolto sulle funzioni (e le pressioni) cheriescono ad esercitare rispetto ai temi

energetici. Il gasdotto North Stream 2,ipotizzato bilateralmente nel 2016 daMosca e Berlino, concorrente quindi aEastMed, al momento è al palo. Ed è diffi-cile che si traduca in qualcosa di concreto,a questo stadio delle cose. Peraltro, la po-litica energetica mediterranea non in-tende sostituirsi agli scambi con laRussia ma, piuttosto, a rendersi comple-mentare, diversificando il quadro delle re-lazioni. Al momento attuale, l’Unione

europea importa il 70% del gas che con-suma. Quasi la metà degli acquisti arri-vano dalla Russia. EastMed dovrebbequindi cercare di rispondere ad una stra-tegia di mutuo interesse, sia economicoche politico, contribuendo a stabilizzare lerelazioni con il Mediterraneo orientale. Èattraverso la costruzione di consorzi suproduzioni e consumi comuni, infatti, chesi può pensare di porre le premesse perscenari più pacifici. L’antecedente, al ri-

guardo, è la sottoscrizione degli accordidel 1994 tra Israele e Giordania sullafruizione concordata e congiunta di unaparte delle risorse idriche della regione.Da più di vent’anni reggono alla provadei fatti. L’energia è l’elemento più pros-simo all’acqua, nell’ordine di rilevanzatra ciò che conta nella determinazionedelle premesse di accordi di pacificazione.A patto che i benefici siano distribuiti allecollettività e non incamerati da pochi.

Invece che importare da fuori persone nuove da impiegare nel-

l'alta tecnologia, è necessario sviluppare il capitale umano pre-

sente nei gruppi più emarginati della società israeliana. È l'obiet-

tivo del presidente della no-profit ITWorks, Ifat Baron. La sua

organizzazione, assieme all'ambasciata americana in Israele, ha

deciso di lanciare un nuovo programma che promuove la diver-

sità sul posto di lavoro, avendo come riferimento le realtà meno

integrate nel mercato del lavoro del Paese. “Gli studi hanno mo-

strato i vantaggi della diversità sul luogo di lavoro – affermava

Baron presentando il suo progetto - In primo luogo, impiegando

gruppi diversi, si sviluppano due importanti fattori di crescita:

la creatività e innovazione. In secondo luogo, dal momento che

i dipendenti sono orgogliosi di essere parte di un'organizzazione

diversa e dinamica, c'è un aumento del loro senso di lealtà e di

impegno per l'organizzazione o azienda datrici di lavoro. In alcuni

casi, c'è anche un significativo aumento della produttività”. Per

le aziende che forniscono servizi, sottolinea il presidente di IT-

Works, sostenere la diversità è una necessità, in quanto i clienti

stessi provengono da gruppi sociali differenti. Affinché un'azienda

possa fornire un servizio eccellente, deve essere in grado di ri-

flettere e identificarsi con i suoi clienti. Ciò include l'assunzione

di persone con background eterogenei e lo sviluppo delle loro

skills. Il progetto in cui è coinvolta l'ambasciata americana fa ri-

ferimento al settore high-tech, considerato uno dei motori di

crescita più importanti di Israele. Secondo l'Ufficio centrale di

statistica israeliano, a maggio nel paese c'erano 3.566 posizioni

aperte nel settore high-tech. Lo scorso anno, il governo israeliano

aveva reso pubblico un report – stilato dal ministero delle Finanze

– in cui si progettava di importare dall'estero diverse migliaia

di programmatori per coprire i posti vacanti e rinforzare il set-

tore. Una realtà che, spiega il direttore scientifico del ministero

dell'Economia israeliana Avi Hasson, “attualmente impiega 140mi-

la persone”. Ma che nei prossimi dieci anni dovrà confrontarsi

con una progressiva riduzione dell'offerta di mano d'opera: se-

condo le stime, nella prossima decade Israele avrà bisogno di

10mila tra ingegneri e programmatori. Da qui l'impegno di IT-

Works di guardare all'interno del paese e cercare di coinvolgere

con programmi di informatica settori della società diversi, fino

ad oggi poco – o meno - coinvolti nel mondo hightech.

sposa che non ci piace”. Cinquan-t'anni dopo, festeggiando Yom Ye-rushalaim (festa che ricorda la riu-nificazione di Gerusalemme) sa-ranno altre le considerazioni delPresidente d'Israele Reuven Rivlin“In queste pietre batte il cuore delpopolo ebraico”, ha affermato du-rante la cerimonia ufficiale tenutasilo scorso maggio, per poi invitareil Paese e il governo ad agire im-mediatamente per migliorare laqualità della vita nei quartieri arabidi Gerusalemme Est. “Non pos-siamo cantare canzoni che lodanouna Gerusalemme unita quandola parte est, la zona in cui vive il40 per cento dei suoi abitanti, èla più povera area urbana d'Israe-le”. Secondo Rivlin, detenere lasovranità sulla città significa assu-mersi la responsabilità di ogni suosingolo residente. Rivlin è tra co-loro che sostengono l'idea di unaGrande Israele: “Credo che Sionsia nostra e che la sovranità diIsraele dovrebbe essere estesa aogni blocco”, aveva detto in undiscorso pubblico in febbraio al-ludendo all’annessione da parted’Israele di tutta la Cisgiordaniacon la concessione ai palestinesidella piena cittadinanza israeliana.“La sovranità su di un certo ter-ritorio garantisce la piena cittadi-

nanza a tutti coloro che vi risie-dono. Non ci sono scuse. Non cipuò essere una legge per gli israe-liani e una altra per chi non lo è”,le sue parole. Saltando nuovamen-te indietro nella storia e tornandoal 1967 risuonano attuali per la si-nistra israeliana che non condividela posizione di Rivlin, o di chi èpiù a destra di lui, le parole di ungiovane Amos Oz. In agosto,quindi pochissimi mesi dopo ilconflitto, Oz scriverà: “Ora siamocondannati a governare personeche non vogliono essere governa-te da noi”. “Ho paura del tipo disemi che semineremo nel prossi-mo futuro nei cuori degli occupati- la preoccupazione dello scrittoremesse nero su bianco sul giornaleDavar, chiuso oramai da anni maun tempo voce dei laburisti - An-cora di più, ho paura del seme chesarà piantato nei cuori degli oc-cupanti”.Un altro tipo di analisi è quellainvece proposta dal demografoSergio Della Pergola su moked.it: “Con i Sei giorni, - scrive DellaPergola - Israele crebbe sul pianostrategico e militare, assunse unruolo di piccola potenza che pri-ma non aveva, aumentò enorme-mente la sua visibilità e influenzainternazionale, e fatto non secon-

dario, conquistò per la prima voltauna reale prominenza nell’imma-ginario degli ebrei della Diaspora.E questo avrebbe grandementeinfluenzato il destino degli ebreisovietici, con risultati di cui Israeleavrebbe beneficiato molti anni do-po. In un certo senso, Israele è re-almente nata nel 1967, non nel1948”. Su altri versanti, spiega ildemografo, la Guerra dei Sei Gior-ni non ebbe lo stesso impatto, adesempio non generò “un nuovoconcetto di stato d’Israele svilup-pato omogeneamente su tutto ilterritorio nazionale e non divisofra 'centro' e 'periferia'”. “Dopo iSei giorni – prosegue Della Pergola- ci fu un periodo di prosperitàsenza precedenti, presto seguitotuttavia da molti anni di malessereeconomico. Con lo sviluppo eco-nomico venne anche una miglioregiustizia distributiva, ma con la cri-si si acuirono le distanze sociali.Furono anni di modernizzazionee di secolarizzazione, poi sostituitida una crescente influenza del-l’educazione haredi”. Quello chenon venne fu un accordo di pace,nonostante i tentativi di Oslo eCamp David. E così, dopo mezzosecolo, la questione dei territoricontinua a dividere il Paese.

d.r.

Settore hi-tech israelianoin cerca di mano d’opera

per gli uomini, 2 per le donne),che si può stimare nel 6 percento del reddito nazionale: inparole povere, la leva ha l’effettodi accorciare di circa 3-4 anni lavita lavorativa dei giovani israe-liani (3 anni di leva più un annocirca di “stacco” per riprendersidallo “stress” e iniziare gli studio trovare lavoro). Infine Zeira stima un terzo eassai importante costo del con-flitto: la penuria di investimentiprivati in capitale fisico, ossiafabbriche, macchinari e simili(non gli investimenti finanziarie immobiliari, che abbondano).Tale scarsità è evidenziata se-condo l’economista dal con-fronto tra il volume di capitaleindustriale fisico negli StatiUniti (150 per cento del reddito

nazionale) e in Israele (100 percento del reddito) nonché dalfatto che negli ultimi 20 anni ilreddito pro-capite israeliano nonsi è avvicinato neanche di poco aquello degli USA , rimanendofermo a un rapporto di due terzi(21.000 contro 31.000 dollarinel 1997, 37.000 contro 57.000nel 2016). Da cosa dipende que-sta scarsità di investimenti e, diconseguenza di capitale fisico?Secondo Zeira e altri studiosidipende dall’incertezza legata alconflitto, che scoraggia gli inve-stimenti di lungo periodo e ri-durrebbe il reddito nazionale del20 per cento circa. Sommando queste tre voci dicosto e aggiungendone alcunealtre più piccole (i sussidi agliinsediamenti nei territori occu-

pati e i costi della rete di sicu-rezza pubblica e privata anti-at-tentati) si arriva a un costodella “non-pace” pari al 35 percento del reddito nazionale.Quanto sono affidabili e com-plete queste stime di Zeira? Agiudizio di chi scrive si tratta distime realistiche e forse appros-simate per difetto: le stime dellostudioso considerano solo inparte i mancati guadagni di red-dito, potenzialmente elevatis-simi, che scaturisconodall’assenza di relazioni diplo-matiche e commerciali con ipaesi arabi e quelli musulmani;un’integrazione commerciale efinanziaria con questi paesi por-terebbe con ogni probabilitàIsraele ad aumentare in via per-manente il suo tasso di crescita.

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/ P14 CULTURA EBRAICA n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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u חסדיה לגנבא נפשיה לשלמא נקיטIL LADRO, SE NON RAGGIUNGE IL MALLOPPOSI MOSTRA MANSUETO

Chi non ricorda la favola attribuita a Esopo della volpe e l’uva. Essa ci dice che

di fronte a cose irraggiungibili, siamo pronti a trovare le più variopinte scuse

per giustificare agli altri il comportamento rinunciatario, ma il racconto si

spinge ben oltre, mettendo in luce come a volte mentiamo anche a noi stessi

pur di non ammettere una sconfitta. Ma quando invece la nostra valutazione

è vera e sincera, l’unico modo per non essere ritenuti arrendevoli è dimostrare

il contrario con metodi convincenti, a scanso di equivoci e fraintendimenti.

La mishnà di Sanhedrin enuncia tutte le prerogative del Re d’Israele. È vietato

cavalcare il suo cavallo, sedere sul suo trono, utilizzare il suo scettro e i suoi

beni. E a tutela della sua privacy e della sensazione di timore che deve animare

i suoi sudditi, non lo si può vedere al bagno o mentre si fa la barba. Tra i suoi

beni si vede appropriato annoverare anche le concubine e le serve che ha a

disposizione, ma già la Torah mette un bel freno quando sentenzia: “Non au-

menti le sue donne perché non devii il suo cuore” (Deut. 17:17). Il Talmud

prende in considerazione il racconto con cui si apre il libro dei Re. Davide era

vecchio e gli misero a disposizione la giovane Avishag shunamita perché lo

“riscaldasse”. Il testo sottolinea che fra loro non si consumò alcun rapporto.

La ghemarà immagina a questo punto una conversazione. Avishag avrebbe

desiderato che il Re si unisse a lei e la prendesse in sposa ma Davide le spiega

che aveva raggiunto il numero massimo di mogli che gli erano consentite.

Alla giovane non mancarono peli sulla lingua e dichiarò a chiare lettere: quando

il ladro non riesce a raggiungere il malloppo si mostra pacifico; altro che scuse,

la mitezza di Davide era determinata da debolezza fisica e basta. Un affronto

troppo grande per il re d’Israele che d’istinto chiamò una delle sue mogli, Bat

sheva, che come continua il testo: “giunse ed entrò “nella stanza”. Tanto basta

ai maestri del Talmud per dichiarare che il Re dimostrò con un numero di am-

plessi pari alle parole contenute nel versetto (ben tredici!!) che le forze non

gli mancavano. Alcuni dicono che Avishag non avesse creduto, è vero, alle pa-

role di Davide ma il senso del proverbio fosse un altro: a chi la dai a bere, sei

stato sempre un bandito, al punto che il ladro rispetto a te è un pio ed ora

sei diventato così timoroso di Dio da essere ligio alle regole?

Uomini potenti e donne facili e ammaglianti, topos della letteratura e fardello

antistorico che troppo spesso popoli e nazioni sono costretti a sopportare

anche oggi.

Amedeo Spagnoletto

sofer

ú– COSÌ DICE LA GENTE… כדאמרי אינשי

La casa dei viventi ú– STORIE DAL TALMUDu MATRIMONI COMBINATINei giorni di Chol haMo‘èd (ossia i giorni semifestivi) si possono scrivere sol-

tanto documenti di fidanzamento, divorzio, ricevute, testamenti, donazioni

ecc. la cui mancata scrittura può comportare una notevole perdita. Disse

Shemuel: È permesso fidanzarsi con una donna di Chol haMo‘èd, per evitare

che qualcun altro venga prima e si fidanzi con lei. […] Ma Shemuel ha vera-

mente detto che è permesso fidanzarsi nei giorni semifestivi “per evitare

che qualcun altro venga prima”? Eppure ha detto rav Yehudà a nome di She-

muel: Ogni giorno esce una voce in Cielo che proclama: “La figlia del tale al

tal altro, il campo del tale al tal altro”! (Quindi i matrimoni sono predestinati

dal Cielo e non c’è da preoccuparsi che qualcuno si fidanzi con una donna al

posto di un altro). Si risponde: Qualcun altro però può precederlo nelle pre-

ghiere, come quell’episodio capitato a Ravà che sentì un uomo pregare al

Signore dicendo: “Fa’ sì che la tale donna sia mia moglie”. Gli disse Ravà: “Non

dovresti pregare in questi termini, infatti se ella è adatta per te e quindi ti è

destinata, non se ne andrà via da te comunque, ma se non è adatta a te e

tu la sposerai ugualmente, la conseguenza sarà che alla fine la rinnegherai!”.

Dopo di ciò e dopo che quel tale si era in effetti sposato con la donna, Ravà

sentì che egli diceva, parlando di sé e della donna: “O che lui (ossia io) muoia

prima di lei o lei muoia prima di lui!”. Gli disse allora Ravà: “Non ti avevo forse

detto che non avresti dovuto pregare su questa faccenda? Ossia, siccome

non era destinata a te alla fine l’avresti odiata!” (Pertanto, i matrimoni sono

forse sì combinati in Cielo, ma l’uomo e la donna sono poi liberi di sposarsi

con chi vogliono e possono anche “forzare” il Cielo con le preghiere, seppur

non è sicuro che convenga loro). (Adattato dal Talmud Bavlì, Mo‘èd Qatàn

18b, con i commenti di Rabbenu Nissim di Gerona, Rambam e altri).

Gianfranco Di Segni

Collegio rabbinico italiano

Rav Alberto Moshe Somekh

Una ventina d’anni fa fui fermato dalla poliziaall’esterno del cimitero ebraico di Acqui Ter-me. La Comunità di Torino me l’aveva se-gnalato fra quelli soggetti alla sua giurisdi-zione e aspettavo i partecipanti a una ceri-monia prima di Rosh ha-Shanah. Più dellamia carta d’identità fece fede il tesserinodell’Assemblea Rabbinica che portavo conme. Gli agenti se ne andarono. L’indomanilessi sul giornale di messe nere nel sacro re-cinto: evidentemente avevo convinto la pat-tuglia che ero il padrone di casa. Casa? Si faper dire. Una sceneggiatura da Harry Potteraccoglieva i visitatori che, in mancanza diun viottolo, erano costretti a farsi largo frale sterpaglie anche solo per raggiungere ilcancello d’ingresso. I cimiteri sono la vocepiù difficile dei nostri bilanci. Le spese dimanutenzione sono chessed shel emèt, “mi-sericordia autentica”. Sono a fondo perduto,se si eccettua un fondamentale ritorno d’im-magine: evitare la “profanazione del Nome”conseguente allo spet-tacolo non sempre edi-ficante fornito ai nonebrei di passaggio. Laperpetuità delle sepol-ture non fluidifica cer-tamente la situazione.In presenza di famigliedirettamente interessa-te, siamo loro grati peril contributo che dannoal decoro dei cimiteri:esempi notevoli si tro-vano anche in Piemon-te. Ma dove le famiglie sono ormai estinte,di tombe talvolta secolari deve farsi caricola Comunità.Più che alla scarsità di uomini e mezzi lavera responsabilità va attribuita alla mancan-za di cultura e di spiritualità. La battuta: “sel’Ebraismo avesse coltivato una fede nell’Al-dilà avrebbe avuto molti più clienti” ha resofamoso l’ultimo film di Woody Allen. Molticredono infatti che l’idea della vita ultrater-rena sia uno degli elementi che contrappon-gono i cristiani agli ebrei e invece non è così.La resurrezione dei morti è postulata daMaimonide fra i tredici principi della feded’Israele. Il cimitero è significativamente chia-mato Bet ha-Chaim, “casa della vita” o “deiviventi”: lungi dall’essere un semplice eufe-mismo, tale denominazione riflette la visioneebraica della morte come preludio alla “vitadel Mondo a Venire”. I cimiteri antichi sonoautentici famedi, per merito delle figure chevi sono sepolte e che hanno alimentato ilprestigio di cui l’ebraismo italiano ha godutoper secoli. In alcune Comunità la consape-volezza di questo lustro, associato a un’ec-cellente rapporto con le istituzioni cittadine,ha dato risultati degni di nota nella conser-vazione di queste tombe. A Livorno, peresempio, una recente pubblicazione (“Il Ci-mitero Ebraico Monumentale di Livorno –Beth ha-Chaim: primi interventi di restauroe di catalogazione”, Debatte Editore, 2014)testimonia il lavoro intrapreso. La prefazioneè addirittura affidata alla penna del sindacodella città. Nell’esprimere la propria soddi-

sfazione per “aver contribuito a finanziare irilevanti lavori adesso completati dalla Co-munità Ebraica”, il primo cittadino di Livor-no si dichiara consapevole che “il restaurointeressa un’area sepolcrale dove il ricordodi personalità livornesi illustri, primi fra tuttii numerosi rabbini come Elia Benamozegh,esorta a proseguire in un’opera di migliora-mento sociale e culturale”. In Emilia-Roma-gna un gruppo di studiosi si è dedicato allaschedatura dei piccoli cimiteri del Finale edi Lugo, inaugurando l’assai ambizioso pro-getto di pubblicare un “Corpus EpitaphiorumHebraicorum Italiae” (“Sigilli di eternità”, LaGiuntina, Firenze, 2011). Ma non è dato tro-vare dappertutto una simile coscienza. Nel suo Responsum n. 56 R. Menachem‘Azaryah da Fano tratta della qedushah dellenostre sepolture. In una città del Nord Italiala pubblica autorità aveva requisito il terrenodel cimitero e si cercava di trovare una so-luzione di compromesso. Il Rav rispondeche la pietra tombale appartiene al morto eche anche sul terreno di riporto che ricopre

la fossa molti pensanoche non si possa più in-vocare il principio percui “la terra è universale”(qarqa’ ‘olam). Di più, alcimitero pubblico si ap-plica la stessa qedushahdella Sinagoga, per cuinon vi sono ammessicomportamenti frivoli omen che rispettosi: nonvi si mangia né si beve eci si deve vestire in mo-do acconcio. Non può

essere destinato a pascolo (occorre una solidarecinzione!), né lo si può sfruttare come ter-reno di transito per lavori di canalizzazione.Procedure speciali sono previste per il tagliodell’erba e per l’eventuale piantagione d’alberi.Persino quelle aree già individuate ma nonancora materialmente servite per l’inuma-zione sono soggette a queste norme. In al-cune Comunità si rinnova tuttora a ogni nuo-va sepoltura l’uso di stampigliare nel terrenoalcune lettere ebraiche e di collocare talecontrassegno sotto la protezione di una te-gola, a scanso di vilipendi (R.I. Lampronti,Pachad Itzchaq s.v. qevurah). In linea di prin-cipio le nostre sepolture sono perpetue e ina-lienabili. Per una tragica ironia della sorteproprio l’antico cimitero ebraico di Mantovache ospitava la tomba di R. Menachem ‘Aza-ryah sembra destinato a una “riqualificazione”a quasi quattrocento anni dalla sepoltura delgrande talmudista e cabalista (morì nel 1620).La notizia ha suscitato il più che giusto sde-gno di tutto il mondo ortodosso. Che posi-zione prendono le nostre istituzioni comu-nitarie al riguardo? Prima di perorare una si-mile causa presso la pubblica autorità è tut-tavia d’uopo portare a termine il censimentodelle aree cimiteriali ebraiche esistenti nelnostro paese e verificare le loro effettive con-dizioni. Domandiamoci se gli interventi di“pulizia” non siano la conseguenza del de-grado delle aree medesime. Come insegnavaReish Laqish: “rimprovera (lett. adorna) testesso prima di rimproverare gli altri” (San-hedrin 19a).

Adamo ed Eva cacciati dalu

Paradiso, James Jacques Joseph

Tissotc. 1896-1902

The Jewish Museum, New York

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La legge ebraica prescrive dinon restare inerti davanti al ri-schio di vita del tuo prossimo:“Lo taamod al dam reakha”. Eil bene vita, nell'ebraismo, vieneprima di tutto. Come ricorda ilmedico e maskil Cesare Efratinel suo libro dedicato agli Aspet-ti di bioetica medica alla luce dellatradizione ebraica, “quando unavita umana è in pericolo, al-l'ebreo non solo è consentitoma piuttosto prescritto di violarequalsiasi regola dello shabbatper tentare di salvare la vita arischio in quel momento”. Unsaldo principio generale che valeper tutti, qualsiasi sia il redditoe lo status sociale. A questo possiamo affiancareun altro importante concettoebraico, la tzedakah, a volte er-roneamente tradotto come ca-rità ma che indica la giustiziasociale: “È un’idea di società nelsuo complesso, di solidarietàcollettiva volta a una ridistribu-zione della ricchezza - spiegavasu queste pagine lo storico Gia-como Todeschini - La cosa im-portante non è essere buoni coni poveri, ma che la condizionedi povertà e cioè di esclusioneeconomico-sociale non esista”. Sul piano etico morale dunquel'ebraismo, guardando al temadell'undicesima edizione del Fe-stival Economia di Trento de-dicato alla salute diseguale, ha

diverse cose da dire. Certo la si-tuazione si complica di frontealle risposte sul piano economi-co per riparare a una condizioneche colpisce molti paesi delmondo e, in parte, anche l'Italia.Si pensi, per quanto riguarda alnostro Paese, ad esempio allacura del cancro di cui ha parlatoal Salone del Libro di Torino ilmedico e immunologo Alber-to Mantovani: “Secondo l'Asso-ciazione Italiana di Oncologia

Medica e l'Associazione Italianadei Registri sul cancro, ci sonocirca 3/3.5 milioni di personeche hanno avuto esperienza diun tumore in Italia - ha afferma-to Mantovani - 900.000 circa so-no vivi a cinque anni di distanza,700.000 sono guariti. Rispettoall'Europa, in Italia si vive di piùcon un cancro”. Sintomo di unasanità pubblica efficiente ma cheha al suo interno delle disfun-zioni: "Il cancro della cervice

colpisce molte donne, ed è uncancro disuguale: al Nord la suacurva scende, perché si fa dia-gnosi precoce, al Sud non scen-de, perché non si fa. Questo èsolo un esempio di incroci an-goscianti di avvenimenti legatialla salute. È una disuguaglianzageografica”.Come fa notare poi Tito Boeri,direttore scientifico del Festivaldi Trento, “nei paesi sviluppatile disuguaglianze di salute po-

trebbero notevolmente aumen-tare con l’invecchiamento dellapopolazione, se si considera chestime recenti valutano una cre-scita di circa l’80% nella spesaper le cure di anziani non auto-sufficienti che soffrono di declinocognitivo o Alzheimer”. “La copertura e la qualità delleprestazioni sanitarie giocano unruolo importante, ma pur semprelimitato in queste differenze: nonbasta introdurre programmi uni-versali di copertura sanitaria gra-tuita per abbattere le differenzenella longevità. Nonostante l’uni-versalismo sia stato applicato nel-l’accesso ai servizi sanitari nelRegno Unito subito dopo laguerra - ricorda Boeri - questoaccesso gratuito da parte di tuttialle cure sanitarie è andato di pa-ri passo ad un incremento delledifferenze nelle condizioni di sa-lute delle famiglie britanniche nei40 anni successivi. Ci sono fattoriculturali, ambientali, sociali, legatial lavoro, che incidono profon-damente sulle condizioni di vita,l’alimentazione e la prevenzionedelle malattie. E le terapie piùefficaci per alcune malattie spes-so sono troppo costose ancheper il più generoso dei sistemisanitari nazionali”. Se quindi valeil principio “Lo taamod al damreakha”, gli Stati devono ancoralavorare perché, a livello di siste-ma, sia valido per tutti.

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DOSSIER /Mercati e valoriSalute diseguale, sfida da raccogliereCelebrando un compleanno, gli ebrei usano augurare al festeggiato “ad mea-ve-esrim”, fino a 120 anni. E ovviamente di arrivarciin salute. Per farlo è necessario prendersi cura di sé e poter contare su un sistema sanitario che funzioni e che tuteli tutte le fascedi popolazione, anche le più deboli. A questo tema, visto anche in chiave ebraica e guardando al modello Israele, sono dedicatequeste pagine, con uno sguardo sul problema delle diseguaglianze nel mondo della salute, argomento dell'edizione 2017 del FestivalEconomia di Trento.

IL PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA

L’algoritmo altruista

Alvin Roth ha ideato un algoritmo che serve, tra lealtre cose, a facilitare le donazioni di reni e quindia salvare delle vite. Ne parla con Pagine Ebraiche

MEDICINA E TECNOLOGIA DA ISRAELE

La sanità diventa digital

La rivista The Lancet ha dedicato al sistema sani-tario israeliano un intero numero. Tra i punti diforza descritti, la digitalizzazione dei servizi.

SCIENZA E COMUNICAZIONE

Informarsi è salutare

Come sintetizza la vignetta del New Yorker, c’è uneccesso di notizie sul mondo della sanità. Al gior-nalismo scientifico spetta fare chiarezza.

© L

uke

Best

a cura di Daniel Reichel

L’illustrazione del grande disegnatore britannico Luke Best, i cui lavori sono stati esposti in diversi grandi museidi Londra. Il disegno compare in un articolo sulla sanità del magazine Bostonia della Boston University.

La medicina è proteggere i più deboli

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DOSSIER /Mercati e valori

/ P16 n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

“L’economia può riparare il mondo”Il premio Nobel Alvin Roth parla dei suoi studi sul matching market e sul loro impatto nelle nostre vite

“Sicuramente mi ispiro al con-cetto di Tikkun Olam, di riparareil mondo. E penso che anchel’economia debba avere questoruolo: capire le cose ma anchefarle funzionare meglio”. Difficiledare dell’utopista ad Alvin Roth,premio Nobel per l’Economianel 2012 assieme a Lloyd Sha-pley “per la teoria delle alloca-zioni stabili e la pratica della pro-gettazione dei mercati”. L’algo-ritmo che gli ha permesso di vin-cere uno dei più prestigiosi rico-noscimenti nel suo campo è ladimostrazione del suo pragma-tismo: “immaginiamo un medi-co, un avvocato, o un professoreuniversitario a inizio carriera. -scriveva sul Sole 24 Ore l’eco-nomista Francesco Guala perspiegare il contributo di Roth eShapley - Tutti questi professio-nisti si trovano ad affrontare unproblema di matching, trovareil posto “giusto” per la persona“giusta”, devono cioè scegliereed essere scelti. Il mercato in teo-ria dovrebbe accoppiare ognicandidato al datore di lavoro piùappropriato, prendendo in con-siderazione le preferenze di en-trambe le parti riguardo a sti-pendio, abilità, aspirazioni, ec-cetera”. Questo però non avvienein forma automatica e qui entrain gioco il meccanismo ideatoda Roth, che ha poi adeguato ilsuo lavoro a un settore ancorapiù delicato: il trapianto e loscambio di reni. Come raccontaa Pagine Ebraiche lo stesso pre-mio Nobel, a questo ultimo la-voro – che permette di salvarevite umane costruendo catene didonatori e pazienti – Roth ci èarrivato dopo un percorso lungo,dopo tante ricerche e senzaun’idea preordinata. Ciò chesembra averlo accompagnatosempre è quel concetto da luistesso citato di Tikkun Olam, divolontà di riparare il mondo.“Sono cresciuto in una famigliaebraica conservative (correntedell’ebraismo), ho fatto le scuoleebraiche e mio fratello è unebreo hassidico. Certo tutto que-sto ha un’influenza su chi sono”.

Nel suo libro - Who Gets What -

and Why? (Chi riceve cosa e per-

ché?), lei spiega come ha applicato

i suoi studi sul matching market

per portare dei miglioramenti con-

creti in diversi campi. Partendo

dall’inizio, può spiegarci cosa si in-

tende per matching market?

Ci sono molti tipi di mercato manoi in genere pensiamo al mer-cato delle materie prime dovesemplicemente un bene viene of-ferto a un determinato prezzo enon importa chi lo stia offrendo.I matching market funzionanodiversamente: in questo caso pa-ghi le persone con cui hai a chefare e quindi non fai riferimentosolamente a un prezzo. Un esempio è il mercato del la-voro. Caratteristica dei matchingmarket è che non puoi solo sce-gliere ciò che vuoi ma devi an-che essere scelto: non possosemplicemente decidere di lavo-rare per Stanford, devo ancheessere scelto dall’università. Deveesserci quindi un match, un ab-binamento. Un po’ come neimatrimoni.

Questo concetto, come accenna-

va, si applica tra le altre cose al

mercato del lavoro e in particolare

lei lo ha utilizzato per dare una so-

luzione concreta alle assunzioni in

campo medico.

Prima di mettermi a lavorare sul-la questione di come combinarestudenti di medicina e ospedali,ho cercato di capire come aves-sero risolto il problema dell’oc-cupazione dei medici negli anni‘50 (la soluzione era stata com-binare, utilizzando un algoritmo,due scale di preferenze, una in-dicata dai medici in cerca di la-voro e l’altra dagli ospedali chene offrivano uno: entrambi eranochiamati a stilare una classificadei posti dove volevano lavoraree delle persone che volevano as-sumere. Incrociando i dati, ve-niva fatto l’abbinamento miglio-re. Ndr). Allora però si parlavadi un mercato del lavoro prati-camente tutto al maschile. Neglianni ‘70 le cose sono cominciatea cambiare con un maggiorecoinvolgimento femminile: il 10per cento dei laureati in medici-na erano donne, oggi sono il 50.E capita spesso che all’internodi una coppia entrambi sianomedici, il che vuol dire che dob-

biamo trovare impiego a entram-bi nello stesso settore. Parte delmio lavoro è quindi diventatoriorganizzare il mercato del la-voro per i dottori, pensando allavariabile delle coppie e utilizzan-do un algoritmo per una miglio-re allocazione delle risorse.

Dalla questione dei medici e degli

ospedali, è poi passato al proble-

ma dei trapianti di reni. Come mai

ha scelto questo argomento?

Innanzitutto parliamo di un la-voro che ha preso molto tempo.Quando ho cominciato a studia-re negli anni Settanta gli articolidi David Gale e di Lloyd Sha-pley (in merito all’algoritmodell’accettazione differita) nonavevo in nessun modo pensatoallo scambio di reni. Il paper su cui avevo lavoratopartiva da questo presupposto:supponi di dover lavorare nelmercato immobiliare ma nonpuoi usare i soldi per la compra-vendita, cosa faresti? Ho scrittoalcuni articoli affrontando il pro-blema. Un esercizio interessante

che mi è poi servito quando hopreso in mano il tema delloscambio dei reni: la legge infattipraticamente in tutto il mondovieta la vendita di organi per tra-pianto per cui sono necessariesoluzioni alternative. Io ho toc-cato per la prima volta la que-stione quando nel 1982 sono ar-rivato all’Università di Pittsburgh,sede di un gigantesco centro peril trapianto di reni. Ho iniziatoa usare lo scambio di questi or-gani come esempio per i mieistudenti per parlare di mercatiche non funzionano attraverso isoldi. Nel 1998 mi sono spostatoad Harvard e proprio in queglianni in New England (regionedel Nord Est in cui si trova laprestigiosa università, ndr) è sta-to fatto il primo scambio di reni.In quel momento mi sono resoconto che come economisti po-tevamo aiutare a organizzarequesto mercato su una più largascala. Avevo fatto pratica lavo-rando su un assunto teorico co-me quello del mercato immobi-liare e ora potevamo metterlo inpratica.

Di cosa parliamo quando parliamo

di scambio di reni?

Al mondo ci sono molte più per-sone che necessitano di trapiantodi reni rispetto ai reni disponibili.Al momento, più di 100.000 per-sone negli Stati Uniti sono in li-sta di attesa per un rene da undonatore defunto, e migliaia diquelle persone moriranno nel-l’attesa. Ma una persona sana hadue reni e può rimanere in buo-na salute anche rimanendo con

ALVIN ROTH: economista sta-u

tunitense noto per i suoi fon-

damentali contributi

nell'ambito della teoria dei

giochi e dell'economia speri-

mentale, è professore di Eco-

nomia e Business

Administration presso l'Har-

vard Business School. Nel 2012

è stato insignito, insieme a

Lloyd Stowell Shapley, del Pre-

mio Nobel per l'economia "per

la teoria delle allocazioni sta-

bili e gli studi sulla configura-

zione dei mercati".

Giovedì 1 giugno2017 Ore 18:00 –Teatro Sociale MERCATO E DISUGUAGLIANZE NELLA SALUTEcon Alvin Roth,introduce Tito Boeri

Venerdì 2 giugno 2017 Ore 15:00 Facoltà di Giurisprudenza,Aula MagnaMATCHMAKING. LA SCIENZA ECONOMICA DEL DARE A CIASCUNO IL SUO Alvin Roth in dialogo conDino Gerardi. Coordina ToniaMastrobuonia cura di Einaudi

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uno solo. Quindi molti reni ven-gono donati da donatori viventi,spesso a persone che amano. Ilproblema però è la compatibilità:a volte sei abbastanza sano perdare a qualcuno un rene, ma iltuo rene non va bene per la per-sona a cui vorresti darlo. Se duecoppie di pazienti e donatori so-no in questa situazione, è possi-bile incrociare le donazioni e così– se c’è compatibilità - abbiamouno scambio di reni. La catenaperò può andare ben oltre laprevisione di due sole coppie enoi abbiamo lavorato per met-tere a punto un sistema che ri-sponda a questa esigenza.

Qual è il ruolo dell’altruismo inquesto sistema? Per esempio dueanni fa sui giornali ebraici si par-lava del gesto del rabbino Shmu-ly Yanklowitz, che ha donatouno dei suoi reni ad un giovaneisraeliano, ispirandosi - come hadichiarato lui stesso - a due prin-cipi ebraici: “lo taamod al damre’echa” (non starai a guardarequando il tuo prossimo è in pe-ricolo di vita) e del pikuach ne-fesh (ovvero, i divieti cadono difronte all’urgenza di salvare unavita umana).L’altruismo e l’etica contano. Loscorso anno negli Stati Uniti6000 persone hanno donato unrene, ciascuno di questi atti è unatto di altruismo. Queste personehanno deciso di salvare la vita auna persona che amano. E ce nesono poi altre 700 che sono do-natori indiretti: donano il propriorene ma non gli importa a chi.Ma il problema, come dicevamo,è che la lista di chi ha bisognodi un rene è molto più lunga.

L’altruismo quindi per il momento

non basta. Ma quali alternative ci

sono?

La donazione è una questionecomplessa. In termini ebraici, lahalakha – la legge ebraica - par-la dei trapianti e ci sono poskim– saggi – che toccano anche laquestione della possibilità di ri-cevere dei soldi in cambio diaver salvato una vita. In parti-colare il rabbino Shlomo Sal-man Auerbach pone in un suoscritto la questioni in questi ter-mini: un giorno passi nei pressidi un fiume e vedi un uomo chesta affogando. Di fianco alla riva c’è una cordae tu subito gliela lanci, riuscendoa salvargli la vita. Lui, per rin-graziarti si offre di darti dei soldima in questo caso non puoi ac-cettare. Non aver compiutoquell’azione sarebbe stato comeuccidere l’uomo, non ci si puòfar pagare per un’azione che so-no obbligato a fare. Stessa situa-

zione ma senza corda: ti lanciin acqua, nuotando contro cor-rente e mettendo a rischio la tuavita, riesci a salvare l’uomo chestava annegando. Lui ti ringrazia e si offre di dartiun premio in denaro come rin-graziamento. Tu sei in una situazione econo-mica difficile, la tua famiglia fafatica ad andare avanti e quel re-galo sarebbe d’aiuto. In questocaso, la somma di denaro rice-vuta non cancella la tua mitzvah(buona azione). Tornando allanostra questione dunque, sem-bra esserci spazio, a determinatecondizioni, per ricevere denaroin cambio della donazione di unrene. Ma per il momento questapratica rimane, ad eccezione del-l’Iran, vietata in tutto il mondo.

Si tratta di un caso di quello che lei

ha definito “mercato ripugnante”?

Quando parlo di “mercato ripu-gnante” o di “transazione ripu-

gnante” faccio riferimento a unatransazione che alcune personevogliono fare, altre non voglionoche sia fatta ed è difficile vederele conseguenze materiali su chinon vuole. Sono questioni legatealla morale di un determinatoperiodo storico o di una deter-minata area geografica. Per ladonazione di reni, la preoccupa-zione è che le persone più vul-nerabili possano essere sfruttatema è anche vero che negli StatiUniti e in Italia migliaia di per-sone muoiono per mancanza direni, quindi la risposta al proble-ma non è così ovvia. E le faccioun altro esempio: io e lei stiamoparlando ora. Io sono in Califor-nia, lei in Italia. Se lei venisse qui,potrebbe avere un figlio, firman-do un contratto con una donna,attraverso la maternità surrogata.Si tratta di una transazione legalequi, oggi, in California. Non è così per la legge italiana,come dimostra il caso recente di

una coppia che ha avuto un fi-glio – a cui non era legata gene-ticamente - da una madre sur-rogata in Russia. Una volta che la coppia con ilbambino è tornata in Italia, il tri-bunale ha deciso di metterlo inaffido perché il test del Dna ave-va dimostrato che non c’era le-game biologico tra padre e figlio.E una sentenza della Corte deidiritti umani di Strasburgo haconfermato il provvedimento(“Una coppia non può ricono-scere un figlio come suo se ilbimbo è stato generato senza al-cun legame biologico con i dueaspiranti genitori e grazie ad unamadre surrogata”, si legge nellasentenza della Corte di Strasbur-go). Quello che oggi è legale inCalifornia e quindi moralmenteaccettato, non lo è in Italia.

Posto quindi che la questione

dell’acquisto di organi è conside-

rato immorale ed è illegale in tutto

il mondo, sono state trovate delle

alternative per diciamo incentiva-

re le donazioni?

In Israele, dove c’è stato un di-battito su quando è permessodonare gli organi e in particolaresu quando una persona è consi-derata morta ed è quindi per-messo l’espianto, hanno lanciatoun’iniziativa da qualche anno chesembra funzionare: se sei regi-strato nella lista dei donatori, haiuna certa priorità su un possibiletrapianto di organi. Stessa cosa se un tuo caro èmorto e ha donato i suoi organi:tutta la tua famiglia ottiene que-sta forma di priorità. Sembra chequesto progetto abbia avuto unimpatto positivo.

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/ P17pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017

Usa, premi Nobel a difesa dell’immigrazione “Gli economisti che sottoscrivono questa lettera rap-

presentano una vasta gamma di opinioni politiche ed

economiche. Tra di noi ci sono repubblicani e demo-

cratici. Alcuni di noi favoriscono i mercati liberi men-

tre altri sostengono un ruolo più presente del gover-

no nell'economia. Ma su alcune questioni c'è quasi un

accordo totale. Una di queste questioni riguarda l'am-

pio beneficio economico che gli immigrati portano a

questo paese”. Iniziava così la lettera diretta al pre-

sidente Usa Donald Trump e firmata da molti econo-

misti americani, tra cui i premi Nobel all'Economia

Alvin Roth, Oliver Hart, Angus Deaton ma anche da

figure come George Shultz e Douglas Holtz-Eakin, ri-

spettivamente ex consiglieri dei presidenti Repubbli-

cani Ronald Reagan e George Bush. Obiettivo, sensi-

bilizzare l'attuale amministrazione della Casa Bianca

sul tema dell'immigrazione, sulla cui regolamenta-

zione Trump ha deciso di intervenire in modo radicale.

“Scriviamo per esprimere il nostro più ampio consenso

sul fatto che l'immigrazione rappresenta uno dei van-

taggi competitivi e significativi dell'America nell'eco-

nomia globale - si legge nella lettera pubblicata il 12

aprile scorso e firmata da 1470 persone - Con le ga-

ranzie appropriate e necessarie, l'immigrazione rap-

presenta un'opportunità piuttosto che una minaccia

per la nostra economia e per i lavoratori americani”.

L'immigrazione, spiegano gli economisti, porta im-

prenditori che aprono nuove aziende e assumono la-

voratori americani; porta giovani lavoratori che aiu-

tano a compensare il pensionamento su larga scala

dei cosiddetti baby boomers (i nati tra il 1945 ed il

1964 in Nordamerica); porta una serie di competenze

diverse che permettono di mantenere la forza lavoro

flessibile, aiutano le aziende a crescere e aumentano

la produttività dei lavoratori americani. E ancora, gli

immigrati sono sono molto più propensi a lavorare

in settori innovativi, creando posti di lavoro in settori

chiave come la scienza, la tecnologia, l'ingegneria e

la matematica, che creano prodotti che migliorano

la vita e rafforzano la crescita economica.

“L'immigrazione ha senza dubbio costi economici -

ammettono i firmatari - in particolare per gli ameri-

cani occupati in determinate industrie e con bassi li-

velli di istruzione. Ma i vantaggi che porta alla società

vanno ben oltre i loro costi, e una politica intelligente

potrebbe massimizzare i benefici dell'immigrazione,

riducendone i costi”.

La donazione di reni negli Stati Uniti Fonte United Network for Organ Sharing

n Trapianti da donatori deceduti n Trapianti da donatori vivi

2012 2013 2014 2015 2016 Totale

10.868

5.619

11.163

5.732

11.570

5.537

12.250

5.628

13.431

5.629

12.000

8.000

4.000

0

10.0

00

20.0

00

30.0

00

40.0

00

50.0

00

60.0

00

59.282

28.145

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Dopo la polemica su The Lancet durante il conflitto a Gaza del 2014

Health and health care in Israel il titolo del numero monografico che la rivista scientifica britannicaThe Lancet ha dedicato alla realtà medica israeliana lo scorso maggio. Una pubblicazione in cui siracconta con obiettività sia l'eccellenza del sistema medico del Paese sia alcune sue disfunzioni,tra cui la difficoltà di accesso al servizio sanitario per alcuni settori della società (arabi in primis),così come vengono analizzate le complessità geopolitiche dell'area. Un lavoro arrivato a distanzadi tre anni dalla dura polemica tra Israele e la rivista: nel 2014, durante il conflitto tra Israele e ilgruppo terroristico di Hamas nella Striscia di Gaza, The Lancet aveva pubblicato una lettera apertaal vetriolo, firmata da alcuni medici e ricercatori europei che accusavano l'esercito israeliano dicrimini di guerra. Una decisione, quella di pubblicare il documento, di cui il direttore della rivistascientifica Richard Horton si era poi detto pentito, affermando di essere rammaricato delle pola-rizzazione suscitata dalla lettera (che però scelse di non ritirare). Horton poi, presentando l'ultimolavoro dedicato alla sanità israeliana al campus del Rambam Hospital di Haifa, ha spiegato che “la nostra collaborazione ha avutoinizio proprio dopo la tragedia della guerra tra Israele e la Striscia di Gaza controllata da Hamas nel 2014. Nel luglio 2014, nel belmezzo del conflitto, il Lancet ha pubblicato una lettera che ha diviso il parere medico in tutto il mondo”. “Abbiamo imparato unalezione da questo sfortunato episodio - ha affermato il direttore - La nostra collaborazione cerca di annullare il danno e l'inquietudinedi questo episodio, trasformando queste esperienze in un percorso costruttivo”. “Al Rambam - ha aggiunto - ho visto un modellopositivo di partnership tra ebrei e arabi, in una città dove il 40 per cento della popolazione è araba. Ho visto come l'ospedale offrauna mano a tutti, e come sia stata raccolta da famiglie di Gaza, della Cisgiordania e della Siria, che vivono in situazioni sanitariepericolose per la propria vita. Ho visto il Rambam come un modello di visione di un futuro pacifico e produttivo tra i popoli,imparando che esiste negli ospedali di Israele”. Nelle intenzioni di Horton la serie dedicata da Lancet al Paese può servire cometrampolino di lancio perché si lavori alla riduzione dei problemi interni di diseguaglianza a livello sanitario ma anche come unapiattaforma per poter offrire un ulteriore coinvolgimento degli scienziati israeliani a livello globale.

inefficienze della Health CareDelivery (HCD - ovvero il pro-cesso di erogazione delle curesanitarie ai malati), “migliorarnel'accesso, aumentarne la qualitàe rendere la medicina più per-sonalizzata e precisa in un'epocadi crescenti vincoli di bilancio”.In attesa di vedere appieno i ri-sultati, Israele ha investito in mo-

do significati nel settore dell'in-novazione medica: negli ultimianni, come spiega Lancet, il nu-mero di nuove società sanitariedigitali è cresciuto in modo si-gnificativo, con 385 aziende fon-date nel solo 2016. Queste azien-de rappresentano una parte im-portante di una fiorente industrialegata al settore delle life sciences

(scienze della vita) che sta aven-do un chiaro impatto sull'eco-nomia israeliana: nel 2015, regi-stra un report del Pew researchcenter, in Israele sono stati fattefusioni e acquisizioni in questosettore per 7,2 miliardi di dollari.Le cosiddette exit (uscite - ven-dita delle quote di una società)di start-up connesse alle life

sciences sono passate dal 2014al 2015 dal essere il 15 per centodelle exit totali al 33 per cento.“Israele - proseguono Balicer eAfek - è stato anche precoce nel-l'adottare tecnologie sanitarie di-gitali nella pratica clinica, l'analisidei big data, la telemedicina e ilcoinvolgimento online dei pa-zienti all'interno della cura clinica

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/ P18 n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

La salute digitale al servizio dei cittadiniTra innovazione e big data, il servizio sanitario israeliano è un esempio di modello sostenibile da studiare

La spesa per la sanità pubblica– e soprattutto come ridurla – èuno dei grandi temi della politicamoderna. In gioco, il bilancia-mento di diversi interessi e diritti:da una parte la tutela della salutedel cittadino, dall'altra le esigen-ze di bilancio degli Stati. Un casoesemplare di questo confronto,l'attuale quanto discussa riformasanitaria voluta negli Stati Unitidal presidente Donald Trumpper sostituire quella del suo pre-decessore Barack Obama: dauna parte la nuova legge, l’Ame-rican Health Ca re Act, prevedeun taglio netto delle spese pre-viste dal cosiddetto Obamacare(la riduzione proposta dai Re-pubblicani dovrebbe toccarequota 800 miliardi di dollari in10 anni in riferimento alle spesefederali), dall'altro però cause-rebbe, secondo alcune stime, laperdita per milioni di americanidella copertura sanitaria (nellaprima versione della riforma, ilCongressional Budget OfficeCBO, un ufficio indipendenteche analizza e prevede impattoe costi delle leggi in discussioneal Congresso, aveva stimato chea rimanere senza assicurazionesarebbero stati 24 milioni diamericani). La situazione oltreo-ceano è dunque un esempio diun dibattito non scontato sullasostenibilità dei sistemi sanitari,che coinvolge ovviamente anchel'Italia (realtà molto diversa daquella americana, visto il princi-pio solidaristico che vige nel no-stro Paese), a maggior ragione afronte di un progressivo invec-chiamento della popolazione.“I modelli di cura tradizionali dif-ficilmente riusciranno a sostene-re la crescita costante delle esi-genze dei pazienti e dei costi sa-nitari nelle economie ad alto red-dito”, avvisano Ran Balicer, deldipartimento di Salute pubblicadell'Università Ben Gurion, e Ar-non Afek, della Scuola di Medi-cina dell'Università di Tel Aviv,sul numero monografico dedi-cato a Israele dalla rivista scien-tifica The Lancet (consideratauna delle più autorevoli a livellointernazionale). Secondo Balicere Afek, che inquadrano la situa-zione israeliana, una delle solu-zioni sta nella “innovazione dellamedicina digitale” che promettedi contribuire alla riduzione delle

La rivista e la verità su Israele

Le start-up israeliane nel campo delle life sciences: un settore in crescita

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/ P19pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017

Una cura alla portata di tuttiGli spunti suggeriti dagli esperti per corregere le disuguaglianze nella sanità israeliana

Uno delle questioni più richiamate da Reu-ven Rivlin dal giorno della sua nomina nelgiugno 2014 a presidente d'Israele è stata lalotta contro le diseguaglianze. In particolareRivlin vede come un'esigenza primaria delPaese il ripianamento del divario sociale edeconomico che esiste tra i due settori prin-cipali della società israeliana: quello ebraicoe quello arabo. “Dobbiamo porre rimedio a50 anni di disuguaglianza”, ha affermato nel2015 Rivlin facendo riferimento alle difficoltàdel settore arabo, che registra redditi e livellidi istruzione inferiori rispetto al resto dellarealtà israeliana (situazione simile agli ebreiharedi - gli ultraortodossi). Una problematicache si ripresenta anche sul mondo della sa-lute, come spiegano Khitam Muhsen, Man-fred Green, Varda Soskolne e Yehuda Neu-mark, autori di un ampio e documentatopaper pubblicato dalla prestigiosa rivistaLancet lo scorso maggio. “Tra il 1975 e il2014, l'aspettativa di vita in Israele è costan-temente aumentata ed è attualmente al disopra della media dei paesi Ocse – scrivonogli autori - Tuttavia, l'aspettativa di vita è ri-masta più bassa tra gli arabi israeliani rispettoagli ebrei israeliani, e questo divario recen-temente si è ampliato. La mortalità adulta,come conseguenza di malattie cardiache, ic-tus o diabete, è ancora più elevata tra gliarabi”. Le disuguaglianze sul fronte della sa-lute, si legge nell'articolo, sono evidenti an-che attraverso gli indicatori della posizionesocioeconomica e osservando quelle che sipossono considerare sottopopolazioni in-terne al Paese, come gli immigrati prove-nienti dall'ex Unione Sovietica, gli ebrei ul-

traortodossi e gli arabi beduini. Nonostantela copertura sanitaria universale e notevolimiglioramenti nella salute generale della po-polazione israeliana, esistono forti disparitànella situazione dei diversi settori rispettoalle malattie non trasmissibili. “Queste dif-ferenze - affermano gli autori - potrebberoessere spiegate, almeno in parte, dalle lacunein fattori determinanti per la salute. Il Mi-nistero della Salute ha sviluppato programmicompleti per ridurre queste diseguaglianzetra i principali gruppi di popolazione. E sononecessari sforzi coordinati multisettoriali perottenere un impatto maggiore e affrontarela complessità del problema”.Attraverso dati e statistiche gli autori foto-grafano la situazione, dando infine alcunisuggerimenti per affrontare il problema inquestione: l'invito alle autorità è quello diaumentare gli investimenti in infrastrutture

sanitarie in cui le esigenze sono maggiorie che sono al di fuori delle principali areeurbane. Si chiede poi la promozione di pro-grammi, adattati secondo ciascun retaggioculturale, volti a educare a uno stile di vitasano realtà come quelle dei villaggi arabicosì come dei haredim e degli immigranti.Per il cancro ai polmoni - rilevano i quattroscienziati - gli uomini arabi soffrono diun'incidenza della malattia sproporziona-tamente superiore al resto della società, so-prattutto a causa dell'alta diffusione del fu-mo. “Il controllo di questo importante fat-tore di rischio richiede un'attenzione ur-gente”. Il documento si chiude con un ap-pello a promuovere uno studio ampio eprospettico che affronti in modo approfon-dito la questione in modo da dare gli stru-menti per risolvere in modo efficace il sen-tito tema delle diseguaglianze.

quotidiana”. Ad esempio, i for-nitori di servizi assistenziali delClalit Health Services (una dellequattro principali mutue israe-liane) hanno privilegiato i pa-zienti anziani a rischio di dete-rioramento dello stato di salutein base a una modellistica pre-dittiva fondata sui big data perpiù di un decennio, e molti altrimodelli predittivi per possibilifuture malattie sono stati adot-tati. Queste iniziative non hannoaumentato i costi sanitari. Lespese dello Stato d'Israele sonodi due terzi sotto la media deiPaesi Ocse eppure, in una clas-sifica stilata da Bloomberg, ilPaese è tra i primi paesi a livellomondiale nella scala di efficienzasanitaria. Per Balicer e Afek il modelloIsraele – che pure ha alcuni pro-blemi – è replicabile in altri si-stemi sanitari, seguendo quelloche i due studiosi definiscono “laconvergenza di quattro attributi”.Che sono: l'infrastruttura infor-matica e dei repository (archividei dati) del settore sanitario, l'in-tegrazione e aggiornamento deidati del paziente provenienti datutte le strutture di cura e socialiin registri sanitari nazionali uni-ficati (ciascun paziente ha un nu-mero identificativo unico); la cul-tura imprenditoriale che portaallo sviluppo di innovazione nelsettore sanitario; l'investimentoda parte dello Stato in ricerca esviluppo (Israele investe il 4 percento del suo Pil, è la prima almondo in questo settore).

Casherut, il monopolio non fa bene alla nazioneDietro le industrie alimentari e turistiche di Israele,

raccontava in un articolo pubblicato nel 2016 da Reu-

ters il giornalista israeliano Ari Rabinovitch, prospera

un'economia parallela gestita dai rabbini e da una le-

gione di ispettori la cui attività è assicurarsi che tutto

sia casher.

“Poiché la maggior parte degli israeliani preferiscono

sapere che il loro cibo è preparato in base alla tradizione

ebraica - racconta Rabinovitch - gli hotel, i ristoranti e

i produttori non hanno altra scelta che andare avanti

seguendo questo principio e modificando le loro cucine,

gli ingredienti e pagando una tassa per ottenere un cer-

tificato di casherut”. L'articolo si pone in toni critici ri-

spetto a quella che in Israele - lo Stato degli ebrei - ap-

pare come una scelta naturale. Il problema è, la tesi di

Rabinovitch, il costo che tutta la realtà dei certificati

casher – divisa al suo interno – ha sulla ristorazione e

non solo. “Nuovi dati mostrano che il sistema sta pe-

sando sull'economia, abbattendo la produttività, spin-

gendo i prezzi verso l'alto e permettendo grandi saldi

di cassa, accumulati fuori dai libri contabili, che preoc-

cupano le autorità fiscali israeliane”. Viene citato tra le

altre cose anche il documento di valutazione dell'eco-

nomia d'Israele del 2016 dell'Ocse - L'Organizzazione per

la cooperazione e lo sviluppo economico – secondo cui

le “regole alimentari religiose” contribuiscono a “osta-

colare il funzionamento e l'efficienza dei settori alimen-

tari e al dettaglio, che a loro volta causano una crescita

debole della produttività nell'economia israeliana”.

Al vertice del sistema della casherut, spiega l'articolo

di Reuters, si trova il Consiglio del Rabbinato Centrale,

un'autorità che ha il sostegno governativo e che sovrin-

tende il rispetto delle regole della legge ebraica in di-

verse materie, dalle circoncisioni ai matrimoni. Il Con-

siglio ha di fatto un monopolio nel dichiarare se le im-

prese connesse con i prodotti alimentari - dai ristoranti

di sushi ai caffè fino ai pasti consegnati a bordo degli

aerei - operano in conformità con le norme alimentari

ebraiche. Per i controlli, vengono adoperate diverse mi-

gliaia di ispettori che effettuano quotidianamente visite

in loco per controllare questioni come la sanità alimen-

tare, la separazione di prodotti lattiero-caseari dai pro-

dotti a base di carne, verificare che i materiali vengano

acquistati da fornitori che sono stati approvati.

Secondo un report pubblicato nel 2016 dal ministero

delle Finanze, la certificazione kosher pesa sull'economia

israeliana per circa 770 milioni di dollari l'anno e pro-

duce un rincaro del 5 per cento sul costo della produ-

zione di cibo. “Questo sistema monopolistico richiede

migliaia di posti di lavoro e le sue pratiche aumentano

il costo della vita in Israele, come accadrebbe in qualsiasi

situazione in cui c'è un fornitore esclusivo all'interno

di un processo produttivo”, si legge nella relazione. Al-

cuni tentativi di riforma sono stati fatti, ma la soluzione

sembra ancora lontana per un Paese che comunque può

vantare un'economia solidissima: nel quarto trimestre

del 2016 il Pil è cresciuto a un tasso annualizzato del

6,2 per cento.

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Nella sua introduzione al FestivalEconomia di Trento 2017 – de-dicato alla salute diseguale – ildirettore scientifico della rassegnaTito Boeri spiega che anche sullequestioni della sanità gli econo-misti possono e devono dire laloro. “Condivido al cento percento – spiega Daniela Ovadia,giornalista scientifica nonché au-trice assieme alla collega SilviaBencivelli del libro È la medicina,bellezza! Perché è difficile parlaredi salute (Carocci editore) – È ne-cessario avere una visione piùampia sul fronte sanitario, con ilcoinvolgimento degli stakehol-ders (portatori di interesse) suquali pratiche e policy applicarea livello di Comunità europea.Facendo un esempio semplice:se io cittadino ma anche Statoposso spendere 10, il medico mipropone un metodo che costa15, l'economista mi può aiutarea trovare una soluzione a questoproblema”. Maggiore collabora-zione dunque tra diversi campi,con la salute del paziente sempreal primo posto, ma anche tenen-do conto dei costi per il sistemasanitario. Una realtà, quella delservizio sanitario nazionale, chein Italia è universalistica e di cuiOvadia sottolinea i pregi: “il si-stema solidaristico, mantenutosulla contribuzione in proporzio-ne al reddito, deve essere difeso.Sicuramente ha un costo e dob-biamo migliorarlo ma non pos-siamo ridurre la spesa sulla sanitàandando a colpire la sopravvi-

venza stessa delle persone”. Unodei problemi del nostro paese,che tocca anche la questione del-la sanità, è la mancanza di fiducianelle istituzioni: quando si parladi ricerca medica e farmaceutica,spiega Ovadia, c'è una certa ten-denza a pensare al cosiddettocomplotto dei Big Pharma, “sen-za pensare che senza i privatinon saremmo a questo puntonelle ricerche scientifiche. C'èun'idea, forse un po' cattolica –sottolinea la giornalista – che conla medicina non si debba guada-gnare, il ruolo del medico sembraessere visto come una missionema è anche un lavoro, come ciricorda Maimonide (il padredell’esegesi biblica ebraica di ca-rattere filosofico che per tutta la

vita esercitò la professione me-dica)”. Membro dell'InternationalNeuroethics Society e responsa-bile del gruppo di lavoro sui me-dia della European Asso-ciation for Neuroscienceand Law, Ovadia si inte-ressa anche di bioeticaebraica e nel 2014 hapartecipato al decimoCongresso Mondiale diBioetica, etica e di dirittodella sanità in Israele(partecipazione arrivatagrazie a una borsa di studio del-l'Associazione medica ebraica).A una domanda sulle differenzetra etica medica in campo ebrai-co e in quello cattolico, spiegache “la differenza credo sia nel-l'approccio. Nell'ebraismo c'è

sempre un Bet Din (tribunale)che valuta il caso concreto, sep-pur sulla base di regole precise.Per fare un'analogia moderna, èpiù simile al common law deipaesi anglosassoni, con la previ-sione di deroghe ed eccezioni.L'etica cattolica invece si reggesu principi indiscriminati e uni-versalisti, si pensi ad esempio aidivieti su aborto ed eutanasia”.Ma al di là dell'etica di riferimen-to c'è una questione che toccatutti indiscriminatamente e a cuiOvadia, assieme a Bencivelli, hadedicato un intero libro: la ne-cessità di avere un'informazionescientifica migliore. “C'è un ec-cesso di notizie, alcune parzial-mente false altre totalmente, che

crea un rumore di fon-do in cui molti riman-

gono storditi. Il proble-ma è che sulla medicina

non si fa comunicazione e invecepersiste il giornalismo delle veline,in cui si pubblicano risultati di ri-cerche senza avere le competenzeper analizzare cosa è scritto al lo-ro interno”. E poi c'è la prolifera-

zione dannosa di falsi come le te-rapie di Vannoni o la mitologiasui vaccini che causano autismo.Ma anche casi come quello delcosiddetto test ISET (Isolationby Size of Tumor Cells), che sa-rebbe in grado di diagnosticarela presenza di un tumore primache questo sia localizzabile con icomuni strumenti di diagnosticaper immagini. “Un test che è unafrode bella e buona e costosa; lacomunità scientifica non è riuscitaa rispondere per tempo mentre imedia italiani incensavano questotest. E il danno era stato fatto”,spiega Ovadia, che alla questioneha dedicato un lungo articolo sulsito dell'Associazione italiana perla ricerca sul cancro (Airc). “Èpossibile fare diagnosi precoce dicancro cercando le cellule tumo-

rali che circolano nelsangue? - il titolo delpezzo, a cui segue chia-ra la risposta - No, almomento questo tipo ditest non è validato per

la diagnosi precoce”. Se dunque,come affermava Boeri, il ruolo de-gli economisti può essere preziosoper affrontare in modo efficace lesfide della sanità, non di menoabbiamo bisogno di un'informa-zione scientifica che sia effettiva-mente scientifica.

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DOSSIER /Mercati e valori

/ P20 n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

Non c’è salute senza conoscenzaLa divulgatrice Daniela Ovadia spiega rischi e costi di una cattiva informazione medica

Quando parliamo di divulgazione scientifica non può

che tornare alla mente il grande neurologo e scrittore

ebreo Oliver Sacks, scomparso nel 2015 per un cancro.

Docente alla New York University e alla Columbia oltre

che dell’Albert Einstein College of Medicine della Ye-

shiva University di New York, Oliver Sacks si è occu-

pato per tutta la vita di ricerca nell’ambito delle ma-

lattie neurologiche, dal Parkinson alla Sindrome di

Tourette, vantando numerosi pubblicazioni in Italia

edite da Adelphi. Tra i libri più conosciuti al grande

pubblico spiccano “Risvegli”, dedicato ad una parti-

colare patologia neurologica originata dall’encefalite

letargica che ha ispirato nel 1990 una trasposizione

cinematografica con Robert De Niro e Robin Williams,

e “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”,

una collezione di casi di pazienti dai risvolti più vari

e curiosi. Proprio questo libro portò la giornalista

scientifica Daniela Ovadia verso la medicina. “Oliver

Sacks era un estraneo per me. O, meglio, ci siamo in-

contrati, una volta, a Milano per un’intervista qualche

anno fa - raccontava Ovadia in un articolo pubblicato

da L'Espresso nel 2015 - Avrei voluto dirgli molte delle

cose che oggi scrivo, ma non ebbi il coraggio di uscire

dai binari di ciò che è professionalmente consentito,

e me ne dispiaccio. Perché adesso che se n’è andato,

per le conseguenze di un melanoma che lo ha colpito

una decina di anni fa, è come se avessi perso una per-

sona cara. A 17 anni avevo già in mente di fare il me-

dico, ma leggendo l’Uomo che scambiò sua moglie

per un cappello scoprii la neuropsicologia e decisi che

quello era ciò che volevo fare nella vita: studiare il

cervello umano, i processi cognitivi, il modo con cui

interagiamo con l’ambiente, pensiamo, proviamo

emozioni. È grazie a Sacks che ho scoperto Lurjia, il

grande neurologo russo di cui si sentiva in un certo

senso discepolo pur non avendo mai studiato diret-

tamente con lui. E ancora grazie al dottor Sacks bussai

un giorno alla porta della Clinica neurologica del Po-

liclinico di Milano e iniziai un internato in neuropsi-

cologia”. “In un tempo in cui la medicina narrativa

sembrava morta - prosegue Ovadia - Sacks ha ripor-

tato in primo piano l’uomo che c’è prima della ma-

lattia e malgrado la malattia; in un periodo in cui la

riabilitazione neurologica lavorava sulla riparazione

del deficit, lui raccontava quanto è importante lavo-

rare sulle abilità residue invece di incistarsi ad ag-

giustare ciò che non è aggiustabile, una strategia che

la neuroriabilitazione ha fatto propria. In anni in cui

la neuroetica e i dibattiti sulla coscienza non erano

ancora di moda, ha messo in luce, nei suoi racconti, i

dilemmi etici che solo le malattie che colpiscono il

cervello sono in grado di sollevare”. Sacks, cresciuto

in una famiglia religiosa ebraica e con entrambi i ge-

nitori medici, si allontanerà dalla religione per poi ri-

conciliarvisi proprio sul finire dei suoi giorni, come

racconterà lui stesso nell'ultimo suo articolo pubbli-

cato dal New York Times. Un articolo dedicato al suo

passato e al senso dello Shabbat. E nel testo a rico-

prire un ruolo fondamentale è la figura del cugino,

Robert John Aumann, israeliano, premio Nobel per

l’economia nel 2005 ed ebreo ortodosso. Sarà proprio

Aumann, infatti, a far riavvicinare Sacks all’ebraismo,

nonostante una rottura in seguito all’outing sulla sua

omosessualità.

Nell’immagine, Silvia Bencivelli (sinistra) e Daniela Ovadiau

Daniela Ovadia e Silvia BencivelliÈ LA MEDICINA, BELLEZZA!Carocci editore

Oliver Sacks, scienza per tutti

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/ P21pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017

Dalla parte del pazienteCosa insegnano le religioni sul prendersi cura delle persone

“Il nostro paziente, il nostro as-sistito, il nostro utente o ospiteo, per qualcuno, addirittura clien-te, è profondamente cambiatonegli ultimi decenni. Con l’av-vento della tecnologia, l’accessoa nuovi canali di informazione euna diversa concezione di sé edei propri costumi, chi si rivolgea un professionista della salutechiede un servizio profondamen-te diverso da quanto accadevaanche solo una ventina d’anni orsono. Conosciamo tutti la visio-ne paternalistica dell’assisten-za, quella che prevedevache il paziente si affidassenel bene e nel male total-mente al proprio curantee alle sue valutazioni. Oggi,non solo questa concezio-ne è superata dal punto divista etico e deontologico,ma addirittura non sarebbein grado di rispondere alle aspet-tative dell’uomo moderno, piùche mai teso a soddisfare il pro-prio bisogno di informazione econdivisione per prendere deci-sioni consapevoli. Dal punto divista del paziente, la partecipa-zione all’informazione evolve dalsemplice raccogliere le informa-zioni direttamente dal professio-nista sanitario, al ricercare, ap-profondire, condividere e richie-dere informazioni attraverso ca-nali 15 multipli, dove la rete, isocial network e le community– anche di professionisti – svol-gono un ruolo rilevante”. Così silegge nella prefazione del volu-me Salute ed identità religiose. Per

un approccio multiculturale nell'as-sistenza alla persona (con presen-tazione il 6 giugno a Milano nelPalazzo della Regione), risultatodel ciclo di conferenze Insiemeper prenderci cura: un progettointerreligioso con al centro la sa-nità che ha visto coinvolte le di-verse religioni, tra cui quellaebraica con la partecipazione inparticolare dell'AssociazioneMedica Ebraica in collaborazio-ne con il rabbinato di Milano ela partecipazione di numerosi

rabbini da tutta Italia. “La na-scita, la malattia e lamorte rappresenta-

no momenti crucialinella vita di un individuo, duran-te i quali, forse più che mai, as-sicurare il conforto della religio-ne, garantire spazi per la spiri-tualità e la riflessione, e favorireriti e consuetudini quotidiane di-venta non solo un gesto di at-tenzione e rispetto nei confrontidel paziente, ma anche un veroe proprio fattore terapeutico”, silegge nel volume, che si rivolgeagli operatori, ai professionisti ea coloro che intendono appro-fondire il tema delle religioni edella spiritualità nei contesti sa-nitari, fornendo indicazioni pra-tiche e spunti di riflessione, chia-vi di lettura e strumenti concretiper offrire alla persona un’assi-

stenza integrale, che ne rispettiindividualità, religione e valoridi riferimento. L'idea del volumecosì come del progetto è quelladi permettere a operatori e or-ganizzazioni, insieme, di muo-versi in un’unica direzione: lapresa in carico del paziente,nell’ottica della sua centralità intutto il processo assistenziale. Un lavoro di sensibilizzazioneche prosegue, come dimostral'ultimo incontro tenutosi a Mi-lano del ciclo Insieme per pren-dersi cura, dedicato alla vecchiaiae alla conoscenza del significatoche l’invecchiamento assumenelle diverse tradizioni spirituali,per favorire il confronto e il dia-logo fra religioni e generazioni.Nelle due sessioni sono state og-getto di discussione la mancanzadi percezione della vecchiaia nel-la società moderna, mentre nellaseconda sessione, moderata dalprofessor Duilio Manara e dalvicepresidente dell'Unione delleComunità Ebraiche ItalianeGiorgio Mortara, la riflessione siè spostata sulla tradizione spiri-tuale nella nostra realtà sociale,caratterizzata dal consumismo edalla poca dimestichezza conl’ascolto dell’altro. E proprio incontrotendenza con questo fe-nomeno, i giovani del Merkosl’Inyonei Chinuch – il ramo edu-cativo del movimento Chabadin Italia – hanno raccontato laloro esperienza di visita all'inter-no degli ospedali, all'insegna diuna solidarietà vera e non dettatada interessi.

AA.VVSALUTE E IDENTITÀREGLIGIOSA

“Lavorare facendo uso della saggezza antica” lo spunto suggerito

dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni in riferimento alle po-

lemiche e al dibattito scaturito dopo l’approvazione alla Camera

della nuova proposta di legge sulla legittima difesa. Perché, anche

se è facile dimenticarlo, alcune delle questioni divenute cruciali

per le società del terzo millennio già tenevano banco secoli e

secoli fa. E i criteri dei nostri antenati hanno spesso qualcosa da

insegnarci. Così per esempio la rubrica che il settimanale ameri-

cano Tablet dedica al Daf Yomì, la pratica di studiare una pagina

al giorno del Talmud, testo principe della sapienza ebraica, ha di

recente trattato una delle più pressanti questioni nello sviluppo

del diritto degli ultimi decenni, la tutela del consumatore.

“Cosa succede quando un compratore riceve una merce difettosa?

Esiste un diritto implicito alla garanzia, che fa sì che se il venditore

sia obbligato a prendere indietro la merce e restituire il denaro?”

si chiede il giornalista Adam Kirsch, che spiega poi come nel corso

della discussione talmudica il tema fondamentale diventi cosa ci

sia alla base di una transazione commerciale, e in particolare

l’obiettivo dell’acquirente. “Si potrebbe pensare che il venditore

stia semplicemente consegnando una certa parte di proprietà al

compratore e che la sua responsabilità finisca non appena la tran-

sazione è completata. Questa è la prospettiva implicita nell’antico

detto latino tuttora in uso caveat emptor che prevede che se l’ar-

ticolo acquistato non adempie ai suoi desideri, il problema sia

solo suo. Ma i saggi vedevano la cosa in modo diverso, tenendo

in considerazione le motivazioni interiori del compratore nel mo-

mento in cui ha deciso di effettuare l’acquisto. Lo ha fatto perché

desidera realizzare un certo desiderio o progetto e il venditore

gli sta garantendo di aiutarlo nel suo obiettivo. Se le merci non

sono adeguate alla premessa, il venditore non ha mantenuto un

implicito impegno e deve occuparsi di rimediare”.

Cosa accade per esempio nel caso dell’acquisto una certa partita

di semi se poi non germogliano? La distinzione secondo i saggi

andrà fatta tra chi ha comprato per seminare e chi per mangiarli.

Nel primo caso il venditore sarà tenuto a rimborsarlo, nel secondo

no, perché non avrebbe potuto anticipare quello specifico uso.

Ma se le sementi in questione sono di una pianta che non può es-

sere consumata, come dei fiori, allora non ci sarà dubbio che esse

dovevano essere adatte alla semina. Naturalmente si pone a questo

punto il problema di come verificare le autentiche intenzioni del-

l’acquirente.

“Secondo uno schema caratteristico, questa domanda iniziale si

trasforma ben presto, attraverso una discussione tra le autorità

talmudiche, in un dibattito su un principio più ampio e fondamen-

tale della Legge ebraica: quello che i rabbini chiamano ‘seguire la

maggioranza’. Possono i giudici supporre che in ogni dato caso, i

motivi di una specifica parte in causa sono gli stessi di quelli che

avrebbe avuto la maggior parte della gente nella medesima si-

tuazione?” fa notare ancora Kirsch. I Saggi del Talmud vanno in

entrambe le direzioni. Ma talvolta, come conclude il giornalista

del Tablet, il punto non è trovare una risposta univoca, ma seguire

i diversi ragionamenti. Perché ci sono domande le cui risposte

sono molto più che un semplice bianco o nero, il cui valore sta

nelle sfumature. Millecinquecento anni fa così come oggi.

r.t.

Il consumo etico

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Un giornale libero e autorevole può vivere solo grazie al sostegno dei suoi lettori

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Enea

Rib

oldi

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/ P23pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017

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Qualsiasi medio cultore dellateoria del colpo di stato sa beneche il primo atto da compiereverso la conquista del potere èl’occupazione della sede dellaRadio-Televisione nazionale.Eliminate sommariamente lepersone presenti, la forza occu-pante inizia a trasmettere marcemilitari, poi arriva una voce cheannuncia a breve un comunica-to di importanza straordinaria,infine appare il nuovo leadercon un grande discorso in diret-ta che promette onore, pace eprosperità per la nazione. In Israele in questi giorni è av-venuta una cosa completamentediversa. Chi si è impossessatodella Radio-TV non è un oscuromovimento insurrezionale bensìil governo in carica regolarmen-te eletto. Il leader è il Primo Mi-nistro in persona, legittimamen-te al potere. E invece di marcemilitari vengono radiotrasmessevecchie e nostalgiche canzonidegli anni ‘50 e ‘60. Il persona-le, in attesa dei nuovi padroni, èrimasto solo per l’ordinaria am-ministrazione, e nel far funzio-nare a fuoco lento la Radio-TVdi Stato non ha trovato di me-glio che rimettere in circolazionedelle vecchissime raccolte di re-gistrazioni che andavano in on-da decine di anni fa (e che io ri-cordo perfettamente di avereascoltato centinaia di volte nelcorso degli ultimi cinquant’an-ni). Sono pigri e romantici mo-tivi degli anni ‘50 e ‘60, conmolto Paul Anka, Neil Sedaka,Connie Francis, Elvis Presley, ecome sigla inconfondibile, quelCharmaine di Mantovani e lasua orchestra del 1958 – persentire basta andare su youtube.C’è anche la versione israelianadi Maruzzella, Maruzzé (1956)– Ma hu ‘osé la, Ma hu ‘osé...(Che cosa le fa, Che cosa fa...).Queste canzoni ci rimandano aun periodo più tranquillo e in-genuo, quando non vi era pro-prio sentore di guerra dei Seigiorni, ma nemmeno esistevanol’OLP, i territori occupati, Ha-mas e le votazioni Unesco.Cos’è successo? Un giorno BibiNetanyahu ha deciso che la Re-shut Hashidur-Israel Broadca-

sting Authority (IBA), l’Autori-tà di Stato per le trasmissioniradio e TV fondata nel 1951, os-sia l’equivalente israeliano dellaRAI, non era più adatta alla bi-sogna. Forse perché troppo indi-pendente e troppo poco osse-quiosa verso il potere. Con l’aiu-to dei suoi collaboratori, in pri-mo luogo Gilad Erdàn – all’epo-ca ministro delle comunicazioni,oggi alla sicurezza interna – si èdeciso di chiudere la IBA, di li-cenziare i suoi 2000 dipendentie di creare in sua vece una nuo-va corporazione radiotelevisiva(denominata KAN). La giustifi-cazione ufficiale era quella discarsa efficienza, ritardi tecnolo-gici, personale pletorico e disoc-cupazione strisciante. Ma lamotivazione vera era anche il bi-sogno non solo di lottizzare ilpotere mediatico ma anche dicontrollarlo direttamente dallacentralina di governo. La KANcome organismo sostitutivo solo

in parte e selettivamente avreb-be assorbito la forza di lavorodella preesistente IBA e avrebbesoprattutto assunto nuovi rac-comandati. Stupefacente, nelcontesto, la debolez-za o l’assenza difatto dei sindacatinel difendere i dirit-ti dei licenziati edelle loro famiglie –sia pure con il rico-noscimento diun’indennità pro-porzionata all’età eal numero di annidi attività. Senon-ché, i portaborse diBibi, in particolarel’On. David Bitan,il cianotico e rauco capo dellacoalizione parlamentare, si sonoaccorti improvvisamente che an-che fra gli impiegati designatidella nuova KAN vi erano dellepersone non proprio di ortodos-sa inclinazione pro-governativa.

Bitan ha spiegato in televisione:“Nelle pagine Facebook di alcu-ni di costoro sono state rintrac-ciate delle espressioni critichedel governo, al limite di sini-

stra”. Allora con uno spettaco-lare U-turn, Netanyahu (nelfrattempo, con un lampanteconflitto di interessi, divenutolui stesso ministro delle comu-nicazioni) e i suoi hanno inizia-to una intensa campagna contro

la nuova KAN e a favore dellaricostituzione della vecchia IBA– ossia contro l’incredibile ini-ziativa autoritaria che portavala loro stessa firma. Dopo uno

stretto corpo a corpocol ministro del teso-ro Moshé Kahlon,che si era intantoeretto a difensoredella KAN, alla finesi è giunti a un com-promesso – stavo perdire tutto italiano, inrealtà tutto israelia-no. Ricordate Berlu-sconi, il primo mini-stro allo stesso tem-po padrone dellaRAI e delle TV pri-

vate? Un pivellino. In Israele,soppressa definitivamente lavecchia IBA, la nuova KAN èstata spezzata in extremis indue tronconi, uno per le notizie,l’altro per le rimanenti produ-zioni. Ne conseguirà senza dub-bio il caos più totale in mancan-za di una direzione centrale,dunque ancora maggiore in-fluenza per i politici. Inoltre, nelnegoziato per ottenere il soste-gno dei diversi partiti della coa-lizione, sono state assegnatenuove stazioni radio trasmitten-ti a vari partiti, fra cui Shas diArieh Der’i e Israel Beitenu diYvette Liberman – un atto nondi lottizzazione ma di svenditadell’influenza radiotelevisivasulle bancarelle della politica. Ladata di attuazione del progettopiù volte posticipata è stata infi-ne anticipata a sorpresa, e conun sola ora di preavviso gli au-tori e gli annunciatori della tele-visione israeliana hanno appresoche quella in corso era la loro ul-tima trasmissione. Così duranteil telegiornale in diretta, quellidella IBA hanno improvvisatouna dimostrazione di protesta edi nostalgici ricordi, conclusacon molte lacrime e con il cantodell’inno nazionale di Hatik-wah. Poi schermo buio e, appun-to, i vecchi pigri padelloni deglianni ‘60. Finché la nuova auto-rità radiotelevisiva non sarà ingrado di mettere insieme un pa-linsesto rinnovato e più fedele alregime. Bibi con sincere lacrimedi coccodrillo ha criticato il mo-do in cui si sono svolte le cose,peraltro concepite e orchestrateda lui stesso. Quanto al mini-stro Erdan che nel frattempo èscomparso dalla circolazione,l’editorialista del

OPINIONI A CONFRONTOInformazione, un colpo di mano che desta inquietudine

Non so se, come e in che formaparleremo nelle prossime setti-mane dei cinquant’anni della“guerra dei sei giorni”. So che,tuttavia, dovranno essere presein carico alcune cose che ancoracon difficoltà riusciamo a pren-dere in carico. Ne propongo tre(questo non elimina che altreabbiano un peso altrettanto rile-vante. Per esempio, la cacciatadegli ebrei di Libia, tema che ri-guarda l’Italia in maniera nonindifferente e che non è mai en-trato per davvero nell’agendapubblica del nostro paese). Laprima. Cinquanta anni sono untempo sufficientemente lungoper prendere le misure della sto-ria. In Europa, o qui in Italia,dove le generazioni sono crono-logicamente estese, mezzo secolo– complici molte cose: il miglio-ramento della qualità della vita,l’assenza di guerre, una certalentezza nei cambiamenti – mi-surano una generazione e mez-zo. In altre realtà segnate daforti processi migratori checambiano la composizione cul-

turale – prima ancora che socia-le – mezzo secolo occupa lo spa-zio umano di due quasi tre ge-nerazioni. Potrebbe apparire unconto meccanico, ma non lo è.Dire che un fenomeno o unacondizione ha attraversato efondato la vita di due generazio-ni vuol dire misurarsi con lasua stabilità, o meglio con lasua “presunta naturalità”.Vuol dire, per essere esplicitiche d’accordo o meno con leconseguenze immediate e mili-tari di quel conflitto, dire oggi“linea verde” significa spessoproporre un’immagine che nonè presente alla condizione vi-suale, emozionale, esperienzialedi molte persone. Quell’espres-sione, in breve più che una pre-messa si configura, più passa iltempo, come un’immagineastratta, perché la realtà “deifatti” appare un’altra.La seconda. Nel conflitto che inquesti cinquanta anni ha segna-to profondamente l’immagina-rio collettivo il confronto tra de-stra e sinistra, tra regimi mode-rati e regimi estremisti, tra vi-sione pacifica e dimensione bel-lica. Credo che ci siano tuttequeste suddivisioni, ma a mesembrano delle variabili secon-darie. La primaria mi sembraquesta: quale visione di relazio-

ni tra attori nazionali, tra grup-pi culturali tra Stati si dà inquell’area? La questione è se siritiene che qualcuno sia unapresenza illegittima. La conse-guenza è che non si può produr-re compromesso, o accordo,semplicemente perché quellapresenza sarà avvertita come le-siva del proprio diritto. E dun-que l’esercizio di quel diritto èpossibile solo se si neutralizzaquell’attore avvisato come ne-mico radicale. La terza. Che tipodi generazioni, dunque fondateda quale profilo culturale e cari-che di quale speranza di futuro,abitano quella porzione di terri-torio che chiamiamo MedioOriente? Che cosa significa equanto incide il turn over gene-razionale e lo scambio di ingres-so e di uscita?Analizzare e mettere a tema ilprofilo culturale generazionalenon significa considerare solo ilprofilo di che cosa una genera-zione investe scegliendo oggi diandare, o di fuoriuscire (un pro-cesso che riguarda molte realtàdi quell’area, Israele incluso),ma chiedersi, per esempio: Cheaspettativa di vita quella gene-razione si dà? Che cosa mettenel conto? Che cosa chiede alproprio tempo per il tempo a ve-nire?

1967, tre spunti di riflessione

Sergio Della Pergola UniversitàEbraica di Gerusalemme

David BidussaStorico sociale delle idee

/ segue a P25

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/ P24 n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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OPINIONI A CONFRONTOE

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Tragedie a confronto

Dopo quattro ore di Orestea al Teatro Carignano mi trovo due mat-tine dopo a raccontare agli allievi di quarta ginnasio le leggende re-lative alla fondazione di Roma (con la variante riferita da Tito Liviosecondo cui Romolo viene ucciso dai senatori che poi fanno sparireil corpo portandosi via pezzetti di re nascosti sotto la toga). Miritrovo a domandarmi se siano più truculenti i miti dei Greci o quellidei Romani, ma è davvero difficile dire chi sia il vincitore in questagara di orrori. È curioso come nella Torah vicende apparentementesimili abbiano un’evoluzione del tutto diversa: gli odi tra fratelli cisono, ma prima o poi arriva la riconciliazione; le rivalità produconoal massimo allontanamenti e separazioni; l’incesto tra Lot e le figlienon proietta una maledizione eterna sulla stirpe, anzi, proprio daRut la moabita discenderà il Messia. Mentre Antigone paga con lavita la scelta di anteporre la propria etica alle leggi dello Stato, lafiglia del faraone, che compie una scelta simile salvando un bambinoebreo contro l’ordine esplicito del proprio padre, non subisce nessunaconseguenza. In altri libri del Tanakh qualche storia un po’ piùtorbida si trova, ma quelle che raccontiamo più frequentementesono a lieto fine: esili con ritorno, tentativi di genocidio sventati,nemici sconfitti. Proprio il popolo ebraico, che così spesso per lesue vicende storiche è associato all’idea di tragedia, pare il menopropenso a raccontare la propria storia in forma di tragedia. Questoapparente paradosso si può spiegare in molti modi: con la differenzatra mito e storia, tra paganesimo e monoteismo, ecc. Non mi azzardoad affrontare in poche righe un tema così complesso. Noto comunqueun fatto sconcertante: quelle storie terrificanti di sacrifici umani, odiinestinguibili tra fratelli, figli dati in pasto al proprio padre, ecc. sonoconsiderate il fondamento dell’etica e della cultura occidentale mentre“vecchio Testamento” è per molti sinonimo di un sistema di valorirozzo, arcaico e superato. Evidentemente mi sfugge qualcosa.

Anna Segre, insegnante

Pagine Ebraiche – il giornale dell’ebraismo italianoPubblicazione mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane

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Il tema del Dialogo interreligioso, in particolare tra ebrei e cristiani, è molto spesso sui giornali.

A che livello stanno le relazioni? Sono discorsi che investono entità numericamente rilevanti?

Aldo Lilli (Viterbo)

LETTERE

Lo scorso 20 aprile è stata donataal Presidente Rivlin la traduzio-ne ebraica del documento delConcilio Vaticano II Nostra Ae-tate. Il testo, incluso in un libroche contiene altri documenti earticoli sulle relazioni tra laChiesa Cattolica e il popoloebraico, è stato presentato dallaProf. Dina Porat, dell’Universitàdi Tel Aviv, e all’incontro hannopreso parte anche l’ArcivescovoPierbattista Pizzaballa, Rav Da-vid Rosen, l’Ambasciatore d’Ita-lia in Israele, il Nunzio Apostoli-co, l’Ambasciatore d’Israele pres-so la Santa Sede e altre persona-lità. Il Presidente Rivlin ha defi-nito “rivoluzionario” tale docu-mento, ma ha poi aggiunto:

“Purtroppo, 50 anni dopo tale ri-voluzione è ancora silenziosa: lamaggior parte degli ebrei inIsraele e nel mondo conosconoassai poco di questo profondocambiamento nei confronti dellafede ebraica, del popolo ebraico edello Stato ebraico. E, per essereonesto, non sono sicuro sul nu-mero di cristiani nel mondo chesono a conoscenza di questo im-portante processo di cambiamen-to. Mi auguro che questo libroaiuterà i lettori ebrei a conosceree capire meglio la Chiesa Cattoli-ca e i suoi seguaci”. Perché Nostra Aetate può esseredefinito un testo “rivoluziona-

rio”? Dopo molti secoli di teolo-gia della sostituzione e di inse-gnamento del disprezzo, la Chie-sa ha per la prima volta formula-to espressioni positive nei con-fronti degli ebrei: nel nostro tem-po, in cui il genere umano siunifica di giorno in giorno piùstrettamente, il Concilio ricordail vincolo con cui il popolo delNuovo Testamento è spiritual-mente legato alla stirpe di Abra-mo; la Chiesa ricorda che gliebrei possiedono l’adozione a fi-gli, la gloria, le alleanze, la legi-slazione, il culto, le promesse, ipatriarchi; essa attende il giornoin cui tutti i popoli acclameran-no il Signore con una sola voce elo serviranno tutti sotto lo stessogiogo1 (cfr. N. Ae. § 4).Da allora è iniziato un percorsoche ha visto alternarsi progressi,stasi e regressi, ma ciò nonostan-te il cambiamento si è rivelato ir-reversibile. Ad esempio, nel di-scorso rivolto ai partecipanti al

convegno dell’«InternationalCouncil of Christians and Jews»in occasione del 50° anniversariodella dichiarazione, Papa France-sco ha affermato che: Nostra Ae-tate «rappresenta il “sì” definiti-vo alle radici ebraiche del cristia-nesimo ed il “no” irrevocabile al-l’antisemitismo […] Entrambe letradizioni di fede hanno per fon-damento il Dio unico, il Diodell’Alleanza, che si rivela agliuomini attraverso la sua Parola.Nella ricerca di un giusto atteg-giamento verso Dio, i cristiani sirivolgono a Cristo quale fonte divita nuova, gli ebrei all’insegna-mento della Torah».

Le parole del Papa richiamano ciòche egli aveva già espresso nel-l’esortazione apostolica EvangeliiGaudium, nella quale si aggiun-geva una prospettiva ulteriore ri-spetto a Nostra Aetate, in quantoveniva vivamente auspicato unapprofondimento comune delleScritture: «Dio continua ad ope-rare nel popolo dell’Antica Alle-anza e fa nascere tesori di saggez-za che scaturiscono dal suo in-contro con la Parola divina. Perquesto anche la Chiesa si arricchi-sce quando raccoglie i valoridell’ebraismo» (§ 249). Nellostesso documento viene anche af-fermato: «Come cristiani nonpossiamo considerare l’Ebraismocome una religione estranea, néincludiamo gli ebrei tra quantisono chiamati ad abbandonare gliidoli per convertirsi al vero Dio(cfr. 1Ts 1,9)».Questo vuol dire che nelle rela-zioni tra ebrei e cristiani non visono ormai più problemi aperti?

Evidentemente no. Si è peròinaugurato un cammino che con-sente di chiarire le rispettive po-sizioni e affrontare un po’ pervolta le difficoltà.Il D. dell’alleanza è in realtà ilD. delle alleanze: Ha-Shem èuno, ma le Sue alleanze sonomolte, e non si sostituisconol’una all’altra, ma sono eterne,rappresentano i molti modi at-traverso i quali gli esseri umanipossono collaborare all’opera deltiqqun olam.

1 «Quindi trasformerò la lingua dei popoli in una lingua chiara, così che invochino tutti il nome di Ha-Shem e lo servano con un’unicaspalla» (Sefanyàh/Sofonia, 3,9).

Marco CassutoMorselliDocente

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/ P25pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017 OPINIONI A CONFRONTO

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Maariv-SofHashavua Ben Ca-spit ha argutamente scritto cheha subito un’operazione perl’asportazione della spina dorsa-le. Va aggiunto che per fortunain Israele esistono ancora diver-si canali televisivi privati: il ca-nale 22 molto impegnato sulfronte dei reality ma con unbuon telegiornale, il canale 10molto vivace nella critica docu-mentaria e politica, e perfino ilcanale 20 che invece ostenta unviso molto benevolo nei confron-ti del primo ministro e della suaineffabile consorte. Lo spazio ra-diofonico è invece dominato daGalé Zahal, la radio dell’eserci-to, che è in realtà un organo diinformazione e di ricreazione al-tamente indipendente e popola-re. L’intera vicenda, comunquela si guardi, è imbarazzante oper lo meno senza precedenti perchi abbia a cuore la libertà distampa. L’attacco della coalizio-ne di governo alle strutture por-tanti della società israeliana nonsi ferma alla Radio-TV, ma pun-ta a ben altro. Nei riguardi della Corte Supre-ma si cerca di elaborare una ri-forma che permetta al parlamen-to di aggirare i verdetti di inco-stituzionalità delle leggi. Lanuova proposta di legge sullaNazione (ancora non operante)stabilisce la supremazia delprincipio di ebraismo sul princi-pio di democrazia, e sopprime lostatuto dell’arabo come secondalingua ufficiale dello Statod’Israele. È in gioco, in altre pa-role, lo Stato d’Israele come loabbiamo conosciuto per 69 anni.In definitiva, David Ben Gu-rion, il grande architetto dellafondazione dello Stato era uomodi sinistra, sia pure della social-democrazia moderata. Moltedelle strutture da lui impiantateall’inizio dello Stato ricordava-no da vicino il centralismo delleeconomie socialiste di quell’epo-ca. Ma Ben Gurion sottolineavala predominanza dello statali-smo rispetto al movimentismo,dell’unione delle forze per con-seguire gli obiettivi comuni ri-spetto al frazionamento dei mo-vimenti ideologici. E Ben Gu-rion era anche un profondo co-noscitore del testo biblico. Oggiforse c’è chi vorrebbe rifondarelo Stato d’Israele su altri princi-pi, più vicini al fermento mes-sianico nazionale-territoriale-re-ligioso di una cospicua partedell’attuale coalizione governa-tiva. Il colpo di mano sulla Ra-dio-TV di Stato è un esempioche fa riflettere sullo stato dellademocrazia israeliana – ancoral’unica democrazia in MedioOriente.

Mi trovo quasi sempre presso-ché totalmente d’accordo con leanalisi delle vicende mediorien-tali fornite da Sergio Della Per-gola (tanto da poterle condivide-re, se così si può dire, ancor pri-ma di leggerle): un commentato-re che unisce il rigore delloscienziato alla forza narrativa diun grande scrittore, e, soprat-tutto, riesce sempre a coniugarele valutazioni politiche ed eco-nomiche con quelle morali (chesiamo così abituati, invece, a ve-dere costantemente ignorate, otrascurate). E, le rare volte incui mi capita di dissentire unpo’ da lui, dipende quasi sempreda una differenza di fondo tranoi due, che costituisce, anch’es-sa, un mio ulteriore motivo diammirazione per lui: il grandedemografo, infatti, pur abituato,da sempre, a commentare noti-zie sconfortanti, rimane, nelfondo, un inguaribile ottimista(come, se mi si permette il para-gone profano, il mio eroe a fu-metti preferito, il grande TexWiller), mentre io mi sento in-vece più vicino al suo “pard”, ilbrontolone Kit Carson, che lavede sempre brutta. Alla fine,com’è noto, ha sempre ragioneTex, e speriamo che sia così an-che per noi. Fuor di scherzo, c’èuna domanda molto importanteche Della Pergola pone, nelmensile cartaceo di maggio diPagine Ebraiche, a cui si deveuna risposta. La domanda, in

realtà, non appare tanto nuova,e la risposta dovrebbe apparirescontata. Eppure, se si avvertel’esigenza di riproporre l’inter-rogativo, un motivo, evidente-mente, c’è, e allora c’è anche ra-gione di ribadire, e meglio preci-sare, la risposta. Perché, se ledomande e le risposte appaionosimili, i contesti storici in cuivengono formulate cambianocontinuamente nel tempo, cosìda dare ad esse significati anchemolto diversi.Della Pergola richiama “ildilemma e la sofferenza dichi è abituato per educa-zione e per scelta a milita-re per e con Israele, senzaperaltro mai rinunciare auna presentazione dei fattie delle opinioni che sia allostesso tempo obiettiva e so-stenuta da fonti concrete.Il dilemma dunque è tradenunciare ciò che nel di-scorso pubblico israelianoappare a molti come unagrande involuzione, col ri-schio di essere fraintesi ostrumentalizzati, o al limi-te - come ci è stato fattonotare - essere citati su sitianti-israeliani di ispirazio-ne iraniana o neonazista. Oppu-re lasciar perdere, non interve-nire, non reagire, non parlare dipolitica, occuparsi di questionipiù frivole come magari la na-scita di un piccolo rinoceronte alsafari di Tel Aviv, o più costrut-tive, come l’ultima scoperta con-tro il cancro da parte di unascienziata israeliana”.L’antica domanda, sempre at-tuale, è quindi: fino a che puntoun amico di Israele può o deveesercitare il proprio diritto di

critica, senza che le sue parolevengano strumentalizzate e de-formate in senso rozzamente an-ti-israeliano dai soliti, numerosie agguerriti, nemici? E senzache ciò venga interpretato, inbuona o cattiva fede, come unaforma di “intelligenza col nemi-co”, o, addirittura, di “tradi-mento”?La domanda, ripeto, non è certonuova, ma, purtroppo, è sempreattuale. Quanto alla risposta,

come ho anche detto, dovrebbeessere scontata. Ho scritto, nelmio intervento dello scorso 5aprile, a proposito di papa Fran-cesco, che le sue schiere di entu-siasti e incrollabili “plaudito-res” non gli fanno, in realtà, unfavore, in quanto un amico habisogno anche, o soprattutto, diconsigli, critiche, correzioni. Maper Israele la situazione è moltodiversa rispetto al papa, anzi,l’opposto: non troppi amici, matroppi nemici. Per cui, secondo

me, credo che le risposte alla do-manda dovrebbero essere due,perché c’è una grande differenzatra una critica a Israele espressada parte dei suoi cittadini (checondividono le sorti del Paese,che, col loro libero giudizio, con-tribuiscono a determinare) e ciòche viene detto invece nel restodel mondo, da persone che ma-gari amano profondamenteIsraele, ma - come me, per esem-pio- non sono né israeliani né

ebrei, e, qualsiasi cosa pos-sa succedere da quelle par-ti, continuerebbero co-munque ad avere un soli-do tetto sopra le testa.Della Pergola, come ognicittadino israeliano, “è”Israele, e ha il dovere, oltreche il diritto, di mettere lasua intelligenza al serviziodella sua comunità, anchecon la critica più severa.E, se qualche sito iranianoo neonazista riprende lesue parole, potrà vedere inciò l’ennesima confermadel baratro morale che se-para la sua idea di infor-mazione dalla loro. Ma gliamici di Israele non israe-liani, come me, si trovano

in una posizione diversa. Noinon “siamo” Israele, e nostrocompito primario non dovrebbeessere quello di criticare, seduticomodamente in poltrona, lescelte del legittimo governoisraeliano, indicando quello chedovrebbe fare: ma difendere,sempre e comunque, lo Statoebraico (non il suo governo) daisuoi nemici. I quali, com’è noto,tra israeliani ‘buoni’ e ‘cattivi’non fanno la benché minima dif-ferenza.

Se le leggi della realtà e della po-litica fossero quelle della mate-matica tutto sarebbe più sempli-ce e non ci sarebbero nemmenole guerre, ma forse essa sarebbeanche monotona e priva di sor-prese. La realtà invece a diffe-renza della matematica è pienadi contraddizioni e Israele, a noicaro e vicino, ne è un esempio.Nella carta di fondazione delloStato d’Israele è scritto che il

nuovo Stato è ebraico e demo-cratico, ma nella realtà vissutaqueste due qualità in alcuni casinon possono convivere insieme emostrano quanto siano in con-traddizione. L’esempio più re-cente di questo fatto è stato lamancata esecuzione dell’inno“Hatikva” in occasione della ce-rimonia di conferimento dei di-plomi in una delle facoltà uma-nistiche dell’Università Ebraicadi Gerusalemme.Non è la prima volta che questoavviene, ma è la prima volta chela cosa viene in superficie, percui è subito scoppiato lo scanda-lo e le reazioni dei politici e degliesponenti della cultura non si

sono fatte attendere.Il problema è che le parole del-l’inno “nefesh yehudi homiya”(anima ebraica fervente) nonpossono essere sentite come pro-prie dagli studenti non ebrei(cristiani, musulmani e drusi),per cui il direttore della facoltà“incriminata”, non essendol’esecuzione dell’inno obbligato-ria in queste occasioni, ha decisocol consenso del rettore di nonfarlo eseguire anche quest’annoallo scopo di far sentire anchegli studenti non ebrei più a loroagio e parte integrante della col-lettività, dei festeggianti.In uno Stato solamente ebraicoquesto non avrebbe mai potuto

succedere mentre in uno Statosolamente democratico, cioè ditutti i suoi cittadini anche nelsenso affettivo del termine, nonsolo ciò che è successo sarebbenormale ma le parole dell’innosarebbero differenti e non “set-toriali” come queste. Questodualismo a volte contraddittoriosta accompagnando lo Stato e lasocietà israeliana fin dalla suafondazione, con dilemmi semprelaceranti e fonti di dibattitospesso acceso e ricco di emozio-ni. La soluzione, come al solito,sta nel mezzo e nella capacità ditrovare ogni volta il compro-messo che permette di andareavanti.

Israele e le giuste regole della critica

Israele, i compromessi che sono necessariDELLA PERGOLA da P23/

Daniel HavivAlchimista

FrancescoLucrezi Storico

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Un indiano, nel 2013, trovato aGoito dalla polizia in possesso diun lungo coltello (il pugnale sa-cro detto Kirpan) rifiutò di con-segnarlo, adducendone la con-formità alla sua fede Sikh. Nel2015, il tribunale di Mantova,che non ritenne che le ragionireligiose fossero una valida giu-stificazione, lo condannò adun’ammenda di duemila euro.Sentenza poi confermata in sededi legittimità (Cass. Sez. I Pena-le 15 maggio 2017, n. 24084). La questione più interessantenon concerne la dialettica franorme di pubblica sicurezza e li-bertà religiosa, la quale questio-ne è stata affrontata anche nellegiurisdizioni sovranazionali so-prattuttonei riguardidel veloislamico,bensì negliobiter dictae financhein taluneconsidera-zioni pale-sementemetagiuridiche. Poiché non è laprima volta che il mondo dellacultura incrocia quello del dirit-

to (vedi Cassazione sez. V pena-le - sentenza 10 novembre 2016,n.47506, sul sionismo), sarebbe

opportunosoffermar-si sul pun-to, soprat-tutto ora,alla lucedello scon-tro delleciviltà, co-me ebbe adefinirlo

Samuel Huntington, in con-trapposizione con le tesi (assaiingenue) di Francis Fukuyama.

Accade che nel corpus delle sen-tenze vi siano, oltre al puro di-ritto, i dati esterni all’ordina-mento, che talvolta ne fanno dapresupposto e talaltra ne costi-tuiscono un orpello, rendendolinon molto diversi dagli obiterdicta. Nel nostro caso, la Cassazionesemina il sentiero di ragiona-menti che non sono passati inos-servati:1) “la convivenza tra soggetti dietnia diversa richiede necessa-riamente l’identificazione di unnucleo comune in cui immigratie società di accoglienza si debbo-

no riconoscere. Se l’integrazionenon impone l’abbandono dellacultura di origine, in consonan-za con la previsione dell’art. 2Cost. che valorizza il pluralismosociale, il limite invalicabile ècostituito dal rispetto dei dirittiumani e della civiltà giuridicadella società ospitante;2) È quindi essenziale l’obbligoper l’immigrato di conformare ipropri valori a quelli del mondooccidentale, in cui ha liberamen-te scelto di inserirsi, e di verifi-care preventivamente la compa-tibilità dei propri comportamen-ti con i principi che la regolano

e quindi della liceità di essi inrelazione all’ordinamento giuri-dico che la disciplina; 3) La società multietnica è unanecessità, ma non può portarealla formazione di arcipelaghiculturali configgenti, a secondadelle etnie che la compongono,ostandovi l’unicità del tessutoculturale e giuridico del nostropaese che individua la sicurezzapubblica come un bene da tute-lare e, a tal fine, pone il divietodel porto di armi e di oggetti attiad offendere”.Nell’ordine: 1) il riferimento adun nucleo comune di valori con-divisi è alla base, per esempio,dell’ordine pubblico internazio-nale, e in quanto tale sembrereb-be condivisibile; 2) l’obbligo diconformarsi al mondo occiden-tale porterebbe ad escluderel’Ebraismo, il Cristianesimo el’Islam; 3) gli arcipelaghi cultu-rali confliggenti sono, anch’essi,un male per la civile conviven-za, e qui fa bene la Cassazionead augurarsi un tessuto socialeche non porti più ad una conti-nua ancorché silenziosa guerracivile.Ne consegue che questa senten-za, anche laddove è poco condi-visibile, è stata oggetto di unalettura immeritatamente ridut-tiva: non sono temi da liquidarecon facili battute. Rimuovere ifatti può far molto comodo, ma iproblemi non si risolvono rin-viandoli alle future generazioni.

/ P26 n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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OPINIONI A CONFRONTO

Apprendiamo con un certo stu-pore che l’Università di Padovaha ospitato un seminario in cuisi è discusso il volume curato daDamien Short dal titolo Redefi-ning genocide: settler colonia-lism, social death and ecocide.Fermo restando il diritto dichiunque di sostenere tesi stori-che e sociali anche molto discuti-bili, siamo anche noi liberi dicontestarne la natura scientificae di metterne in rilievo gli aspet-ti strumentali e allarmanti. Se siaffermasse la teoria sostenutanel volume curato dal Dr Shortandrebbe in crisi nella sua totali-tà la grande esperienza di rap-porti proficui fra istituzioniebraiche e amministrazioni pub-

bliche (istituzioni, scuole, centridi cultura, comunità religiose)che da decenni collaborano lavo-rando sul principio che fare Me-moria della Shoah serva a spie-gare le dinamiche malate del no-stro presente. Com’è noto la de-finizione di Genocidio è stataideata da Raphael Lemkin perdescrivere in origine lo stermi-nio degli Armeni, ed è stata inseguito allargata allo sterminiodegli ebrei in Europa. Successi-vamente il concetto ha assuntoun valore anche giuridico, legatoalla necessità di perseguire pervia giudiziaria il crimine di Ge-nocidio, e attualmente esiste unaletteratura normativa di rilievoche si pone a fondamento di im-prescindibili istituzioni sovrana-zionali come il Tribunale PenaleInternazionale con sede all’Aia,che di recente ha perseguito econdannato i responsabili deicrimini di Genocidio nei Balca-ni. L’ipotesi avanzata nei saggi

contenuti nel volume propone diguardare a quattro episodi diviolenza, segregazione e espul-sione (Palestina, Sri Lanka, Au-stralia e Alberta-Canada) propo-nendo di non considerare più so-lo il diretto massacro come ele-mento caratterizzante il Genoci-di, ma allargando questo concet-to a episodi di malversazione chea vario titolo e con diverse dina-miche producono grandi sposta-menti di popolazioni e importan-ti mutamenti nella geografiaumana. È del tutto oscuro il rap-porto storico fra le quattro diver-se realtà prese in esame, natural-mente l’articolo di apertura ri-guarda il conflitto Israelo Pale-stinese. Si tratta di una tesi checolpisce intenzionalmente il va-lore paradigmatico assunto negliultimi anni, anche dal punto divista concettuale, da crimini co-me lo sterminio degli ebrei inEuropa. La distinzione, a nostromodo di vedere, è e resta netta:

quando siamo in presenza di unprogetto programmatico e attua-to in maniera consapevole eprioritaria di eliminare un inte-ro gruppo umano (gli armeni inTurchia, gli ebrei in Europa – eanche nella Padova dell’Univer-sità in questione (!), i tutsi inRwanda, i musulmani in Bo-snia) si parla di Genocidio.Quando ci si trova in presenzadi situazioni di oppressione e diconflitto che prevedono anchegravi lutti e stragi insopportabi-li, ma che non seguono una poli-tica di eliminazione radicale diun gruppo etnico o religioso, sia-mo di sicuro di fronte a una tra-gedia, ma non si tratta di Geno-cidio. Non possiamo che dirci al-larmati nel vedere edulcorato ein qualche modo diluito il con-cetto di Genocidio da una teoriastorico sociale di cui proprio nonsi sente il bisogno (perché chia-marlo proprio Genocidio?), e na-turalmente non possiamo che de-

nunciare con forza l’assunto – ti-pico delle teorie negazioniste –per cui lo Stato d’Israele - al qua-le la comunità ebraica è legata dastretti rapporti di amicizia e darelazioni storico-religiose - abbiamai attuato in maniera program-matica un progetto di genocidiodella popolazione palestinese. Re-sta fastidioso il fatto che un’Uni-versità italiana – abituata a colla-borare e a promuovere azioni coe-renti con il progetto culturale epedagogico che si pone alla basedel lavoro sulla Memoria dellaShoah – offra spazio e legittimitàa teorie proto scientifiche che neifatti si riducono a mere provoca-zioni. Si tratta di un danno im-portante al lavoro continuo incui le comunità ebraiche sono im-pegnate, accanto agli uffici scola-stici, alle istituzioni pubbliche eall’Università nelle numeroseiniziative legate alla valorizzazio-ne del concetto di Memoria deiGenocidi.

Se l’Università italiana riscrive il significato di genocidio

La Cassazione e i valori d’Occidente, un tema attuale EmanueleCalòGiurista

Gadi LuzzattoVoghera Boston University

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/ P27pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017

“Non sono distinguibili né per aspetto, né per lingua, né per costumi e non vengono certamente ultimi per amore al paese che li vide nascere” (Guido Horn D’Arturo - 1938)

u /P28-29POLITICA CULTURALE

u /P30-31STORIA E ARTE

u /P32-33SCIENZA

u /P34-35SPORT

Rossella Tercatin

“La più antica e ancora esistente pièce inebraico, ‘Una commedia di fidanzamento’(Tsahut bedihuta deqiddushin), attribuita aldrammaturgo ebreo mantovano Leone de’Sommi (Yehuda Sommo) è un’intrigante fu-sione delle tradizioni testuali ebraiche ri-guardanti il matrimonio e delle usanze tea-trali italiane rinascimentali. È probabilmenteil primo tentativo nella storia di esplorarecome la lingua ebraica possa funzionare nel-le performance teatrali”. Arrivano anchedall’Italia le suggestioni che hanno animatola conferenza “The Bible in the Renaissan-ce”, La Bibbia nel Rinascimento, che si èsvolta alla fine di maggio all’Università ebrai-ca di Gerusalemme, promossa, oltre chedall’ateneo della Capitale israeliana, da IsraelScience Fund, Institute for Advanced Stu-dies, Fondazione Giovanni XXIII for Reli-gious Studies, Università di Bar Ilan. A esplo-rare il modo in cui i riferimenti biblici ven-gono usati nel corso di questo speciale esem-pio di opera teatrale è stato Yair Lipshitz,docente della Tel Aviv University, appro-fondendo in particolare la sua protagonistafemminile, la giovane Beruriah, e in lei leeco dei personaggi femminili raccontati ap-punto nella Bibbia. Teatro dunque (con unaparticolare attenzioni anche agli straordinariprodotti del genio di William Shakespeare),ma anche letteratura, storia, teologia, sonostati al centro della tre giorni di conferenze,organizzata da Yaakov Mascetti, docente diletterature comparate dell’Università di Bar

Ilan. “L’idea alla base della conferenza è pro-prio quella di esplorare a trecentosessantagradi tutto ciò che ha a che fare con la Bib-bia nel Rinascimento. Siamo partiti da unagiornata dedicata più specificamente al con-testo storico, per poi passare alla parte mag-giormente legata ad arte e letteratura” spiegaMascetti, sottolineando l’attenzione alla mul-tidisciplinarietà, persino con un assaggio dimusica, con un ensemble che ha eseguito ibrani del compositore Salomone Rossi, vis-suto a Mantova a cavallo tra XVI e XVII se-colo. A prendere parte alla conferenza studiosiamericani, europei, israeliani, con back-ground molto diversificati anche dal puntodi vista religioso. “Abbiamo cercato di dare

un’impronta pluralista con partecipanti didiversa provenienza geografica e non solo,protestanti, cattolici, musulmani, ebrei.L’idea era anche quella di mandare un mes-saggio a chi ci guardava da fuori, e di af-fermare che si può parlare di Bibbia, di fede,di storia della teologia in modo pacato ecivile anche fra gente che la pensa diversa-mente” mette ancora in evidenza il docente.Approfondimenti sono stati dedicati ancheal mondo del rapporto fra le varie linguein cui la Bibbia venne studiata, e delle suetraduzioni. Tra i vari interventi, anche quellodi Claudia Rosenzweig, professoressa di let-teratura yiddish a Bar Ilan, su “l’antica linguae cultura yiddish sviluppatasi nell’Europacristiana nel corso di Medioevo e inizio

dell’Età moderna e la loro relazione con laBibbia ebraica, centrale in varie prospettive- linguistiche, esegetiche, letterarie, storiche- rispetto a cui tuttavia all’inizio della Mo-dernità si presenta un nuovo fattore che di-venta visibile nei testi letterari in Yiddish:da una parte un processo di quello che Jaussdefinì Literarisierung, la trasformazione dellenarrative bibliche in generi diversi, dall’altraquello che io chiamo la ‘contro-ricezione’,un modo (ebraico) alternativo di leggeregli stessi testi che i cristiani leggevano neivernacolari europei”. Varie le sessioni incen-trate anche sulla lettura della Bibbia nelleChiese protestanti, con particolare atten-zione a quella anglicana. “Se nel Rinasci-mento questo tipo di spaccature esegetichehanno creato enormi problemi che si sonoandati a manifestare in guerre di religionie conseguenze terribili oggi possiamo im-parare la lezione e cercare di fare diversa-mente - conclude Mascetti, sottolineandol’attualità di argomenti che possono parerelontani del tempo. “Oggi possiamo affer-mare che l’atomizzazione esegetica non de-ve per forza accendere il fuoco della vio-lenza, che ci si può confrontare pacifica-mente con l’altro. Un approccio questo chequasi non esisteva nell’Europa di quel pe-riodo. Con alcune eccezioni, come peresempio alcuni cori interconfessionali chea Praga riuscivano a riunire fedeli di diverseconfessioni, provando con la musica creareun’armonia anche tra persone differenti. Unsimbolo importante di quello che abbiamocercato di fare qui”.

L’INTERVENTO

Yaakov Mascetti, Università di Bar Ilan

Le Scritture sono testi e i testi, come tutti sappiamo,fanno cose con le parole. Sin dalla mia dissertazione,scritta sotto la supervisione del professor WilliamKolbrener, il mio interesse accademico si è concen-trato sui modi in cui testi (e parole) danno formaalla realtà (o alle cose). Dalla descrizione che ho pre-sentato nel mio dottorato sui processi alchemicicompiuti da John Donne nel suo poema del 1611“L’Anatomia del Mondo” attraverso una rilettura delletecniche omiletiche di Donne in quelli che nel 1628chiamò “Acta Apothegmata”, sermoni e lavori verbalieseguiti di fronte ad ascoltatori, passando poi allarappresentazione della distillazione Herbertiana del-l’elisir cristico ne “Il Tempio”, andando all’esegesi di

genere e l’Eucarestia di Aemilia Lanyer, la Bibbiaè sempre rimasta sullo sfondo fornendo a poeti,e ai teologi di cui ho scritto, la materia primadel loro lavoro per la creazione di testi che sioccupassero di questioni contemporanee at-traverso le lenti delle Scritture. Un esempio diquesto fenomeno è il modo in cui John Donneusò il concetto di “canto” (shir) per la sua pro-duzione poetica e, più avanti, omiletica. Contro losfondo di ciò che Barbata Lewalski ha chiamato il“fenomeno del Rinascimento/diciassettesimo secolo”di “articolazione e pratica di una teoria completa-mente sviluppata dell’estetica biblica”, come fonda-mento per “una importante varietà di liriche religiosedel XVII secolo”, l’uso di Donne del “canto” esempli-fica le discussioni contemporanee sul “rapporto tra

arte e verità, portatoal centro dell’atten-zione dalla Riforma”:eppure Donne non silimita a citare il cantobiblico, ma invece nescrive uno e le sue ria-nimate poesis biblichepossedevano quello cheErasmo chiamava, dopoQuintiliano e Cicerone,

una ‘enargeia’, un’energiao potere che non si limitava a ‘narrare’ ma che mo-strava per davvero la scena, portando le ‘emozioni’del lettore a essere, spiegava Quintiliano, “non menoattivamente rimescolate che se fossimo stati vera-mente presenti al fatto descritto”.

Questo testo è la traduzione di parte del discorso pronunciato in apertura della conferenza“La Bibbia nel Rinascimento” svoltasi a Gerusalemme dal 22 al 24 maggio 2017.

Quei Testi che non smettono di far riflettere

Il Rinascimento, la Bibbia e la lettura italiana

Foto di gruppo di alcuni studiosi che hanno partecipato al prestigioso convegnou

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Page 28: Informazione, una forzatura che desta inquietudine · serata organizzata ai Mercati di Traiano per “Yom Yerushalaim” (il / pagine ebraiche. pagine ebraiche / / ,, / dell’Unione

Designato come prossimo can-

didato alla presidenza dal con-

siglio generale dell'Aie, l'Asso-

ciazione Italiana Editori, Ricardo

Franco Levi è giornalista e poli-

tico noto per il suo impegno

nell'ambito editoriale. Rivendica

con fierezza la sua appartenen-

za ebraica, un'appartenenza che

si intreccia strettamente con

l'impegno di una vita. "Certo, è

evidente come il collegamento

ci sia, forte e inevitabile. La de-

finizione di 'Popolo del Libro'

non è casuale, no? Le parashot

sono lettura settimanale, e stia-

mo parlando di un popolo che

già all'epoca della distruzione

del secondo tempio, nel 70 EV,

aveva una norma che prescrive-

va a ogni ebreo di sapere legge-

re e studiare la Torah in ebraico

e di mandare i figli a scuola o in

sinagoga, dall’età di sei o sette

anni, affinché anch’essi imparas-

sero a farlo".

Proprio il diritto allo studio e

alla conoscenza sono la prima

cosa su cui intende puntare: "È

esattamente quello, il mio

obiettivo principale. Insieme al-

la lettura, il diritto allo studio

e alla conoscenza devono diven-

tare una questione di interesse

nazionale. È la sfida più grande,

dobbiamo non solo assumerla e

farcene carico, ma vincerla,

mettendo in campo tutte le

energie disponibili sia a livello

nazionale, che regionale, che lo-

cale, coinvolgendo sì gli editori,

che sono ora candidato a gui-

dare e rappresentare, ma anche

i librai e i bibliotecari, il cui ap-

porto è fondamentale per la lo-

ro passione e soprattutto per

la loro competenza".

Il primo passaggio, quando il 28

giugno verrà ratificata la nomi-

na, sarà di ascoltare e conosce-

re a fondo tutte le anime di

un'Associazione in cui al mo-

mento ognuno pare andare per

la propria strada. "Se fossimo

davvero scoordinati e poco uni-

ti come mi pare si sia al mo-

mento, non possiamo pretende-

re di andare lontano, mentre

l'Italia ha assolutamente biso-

gno di riconoscere che la cono-

scenza e l'accesso alla conoscen-

za sono fondamentali per uni-

re". È impressionante, sottoli-

nea, la corrispondenza fra le

aree dove l'accesso alla cono-

scenza è ai valori più bassi dei

parametri disponibili e le zone

più problematiche anche dal

punto di vista economico e sot-

ciale. E questo è parte di un al-

tro problema che è da affron-

tare con estrema urgenza:

"L'Italia è il paese più ignorante

d'Europa. Possiamo tentare di

addolcire la situazione con pa-

role differenti, ma la realtà è

questa. Siamo il paese con me-

no laureati, con la più bassa

partecipazione a corsi post lau-

rea, con il dato più alto sull'ab-

bandono scolastico e la minore

passione per lettura. Il dato in-

credibile è quello sui libri letti

durante l'anno, che è impressio-

nante anche tra le persone che

hanno un ruolo impotante, di

rilievo. Anche i dirigenti non

leggono. In questa situazione

gli editori si devono mettere in

gioco, stare in prima fila, devo-

no mettere da parte gli altri

problemi, e lavorare uniti. Per-

ché l'intesa tra grandi e piccoli

ci può essere".

/ P28 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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La crescita c’è e i numeri, come èstato possibile constatare di per-sona in quei cinque giorni di mag-gio roventi di folla e di cultura,hanno smentito i profeti di sven-tura e si sono dimostrati moltoconfortanti. Ora è piuttosto il mo-mento di tirare un sospiro di sol-lievo, e di ripartire in corsa.A un anno di distanza dalla grandecrisi e dalla minaccia di chiusura,di smembramento, la città ha rea-gito chiamando a raccolta la cul-tura italiana. La risposta è arrivatae non poteva essere più chiara.Sorride Massimo Bray, presidentedella Fondazione per il libro e diTreccani. “Ce l’abbiamo fatta –commenta – e i segnali che storaccogliendo da tutte le case edi-trici e dalle istituzioni che hannopartecipato sono largamente po-sitivi. La cultura è il miglior mo-tore di una società. Questo Saloneinternazionale del libro di Torinoha saputo rimettere al centro lacultura, e i grandi temi che sonocari all’Italia della cultura. La cul-tura è una possibilità per ricostrui-re il Paese. Nonostante le polemi-che, le gelosie che ci si erano ad-densate, mi pare che sia statocompiuto un piccolo miracolo”.Sorride Mario Montalcini, il ma-nager torinese che è riuscito a te-nere il timone durante la tempestadi polemiche e di gelosie che haaccompagnato il rilancio del Sa-lone, si è assunto il rischio di ri-mettere assieme la vecchia espe-rienza della grande manifestazioneculturale per farne una sfida rin-

novata e vincente. “Dei numeri,dei risultati raggiunti – spiega - siparlerà quanto si vuole. Ma ora siriparte con 365 giorni di lavorodinnanzi e non solo 120, come èstato per questa difficile edizionedel rilancio. Mi dispiace per chinon ci ha creduto e ha preferitorestare assente, finendo per met-tersi al margine di una grande oc-

casione di crescita comune. Credoche chi ha puntato sulla sconfittadel Salone abbia sbagliato e questovale, non ho alcuna difficoltà a dir-lo, anche per alcune realtà sempreattente ai temi del mondo ebraicoe di Israele che hanno preferito di-staccarsi e in definitiva restare iso-lati”. Il suo riferimento è chiaro, enon vale solo nei confronti dei

grandi gruppi editoriali che avreb-bero preferito vedere il Salonenaufragare, ma anche, all’internodel mondo che fa riferimento allacultura e all’identità ebraica, ai po-chi che hanno preferito puntaresul pessimismo e hanno scelto lastrada dell’isolamento. Sorride ilpresidente della Comunità ebraicadi Torino Dario Disegni e del na-

scente Museo dell’ebraismo italia-no di Ferrara, che assieme a mol-tissimi ebrei della città piemontesee ad altri provenienti da tutta Italiae dal mondo ha rinnovato il climadi collaborazione fra numerosissi-me realtà culturali. “Questa edi-zione del Salone – commenta –dimostra che il sistema Torino hatenuto, che la città è e resta pro-

POLITICA CULTURALE

Ricardo Franco Levi nel nome del libro

Ricardo Franco Levi, designato per l’Associazione Italiana Editoriu

A Torino un Salone nel segno della svolta

Page 29: Informazione, una forzatura che desta inquietudine · serata organizzata ai Mercati di Traiano per “Yom Yerushalaim” (il / pagine ebraiche. pagine ebraiche / / ,, / dell’Unione

Il senso della sua candidatura,

al di là delle recenti polemiche

sulle scelte divisive del suo pre-

decessore, foriere di una spac-

catura molto evidente, si trova

anche nella volontà di allacciare

rapporti solidi con le istituzioni,

un ruolo che svolge anche per

la Fondazione dei Beni Culturali

Ebraici in Italia, di cui è consi-

gliere attivo e molto apprezza-

to. Levi è stato consigliere an-

che del Centro di Documentazio-

ne Ebraica Contemporanea, un

ruolo da cui si è voluto dimet-

tere al momento dell'incarico

politico. "Avrò moltissimo da fa-

re, nei prossimi mesi, questo è

sicuro, ma al mio ruolo nella

Fondazione tengo moltissimo, e

non ho nessuna intenzione di ri-

durre il mio impegno".

Ada Treves

twitter @ada3ves

/ P29pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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tagonista della vita economica edella cultura. E non è solo unaprova riuscita nell’ambito della re-altà locale, ma anche una lezionesu scala nazionale su come lavo-rando fianco a fianco sia possibilesuperare le crisi e vincere le sfide”.Una sfida, fanno rilevare i prota-gonisti del rilancio, che non siesaurisce nel rimettere in carreg-giata una prestigiosa iniziativa cul-turale, ma passa anche attraversola costruzione di un dialogo e diuna progettualità chiara con le isti-tuzioni e con tutti i protagonistidella vita economica, a cominciaredal mondo dell’editoria, dell’indu-stria della stampa, della carta e del-la produzione industriale collegata.Sorridono anche al desk di PagineEbraiche, preso d’assalto dalle ri-chieste di una copia del giornaledell’ebraismo italiano proprio lun-go lo snodo fra i grandi padiglionidel Lingotto dove otto anni fa latestata è stata lanciata con una di-stribuzione straordinaria e il con-senso degli italiani disposti a sot-toscrivere l’Otto per mille a favore

dell’Unione delle Comunità Ebrai-che Italiane toccava il suo record.Un cenno discreto ma eloquentesegna questo momento di vittoria,il sollievo di farcela nel nome del-l’Italia e della cultura. Il direttoreNicola Lagioia, altra grande sor-presa, vincente e fuori dagli sche-mi, scambia un gesto di amiciziacon Carmine Donzelli. Il raffinatoe coraggioso editore indipendenteha appena mandato in stampa ilsuo Calendario civile che parla tut-to di Memoria sana e viva, dei va-

lori di cui né gli ebrei italiani nél’Italia civile possono fare a meno.Lo scrittore ha appena conclusoil suo primo mandato, rimettendoin piedi l’anima del Salone non so-lo dal punto di vista organizzativo,ma anche dell’ispirazione e del-l’ambizione culturale. Torino haaccolto loro assieme a tanti altri.La prova riuscita vale lo scambiodi un sorriso e l’impegno a ripren-dere la strada. A tornare per fareancora di meglio.

gv

Dario Disegni, Guido Vitale e Mario Montalciniu

Nicola Lagioia, da meno di un

anno direttore editoriale del

Salone del Libro di Torino, è

evidentemente esausto, ma po-

co dopo la chiusura di una edi-

zione, la trentesima, che ha sa-

puto vincere la sfida con se

stessa, soprattutto, oltre che

con la "contro-manifestazione"

organizzata da Milano, e con-

tro tutti coloro che davano il

#SalTo per morto, resta l'ener-

gia per una battuta. "È una bat-

taglia che abbiamo vinto a col-

pi di Amitav Gosh e Giorgio

Agamben, e non era affatto ba-

nale, né scontato". "La verità -

continua - è che nulla di quello

che abbiamo scelto è casuale:

abbiamo avuto l'appoggio e il

sostegno dei li-

brai e dei biblio-

tecari, oltre che

dei tanti editori

che hanno scelto

di sostenerci, ed è

stato un aiuto

fondamentale.

Non hanno solo

appoggiato il no-

stro impegno per

il salone, ma ci

hanno travolti

con mille suggerimenti, propo-

ste e idee che hanno continua-

to a offrirci per tutti questi

mesi. E noi abbiamo avuto

l'enorme fortuna di poter in un

certo senso fare gli editori de-

gli editori, valutando, screman-

do, e poi scegliendo solo quello

che davvero ci piaceva".

È questa probabilmente la chia-

ve di lettura di un successo che

non era affatto ovvio, e che è

andato oltre le più rosse pre-

visioni: la folta squadra di col-

laboratori (composta da Mattia

Carratello, Giorgio Gianotto,

Alessandro Grazioli, Valeria Par-

rella, Eros Miari, Giuseppe Cu-

licchia, Ilide Carmignani, Giulia

Blasi, Andrea Bajani, Fabio Ge-

da, Alessandro Leogrande, Lo-

redana Lipperini, Rebecca Ser-

vadio e Vincenzo Trione) non

solo è stata capace di lavorare

davvero insieme, ma ha avuto

il coraggio di scegliere davvero

secondo il cuore. "Siamo andati

dritti su quello che abbiamo

amato, senza esitare e cercan-

do in tutti i modi di evitare la

fuffa... si è visto?".

È così, Lagioia: concreto, prag-

matico, scanzonato. E sempre

positivo, al punto che il suo co-

gnome - anche grazie a un sor-

riso che dalle code del giorno di

apertura alla chiusura non ha

fatto che allargarsi - è diventato

un hashtag virale, #LaGioia, co-

me simbolo del Salone. La pros-

sima edizione, la trentunesima

- che si terrà a Torino dal 10 al

14 maggio del 2018 - avrà il dif-

ficilissimo obiettivo di superare

quella appena chiusa, che è sta-

ta formidabile e difficilmente

imitabile non solo per il senso

di solidarietà e di calore eviden-

tissimi, ma anche per i numeri:

i 165.746 visitatori annunciati

durante la conferenza stampa

di chiusura - 140.746 al Lingotto

e oltre 25mila al Salone Off - so-

no numeri che Lagioia, ridendo,

definisce numeri “della Questu-

ra”, al ribasso come spesso ac-

cade dopo le grandi manifesta-

zioni di piazza.

"Non abbiamo vo-

luto rischiare di fa-

re errori, e anche

se ancora molti

stavano entrando

(erano solo le 16

dell’ultimo giorno,

e il Salone chiude-

va alle 20) e anche

se per il SaloneOFF

in realtà è probabi-

le che ci fossero

davvero molte persone in più,

abbiamo preferito essere pru-

denti. Alla torinese, ci siamo

detti 'esageruma nen!', non esa-

geriamo". Al di là di tutte la va-

lutazioni, è stata la folla costan-

te che per cinque giorni ha af-

follato i padiglioni del Lingotto,

a mostrare senza alcun dubbio

che la scelta di non arrendersi

e di impegnarsi per il Salone di

Torino era quella giusta. Il Salo-

ne è Torino, e Torino è il Salone.

Dice Lagioia: “Che sia stato un

enorme successo è talmente

evidente a tutti che non c’è bi-

sogno di spiegarlo, ma credo

sia accaduto qualcosa di molto

più grosso, e di più profondo:

il Godot che per tanti anni ave-

vamo aspettato che comparisse

sulla scena, si è finalmente mo-

strato. La mia sensazione è che

si sia un un certo senso ricom-

pattata la comunità dei lettori,

una comunità fondata sull'idea

di ritrovarsi insieme, di parte-

cipare in una maniera sensata,

umana, viva e fraterna, alla vita

pubblica di questo paese, per

tornare a fare davvero espe-

rienza attraverso la cultura e i

libri. È una possibilità, una ma-

niera di vivere insieme in modo

solidale, pacifico e profondo”.

a.t.

twitter @ada3ves

Il Ministro Dario Franceschini al Salone del Libro di Torino, con l’ultimo numero di Pagine Ebraicheu

Il partito dei lettori

Mario Montalcini e Massimo Bray, rispettivamente vicepresidente operativo e presidente dellau

Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura, che promuove anche il Salone del Libro di Torino

Nicola Lagioiau

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/ P30 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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Daniela Modonesi

Se c’è una parola che, più di al-tre, sembra aleggiare su La me-norà. Culto, storia e mito, lamostra organizzata dai MuseiVaticani e dal Museo Ebraico diRoma, quella parola è ‘fatalità’.La menorà fu fatale per Roma equi, ineluttabilmente, doveva tro-vare spazio l’esposizione inaugu-rata lo scorso 15 maggio: nellacapitale, il candelabro sacro a set-te bracci giunse trionfalmente nel71 e.v., al seguito del generale Ti-to, dopo la sanguinosa distruzionedel Tempio di Gerusalemme, co-me tramandano il rilievo del-l’omonimo arco fatto erigere aRoma, alle pendici settentrionalidel Palatino, e le cronache dellostorico Giuseppe Flavio, conte-nute nei volumi della Guerra Ju-daica. E fu sempre nell’Urbe che,tra il III e il IV secolo, propriomentre prendevano forma i codicidella cristianità, il più antico e ri-levante simbolo religioso ebraicoassunse la caratura di potente em-blema del giudaismo tout court,come evocazione tangibile dellaluce divina, dell’ordine cosmicodella creazione e dell’Antica Al-

leanza, del roveto ardente, dell’al-bero della vita, del Sabato.Per non dimenticare, infine, chenel V secolo le tracce della me-norà si persero a Roma.

Fatale è anche l’occasione da cuiè scaturita l’idea dell’allestimentoche, oltre a sancire una collabo-razione senza precedenti tra i dueMusei, sembra portare a compo-

sizione la vicenda della menoràdopo un inquieto e sofferto pere-grinare plurimillenario. Comespiegano i curatori Alessandra DiCastro, Francesco Leone e Ar-

nold Nesselrath – rispettivamenteDirettrice del Museo Ebraico diRoma, docente di Storia dell’ArteContemporanea all’Università“D’Annunzio” di Chieti-Pescara eDelegato per i DipartimentiScientifici e i Laboratori di Re-stauro dei Musei della Santa Sede– “il progetto nacque nell’ottobre2013, in occasione di un incontroal Museo Ebraico di Roma conZion Evrony, allora ambasciatoredi Israele presso la Santa Sede. Cisoffermammo davanti a un’iscri-zione di fine Ottocento in cuicompare la menorà, segno che ilmito del candelabro era ancora

ARTE E STORIA “Non soltanto un evento con un valore simbolico. È anche una grande iniziativa sotto il profilo artistico, frutto di una collabora-zione molto intensa tra i nostri due musei”. Così la direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta nel presentare la “Menorà. Culto,storia e mito” inaugurata in maggio tra Braccio di Carlo Magno e Museo ebraico. L’arte figurativa per raccontare la “storia pluri-millenaria, incredibile e sofferta” del candelabro a sette braccia che a Roma è diventato il simbolo più potente dell’ebraismo.

Sono oltre centotrenta le opere esposte nella mostra

La menorà. Culto, storia e mito: centoventi in Vaticano

e una decina al Museo Ebraico di Roma. E sono un con-

densato di storia, bellezza e spiritualità all’altezza

dell’inedita partnership tra le due istituzioni promo-

trici, che inaugura un nuovo e promettente capitolo

nei rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo.

Nell’itinerario ideato da Roberto Pulitani, della Dire-

zione Servizi Tecnici del Vaticano, un rotolo della Torà

si svolge e diventa una trama incastonata da alcuni

pezzi inestimabili, che documentano la straordinaria,

incredibile fortuna visiva di cui le forme della menorà

hanno goduto nel mondo ebraico e in quello cristiano.

L’allestimento si articola in tre grandi nuclei, a loro

volta suddivisi in sezioni. Il primo traccia la vicenda

della menorà dalla sua presenza nel Tempio di Geru-

salemme fino alla dispersione a Roma, cioè dall’anti-

chità agli albori dell’età moderna, e si sostanzia di

tesori quali la grande Pietra di Magdala (per la prima

volta in una mostra), incisa a bassorilievo e ritrovata

solo nel 2009, durante una campagna di scavi che ha

riportato alla luce una delle più antiche sinagoghe

della Galilea, sul lago di Tiberiade, e i preziosi ricami

del me’il che raffigura una ricostruzione del Tempio

di Gerusalemme. Senza contare un busto di Tito del-

l’anno 75, i rarissimi vetri di epoca romana decorati

in oro, i sarcofagi e le lapidi dalle catacombe ebraiche

di Roma. Il secondo nucleo insegue il mito della lam-

pada fino alle soglie del XX secolo, analizzandone da

un lato l’appropriazione in ambito cristiano, per la

creazione di candelabri cerimoniali (come quello mo-

numentale del Santuario della Mentorella) e, dall’al-

tro, il suo perdurare quale elemento aggregante della

cultura e dell’identità ebraiche. A dare evidenza pla-

stica a questa pagina, la Bibbia di San Paolo fuori le

Mura (IX secolo), la Tabula Magna Lateranensis, gli

argenti barocchi romani, le mappot e alcuni dipinti

di epoca moderna: dal Rinascimento fino all’Ottocento

la menorà fu, infatti, spesso rievocata in pittura, per-

ché indissolubilmente legata alla rappresentazione

del Tempio di Gerusalemme, come dimostrano i lavori

di Giulio Romano, Andrea Sacchi e Nicolas Poussin.

Il terzo blocco, infine, offre un’ampia panoramica sul

XX e XXI secolo, con le diverse interpretazioni e co-

loriture della menorà ad opera di artisti del calibro

di Max Ernst e Marc Chagall, passando per i disegni

preparatori dei graffiti di Triumphs and Laments, con

cui William Kentridge ha raccontato la capitale lungo

i muraglioni del Tevere, fino a considerare come que-

sto simbolo sia stato eletto protagonista di una pietra

miliare della letteratura del Novecento, quale Il can-

delabro sepolto di Stefan Zweig.

E, last but not least, la mostra propone il progetto –

approvato e firmato da David Ben Gurion, leader del

movimento sionista e primo Presidente d’Israele –

con cui i fratelli Shamir si aggiudicarono, nel 1949, il

concorso per la realizzazione del logo dello Stato ap-

pena fondato. Quasi a chiudere il cerchio, il bando

prevedeva che lo stemma fosse incentrato sull’imma-

gine della menorà così come appare sul rilievo del-

l’Arco di Tito.

Da Magdala a Chagall: 130 le opere in mostra

Max Ernst Senza titolo (Finestra) - Bilderzyklusu

Judith 1972 illustrazione per il volume Judith. Tragodie

in drei Akten, Stuttgart 1972 litografia a colori

© M

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Fino al 23 luglioMENORÀ. CULTO,STORIA E MITOMusei Vaticani e MuseoEbraico di Roma

Ebraismo romano e Vaticanoassieme nel segno della Menorà

Page 31: Informazione, una forzatura che desta inquietudine · serata organizzata ai Mercati di Traiano per “Yom Yerushalaim” (il / pagine ebraiche. pagine ebraiche / / ,, / dell’Unione

/ P31pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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Come è scritto nell’Esodo (25, 31-40), fu il

Signore a ordinare a Mosè di forgiare il

candelabro in un’unica colata di oro puro,

di circa 35 chili, seguendo precise indica-

zioni e rifacendosi a un’immagine mostra-

tagli sul Sinai. La menorà era riccamente

lavorata a sbalzo e martello, per raffigu-

rare in forma stilizzata un albero di man-

dorlo con i boccioli, le corolle e i pomi,

metafora della tensione alla vita che ani-

ma l’ebraismo. Nel X secolo a.C. la menorà

di Mosè, originariamente destinata alla

“tenda del convegno”, fu collocata nel pri-

mo Tempio di Gerusalemme, fatto erigere

da re Salomone. Doveva restare accesa dal

tramonto all’alba, ma una o più delle sue

lampade continuavano a funzionare anche

durante il giorno. Nella riconsacrazione

del Tempio ad opera dei Maccabei, l’olio

dei lumi, seppure sufficiente per un giorno

soltanto, ne durò miracolosamente otto

e da questo evento straordinario ebbe ori-

gine la festa di Hanukkah.

Nel 586 a.C. il sovrano babilonese Nabuco-

dònosor II mise a ferro e fuoco Gerusalem-

me, abbattendo il Tempio e razziandone

gli arredi sacri, comprese l’Arca dell’Alle-

anza, con le tavole della legge, e la meno-

rà. A Babilonia, il candelabro di Mosè fu

con ogni probabilità distrutto, per recu-

perare il metallo prezioso di cui era costi-

tuito. Ricostruita intorno al 520-515 e po-

sta nel secondo Tempio di Gerusalemme,

oltre mezzo millennio dopo la menorà fu

nuovamente rubata: questa volta dalle

truppe romane del generale Tito (non an-

cora imperatore), che devastarono il Tem-

pio nel 70 d.C. Il candelabro fu portato a

Roma in trionfo, come attestano il rilievo

dell’arco di Tito alle pendici del Palatino,

realizzato subito dopo la sua morte, e lo

storico ebreo Flavio Giuseppe, che fu te-

stimone oculare dell’accaduto. A quel pun-

to, la menorà venne spostata nel Templum

Pacis, voluto da Vespasiano per comme-

morare il vittorioso esito della guerra giu-

daica, e qui rimase – assicurano le fonti

rabbiniche – fino al II secolo d.C., quando

un incendio rase al suolo il tempio.

Roma è l’ultimo punto d’approdo storica-

mente documentato del candelabro. Dal

III secolo in poi, la sua storia si assottiglia

sempre più e sfuma in una dimensione leg-

gendaria che, col passare del tempo, ne ha

accresciuto il fascino, il mistero e la po-

polarità: prelevata da Alarico nel 410 d.C.

e finita sul greto del fiume Busento, dove

il re dei Visigoti fu sepolto; sottratta nel

455 da Genserico, re dei Vandali, e condot-

ta a Cartagine, dove nel 533 Belisario la

trafugò per trasferirla a Bisanzio e di qui

rispedita dall’imperatore Giustiniano a Ge-

rusalemme; smarrita per sempre sui fon-

dali del Tevere (e un falso di fine Ottocento

simulerà una lapide in cui si ricordano tre

fratelli, uccisi sotto l’imperatore Onorio,

che avrebbero visto la menorà inabissata

nel Tevere); nascosta insieme ad altre re-

liquie nei sotterranei di San Giovanni in

Laterano, se non addirittura in Vaticano…

Una questione peraltro complicata dal fat-

to che, già nei primi secoli della sua esi-

stenza, si cominciò a parlare di una dupli-

cazione del candelabro: quale era, dunque,

quello originario, strappato al Tempio nel

70, e quale la copia?

vivo nel XIX secolo. Pensammo,quindi, che un evento espositivodi ampio respiro su questo tema,spaziando da Oriente a Occiden-te, avrebbe potuto contribuireconcretamente al dialogo e allacooperazione ebraico-cristiana”. E in effetti la rassegna si estendetra i due poli geografici di Geru-salemme e di Roma, dal I secoloa.e.v. al XXI, ripercorrendo cro-nologicamente, attraverso più dicentrotrenta opere, la storia dellamenorà. Si parte da quando fu fat-ta forgiare in oro puro da Mosè,per espresso volere del Signore,come narra l’Esodo, per illumi-nare l’area del Santo antistante ilSancta Sanctorum nella tenda del

convegno e poi nel Tempio diGerusalemme, in nome dell’alle-anza con il popolo di Israele. Se-gue la ricostruzione, scandita dafonti scritte e testimonianze visive,del suo culto nel mondo ebraico,a cominciare dal Tempio di Sa-lomone, e delle sue intricate vi-cissitudini, tra mito e realtà. Ilgraffito inciso sulla Pietra di Mag-dala del I secolo a.e.v., ad esem-pio, documenta che il candelabrosi trovava ancora nel secondoTempio a Gerusalemme. Il calcodell’arco di Tito costituisce unaprova autentica e fedele dell’arrivodella menorà a Roma nel 71 e.v.,non meno del frammento dellaForma Urbis Romae, con la pian-

ta del Templum Pacis, dove lalampada fu collocata insieme adaltri arredi sacri almeno fino allafine del II secolo.D’altra parte, intorno al leggen-dario candela-bro e alla suamisteriosa sor-te sono fioriteanche sugge-stive e rocam-bolesche decli-nazioni, chenel corso deisecoli hannocercato di prolungarne l’esistenzamateriale: da quelle che lo voglio-no razziato dal re dei Visigoti Ala-rico, nel 410, o da quello dei Van-

dali Genserico, nel 455, e trasfe-rito forse a Costantinopoli, forsea Cartagine, oppure ricondotto dinascosto a Gerusalemme; fino allaversione di epoca medievale se-

condo cui lamenorà sareb-be conservataa Roma, nellabasilica di SanGiovanni inLaterano enella vicinacappella diSan Lorenzo,

come lascerebbe presupporrel’iscrizione a lettere dorate notacome Tabula Magna Lateranensis(1288-1292), murata accanto alla

Un percorso unico, tra storia e mito

Presunto elementou

della fontana di Paolo

V nel ghetto di Roma

In basso, epitaffio di

Primitiva e di suo ni-

pote Euphrainon, III-IV

secolo, marmo bianco

porta della sagrestia lateranensee di cui in mostra è presente unariproduzione. Racconti di fantasia,privi di fondamento, vittime delfascino esercitato dalle reliquieprovenienti dal Medio Orientedurante le crociate. Ma questenarrazioni sono bastate a perpe-tuare fino a tutto il XX secolo lacredenza che la menorà potesseessere addirittura segretamentecustodita in Vaticano.L’esposizione, che resterà apertafino al 23 luglio 2017 in contem-poranea nel Braccio di Carlo Ma-gno, in Piazza San Pietro, e al Mu-seo Ebraico capitolino, nel cuoredell’antico ghetto, si snoda in unpercorso tanto ricco e avvincentequanto filologico e storicamenteineccepibile. A costellarlo, impor-tanti opere d’arte e alcuni capo-lavori, che coprono un ampiospettro espressivo – dall’archeo-logia all’arte contemporanea, dallascultura alla pittura, dagli arrediarchitettonici alle arti decorative,dai manoscritti alle illustrazionilibrarie medievali e rinascimentali,dagli argenti rarissimi ai tessuti ri-camati, fino all’oro e alle pietrepreziose – e che sono, in certi casi,frutto di prestiti dalle più presti-giose istituzioni museali nazionalie internazionali. Accanto ai MuseiVaticani e al Museo Ebraico diRoma spiccano il Louvre di Pa-rigi, la National Gallery di Lon-dra, l’Israel Museum e la NationalLibrary of Israel di Gerusalemme,il Kunsthistorisches Museum el’Albertina di Vienna, il Kupfersti-chkabinett di Berlino, il JewishMuseum di New York, il FranzHals Museum di Haarlem, il Mu-seo Sefardí di Toledo, la Veneran-da Biblioteca Ambrosiana di Mi-lano, i musei ebraici di Padova,Firenze, Napoli e Casale Monfer-rato, il Museo Archeologico diNapoli, la Biblioteca Palatina diParma e l’Opificio delle Pietre Du-re di Firenze.

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/ P32 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

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A cinquant’anni dalla sua scom-parsa, il Museo Ebraico di Bolo-gna, la Sofos, INAF - OsservatorioAstronomico di Bologna e il Di-partimento di Fisica e Astronomiaonorano l’illustre astronomo trie-stino Guido Horn d’Arturo (Trie-ste 1879-Bologna 1967), che fu di-rettore dell’Osservatorio universi-tario di Bologna per un trentennio,interrotto solo dall’allontanamentoa causa dell’infamia delle leggi raz-ziste del 1938.Una grande mostra ne mette inluce la figura di scienziato geniale,astronomo visionario, pioniere del-la divulgazione scientifica, perso-naggio eclettico, patriota. L’esposizione “Le luci di Horn.Storie di un astronomo a Bolo-gna”, curata da Stefano Nicola Si-nicropi, Università di Bologna, Ca-terina Quareni, Museo Ebraico diBologna, Sandra Caddeo, Ethnos,è stata inaugurata al MEB comeevento speciale della Notte Euro-pea dei Musei 2017 con l’interven-to di Stefano Nicola Sinicropi, cu-ratore – Università di Bologna, Fa-brizio Bònoli, comitato scientifico- Università di Bologna, Flavio Fu-si Pecci, comitato scientifico - So-cietà Astronomica Italiana.Horn nasce a Trieste nel 1879, dauna famiglia ebraica: il nonno, Raf-faele Sabato Melli, era il rabbinodella città. La formazione culturalemitteleuropea, gli umori della Trie-ste di Svevo, austroungarica ep-pure profondamente italiana, con-tribuiscono a definire la personalitàdi Guido, un umanista del suotempo, sempre pronto a sperimen-tare e aprirsi al nuovo. Il padre dello scienziato, Arturo,è maestro nella scuola talmudicae consigliere della Fraternita dimutuo soccorso Maschil El Dal.Il nonno materno, Raffaele Sabato

Melli, è rabbino capo della comu-nità ebraica di Trieste.Cresce quindi in un ambiente incui il sentimento religioso è moltoforte e risulta iscritto alla comunitàisraelitica di Bologna; ma nel suocarteggio i riferimenti diretti al-l’ebraismo sono sporadici e nonsuperano quelli al mondo cristia-no, creando una curiosa compre-senza di elementi disparati. Unalettera alla madre è datata «il gior-no di Chipur dell’anno 5672 dallacreazione del mondo», ma quandoGuido scrive all’amico sacerdoteRainaldi, sotto la data riporta sem-pre il santo o la festività cattolicadel giorno, quasi a canzonarlo bo-nariamente o a fare mostra di eru-dizione anche in questo campo. Preparandosi al viaggio in Oltre-giuba, scrive all’amico Bedarida: «a proposito del popolo eletto (…) passerò anch’io a piede asciuttoil Mar Rosso (ma in vapore), e ve-drò il Monte Sinai e i luoghi che

furono la culla dei miei antenati», con una sorta di intima commo-zione pudicamente velata dallaconsueta graffiante ironia. Sempre a Rainaldi, l’antivigilia diNatale del 1928, in un momentodi solitudine alla Specola, con ilpensiero rivolto alla madre, scrive: «Questa è la vera notte di Natalecome la si vede raffigurata nei pre-sepi; il cielo sereno la Luna splen-dida il silenzio solenne intorno allaculla del Redentore».Qua e là minimi riferimenti al-l’ebraismo: le orecchie di Amancon la panna montata della zia Li-sa, l’avvedersi dal calendario di es-sere nella settimana di Sciavuod,il compiacimento per un nuovomatrimonio con rito ebraico, lapreghiera di deporre un sassolinosulla tomba della madre. Ma alcontempo Horn mostra di cono-scere bene la narrazione evange-lica e non disdegna, anche se conevidente ironia, citazioni chiara-

mente cristiane: «Verbum caro factum, habitans innobis, miserere nostrum!» [Verbo fatto carne, che abiti in noi,abbi pietà di noi!].Evita le questioni teologiche e ri-vendicando l’indipendenza intel-lettuale dello scienziato, afferma: «L’idea di Dio che è un bisognodello spirito, non può essere offesadall’opera dello scienziato; con-viene chiudere gli occhi della men-te quando s’indaga con l’occhio fi-siologico, e chiuder questo quandosi vogliano tener aperti quelli».Indizi divergenti che trovano laloro coerenza nelle considerazionidello stesso Horn a pochi mesidall’approvazione delle leggi raz-ziali. Allontanato dal lavoro e dalleabituali frequentazioni, si avvicinaa una famiglia di Lugo, i Forlì, acui è legato da lontana parentela,e con loro riscopre le antiche tra-dizioni ebraiche, come riaprendoun capitolo ormai chiuso della sua

vita. E conclude: «(…) È interessante il fatto chementre il Governo crede che gliEbrei sieno legati da vincoli mi-steriosi e si coalizzino ai danni del-lo Stato essi non si conoscononemmeno fra loro se non per casoe non cerchino altro, almeno inItalia, che di confondersi con lapopolazione, da cui già non sonodistinguibili né per aspetto, né perlingua, né per costumi e non ven-gono certamente ultimi per amoreal paese che li vide nascere, comeinnumerevoli esempi hanno dimo-strato in pace ed in guerra».Al di fuori dell’astronomia la vitadi Guido Horn è tutt’altro che pri-va di interessi. Probabilmente perla sua natura di osservatore meti-coloso e per via degli studi di sto-ria dell’astronomia condotti sui te-sti antichi alla ricerca di fenomenida indagare in un’ottica e con stru-mentazioni più moderne, è affa-scinato dalla storia, dalla lettera-

SCIENZA

Luci e specchi di Guido Horn

In uno dei racconti de L’ebreo

errante, Elie Wiesel rievoca il

suo ritorno nella nativa Sighet,

la piccola città della Transilva-

nia da cui fu deportato nel

1944, con destinazione Au-

schwitz III-Monowitz. Liberato

nel 1945 a Buchenwald, dov’era

stato trasferito, scelse l’esilio

in Francia e solo vent’anni più

tardi rimise piede a Sighet, che

gli sembrò irriconoscibile:

“L’unico luogo dove mi sentii a

casa fu il cimitero. È l’unico

luogo di Sighet che mi ricorda

Sighet, l’unico luogo che resta

di Sighet”. Comincia da qui –

dalla citazione di Wiesel e non

casualmente da un cimitero –

il volume Asmara. Ebrei in Eri-

trea, curato da Samuel Mena-

hem Cohen, Mansoor Jacob Co-

hen e Donatella Simeone, con

la collaborazione di Franco Del-

l’Oro, Moshe Jacob Cohen e ‘Adi

Cohen. E nell’epigrafe, affidata

ad alcuni versi tratti dal Sefer

ta’me ha-mitzwot (“I morti di

ogni famiglia di tutto Israele /

sono legati come le radici di un

albero, / i cui rami sono i vivi.

/ Da sempre i vivi sussistono

per merito dei morti”), c’è l’in-

tento degli autori: far conosce-

re e preservare la storia della

comunità ebraica di Asmara

dalle origini, sul finire del XIX

secolo, all’inesorabile declino,

nel 1975, salvandola dalla di-

struzione e sottraendo i suoi

morti all’oblio.

Quest’opera di recupero e rico-

struzione certosina, iniziata nel

2009 e data alle stampe lo scor-

so dicembre, offre un’accurata

documentazione di ciò che ri-

mane della sinagoga e del ci-

mitero ebraico della capitale

eritrea, mappati nel corso di ri-

petuti sopralluoghi. Censisce e

restituisce i volti di chi vi fu se-

polto, attraverso la rilevazione

puntuale di tutte le tombe con

lapide e dei tumuli senza nome,

poi confrontati con i dati del

registro dei defunti del Muni-

cipio di Asmara. Fotografa, an-

che a partire dai diversi stili se-

polcrali impiegati, la composi-

zione e la stratificazione socia-

le di quella comunità (quanti

sarti, quanti maestri, quanti in-

dustriali, geometri, ragionieri,

commercialisti, avvocati, den-

tisti). Come in un’”Antologia di

Spoon River”, prende spunto

dalla semplicità scarna delle la-

pidi, impastate di quotidianità,

affetti e relazioni, di una con-

sapevolezza austera e compo-

sta del dolore, per raccontare

chi non c’è più, ma si era spo-

sato, aveva dei figli, un lavoro,

un ruolo nella società.

Molti dei dati e delle immagini

raccolti nel libro provengono

da Samuel Menahem Cohen,

che ad Asmara è nato nel 1947.

Dopo la laurea a Bologna in

Economia e Commercio, la sua

vita si è divisa tra Italia, Israele

Sami Cohen: l’ultimo custode della memoria di Asmara

Horn d’Arturo nel 1955u

osserva il compiuto specchio a

tasselli da 1,8 m complessivi.

(Coelum, 1955)

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/ P33pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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tura, dall’arte, dal teatro, dalla fi-lologia. Non solo uno scienziato,dunque, ma un intellettuale daimolteplici interessi, che merita diessere ricordato per la sua attivitàastronomica, ma anche per la suaopera di divulgazione e diffusionedei risultati scientifici ottenuti, tra-mite le Pubblicazioni dell’Osser-vatorio Astronomico Universitarioe la fondazione della rivista Coe-lum, fondata nel 1931 e pubblicatafino al 1986 dall’Università di Bo-logna. Nonché per il rilancio e l’ar-ricchimento della Biblioteca delDipartimento di Astronomia. Il tutto in mezzo alle due guerre

mondiali: la Prima vissutada protagonista, come volontarioirredentista, la Seconda da perse-guitato, a causa delle sue originiebraiche. La follia razzista lo al-lontana dal suo Osservatorio finoa quando, nel secondo dopoguer-ra, viene reintegrato nell’incaricoe nell’abitazione, all’interno del-l’Osservatorio stesso, potendo cosìcontinuare la sua attività scienti-fica.Sin dagli anni Trenta, Horn ideò,una metodologia del tutto nuovadi costruzione e aggiustamentodegli specchi dei telescopi, che harivoluzionato lo sviluppo della mo-

derna astronomia osservativa: ilsuo “specchio a tasselli”, realizzatonei primi anni Cinquanta, di 1,8

m di diametro complessivi, com-posto da 61 tasselli esagonali.

Questo strumento può ben es-sere considerato il progenitoredei moderni grandi telescopi,tra i quali lo European Extre-

mely Large Telescope dell’ESO,di 39 m con 798 tasselli, che saràoperativo in Cile dal 2024, e, nel-

lo spazio, il James WebbSpace Telescope della NA-SA, di 6,5 m con 18 tasselli,il cui lancio è previsto nel2018.

Horn muore a Bologna nel 1967.Sia il prototipo da 1 m che lospecchio da 1,8 m, nella sua col-

locazione originale, possono essereoggi ammirati nel Museo dellaSpecola. Il percorso della mostraè stato costruito anche alla luce dinuovi ed inediti documenti con-servati presso la Biblioteca Inter-dipartimentale di Matematica, Fi-sica, Astronomia e Informaticadell’Università di Bologna, chehanno messo in evidenza aspettiancora inesplorati della personalitàe della storia individuale di Horn,sullo sfondo dei grandi avveni-menti mondiali del ‘900.In mostra sono esposti documenti,foto, volumi e oggetti provenientida archivi privati e pubblici.

ed Eritrea, dove trascorre gran

parte dell’anno nella cura di

una sinagoga ormai senza mi-

nian né voci di preghiera, e nel-

la conservazione della memoria

della comunità ebraica di

Asmara, di cui è l’ultimo super-

stite. Cohen è l’erede di una

storia che parte da molto lon-

tano, con la cacciata degli

ebrei dai possedimenti spagno-

li, nel 1492. Un piccolo gruppo

di loro, anziché fuggire in Ma-

rocco, si diresse verso Livorno

e Ancona, dove erano già pre-

senti delle comunità ebraiche.

Da questi porti strinsero rela-

zioni commerciali con la spon-

da meridionale del Mediterra-

neo e poi sempre più a sud, fi-

no ad Aden, nello Yemen dove,

tra il XVII e il XVIII secolo, crea-

rono un presidio.

Un secolo dopo, a seguito delle

persecuzioni subite dai digni-

tari musulmani e attratti dalle

opportunità economiche sca-

turite dall’apertura del

Canale di Suez (1869), de-

cisero di spostarsi a Mas-

saua, località strategica

della neonata colonia ita-

liana, che nel 1921 un

terremoto rase al suolo.

Questo nucleo di ebrei si

rifugiò allora ad Asmara,

sull’altopiano, costruendovi nel

1906 la sinagoga, con l’annesso

miqwè, la scuola ebraica e una

macelleria kasher.

Nel 1936, quando Mussolini lan-

ciò l’attacco all’Etiopia, giun-

sero dall’Italia altri fedeli, spe-

cialmente commercianti, im-

prenditori e militari. Ma due

anni dopo, con le leggi razziali

fasciste, Asmara non fu rispar-

miata dalle discriminazioni.

Nel 1941, l’Eritrea

passò sotto il con-

trollo britannico e la

comunità si ingrandì ancora,

grazie ai tanti soldati inglesi di

religione ebraica. Ma questa

tendenza stava per invertirsi e

in modo inarrestabile: con la

fondazione dello Stato d’Israe-

le, nel 1948, molti fecero la

aliyah e altri, negli anni Cin-

quanta, puntarono verso Addis

Abeba, che offriva migliori pro-

spettive.

Poi, nel 1974, l’esercito depose

con un colpo di stato l’impera-

tore Hailè Selassiè

e istituì un nuovo

organo governati-

vo, il Derg, di cui

nel 1977 divenne

leader plenipoten-

ziario Hailè Mariàm

Menghistu. Fin dal 1975, a cau-

sa dei soprusi inflitti dalla nuo-

va giunta militare, che culmi-

narono nella nazionalizzazione

delle fabbriche, delle attività

commerciali private e delle

proprietà della comunità

ebraica, gli ultimi membri la-

sciarono Asmara ed emigraro-

no in Israele, Inghilterra, Italia,

Stati Uniti e Canada, finché

non ne rimase più nessuno. O

meglio: uno sì. Cohen frequen-

ta ancora la sinagoga, perlopiù

da solo, talvolta accompagna-

to da un paio di funzionari

dell’ambasciata israeliana. Con

la consolazione, però, di aver

condotto un prezioso lavoro di

custode della memoria. E di

poter così incontrare, nelle sue

preghiere, non solo Dio, ma an-

che tutti gli ebrei di Asmara

che rischiavano di essere can-

cellati per sempre dalla storia.

d.m.

Samuel Menahem Cohen,Mansoor Jacob CohenDonatella SimeoneASMARA. EBREI IN ERITREA

“Saranno dunque a tasselli i telescopi dell’avvenire?”

si chiede nel 1952, sulle pagine di Sapere, Leonida Ro-

sino, allievo di Horn. Ebbene, la risposta è stata del tutto

positiva. L’idea di Horn, nonostante poco riconosciuta,

è infatti alla base dei moderni grandi telescopi. Il primo

degli eredi di questa idea è il Multiple Mirror Telescope

che vede la luce nel 1979 in Arizona. Con una superficie

riflettente complessiva da 4,45 m, è composto da 6 specchi circolari, ognuno dei quali grande

come tutto lo specchio a tasselli di Horn, 1,82 m. Nel 1996 entra in funzione in Texas l’Hob-

by-Eberly Telescope del McDonald Observatory, con 91 tasselli, esagonali come quelli di Horn,

a formare un obiettivo da 10 m totali. Negli stessi anni sono stati costruiti addirittura due

telescopi gemelli, quelli del Keck Observatory alle Hawaii. Ognuno dei due telescopi è costi-

tuito da 36 tasselli esagonali per 10 m di diametro complessivo. La moderna tecnologia ha

realizzato per questi enormi strumenti dei sistemi di aggiustamento dei singoli specchi

ottica attiva e, per alcuni, anche di adattamento alle distorsioni provocate nelle immagini

dalla turbolenza dell’aria ottica adattiva che operano in secondi o frazioni di secondo:

nulla in confronto ai 50-60 minuti di faticosi accomodamenti eseguiti da Horn e collaboratori!

Più recenti sono il Southern African Large Telescope in Sudafrica, del 2005, con 91 esagoni

per 9,2 m totali, e il Gran Telescopio Canarias a La Palma, del 2007, con 36 segmenti per 10,4

m. E infine, nel 2008, il Large Sky Area Multi-Object Fibre Spectroscopic Telescope dell’Acca-

demia cinese delle scienze, composto da uno specchio primario da 24 esagoni per un totale di

5x4m e un secondario da 37 segmenti per 6m, a formare un’ottica molto complessa per osser-

vazioni spettroscopiche. Molti altri telescopi a tasselli multi-mirror sono in fase di avanzata

realizzazione. Tra questi, si ricorda lo European Extremely Large Telescope (E-ELT), previsto per

il 2014 in Cile, che avrà un’apertura di 39,3m e sarà formato da 798 esagoni: sarà il più grande

creato con la tecnica sviluppata da Horn. Ma il telescopio a tasselli andrà anche in orbita. Infatti,

è in costruzione per il 2018 il James Webb Space Telescope, con 18 specchi esagonali per 6,5m

complessivi. «L’impossibilità di ottenere immagini meglio definite, finché si rimane dentro l’at-

mosfera della terra, spinge l’astronomo a portare i mezzi ottici fuori dell’atmosfera. Essendo

uno degli ostacoli il gran peso dello specchio, si finisce per ricorrere allo specchio a tasselli re-

lativamente poco pesante». Così scrive profeticamente e genialmente Horn nel suo ultimo

articolo, redatto pochi mesi prima della scomparsa.

Fino al 30 luglio LE LUCI DI HORN. STORIEDI UN ASTRONOMO A BOLOGNAMuseo Ebraico di Bologna

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/ P34 SPORT n. 6 | giugno 2017 pagine ebraiche

“Diamo un calcio all’intolleranza” A confronto con il presidente della Figc Carlo Tavecchio: il caso Muntari, le tensioni del passato

Adam Smulevich

“È un grande piacere potermiconfrontare con Pagine Ebrai-che, chiarire alcuni punti in so-speso. Tengo molto a questo in-contro”. Il presidente della FedercalcioCarlo Tavecchio ci accoglie così,nel suo ufficio di via Allegri aRoma. Una lunga conversazioneper parlare di razzismo nel mon-do del pallone, di misure percontrastare questo odioso feno-meno, di nuovi possibili sinergiea livello europeo. Ma l’intervistaè anche l’occasione per affron-tare tensioni recenti, che moltohanno fatto parlare l’opinionepubblica. Il presidente Tavecchioillustra a Pagine Ebraiche la suaversione dei fatti.

Presidente Tavecchio, anche que-

sto campionato appena conclusosi

non è stato immune da episodi di

intolleranza e razzismo. Quello più

recente, il caso Muntari, è anche

quello di cui più si è parlato. Come

si sconfigge questa piaga? Quali

gli strumenti più adeguati per re-

primere l’odio?

È una questione soprattutto cul-turale, di iniziative che vanno in-traprese assieme e per i giovani.Partendo naturalmente dallescuole, allestendo progetti e per-corsi educativi che promuovanoun tifo bello, gioioso e respon-sabile. È un terreno sul qualemolto si sta muovendo, su im-pulso della Federcalcio. In tempinon sospetti, quando assai menosi parlava di questi temi, fu il sot-toscritto a spingere per la nascitadi una commissione nazionaleper l’integrazione che si pren-desse carico di questa e altre sfi-de. Un lavoro che prosegue e dàfrutti, con a capo una figura em-blematica come Fiona May.

Ritiene che le diverse manifesta-

zioni cui abbiamo assistito que-

st’anno siano lo specchio di un fe-

nomeno sempre più dilagante?

Sono segnali preoccupanti, sa-rebbe un grave errore non pren-derne coscienza. Però bisognaagire tenendoci al riparo da ognistrumentalizzazione e spettaco-larizzazione. È impossibile stilareuna statistica definitiva al riguar-do, anche se ovviamente il feno-meno è oggetto di costanti ana-lisi. Però la mia impressione èche si tratti di una realtà comun-que marginale, di sparute mino-ranze di tifosi o pseudo-tali che

rischiano, se il fenomeno nonviene affrontato in modo serio,di gettare discredito sull’interomovimento. E questo ovviamen-te non posso permetterlo. Lottadura ai professionisti dell’odio,senz’altro, ma anche un no fer-mo alle speculazioni.

Sul caso Muntari, nello specifico,

quale è la sua posizione?

Penso che le mie parole sianostate piuttosto chiare. Si tratta diun fatto gravissimo ed esecrabile,rivolto contro un calciatore “col-pevole” di avere la pelle nera.Ho condannato subito questa

iniziativa, davvero squallida. Maal tempo stesso desidero porrein evidenza un altro fatto. E cioèche Muntari, dal suo canto, hacomunque sbagliato ad abban-donare il campo. Una decisionedettata chiaramente dalla forteemotività della situazione, manon basta a giustificarlo. Un pro-fessionista ha degli obblighi edelle responsabilità.

Tanto che, almeno in un primo

momento, è stato squalificato...

Decisione legittima del giudice.Come legittima e aggiungereianche fortemente auspicata, al-

cune ore dopo, è stata la cancel-lazione di questo provvedimen-to. È stato preso in esame conattenzione il caso, se ne è valu-tata la straordinarietà, si è decisodi procedere in una direzioneopposta rispetto a quella inizial-mente indicata. Ma tutto, ci ten-go a precisarlo, si è svolto nelleregole. Seguendo la giustizia or-dinaria, le leggi di cui già dispo-niamo e cui quotidianamente siriferiscono gli addetti ai lavorinell’esercizio delle loro funzioni.Avendo il giudice ritenuto pre-valente l’offesa, il successivo er-rore del calciatore è stato deru-

bricato.

Era una minoranza, ma sicura-

mente non silenziosa, quella che

l’ha insultato...

Certamente, anche per questo lacondanna è stata così netta. Peròci tengo ad aggiungere un’ulte-riore riflessione. Davanti a epi-sodi di questo tipo bisogna va-lutare caso per caso, capire ilcontesto e applicare anche unpo’ di buon senso. Parliamo in-fatti molto spesso di percezioni,di realtà deviate quasi impossibilida quantificare con esattezza.Quanti erano ad esempio i faci-norosi che si sono accaniti con-tro Muntari? Più o meno dell’unper cento della tifoseria? E qualenumero usare come discrimineper un eventuale intervento conil club, l’un per cento appunto oqualche altra misura? Sono in-terrogativi che non possiamonon porci, anche tenendo contodel pericolo esistente nella esattadeterminazione quantitativa perl’applicazione di sanzioni: il ri-schio, evidente, è che tifosi beceripossano facilmente ricattare dellesocietà. Eppure, sempre più spes-so, questi temi sono trattati inmodo inopportuno. Senza pro-fondità.

In che senso?

Mi pare evidente che in questasocietà della comunicazione fre-netica ed esasperata si perdanodi vista alcuni punti fermi e tutto

Yoav, il giovane bomber che sogna Firenze Il cuore batte per la Fiorenti-

na, non poteva andare diver-

samente. D’altronde mamma

Daniela è appassionata presi-

dente e instancabile animatri-

ce delle attività del locale Vio-

la Club, dedicato alla bandiera

di sempre: Giancarlo Antogno-

ni. Sogna di ripetere le gesta

dell’Unico 10 (come è chiama-

to a Firenze, dove Daniela è

nata) il figlio Yoav, uno dei ta-

lenti più in vista del calcio

israeliano. Quindici anni com-

piuti a gennaio, Yoav (che di

cognome fa Librus) è il cen-

travanti e capitano della squa-

dra primavera dell’Hapoel Tel

Aviv. Nelle fila di uno dei club

più gloriosi del suo paese, og-

gi in notevole difficoltà (è ap-

pena retrocesso in Serie B) ma

pur sempre tra i più presenti

a livello europeo, il giovane

attaccante ha concluso una

stagione ricca di soddisfazioni

dal punto di vista personale e

non solo: ventuno reti in tut-

to, quindici in campionato e

sei in coppa. Ma soprattuto un

titolo nazionale di cui fregiar-

si al pari dei suoi compagni di

squadra, che ha trascinato al

successo a forza di goal e gio-

cate importanti.

Fisico robusto, ma anche

grande agilità, Yoav (che è un

classe 2002) è apprezzato dai

suoi allenatori non solo per la

qualità dei suoi movimenti e

l’incisività dei suoi affondi in

area di rigore ma anche per il

notevole carisma di cui dispo-

ne. La fascia di capitano del

club, in ragione di questi mo-

tivi, non poteva che finire sul

suo braccio. L’esordio nel mon-

do del calcio arriva nel 2010,

sempre nell’Hapoel. Da allora

di strada Yoav ne ha fatta mol-

ta, a suon di realizzazioni.

L’obiettivo è di giocarsi in fu-

turo qualche opportunità con

la nazionale maggiore (sono

già due le convocazioni nelle

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CALCIO - UN TALENTO TRA ITALIA E ISRAELE

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del calcio, le ho viste proprio inquesto ambiente. Una palla, dueporte, ventidue calciatori: nullapuò come lo sport, e direi questosport in particolare, nella risolu-zione di controversie e tensioni.

A proposito di tensioni, non sipuò negare che in passato ce nesiano state (e molto forti) con ilmondo ebraico. Il suo “ebreac-cio”, riferito a un noto immobi-liarista romano, ha fatto il girodel mondo e provocato diversereazioni sdegnate...Quell’epiteto, infelice senz’altroma detto in tono goliardico, co-me tante altre sciocchezze sipossono dire nel corso di unaconversazione confidenziale, re-gistrata a mia insaputa, ha fattodi me un antisemita. Chi mi co-nosce sa bene quale sia il miopensiero, quanto io sia distanteda queste accuse, la stima el’amicizia che vi è tra me e que-sta persona. Ho la sensazione diessere caduto vittima di un’im-boscata.

Non è stato però l’unico scivolone

di questo tipo, durante il suo man-

dato...

Ripeto: le battute e la goliardiasono una cosa. I fatti, quelli cheveramente contano per valutareuna persona, sono un’altra. Citengo a essere giudicato solo suquesti ultimi, il resto lo lascio aimiei detrattori. In particolare ri-vendico una forte amicizia conalcuni esponenti ebraici, il pienosostegno alle attività della fede-razione Maccabi e una storicavicinanza a Israele, che ho sem-pre difeso in tutte le sedi inter-nazionali. Anche nella circostan-za più recente, il congresso Fifasvoltosi in Bahrein a maggio. C’èstato chi ha cercato di far pas-sare una risoluzione ignobile,che puntava ad emarginare laFederazione israeliana, a farneun corpo estraneo rispetto al si-stema. Ci siamo opposti con fer-mezza, trovando una sponda innumerose federazioni europee.Questo impegno credo vada ri-conosciuto.

/ P35pagine ebraiche n. 6 | giugno 2017 SPORT

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diventi inevitabilmente show, ca-baret, indignazione a comando.Per quanto riguarda il sistemacalcio, a perderci siamo davverotutti: dirigenti, società, la stra-grande maggioranza di tifoseriasana che va allo stadio per di-vertirsi e seguire i propri benia-mini. Non certo per insultare unatleta avversario, ricoprirlo di fi-schi e di altri ignobili improperi.La mia speranza è che, anche inragione del crescente multicul-turalismo, un fenomeno che ri-guarda la società nel suo insieme,certe manifestazioni non abbianopiù a ripetersi. O quantomenocon una frequenza sempre pù in-signfiicante.

È una speranza che si basa su ele-

menti concreti?

Sì, le risposte che ci arrivano dalmondo della scuola sono ottime.Li vedo, i nostri ragazzi. Sentoquello che dicono, il processoche porta alla formulazione diuna domanda, all’analisi di unasituazione. C’è una consapevo-lezza sempre più diffusa di que-sta minaccia. Il razzismo è una

brutta bestia: sia esso rivoltocontro chi ha un colore dellapelle non gradito, oppure controchi appartiene a un diverso grup-po etnico o professa una fededifferente da quella propria. Ten-go molto a questa lotta, tanto daaver stanziato diversi milioni dieuro per favorire questi incontrinelle aule e nella rete di istitu-zioni territoriali che con noi col-laborano. Parliamo di migliaia dimicro-realtà. Al centro la figuradegli educatori, gli ambasciatoridella Federcalcio e dei valori chevogliamo difendere con ognimezzo.

È una sfida solo italiana o investe

anche altre federazioni nazionali?

È evidentemente un problemaglobale, tanto che gran parte de-gli slogan Fifa e Uefa mettonoin risalto proprio la piaga del raz-zismo. Anche per questo si in-veste molto in Africa, rafforzan-do collaborazioni in loco. Ci so-no stato varie volte, in Africa.Sono luoghi e battaglie che honel cuore. Le cose più belle, neimiei anni di impegno nel mondo

Si lega anche all’attualità (a partire dal caso Muntari) l’inau-

gurazione a Roma, presso la sede della Fondazione Museo

della Shoah alla Casina dei Vallati, della mostra “Sport, spor-

tivi e giochi olimpici in guerra. 1936–1948”. Una collabora-

zione prestigiosa con il Memoriale della Shoah di Parigi, che

ha ideato l’allestimento. E un messaggio importante da tra-

smettere, con solide basi storiche.

Ad essere approfondito, in diverse sezioni, è infatti il rap-

porto tra sport e dittatura negli Anni Trenta e Quaranta del

secolo scorso. Non solo nella Germania nazista, ma anche nel-

l’Italia fascista e nella Francia di Vichy, insieme al resto del-

l’Europa occupata. In mostra trofei, medaglie, figurine, sta-

tuette, giornali e riviste dell’epoca.

Quanto questa storia sia la storia di tutti. Quanto queste vi-

cende debbano parlare al nostro presente, è stato il padrone

di casa a ricordarlo accogliendo il folto pubblico accorso nel

quartiere ebraico per l’inaugurazione della mostra. “Discri-

minazione e intolleranza sono ancora tra noi, anche nello

sport” ha sottolineato Mario Venezia, presidente della Fon-

dazione Museo della Shoah, prima di fare strada nella strut-

tura. Il riferimento, esplicito, proprio alla vicenda che ha

visto suo malgrado prota-

gonista il calciatore gha-

nese del Pescara.

Tra gli oggetti e i docu-

menti esposti alla Casina

dei Vallati, anche l’album

dei Giochi Olimpici di Ber-

lino del 1936 (le Olimpiadi

passate alla storia per la

vittoria del nero Jesse

Owens e il successivo im-

barazzo di Hitler).

Al centro della narrazio-

ne espositiva (curata da

Laura Fontana, respon-

sabile per l’Italia del Me-

moriale parigino) anche

alcune vicende di atleti ebrei prima emarginati e in seguito

perseguitati dai regimi. Tra gli altri Alfred Nakache, campione

europeo di nuoto; i pugili di fama Victor “Young” Perez e Leo-

ne Efrati, quest’ultimo romano; i cugini Alfred e Gustav Felix

Flatow, trionfatori nella ginnastica ai primi Giochi ateniesi

del 1896; Attila Petschauer, valente schermidore che tornò

a casa con medaglie dai Giochi del 1928 e del 1932. Successi

e popolarità, nel momento della bufera, non servirono a nien-

te. Per alcuni di loro, arrivò poi la morte nei campi di ster-

minio.

Ad essere raccontato anche lo sport resistente, quello se-

gnato dalle vicende eroiche di chi seppe opporsi alla ditta-

tura. Più o meno in modo plateale.

Sport e dittatura

Nell’immagine grande a sini-u

stra Carlo Tavecchio davanti

alla riproduzione della Coppa

del Mondo vinta dall’Italia nel

2006, nel suo ufficio in via Alle-

gri a Roma. A destra mentre

sfoglia un numero del giornale

dell’ebraismo italiano Pagine

Ebraiche.

Nato a Ponte Lambro (Como)

nel 1943, Tavecchio è presi-

dente della Federcalcio dal

2014. È stato confermato per

un secondo mandato nel

marzo di quest’anno.

rappresentanze giovanili). Ma

certamente, se il sogno potesse

tingersi anche di altri colori im-

portanti, di un azzurro ancora

più prestigioso di quello della

casacca israeliana, la cosa non

sarebbe disdegnata. Perché Fi-

renze e l’Italia, per Yoav (che ha

doppia cittadinanza), restano

sempre un pezzo di cuore.

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