Indice - Formazione e Sicurezza · 2010-11-21 · applicabilità dal punto di vista medico), sia ai...

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Indice 1. La medicina legale come punto d’incontro tra medicina e diritto Definizione Cenni storici Sviluppo, complessità ed esercizio della professione medico-legale 2. Rapporto di causalità Concause preesistenti Concause simultanee Concause sopravvenute Criteri da seguire nella valutazione del rapporto causale 3. Diagnosi di morte e denuncia delle cause della morte Diagnosi di morte Collegio medico per accertamento della morte Periodo di osservazione Visita del medico necroscopo Certificazione di morte e sepoltura del cadavere Denuncia sanitaria delle cause di morte 4. Esame del cadavere. Sopralluogo giudiziario Riscontro diagnostico e autopsia giudiziaria Esame esterno del cadavere Esame degli organi interni Diagnosi differenziale fra lesioni vitali e post mortali Giudizio conclusivo sulla causa mortis Luogo della morte e indagini di sopralluogo

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Indice

1. La medicina legale come punto d’incontro tra medicina e diritto

Definizione

Cenni storici

Sviluppo, complessità ed esercizio della professione medico-legale

2. Rapporto di causalità

Concause preesistenti

Concause simultanee

Concause sopravvenute

Criteri da seguire nella valutazione del rapporto causale

3. Diagnosi di morte e denuncia delle cause della morte

Diagnosi di morte

Collegio medico per accertamento della morte

Periodo di osservazione

Visita del medico necroscopo

Certificazione di morte e sepoltura del cadavere

Denuncia sanitaria delle cause di morte

4. Esame del cadavere. Sopralluogo giudiziario

Riscontro diagnostico e autopsia giudiziaria

Esame esterno del cadavere

Esame degli organi interni

Diagnosi differenziale fra lesioni vitali e post mortali

Giudizio conclusivo sulla causa mortis

Luogo della morte e indagini di sopralluogo

5. Epoca della morte e modificazioni tanatologiche del cadavere

Raffreddamento del cadavere

Rigidità cadaverica

Ipostasi

Disidratazione

Acidificazione

Putrefazione

Saponificazione Adipocera

Mummificazione

Macerazione

Corificazione

Bibliografia

I capitolo

Definizione

La medicina legale è la disciplina che affronta tutti i momenti cruciali della

umana esistenza, dalla procreazione assistita alla interruzione della

gravidanza, dalla sperimentazione dei farmaci al trapianto di organi, dagli

effetti lesivi della violenza e dell'incuria alle esigenze di giustizia penale e

civile, rappresentando nel corso degli studi universitari ed in specie di quelli

biomedici e giuridici l’unica occasione che consente la formazione di una

coscienza bioetica adeguata alle complesse questioni inerenti la persona e i

fondamentali diritti alla vita e alla salute, alla dignità e alla libertà dell’uomo.

Le scienze medico-legali implicano anche attività - in ambito di ricerca,

didattica e formazione, assistenza – inerenti innanzitutto la clinica con

assolute esigenze di collaborazione con peculiari specialità quali la

cardiologia, la oncologia, la oftalmologia, la reumatologia. Non secondarie le

implicazioni con l’ambito della comunicazione e dei linguaggi (verbale e non,

orale e scritto, grafico e iconografico), gli aspetti e i problemi economici e

finanziari dell’assistenza e delle assicurazioni (sociali e private con particolare

riferimento all’ambito della responsabilità civile auto), la psicologia e la

grafologia; si deve altresì segnalare la pertinenza e la rilevanza di settori ed

attività di specifica competenza correlati alla analisi del crimine violento, alla

antropologia e alla afrodisiologia forensi, alla balistica. Essenziale il contributo

dei giuristi per le basi del diritto, la normativa e la giurisprudenza di

riferimento in ambito di medicina legale penalistica, civilistica, assicurativa, la

comunicazione, i linguaggi, la persuasione, le investigazioni, la formazione

della prova nel processo penale con particolare riferimento ai temi delle

testimonianze, delle perizie e consulenze tecniche, della informatizzazione di

didattica, giustizia e sanità.

La medicina legale può essere definita come il complesso delle conoscenze

biologico-cliniche concernenti l’essere umano, suscettibili di proiezione o di

applicazione entro tutto il sistema del diritto. Questa scienza complessa,

costituisce il punto d’incontro fra il sapere medico e quello giuridico,

dimostrandosi utile sia ai fini della corretta elaborazione ed interpretazione

delle norme giuridiche concernerti questioni d’interesse medico (Medicina

Giuridica che è una branca della medicina legale che si occupa

dell'evoluzione del diritto in sanità, dell'intepretazione delle norme e della loro

applicabilità dal punto di vista medico), sia ai fini della applicazione ai casi

concreti ( Medicina Forense che studia le applicazioni della scienza medica

alle questioni legali, ossia le conseguenze di lesioni biologiche provocate dai

più diversi agenti eziologici) delle diverse disposizioni di legge.

La medicina legale ha seguito il processo evolutivo delle conoscenze mediche

e con il formarsi di stati organizzati dotati di leggi e norme questi attinsero

alla medicina per trarre nozioni utili per la loro legislazione. Prime tracce di

medicina legale si riscontrano a partire dalla 2700 a.c. in Egitto; in

Mesopotamia il codice di leggi dei Sumeri (2500-1950) prevedeva risarcimenti

in caso di lesioni personali; famosissimo il babilonese Codice di Hammurabi

(1728-1686) che affermava tra l'altro il principio della responsabilità

professionale in caso di morte o lesione. Si riporta: "Se un medico ha

eseguito un difficile intervento col coltello di bronzo ed ha provocato la morte

del soggetto gli si tagli la mano" (paragrafo 218 della legge di Hammurabi).

Presso gli Ebrei sia nelle leggi di Mosè che in quelle successive del Talmud si

riscontravano nozioni medico legali e severe leggi in tema di igiene pubblica.

Nell'antica Grecia, dominata dalla figura di Ippocrate, nascono i principi di

Etica medica e di Deontologia.

Le origini della medicina legale sono quindi antichissime, presso gli Egizi

veniva esercitata l’attività peritale e anche presso i Romani (quasi tremila

anni a.C.). Fra le leggi emanate da Silla (138-78 a.C.), ad esempio, si

ricordano la Lex Cornelia e la Lex Aquilia. Con la prima si obbligavano i

tribunali al “quaerere de veneno” e di espletare tutte quelle ricerche

necessarie a scoprire coloro che s’adoperassero a celare i loro delitti

(“consuetudo criminandi”). Con l’altra si punivano severamente i medici

riconosciuti responsabili della morte del loro assistito per negligenza o

imperizia. Lo sviluppo della disciplina deve molto al Diritto Canonico e alle

varie “Decretales” papali, fra le quali ricordiamo quelle di Gregorio IX divise in

5 parti, delle quali le più che ci riguardano sono la quarta che tratta del

matrimonio e dei suoi impedimenti, e la quinta, che tratta della imputabilità,

dei crimini e delle relative pene. Nell’evoluzione storica della medicina

medico-legale spicca soprattutto il nome di Paolo Zacchia (1584-1659),

archiatra del Pontefice Innocenzo X e da questi nominato Protomedico degli

Stati Ecclesiastici. A Roma fu il primo, nel campo del giure, che esaminò ed

espose la particolare posizione del sordomuto nei confronti della legge e del

diritto canonico pubblicando, nel 1661, un'opera dal titolo "Quaestiones

Medico-legales": La mancanza dell'udito, se congenita, rende l'intelletto più

ottuso, impedendo che possa erudirsi.

Tale opera è stata preceduta dagli studi altrettanto importanti dei tre illustri:

Gian Filippo Ingrassia (1510-1580) attraverso un'accurata ricerca

sull'anatomia umana scoprì un ossicino all'interno dell'orecchio che egli stesso

chiamò "staffa" o "deltoide" che permise una più idonea comprensione dello

stimolo acustico. Fece delle accurate ricerche sulle vesciche seminali che

fecero capire meglio il loro funzionamento. Fondò la medicina pubblica quella

legale e la polizia sanitaria. Grazia al suo intervento furono presi

provvedimenti sulla sanità pubblica e sull'igiene di Palermo. Tra il 1575 e il

1576 scoppiò in Sicilia un'epidemia di peste; il viceré Don Carlo convocò

l'ormai vecchio ed ammalato Gian Filippo Ingrassia e gli diede la carica di

deputato per il tempo della peste e di consultore sanitario. Egli fu molto

generoso nel dare cura e soccorso agli ammalati. Scrisse un libro che intitolò

"Informatione del Pestifero et Contagioso Morbo" che conteneva le sue

riflessioni su questa esperienza. Questo libro, pur essendo inferiore ad altri

suoi scritti rimane il suo capolavoro. Ingrassia si riteneva un uomo "servo"

della patria e fu per questo che rifiutò lo stipendio che gli spettava ogni

mese. Morì il 6 novembre 1580. In suo onore il paese di Regalbuto ha

intitolato una delle vie principali la scuola elementare e la scuola media. A

Catania a questo famoso personaggio e stato intestato l'Istituto di Anatomia.

Fortunato Fedeli (1550-163) E' ritenuto, il fondatore della medicina legale

per avere compendiato in quattro libri, pubblicati nel 1602, ogni tipo di

Relazione sui referti che i medici sono chiamati a presentare nelle cause e nei

processi dove sia danno fisico a persone.

Giovan Battista Codronchi (1524-1628) il cui testo più significativo è:

Methodus testificandi (1597).

La nascita della Medicina Legale come corpo dottrinale unitario è stata

grandemente condizionata dalla promulgazione della Costitutio Criminalis

Carolina da parte di Carlo V (1500-1558) nella Dieta di Ratisbona (1532).

La necessità di disciplinare in modo organico l’istituto peritale nei processi

penali diede vita ad una serie di studi che portarono ad una sistematizzazione

della materia. Il volume dello Zacchia rimase il testo ufficiale della Medicina

Legale per quasi duecento anni.

Fu nell’800, il secolo della Rivoluzione industriale, che questa scienza entrò

definitivamente nella istituzione universitaria e nella prassi giudiziaria. Si

accentuò inoltre la sua valenza clinica, oltre a quella classica tanatologica.

Questo perchè la rivoluzione industriale portò ad un incremento notevole

degli infortuni connessi all’impiego delle macchine e ai nuovo ritmi e metodi

di produzione, dando così, impulso allo sviluppo della Medicina Previdenziale,

della Medicina Infortunistica, della Medicina Assicurativa, della Medicina del

Lavoro.

Nell’ambito della disciplina si delinearono diversi filoni di ricerche e

applicazioni, il cui sviluppo fu condizionato dall’evoluzione del pensiero

giuridico, dalla riforma dei codici, dal continuo progresso scientifico in campo

medico e tecnologico. Alla fine dell’800 veniva promulgato il Codice

Zanardelli (1890) con il quale l’istituto peritale e la Medicina Legale

entrarono ufficialmente nelle aule di giustizia.

Nello stesso periodo venivano pubblicati gli studi di Cesare Lombroso (1835-

1908) il quale si occupò di antropologia criminale, disciplina di cui egli stesso

fu inventore e secondo la quale i tratti della personalità criminale sono

determinati da tare e anomalie somatiche. Lombroso fu uno dei principali

rappresentanti del positivismo italiano, e le sue tesi ebbero larga risonanza

negli ambienti giuridici e criminologici europei e sudamericani. Nonostante i

suoi gravi limiti, riassumibili nell’interpretazione aprioristicamente

patologistica e organicistica della condotta criminale, l’opera lombrosiana

ebbe il merito di sostituire al tradizionale studio astratto del delitto lo studio

concreto del delinquente, aprendo la strada alle più moderne e articolate

formulazioni della psicologia criminale, che in Italia ebbe i suoi rappresentanti

principali in Sante De Sanctis e Agostino Gemelli.

Nel 1876 ad Aversa venne fondato il primo manicomio giudiziario. Nei primi

anni del ‘900, l’Ottolenghi, grande cultore di antropologia criminale, fondò il

primo istituto di Medicina Legale dell’Università di Roma. Istituì inoltre la

Scuola Superiore di Polizia Scientifica che contribuì allo sviluppo

dell’antropologia criminale, orientando gli interessi degli studiosi sull’autore

del reato e sulla sua pericolosità.

Con la Scuola Positiva per la prima volta si iniziò a parlare di misure di difesa

sociale, di pericolosità sociale, di pena finalizzata al recupero del delinquente,

di personalizzazione della sanzione penale, ecc.

In epoca moderna, la Medicina Legale ha avuto un notevole sviluppo in tutti i

settori che la costituiscono e fra essi:

-l’Etica medica e la Bioetica;

-l’Infortunistica e la Traumatologia forense;

-la Tossicologia forense;

-la Balistica forense;

-la Radiologia forense;

-la Medicina previdenziale e la Pensionistica ordinaria e privilegiata;

-la Criminologia clinica;

-la Psichiatria forense;

-la Medicina delle Assicurazioni Private;

-la Tanatologia;

-l’Identificazione personale;

-la Responsabilità professionale;

-la Valutazione del danno alla persona in R.C. ecc.

Peraltro, appaiono sempre più importanti e articolate nel quadro dell’attività

del S.S.N. le prestazioni medico-legali svolte dalle varie Aziende sanitarie

locali.

Lo specialista in Medicina Legale può trovare oggi proficua collocazione in

diversi ambiti lavorativi:

S.S.N. : nei settori o servizi di Medicina Legale delle varie Aziende sanitarie.

Nell’area specifica sono trattate le diverse problematiche concernenti la

gestione e il coordinamento delle attività di accertamento della validità dei

cittadini residenti nel territorio di competenza, ai fini del rilascio delle varie

certificazioni richieste, della valutazione della idoneità generica e specifica al

lavoro, e dello stato di incapacità temporanea al lavoro, dello stato di

permanente incapacità al lavoro proficuo, della condizione di handicap, ecc.

nonché quelle concernenti la gestione delle attività della polizia mortuaria, la

partecipazione alle Commissioni per l’accertamento degli stati di invalidità

civile, ai Collegi per l’accertamento della morte, ecc.

• Istituti previdenziali:

INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale);

INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul

lavoro);

• Servizi di Medicina Legale delle Forze armate;

• Servizi di Medicina Legale delle FF.SS.;

• Attività medico-legali come medici fiduciari delle diverse Compagnie di

Assicurazione;

• Istituti di Patronato (Enti pubblici di assistenza dei lavoratori);

• Ufficio medico-legale presso il Ministero della Sanità;

• Istituti Universitari di medicina Legale;

• Attività libero-professionale.

Al medico legale possono essere chieste relazioni peritali o di consulenza

tecnica con valutazione del danno alla persona in Responsabilità penale (es.:

lesione personale, omicidio; imputabilità ecc.), in Responsabilità civile (es.:

danni alla persona conseguenti a lesioni patite a causa di incidenti stradali,

ecc.), in ambito infortunistico INAIL, in ambito previdenziale (assegno

ordinario di invalidità o pensione di inabilità INPS), o di sicurezza sociale

(certificazioni per il riconoscimento della invalidità civile, della condizione di

handicap, ecc.), o in materia di controversie di lavoro o assicurative private

(ad es. consulenze medico-assicurative, arbitrati), ecc.

Le regole alle quali attenersi nella prestazione medico-legale, quale che sia

l’ambito in cui questa venga effettuata, sono due:

1) il rigorismo obiettivo del metodo;

2) la dominante conoscenza del rapporto giuridico cui il fatto si riferisce.

Il rigorismo obiettivo del metodo.

Il principio di obiettività impone a ciascuno di essere rigorosamente aderente

alla realtà dei dati clinici o tanatologici o di laboratorio o strumenti rilevati.

La valutazione dei dati e la formulazione dei giudizi definitivi dovranno

fondarsi su motivazioni logiche e plausibili, che tengano conto dei reperti,

segni e dati obiettivi riscontrati, della documentazione medica a disposizione

e delle più accreditate conoscenze scientifiche, concernenti il caso trattato.

Il metodo medico-legale si differenzia nettamente da quello proprio delle altre

branche della medicina per essere condizionato dall’istituto della prova.

Non è consentito trasformare il dubbio in certezza e viceversa porre in

dubbio, senza che ve ne sia fondamento, ciò che costituisce un dato di

certezza.

La dominante conoscenza del rapporto giuridico cui il fatto si

riferisce.

Il medico legale dovrà improntare ed orientare la sua indagine soprattutto

tenendo conto delle norme giuridiche di volta in volta interessate dallo

specifico caso in discussione.

II capitolo

Rapporto di causalità

Il primo e più importante dei problemi che il medico legale si trova ad

affrontare nella sua attività è la valutazione del rapporto da causalità. Molto

spesso gli viene chiesto di stabilire se un dato evento biologico (la morte, una

lesione, una data malattia ecc.) sia stato causato da un fatto o da una

condotta umana (attiva od omissiva), così da poter essere addebitato

all’autore della condotta stessa. Nella pratica è facile osservare che quel dato

evento non è mai il prodotto esclusivo di un solo fattore causale, ma di una

pluralità di fattori (concause), di diverso significato e di cui peraltro solo

alcuni hanno valore oltre che medico anche giuridico. Al medico, in quanto

tale, spetta il compito di chiarire nel dettaglio il meccanismo patogenetico con

cui si producono determinati eventi di danno alla persona (lesione, malattia,

invalidità, morte), confrontando il diverso peso specifico dei vari antecedenti

causali, volta per volta in discussione, di rilevanza medica e giuridica. Il

rapporto di causalità deve essere concepito “come una catena in cui ciascun

anello trasmette a quello che segue un impulso verso un fine determinato,

impulso che a sua volta ha ricevuto dall’anello precedente..” (Diez). Gli eventi

più importati di questa catena sono in generale l’ultimo, che costituisce

l’evento finale di danno, ed il primo, che rappresenta l’evento lesivo iniziale.

La valutazione corretta del rapporto di causalità consente di identificare

dell’evento dannoso considerato la causa unica oppure, più di frequente, lo si

ripete, i molteplici concausali e in tal caso occorrerà specificare, secondo un

criterio comparativo, il diverso peso specifico che ciascuno di essi ha avuto

nel determinismo dell’evento considerato (lesione iniziale, esito invalidante

finale, exitus).

Causa in senso letterale è ciò che modifica, e più precisamente, può essere

definita come quell’antecedente di interesse e valore medico e giuridico da

cui dipende invariabilmente e necessariamente l’avverarsi della condizione

maggiorativi dello stato anteriore, anch’essa di rilevanza medica e giuridica.

La differenza tra la causa e la concausa sta nel fatto che pur trattandosi in

entrambi i casi di antecedenti necessari, solo la causa è da sé sola sufficiente

alla produzione dell’evento.

Si comprende che nella pratica forense il compito più importante che il

giudice si trova ad affrontare, oltre a quello di stabilire il quantum di danno

sofferto da una certa persona, è in via preliminare proprio quello di verificare

se effettivamente quel danno derivi causalmente o concausalmente dalla

condotta del colpevole o dal fatto illecito considerato; talora, se il soggetto

stesso, al quale si imputa di averlo provocato, possa effettivamente esserne

giudicato responsabile, ecc.

È proprio su questo che vertono le questioni più decisive al fine del giudizio

conclusivo. Ove si dimostri che l’imputato e la condotta che ha posto in

essere sono estranei al fatto, il soggetto in questione non sarà chiamato a

risponderne in sede penale o civile. Talora questa estraneità verrà accertata e

confermata a livello psichico, vale a dire come assenza psichica dell’autore al

momento del fatto, assumendo in merito importanza decisiva la

dimostrazione della sua eventuale incapacità di intendere o di volere al

momento del fatto o dell’assenza di dolo o di colpa nella produzione

dell’evento dannoso considerato. Dunque, nella attribuzione della

responsabilità, il Magistrato pone attenzione non soltanto alla causazione,

ovvero alla produzione materiale o fisica o biologica o anatomo-patologica del

danno in esame ma anche ai cosiddetti fattori psichici. Perciò egli rivolgerà l

suo interesse non solo al danno biologico subito dalla vittima, ma anche alla

personalità e alla effettiva consapevolezza del soggetto che ha posto in

essere la condotta lesiva e cagionato i relativi esiti, valutandone in particolare

l’imputabilità e la colpevolezza. Si comprende in definitiva che la valutazione

del nesso causale, in quanto ricerca che mira alla identificazione di cause

imputabili all’uomo, è sempre fondata sull’analisi di un duplice ordine di

rapporto:

-Rapporto di causalità giuridico-materiale o anatomo-patologica. Si

tratta di studiare il rapporto fisico od oggettivo esistente fra una certa

condotta illecita, o, più in generale, fra un dato antecedente, di rilevanza

medica e giuridica, e un determinato evento dannoso, pur esso di rilevanza

medica e giuridica ad un tempo.

-Rapporto di causalità psichica. Si intende il rapporto psicologico

soggettivo che intercorre tra la personalità del soggetto, autore della specifica

condotta considerata, e l’insorgenza dell’evento dannoso in esame.

Solo dopo che si è dimostrata l’effettiva sussistenza di entrambi (rapporto

causalità materiale e rapporto causalità psichica), il giudice potrà valutare il

modo corretto e completo il caso in esame ed emettere la sua sentenza. Si

capisce dunque che nel giudizio conclusivo sulla responsabilità, il Magistrato

dovrà tenere nella debita considerazione se trattasi di reato doloso o colposo,

se e quanto al determinarsi del fatto obiettivato abbiano concorso il dolo o la

colpa dello stesso danneggiato o di terzi; l’eventuale colpa dei sanitari

intervenuti successivamente al fatto lesivo, ecc.

Concause preesistenti

L’art. 41 del c.p. recita testualmente: “Il concorso di cause preesistenti o

simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione

del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e

l’evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando

sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione

od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si

applica la pena per questo stabilita. Le disposizioni precedenti si applicano

anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel

fatto illecito altrui”.

Dal punto di vista medico-legale per causa si intende ciò che modifica, cioè

più precisamente l’antecedente, di rilevanza medica e giuridica ad un tempo,

necessario da sé solo sufficiente e quindi adeguato e determinante alla

produzione dell’evento dannoso, previsto dalla legge come reato.

Per concausa si intende invece uno degli antecedenti causali, pur esso di

rilevanza sia medica che giuridica, che concorre con gli altri alla produzione

dell’evento finale di danno sicché senza di esso l’evento dannoso non si

sarebbe verificato, nonostante l’attualità degli altri fattori produttivi. In questo

senso la concausa, anche se necessaria, non è da sé sola sufficiente e

determinante a produrre l’evento dannoso in questione.

Compito specifico del medico legale è proprio quello di stabilire con la

massima accuratezza e seguendo criteri scientificamente corretti, il peso

specifico che quel determinato antecedente assume nei riguardi della

produzione dell’evento finale di danno. Da ciò la necessità del confronto, fra

quello stesso antecedente ed altri, che pure si dimostri abbiano avuto un

certo ruolo nel determinismo dell’evento considerato. L’art. 41 c.p. dispone

espressamente che il rapporto di causalità non è escluso, ove alla produzione

dell’evento dannoso o pericoloso abbiano contribuito oltre all’antecedente

giuridicamente rilevante considerato anche altre eventuali concause

preesistenti, simultanee o sopravvenute, pure se indipendenti dall’azione od

omissione del colpevole.

Le concause preesistenti di lesione possono essere distinte in:

- concause preesistenti anatomiche;

- concause preesistenti fisiologiche;

- concause preesistenti patologiche.

Concause simultanee

In genere si porta l’esempio di una ferita inferta con uno strumento

contaminato, come la lama sporca di un pugnale, per cui oltre alla ferita da

taglio, il colpevole risponderà anche del quadro infettivo causato dagli agenti

microbici introdotti nell’organismo dalla lama e dei suoi esiti eventuali.

Concause sopravvenute

Si può pensare ad esempio ad una persona ferita in modo non grave che

muore per una successiva complicanza settica della ferita stessa, per un

inadeguato trattamento dei medici o per una scarsa cura da parte dello

stesso ferito, ecc.

Il feritore sarà comunque chiamato a rispondere della morte, sia pure a titolo

diverso da quello di omicidio doloso (si potrà parlare di omicidio

preterintenzionale e potranno essere concesse le attenuanti del caso,

valendosi il Giudice del proprio potere discrezionale nell’applicazione della

pena).

Criteri da seguire nella valutazione del rapporto causale

Effettuato il raffronto tra ciò che quella persona era prima di un certo fatto e

ciò che è al momento dell’esame clinico e medico-legale, si dovrà stabilire

quale o quali delle modificazioni eventualmente obiettivate siano da riferire

causalmente o concausalmente all’antecedente o agli antecedenti,

giuridicamente rilevanti, considerati. Si preciseranno quindi la natura e l’entità

del danno funzionale, tenuto conto dello specifico rapporto giuridico cui il

fatto si riferisce. I vari criteri di ricerca del rapporto causale tendono alla

conoscenza dei meccanismi etio-patogenetici del danno considerato. Nessuno

di essi è però da sé solo sufficiente a giustificare, provare o convalidare il

nesso causale. Solo la concordanza dei dati che emergono dall’analisi dei vari

criteri, insieme considerati, può condurre ad un giudizio effettivamente

motivato in materia di ammissione o esclusione del nesso causale. I criteri di

cui trattasi sono:

-criterio cronologico;

-criterio qualitativo;

-criterio quantitativo;

-criterio modale;

-criterio topografico;

-criterio della continuità fenomenologica;

-criterio di esclusione.

III capitolo

Diagnosi di morte e denuncia delle cause ella morte

La morte può essere definita in negativo come la privazione di tutte le

proprietà biologiche dell’essere vivente. Ha inizio con la cessazione

irreversibile delle tre funzioni:

cardiocircolatoria (morte clinica);

respiratoria (morte reale);

nervosa (morte legale).

Prosegue con le trasformazioni e il degrado del cadavere e termina con la

distruzione completa, ovvero con la dissoluzione di ogni cellula

dell’organismo. Durante la morte la persona diventa cadavere e perde la sua

capacità giuridica. Da qualsiasi punto la si studi la morte rappresenta un

evento unitario e dal significato in equivoco; quel giudizio dovrà essere quindi

il risultato di una diagnosi certa e non di una prognosi. Il momento centrale e

più importante ai fini della diagnosi è costituito dal rilievo della cessazione

globale e definitiva, perciò irreversibile ed inemendabile, di tutte le funzioni

dell’encefalo (legge n. 578 29 dicembre 1993: Norme per l’accertamento e la

certificazione di morte, GU n. 5 dell’8 gennaio 1994).

Diagnosi di morte

Quando si hanno segni certo della cessazione delle funzioni non solo della

corteccia cerebrale e degli emisferi, ma anche del tronco e quindi di tutto il

cervello, la prosecuzione della vita vegetativa risulterà impossibile. Solo allora

il paziente si giudicherà clinicamente morto. Essendo la morte un fenomeno

unitario, è errato parlare distintamente di una morte cardiaca o respiratoria o

di una morte cerebrale. È più corretto parlare di criteri cardiologici, respiratori

o neurologici per l’accertamento del decesso. La legge 578/93 afferma all’art.

2 che anche la morte per arresto cardiaco s’intende avvenuta quando la

respirazione e la circolazione sono cessate per un intervallo di tempo tale da

comportare la perdita irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.

Collegio medico per l’accertamento della morte

È nominato dalla Direzione Sanitaria ed è composto da un medico legale o, in

mancanza, da un medico della direzione sanitaria o da un anatomo-patologo,

da un medico specialista in anestesia e rianimazione e da un medico neuro-

fisiopatologo o, in mancanza, da un neurologo o da un neurochirurgo esperto

in elettroencefalografia.

Periodo di osservazione

La durata dell’osservazione ai fini dell’accertamento della morte deve essere

non inferiore a:

- sei ore per adulti e bambini in età superiore ai cinque anni;

- dodici ore per i bambini di età compresa tra uno e cinque anni;

- ventiquattro ore nei bambini in età inferiore ad un anno.

Qualora l’accertamento della morte venga effettuato senza l’ausilio di

strumentazione adeguata e al di fuori delle strutture ospedaliere, al fine di

scongiurare il pericolo di inumare persone in stato di morte apparente, il

Regolamento di Polizia Mortuaria DPR 10 settembre 1990 n. 285 prevede che

venga rispettato un più lungo periodo di osservazione, esteso sino alla

comparsa di fenomeni tanatologici certi. Si dispone che nessun cadavere

venga chiuso in cassa, né sottoposto ad autopsia o a trattamenti conservativi,

a conservazione in celle frigorifere, né inumato, tumulato, cremato,

imbalsamato, ecc. prima che siano trascorse 24 ore dal momento del decesso

o 48 ore nei casi di morte improvvisa o nel sospetto di morte apparente. Si fa

eccezione per i casi di decapitazione o maciullamento o per quelli nei quali il

medico necroscopo avrà accertato la morte anche mediante l’ausilio di

elettrocardiografo, la cui registrazione deve avere una durata non inferiore a

20 minuti primi. Ove la morte sia dovuta ad una delle malattie infettive o

diffusive, comprese in un apposito elenco pubblicato dal Ministero della

Sanità oppure nei casi in cui il cadavere presenti già segni di iniziata

putrefazione, oppure quando altre ragioni speciali lo richiedano, su proposta

del coordinatore sanitario dell’A.s.s.l., il Sindaco può ridurre la durata

dell’osservazione a meno di 24 ore. Durante tale periodo, il corpo deve essere

posto in condizioni tali che non ostacolino eventuali manifestazioni di vita.

Visita del medico necroscopo

Il Regolamento di Polizia Mortuaria stabilisce che la visita del medico

necroscopo deve essere sempre effettuata non prima di 15 ore dal decesso

salvo i casi particolari che sono previsti dall’art. 8, vale a dire i casi di

decapitazione, di maciullamento, ecc. nonché quelli sottoposti ad

accertamento precoce della morte, e non dopo le trenta ore.

L’accertamento della morte eseguito dall’apposito Collegio medico secondo le

modalità prima indicate esclude ogni ulteriore accertamento da parte del

medico necroscopo e l’obbligo della certificazione della morte, compete al

componente medico-legale o in mancanza a chi è stato designato a

sostituirlo.

Certificato di morte e sepoltura del cadavere

Occorre distinguere il certificato di constatazione del decesso dalla denuncia

delle cause di morte.

Il primo può essere chiesto a qualsiasi medico che abbia prestato assistenza

al morente oppure che sia intervenuto a decesso appena verificatosi. Si tratta

di una attestazione scritta nella quale il medico dà atto dell’avvenuto decesso

e, ove siano riconoscibili, attesta quali siano le cause immediate del suo

verificarsi, le eventuali terapie praticate, ecc.

La denuncia delle cause di morte, sarà obbligatoria solo per chi realmente

conosce la concatenazione causale degli eventi che hanno condotto all’exitus

il paziente. Tale obbligo vale in genere per il medico curante oppure per il

medico necroscopo. Se l’esame esterno del cadavere pone in evidenza segni

certi o sospetti di morte violenta, il medico avrà anche l’obbligo di stilare il

referto e di mettere quindi la salma a disposizione dell’Autorità giudiziaria. È

indispensabile che si sappia fare una corretta diagnosi differenziale tra morte

naturale e morte violenta e che si sappia indicare l’epoca a cui risale l’exitus.

Va infine segnalato che il medico può trovarsi di fronte a parti di cadavere

oppure a resti mortali o ad ossa umane. Chi ne fa la scoperta deve

informarne immediatamente il Sindaco, il quale ne dà subito comunicazione

all’Autorità Giudiziaria, a quella di Pubblica Sicurezza ed all’azienda u.s.l.

incarica dell’esame del materiale rinvenuto il medico necroscopo e comunica i

risultati degli accertamenti eseguiti al Sindaco ed alla stessa Autorità

Giudiziaria affinché questa rilasci il nulla osta per la sepoltura.

Ad eccezione dell’ipotesi precedenti concernenti il rinvenimento di resti

mortali, l’unica certificazione che abbia valore giuridico ai fini del rilascio

dell’autorizzazione alla sepoltura da parte dell’Ufficiale di Stato civile, è il

certificato di visita necroscopica ovvero la denuncia delle cause di morte. Solo

quando queste risulteranno accertate, il cadavere potrà essere sepolto. Tale

accertamento, che escluda il sospetto di morte violenta, è altresì necessario e

pregiudiziale perché il corpo possa essere cremato, ferma restando in tal caso

la necessità di una specifica disposizione espressa in vita dal defunto e

dell’autorizzazione del Sindaco.

Denuncia sanitaria delle cause di morte

È una denuncia obbligatoria diretta al Sindaco del comune di residenza da

inviare entro le 24 ore dall’accertamento del decesso. Con essa il medico

precisa quali siano state le cause iniziali, intermedie e tardive che a suo

giudizio hanno condotto a morte il proprio assistito. L’obbligo della denuncia

della causa di morte vale anche per i medici che siano stati incaricati di

eseguire autopsia giudiziaria oppure di effettuare un riscontro diagnostico,

disposto dall’Autorità sanitaria. La denuncia deve essere fatta entro le 24 ore

dall’accertamento del decesso su apposita scheda di morte, stabilita dal

Ministero della Salute, d’intesa con l’Istituto Nazionale di Statistica. Al

Comune pervengono sia le schede-denuncia delle cause di morte sia i

certificati del medico necroscopo. Tali ultimi saranno allegati al registro di

morte.

La scheda di denuncia ISTAT comprende due riquadri: uno per la morte

dovuta a causa naturale e l’altro per la morte dovuta a causa violenta. Per

quest’ultima il medico dovrà precisare se si tratta di suicidio o di omicidio o di

accidente o di infortunio sul lavoro. Dovrà quindi saper descrivere la lesione

causale iniziale, le complicazioni sopravvenute, gli eventuali stati morbosi

preesistenti, il mezzo, il modo, il luogo e l’epoca della lesione stessa, quindi

l’intervallo di tempo eventuale intercorso fra il momento del fatto violento e

l’epoca del decesso.

Allorché sussista un dubbio fondato e motivato sulle cause cliniche della

morte, il medico curante oppure il medico necroscopo dovrà chiedere alla

competente Autorità Sanitaria di disporre il riscontro diagnostico.

Il Procuratore della Repubblica cui perviene il referto accerta attraverso un

proprio Perito la causa della morte ordinando l’esame esterno del cadavere

oppure l’autopsia secondo le modalità stabilite dal codice di procedura

penale. Trattandosi di persona sconosciuta, ordina che il cadavere sia esposto

nel luogo pubblico a ciò designato e, all’occorrenza, sia fotografato. Si

eseguiranno le varie indagini occorrenti per la sua identificazione.

La sepoltura in questi casi non può mai essere eseguita senza l’ordine del

Procuratore della Repubblica.

IV capitolo

Esame del cadavere. Sopralluogo giudiziario

Il sopralluogo giudiziario rappresenta inevitabilmente il punto di partenza di

fondamentale importanza ai fini della comprensione dell’evento doloso.

Mentre l’esame sistematico del cadavere eseguito su disposizione dell’Autorità

sanitaria, prende il nome di riscontro diagnostico, l’autopsia è ordinata dal

Magistrato, quando è ritenuta necessaria per l’identificazione del cadavere o

per stabilire la causa, i mezzi, l’epoca e le modalità della morte ai fini del

giudizio di responsabilità.

L’autopsia è considerata un accertamento tecnico non ripetibile. Quindi risulta

fondamentale l’attività del Pubblio Ministero e del suo consulente che dovrà

saper orientare sull’opportunità di promuovere “incidente probatorio”.

L'incidente probatorio è un istituto del diritto processuale penale con il quale

il pubblico ministero e la difesa dell'indagato possono chiedere l'assunzione

anticipata dei mezzi prova nelle fasi precedenti il dibattimento. Anche se è

prescritto durante la fase delle indagini preliminari non ne è escluso il suo

ricorso nell'udienza preliminare - in questo caso competente è il gip che

procede - e nella fase predibattimentale. I presupposti che lo giustificano non

sono da ricercare soltanto nell'irripetibilità del mezzo prova da assumere ben

potendo anche consistere in una mera ragione di opportunità (come accade

nel caso di una perizia che se disposta nella fase dibattimentale per la sua

complessità determinerebbe una sospensione del processo per oltre 60

giorni). Tale richiesta viene avanzata quando la prova riguardi una persona,

una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile

oppure, quando, se la perizia fosse disposta nel dibattimento, ne potrebbe

determinare una sospensione superiore a 60 giorni.

I metodi e le tecniche per stabilire sesso, età razza, statura, e per analizzare

traumi sono utili all’antropologo per capire le differenze verticali e orizzontali

(nel tempo e nello spazio) delle popolazioni mondiali.

Quando gli stessi metodi vengono applicati a resti moderni di soggetti

sconosciuti, con lo scopo di identificare e stabilire una modalità di morte,

allora siamo nell’ambito forense.

Spesso si tende a confondere il medico legale con l’antropologo forense.

Esistono delle differenze di percorso formativo e di campo d’indagine, anche

se la stretta collaborazione delle due discipline si rende necessaria per

ottenere una completezza di risultati.

L’antropologo forense è un esperto delle ossa, dello scheletro.

Il patologo forense è un medico che effettua autopsie con lo scopo di stabilire

una causa di morte, classificata in diversi modi come causa naturale,

accidentale, suicida, omicida, ecc.

Mentre l’antropologo forense focalizza sull’osso, il patologo forense focalizza

l’attenzione sui tessuti molli.

Questo spiega perché si possa incorrere in errori valutativi, quando una

disciplina cerchi di prevaricare l’altra: il medico legale non può improvvisarsi

antropologo e l’antropologo non può sopperire al medico legale.

Il medico legale, l’antropologo e l’odontologo, ad esempio, una volta

effettuati i prelievi sul luogo, necessitano di analisi più approfondite, che

vanno dall’esame autoptico ad una serie di analisi di laboratorio,

generalmente finalizzate a ricostruire un profilo biologico, un’identità

personale quando possibile, una causa di morte ed un’epoca della morte.

I risultati che ne derivano vengono poi tramutati in consulenze tecniche o

perizie, che hanno lo scopo di tradurre al magistrato il dato tecnico

specialistico.

Il Magistrato, proprio per il ruolo che ricopre è, per antonomasia, il “peritus

peritorum”.

Poiché le sue competenze tecniche non gli consentono di portare avanti una

specifica indagine sul quesito da egli stesso formulato, è tenuto a nominare,

per tale compito, un esperto.

Il sopralluogo giudiziario rappresenta inevitabilmente il punto di partenza di

fondamentale importanza in un’inchiesta di polizia.

E’ un momento di collaborazione tra magistratura, polizia giudiziaria e

medicina legale.

Il proposito dell’investigazione sulla scena del crimine è quello di stabilire

cosa sia successo (ossia ricostruire la scena del crimine) e identificare la/e

persona/e responsabili.

Ciò è possibile documentando le condizioni del luogo di ritrovamento e

riconoscendo tutte le evidenze fisiche.

Un esperto non deve trarre delle conclusioni affrettate basandosi solo su

informazioni approssimative, ma deve prendere in considerazione una serie

ipotesi di modalità di reato, non scartando quelle possibili: “qualsiasi

elemento, come pure l’assenza di elementi, può costituire una prova”.

Lo scopo dell’investigazione si estende anche alla considerazione degli episodi

connessi al decesso (suicidio/ autodifesa) e alla documentazione di quegli

elementi che supportano o confutano tali ipotesi.

Riscontro diagnostico e autopsia giudiziaria

L’indagine autoptica si effettua tutte le volte che il Magistrato le richiede.

Secondo la raccomandazione del Consiglio della Comunità Europea n. R (99)3

le autopsie dovrebbero essere effettuate in tutti i casi di morte non naturale,

certa o sospetta, anche se sia trascorso un certo tempo tra l’evento reputato

responsabile sotto il profilo causale e il decesso. Essa va effettuata:

-nei casi di omicidio certo o sospetto;

-nei casi di suicidio;

-nei casi di morte improvvisa;

-nei casi di sospetta violenza dei diritti umani;

-nei casi di morte iatrogena o in rapporto a “mal practice” professionale;

-incidenti stradali;

-infortuni sul lavoro;

-malattie professionali;

-incidenti domestici;

-catastrofi naturali o tecnologiche;

-morte in condizione di detenzione carceraria o in rapporto ad azioni di

polizia;

-cadaveri non identificati o resti scheletrici.

Il riscontro diagnostico è disciplinato dall’art. 37 del Regolamento di Polizia

mortuaria (DPR 10 settembre 1990, n. 285). Esso viene eseguito quando si

tratta di accertare le cause della morte nel caso di cadavere di persone

decedute senza assistenza medica, trasportati in un ospedale o in un obitorio

o in un deposito di osservazione o nel caso di cadaveri di persone decedute in

ospedali, Cliniche universitarie o negli Istituti di cura privati, tutte le volte che

lo dispongano i rispettivi direttori sanitari, primari o medici curanti per il

controllo della diagnosi o per il chiarimento di quesiti clinico-scientifici.

Esame esterno del cadavere

Le principali finalità dell’indagine sono sostanzialmente le seguenti:

-accertare l’identità del cadavere;

-stabilire l’epoca della morte;

-precisare la causa del decesso e quindi:

• descrivere i segni esteriori di lesività ed i vari reperti traumatologici

senza modificare lo stato fisico del cadavere;

• obiettivare eventuali reperti morbosi in atto all’epoca del decesso,

ovvero consolidati (esiti di malattie pregresse).

A parte i dati concernenti la statura, il peso, il sesso, l’età apparente, la forma

del cranio, il colore dei capelli, il carattere dei peli, la presenza dei nei, di

cicatrici, di deformazioni ossee, si prenderà nota delle eventuali lesioni,

antiche o recenti, dei materiali estranei presenti sul corpo come tracce di

sangue e di altre macchie sospette, di capelli, di peli, ecc.

Esame degli organi interni

Le finalità dell’indagine in ambito medico-legale sono quelle di mettere in

evidenza tutti i reperti anatomo-patologici (macro e microscopici) utili ai fini

della identificazione personale, dell’accertamento dell’epoca della morte e

della causa mortis. La dissezione va sempre effettuata con sistematicità e

dopo aver compreso il significato dei quesiti a cui occorre rispondere. Vanno

evitate mutilazioni inutili e la salma va ricomposta in ogni caso in modo

soddisfacente così da essere restituita alla pietà dei congiunti.

Solitamente si procede aprendo dapprima la cavità cranica, poi quella

toracica, quindi il collo, la cavità addominale, il bacino e gli arti. Occorre

essere preparati in anticipo a raccogliere campioni dei vari liquidi corporei

quali il sangue, l’urina, il contenuto gastrico ed intestinale, il liquido cerebro

spinale, la bile, ecc. nonché frammenti di organi o tessuti.

Prima che un organo venga tagliato o ripulito in acqua occorre farne una

preliminare, accurata ispezione precisandone la forma, il volume, i diametri, il

peso, il colorito, l’aspetto della superficie, degli involucri, la consistenza, ecc.

Diagnosi differenziale fra lesioni vitali e post mortali

A volte, nello studio medico-legale del cadavere e delle cause della morte ci si

trova di fronte alla necessità di distinguere se determinate lesioni siano state

prodotte in vita oppure se siano state prodotte dopo la morte. I segni che

depongono per il carattere pre-mortale o vitale della lesione sono:

-reazione flogistica a carico dei margini della ferita, con aspetti di diverso

tipo, anche in base al tempo trascorso dal momento di produzione della

lesione, sino all’instaurarsi dei processi di granulazione e di cicatrizzazione;

-infiltrazione leucocitaria in corrispondenza dei margini della ferita;

-infiltrazione leucocitaria perivascolare;

-infiltrazione emorragica.

Giudizio conclusivo sulla causa mortis

A seconda delle cause che la provocano si parla distintamente di:

• morte naturale: se il decesso rappresenta la naturale conclusione del

processo di malattia;

• morte improvvisa: quando il decesso si verifica in modo istantaneo o

rapido, inatteso od inopinato rispetto alle condizioni cliniche preesistenti

al decesso;

• morte iatrogena: ci si riferisce in genere a quei decessi nella cui genesi

assumono importanza fattori legati al trattamento medico o chirurgico

instaurato, a reazioni dannose o tossiche o allergiche ai farmaci

somministrati ecc.;

• morte violenta: se il decesso è causato dal comportamento violento di

terzi oppure della persona su se stessa (omicidio, suicidio, accidente).

Luogo della morte e indagini di sopralluogo

Le indagini di sopralluogo sono tutte quelle che vengono effettuate sullo

stesso luogo del ritrovamento del cadavere o dove si suppone sia stato

commesso un delitto il medico incaricato di effettuarle deve rispettare tre

regole fondamentali:

1. analizzare la scena del delitto, rilevando analiticamente e con il

massimo scrupolo i vari dati ambientali. Potrà essere di grande utilità il

rilievo di eventuali impronte di piedi, di tracce di veicoli o di sangue o di

altri liquidi biologici come sperma, saliva, feci meconio, latte, ecc.

oppure il rinvenimento di capelli, peli, ecc. o di oggetti di particolare

significato criminologico come armi da fuoco, da taglio, ecc. Si valuterà

se sono presenti segni di colluttazione, quale sia l’ubicazione della

vittima in rapporto al luogo ove si trova, quale l’atteggiamento dei vari

segmenti corporei, lo stato delle vesti, segni di bavagli, di legature ecc.

2. registrare i dati obiettivati mediante appunti, disegni, fotografie,

schemi, ecc.

3. non modificare la scena del delitto senza che siano state

completamente effettuate le indagini preliminari necessarie. Completato

il sopralluogo, il corpo potrà essere traslato all’obitorio per l’esame

settorio.

VI capitolo Epoca della morte e modificazioni tanatologiche del cadavere

I segni della morte considerati in rapporto al tempo, possono distinguersi in:

- immediati: cessazione definitiva delle funzioni respiratoria,

cardiocircolatoria e nervosa;

- consecutivi: raffreddamento, rigidità, ipostasi, disidratazione,

acidificazione;

- trasformativi: sia distruttivi, sia conservativi: putrefazione,

macerazione, mummificazione, saponificazione.

Raffreddamento del cadavere

Subito dopo il decesso, la temperatura del corpo diminuisce sino a

raggiungere l’equilibrio con quella ambientale. Il decremento termico non

segue però le comuni leggi fisiche, poiché, anche dopo la morte, si verificano

processi biochimici capaci di produrre calore.

Tali processi sono più intensi nelle fasi che seguono immediatamente l’exitus;

poi si riducono gradualmente mano a mano che trascorre più tempo dal

momento della morte.

Si possono distinguere:

- fase di discesa lenta: durante le prime quattro ore. La temperatura

decresce di circa mezzo grado l’ora;

- fase di discesa rapida: durante le successive dieci ore. La

temperatura decresce di circa un grado l’ora;

- fase di nuova discesa lenta: fra la quindicesima e la ventiquattresima

ora dal momento del decesso. La temperatura scende dapprima di

tre quarti di grado per ora, sino a raggiungere la temperatura

ambientale. A causa dell’evaporazione post-mortale, la temperatura

del corpo si abbassa ulteriormente di circa mezzo grado – un grado

rispetto a quella esterna;

- fase dell’equilibrio termico: oltre la ventiquattresima ora.

Rigidità cadaverica

Il rigor mortis consiste nell’irrigidimento dei muscoli volontari e involontari,

che si manifesta dopo una fase di iniziale flaccidità post-mortale. Diventano

rigide dapprima le palpebre, circa due, tre ore dopo il decesso.

Successivamente il rigor si estende ai muscoli mimici del volto, quindi al resto

della muscolatura della testa e del collo, del tronco, dell’addome, degli arti

inferiori e dei piedi.

Generalmente il processo si completa in un intervallo di tempo compreso fra

le otto e le dodici ore seguendo un ordine cranio-caudale.

Raggiunge il massimo fra le trentasei e le quarantotto ore dopo la morte ed

inizia a regredire man mano che l’autolisi distrugge le proteine muscolari.

La rigidità cadaverica consiste essenzialmente in un processo post-mortale di

gelificazione dell’actomiosina con conseguente retrazione della fibra

muscolare. Il muscolo rimane in stato di contrattura sino a che non iniziano i

fenomeni putrefattivi e più precisamente la distruzione autolitica dei ponti

gelificati di actomiosina.

Ipostasi

Venuta meno l’energia presso ria prodotta dalle contrazioni del cuore, il

sangue si raccoglie nelle parti declivi, sotto la spinta della forza di gravità e

della funzione vasale residua. Le ipostasi indicano la posizione assunta dal

corpo dopo la morte e concorrono con altri dati a stabilire l’epoca del

decesso. Le ipostasi indicano la posizione assunta dal corpo e concorrono con

altri dati a stabilire l’epoca del decesso.

Talora possono fornire utili indizi circa a stessa causa di morte.

Quando il cadavere assume una posizione supina, le macchie ipostatiche sono

situate alla nuca, sul dorso e sulla faccia posteriore degli arti, nella posizione

prona, sono situate invece sulle ragioni anteriori o ventrali; nel decupido

laterale sono situate sull’emifianco di decupido, ad eccezione dei punti di

appoggio. Si parla di ipostasi anti-gravitarie quando si formano in zone non

declivi, per ostacolo al deflusso ematico verso le regioni declivi. Talora si

costituiscono grazie alla cosiddetta pseudo circolazione post-mortale causata

dalla rigidità dei muscoli, che può spingere il sangue nelle sedi a monte,

oppure dall’aumento putrefattivi della pressione endoaddominale.

In rapporto al tempo si distinguono diverse fasi. In linea generale quando

ancora non si vedono ipostasi sul corpo, possiamo supporre che siano

trascorse meno di due ore dal momento della morte. Dalla seconda, terza ora

in poi e sino alle dodici ore successive, le macchie aumentano d’intensità. Si è

soliti distinguere:

- fase di migrabilità assoluta o totale: movendo il cadavere, le

ipostasi possono spostarsi completamente dalla prima sede e

ricomparire nella nuova diventata declive. In questo caso si può

pensare che siano passate 6-8 ore dal momento della morte;

- fase di migrabilità parziale: movendo il cadavere le macchie

ancora si spostano, ma solo parzialmente. Perciò accanto alle

ipostasi si producono nuove piccole macchie, mentre le prime si

attenuano d’intensità pur senza scomparire. In questo caso

possiamo pensare che siano trascorse 8-12 ore dal momento del

decesso;

- fase di fissità relativa: può essere considerata estesa dalla

dodicesima sino alla quarantottesima o settantaduesima ora circa.

Le macchie possono ancora scomparire o spostarsi dalla posizione

originaria, ma solo esercitando un’azione presso ria locale più o

meno intensa;

- fase di flessibilità assoluta: dopo le 48-72 ore dal momento della

morte, la macchia ipostatica non è più spostabile. Ciò si verifica

per la diffusione dei pigmenti ematici attraverso le pareti vasali

interessate dal fenomeno putrefattivi.

Le ipostasi sono di colorito rosso-violaceo. Possono assumere in colorito rosso

ciliegia nell’avvelenamento di ossido di carbonio; un colore rosso vivo

nell’avvelenamento da cianuro, un colorito bruno caffè nelle morti causate da

veleni metaemoglobolizzanti (vapori nitrosi, anilina, ecc.). Il colorito diventa

verdastro nello stadio colorativi della fase putrefattiva per formazione di

solfo-emoglobina. Hanno un colorito assai pallido e sono estremamente

scarse nelle morti per shock emorragico.

Disidratazione

Anche l’evaporazione ed il conseguente disseccamento post-mortale sono più

o meno rapidi ed intensi a seconda dei vari fattori estrinseci (temperatura,

ventilazione, umidità) ed intrinseci (costituzione, peso, condizioni del

pannicolo adiposo sottocutaneo, sottigliezza della cute, ecc.).

Una disidratazione cadaverica rapidissima quale può verificarsi in climi assai

asciutti, caldi e ventilati può esitare in uno stato di mummificazione naturale.

La disidratazione cadaverica assume aspetti particolarmente evidenti a livello

oculare:

- tela di Winslow (velo corneale) ovvero opacamento corneale;

- macchie sclerali;

- infossamento del bulbo e riduzione della tensione endoculare:

segno di Louis.

Acidificazione

È dovuta sostanzialmente all’accumulo di acido lattico provocato dalla

cessazione dei meccanismi ossido riduttivi a livello cellulare. L’accumulo di

cataboliti acidi può essere studiato a livello di:

-liquidi organici;

-visceri interni;

-umor acqueo e umor vitreo.

I risultati non sono univoci e per tale motivo i dati che ne derivano non sono

generalmente utilizzabili ai fini della valutazione dell’epoca della morte.

Putrefazione

Man a mano che ci si allontana dal momento della morte, i vari tessuti del

corpo vanno incontro ad un progressivo sfacelo per l’azione di microrganismi

saprofiti (batteri aerobi e anaerobi), che vengono a sommare i loro effetti a

quelli dei fermenti autolitici. L’andamento della putrefazione segue

generalmente la regola dell’1.2.8 esposta a suo tempo da Camper: il grado di

putrefazione di un cadavere esposto all’aria da una settimana (1),

corrisponde a quello raggiunto in due settimane dall’annegato (2) e in otto

settimane dal cadavere inumato (8).

La mancanza d’aria, l’assenza di microrganismi, le temperature basse o molto

elevate, l’atmosfera secca ed asciutta, o per converso l’emersione in acque

fredde, oppure l’interramento tendono a rallentare notevolmente la

degradazione del cadavere.

Tra i fattori intrinseci più importanti che possono la maggiore rapidità del

processo putrefattivi, a parte l’età, sono da annoverare soprattutto le cause

infettive della morte e l’obesità.

A seconda del tempo trascorso rispetto al momento del decesso si

distinguono:

- periodo colorativo contraddistinto dalla cosiddetta macchia verde

putrefattiva che compare verso il secondo o terzo giorno dopo la

morte ad una temperatura ambientale di 20°C;

- periodo gassoso inizia verso il terzo, quarto giorno, in inverno

entro 15-20 giorni dal momento del decesso;

- periodo colliquativo si rende ben manifesto in estate verso il 2°

mese, in inverno solo dopo 4 mesi o più dalla morte. Il cadavere

viene aggredito da parte di germi aerobi e anaerobi;

- periodo della scheletrizzazione si completa in genere dopo 3-5

anni.

È più precoce nei cadaveri interrati. Più tardivo nei cadaveri sepolti in

cassa di zinco.

Saponificazione Adipocera

È un processo trasformativo che si verifica nei cadaveri esposti ad elevata

umidità ambientale e scarsa ventilazione o che restano per molto tempo in

acqua.

Si tratta generalmente di soggetti morti per annegamento e rimasti in acqua

oppure di cadaveri sommersi o di corpi inumati in terreno umido, come

avviene nel caso di superficialità della falda freatica.

La saponificazione non è sempre preceduta da un certo grado di putrefazione

del cadavere.

Esternamente l’adipocera si presenta come una massa bianca, saponosa, di

consistenza friabile oppure più o meno dura e compatta, untuosa, viscida, dal

tipico odore di formaggio o rancido.

Si forma una specie di corazza untuosa che sembra fatta di calce o di lardo

che circonda tutto il corpo del cadavere.

Essa quando si verifica è ben evidente già dopo sei mesi dalla morte.

Mummificazione

Quando il processo putrefattivi si arresta negli stadi iniziali, essendo il

cadavere posto in ambiente asciutto, assai caldo e ben ventilato, il corpo va

incontro ad una rapida e massiva perdita di liquidi. È in queste condizioni che

si verifica il fenomeno di mummificazione più frequente nel caso di soggetti

magri. Il corpo assume un colorito bruno, pergamenaceo, a tipo cuoi vecchio,

a differenza di quello lucente, tipico della codificazione: varietà di processo

trasformativo che può osservarsi fra il 1° e il 2° anno di inumazione nei

cadaveri rimasti in casse metalliche ermeticamente chiuse, specie se di zinco.

In condizioni favorevoli il processo può completarsi anche entro un anno dalla

morte.

Macerazione

Per macerazione si intende il processo trasformativo cui va incontro il feto in

caso di morte in utero e di mancata o ritardata espulsione, dovuto

prevalentemente ad azione di enzimi autolitici.

Corificazione

La codificazione è il processo trasformativo dei cadaveri nelle casse di zinco.

Avviene più lentamente nel tempo rispetto ai cadaveri inumati.

La cute assume un caratteristico aspetto di “cuoio recente” e sul fondo della

cassa è dato di osservare per molto tempo una certa quantità di liquame

cadaverico.

Bibliografia

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