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FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIACORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA
Dipartimento di Medicina Interna e SpecialisticaServizio di Malattie Infettive ed Epatiti Virali
TESI SPERIMENTALE DI LAUREA
Infezioni da HBV, HCV ed HIV in una
popolazione di immigrati: studio osservazionale condotto attraverso sorveglianza attiva sul
territorio
Relatore: Candidata: Ch.mo Prof. Agostina Pontarelli Giovanni Battista Gaeta Matr. N° 824/1548
Hanno partecipato, inoltre, alla realizzazione del lavoro:
G . Stornaiuolo, V. Cuniato, G. Cuomo, E. Nocera, G. Brancaccio, M. De Rosa, G. Grasso, G. Danzi, A. Grossi, RF. Natale
1
Indice
Immigrazione e società…………………………………2
HBV e immigrazione……………………………………10
HCV e immigrazione……………………………………14
HIV e immigrazione ……………………………………17
Lavoro sperimentale……………………………………20
Scopo del lavoro …………………………...20
Pazienti e metodi…………………………...20
Risultati……………………………………..22
Discussione………………………………….32
Bibliografia ………………………………………………37
2
Immigrazione e società
Sin dalla metà degli anni ’80 i paesi industrializzati del Mediterraneo
sono stati raggiunti da importanti flussi migratori di persone che,
motivate dalle condizioni precarie di vita nei loro paesi di origine,
intraprendevano viaggi spesso molto rischiosi con la speranza di ottenere
condizioni di vita migliori, benessere e libertà.
L’ Italia si è trasformata così da paese di emigrazione in una delle
destinazioni preferite di immigrazione, trovandosi a dover affrontare i
problemi e i cambiamenti sociali, culturali, economici e sanitari che
derivano da un’immigrazione stagionale, temporanea o permanente. E’
un fenomeno in continuo aumento nonostante si collochi in un contesto
di profonda crisi economica ed occupazionale.
In Italia, all’inizio del 2010, secondo la stima del Dossier statistico
pubblicato dalla Caritas, il numero degli immigrati è di 4 milioni e 919
mila (un immigrato ogni 12 residenti, 684 mila in più rispetto alle
statistiche Istat). Il flusso migratorio è stato così elevato da superare
abbondantemente le previsioni dell’Istat relative ad un incremento
massimo di 250 mila stranieri l’anno. L’aumento dei residenti è stato di
3
circa 3 milioni di unità nel corso dell’ultimo decennio, durante il quale la
presenza straniera è pressoché triplicata, e di quasi 1 milione nell’ ultimo
biennio.1
La collettività più numerosa è quella romena, con poco meno di un
milione di presenze (quasi 900mila residenti); seguono albanesi e
marocchini, quasi mezzo milione, mentre cinesi e ucraini sono quasi
200mila. Gli europei sono la metà del totale, gli africani poco meno di
un quinto e gli asiatici un sesto mentre gli americani incidono per un
decimo. Le donne rappresentano circa il 51,3% ,con la punta massima
del 58,3% in Campania e quella più bassa in Lombardia (48,7 %) e a
Ragusa (41,5%)1.
A questi dati va aggiunta la presenza difficilmente quantificabile degli
immigrati irregolari. Una stima approssimativa (quantificabile a circa
mezzo milione)1 si può ottenere riferendosi alle significative cifre delle
pratiche di regolarizzazione conseguenti all’applicazione della Legge
Bossi-Fini : nel 2008 è stato varato l’ ultimo decreto flussi per lavoratori
dipendenti ( 150mila persone), mentre nel 2009 è seguito un decreto
flussi solo per gli stagionali(80mila unità) e infine nel mese di settembre
2009 è stata approvata la regolarizzazione degli addetti al settore
domestico e di cura della persona( 295mila domande presentate).1
4
A livello territoriale l’insediamento è prevalente nel Nord e nel Centro
Italia, ma anche il Meridione è coinvolto nel fenomeno, rappresentando,
oltre che il punto di arrivo in attesa di una ridistribuzione territoriale in
base alle opportunità di lavoro, un’area privilegiata per l’insediamento di
alcune collettività (è il caso degli albanesi in Puglia, degli ucraini in
Campania o dei tunisini in Sicilia)1.
Gli immigrati producono ricchezza, incidendo per l’11,1% sul prodotto
interno lordo e pagando 7,5 miliardi di euro di contributi previdenziali,
ma non sono da sottovalutare le condizioni di profondo disagio,
sfruttamento e povertà alle quali siano sottoposti nella maggior parte dei
casi: si stima che tra i circa 200milioni di migranti nel mondo ben
12,3milioni siano vittime di sfruttamento lavorativo e 1,4milioni vittime
di sfruttamento sessuale1. L'Organizzazione mondiale per le migrazioni
(OIM) parla di circa 500mila donne, che ogni anno sono vittime di
traffico prevalentemente per lo sfruttamento sessuale, immesse nel
mercato dell'Europa Occidentale. Ma sarebbero almeno 2,7 milioni,
secondo le Nazioni Unite, le vittime di tratta, di cui l'80% è costituito da
donne e minori, che vengono venduti annualmente nel mondo ai fini
della prostituzione, della schiavitù o del matrimonio. Circa la metà sono
bambine tra i 5 e i 15 anni. Buona parte arriva in Europa Occidentale,
provenienti dai Paesi dell'Est. E una grossa percentuale, almeno per
5
quanto riguarda l'Italia, dalla Nigeria. Si tratta, tuttavia, di dati
approssimativi e incerti, vista la complessità del fenomeno e la natura
clandestina e illegale del traffico, nonché la sua generale “invisibilità”.
Per gli immigrati continua ad essere difficoltoso l’accesso ai servizi.
Tra la popolazione immigrata regolare solo il 68% è iscritto al Servizio
Sanitario Nazionale, come si rileva dal secondo rapporto del Ministero
dell’Interno sui consigli territoriali. I contatti con i presidi sanitari sono
effettuati solo in caso di eventi eccezionali pertanto il contatto con
strutture di volontariato che agiscono sul territorio, spesso con l’ausilio
di mediatori culturali, rappresenta uno strumento insostituibile per un
approccio epidemiologico e clinico ai problemi di salute di una grossa
fetta di immigrati. La valutazione del loro stato di salute è tutt’ora
ostacolata dalla mancanza di un sistema unico di sorveglianza e ancor di
più dalla presenza di un elevato numero di clandestini che non accedono
al servizio sanitario.
E’stato stimato che la maggior parte degli immigrati al momento della
partenza dal loro paese d’origine non abbiano particolari problemi di
salute definendo quello che viene indicato come “effetto migrante sano”2
cioè una sorta di autoselezione per cui decide di partire solo chi è in
buone condizioni fisiche, chi è forte, giovane, con più spirito di
iniziativa, più stabilità psicologica, in una parola più sano, tenendo
6
presente che il proprio corpo, insieme alla capacità lavorativa, è l’ unico
mezzo di scambio, almeno inizialmente, che si ha con la nuova società.
Una buona salute rappresenta l’unica certezza su cui investire il proprio
futuro e quello della famiglia, spesso in attesa nel paese d’ origine. E’
comunque molto probabile che gli stessi siano stati esposti a malattie
endemiche nel loro paese che potrebbero aver lasciato conseguenze.
Questi potenziali problemi di salute sono strettamente correlati alle
specifiche aree di origine cosi da non poter definire un unico “tipo di
immigrato” dal punto di vista clinico, sociale, economico e
antropologico3. Altre differenze che complicano questa
stereotipizzazione emergono dopo l’ arrivo nel paese di destinazione e
sono strettamente correlate alla tipologia di vita e di lavoro intrapreso
tanto da poter individuare dei veri e propri “fattori di rischio”: il
malessere psicologico legato alla condizione d'immigrato, la mancanza
di lavoro e reddito, la sottoccupazione in lavori rischiosi e non tutelati, il
degrado abitativo in un contesto diverso dal paese d'origine, l'assenza del
supporto familiare, il clima e le abitudini alimentari diverse, che spesso
si aggiungono a una condizione di status nutrizionale compromesso, la
discriminazione nell'accesso ai servizi sanitari.
Compaiono, in tal modo, quelle che possono essere definite malattie da
disagio o meglio malattie da degrado: patologie da raffreddamento con
7
continue recidive, da cattiva alimentazione, malattie traumatiche, da
aggressioni o accidentali; disturbi acuti delle vie aeree, dell'apparato
digerente, del sistema osteo-articolare ma anche di interesse genito-
urinario, odontostomatologico, dermatologico. Inoltre, si possono
individuare delle malattie ancora non specifiche dell'immigrato ma
indicanti uno stato di estrema emarginazione: sono le malattie della
povertà propriamente dette, e cioè la scabbia, la pediculosi, alcune
affezioni micotiche, virali e veneree4.
Il sistema di sorveglianza sulle malattie sessualmente trasmesse (STD)
dell’ Istituto Superiore di Sanità ha rilevato in soggetti stranieri un
aumento del 10% di nuovi casi, con patologia acquisita in Italia nell’
80% dei casi. Quindi sebbene siano numerose le patologie infettive
riscontrate nei soggetti immigrati è da sottolineare come siano ristretti ad
una piccola percentuale i casi di malattie infettive tropicali il che è utile
per indicare che il diffuso pregiudizio che li vede portatori di malattie
infettive dai loro paesi d’origine non sia fondato5.
All’ interno del Mezzogiorno, la Campania è la regione che accoglie il
maggior numero di immigrati: la stima complessiva degli stranieri
oltrepassa le 100.000 unità (147.057 secondo i dati Istat), con più di 150
nazionalità rappresentate.
8
Si tratta di un numero elevato anche nel contesto nazionale, all'interno
del quale la Campania si pone in settima posizione, aggiungendosi alle
altre 6 Regioni italiane (nell'ordine Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia
Romagna, Piemonte e Toscana) che accolgono più di 100.000 stranieri.
La provincia di Napoli, poi, conserva un primato ospitando, da sola,
circa il 45% del totale degli immigrati residenti nella Regione e uno
straniero su quattro vive nel Capoluogo che, oltre ad offrire svariate
possibilità lavorative nel campo soprattutto del commercio, grazie al
porto e alla stazione ferroviaria, rappresenta un importante snodo di un
flusso migratorio significativo. Inoltre, rappresenta anche un punto di
passaggio obbligato per tutti coloro che vivono e lavorano nella Regione,
poiché da Napoli parte una rete di collegamenti che raggiunge anche i
paesi più interni.
Dopo Napoli, sono le province di Caserta e Salerno ad ospitare il
maggior numero di stranieri mentre Avellino e Benevento, pur
registrando un significativo incremento, si attestano ancora su cifre
modeste. In realtà, un ruolo importante all'interno della Regione è svolto
da una miriade di Comuni, piccoli e grandi, che offrono agli immigrati
lavoro e abitazioni a costi relativamente contenuti. L'hinterland tra
Napoli e Caserta accoglie molti lavoratori stranieri. Sul versante
partenopeo Giugliano, Melito, Villaricca, Afragola e Arzano offrono
9
occupazione nei comparti tradizionali: calzaturiero, imballaggi, edilizia.
Nel casertano, sono Aversa e i Comuni dell'agro a richiamare
manodopera immigrata, soprattutto per le produzioni ortofrutticole. Allo
stesso modo, i Comuni della cintura vesuviana tra Napoli e Salerno,
lungo la direttrice Sud, offrono impiego nel comparto tessile a
Sant'Anastasia, Ottaviano, San Sebastiano al Vesuvio e nell'agricoltura e
nella zootecnia ad Angri, Scafati, Eboli, Battipaglia e Capaccio.
Figura 1. Regione Campania. L’area di reclutamento del nostro campione, Castel Volturno, è indicata con una freccia.
10
HBV e immigrazione
L’infezione da virus dell’epatite B è diffusa in tutto il mondo. Secondo
l’OMS circa un terzo della popolazione mondiale ha contratto l’infezione
e 350milioni sono i portatori cronici dell’antigene di superficie
dell’epatite B( HBsAg)6.
In base agli studi di prevalenza di HBsAg si distinguono:
Aree ad alta endemia (HBsAg >8%; anti-HBc:70-90%) :Africa
Sub-Sahariana; Repubbliche dell’Asia centrale; Cina e Mongolia;
Sud-Est asiatico; isole del Sud Pacifico; bacino dell’Amazzonia;
Groenlandia, Alaska occidentale, Canada settentrionale.
Aree ad endemia intermedia (HBsAg:2-7%; anti-HBc:22-
55%) : alcuni paesi dell’Europa meridionale e altri paesi della
sponda africana del Mediterraneo; Russia, Europa orientale,India-
Asia del Sud-ovest, aree dell’America del Sud che circondano il
bacino dell’Amazzonia e parte dell’America Centrale
Aree a bassa endemia (HBsAg<2%; antiHBc<20%): Europa
settentrionale, occidentale e centrale (compresa l’Italia); la
maggior parte del Nord America, parte dell’America Latina,
Australia, Nuova Zelanda.7
11
Dal 1982 è disponibile un vaccino efficace contro l’HBV adottato,
secondo una stima che risale a dicembre 2007, da 171 paesi che lo hanno
introdotto tra le vaccinazioni obbligatorie nel programma di
immunizzazione infantile6. L’attuazione di programmi di vaccinazione
con un’alta percentuale di copertura, come anche cambiamenti sociali,
stanno spostando molte popolazioni considerate ad alta endemia verso
un livello intermedio di endemicità. Sfortunatamente una buona
copertura di vaccinazioni è ancora carente proprio dove vi è maggiore
necessità, in particolare nella maggior parte dell’Africa Sub Sahariana.
Nei paesi a bassa endemia i casi di epatite B riportati annualmente sono
1-3 ogni 100.000; di sicuro i casi denunciati sottostimano la vera
incidenza dal momento che non sono riportate le infezioni asintomatiche,
ma comunque in questi paesi la trasmissione di HBV è rara nei bambini
e nei ragazzi grazie all’adozione di misure di prevenzione come quelle
per evitare la trasmissione perinatale e la vaccinazione durante l’infanzia
e grazie anche alla bassa probabilità di contatto durante la fanciullezza.
La maggior parte delle infezioni ricorrono dopo i 15 anni e sono dovute
principalmente a contatti sessuali e abuso di droga e.v., cosi che
l’incidenza è più alta nei maschi che nelle femmine8.
Per quanto riguarda l’Italia, che rientra tra i paesi con basso livello di
endemia, nel corso degli ultimi 30 anni, l’epidemiologia dell’epatite B ha
12
subito notevoli cambiamenti grazie al miglioramento delle condizioni
socio-economiche e sanitarie, alla riduzione della circolazione intra-
familiare, alla maggiore conoscenza sulle vie di trasmissione ed a una
migliore prevenzione, oltre che alla campagna educativa sull’infezione
da HIV, le cui modalità di trasmissione sono comuni ad HBV9.
L’introduzione della vaccinazione obbligatoria antiepatite B di tutti i
nuovi nati e dei dodicenni dal 1991 ha fornito un ulteriore impulso alla
riduzione della circolazione di HBV contribuendo a consolidare un trend
in discesa che è risultato più marcato nelle fasce di età tra i 15 e i 24 anni
e nei residenti al sud Italia10. Secondo i dati del Servizio Epidemiologico
Integrato dell’Epatite Virale Acuta (SEIEVA), l’incidenza dell’epatite
acuta B in Italia si è progressivamente ridotta ed è attualmente di 1 caso
per 100.000 abitanti. I nuovi casi di epatite B riguardano quasi
esclusivamente i soggetti adulti, nei quali la trasmissione dell’infezione
si verifica per lo più per via sessuale11. A causa del progressivo calo delle
nuove infezioni il numero dei portatori cronici di HBV sembra essere in
costante decremento12, con una prevalenza intorno all’ 1,5%.
La continua migrazione di lavoratori e popolazioni da paesi ad endemia
intermedio/alta, però, ha determinato l’arrivo nel nostro paese di un
numero crescente di portatori cronici di HBV. Sulla base dei dati
presenti in letteratura si può ipotizzare che durante gli ultimi 10 anni
13
siano arrivati in Italia almeno 250.000 immigrati portatori cronici di
HBV. Questo flusso potrebbe portare ulteriori cambiamenti
nell’epidemiologia di tale infezione che potrebbero tradursi in un
potenziale incremento di casi soprattutto tra la popolazione locale non
immune. Parte della popolazione adulta, infatti, tutt’oggi, non risulta
coperta dalla vaccinazione: il 40-50% degli individui che si sottopone
alla vaccinazione volontaria non conclude il ciclo di tre iniezioni, a ciò si
aggiunge il fatto che circa il 5% dei soggetti sani che ricevono le tre dosi
di vaccino non sviluppano una immunità protettiva nei confronti
dell’HBV (“non responder”) rimanendo comunque vulnerabili
all’infezione13.
Un aspetto da non tralasciare sono le diverse caratteristiche
demografiche, sierologiche e virologiche del portatore di HBV
immigrato rispetto a quelle dei portatori autoctoni. Il portatore immigrato
è infatti più giovane, presenta più frequentemente un’epatite HBeAg
positiva e un’infezione sostenuta da genotipi di HBV diversi dal
genotipo D dominante nella nostra area geografica14. Questo diventa
rilevante dal punto di vista terapeutico dal momento che il genotipo
virale influenza la risposta alla terapia antivirale e in particolare
all’interferone.
14
HCV e immigrazione
Secondo una stima dell’OMS l’infezione da HCV coinvolgerebbe circa
140milioni di persone, il 2,2% della popolazione mondiale15 16, la
maggior parte delle quali sono collocate nelle regioni dell’ovest del
Pacifico, del Sud-Est Asiatico, in Africa e nei paesi del Mediterraneo
dell’Est.
I paesi con la più alta diffusione registrata sono Africa e Asia.
In Africa, l’Egitto ha la percentuale di prevalenza più alta (>20%);
nell’Africa Sub-Sahariana, i paesi con maggiore prevalenza sono il
Cameroon(13,8%), il Burundi (11,3%) e il Gabon(9,2%)17.
In Asia la più alta prevalenza di HCV è stata riscontrata a Taiwan
(17%), in Mongolia ( 16%), in Pakistan(4.6%). In Cina e India, i due
paesi Asiatici che detengono un quinto della popolazione mondiale
ognuno, la prevalenza registrata è rispettivamente del 3.2% e 0.9% . In
Giappone, nella popolazione media è stato registrato una percentuale di
prevalenza del 2%, sebbene ci siano comunità iperendemiche con un
tasso più alto del 15%13.
In Italia, non è stato compiuto nessuno studio su un campione
rappresentativo dell’intera popolazione italiana. Le stime sulla diffusione
15
dell’HCV tra la popolazione sono state ottenute attraverso studi di
prevalenza condotti in diverse aree del Paese. Secondo questi studi, la
prevalenza di anti-HCV varia tra il 3% e il 26%18 19 20 21, mostrando un
progressivo aumento con l’età (un aumento nei soggetti nati prima del
1950) e una tendenza verso tassi più alti nelle regioni del Sud e nelle
isole maggiori(Sicilia e Sardegna) piuttosto che nelle regioni del Centro
e del Nord. Così in Italia il contagio mostra un percorso epidemiologico
diverso rispetto agli atri paesi dell’Occidente, perché in questi ultimi la
prevalenza dell’infezione da HCV è più alta nei giovani adulti che negli
anziani, mentre in Italia è vero l’opposto8. Si considera che la
prevalenza di soggetti HCV positivi in Italia sia di circa il 3% e che
quasi il 60% abbia un’età superiore ai 65anni22.
Nonostante sia difficile stabilire l’incidenza dell’infezione da HCV,
perché l’epatite da HCV acuta molto spesso è asintomatica e i test
laboratoristici disponibili non distinguono l’infezione acuta dalla
cronica, grazie anche ai dati SEIEVA, possiamo comunque affermare
che in Italia l’incidenza dal 1986 al 1990 si è dimezzata e
progressivamente è diminuita fino a divenire stabile intorno al 2000. Dal
2000 si ritiene che le nuove infezioni per anno siano circa 6-8 casi ogni
100.000.
16
Questi dati non possono essere analizzati senza considerare il periodo di
profondo cambiamento che l’Italia, l’Europa in generale, sta vivendo
negli ultimi vent’anni in relazione agli alti flussi migratori osservando
che se la prevalenza di HCV in alcuni paesi sta aumentando, come in
Spagna (si ritiene siano circa 90.000 i portatori di HCV entrati nel paese
in 15 anni)23, in Italia appare rimanere stabile. Sembra infatti, dai dati
presenti in letteratura scientifica, che la prevalenza dell’infezione da
HCV nei gruppi di immigrati che popolano l’Italia sia uguale se non
addirittura più bassa di quella della popolazione locale, al contrario di
quanto avviene per l’infezione da HBV24 25. Questo confermerebbe che le
modalità di trasmissione di HBV e HCV siano differenti, che la
trasmissione di HCV sia principalmente iatrogena26 e che quella HBV
soprattutto familiare o sessuale27 28.
17
HIV e immigrazione
Sin dal 1981, quando l’infezione da HIV fu definita per la prima volta,
l’epidemia ha mostrato un trend variabile e la sua diffusione è stata
osservata in tutto il mondo, particolarmente nei paesi in via di sviluppo.
Secondo i dati del 2008 raccolti dall’OMS, nel mondo circa 33,4 milioni
(31,1-35,8milioni) di persone sono affette da HIV di cui la maggior parte
(22,5milioni) sono concentrati nell’Africa Sub-Sahariana e nei restanti
paesi in via di sviluppo dove 1/4 di questi pazienti è sottoposta a
trattamento antiretrovirale e solo 1/5 della popolazione a rischio prende
parte ad appropriati programmi di prevenzione29.
Sempre secondo i dati dell’OMS del 2008 l’incidenza più alta si
riscontra in Europa dell’Est dove la diffusione sembra essere correlata
soprattutto all’utilizzo di droghe e.v., seguita dall’Europa dell’Ovest per
una diffusione soprattutto legata a rapporti eterosessuali o omosessuali e
infine dall’Europa Centrale dove la diffusione avviene principalmente
per contatto omosessuale. Ciò nonostante, il maggior numero di casi di
AIDS è riportato nell’Europa dell’Ovest, seguito dall’Europa dell’Est e
dall’Europa Centrale30.
L’epidemia sta crescendo in maniera allarmante31 32 33. In Italia dal 1985
al 2007 sono state diagnosticate circa 41.000 infezioni da HIV. L’età
18
media al momento della diagnosi, nel tempo, è aumentata notevolmente
passando dai 26 anni per i maschi e i 24 per le donne del 1985 ai 37 e 33
anni, rispettivamente, nel 2007. Anche il modo di trasmissione è
cambiato: è diminuita la diffusione legata all’ utilizzo di droghe e.v. ed è
aumentata la diffusione per rapporti sessuali27. In Italia, comunque, solo
11 regioni hanno sistemi di sorveglianza per le nuove diagnosi di HIV,
quindi non esistono dati globali rappresentativi della situazione
epidemiologica italiana.
Per ben comprendere questi dati dobbiamo considerare che nei paesi
industrializzati la prevalenza da HIV è più alta tra gli immigrati per
l’eterogenea distribuzione dell’infezione da HIV nelle aree del sud e del
nord del mondo. L’infezione è trasmessa soprattutto attraverso la
trasmissione sessuale interetnica, favorita dall’elevato numero di soggetti
non consapevoli di essere infetti. In Italia i dati mostrano un aumento
dei casi di HIV tra gli immigrati34. Questa situazione epidemiologica
potrebbe causare un’ulteriore diffusione dell’infezione dal momento che
i gruppi di immigrati potrebbero fungere da “ponte” tra le popolazioni ad
alta endemia e quelle a bassa endemia. Comunque è difficile accertare se
i soggetti si siano infettati all’estero o nei paesi ospitanti35.
Tra gli immigrati, i soggetti più a rischio di contrarre l’HIV sembrano
essere le donne, in particolare quelle dell’Africa Sub-Sahariana36 37 38,
19
soprattutto a causa delle precarie condizioni socio-economiche in cui
versano e a causa dell’attività di prostituzione a cui sono costrette la
maggior parte delle volte che giungono illegalmente nei paesi
occidentali. Per lo stesso motivo proprio tra le donne sono maggiormente
diffuse le malattie sessualmente trasmissibili (MST) che costituiscono
già di per sé un fattore di rischio per la diffusione di altre malattie
infettive tra cui l’HIV. Si ritiene infatti che tra le pazienti affette da MST
la probabilità di contrarre l’HIV sia da 4 a 10 volte maggiore rispetto alla
probabilità a cui siano esposti i soggetti sani e che il rischio possa essere
realmente ridotto attraverso una pronta diagnosi e rapido trattamento
delle stesse39. Questa maggiore prevalenza nelle donne riflette un trend
epidemiologico del paese d’origine, soprattutto se si considerano le
donne dell’Africa Sub-Sahariana, ma continua anche nei paesi ospiti40.
20
Lavoro sperimentale:
Scopo del lavoro
Lo scopo del lavoro è quello di valutare la prevalenza delle infezioni da
HCV, HBV, HIV in una popolazione di immigrati che popola la periferia
settentrionale di Napoli (Castel Volturno), il ruolo dei fattori di rischio
eventualmente associati alle infezioni e di paragonare un sistema di
reclutamento attivo con un reclutamento passivo.
Pazienti e metodi
In questo studio sono stati arruolati pazienti immigrati osservati presso
l’ambulatorio del Centro Fernandes (Caritas) di Castel Volturno (CE), in
cui opera l’Associazione di Volontariato “Jerry E. Masslo” nel periodo
compreso tra il 1999 e il 2009.
21
Il metodo di reclutamento dei pazienti è stato duplice, nel periodo tra il
1999 e il 2004:
un metodo “attivo”: i soggetti sono stati raggiunti sul territorio
con un’unità mobile, un furgone, con il quale sono stati
accompagnati in ambulatorio, visitati e poi riaccompagnati sul
territorio.
un metodo “passivo”: i soggetti si sono recati autonomamente in
ambulatorio.
Dal 2004 al 2009, invece, è stato utilizzato esclusivamente il
reclutamento “passivo”.
Tutti i pazienti, prima di concedere l’autorizzazione verbale, sono stati
adeguatamente informati sulle indagini laboratoristiche previste e sulla
confidenzialità dei risultati. Per ogni paziente, nel corso di una intervista
effettuata mediante l’aiuto di un mediatore culturale che riducesse le
difficoltà di comunicazione dovute alle numerose diverse lingue e
dialetti dei nostri pazienti, è stato compilato un questionario predisposto
allo scopo e contenente notizie socio-demografiche e anamnesi medica.
Per ciascuno dei soggetti per i quali è stata compilata la scheda
d’ingresso è stato ottenuto un prelievo ematico. Il siero è stato aliquotato
ed utilizzato per la determinazione, con metodiche ELISA, di HBsAg,
22
Anti-HBc, anti-HCV, anti-HIV, TPHA e nei soggetti HBsAg positivi
anche di HBeAg e anti-HBeAg.
Uso di alcol era considerato l’assunzione di più di tre drink al giorno.
Lo studio è stato approvato da una commissione etica locale.
Le variabili numeriche sono sintetizzate come mediane e range relativi.
Le variabili categoriche sono sintetizzate come percentuali. Abbiamo
eseguito analisi univariate usando il T Test di Student per le variabili
numeriche e il test del Chi-quadrato per le variabili categoriche. Un
valore di p<0,05 è stato considerato statisticamente significative.
Abbiamo eseguito un’analisi multivariata usando il modello di
regressione logistica.
Risultati
Nel periodo in esame sono stati arruolati 2681 pazienti. Il campione
dello studio risulta piuttosto giovane, età media di 31 anni, con un range
di 2-75anni. Il 52,8% dei pazienti sono di sesso maschile. Il numero
maggiore di immigrati proviene dall’Africa Sub-Sahariana
23
rappresentando l’82,3% del campione, la seconda popolazione per
rappresentanza proviene dall’Est-Europa con il 7,9%, seguono gli
asiatici con il 4,3%, e i nord africani con il 3,8% (figura 1).
Il 36% dei soggetti dichiara di essere disoccupato o impegnato in lavori
saltuari. Nella categoria degli occupati prevalgono le attività di
manovalanza (20,7%) e la prostituzione (16%).
Per quanto riguarda la scolarizzazione il 64,6% ha un livello d’istruzione
medio alto, il 6,3% è laureato e il 3,5% è analfabeta. Il tempo trascorso
in Italia è in media di 3 anni (range 1-28) (Tabella 1). Per quanto
riguarda la religione circa l’80% del campione è di religione cristiana, il
7,7% è di religione islamica, il 2,1% di religione sikh e il 5,1%
comprende altre religioni.
Dei 2681 pazienti il 7,6% (206/2681) è HBsAg positivo di cui la
maggior parte HBeAg negativi, il 19% è anti-HBc (anti-core isolato)
positivo, mentre solo il 3,6% (97/2681) risulta vaccinato (anti-HBs ); il
3,1% (84/2681) è anti-HCV positivo, il 5% (129/2681) é anti-HIV
positivi, 17 sono i casi di coinfezione di HBV-HIV, 9 quelli HCV-HIV,
4 HBV-HCV e 1 è il caso di coinfezione HBV-HCV-HIV.
I pazienti positivi al test per la sifilide TPHA sono il 4,8% (129/2681).
84 pazienti fanno abuso di droghe e 436 fanno abuso di alcol.( Tabella2)
24
Figura 2. Distribuzione della provenienza
Tabella 1. Caratteristiche demografiche
CASI 2681MASCHI 52,8%
ETA’ 31 (2-75) ; 32,3+8,5
ANNI DI SOGGIORNO 3 (1-28)
PROVENIENZAo NORD AFRICAo AFRICA SUBSAHARIANAo EUROPA ORIENTALEo ASIAo ALTROo NON NOTO/DATO MANCANTE
3,8% (101)82,3% (2202)7,9% (211 )4,3% (115 )1,1% (28)0,9% (24)
PROFESSIONEo MANOVALEo IMPIEGATOo BADANTEo PROSTITUTAo DISOCCUPATO/LAVORI SALTUARIo STUDENTEo NON NOTO
27,9% (749 )6,5% (173)5,6% (150)16,1% (433)36% (965)2,7% (72)5,2% (139)
SCOLARIZZAZIONEo ANALFABETAo ELEMENTAREo MEDIE-SUPERIORI
3,5% (93)10,2% (274)64,6% (1731)6,3% (170)
25
o LAUREAo NON NOTA
15,4% ( 413)
Tabella 2. Prevalenza sull’uso di droghe e infezioni virali
CASI 2681USO DROGHE 3,1% (84)
USO ALCOOL 16,3% (436)
HBSAg pos o HbeAg poso HbeAb pos
7,6% (206 )5,8% ( 12)67,5% (139)
HBcAb (anti-core isolato) 19% (533)
HBsAbo Naturali (HBsAb + HBcAb)o Vaccinati
HCVAb pos
HIVAb pos
28,2% (756)87,2% (659)12,8% (97)
3,13% (84)
5% (129)
COINFEZIONIo HBV-HCVo HBV-HIVo HCV-HIVo HBV-HCV-HIV
41791
TPHA 4,8% (129)
26
Nei differenti anni del periodo di osservazione non c’è una significativa
variabilità in termini di prevalenza di infezioni da HBV e HCV, mentre,
la prevalenza delle infezioni da HIV si riduce progressivamente in
maniera significativa (Figura n.2). Il diminuire della prevalenza è
probabilmente da attribuire al differente metodo di reclutamento,
esclusivamente passivo, nella seconda parte del periodo di osservazione
(2004-2009) ed alla conseguente riduzione del numero delle prostitute.
Abbiamo valutato con una analisi univariata come fattori associati alle
infezioni la dipendenza da alcol, la dipendenza da droghe e la
prostituzione oltre ad età, sesso e metodo di reclutamento (Tabella
n.3).
I pazienti HCV positivi sono significativamente più anziani dei pazienti
HBV positivi (p=0,0018) e sono molto più frequentemente consumatori
di alcolici o tossicodipendenti (p=0,03 e p=0,0001 rispettivamente).
I pazienti HIV positivi sono più frequentemente di sesso femminile
(p=0,0001) e prostitute (p=0,0006) rispetto ai pazienti HBV e HCV
positivi e il loro reclutamento è stato maggiore nel periodo di modalità
attiva rispetto a quanto accaduto per i pazienti HCV (p=0,01) e HBV
positivi(p=0,0003).
27
Figura 3. Distribuzione delle infezioni virali nel periodo di osservazione (1999-2009
Tabella 3. Analisi univariata dei fattori associati alle singole infezioni
Fattore associato
HBVn=206
HCVn=84
HIVn=129
PB vs C B vs HIV C vs HIV
EtàAnni (range)
31 (18-66) 34 (20-58) 31 (17-52) 0,0018
0,79 0,0002
Sesso(% M)
75 66,7 38 0,13 0,0001 0,0001
Prostituzionen(%)
20(9,7%) 6(7,1% ) 35(27,1%) 0,64 0,0001 0,0006
Abuso droghen(%)
5 ( 2,5%) 13(15,5%) 9(7%) 0,0001
0,08 0,07
Abuso alcoln(%)
29 (14%) 21(25%) 24(18,6%) 0,03 0,34 0,34
Reclutamento attivo n(%)
59 (28,6%) 26(31%) 62(48% ) 0,6 0,0003 0,01
28
Abbiamo effettuato un’analisi multivariata in modo da valutare i fattori
indipendenti associati alle singole infezioni (Tabella n.4).
L’infezione da HBV è indipendentemente associata al genere maschile
(p=0,0001).
L’infezione da HCV è significativamente associata a tossicodipendenza
(p=0,0001).
L’infezione da HIV è significativamente associata al sesso femminile
(p=0,01), alla tossicodipendenza (p=0,008) e alla forma di reclutamento
attivo(p=0,04).
Il differente modo di reclutamento influenza significativamente il tipo di
pazienti nello studio. Durante il primo periodo i pazienti erano più
giovani (p=0,0001), più frequentemente femmine (p<0,0001) e
prostitute (p<0,0001). Non ci sono differenze in termini di prevalenza di
infezioni da HBV e HCV.
29
Tabella 4. Analisi multivariata dei fattori associati alle singole infezioni. La tabella riporta OR (intervalli di confidenza) e valore P.
HBV HCV HIV
ETA’ N.S. 1,03(1-1,1)
P = 0,02
N.S.
SESSO(M) 3,5(2,3-5,2)
P = 0,0001
N.S. 0,6(0,4-0,9)
P = 0,01
PROSTITUZIONE N.S. N.S. 1.7(1-2.7)
P =0.04ABUSO DROGHE N.S. 4,9(2,5-9,6)
P = 0,0001
2,8(1,5-6)
P = 0,008
ABUSO ALCOL N.S. N.S. N.S.
RECLUTAMENTO ATTIVO N.S. N.S. 0,7(0,4-1)
P = 0,04
30
In tutta la popolazione le donne rappresentano il 47,2% (1265) e di
queste il 33% (433) sono prostitute. Abbiamo intervistato queste ultime
per valutare l’utilizzo del condom. Il 71% utilizza sempre il condom, il
4,2% non lo utilizza mai e l’1.6% lo utilizza raramente.
Infine abbiamo valutato la prevalenza di HBV, HCV, HIV in base alla
provenienza dei nostri pazienti. Dei 2681 pazienti la maggior parte,
2198, sono provenienti dall’Africa sub-Sahariana e di questi l’8,1% è
HBsAg positivo, il 2,5% è anti-HCV positivo e il 5,4% è anti-HIV
positivo; 211 provengono dall’Europa dell’Est e di questi il 3,3% è
HBsAg positivo, il 7,1% è anti-HCV positivo e l’1,4% è Anti-HIV
positivo; 115 provengono dal continente asiatico, di questi nessuno
presenta positività per HBsAg, il 3,5% è Anti-HCV positivo e solo lo
0,9% è Anti-HIV positivo. (Tabella 5)
31
Tabella 5. Prevalenza delle infezioni in base al paese d’origine
Provenienza AfricaSub-Sahariana
N=2198
EuropaOrientale
N=211
Asia
N=115
HBSAg pos
o HbeAg pos
178 (8%)
9 (5%)
7 (3,3%)
2 (28,8%)
0
0
HCV Ab pos 54 (2,5%) 15 (7%) 4 (3,5%)
HIV Ab pos 118 (5,4%) 3 (1,4%) 1 ( 1% )
32
Discussione
Il nostro studio include immigrati provenienti da diverse zone del
mondo ma la maggior parte, l’82,3%, sono di origine centro-africana.
Per quanto riguarda la prevalenza delle infezioni da HBV (7,6%), il
nostro studio mostra una positività simile a quella dell’area geografica
di provenienza della maggior parte dei nostri pazienti, ma nettamente
superiore a quella presente in Italia. L’epatite HBV correlata è infatti
endemica nell’Africa Sub-Sahariana41 42 con una percentuale di
prevalenza (HBsAg>8% in quanto area ad alta endemia)
consistentemente più alta rispetto a quella presente in Europa
occidentale e centrale (in cui la prevalenza è stimata essere <2% in
quanto paesi a bassa endemia). In Italia nell’ultima decade è stata
osservata una riduzione nella prevalenza di tale patologia in parte
dovuta alla diffusione della vaccinazione, che attualmente copre la
fascia d’età tra 0 e 30 anni, ed in parte alle maggiori conoscenze sulle
modalità di trasmissione e alla promozione della prevenzione, cui è
seguito l’instaurarsi di un miglioramento nelle abitudini igienico-
sanitarie43 44, un contributo viene anche dalla campagna educativa
33
sull’infezione da HIV, le cui modalità di trasmissione sono comuni ad
HBV45.
La prevalenza dell’HCV mostra delle differenze rispetto ad HBV. Nel
nostro studio la prevalenza globale di HCV tra gli immigrati è del 3,1%
mostrandosi, quindi, dello stesso ordine di grandezza di quella presente
in Italia tra la popolazione autoctona, dove è stimata intorno al 3%, con
l’eccezione dei gruppi provenienti dall’Est Europa tra i quali si registra
una prevalenza del 7%. I nostri dati, sia sulla prevalenza dell’epatite B
che dell’epatite C non si discostano da altri studi condotti nel Nord46 47 48
e nel Sud49 d’Italia. Nel complesso i dati mostrano come la popolazione
immigrata affetta da epatite C non modifichi lo stato di endemia
presente nel nostro paese. Al contrario, invece, sia nel nostro studio che
dai dati presenti in letteratura, la percentuale di positività all’HBsAg è
più alta che nella popolazione locale. La possibilità di trasmissione alla
popolazione locale è limitata dalla elevata proporzione di soggetti
protetti nella popolazione italiana, sia per la copertura vaccinale tra 0 e
30 anni, sia per l’immunità naturale nella popolazione sopra i 50 anni. Il
rischio di trasmissione riguarda quindi la fascia d’età intermedia (30-50
anni) e la modalità più frequente è la via sessuale. Il rischio di
trasmissione parenterale appare remoto a causa dei buoni standard
igienico-sanitari nel nostro paese.
34
Nella valutazione della prevalenza della epatite B in base al paese
d’origine si osserva che la maggior parte dei pazienti sono africani (82%)
e che una piccola percentuale, il 5% (115), sono asiatici ma ciò che
sorprende è che, sebbene l’Asia sia un continente ad alta endemia per
HBV, tra i nostri pazienti asiatici nessuno risulta essere HBsAg positivo.
Questa prevalenza ha però una spiegazione: i nostri pazienti asiatici
provengono dall’India dove la prevalenza dell’HBV è bassa.
Un altro aspetto interessante deriva dall’osservazione dei cambiamenti
delle prevalenze comparando i due periodi di osservazione, dal 1999 al
2004 e dal 2004 al 2009, in cui i metodi di reclutamento sono stati
differenti: la progressiva riduzione della prevalenza dell’HIV è correlata
al cambiamento del tipo di paziente determinato a sua volta
dall’interruzione del reclutamento attivo. Durante il reclutamento attivo
il campione è rappresentato soprattutto da donne, con elevata
proporzione di prostitute, nelle quali il rischio di contrarre il virus HIV è
molto alto sia perché la trasmissione sessuale è la prima causa di
infezione sia perché è stato dimostrato che l’efficienza della trasmissione
da uomo a donna è 2 o 3 volte maggiore di quella da donna a uomo50.
Nel nostro studio il 62% dei soggetti HIV positivi è di sesso femminile,
dato in linea con i risultati di altri studi condotti in Italia e in Europa51 52
53, in cui le donne, e soprattutto quelle provenienti dai paesi africani,
35
sono maggiormente infette. In questi paesi, la copertura sanitaria non
riesce a soddisfare che l’1% dei bisogni per i trattamenti e la profilassi
dell’HIV54 il che spiegherebbe l’alta prevalenza della patologia nei paesi
d’origine. Non si può escludere che anche dopo l’arrivo in terra straniera
la probabilità di infezione rimanga alta a causa delle condizioni e degli
stili di vita55. Quindi considerando l’elevato rischio d’infezione per gli
immigrati sia nel loro paese di origine, per l’alta endemia di tutte le
patologie da noi trattate, che in quello di arrivo, non dobbiamo
sottovalutare il pericolo di diffusione di HIV e in particolare il rischio di
diffusione legato al contagio sessuale. Infatti, nel nostro campione, tra le
pazienti affette da HIV, il 27% è rappresentato da prostitute e sebbene la
maggior parte di loro, il 71%, utilizzi abitualmente il profilattico con i
clienti, il 2% lo utilizza raramente, il 4% non lo utilizza mai e una larga
percentuale, il 23%, ha preferito non rispondere alla domanda inerente
inclusa nel questionario. Diversi studi, condotti su donne partner di
uomini HIV-positivi, hanno dimostrato che l’impiego costante e corretto
del preservativo fornisce un elevato livello di protezione nei riguardi
delle malattie sessualmente trasmissibili AIDS inclusa56 57. Il profilattico
risulta ugualmente efficiente nella prevenzione del contagio per le
infezioni da HBV e HCV58. Questo sottolinea come sia necessario creare
adeguati programmi di prevenzione, supporto sociale e culturale e
36
assicurare un più facile accesso al servizio sanitario per la popolazione
immigrata.
Il nostro lavoro dimostra come una modalità passiva di approccio ai
paziente stranieri non sia sufficiente a garantire la identificazione delle
patologie infettive degli stessi e a svolgere un adeguato counselling
inteso a ridurre i rischi di contagio. L’immigrato che si rivolge
spontaneamente ad una struttura sanitaria o è affetto da una patologia
sintomatica o è selezionato per essere più attento alla propria salute, ma
queste due tipologie di pazienti non riflettono la totalità degli stranieri
che spesso non si recano negli ambulatori per motivi culturale o perchè
privi del permesso di soggiorno.
37
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