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1 Indice - Per introdurre: la riscoperta della fraternità nella politica pag. 2 - 1 Il presupposto teologico della fraternità nella politica pag. 3 - 2 Rivoluzione francese: fraternità ingannata ed eclissata pag. 4 - 3 Il linguaggio come via per la fraternità pag. 7 - 4 La fraternità per una democrazia di qualità pag. 8 - 5 La fraternità via per le politiche internazionali pag. 10 - 6 Per concludere: la rilevanza politica della fraternità pag. 12 - 7 Chiesa e politica ai nostri giorni. Il caso concreto di Palermo pag. 14

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Indice

- Per introdurre: la riscoperta della fraternità nella politica pag. 2

- 1 Il presupposto teologico della fraternità nella politica pag. 3

- 2 Rivoluzione francese: fraternità ingannata ed eclissata pag. 4

- 3 Il linguaggio come via per la fraternità pag. 7

- 4 La fraternità per una democrazia di qualità pag. 8

- 5 La fraternità via per le politiche internazionali pag. 10

- 6 Per concludere: la rilevanza politica della fraternità pag. 12

- 7 Chiesa e politica ai nostri giorni. Il caso concreto di Palermo pag. 14

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- Per introdurre: la riscoperta della fraternità nella politica

La rivoluzione francese del 1789 con i tre principi della libertà, uguaglianza e fraternità

è un presupposto importante per pensare politicamente alla dimensione della fraternità. Nella

cultura occidentale, per via della presenza del cristianesimo, la fraternità ha assunto i connotati

della carità nei confronti degli ultimi, dei più deboli, della vita monastica o conventuale. La

novità della rivoluzione francese sta nel fatto che la fraternità acquista una dimensione politica.

Tale novità, però, rispetto alla libertà e all’uguaglianza perseguite nei sistemi democratici del

XX secolo, è stata posta nel dimenticatoio. Solo in occasione del bicentenario della rivoluzione,

si è tornati a discutere, almeno in ambiente accademico, della fraternità politica come

caratteristica delle comunità di uomini.1

Si sono così avanzate alcune ipotesi circa la fraternità come caratteristica politica, ed è

emerso che, almeno nei regimi democratici, essa trova realizzazione nella solidarietà (welfare,

terzo settore) e nella partecipazione alla vita politica (partiti, movimenti, associazioni ecc.). La

difficoltà della piena realizzazione della fraternità nella politica, sta nel fatto della vaghezza in

sé del termine e anche della caratterizzazione marcatamente cristiana che la pone in una

situazione di mancanza di riconoscimento da parte di tutti. L’avvento dei sistemi democratici

ha stimolato la riflessione sulla fraternità universale, ma questi stessi hanno riscontrato sia per

la libertà che per l’eguaglianza, un’impossibilità di affermazione universale di tali concetti e una

parziale sterilità di queste dimensioni anche in casa propria (basti pensare alle altissime

percentuali di non votanti nelle democrazie occidentali). Per alcuni, come Panella, bisogna

collocare la fraternità in un registro diverso rispetto all’uguaglianza e alla libertà, perché essa

ha un profilo maggiormente relazionale e quindi da orientare verso l’antropologia più che la

politologia.2

Il dibattito odierno sulla fraternità è da collocare, quindi, all’interno delle possibilità e

dei limiti che le democrazie possono garantire in sinergia con libertà e uguaglianza. Parlare di

fraternità, inoltre, è un processo che mette sotto esame tutte quante le ideologie politiche sia

di destra che di sinistra, perché essa è il cemento comune per tutta la società e non può essere

strumentalizzata da una singola parte. Per John Rawls, la fraternità è sempre posta su di un

piano inferiore rispetto alla libertà e all’uguaglianza. Essa certamente include realtà molto

importanti come la solidarietà, ma non ha requisiti “statutari” ben definiti come le altre due.

Per Rawls, dunque, la fraternità va posta nelle democrazie in un contesto di contrattualismo,

dove il singolo cittadino o la particolare comunità, non possono ricevere maggiori benefici

rispetto agli altri. Tali riflessioni ci inducono con maggior decisione a farci una domanda: nei

sistemi repubblicani e democratici odierni, la libertà e la giustizia non hanno trovato pieno

compimento perché manca la dimensione della fraternità? Per rispondere occorre un impegno

1 Cfr. A. M. Baggio, La riscoperta della fraternità nell’epoca del Terzo ’89, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea (A. M. Baggio ed.), Città Nuova, Roma 2007, pp. 5-7. 2 Cfr. Ibidem, pp. 8-13.

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corale da parte di tutti i soggetti co-protagonisti come politici, cittadini, studiosi ecc. La

fraternità, infatti, ha trovato anche nelle democrazie delle strumentalizzazioni che non hanno

nulla a che fare con essa. Basti pensare al concetto di fraternità presente nelle logge

massoniche oppure nella lotta di classe. Tali realtà de-umanizzano la fraternità e la

strumentalizzano fortemente. La fraternità nella storia, invece, si è sviluppata sempre come

principio universale valido per tutti, senza settarismi di alcun tipo. È da registrare anche che

essa ha trovato compimento nelle democrazie tramite il principio della solidarietà il quale,

però, esprime semplicemente un rapporto dall’alto (le Istituzioni) verso il basso (i bisognosi), e

non una fraternità-solidarietà orizzontale con una dimensione maggiore di sussidiarietà.

Probabilmente la fraternità potrà assumere nella politica una struttura valida e influente se

inciderà, insieme alla libertà e all’uguaglianza, nel criterio delle scelte politiche e se riuscirà a

determinare la prassi economica, la giustizia e i rapporti internazionali.3

- 1 Il presupposto teologico della fraternità nella politica

La fraternità è un principio essenzialmente cristiano. Il suo presupposto basilare è

l’evento Cristo il quale con la sua venuta, morte e risurrezione ha salvato l’intera umanità. Dal

“principio” Cristo la fraternità si sviluppa e si diffonde nella storia. Nel Nuovo Testamento

diversi sono i termini che esprimono una dimensione fraterna della comunità: adelphós

(fratello), philadelphìa (amore fraterno), adelphótes (fraternità). Tale fraternità espressa nei

testi non presenta una realtà da conquistare e da compiere, ma un dono ricevuto da vivere nei

rapporti concreti, privati e pubblici, e nella storia. La fraternità, dunque, come caratteristica

specifica della comunità cristiana.4

Nell’Antico Testamento, l’inizio della prima aggregazione umana è caratterizzato dai

rapporti familiari-sociali fra Adamo ed Eva e Caino ed Abele. La loro identità e finalità è quella

di essere fratelli. Dopo il peccato originale, con Abramo e Mosè, Dio ristabilisce una

praticabilità della dimensione fraterna alleandosi con gli uomini. Dio si rivela anche come Padre

di tutti e in quanto Padre universale genera una fraternità condivisa fra gli uomini. Paternità di

Dio, dunque, come radice della fraternità. La croce di Cristo, poi, è l’evento definitivo della

fondazione della rinnovata e definitiva fraternità. L’essere condannato nella prospettiva civile e

religiosa (da parte delle autorità romane e dei sommi sacerdoti d’Israele) conduce Cristo fuori

dalla comunità. In tale esclusione e abbandono, il Figlio di Dio opera la riconciliazione fra gli

uomini a partire della prima fraternità di Caino e Abele. Tutti gli uomini, così, sono ugualmente

concittadini della casa di Dio. Il dono del Signore, infatti, non è un privilegio per pochi ma un

seme di speranza per i molti. Cristo è tramite e modello delle nuove relazioni e in questo

contesto la fraternità rinnovata e la cittadinanza cristiana acquistano un’importante dimensione

3 Cfr. Ibidem, pp. 14-23. 4 Cfr. P. Coda, Per una fondazione teologica della categoria politica della fraternità, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., p. 101.

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pubblico-politica ben espressa dall’anonimo autore dell’A Diogneto «come l’anima è nel corpo,

così nel mondo sono i cristiani».5

Evidenti sono le ricadute socio-politiche della fraternità cristiana che possiamo

sintetizzare in alcuni punti: l’apostolo Paolo nella lettera ai Galati, afferma che non c’è più

distinzione fra gli uomini siano essi giudei o greci, schiavi o liberi, uomini o donne, ma si è tutti

uno in Cristo Gesù. Tale posizione non è da intendersi come un livellamento fra gli uomini, ma

come un superamento delle diversità intese al negativo, poiché c’è la base comune che è

Cristo; Gesù con la sua vita, con il suo sacrificio ha condiviso la condizione degli ultimi, degli

esclusi. La fraternità così nasce dal basso, dal fatto che il Figlio di Dio si fa realmente uno con

tutti, specialmente con i più deboli; Gesù con il suo insegnamento e la sua testimonianza

supera la categoria del nemico, ben radicata in Israele. Questo fonda i rapporti fra gli uomini in

una realtà che è l’amore incondizionato per tutti, persino per chi ci fa del male; nella storia

della chiesa la dimensione della fraternità ha trovato espressione, ad esempio, nell’esperienza

religiosa francescana che ha molto influito anche nella prospettiva culturale e civile, ma anche

nella dottrina sociale della chiesa e in diverse affermazioni del magistero, fra le quali anche

quelle del Concilio Vaticano II in specie della Gaudium et spes, dove si ricorda che Cristo ha

redento non solo le singole persone, ma anche le relazioni umane e l’intera storia. Per tale

motivo i cristiani, nel rispetto dei propri compiti e delle vocazioni dei singoli, devono

promuovere l’elaborazione e la concretizzazione di elementi di riscatto sociale e di

rappresentanza per le fasce più deboli ed emarginate dell’intera società.6

- 2 Rivoluzione francese: fraternità ingannata ed eclissata

All’inizio della rivoluzione francese del 1789, si tematizzerà quasi esclusivamente la

libertà a scapito della fraternità e dell’uguaglianza. Con il passare dei mesi, però, possiamo

notare come nel giuramento dei deputati del 1790 si fa menzione dell’appartenere tutti allo

stesso popolo e di costituire, così, una fraternità. L’idea prevalente è quella di unire i cittadini

francesi. Tale fraternità, ad esempio, si realizzava nelle feste delle città e dei villaggi dove,

sconfitto il sistema feudale, si potevano istaurare dei rapporti maggiormente orizzontali e

dunque fraterni. Il club dei Cordiglieri, inoltre, accettava al proprio interno uomini e donne,

votanti e non votanti, e tramite le “Società popolari” istruiva politicamente i propri membri. Qui

si realizzava una vera e propria fraternità dove tutti i cittadini di qualsiasi ceto sociale

potevano partecipare. In questi contesti si passa dal “voi” al “tu” e ci si chiama con i termini

fratello e sorella.7

La fraternità nelle fasi successive della rivoluzione viene tradita. Infatti, all’inizio si

cercava di unire il popolo, successivamente si attua il tentativo, riuscito, di dividere tramite i

5 Cfr. Ibidem, pp. 102-105. 6 Cfr. Ibidem, pp. 105-108. 7 Cfr. A. M. Baggio, L’idea di “fraternità” tra due Rivoluzioni: Parigi 1789 – Haiti 1791. Piste di ricerca per una comprensione della fraternità come categoria politica, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., pp. 25-33.

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vari gruppi politici esistenti. I rivoluzionari in realtà, volevano fondare un uomo nuovo dotato di

uno spirito nuovo. I preti che aderirono alla rivoluzione cercarono di fondare la fraternità per

tutti per via della presenza di un Padre comune. Ma quando i rivoltosi uccidono il Re - padre,

senza di esso sorge una fraternità conflittuale e lacerante. Basti ricordare l’odio nei confronti

degli aristocratici che venivano classificati come dei senza patria e quindi fuori dalla comunità

fraterna. In verità il trittico fraternità, uguaglianza e libertà, nella mente dei primi rivoluzionari,

era verso una fraternità universale sostanziale, la quale trovava nell’esperienza delle prime

comunità cristiane e della tradizione della chiesa, un vero e proprio esempio. Gli illuministi,

però, non accettarono questo dato slegando la fraternità dalla visone cristiana e fondandola

nella cultura pagana pre-cristiana. Questo condusse allo scontro e all’odio nei confronti della

chiesa e dei cristiani.8

Nel 1791 gli schiavi neri di Haiti, colonia francese, si ribellarono dando vita nel 1804 ad

una repubblica indipendente. Questo episodio è l’altra faccia della più famosa rivoluzione

francese. Ad Haiti gli schiavi decisero di andare contro i padroni, proprio come in Francia, ma i

francesi risposero con una repressione violenta contro chi chiedeva libertà, uguaglianza e

fraternità. I francesi non riconobbero che tutti i cittadini sono liberi e uguali come affermato

nella Dichiarazione di diritti dell’uomo del 1789. In Francia, infatti, nessuno metteva in

discussione la schiavitù presente nelle colonie e nessuno desiderava estendere i principi della

costituzione ad Haiti. I motivi di questa risposta alla rivolta haitiana sono due, quello

economico e quello culturale. Circa il motivo economico, i francesi sfruttavano le materie prime

e la forza lavoro delle colonie e naturalmente non volevano privarsi di tale privilegio. Il motivo

culturale, invece, consisteva nel riconoscere i neri inferiori culturalmente e come razza rispetto

ai bianchi. In questo possiamo registrare tutta l’incompiutezza e l’immaturità del fenomeno

rivoluzionario francese. Alcuni, come l’abate Henri Grégoire, ritenevano invece tutti gli uomini

uguali perché creati a immagine e somiglianza di Dio. Ma gli haitiani dovevano abbandonare la

propria culturale il proprio credo per abbracciare l’illuminismo e il cattolicesimo. Anche in

questo caso si può riconoscere il deficit nel non accettare l’altro con la ricchezza propria di cui

si fa portatore anche tramite la cultura e la religione propria. Così, la rivoluzione francese e

quella haitiana ci testimoniano come la categoria politica della fraternità è essenziale per

potersi dire totalmente liberi e anche uguali.9

A questo punto è opportuno chiedersi: perché dopo la rivoluzione francese il dibattito

sulla fraternità è venuto a mancare? Per rispondere a tale domanda possiamo interpellare tre

studiosi che si sono interrogati sul fenomeno francese, che sono: il liberaldemocratico Alexis de

Tocqueville; il conservatore Augustin Cochin; il comunista Antonio Gramsci. Per Tocqueville,

autore de La Democrazia in America, i francesi non sono riusciti a realizzare quello attuato

dagli americani. Infatti per il pensatore democratico, la rivoluzione in America è basata su

8 Cfr. Ibidem, pp. 34-42. 9 Cfr. Ibidem, pp. 42-56.

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principi religiosi, mentre in Francia questi sono stati messi da parte e a farne le spese è stata

la dimensione della fraternità. La religiosità americana, orientata cristianamente, è riuscita a

promuovere la libertà di coscienza e a sostenere l’intera vita democratica. Così lo spirito

religioso è riuscito a moderare l’aggressività e la rozzezza delle spinte antidemocratiche. In

Francia, invece, ha trionfato la religione astratta dei filosofi, i quali hanno sostituito la religione

con l’ideologia perdendo di vista la concretezza.10

Per Cochin, la rivoluzione francese è quell’evento storico che segna un profondo

spartiacque tra il passato e il futuro in Francia. Tale rivolta ha eliminato ogni tipo di distinzione

tra pubblico e privato. La borghesia, con i propri interessi, ha sostituito l’aristocrazia, dando

vita a un regime illiberale. Ciò è accaduto perché i giacobini si ritenevano portatori di una

verità assoluta e di un modello di società perfetta e si ritenevano superiori rispetto al resto

della società. Infatti, anche le iniziative formative - pedagogiche che organizzavano, erano

sempre rivolte agli altri ritenuti inferiori. Questo porta a disconoscere il valore e la dimensione

concreta della fraternità. I Giacobini, poi, erano esponenti di un’ideologia che parlava del

popolo e degli individui in astratto, per un ipotetico futuro da realizzare, ma mai del presente

concreto. Tale sistema, per il conservatore Cochin, fu alimentato da “intellettuali” che

parlavano e criticavano tutto senza mai occuparsi seriamente di qualcosa. In questa visione di

Stato, si è alla ricerca sempre del colpevole che non permette la realizzazione completa del

disegno rivoluzionario e a farne le spese è sempre la fraternità.11

Per Gramsci, infine, il punto di riferimento è la rivoluzione russa del 1917, la quale

secondo lui è scoppiata non solo per motivi economici, ma soprattutto culturali. La rivoluzione,

infatti, per il pensatore italiano, la realizza la cultura degli intellettuali, l’intelligencija. I popoli,

come quello italiano e francese, intrisi profondamente di cristianesimo hanno bisogno di una

nuova Weltanschauung, una nuova visione del mondo che abbia un’altrettanta, ma diversa,

dimensione religiosa. Gli intellettuali della rivoluzione sono, così, i nuovi sacerdoti. Infatti la

religione ha una fortissima dimensione politica. Il cristianesimo nel corso della storia è stato

una necessità per il progresso, ma adesso deve essere sostituito dalla rivoluzione e dal partito.

Il vero intellettuale è quello che riesce a stare in contatto con tutti e che si preoccupa tramite il

partito dell’uomo dalla nascita alla bara, proprio come fa la chiesa che è riuscita a coinvolgere

totalmente la vita degli uomini. Nel partito, inoltre, s’istaura un clima di fraternità che però

viene dall’alto, è gestita dagli intellettuali i quali sono chiamati a istruire le masse del popolo

che sono da plasmare, da educare. L’intellettuale, così, è un vero e proprio organizzatore del

partito che si differenzia da tutti gli altri membri dello stesso. Le riflessioni di Tocqueville,

Cochin, e Gramsci ci presentano una fraternità che è stata eclissata per l’aspetto ideologico e

non concreto della proposta della rivoluzione francese. Oggi occorre ristrutturare dalle

fondamenta il principio della fraternità nella politica se non si vuole perderla definitivamente.

10 Cfr. R. Pezzimenti, Fraternità il perché di una eclissi, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., pp. 57-64. 11 Cfr. Ibidem, pp. 65-69.

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In questo “nuovo inizio” della fraternità bisogna essere consapevoli che essa per tutti

noi costa di più rispetto alla libertà e all’uguaglianza, perché è molto più faticoso riconoscersi

fratello con pari dignità, rispetto che libero o eguale agli altri.12

- 3 Il linguaggio come via per la fraternità

Nella prospettiva della nostra riflessione sulla rilevanza politica della fraternità, il

linguaggio, sulla scorta della riflessione di Simone Weil, rappresenta una via per la sua

realizzazione. La pensatrice si occupa dell’incontro fra le diverse culture tramite un

presupposto universale religioso. Infatti, per la Weil, tutti apparteniamo alla stessa famiglia

umana e l’elemento comune è la fraternità. Le culture e soprattutto il linguaggio sono luoghi

d’incontro fra gli uomini, sono i mezzi di relazione con l’alterità per tutta la società. Quindi,

possiamo dire che il linguaggio è il fondamento della società, è la convenzione della socialità

umana. Il linguaggio crea la fratellanza poiché tutti gli uomini possono condividere sentimenti

comuni come l’amore, la gelosia, la collera ecc. Per Simone Weil, il linguaggio è come i miti i

quali sono per tutti, sono luogo di mediazione e concedono agli uomini un’unica essenza che

per la pensatrice rappresenta una radice spirituale comune. Nel mito, dunque, si realizzano

anche i rapporti fra gli uomini nei quali emerge il consenso che è l’amore con il quale avviene

l’apertura e il pieno riconoscimento dell’altro. Alla luce di questo, per la Weil, ogni religione è

l’unica vera perché tutte le tradizioni e i miti fondanti permettono l’incontro, il consenso,

l’amore. La scristianizzazione, di conseguenza, è lo sradicamento della società contemporanea.

Il cristianesimo potrà ridirsi solo nel suo riferimento radicale e assoluto a Cristo, il quale è colui

che per eccellenza permette i legami, le relazioni. Cristo è anche il fondamento del principio

primo del cristianesimo ovvero la cattolicità, l’universalità. La religione cristiana, infatti, non

insegna la propria superiorità, ma appare come realtà appunto universale. L’esempio

dell’amore vissuto da San Francesco d’Assisi è espressione di quanto detto. Quindi, per la Weil,

ogni religione è la vera religione nel senso che il Cristo è la radice della fraternità universale, è

la chiave della conoscenza soprannaturale, è il terzo che permette le relazioni e tramite lo

Spirito Santo, con i Semina Verbi, è presente in tutti i miti, le religioni e culture.13

La questione della fraternità trae riscontro anche nella comunicazione odierna. Essa

oggi s’ispira a un comunicare con emittente e ricevente mai separati e, dunque, l’esigenza

della fraternità affiora decisamente. Infatti, il comunicare ai nostri tempi supera i limiti spazio-

temporali. Comunicare pare sempre più una realtà virtuale. Il rischio è che non ci sia più

distinzione tra soggetto e oggetto e che l’unica cosa da comunicare sembra essere la

comunicazione stessa. Il giornalismo si configura sempre più come realtà tesa alla

spettacolarità con la proiezione di immagini dai fronti della guerra o delle immani tragedie che

colpiscono l’umanità con calamità naturali. Con il persistente utilizzo delle “tavole rotonde”,

12 Cfr. Ibidem, pp. 69-77. 13 Cfr. M. Marianelli, I miti e la fratellanza tra gli uomini: Simone Weil e il “luogo” dell’incontro, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., pp. 79-99.

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poi, c’è il rischio di non presentare una verità ultima, ma solo dei punti di vista. Nel confronto-

scontro politico il dissenso spesso diviene insulto e aggressione. Comprendiamo come in

queste situazioni e in questo stato, la fraternità viene a mancare. Inoltre il soggetto, per via

della mole enorme di notizie recepite, rischia di essere travolto dall’oceano della

comunicazione. Così la persona smette di pensare e si annulla nella comunità. Infatti, questa

“comunicazione totale” a cui siamo sottoposti rende impossibile il concretarsi della comunità.

L’avvento di internet con la presenza di “luoghi” e mezzi di comunicazione come la posta

elettronica, Facebook, Twitter ecc. permette una relazione e uno scambio solo fra cervelli dove

la fisicità viene assolutamente svalutata. Il dialogo, in questo modo, diviene immateriale e

rende difficile la realizzazione della fraternità.14

Queste osservazioni ci permettono di formulare una domanda: è ancora possibile

ritrovare la fraternità nella comunicazione? La realtà comunicativa in genere non fa riferimento

solo ai propri parametri culturali, ma deve essere trans-culturale. Cioè deve essere in grado di

testimoniare un’apertura verso qualsiasi cultura. Infatti, solo con l’ingresso nella realtà e nella

vita dell’altro è possibile un incontro. Non si tratta, ovviamente, di annullare le diversità

culturali, ma di far uscire la cultura dall’isolamento per mettere in comune la verità che

parzialmente tutti possediamo. Pertanto, qualsiasi comunicazione, giornalistica o meno, che

vuole essere fraterna deve rifarsi alla propria tradizione e alla propria cultura e aprirsi alle

altre. Solo la comunicazione che realizza questo è degna di tal nome. Ci sono, inoltre, dei

presupposti minimi per una comunicazione fraterna come il non ingannare la gente; il non

fomentare lo scontro, l’odio, la rabbia; il non impossessarsi dell’altro ma vedere le cose con i

suoi parametri; il non trasmettere messaggi occulti diversi da quelli dichiarati. Una

comunicazione fraterna, insomma, necessita di una competenza tecnica ma anche umana.15

- 4 La fraternità per una democrazia di qualità

L’odierna transizione politica ci mostra fra i fattori di cambiamento il crescente ruolo

della società civile, la quale può contribuire a dare una maggiore qualità al vissuto

democratico. La partecipazione è uno dei contenuti primari e fondamentali della democrazia.

Oggi è opportuno interrogarsi sulla qualità della partecipazione e sarebbe altrettanto utile

chiedersi quale compito può svolgere la dimensione della fraternità per una democrazia di

maggiore qualità, ovvero se la fraternità assume la dimensione politica con un contributo da

poter offrire. Negli Stati democratici, la partecipazione è garantita dalle elezioni libere,

dall’informazione, dalla presenza dei partiti, dal suffragio universale, ma questa è

caratterizzata anche dalle risorse economiche e culturali messe a disposizione dai soggetti che

partecipano e queste variano in base alle condizioni. Ciò provoca una non egualità fra la

popolazione, poiché alcuni per svariati motivi compresi quelli culturali ed economici,

14 Cfr. G. Savagnone, Fraternità e comunicazione, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., pp. 128-140. 15 Cfr. Ibidem, pp. 141-159.

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manifestano una partecipazione bassa e di scarsa qualità alla vita democratica. Nella

democrazia votare non basta. Si sente sempre più l’esigenza di condividere il lavoro e le

proposte con i rappresentati politici. Questo può permettere nuove forme di sostegno della

società civile alla politica. Bisogna, altresì, sostenere la partecipazione dei soggetti e dei gruppi

più emarginati politicamente (extracomunitari, poveri ecc.), cioè riconoscere la loro

soggettività politica. Questo può essere permesso tramite la sussidiarietà verticale (le

Istituzioni verso i cittadini) e quella orizzontale (i cittadini verso i cittadini).16

Nei processi decisionali della politica bisogna, inoltre, includere i vari portatori

d’interesse. In questo è evidente che grande spazio deve essere dato ai cittadini, al terzo

settore, alle associazioni, ai comitati di quartiere ecc. In tal senso soprattutto la pianificazione

delle politiche sociali deve realizzarsi a più voci. Infatti, il compito dell’ente pubblico deve

essere quello di coordinare un processo inclusivo che favorisca l’integrazione dei bisogni, dei

punti di vista e della soggettività delle parti in causa. Ovviamente la ricerca dei vantaggi

particolari indebolisce la coesione sociale e favorisce la frammentazione. Inoltre le risorse

economiche non possono essere più distribuite in una prospettiva gerarchica, ma con una

visione cooperativa. La libertà e l’uguaglianza oggi non garantiscono più l’equità e la pace

sociale. La fraternità, invece, può divenire il principio della costruzione sociale, in quanto con

essa l’altro non è diverso ed estraneo a me, ma è come me. La fraternità, così, implica la

reciprocità, la condivisione responsabile e ridefinisce il legame sociale per garantire l’identità

specifica di tutti. Possiamo, dunque, affermare che la fraternità in politica comporta maggiore

qualità democratica e unità fra le parti della società.17

Ogni riflessione sulla politica compresa quella per la fraternità, deve includere la

concezione classica del potere. Spesso, infatti, le idee politiche dei partiti o di particolari

aggregazioni sociali, sono portatori d’interessi precisi e privati. La politica ha tradito la

fraternità perché questa per statuto è contro interessi di parte e perché la politica stessa non

ha permesso l’inclusione di tutti i membri della società nelle gestione anche del potere. Infatti,

nelle democrazie di oggi è possibile chiedere le responsabilità politiche del soggetto, ma mai

delle comunità o di gruppi e ciò perché la fraternità è scomparsa dall’orizzonte politico.

Pertanto l’etica della fraternità pare valere più per i sistemi religiosi che per la gestione degli

Stati. Il potere è risorsa relazionale, assumerlo per ampliare i conflitti è una condizione

contraria all’identità del potere stesso. Si può dire, così, che i potenti non hanno mai

fraternizzato con i deboli, ma hanno gestito il potere per conservarlo. L’amore per gli altri

costituisce la naturale sorgente di espressione sociale. I grandi testimoni dell’amore nella storia

dell’umanità come Gesù, Confucio, Buddha, Gandhi, M. L. King, sono riusciti ad operare dal

16 Cfr. D. Ropelato, Cenni su partecipazione e fraternità, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., pp. 163-174. 17 Cfr. Ibidem, pp. 175-189.

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basso proprio questo. Le moderne società tendono ad una orizzontalità crescente, la quale

potrebbe essere la base per una politica di maggiore qualità.18

Nella costituzione italiana il termine fraternità non figura mai in maniera espressa,

anche perché è difficile tradurlo nella prospettiva giuridica. Tramite la solidarietà e la

sussidiarietà essa però può trovare forme di concreta espressione. Quindi la fraternità come

solidarietà orizzontale, ovvero “mutuo soccorso” fra i cittadini e solidarietà verticale con i

servizi e i beni predisposti dallo Stato. Alcuni padri costituenti come Giuseppe Dossetti, Giorgio

La Pira ed Aldo Moro erano profondamente influenzati dal personalismo, il quale è contro una

visione dello Stato totalitaria, ma anche liberale – individualistica. Tale personalismo

sviluppatosi sulla scia della dottrina sociale della chiesa, della ripresa di San Tommaso

d’Aquino, di Mounier e Maritain, esprime la naturale socialità e politicità della persona. Per

Mounier, infatti, l’identità umana è situata in una struttura di relazioni sociali che permette la

socializzazione. Quindi l’appartenenza ad una comunità è realtà fondamentale e non

accessoria. Prima dell’individuo c’è, dunque, una comunità in grado di permettere lo sviluppo di

tutti. Così nella costituzione italiana agli articoli 3 e 4 si dice che ogni cittadino ha il dovere di

svolgere un’attività che concorra al progresso materiale e spirituale della società e di

rimuovere gli ostacoli sociali ed economici per il pieno sviluppo di tutti. La persona, infatti, non

deve cercare solo il proprio interesse, ma il bene comune. Quindi la solidarietà, orizzontale o

verticale, non è solo evitare di nuocere agli altri, ma soprattutto sostenere il progresso di ogni

cittadino. Un esempio concreto è la legge 328 del 2000, la quale prevede la possibilità di

promuovere variegate forme di solidarietà organizzata, orizzontale e verticale. In tal modo la

fraternità entra nel tessuto della società italiana. La differenza con la Francia è che essa ha

proposto la fraternità, insieme alla libertà e all’uguaglianza, in un clima illuminista e

rivoluzionario, in Italia, invece, in una situazione di profondo rispetto per le istituzioni.19

- 5 La fraternità via per le politiche internazionali

È possibile percepire l’esistenza di un modello di fraternità nelle relazioni internazionali?

Per rispondere a tale quesito dobbiamo prendere in considerazione la varietà dei protagonisti

sulla scena internazionale che sono gli Stati, le Organizzazioni Intergovernative, le grandi

religioni, la finanza internazionale ecc. In realtà sulla scena globale solo una serie di Stati e

Organizzazioni sono veramente protagonisti in molteplici livelli. La comunità internazionale,

però, impedisce ad uno Stato di vivere in isolamento. La sovranità è quel mezzo che gli Stati

usano per intessere relazioni di qualsiasi tipo, compresi i conflitti. La dimensione societaria

nella realtà internazionale affiora non perché esiste una pluralità di enti, ma perché ci sono

vincoli comuni, spesso distanti dalla fraternità, come le guerre o le convergenze su comuni

18 Cfr. A. Lo Presti, Il potere politico alla ricerca di nuovi paradigmi, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., pp. 191-209. 19 Cfr. F. Pizzolato, La fraternità nell’ordinamento giuridico italiano, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., pp. 211-226.

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interessi come la difesa. Oggi ci si chiede anche se la globalizzazione possa essere un criterio

di lettura per lo scenario internazionale. Un legame con la fraternità può esserci con l’esistenza

di un diritto internazionale comune che abbia, come tale, dei fondamenti comuni condivisi. In

queste possibili regole basi, la fraternità potrebbe giocare un ruolo centrale, basti pensare alle

varie associazioni di Stati per comune relazioni o interessi come l’Unione Europea, la Lega

Araba ecc. La fraternità fra gli Stati, dunque, potrebbe far passare da una coesistenza a una

comune appartenenza di territori e di popoli in vista del bene comune, dove tramite proprio la

fraternità, ogni popolo possa vivere la propria soggettività all’interno della comune umanità.

Anche nella prospettiva dei diritti umani, centrale risulta la fraternità. Diritti umani che, se

rispettati, protetti e vissuti possono dare vita ad un’etica universale che coincide con gli stessi

diritti. Il valore della fraternità può anche configurasi come l’antidoto alla crisi dell’universalità,

poiché essa può offrire una coscienza comune all’umanità. Le conseguenze sono quelle che

ogni persona di qualsiasi contesto è chiamata a vivere diritti e doveri in un consesso

universale.20

Gli avvenimenti storici del XX secolo hanno spinto per la realizzazione della

Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. La Dichiarazione non appare come internazionale,

ma universale, ovvero per ogni uomo di qualsiasi terra, cultura, credo religioso. La centralità

viene data alla dignità dell’uomo. Nel primo articolo, infatti, si presenta la famiglia umana

accomunata da uno spirito di fratellanza, dalla libertà e dall’uguaglianza. La fraternità in tale

Dichiarazione non è solamente un concetto, ma una vera e propria tensione morale secondo la

quale ogni uomo ha una grande importanza per l’edificazione della società. La fraternità è

intesa come realtà all’origine di ogni comportamento sociale, civile e politico e con una

dimensione di reciprocità che conduce al fatto che la piena realizzazione personale avviene solo

quando anche l’altro è realizzato. Questa responsabilità fraterna genera comuni diritti e doveri

umani. La fraternità, in tal modo, responsabilizza a livello locale, nazionale e internazionale.

Infatti, la dimensione fraterna tende ad allargare a tutti i soggetti la responsabilità anche sul

piano educativo, culturale, occupazionale. Nella Dichiarazione non emerge una fraternità di tipo

volontaristico, ma basata su pubblici poteri per poter affrontare anche le problematiche

inerenti allo sviluppo e all’autodeterminazione dei popoli, alla responsabilità per l’ambiente ecc.

La fraternità è anche strettamente legata alla cooperazione fra il privato e il pubblico, poiché

essa porta ad un ampliamento delle responsabilità dei soggetti della cooperazione pubblica o

privata. Compresa e vissuta in questo modo la fraternità contribuirà a ripensare la reciprocità

sul piano globale.21

La fraternità sul piano internazionale deve fare i conti anche con la distinzione tra la

politica interna ed estera degli Stati. Infatti, per molto tempo le politiche interne sono state

20 Cfr. V. Buonomo, Vincoli relazionali e modello di fraternità nel diritto della Comunità internazionale, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., pp. 227-249. 21 Cfr. M. Aquini, Fraternità e diritti umani, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., pp. 251-275.

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considerate come estranee a quelle internazionali. Per discutere di fraternità, inoltre, non si

può utilizzare un’idea vaga di unità fra i popoli, ma sviluppare quello di concreto, e non sempre

positivo, che esiste come la globalizzazione. Essa oggi è intesa soprattutto nella prospettiva

economica, ma talvolta anche in uno sviluppo ed estensione della democrazia nel mondo.

Secondo la teoria liberale, le democrazie sono garanti del rispetto dei diritti umani mentre gli

Stati illiberali sono potenzialmente dannosi sulla scena interna ed internazionale. In questo

conteso la fraternità deve mettersi a braccetto con la libertà per poter cogliere da questa ogni

opportunità di sviluppo. Ad esempio la fraternità nella scena trans-nazionale può divenire

operante con una redistribuzione della ricchezza e una condivisione di fondamenti etici per la

prassi politica, poiché la giustizia sociale non deve essere garantita solo dagli Stati nazionali.

Per concretizzare la fraternità bisogna un’opera con due fasi: la prima è quella di una de-

costruzione degli attuali limiti che ne impediscono lo sviluppo; la seconda è quella di costruire

nuovi presupposti internazionali per attuarla. Alcuni di questi potrebbero essere: “amare la

patria altrui come la propria” (Chiara Lubich); ritenersi non un insieme di popoli, ma un’unità

nella differenza; perdonare il nemico; avere un atteggiamento inclusivo; sottolineare più gli

aspetti umani e metafisici che le differenze geografiche e culturali.22

- 6 Per concludere: la rilevanza politica della fraternità

A questo punto siamo chiamati a trarre delle conseguenze dal percorso realizzato sin

qui nel tentativo di conseguire delle proposte valoriali e concrete per una rilevanza politica

della fraternità. Nella prospettiva dello sviluppo storico abbiamo ricordato come l’evento della

rivoluzione in Francia del 1789 è una base importante per la nostra riflessione, in quanto per la

prima volta proprio in questo contesto venne ad essere proclamata la fraternità, insieme alla

libertà e all’uguaglianza, come principio guida del nuovo assetto politico. Tale principio

successivamente è stato dimenticato per via di varie motivazioni che hanno portato al dominio

della classe dei borghesi, con i loro interessi, che ha sostituito quella degli aristocratici. La

fraternità, anche in territorio francese, ha avuto come culla per il proprio sviluppo il

cristianesimo con la sua dimensione di Dio Padre, da cui tutti gli uomini fratelli, e di Dio agnello

sacrificale con Cristo tramite un amore più grande del peccato, per la salvezza di tutti.

L’ispirazione cristiana della fraternità ha portato a considerare tutti gli uomini eguali, al di là

delle differenze culturali e di stato sociale, e alla condivisione dei beni e delle attività in vista

della ricerca del bene comune. La fraternità, nella riflessione successiva, è rimasta in un

contenitore vago e maggiormente ideale rispetto alla libertà e all’uguaglianza ricercate e

realizzate nei regimi democratici. Negli Stati liberali odierni, infatti, constatiamo un impegno

per il rispetto della libertà e dell’uguaglianza dei cittadini, ma un disimpegno per l’attuazione

della fraternità che in termini concreti si traduce con la vera e propria esclusione dalla

partecipazione politica attiva di fasce, fra le più deboli, della società (extracomunitari, poveri

22 Cfr. P. Ferrara, La fraternità nella teoria politica internazionale. Elementi per una ricostruzione, in Il principio dimenticato. La fraternità nella riflessione politologica contemporanea, op. cit., pp. 277-314.

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ecc.). Una realizzazione della fraternità certamente comporterebbe una maggiore qualità del

vissuto democratico degli Stati liberali. Essa trova espressione anche nei principi presenti nella

costituzione italiana come la solidarietà e la sussidiarietà intese nella prospettiva verticale (lo

Stato verso i cittadini) e in quella orizzontale (i cittadini verso altri cittadini), per poter

concorrere tutti insieme verso il progresso materiale e spirituale della società.

Per una rilevanza politica della fraternità nel nostro contesto possiamo elencare una

serie di proposte: perseguire la strada dell’attuazione della fraternità tramite il welfare, il terzo

settore, le associazioni no profit laiche e religiose; la maggiore ricerca di una fraternità

orizzontale, cioè di un reciproco sostegno e proposta fra i cittadini senza il coinvolgimento

diretto delle Istituzioni; la fraternità come punto di riferimento per vagliare la bontà e le

negatività di ogni ideologia politica di destra o di sinistra; sviluppare maggiormente la

fraternità in sintonia alla libertà e all’uguaglianza; la fraternità deve incidere nelle decisioni

politiche al pari della libertà e dell’uguaglianza; utilizzare il linguaggio e in genere la

comunicazione, giornalistica e non, come “luogo d’incontro” per la condivisione della vita degli

uomini del nostro tempo; indirizzare e promuovere il crescente ruolo della società civile per

poter rappresentare al meglio ogni istanza dal basso proveniente dai cittadini; riconoscere la

soggettività politica dei membri più deboli ed emarginati della società; ripensare la gestione del

potere politico come realtà relazionale e non esclusiva di una cerchia di politici-burocrati;

sviluppare la fraternità nel rispetto delle Istituzioni e mai contro di esse; riconvertire la

globalizzazione a esperienza di fraternità universale e rispetto delle culture e sensibilità locali;

servirsi della fraternità come cemento, come base per il rilancio e l’affermazione di diritti umani

condivisi per un’etica universale; la fraternità come strumento per la responsabilizzazione

politica a livello locale, nazionale ed internazionale; fraternità operante tramite la

redistribuzione della ricchezza, con l’amare la patria altrui come la propria, con il riconoscersi

come uniti nelle differenze e non come diversità di popoli, con il perdonare il nemico, con il

mettere in risalto i valori umani comuni e non le divergenze.

Il cammino per il riconoscimento della fraternità come principio guida delle comunità

nazionali ed internazionali pare ancora lungo. Tutti gli uomini di qualsiasi orientamento

culturale e religioso possono contribuire affinché questo possa avvenire nel minor tempo

possibile. Tutti gli uomini sono “arruolabili” per riproporre, o proporre per la prima volta, la

fraternità come modello di ogni relazione e come categoria politica poiché tutti gli uomini sono

membri di un’unica famiglia e chiamati all’unità e alla condivisione.

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- 7 Chiesa e politica ai nostri giorni. Il caso concreto di Palermo

In occasione delle elezioni amministrative del 2012 al comune di Palermo, la comunità

ecclesiale diocesana ha realizzato alcune riflessioni in vista di una comune responsabilità per la

città capoluogo di regione.23 Tale documento si presenta certamente come occasione di utile

confronto e crescita per i cattolici che vivono la città e che s’impegnano direttamente o

indirettamente nella politica. Le riflessioni del testo sono sicuramente “qualcosa” per cui essere

in sintonia o meno, rispetto al nulla che talvolta caratterizza la partecipazione, o meglio la non

partecipazione in termini di dibattito e di proposte, dei cattolici nella vita politica specialmente

locale, ma a volte anche nazionale. Registrata la bontà dell’iniziativa nei termini dell’esserci

anche su questi temi, piuttosto che l’assenza, occorre però riflettere seriamente sui contenuti

del documento per poter capire ulteriormente quanto e come tali propositi possano essere

recepiti concretamente e tramutati in azione volta alla ricerca del bene di tutti i cittadini.

Il documento utilizza il metodo deduttivo, dall’alto verso il basso, con l’affermazione di

una serie di principi generici, molto giusti e veri, che non possono che essere accolti da tutti.

Dal metodo usato si comprende che la scelta è stata quella di soffermarsi su un quadro

generale di riferimento ai valori invece che presentare, o promuovere, iniziative concrete da

modello e stimolo per i futuri amministratori. Questo denuncia la scarsa presa sul contesto

storico-concreto di quello che può essere l’impegno dei cattolici. Ad esempio nel testo, si

richiama la responsabilità della comunità credente dinanzi a tali scenari critici per la politica

comunale, ma non si accenna minimamente a come questa possa attuarsi. Certamente non si

tratta di indicare questo o quell’altro partito, ma questa o quell’altra iniziativa per cui farsi

promotori, sostenitori e protagonisti per via della consapevolezza del nostro essere cristiani

che ci interpella. L’analisi del contesto sociale, economico, politico e umano presente nelle

riflessioni del documento si presenta altrettanto generica e superficiale. Poiché registrare la

crisi in ogni ambito della società è capacità di tutti, ma essere responsabili da cristiani per la

città prevede anche altro. Per esempio, si poteva dare vita ad equipe di lavoro miste (sociologi,

economisti, ingegneri, architetti) per conoscere scientificamente i bisogni della città e offrire di

conseguenza un piano, o delle proposte, ai futuri amministratori eletti. Inoltre il documento si

pronuncia positivamente nel tentativo di avviare percorsi di discernimento per la ricerca del

bene comune. Ma oltre all’apprezzabile principio espresso, bisogna chiedersi come le comunità

parrocchiali locali, i gruppi laicali, le varie realtà presenti nella diocesi possono effettuare ciò.

Qual è il piano? Come concretamente si può iniziare a lavorare? Il documento non concede

nessuna risposta.

Nel testo si criticano, molto opportunamente, gli amministratori del passato per il

degrado nel quale è giunta la città. Tale critica, praticata da tutti in occasione della campagna

elettorale, però, è semplicemente il primo passo per potersi dichiarare responsabili per la città

23 Una comune responsabilità per Palermo. Riflessioni della Chiesa palermitana in vista delle prossime Elezioni amministrative, Palermo 2012.

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in vista del bene di tutti e di ciascuno. Poiché, se gli amministratori del passato non sono stati

in grado di risolvere i problemi di Palermo e dare opportunità di sviluppo, perché la comunità

ecclesiale per intera (gruppi, associazioni, parrocchie, uffici diocesani ecc.) non si è interrogata

e non si è spesa per formare cittadini responsabili in grado di guidare il cambiamento? La

responsabilità dei cattolici, infatti, non può limitarsi al denunciare, ma deve concretarsi in

percorsi di reale rinascita e proposta anche se perdenti.

Il documento sembra che abbia sullo sfondo quasi esclusivamente il semplice richiamo

al voto responsabile che i cattolici devono esercitare. Tale affermazione, ribadita da diverse

Istituzioni in queste amministrative del 2012 che hanno coinvolto migliaia di comuni e nove

milioni di italiani, non può che essere apprezzabile e condivisa da tutti. Non emerge, però, lo

specifico della responsabilità cristiana per la comunità cittadina. Questo porta a chiedersi:

perché votare? E soprattutto, il voto è l’unico strumento per esprimere la dimensione di

politicità e di socialità del cittadino-cristiano?

Le riflessioni del documento, inoltre, giustamente premono per un rinnovamento

dell’amministrazione comunale tramite la sussidiarietà e la solidarietà. Ma ancora una volta il

richiamo valoriale non si confronta con la realtà storica contingente. I comuni, infatti, e

possiamo dire per molti versi quello di Palermo fra tutti, non godono di risorse economiche tali

da garantire un welfare e un terzo settore improntati alla solidarietà e alla sussidiarietà. La

recente crisi economica e i provvedimenti del nuovo governo targato Monti, hanno diminuito

drasticamente i finanziamenti statali ai comuni mettendo le amministrazioni locali in una

situazione di grave e ulteriore crisi tale da non garantire gli stipendi e i contratti (come per il

caso di Palermo) dei dipendenti della nettezza urbana o di altri servizi primari. Questo richiamo

doveroso alla solidarietà, dunque, oltre che apprezzato da tutti rischia di rimanere lettera

morta se non si promuovono, anche da parte della comunità ecclesiale, nuove forme di

solidarietà rispetto a quelle dei decenni passati tramite un rinnovato modo di amministrare i

comuni, i quali saranno chiamati a responsabilizzare sempre più i cittadini se non vogliono

soccombere alla riduzione dei finanziamenti.

Il documento, quindi, presenta nel contesto della chiesa palermitana, l’atteggiamento di

molti cattolici italiani i quali per via della propria responsabilità, di cittadini e di credenti,

dichiarano i valori fondanti per il rinnovamento della politica e dei partiti. Ma se tale

enunciazione di principi non si sposa con un impegno concreto che non si traduce

necessariamente nei termini di impegno partitico, non può che restare appello condivisibile da

tutti ma attuato da nessuno. La responsabilità della comunità ecclesiale e dei singoli cristiani

deve tradursi in proposte, progetti, idee e percorsi da realizzare concretamente. Non possiamo

più, o non dobbiamo solamente più, dichiarare l’importanza dei valori da mantenere presenti

nella sociètà, ma dobbiamo viverli personalmente e comunitariamente come credenti per

attuare nella dimensione politica una democrazia sostanziale e compiuta che dia pari socialità e

politicità a tutti.