in Viaggio con Magellano · Le Sphinx - II parte ... cose che li compongono. Siamo noi che ... do...

42
in Viaggio con Magellano “In viaggio con Magellano” é una testata di intrattenimento senza scopo di lucro Non rappresenta una testata giornalistica, viene aggiornato senza alcuna periodicità e non essendo un prodotto editoriale non è sottoposto alla disciplina di cui all’art. 1, comma III della legge n. 62 del 7/3/2001 Riproduzione anche parziale vietata - www.magellano.org - diffusione riservata ai Soci iscritti all’Associazione AMN Magellano www.magellano.org 05 testata di intrattenimento sul modellismo navale a cura di AMN Magellano gennaio 2009 in questo numero Modellismo d’arsenale La ricerca Clara May - VI parte Le Sphinx - II parte Lavori di restauro Suggerimenti per la posa del fasciame Taglierina per caviglie Avanzamento cantieri Modelli al varo Immagini dal News Group

Transcript of in Viaggio con Magellano · Le Sphinx - II parte ... cose che li compongono. Siamo noi che ... do...

in Viaggio con Magellano

“In viaggio con Magellano” é una testata di intrattenimento senza scopo di lucroNon rappresenta una testata giornalistica, viene aggiornato senza alcuna periodicità

e non essendo un prodotto editoriale non è sottoposto alla disciplina di cui all’art. 1, comma III della legge n. 62 del 7/3/2001Riproduzione anche parziale vietata - www.magellano.org - diffusione riservata ai Soci iscritti all’Associazione AMN Magellano

www.magellano.org

05testata di intrattenimento sul

modellismo navalea cura di AMN Magellano

gennaio 2009

in questo numeroModellismo d’arsenale La ricerca

Clara May - VI parteLe Sphinx - II parte

Lavori di restauro

Suggerimenti per la posa del fasciame

Taglierina per caviglie

Avanzamento cantieri

Modelli al varo

Immagini dal News Group

Antoniazzi PierangeloBartolacci IvanOss GermanoMoia AndreaTenti MassimilianoUboldi AntonioVenturin Roberto

Redazione di [email protected]

Associazione AMN MagellanoVia Paravisi, 120092 Cinisello Balsamo (Milano)Cod.Fisc. [email protected]

5. Modellismo d’arsenale 8. La ricerca20. Clara May - VI parte23. Le Sphinx - II parte27. Lavori di restauro31. Suggerimenti per la posa del fasciame33. Taglierina per caviglie36. Avanzamento cantieri39. Modelli al varo40. Immagini dal News Group

In questo numero

Contatti

Redazione

Credo che ogni modellista sia animato dal desi-derio di riuscire a realizzare con le proprie mani gli oggetti delle proprie passioni. Tale desiderio sarà ugualmente forte sia che si parli di modelli navali antichi, treni o figurini.Quale che sia il modello che riceverà le nostre attenzioni richiederà in egual misura passione e attenzione, ma nella mia immaginazione da pro-fano le varie forme di modellismo non ci pre-senteranno ugual conto in termini di conoscenze specifiche, tempo e richiesta di attrezzature. Realizzare una locomotiva a vapore funzionante richiederà conoscenze, attrezzature e maggior disponibilità di tempo alla realizzazione del pro-getto dell’approntare la pittura di un figurino.Questo mi ha fatto immaginare che chi si dedi-casse a kit in plastica si sentisse maggiormente spinto a una maggior cura dei dettagli andando a ricercare documentazione come foto, cartoline o filmati che potessero inderogabilmente testi-moniare che certi pezzi erano in quel dato modo e avessero tali colorazioni. Se consultiamo un qualsiasi forum di modellismo non navale anti-co è impensabile che qualcuno abbia dato delle colorazioni a suo piacere ad un certo mezzo, è inconcepibile anche sbagliare i colori dell’uni-forme di un figurino. La ricerca di docu-mentazione non è solo inerente ai co-lori ma anche alla fedeltà dei compo-nenti che compon-gono il modello.Mi sono reso conto solo in un secondo momento però che

EditorialeTenti Massimiliano

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 20092

Modellini e Giuggioloni

questa cosa non succede solo per chi ac-quista e finisce un qualsiasi kit in plastica (nel mio immaginario più semplice di un kit di una nave in legno), la stessa cosa succede anche per chi si autocostruisce che so, una locomotiva o quant’altro, la stessa cosa succede per ogni tipo di model-lismo ad eccezione del cosi detto Modelli-smo Navale Antico. O meglio non succede per tutti i modellisti che vi si dedicano ma per molti di essi. Tali modellisti (di cui faccio parte) hanno ovviamente delle at-tenuanti: maggiori difficoltà nel reperire del materiale fotografico, o nella maggior parte dei casi l’inesistenza di tali tipi di documentazione. Tempi di realizzazione del modello spesso di gran lunga superiore alla realizzazione della maggior parte de-gli altri tipi di modelli, e quindi meno vo-glia di dedicarne ulteriore alla ri-cerca. Di contro però si rischia di mettere assieme qualcosa di im-probabile che ci è costato magari qualche centinaio di ore di lavoro.E’ giusto che ognuno si dedichi al proprio hobby come meglio crede, anche se come

a b b i a m o già detto è atipico c o n f r o n -tando con q u a n t o fanno tut-ti gli altri modellisti, trovo inve-ce incom-prensibile ogni volta che ven-ga toccato questo ar-gomento si

In ogni forma di modellismo viene ricercata la maggiore fedeltà

all’originale possibile, eccezion fatta per il Modellismo Navale Antico

scateni un pandemo-nio.Al lavo-ro sul mio u l t i m o m o d e l l o di lancia cannonie-ra, sem-pre da kit, ho avuto forti dub-bi sull’at-trezzatu-ra dovuta in un caso alla mia ignoranza e in un’ altro all’impro-babilità della sua messa in opera, ricerche

su simile attrez-zatura hanno aumentato i dubbi e non aver trovato nulla sul modello specifi-co mi ha convin-to a terminare

il tutto cosi come indicato nonostante il grosso punto interrogativo. Chi lo riceve-rà in regalo, ignaro dei miei persistenti grattacapi, ne sarà comunque felice ma questa è una magra consolazione. Il fat-to di “lavorare” con un materiale nobile come il legno non mi farà sentire meno un giuggiolone che ha realizzato il suo mo-dellino perchè quando commettiamo er-rori microscopici all’occhio di un profano, come i bozzelli montati al contrario, sono si piccola cosa, ma se stessimo montando il modello della moto di Valentino sareb-be come aver montato freno anteriore al

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 3

In copertinaIl modello restaurato da Duilio Curradi del piroscafo Esemplare ospitato nel Museo Marinaro Gio Bono Ferrari di Camogli.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 20094

contrario. Le bandiere su due diversi pennoni fissate in direzioni opposte sono come una ruota montata di traverso a quello che do-vrebbe essere il suo asse. Questi microscopici erro-ri, se rapportati a qualco-sa di più familiare diven-tano molto più evidenti, anzi, talmente evidenti da saltare subito all’occhio e strappare qualche sorriso ironico.Procedendo cosi abbas-siamo il nostro operato a rango di modellini perchè non conosciamo il significato di troppe cose che li compongono. Siamo noi che scegliamo di essere dei giuggioloni quan-do mettiamo in opera modelli senza ca-pire l’utilizzo di certe parti. Per carità anch’io lo faccio principalmente per il gu-sto del lavoro manuale, di tempo e voglia per imparare termini marinareschi non ne ho proprio, ma se montassi modelli di au-tomobili e non mettessi una ruota potrei dire di aver passato ore piacevoli nella sua realizzazione, ma quello che metterei in mostra nella mensola di sala sarebbe ben lontano dal poter “viaggiare su una strada”.In quest’ottica acquistano allora impor-tanza monografie come quelle di Franco Fissore sullo Scuna e la Tartana anche se non abbiamo intenzione di dedicarci alla realizzazione di quei modelli perchè spec-chio di certi tipi di attrezzature per quei periodi storici. Anche se non l’ho mai amato è per questo che acquista valore il libro dei modelli na-vali di Orazio Curti, perchè al suo interno non mi spiega come realizzare quel pezzo o quell’altro ma mi fa vedere come erano realmente realizzati.Diventa fondamentale il lavoro di tradu-zione regalatoci da Giovanni Santi Mazzini

Gli Amici di MagellanoIl sistema più semplice e veloce per simu-lare una bullonatura “da dietro” è quello di montare una piccola ruota di ingranaggio (di passo appropriato) su un’asta e procedere nello stesso modo con il quale si fanno i ravioli, magari aiutandosi con un righello di metallo per andare dritti.

Albino

sul Vascello da 74 cannoni perchè costituisce il trat-tato di costruzione navale antica.Non sto parlando di abban-donare la realizzazione dei nostri modelli e di dedicar-ci allo studio dell’architet-tura navale, sto dicendo che certe opere esistono, che quando abbiamo dub-bi o non ci ricordiamo il termine di un certo pezzo possiamo aprirli e cercare al loro interno la risposta. Abbiamo il dovere di mi-gliorare certe conoscenze

tecniche perchè miglioreranno i nostri modelli, perchè la gente smetterà di pen-sare che siamo giuggioloni che realizzano modellini , perchè un giorno i nostri nipoti non dicano solo “ecco il modellino fatto dal nonno”.

Sono oramai molti decenni che mi dedico al modellismo navale, vi confido che sotto il profilo modellistico sono cresciuto, ma non perché il tempo passa, bensì perché ho sentito forte la necessita di migliorar-mi. Per esperienza vi dico che non è una cosa implicita il miglioramento, perché ci sono modellisti che nell’eguale lasso di tempo anziché migliorarsi hanno regre-dito! Il concetto appena espresso è una caratteristica che riguarda l’uomo nella globalità del suo essere, la crescita va di pari passo con la volontà di migliorarsi. Credo fortemente che ciò che mettiamo in pratica nelle nostre ore del “piacere”, piuttosto che in quelle dedicate al “do-vere”, rappresenti perfettamente ciò che siamo. Spesso e volentieri, mi è stata rivolta la domanda del perché fosse meglio svolge-re adeguate ricerche se non si possiede una seria monografia, anziché accettare monografie o piani più o meno e pressap-

Modellismo d’arsenale

poco. Vi dico chiaramente che essendo da tempo un collaboratore dell’ANCRE, mi è stato più volte evidenziato come fossi inattendibile essendo semplicemente…di parte! Bene, sono stufo, e qualcosa ve la voglio dire. Premetto che tutto ciò che dirò, non vuole assolutamente scredita-re nessuno, tantomeno condannare chi realizza kit di montaggio perché tutti, io compreso, siamo partiti da li. Ma i tempi cambiano, il mondo si evolve e chi prati-ca del modellismo non ne è esente. Avete mai pensato quali possibilità offra la tec-nologia odierna ad un modellista? Immagi-nate cosa possa sviluppare l’approfondire il proprio lavoro con l’apporto della foto-grafia digitale e del computer? Vorrebbe dire che chiunque, con una spesa sosteni-bile ed impostandosi con un minimo di se-rietà, potrebbe contribuire notevolmente allo sviluppo di questa antichissima arte (sono stati trovati modelli di imbarcazioni nelle tombe egizie), e soprattutto avere

una soddisfazione enorme dal proprio impegno, di una forma tale che è inim-maginabile fintantoché non si vive.Molte persone affermano che alcune monografie costano troppo e di conse-guenza, sono poco inclini a tali spese, poi invece sono disposti a comprare scatole di montaggio che costano cen-tinaia di euro. Normalmente un mo-dellista che ama questo hobby non si

Franco Fissore“Se amate veramente il modellismo vi inviterei a riflettere su ciò che realmente praticate.”

A destra: Sanremo 1978 selezione per il cam-pionato italiano.Nella pagina seguente lancia Royal Caroline.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 5

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 20096

ferma al primo modello, ma appena ter-minato ne inizia subito un altro, poi un altro ancora e cosi via. Generalmente per realizzare una scatola occorrono da uno a due anni, perciò stabilendo che in cinque anni abbiamo realizzato tre modelli con una spesa abbastanza sostenuta, il risul-tato ottenuto e che, indipendentemente dalle capacità manuali, se non abbiamo apportato sostanziali modifiche ma abbia-mo seguito fedelmente il kit, ci troverem-mo in mano qualcosa di improbabile, ap-prossimativo e di totalmente non fedele per realtà storica. Soffermatevi soltanto su quanti differenti calibri di cannoni avevano le maggiori ma-rinerie dell’epoca, e con quante diversità di materiali li facevano, e quanti regola-menti di conformità diversi in due secoli si sono alternati che, di fatto, rendevano di-versi gli stessi calibri, nelle misure o nelle modanature, ora, avete mai confrontato le case modellistiche quanti ve ne offro-no? Ve lo dico io, sono tutti più o meno uguali, in poche misure, e questo per tut-te le diverse marinerie! È solo un piccolo esempio pratico. Parlare di modelli da ca-minetto o soprammobili di scatolari e di guru si fa un errore d’impostazione di fon-do: esistono i MODELLI, che vengono cosi chiamati perché sono in scala ridotta, ciò che è nella realtà.Detto questo allo-ra perché se amia-mo veramente quest’hobby non pensiamo di investi-re il nostro capitale destinato all’acqui-sto di tre o quattro scatole di montaggio in qualcosa di più se-rio? Scegliendo una buona monografia e magari con la rima-nenza del denaro anche dell’attrez-

zatura per lavorare meglio. Certamen-te impiegheremo un pochino di tempo ad avere un laboratorio utile (che non è indispensabile), e sicuramente ci vorrà del tempo per realizzare il modello, ma al termine avremo qualcosa che avrà un senso profondo, senza dimenticare che ci saremmo provati manualmente, cosa che con una scatola in genere non avviene, ed in ultimo, sarà comunque qualcosa che è nato dalle nostre mani, qualcosa che non ci farà sentire soltanto degli hobbysti ma dei veri e propri artigiani, i quali per re-alizzare il proprio capolavoro debbono avere pratica di vari mestieri, perché un buon modellista deve apprendere la pa-zienza, godere del piacere della metico-losità, della precisione, deve maturare buon gusto, e per fare tutto ciò deve au-togovernarsi, acquisire nuove attitudini, deve essere allo stesso tempo falegname, scultore, tornitore, fresatore, saldatore, decoratore, pittore, carpentiere, mastro d’ascia, velaio, attrezzista e chi più ne ha più ne metta.Nella nostra Associazione abbiamo degli esempi chiari di persone che si sono ci-mentate per la prima volta nella realizza-zione di modelli in ammiragliato, ed han-no ottenuto risultati sorprendenti! Hanno scoperto se stessi come non immaginavano neppure lontanamente, e si avviano verso

un futuro di modellisti soddisfacente, ma soprattutto impegnato, ne possiamo ci-tare qualcuno, Riccardo Mattera con “La Belle”, Giuseppe Sivero con “Le Fleuron”, Giorgio Flenghi con “Le Gros Ventre”, Carlo Sbrana che ha realizzato “la Lancia Armata”, “le Bateau de Laveoc”, ed ora si sta cimentando con “La Diligente”, ed altri ancora che non vado ad elencare. Questi signori oltre ad essere in Magella-no sono tutti nel mio sito, a dimostrazione di quanto ritengo importante la didattica, che in questo caso consiste nell’esempio tangibile che essi offrono, che nel passare dai kit all’autocostruzione è solo una que-stione di volontà! A volte sento dire da pseudo modellisti, che non opereranno mai un modello in am-miragliato perché anche rivestendolo par-zialmente non si vedrebbe granché e che quindi non ne vedono il motivo. Quando sento esprimere concetti simili, non rie-sco a capire se un modellista stia lavoran-do per se stesso oppure per sentirsi dire, ovviamente da incompetenti, quanto sia stato bravo! Un buon modellista vive la sua opera come un’artista, la deve rea-lizzare per il proprio piacere, poi il fatto che possa piacere ad altri poco importa. Nel sentire certe affermazioni, quanto-meno contorte, mi viene da pensare (vi faccio un esempio), che chiunque acqui-stando un incantevole terreno su la riva di un lago, nel farsi realizzare il progetto di una magnifica villa, suo sogno da sempre, chieda all’architetto di evitare di fare le

fondamenta e tantomeno le struttura por-tante, giustificando la richiesta con l’inu-tilità poiché... tanto nessuno li potrebbe ammirare? È certamente un eccesso, ma il medesimo esempio si può applicare nel modellismo: iniziando bene un modello, senz’altro terminerà meglio, con l’ap-prezzamento di chiunque l’avvicini e con l’immensa soddisfazione del modellista nel essere riuscito a costruire ciò che non è sicuramente facile, perché lo scafo in ossatura di un vascello non è affatto sem-plice.Ritornando a ciò che ho detto riguardo alla ricerca, anche in Magellano abbiamo chiari esempi, mi riferisco ai nostri soci, Andrea Vassallo e Roberto Venturin, che nel realizzare i loro due magnifici modelli dell’Amerigo Vespucci, se hanno ottenu-to ciò che sono i loro modelli oggi hanno dovuto abbandonare i disegni acquistati e dedicarsi alle centinaia di foto realizzate sulla nave vera, altrimenti non sarebbero arrivati a tale risultato, questo ci insegna che per realizzare qualcosa di sensato si abbisogna di materiale attendibile, pro-veniente da ricerche serie o ricerche ar-cheologiche. Se amate veramente il modellismo vi in-viterei a riflettere su ciò che praticate, quel che vi ho espresso è il pensamento di chi si dedica da anni a tale pratica, per un amore profondo verso quest’arte, perché è di arte che stiamo parlando, non dimen-ticatelo mai.

Dettaglio della lancia Royal Caroline.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 7

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 20098

Definizione e Metodo di Ricerca

Durante i secoli passati la realizzazione in scala ridotta di grandi oggetti navi, mo-numenti, statue, ecc. - aveva di volta in volta uno scopo preciso e contingente. Modelli di navi erano per lo più costrui-ti a scopo sacrale o funerario, come pure quelli di edifici, mentre le statue poteva-no essere modellate preliminarmente in piccole dimensioni come provini. In tempi successivi il modello si rese ne-cessario per prove fisiche o a scopo con-servativo d’archivio, e fino a questo pun-to non è possibile vedere interessi storici profondi; neppure quando invalse l’uso dell’ex-voto (“church ships”) risplendet-te qualche bagliore di ricerca scientifica, perchè tutto era lasciato all’esperienza del marinaio o del carpentiere che, per ragioni diverse, riproduceva una partico-lare nave a lui ben nota, magari soltanto in parte. Io chiamo questo primo periodo “model-lismo di necessità“; esso trova la sua pri-ma teorizzazione scritta nel libro di Miller “The compleat modellist“ del 1676.Gli albori del secondo periodo, quello del “modellismo di piacere”, possono esse-re senza dubbio situati durante la guerra d’indipendenza americana e le successive guerre anglo-francesi, quando i prigionie-ri di guerra americani e francesi iniziaro-no, non sempre per puro diletto, la rico-struzione in scala ridotta delle loro navi. Ouesto secondo periodo non conclude il primo, ma vi si sovrappone ed ambedue

giungono ai giorni nostri in diverse condi-zioni. Finalmente, dopo una lunga gestazione teorica di cui dobbiamo rendere grazie in generale allo spirito dell’illuminismo e in particolare agli storici inglesi, il secolo di-ciannovesimo scoprì l’archeologia, e con essa una serietà di intenti e una metodo-logia razionale che il precedente “artigia-nato” non poteva avere.In verità, questo terzo ramo, pur aven-do dato i migliori frutti, è tuttora quello meno nutrito, e di ciò non si può addos-sare la responsabilità all’insieme dei mo-dellisti. Per fare della buona ricerca occorrono strumenti culturali e conoscitivi che io dico essere potenzialmente senza limiti: questo però non vuol dire rinunciare in partenza, perchè lo spino della botte “sa-pere” si chiama da sempre « volere ». E se volere urta contro difficoltà oggettive, non c’è che consorziare il sapere per farvi fronte.Ouesta è la ragione per cui mi pare discu-tibile il modo attuale, così diffuso di far modellismo; troppo spesso la mancanza di ricerca e dei criteri inadeguati di applicar-la come la superficialità nell’ accettare i disegni proposti hanno indotto il mercato ad essere invaso da scatole di montaggio e prodotti finiti che hanno ridotto model-listi e commercianti ambedue al ruolo di ignari “pataccari”.Bisogna sottolineare che ora è necessario cambiare, per fare questo non si può più accettare il clima trionfalistico e facilone

La ricercaGiovanni Santi Mazzini

Cogliendo l’occasione della pubblicazione del libro “Trattato elementare dell’alberatura delle navi” tradotto da G. Santi Mazzini per i Soci di Magellano, riplubblichiamo su queste pagine un suo articolo apparso sul portale nel 2003

di certi ambienti e certi strumenti di di-vulgazione. Si può e si deve evitare losconcio di vedere accettati senza alcuna seria documentazione sempre lo stesso modello reale o a volte inventato, possi-bilmente con tante vele e tante sculture (prefabbricate e costose); il tutto, con ilsottinteso suggerimento “dopo potrai dire anch’io l’ho fatto”.Per ovviare a questa patente disonesta non c’ è che un mezzo: scrollare dal sonno il modellista e risvegliarlo alla ricerca ar-cheologica, dandogli per questo scopo gli strumenti necessari e nello stesso tempo indicandogli i limiti della ricerca stessa. In secondo luogo riducendo al minimo lacompetitività perchè il sapere competiti-vo è indegno del sapere stesso e non porta che al potere sfruttatore dell’ ignoranza. Infine, ampliando al massimo lo scambio di informazioni e sensibilizzando gli esper-ti alla comunicazione: perché chi non sa e parla è un idiota ma chi sa e non parla è criminale.

Gli Strumenti della Ricerca

Può sembrare inutile affermarlo, ma il primo strumento, quello da cui tutto di-pende, è l’ onestà nei propri riguardi e l’umiltà di fronte alla Storia. Barare con sè stessi prima che con gli altri, inventan-do anzichè ipotizzare, annulla qualunque ricerca, e ne abbiamo visto purtroppo tanti esempi anche nel mondo della scien-za. Questa “conditio sine qua non” è il limite inviolabile della ricerca: dunque l’ obbiettività, e quindi la ripulsa di ciò che non è dimostrato.« Lo ha detto Lui » non vuol dir niente, se il signor Lui non porta solide prove. Il secondo e il terzo strumento sono la lin-guistica e la metrologia. I testi originali europei presentano due difficoltà pericolosissime: la lingua e le unità di misura. L’Europa, oltre che es-

sere stata per il mondo faro luminoso e giogo vergognoso, si è sempre distinta per l’unità di intenti imperialistici quanto per gli insanabili contrasti, a tutti i livelli, fra i suoi abitanti. Proprio a causa di queste spiccate differenziazioni, per quanto ri-guarda la nostra coscienza, terminologia e metrologia devono essere conosciute prima di ogni altro approccio, e, se fra questi due parametri non ho inserito an-che la cronologia degli eventi tecnici, è solo perchè questa può essere fatta rien-trare nella terminologia.Infatti, seguendo a ritroso il cammino dell’evoluzione di un termine, se ne può ritrovare la datazione.Poichè non si può prescindere dal linguag-gio, pur avendo in mente uno schema completo dell’oggetto studiato, è eviden-te che la linguistica non si può indagare che con la filologia, che ne rappresenta la parte dinamica. Un buon esempio è il vo-cabolo “ancora”: questo strumento atto a fermare trova la sua radice etimologica nell’egizio “ankh“ cioè “ansa” o “curva-tura” (da cui angolo, Ancona, uncino).Questo ci fa ritenere che l’ ancora unci-nata sia nata nel mediterraneo sudorien-tale e poi diffusa nel resto d’Europa come tale: infatti la radice è conservata in tut-te le lingue europee. La prua invece, parte anteriore di qua-lunque nave, non avendo avuto bisogno di un inventore, riconosce termini diversi in diverse lingue: “prora” (cioè che sta da-vanti) nelle lingue elleno-latine, “boeg” (arcuato) nelle germaniche.Questi problemi possono apparire al « mo-dellista » quasi metafisici, mentre sono in realtà di grande importanza quando “l’ archeologo” voglia ricostruire una nave in base a pochissimi disegni (se non graffiti ) e manoscritti, oppure quando si trovi a dover definire esattamente una parte del-la nave.Se poi l’italiano antico, grazie alle sue nu-merose componenti regionali è già di per

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 9

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200910

se difficoltoso, le asperità del linguaggio tecnico marino europeo possono apparire una pania mortale.Fortunatamente, e nessuno ringrazierà mai abbastanza i loro autori, possiamo disporre dei vocabolari di marina, i quali costituiscono nello stesso tempo strumen-to e materiale di ricerca, perchè anche quelli più antichi riportano una preziosis-sima iconografia. Quasi tutti, inoltre,forniscono gli equivalenti in almeno una lingua europea, segno che la necessità di capirsi era molto sentita da chi si inte-ressava, teoricamente e praticamente, di marina.La prima opera di marina corredata di alcuni termini con relativa spiegazione, comparve in Spagna, a Bilbao, nel 1585, a cura di Andrés de Poza: “Hydrographia”.II libro conteneva una “Declaraciòn de al-gunos vocablos maritimos”. Non si tratta certo di un lavoro di primaria importanza, e lo cito perchè è il capostipite: del resto non è neppure concepito come vocabola-rio. Tuttavia fu seguito nel 1587 da “Istru-cion nautica”, di Diego Garcia de Palacio, un terzo del quale era costituito da un “Vo-cabulario de los nombres que usa la gente de la mar”, segno che la conoscenza della terminologia cominciava ad essere un’esi-genza. Questa prima fiammata spagnola si concluse nel 1611 con un’ analoga opera di Thomé Cano; di maggior interesseperò, essendo stata ristampata nel 1964: “Arte de fabricar, fortificiar y apareiar naos de guerra y merchante...”. In questa stes-sa epoca uscì anche quello che considero il primo serio inventario di terminologia bizantina, così trascurata: “Glossarium taktikon mixobarbaron”. “De verborumsignificatione...” a cura del francese Nico-las Rigault, il quale, se non ha l’interesse di un Aubin e la primogenitura di Guillet, anticipa però la grande tradizione dei vo-cabolaristi francesi.Neanche Cleirac, con il suo “Explication des termes de marine...” del 1636 può es-

sere considerato un vocabolarista classico, avendo avuto cura di elencare senz’ordi-ne dei termini ufficiali, comparsi su editti e ordinanze. Più interessante fu invece il poderoso zibaldone di George Fournier, gesuita di marina, “Hydrographie”, opera ricca di verità e fanfaluche, ma da riguar-dare con rispetto.Anche qui troviamo un breve dizionario, mescolato alla storia di Noè, ai dati im-possibili sulla Couronne (che tradirono due secoli dopo l’ammiraglio Paris) e a va-rie notizie utili sulla marina del tempo.Trentacinque anni dopo. nel 1678. apparve finalmente il primo dizionario organico di marina francese, a cura di George Guillet, per quanto dividesse le pagine con altre due parti (arte del maneggio e arte mili-tare). Come dice il titolo, infatti, “Le dic-tionnaire du gentilhomme”, era un’opera erudita per nobili. Nell’insieme un lavoro dignitoso e abbastanza utile. Totalmente navale era il successivo “Dictionnaire des termes propres de marine” di Desroches apparso nel 1687, da cui l’ugonotto Nico-las Aubin, fuggitivo dall’intollerante Fran-cia cattolica, trasse abbondante materia-le per il suo “Dictionnaire de marine”, franco-olandese, del 1702.Non si può dire che l’ Inghilterra avesse prodotto molto in questo campo fino al 1644, ma a parte l’ “Accidente”, di John Smith, quando fu data alla stampa un’ope-ra veramente notevole: “The seamansdictionary” di Henry Mamwayring, risulta-to di numerose edizioni manoscritte fino dal 1620. Ebbe numerose ristampe, eppu-re il costo di un originale è oggi proibitivo (dalle 700 alle 4000 sterline per i mano-scritti); fortunatamente fu pubblicato in parti successive sulla rivista “The mari-ner’s mirror”.Un’altra opera di valore, contenente un vocabolario, fu “Colloquia marittima” di Nathaniel Butler (1685), ristampata ne11919: un lavoro enciclopedico, assai più positivo di quello di Fournier, L’Italia.

terra di marinai e letterati, non produsse nulla di organico fino al 1813, ma un voca-bolario “incluso” si trova in una splendida e rara opera del 1614: “L’armata navale” del capitano Pantero Pantera. “gentiluo-mo comasco e cavaliere dell’habito di Cri-sto”. Unica opera italiana, contienetuttavia materiale di ricerca di primo ordi-ne, soprattutto per quanto riguarda quell’ incognita ancora oggi rappresentata dalle galere.Fino alla metà del 18° secolo non com-paiono più opere eccezionali, come se si fosse preferito vivere di rendita sul secolo precedente: ma l’ Illuminismo cominciava ad essere un fatto europeo, e con lui la Scienza. Per questa ragione, a partire dal 1750 cominciamo a trovare opere di nuo-va concezione e nei contenuti e nella ve-ste editoriale, come a “Naval expositor” di Thomas R. Blankley, il quale riporta a fronte di ogni termine il disegno illustrati-vo, seguito dal fondamentale “An univer-sal dictionary of the marine” di William Falconer del 1769 (ristampato pochi anni fa e tuttora reperibile), e dalla “British & French mariner’s encyclopaedia” di J.W. None.In Francia, alle due modeste opere di Sa-vérien (“Petit dictionnaire...” - 1758) e di Bourdè de Villehuet (“Manuel des ma-rins” - 1773), fa seguito il “Vocaboulaire des termes de marine anglois et francois” – 1777, di uno dei più grandi nomi della architettura navale francese, Daniel Le-scallier.Quest’ opera, insieme al “Traite pratique du gréement” costituisce un punto fermo della letteratura navale, e la mole dell’ “Encyclopedie methodique marine” del 1782 non può ridimensionarla, in quanto quest’ ultima è un compendio del meglio apparso negli anni precedenti.Neppure il “Dictionnaire de la marine francoíse” di Charles Romme aggiunge qualcosa dì nuovo, e precede cosi (1792) una serie di piccoli vocabolari della pri-

ma metà dell’800, belli, “vissuti”, ma non fondamentali.Finalmente, nel 1793, appare la prima grande opera di inventario “totale”, Jo-hann Hinrich Róding, commerciante te-desco appassionato di marina, compila l’ “Allgemeine Wòrterbuch der Marine inallen europopaeìschen Seesprache...”.Questo vastissimo dizionario, ricco di 600 illustrazioni (sia pure mutuate da vari pre-decessori), elenca nella prima parte tutti i libri di marina apparsi dal 1500, e quindi i termini navali tedeschi con l’equivalen-te francese, inglese, italiano, olandese, danese, svedese, spagnolo e portoghe-se, e infine il repertorio in queste lingue. Paasch non arriverà a tanto e il solo Jal farà di più: ma Jal era uno scienziato e un uomo di mare, mentre Ròding era poco più che un botteggio. Quest’ opera straor-dinaria è stata ristampata pochi anni fa, mentre una “ristampa” un pò anomala fu fatta dal nostro Simone Stratico nel 1813. Con ciò non voglio accusare il professore di Padova di plagio, visto che lui stesso di-chiara la fonte nella prefazione, ma cer-tamente la bibliografia ed il commentoad ogni volume sono stati ripresi pari pari, come pure numerose tavole: alcune di queste, poi, a forza di essere ricopiate, avevano nel 1813 ormai cent’ anni di vita. Resta il fatto, comunque, che il Vocabola-rio di marina in tre lingue è la prima opera del genere stampata in Italia dai tempi diGutemberg.Sulla scia del dizionario poliglotta di Ròding, uscirono negli anni successivi al-cune mediocri opere inglesi: “A new po-cket dictionary”, di J. Willson (1794) e “A marine pocket dictionary”, di H. Neuman (1799). Molto migliore il “The british ma-riner’s vocabulary” di J.J. Moore (1801) che introduceva i termini nautici ameri-cani.Col 1811 l’attenzione al mondo extraeu-ropeo si rivela con un dizionario di ma-rina angloindiano, di T. Roebuck, men-

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 11

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200912

tre la produzione europea procede un pò stancamente con Lhuìllier, Lantsheer, La Coudraye, Twent, Nogués, Gràberg, Gra-glia, Willaumez. Di tutti, il solo diziona-rio dell’Ammiraglio Willaumez, dei 1820, merita qualche considerazione. Nel 1834 apparve il piccolo “Dictionnaire abregé de marine” del barone Pierre Marie J. de Bonnefoux, che sarebbe divenuto l’ul-timo comandante della fregata a “Belle Poule” e suocero dell’ammiraglio Edmond Paris. L’opera fu notevolmente ampliata nel 1848 a due volumi, uno per la marina velica, l’altro per quella a vapore, in col-laborazione col genero. Lavoro completo, è il primo esempio dei tempi nuovi, e a queste sue buone qualità deve la ristampa in tempi attuali (1930, 1971).Se l’opera di Bonnefoux era estre-mamente tecnica, quella di Augu-stin Jal fu la premessa, ancora oggi valida e insostituibile, per la ricer-ca archeologica navale moderna, Jal era tutto: marinaio, scienzia-to, filologo: le sue principali opere, “Virgilius nauticus” “Archeologie navale”, “Glossaire nautìque”, ci indicano chiaramente tutti gli stru-menti della ricerca. Egli non si limi-ta a elencarci i termini e a darcene la spiegazione: ci viene data l’origi-ne etnologica del termine, in quali testi classici o medievali è possibile ritrovarla, quali modifiche struttu-rali e semantiche ha subito, la cri-tica sempre costruttiva dei prede-cessori, le fonti iconografiche a cui risalire. Potrebbe apparire strano che dopo Jal nessuno abbia prose-guito sullo stesso cammino, se non fosse per lo sgomento che prende chiunque soltanto immagini la mole di lavoro necessaria a radunare tut-te le conoscenze acquisite in cen-totrenta anni, aggiungendovi quelle già vastissime di Jal. Resta il fatto che quella indicata dal nostro Auto-

re è l’unica possibile per ottenere buoni risultati.Durante tutto il 19° secolo, ogni stato d’Europa, perfino l’arretrata Russia, pro-dusse varie opere navali senza trascura-re la terminologia. L’Italia, nonostante le sue tradizioni marinare, non brilla perquantità e qualità: troviamo nel 1846 un “Vocabolario militare di marineria” di Giuseppe Parrilli, non eccelso, e nel 1870 il “Dizionario di marina” dell’ammiraglio Fincati, più tecnico ed apprezzabile.Poi ancora “A nautical and technical dictio-nary of the english and italian languages” di R. Settembrini il “Dizionario marino e militare” di A. Guglielmottì, quest’ultimo alquanto ricco di termini ma altrettanto debole in filologia.

Tabella delle unità di misura anglosassoni

Nel 1885 apparve infine ad Anversa quella che potrebbe sembrare l’opera definitiva. “From keel lo truck” (Dalla chiglia al pomo d’albero) del capitano belga Heinrich Pa-asch. Si tratta di un dizionario in 5 lingue (francese, inglese, italiano, spagnolo e tedesco, nelle ultime edizioni), ben illu-strato e molto ricco per quanto riguarda la marina a vapore. Non posso dire che sia completo perchè dimentica parecchi ter-mini della marina velica, sopratutto i più antichi, ma le sue undici edizioni, l’ulti-ma delle quali nel 1937, e le numerose ri-stampe, (nel 1978 se n’è avuta un’altra), dimostrano la sua validità per il periodo a cavallo del 1900. Proprio nel 1900 vide la luce l’ ultima grande opera italiana, il “Vocabolario nautico italiano” in 7 vol., del prof. Francesco Corazzini. La vastità e completezza dell’opera ne fanno un de-gno erede di Roding e Jal, come dimostra-no anche le traduzioni dei termini in ben sette lingue europee (francese, spagnolo,

portoghese, latino, greco, inglese, tede-sco).Con Paasch e Corazzini termina a mio av-viso la grande tradizione vocabolaristica europea; tutto ciò che vien dopo non è che aggiornamento o ciarpame.Il secondo strumento indispensabile per districarsi dalle sabbie mobili della stam-pa europea dei secoli passati, precedenti la Rivoluzione Francese, è la conoscenza delle misure nazionali o regionali se non addirittura cittadine.II mondo greco aveva delle sue misure, quali il piede e il talento che furono for-tunatamente ,assorbite da quelle roma-ne, e perciò diffuse nel resto d’ Europa. Purtroppo venuta a mancare l’ autorità di Roma il piede fu modificato dai singoli stati barbaro-romani, oppure la misurapreromana tornò in vigore. Infatti si può legittimamente supporre che il piede ana-tomico o il passo, fossero stati adottati come misure da quasi tutti i popoli, come

pure il “pollice”.Alla scomparsa di Roma segui una confusione bellica delle unita mi-sura, che rimase tanto maggiore quanto l’unita nazionale fu lenta a prodursi: Italia e Germama ne sono due buoni esempi. C’è da chiedersi come il commercio e la scienza potessero sopportare un tale intrico di cifre e nomidifferenti, per non parlare dei cantieri navali, a volte nella stessa nazione. Perfino un’ arte la cui base è così strettamente legata alla fisica come la musica, pativa (pur progredendo), simili problemi, se sipensa che in due città tedesche distanti tra loro poche leghe gli strumenti venivano accorda-ti differentemente, anche sulla stessa nota. Fortunatamente, la Rivoluzione francese mise or-dine in questo impossibile caos Tabella delle unità di misura francesi

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 13

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200914

imponendo il Sistema Metrico Decimale, almeno fin dove i grognards di Napoleo-ne poterono arrivare stabilmente. Oggi la sola Gran Bretagna e la sua ex colo-nia americana insistono nell’uso delle vecchie misure, anche se ormai il Regno Unito sta provedendo alla futura adozione del SMD.

Il Materiale della Ricerca

Come in tutte le Scienze, la vastità del-lo scibile e dell’incognito (che è, ahimé, sempre in vantaggio) sono tali da rendere impossibile una competenza totale e raf-finata per un solo individuo. I tempi purcosì culturalmente ricchi dell’ Umanesi-mo e dell’ Illuminismo permettevano a un certo numero di grandi ingegni una cono-scenza quasi totale del sapere, ma Essi, a parte il caso unico di Leonardo) si trova-vano a dover apprendere un numero limi-tato di nozioni, mentre quelle veramente importanti erano loro stessi a scoprirle. Oggi, simili individui, se pure esistono, sono rarissimi: è quasi inconcepibile che un uomo solo, un archeologo, possa cono-scere completamente tutte le anticheciviltà mondiali. Perciò è necessaria la specializzazione, per quanto vi sia il peri-colo, verificato ogni giorno, che il restrin-gere forzatamente il campo ottico porti ad una dannosa miopia per gli altri oggetti del sapere.Quindi, come in medicina generici e spe-cialisti non possono fare a meno gli uni degli altri, anche nel nostro studio è ne-cessario strutturarci nello stesso modo: conoscere i fondamenti di tutto e quin-di dedicarsi al campo di ricerca preferi-to, cosa del resto abbastanza naturale e spontanea. Insisto però nel richiedere a tutti la conoscenza dei fondamenti, così come nessuno riporrebbe la propria fi-ducia in un medico ignaro di anatomia e fisiologia. D’altra parte, lo specializzarsi

in un periodo storico o in un particolare tipo di nave o nella marina di un singolo paese, non significa trovarsi legati in se-guito ad una specie di servitù della gleba, perché le nozioni nautiche sono talmente collegate fra loro che, per ben compren-dere un certo problema, non è possibile non studiarne a fondo il precedente. Pos-so dire questo per esperienza personale: dopo dieci anni passati a costruire modelli badando soltanto all’aspetto, mi venne fi-nalmente da chiedermi, meglio tardi che mai, che cosa contenesse quel guscio di legno, e poi come agissero gli uomini di un altro tempo per farlo realmente, e poi... e poi sto ancora chiedendo e cercando, e non vedo la fine, grazie al cielo. Perchéfelice è colui che cerca, non chi ha, e non ha nulla da trovare. Ora che ci sono noti gli indispensabili strumenti per corretta-mente ricercare, vediamo negli oggetti ei luoghi dove trovarli. La Nave, maga-ri soltanto come piroga monoxila, esiste dal tempo dell’Homo faber, ma il natante “complesso” appare in tracce dal tempo delle civiltà fluviali; seimila anni può es-sere il periodo tempo accettabile per il nostro studio. Ipotizzare qualunque og-getto senza averne una testimonianza fa pensare alle patetiche “prove” gnostiche di S. Anselmo, ed è l’esatto contrario del positivismo che è alla base del metodo di ricerca scientifico. Perciò bisogna rifarsi a quei segni casuali lasciati sul nastro del Tempo da ignoti o noti attori della Sto-ria, i quali è assai probabile non abbiano mai immaginato che dopo secoli di sonno qualcuno si sarebbe sforzato di capire il loro lavoro.Questi segni, così scarsi e preziosi, consi-stono di un insieme eterogeneo di modelli, bassorilievi, graffiti, pitture murali e va-scolari, su tela e su legno, arazzi, stampe, monete, sigilli; col passare del tempo, la testimonianza diviene fine a sé stessa per cui la tecnica è più raffinata e compren-sibile (dal ‘500 in poi). II caso degli scritti

va considerato a parte, perché la produ-zione letteraria classica, per quanto falci-diata da barbari dell’est (e dell’ovest), ci è pervenuta in una certa quantità, e oggidovrebbe essere sottoposta ad un attento esame per ricomporre il corpo di nozioni nautiche ivi contenute. Inoltre richiede la conoscenza del latino e del greco, non-ché delle loro corruzioni altomedievali. Si dirà che esistono buone traduzioni (non di tutte), ma posso rispondere che non tutti i traduttori di classici sono in possesso di una sufficiente sensibilità navale.Forse, neppure gli antichi artisti erano tutti in grado di riprodurre esattamente le navi del loro tempo, ma certe particolari-tà costruttive della stessa epoca o di epo-che vicine riportate da tutti dimostrano che erano reali: ciò significa che, quando il numero delle immagini lo consenta, ènecessario compararle ed anche inserirle in una misurazione statistica.Tutto questo materiale classico ci per-mette di ipotizzare le forme e la struttu-ra delle navi del mondo antico ed è per-fettamente consentito, anzi auspicabile, proporne la ricostruzione, ma sempre se-guendo un metodo preciso: innanzi tutto, presentando il modello corredato da uno studio che illustri le ragioni addotte per quella ricostruzione e non per altre, e inoltre limitarsi alla possibile realtà senza aggiungere nulla di completamente ignoto (colore, vessilli, ecc.). A volte poi accade, nel nostro tempo abbastanza spesso, che i ritrovamenti archeologici sconvolgano o confermino le nostre ipotesi: senza ri-cordare certe recenti scoperte del Polder olandese di carene di cocche, che han-no rivoluzionato le precedenti nozioni su queste navi, basta riandare alle due volte perdute navi di Nemi, i cui ornamenti era-no tali e quali ci erano stati rappresentati dall’iconografia classica.Oggi la conoscenza dei testi (trattati, di-zionari, manoscritti, disegni) è pratica-mente esaurita, anche se molto lontana

dall’essere riunita in un corpus organico, mentre è in pieno sviluppo la ricercasubacquea, che ci fornisce testimonianze dirette.Tuttavia il “caso Wasa” e il “caso Nemi” eccezionali, e negli altri casi dobbiamo accontentarci di frammenti: metodi di fa-sciatura, di chiodatura, di incastri, pezzi d’artiglieria e d’ornamentazione, ma l’in-sieme ci sfugge e a volte è il dato scritto che fa da collante. Perciò è più che mai necessario ricordare i vecchi testi.I primi testi stampati portano un tito-lo significativo: “Arte di fabbricare...”. Si trattava veramente di un’ arte e assai poco di una scienza. Gli autori, se colti, ri-univano le Nazioni dei carpentieri, spesso su ordine dell’Ammiraglio o del re stesso, mentre le opere più genuine erano dovute ai maestri costruttori stessi.Questa scarsità di trattati di costruzione navale trova le sue ragioni innanzi tut-

to nelle gelosie personali dei costruttori che non amavano divulgare ì loro segreti, e poi, soprattutto, a causa del ristretto mondo europeo precolombiano. Vista di tre quarti di poppa del vascello olandese “Hollandia” da J.Charnock.Uno significativo esempio dei trattati di architettura navale nel periodo tra il XVIII e XIX secolo La nave come strumento di politica aveva interesse nel bacino mediterraneo, dove il mortale pericolo turco faceva di neces-sità virtù il ben costruire ed il codificare le nozioni. Non per nulla i migliori trat-

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 15

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200916

tati, quali la “Nautica mediterranea” di B.Crescenzio, occupavano di galere: detto per inciso il voluminoso in-folio di questo Autore, sta senza problemi alla pari, fatte le proporzioni, con altri superlativi trat-tati quali Dudley, Hoste, Chapman. L’al-tra ragione deriva dal fatto che le marine europee si limitavano ad una navigazione pressoché costiera, e l’ Atlantico era an-cora un mondo sconosciuto dove, a scel-ta, sì poteva collocare uno strapiombo, un continente perduto, o mostri a volontà.Se Colombo merita la nostra ammirazio-ne per la sua caparbietà, dobbiamo anche considerare che deve essere stato grati-ficato di tanta buona fortuna essendo so-pravvissuto malgrado i suoi tre fragili naos (certo non caravelle).L’Europeo, un po’ come oggi noi sospet-tiamo di non essere soli nel cosmo, scopri che la terra non era il mondo, e in parti-colare che la vecchia Europa era davvero vecchia.Esistevano tutti i presupposti per un rin-novamento morale e tecnico: la realtà vide invece le strutture del Vecchio Mon-do trapiantate pari pari in quello nuovo, mentre l’avidità dei potenti, abbagliata dall’oro e dalle terre americane, richie-se alla tecnica i mezzi per mantenerne il possesso. Andare alle Antille, in Canada, in Perù, in Virginia, in India, alle Isole del-la Sonda, e tornare carichi, presupponeva navi molto, molto più solide di una cocca o di una caracca: ed ecco aumentare le dimensioni, l’armamento, la forza velica e variare la struttura idrodinamica. Tut-to questo però non poteva accadere da un giorno all’altro, perché i maestri co-struttori avevano a volte, sì, delle felici intuizioni, ma mancava loro il supporto di solide conoscenze matematiche per svilupparle. Nel corso del 17° secolo, no-nostante i validissimi apporti di Dudley. Witsen, e Dassié, nessuno pose seriamen-te delle basi scientifiche, direi moderne, all’architettura navale. Soltanto nel 1697

un gesuita, insigne matematico, Paul Ho-ste, pubblicò “L’art des armées navales”, diviso in due volumi in folio. Il primo co-dificava la tattica navale, il secondo era un trattato di idrodinamica in anticipo di centocinquant’ anni. Nel ‘600 esistono molte opere affascinanti come Keltridge, Van Jk, Dudley, ma nessuna riveste l’im-portanza di quella di Hoste: tutte descri-vono, solo questa teorizza e pone le basi per la vera architettura navale.Infatti tutto il 18° secolo ne è la dimostra-zione: i lavori più importanti, di Suther-land, di Bouguer, di Duhamel, di Stalkartt, di Chapmann, di Vial du Clairbois, di Juan, seguono e profittano della lezione. Tutte queste opere iniziano con un corso di ma-tematica e geometria, quasi a voler av-vertire il lettore che per costruire la nave non legno e piccozza, ma logaritmi e com-passo sono le indispensabili premesse.Con ciò non voglio dire che il resto del-la produzione libraria sia da dimenticare, anzi. Molte opere sono esclusivamente pratiche, e ad esse dobbiamo la conoscen-za dell’anatomia navale; mi riferisco ad opere come “Construction des vaisseaux du roi et les noms des toutes les pièces qu’y entrent” del 1671, o “Proporciones de las medidas mas essempciales...para la fabrica de navios y fragatas de guerra” di Gastanneta (1720).L’inizio del 19° secolo portava con sé il vapore, finalmente maneggevole dopo due secoli di tentativi, e, come un can-cro, l’energia non animale iniziava l’infil-trazione del regno del legno e della tela, portandole a un passo dalla morte in nep-pure cinquant’ anni. Quasi ne presentisse la scomparsa e sentisse il bisogno di rac-cogliere in una suprema summa il meglio delle esperienze del secolo appena tra-scorso, nel 1809 David Steel pubblicò “The elements and pratice of naval architec-ture”, accettabile come un’edizione più matura di Chapmann e definitiva quanto alla nave di legno. Poi, fino al 1870, i trat-

tati di architettura ospitano legno e ferro, quest’ ultimo in costante vantaggio quan-to le pale e l’elica sulla vela.II pieno del ‘800 vede anche una grafica molto piacevole, migliore di quella di Ste-el e derivata da Chapmann e Stalkartt. Se il disegno del ‘600 era, se di buona qua-lità, un “quadro”, e quello del ‘700 quasi impersonale, le più belle opere dell’800 (LeComte, Russel, Rankine) hanno il pre-gio di rendere gradevoli quelle inconsue-te navi ad alberatura atrofica, deturpate da grandi ruote, piatte come pontoni. Per accostarsi a questa nuova realtà, vi sono tre modi, guardarne la raffigurazione pit-torica o fotografica, il modello, oppure i piani di costruzione. Ebbene, io credo che il solo modo per accettarle ed inna-morarsene sia il terzo modo. Mi riferisco in particolar modo alle splendide tavole di Russel, fondatore del “Naval architects institute” e progettista insieme a Brunel del “mostro” per eccellenza, della sfor-tunatissima “Great Eastern”. Già le pur molto belle tavole di Rankine sono dimen-tiche del legno e costituiscono un tesoro per quanto riguarda le macchine.La data di pubblicazione di Russel è il 1864-65, quella di Rankine è il 1866. II tempo dell’evoluzione tecnica scorreva ormai a precipizio, e tutti sappiamo che cosa è diventato: lo stiamo vivendo.Esaurita la serie dei documenti che ci in-formano su quali navi siano esistite e come erano fatte, dobbiamo ora vedere di che cosa erano fatte, ivi incluse l’attrezzatu-ra e l’armamento, quali erano i metodi di conservazione e riparazione, quale l’arti-gianato, l’industria e l’arte che costitui-vano la struttura portante di un arsenale. Personalmente, ritengo questa parte della nostra ricerca la più fertile e la più affa-scinante, perché coinvolge la storia della tecnica, intesa come capacità dell’ Uomo di realizzare manualmente il risultato di un processo logico conoscitivo.Abbiamo dunque dei trattati di stretto in-

teresse navale ed altri la cui impostazione è già comprensiva di tutte le applicazioni possibili di una data tecnica.Alla prima serie appartengono la maggio-ranza delle opere sul legno: fino all’800 inoltrato dire “legno” e dire “nave” era la stessa cosa, e non solo come metoni-mia. Una foresta, agli occhi di un Ammi-ragliato, significava una flotta, e a quelli di un re potenza. Dunque il legno doveva essere ben conosciuto, ben utilizzato, e continuativa la sua produzione E’ signifi-cativo che forse la più bella opera di bo-tanica del ‘700 sia stata scritta proprio da un grande architetto navale francese, Duhamel du Monceau (“Trarte des arbres et des arbustes ...” - 1801, 7 vol folio), le cui altre opere non lasciano dubbi sulla completezza delle sue conoscenze navali. “Traite complet des bors et des foréts” (1764). “Traité de la fabrique des mano-euvres pour les varsseaux”, (1769), non-ché le comunicazioni scientifiche sulle ancore e sul modo di conservare in buona salute gli equipaggi.Nel 18° secolo tutto lo scibile umano fu finalmente riunito, ed in modo splendido,

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 17

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200918

nell’ Encyclopedie, frutto dell’illumini-smo impersonato dai suoi due ideatori-coordinatori, il filosfo Dems Diderot ed il matematico Jean Baptiste D’Alembert.Ristampa del volume dedicato alla Marina della “Enciclopedie des art et metiers”

Sarebbe dar prova di estrema miopia il li-mitare il proprio interesse alla voce “Ma-rine”: dell’ Encyclopedie tutto é utile alla nostra ricerca, dalla metallurgia, alla fab-birca del vetro. Questo prodotto eccelso del Secolo d’oro ci dà un’idea completa delle idee e della tecnica del tempo e ci dimostra quanto pernicioso fu il divorzio fra ethos e praxis intervenuto nel 19° se-colo e quanto mai consolidato ai nostri giorni. A titolo informativo, dirò che I’En-cyclopedie é stata ristampata interamen-te nel 1977 dall’Editore Franco Maria Ric-ci, e la serie delle tavole da Mondatori. Occasioni da non perdere … .Se il 18° secolo fu un secolo d’oro, forse irripetibile, il 16° “secolo di ferro” come dice Kamen, non fu da meno nella produ-zione di opere fondamentali: è vero infat-ti che i periodi di rinnovamento culturale sono i più fecondi, anche se sono purtrop-po zuppi di sangue. Del 1500 devono essere ritenute due opere sulla metallurgia, cosi importante per la storia dell’artiglieria. Esse sono la rara “Pyrotechnia” in 10 libri di Vannoccio Biringuccio, edita nel 1540, e il “De re metallica”, di Giorgio Agricola (1556). II primo era senese, e, quanto a idee, era talmente avanzato da restareun’autorità per due secoli; la sua a arte di “gíttare” e di “far mescolamenti” sono una vera bibbia del fonditore e i suoi me-todi di saggio dei metalli preziosi (coppel-lazione e inquartamento) sono tuttora in uso pressoché indifferenziati.II secondo era tedesco, e latinizzò il suo nome da Bauer ad Agricola. A differenza di Biringuccio, che conosceva la tecnica “de visu” e “de manu”, e spesso ne era l’inventore, Agricola lavora più di penna

e di libro che di martello e fucina, qua-lificandosi più tecnologo che tecnico, e a questo deve la sua importanza.Dalla metallurgia generale prese l’avvio un nuovo ceppo letterario, quello arti-glieresco, iniziato anch’esso da uno stu-dio generale dei mezzi balistici, terrestri e navali, ancora nel ‘600 (Blondel) e nel ‘700 (Le Blond) era ancora tale, come pure il fondamentale “Description de l’art de fabriquer les canons” , di Gaspard Monge (1793).Soltanto “The practical seagunner com-panion” di William Mountaine del 1747 e centrato sull’artiglieria di marina, ma, lungi dall’essere un’opera teorica, non è che un manuale per il cannoniere. Nel 1822, finalmente, apparve un’opera in cui tecnica, tattica e strategia dell’ar-mamento navale venivano fusi con criteri moderni: “Nouvelle force maritìme” del generale francese Henri Joseph Paixhans. Il sottotitolo è un programma : “…sur une espece nouvelle d’ d’ artillene de mer, qui detrmrait promptement les vaisse-aux d’ haut bord…”. Da questo momento inizia una rincorsa fra mezzi distruttivi e corazze difensive che terminerà nell’era dei missili, segnando nei testi d’artiglie-ria navale le successive evoluzioni a pa-ragone dei mostri creati da Armstrong e da Krupp, le vecchie carrette di legno e le loro canne a palla piena appaiono poco più che fucili ad aria compressa. Ancora il lavoro di Douglas “Naval gunnery” del 1851, già così critico, appare come pre-paratorio, e bisogna attendere la fine del secolo per avere lavori di lucidità ed effi-cacia, possiamo ben dirlo, mortaliL’attrezzatura. (alberi, pennoni, corda-mi, vele, pulegge, ancore) si trova spesso descritta in appendice ai trattati di archi-tettura, oppure è limitata ad un elenco di proporzioni, quali uno dei più antichi, il “Full and pertect account of the sizes...” di E. Hayward, del 1656. II primo compo-nimento organico sull’attrezzatura è inve-

ce francese nel 1722, per opera di Charles E. Camus, e tutto il 18° secolo vedrà il predominio francese in questo campo fino

all’ecccellente lavoro di Steel.

“Trattato elementare dell’alberatura del-le navi” traduzione di Giovanni Santi Maz-zini del famoso “Traitè de la mature” Lau-rent Forfait I due classici del ‘700 rimasero Lescalier e Forfait per l’attrezzatura

vera e propria, Duhamel per la fabbrica-zione dei cordami e Réamur per quella delle ancore. Poi, dalla metà dell’800 in avanti, col decadere della marina velica ed il predominio del ferro, l’attrezzatura diviene una parte della metallurgia, coni suoi alberi, pennoni, e manovre dormien-ti in metallo, mentre la costruzione delle ancore evolve non tanto sul modo di pro-durle, quanto sulla loro miglior forma.L’ultimo gruppo di materiale di consulta-zione stampato consta di quelle pubblica-zioni di cui i “Souvenirs de marine” dell’ Amm. Parìs sono i capostipiti, unitamente alle raccolte di disegni d’epoca. I due più

famosi conservatori del Musée de la Ma-rine di Parigi, Antoine Léon Morel-Fatio e FranGois Edmond Paris, ci hanno lasciato l’uno una splendida collezione di disegni di suo pugno, l’altro una raccolta di piani di navi antiche e recenti dovute alla col-laborazione dei maggiori Musei d’Europa, di ammiragli e privati, francesi e no. I Soi-venirs devono essere studiati con spirito critico, perché i disegnatori da una parte non hanno troppo fatto caso all’evidenza geometrica mentre l’ Ammiraglio dall’al-tra di è “bevuto” le frottole, per esem-pio, di Fournier.Gli resta comunque il merito di aver riu-nito frammenti sparsi di un patrimonio al-trimenti ignoto ai più come dimostra una frase rivelatrice a commento di un dise-gno: “Comme on ne fera plus de ces ba-teaux, on a cru bien les dessiner ici avant qu’il disparaissent”.Questi autori della fine del ‘800 intrave-devano la fine della vela ma non si rasse-gnavano, perciò il loro lavoro è quasi esa-sperato da questa imminenza. Credo che sia per questo motivo, cioè la situazione opposta che dall’opera dei Van de Velde, degli Ozanne, di Cooke, di Pollard, di Roux, che traspare la serenità di un mondo del quale, ai loro occhi, non si sarebbe mai po-tuto vedere la fine. Queste collezioni rap-presentano per noi un archivio di estrema utilità, oltre che di gradevolissime visioni: grazie al loro elevato contenuto artistico, gli editori moderni ci hanno fatto dono, si fa per dire, delle loro ristampe. II poterle studiare preventivamente offre la possibi-lità di calarsi nei tempo e di restituire al modello quello che la fredda architettura non può dare. Proprio come una scultura in legno acquista vita se policroma così il poter mettere un occhio alla toppa delvecchio mondo, attraverso i suoi Artisti, rende perfetta la ricostruzione e vendi-ca noi, poveri uomini dì un secolo la cui “arte” sarà giustiziata dal futuro.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 19

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200920

Clara May IV parteTenti Massimiliano

Dopo l’iniziale idea che del Clara May non esistesse alcuna documentazione, trovare ciò che cercavo mi ha allargato sul viso il classico sorriso a 33 denti

Come normalmente ho sempre fatto, una volta cominciato il lavoro sul Clara May mi sono messo a ricercare su Inter-net foto di questo modello inviate da al-tri modellisti, per trarre spunti su come realizzare certi particolari, per confron-tarmi con modellisti migliori che sapesse-ro infondere sul modello un realismo più tangibile, in più ho chiesto aiuto in modo generico sul forum di Magellano dopo vari tentativi di ricerca e nessun risultato utile sulla Clara May.Come suggerito da Albino ho definito me-glio la ricerca passando da “english ketch” a “old british ketch”. Cosi facendo ho pra-ticamente trovato quello che cercavo (o almeno era quello che pensavo) sul sito del National Maritime Museum: il famoso fishing ketch che cercavo! Confrontanto le attrezzature della barca e le linee dello scafo mi sono detto “ci siamo!”, la somi-glianza era perfetta. Confrontando il risultato che avrei ottenu-

to completando il mio modello con quan-to vedevo sono stato preso dallo sconfor-to, stavo perdendo tempo? Il mio sarebbe sembrato un giocattolo se confrontato con quel modello. Servivano informazio-ni per rendere quanto meno il mio Clara May accettabile. Unico problema il fatto che non c’erano piani d’acquistare riguar-do il modello, solo l’informazione che era stato realizzato da J. Hodgson nel 1880 (periodo vicino a quello di costruzione del

Clara May) e la possibilità di acquistare una stampa del modello dal NMM. Troppo poco, ho continuato le ricerche.Sempre sul sito di NMM ho cosi trovato la foto di un’altro modello sempre pratica-mente uguale che però ha anche un nome: Brixham Trawler VALERIAN.A differenza di quanto successo per il Cla-ra May in questo caso sono riuscito a tro-vare informazioni specifiche sul modello, nel sito:

http://www.skipper.co.uk/catsm.htm

erano acquistabili i piani del Valerian. Particolamente interessanti per me erano i piani riguardanti “Working drawings of each Deck Fitting” e “Masts, Spars, Iron Work, Reeving of Gear”, l’idea era quella di partire dalla base del kit dell’ Artesiana il cui livello di dettaglio non era soddi-sfacente e realizzare i dettagli seguendo quanto riportato su questi piani. L’unico dubbio a questo punto però era il fatto che il Clara May è stato lanciato nel 1891 ed ha continuato a lavorare fino al 1953 mentre il Valerian è stato lanciato 1923... una differenza di 32 anni era un pò troppa per poter credere che i dettagli che vole-vo riportare fossero uguali...

Poi a risolvere i miei dubbi la doccia fred-da di Albino: “Il fishing ketch e il Valerian (un trawler ergo una barca per pesca allo strascico) hanno un’attrezzatura velica si-mile. Per quanto riguarda la differenza di 23 anni tra il Valerian e la Clara May con-cordo con te nel dire che le attrezzature nel fratempo si sono certamente modifi-cate. Del Clara May ho letto sul Web che era un trading ketch (una barca da tra-sporto) pertanto con uno scopo ben diver-so da quello della pesca, da qui il perchè ha un ponte cosi spoglio se confrontato con gli altri due modelli.”

Dopo aver trovato su Internet alcune im-

magini del modello del Clara May finito mi ero reso conto che il tutto appariva un pò troppo semplificato, questo era quello che potevo ottenere seguendo le istruzio-ni della scato di montaggio. Non ero sicu-ro di poter fare di meglio ma volevo alme-no provarci e tutto impegnato a cercare informazioni aggiuntive non avevo notato che il Clara May era un trading ketch e non un fishing ketch. Se non avessi avuto l’opportunità di scam-biare pareri con chi meglio preparato di me che cantonata che avrei preso!

Ho continuato le ricerche trovando che su Model Shipwright 129 c’era un’articolo sul Clara May scritto da Eric Stedmond e che su Period Ship handBook di Keith Ju-lier tra i vari modelli era incluso anche il Clara May. Purtroppo nel primo caso era semplicemente un breve articolo su come realizzare la ruota di timone, nel secondo forze comprando una vecchia versione del libro (che cmq sconsiglio, non perchè sia fatto male, ma perchè di per se inutile vi-sto che mostra alcune fasi di costruzione di modelli partendo da kit, cosa che oggi si può trovare benissimo nei vari forum di modellismo) nessuna traccia del Clara May. Comincio ad essere sinceramente un pò scoraggiato per il tempo perso e i sol-di spesi inutilmente (pochi ma spesi cmq male).

Un’email di Albino nel frattempo mi tira su di morale: “Lo sforzo che stai facendo

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 21

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200922

per trovare il maggior numero possibile di informazioni sul soggetto reale è il primo e più importante passo per arrivare a fare un bel modello. Io faccio lo stesso: pas-so mesi a cercare info, disegni, foto, etc. prima di imbarcarmi nella costruzione del modello vero. E spesso mi pianto quan-do, arrivato ai dettagli, mi accorgo che non ho informazioni sufficienti per capire come era veramente fatto il particolare vero. Ho visto un sito nel quale sono riporta-te varie foro del modello Artesiana: è un onesto punto di partenza, va bene per im-parare a far modelli. Poi però è meglio passare ad altro.”

Nel frattempo Henri Hansen mi invia una notevole sfilsa di link a musei, barche re-staurate e all’incredibile modello realiz-zato da un modellista russo della “La Cu-rieuse” che mi fa strabuzzare gli occhi.

Poi finalmente un lampo: su un forum tro-

vo un messaggio in cui si parla che la Cla-ra May è molto ben documentata e i tito-li di un paio di libri: “Schooner Sunset” e “The Mechant Schooners”. Ho provato una sensazione strana, mi sono sentito un pò uno storico che avesse fatto chis-sà che scoperta! Per carità non che avessi fatto chissa che cosa, ma la sensazione è stata ugualmente quella: aver trovato fi-nalmente informazioni serie sul soggetto che mi interessava, aver fatto una grande scoperta per me!Henry, che lasciatemelo dire è proprio matto :), per aiutarmi ha trovato e si è comprato questi libri, leggendoseli e fa-cendomi sapere nello specifico che in-formazioni erano contenute nei libri, più suggerendomene altri.

Infine Charlie mi ha inviato il link di un sito dal quale comprare i piani del Clara May realizzati da MacGregor.Nonostante inizialmente non avessi trova-to riferimenti utili sul modello che volevo realizzare, continuanto le ricerche grazie ai numerosi aiuti ricevuti, ho trovato fi-nalmente le informazioni che ricercavo, ricavando molta soddisfazione anche da questa fase di ricerca.

L’unico dubbio a questo punto è sulle ef-fettive differenze che verranno alla luce tra il modello in kit del Clara May e la do-cumentazione trovata.

Le Sphinx II parteGiampaolo (JP) Cusati

La seconda parte delle fasi della costruzione del modello di copertina del primo numero di “In viaggio con Magellano”.

In senso orario dall’alto verso il basso: Una delle tavole dei piani della SPHINX de “Il Timone” in scala 1:75.

L’ossatura interna in falsa chiglia ed ordi-nate, in compensato da 5 mm e ricoperte con il primo strato di fasciame in tiglio

Il tavolato del ponte messo in opera. No-tare i supporti con le aperture per le ruo-te ed i tamburi che poi le copriranno. Le mollette e gli elastici servono per suppor-to all’incollaggio dei listelli che coprono le murate.

Il necessario per la realizzazione delle la-stre in rame per la copertura dell’opera viva. Si noti al centro un foglio già dipin-to in vernice rame e sotto due strisce già tagliate. A destra la ruota dentata che è servita per simulare la chiodatura sul re-tro delle piastre.

Inizio della posa in opera delle strisce di lastre in rame, a partire dalla linea di gal-leggiamento e dalla chiglia.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 23

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200924

In senso antiorario dall’alto verso il bas-so: Particolare della ricopertura in lastre di rame a prua della Sphinx

Trattamento di invecchiamento del rame mediante bagni di acqua, sale e aceto.

Tamburo della ruota. Da notare le sfingi ed il sole che ne decorano l’esterno.

Costruzione della ruota a pale. Da notare la struttura di pale e bracci.

Casotto contenente la cucina, le latrine e magazzini appoggiato al tamburo.

In senso orario dall’alto verso il basso: Vista dello scafo con la sistemazione del-le ruote a pale, dei tamburi e dei casotti (cucine, latrine e magazzini).

Vista dello scafo da tre-quarti di poppa. Si notano il fumaiolo con il tubo per il fi-schietto a vapore, l’argano a manovelle nella zona di prua e la ruota del timone a poppa.

Costruzione di una carronada: forma origi-nale in noce tornito e componenti aggiun-tivi in plasticard; carronada in resina co-lata; dipinta in grigio/verde per simulare il bronzo invecchiato. In alto la carronada completa, montata su affusto scorrevole.

Cannoni lunghi da 32 libbre. La canna è in resina colata, gli affusti in noce e tutte le componenti di ferro sono in cartoncino nero sottile.

Zona prodiera con installate le carronade ed i cannoni lunghi. Da notare la struttura dell’argano a manovella.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 25

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200926

Dall’alto verso il basso: Vista da dritta della SPHINX con gli alberi installati e fissati con le manovre dormienti. Sono già state montate le ancore. Si notano davanti alla prua i vari pennoni pronti per es-sere issati sugli alberi.

Vista della prua da tre-quarti.

Vista a centro nave. Notare le car-ronade, i paiolati, i tambuci e le manovre fisse.

Lavori di restauro II parteDuilio Curradi

Fine dei lavori di restauro di un battello a vapore di proprietà del Museo Marinaro Gio-Bono Ferrari di Camogli

Anche le sovrastrutture presentavano evi-denti segni di deterioramento. Ho smontato tutte le parti metalliche, ringhiere e oblò, ed ho pulito ogni parte verniciandola, poi, con flating opaco.Ho rifatto tutto il sistema di candelieri e ringhiere con lo stesso materiale e la stes-sa tecnica originali. Ho sostituito tutti gli oblò: i grandi con anelli dello stesso tipo, i piccoli ricostruiti in ottone. Tutti poi ve-trati con dischi di acetato

Sul modello c’erano due improbabili scia-luppe di plastica in pessime condizioni e, certamente, non originali. Ho costruito due imbarcazioni, con la tec-nica del pane e burro, utilizzando un pro-getto della stessa epoca della nave.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 27

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200928

Alcuni salvagente erano irrecuperabili. Li ho sostituiti con altri che ho costruito in legno.

La ciminiera, in metallo, poggiava diret-tamente sul collettore di scarico della caldaia. Dovendo separare la macchina dalla nave, ho costruito un piccolo basa-mento, smontabile, sul quale si innesta la ciminiera.

Il timone è azionato da un sistema a ingra-naggi montato in coperta e manovrato da una ruota. L’ho pulito e sistemato in modo da ripristinarne il corretto funzionamen-to meccanico. Per rendere funzionante il timone anche tramite radiocomando ho montato un servo, nascosto nella picco-la tuga di poppa, che è collegato all’asse del timone per mezzo di tiranti posti sot-to coperta.

Scopo del restauro non era solo quello di rendere presentabile il modello, ma di metterlo anche in condizioni di navigare. Come primo intervento ho sistemato l’as-se dell’elica che era montato in manie-ra molto precaria. Ho costruito l’astuccio che si vede nella foto a fianco che, oltre a stabilizzare l’asse, impedisce l’entrata dell’acqua. La flangia prodiera è origina-le e su questa si innesta un giunto, che ho costruito appositamente, che consente l’accoppiamento con due motori elettrici di propulsione che lavorano in parallelo.

L’idea iniziale era quella di rimettere in funzione l’impianto termico originale, composto da una caldaia a tubi di fumo e da una motrice alternativa monocilindri-ca.Purtroppo i componenti, oltre che in pessime condizioni, erano privi di alcune parti. La caldaia, poi, sottoposta a pro-va di tenuta, si è rivelata un colabrodo. Ho considerato la possibilità di ripararla, anche con il conforto di esperti specifi-ci, ma alla fine, in accordo con il Museo, abbiamo deciso di evitare interventi che ne avrebbero pregiudicato l’aspetto ori-ginale senza garantire, probabilmente, la tenuta soprattutto sotto pressione. Anche la motrice lasciava molto perplessi.

Restava, comunque, l’obiettivo di mette-re il Patras in condizioni di navigare. O al-meno di scendere in acqua per compiere alcune evoluzioni ed essere fotografato e filmato. Ho realizzato un sistema provvisorio così composto:

Una serie di accumulatori ricaricabili a 6 V per complessivi 6 Ah. Due motori elettrici, con riduttore, ac-coppiati con un sistema ad ingranaggi. Un regolatore di velocità. Un radiocomando a 4 canali (di cui solo due utilizzati). Un generatore di fumo a 12 V con ali-mentazione indipendente.

Sotto il boccaporto della stiva di prora sono stati sistemati i due interruttori per l’avviamento del generatore di fumo e il sistema di propulsione, nonché le prese per la ricarica delle batterie. Il sistema è facilmente amovibile ed il suo utilizzo è limitato alle evoluzioni dimo-strative prima che il modello venga siste-mato definitivamente nel Museo.

Mercoledi 30 Luglio 2008 ho portato il mo-dello alla “Schiranna”. Così è chiamata la zona di Varese che si affaccia sull’omoni-mo lago. Varato il modello e azionati i vari con-gegni, il P/fo ESEMPLARE ha “navigato” compiendo diverse evoluzioni.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 29

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200930

Il modello, così restaurato, torna ora a fare bella mostra di sé al Museo di Ca-mogli. Perché la sua presentazione sia adeguata al valore, soprattutto storico, dell’oggetto, ho cercato di costruire dei basamenti che spero siano adatti. Ho sistemato il modello su una base e, su un’altra, pressoché identica, la caldaia e la motrice. Le foto sopra mostrano il battello nella condizione definitiva.

Un ringraziamento particolare va al Com.te Pro Schiaffino e a Gino Anselmi per il sostegno prestato.

Il modello prima del reastauro: il Museo Marinaro Gio Bono Ferrari di Camogli pos-siede il modello di un piroscafo che è sta-to costruito fra il 1914 ed il 1915 dal Cap. Rodolfo Bozzo. Sul modello è installato un sistema di pro-pulsione a vapore che si compone di una caldaia a tubi di fumo e di una motrice a vapore monocilindrica. L’apparato motore è stato costruito dal Cap. D.M. Giuseppe Valle.Il Capitano Valle fu imbarcato su questa nave come Capo Macchinista.

Suggerimenti per la posa del fasciame Giampaolo (JP) Cusati

Oltre a realizzare degli ottimi modelli il nostro JP riesce molto bene a spiegare semplicemente come procedere nella loro relizzazione

Ho avviato la copertura dello scafo dell’Alabama, che sto ricoprendo con primo fasciame di tiglio da 4x1 mm. Successivamente, come è mio solito si-stema, ricoprirò il primo fasciame con un secondo fasciame (di cui sto definendo la dimensione delle tavole in scala secondo le specifiche originali) ma di spessore 0,5 mm, in modo da ricoprire completamente lo scafo nella maniera più pulita possibile. Dato che in una mail pervenuta nel forum tempo fa qualcuno chiedeva notizie riguar-danti le colle usate per il fasciame, volevo dare il mio piccolo contributo alle risposte : Io in genere, per il primo fasciame, uso colla vinilica bianca (ultimamente sto usando la Pattex Vinil Legno Express) che mi permette di posizionare bene il primo strato di fasciame (sempre tiglio) Ovviamente la colla la stendo sia sulle ordina-te che sul bordo del listello adiacente a quel-lo precedente, per tutta la sua lunghezza. Il listello del primo fasciame lo fis-so con chiodini in ottone, d dimensio-ne variabile da 6 a 10 mm, a seconda della posizione del corso di fasciame sull’ordinata stessa (più piccoli a prua e poppa, più lunghi a centro scafo) Una volta terminato lo scafo con il primo fasciame, e lasciata seccare la colla vini-lica x qualche giorno (1 settimana c.a.), incollo internamente i listelli, sempre con

colla vinilica abbondante, spargendo bene la colla sui listelli, all’interno dello scafo, tra un’ordinata e l’altra.

Appena stesa, poi, copro lo strato di colla con una garza a maglie larghe che poi premo con un pennello sulla col-la appena passata e la rispalmo ancora. In questo modo lo scafo risulta completa-mente “coperto” internamente da uno stra-to di colla + stoffa che è solido ma flessibile allo stesso tempo e garantisce che i listelli, con il tempo, non si muovano facilmente anche al variare di condizioni climatiche.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 31

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200932

Quando tutto è completamente asciutto (lascio trascorrere un’altra settimana) ini-zio ad estrarre i chiodini di ottone, uno per uno, usando sia una pinza a becchi sottili, sia una vecchia lama di coltello d’acciaio per far leva sotto la testa del chiodino e per sollevarlo quel tanto che basta per estrar-lo completamente con l’uso di una pinza. Rimangono i buchi dei chiodi, è vero, ma dato che poi la copertura sarà comunque fatta con un’altro fasciame, questo non importa. Ovviamente, laddove ci sono difformità nella curvatura dello scafo, una passata di stucco per legn, con carteggiatura, si-stema il problema ed una volta carteggia-to bene, lo scafo è pronto per il secondo fasciame.

Il secondo fasciame (tiglio se lo devo ver-niciare, altrimenti altre essenze se è a vista) lo posiziono con l’utilizzo di spilli di ferro (non acciaio...si spezzano) pie-gati ad U, e con l’estremità appuntita più lunga di quella con la testina piatta. A questo punto, il listello viene cosparso di colla (anche qui vinilica, ma ho usato anche della cianoacrilica in gel) e lo ap-poggio seguendo l’andamento preceden-temente segnato sul fasciame inferiore. Poi, con una pizza, posiziono lo spillo ad U in modo che la punta tocchi il bordo lungo del listello, spingendolo verso quello adia-cente, e la testa piatta lo spinga in bas-so, forzandolo contro il primo fasciame. Lascio asciugare c.a. 5-10 minu-ti, estraggo gli spilli e passo a po-

sizionare il listello successivo. Allego alcune foto di un vecchio modello di diversi anni fa dove si vede meglio que-sta tecnica.

Auguri per un 2009 miglioreCredo che la passione per il proprio lavoro permetta alle persone di tira-re fuori il massimo anche in situazioni in cui sarebbe normale scoraggiarsi. Un augurio allora a tutti gli studiosi, operatori del settore, modellisti e ap-passionati affinchè possano trovarsi fi-nalmente i fondi necessari per poter sistemare in bacheche i piccoli tesori tenuti ancora nelle cantine dei musei e cosi celati al pubblico.

Le caviglie di legno, che per tutta l’epo-ca della marineria a vela classica, vale a dire quella in legno, hanno rappresentato il mezzo migliore per fissare sia elementi della carpenteria sia i corsi del fasciame, perlomeno dell’opera viva, in un modello a mio parere vanno rappresentate.Terminare il discorso qui, è quantomeno riduttivo, ma per parlare di caviglie nel-le varie marinerie e quindi per le diverse cantieristiche occorrerebbe di un pochino in più di spazio. Bisogna anche ricordare che, se guardassimo una nave dell’epoca, indipendentemente dalla stazza o l’armo velico, noi vedremmo dall’ultima cinta fino alla chiglia, quindi per tutta l’opera viva, una serie infinita di tappi di legno, anche lì dove i corsi del fasciame erano infissi con i chiodi, questo per rallentare la loro corrosione.E questo, anche sui ponti per lo stesso motivo, e poi perché i marinai, il più delle volte i gabbieri, erano scalzi! Sé nel mettere in opera un modello, pen-sate di rappresentare ciò, sarà necessario che v’ingegniate nel fare queste benedet-te caviglie.Spesso si trova su manuali o riviste mo-dellistiche le spiegazioni su come fare la classica trafila per poi sagomare degli adeguati quadrelli di legno. Sembra semplice, vi posso garantire che al contrario è complicatissimo, senza pe-raltro tenere conto che, i cavicchi, com’è ovviamente più giusto chiamarli, visto che non si tratta di caviglie vere e proprie, è molto meglio che siano quadrati, poiché

Taglierina per caviglieFranco Fissore

Una volta lessi in un suo messaggio che un buon modellista deve essere in grado di realizzare strumenti che possano fa-cilitarlo nel lavoro, a dimostrazione di quanto scriveva...

cosi si adatteranno al foro e non ne usci-ranno più mentre trafilati, quindi circo-lari, spesso e volentieri richiedono l’uso di collante che rende il loro inserimento scomodo e difficoltoso.In tutte le marinerie e su qualsiasi tipo di imbarcazione veniva usata la chiodatura, sia del tavolato del ponte che del fascia-me. Il tavolato del ponte era inchiodato, sopra ai chiodi veniva inserito un tappo di legno, sia per proteggere il chiodo dal-la marciscenza dalla salsedine, sia i piedi dei marinai scalzi, in un modello non si esegue la chiodatura del ponte ma si pas-sa subito alla posa del cavicchio.Riguardo la posa del fasciame la cosa cam-bia:

Nella Marineria Francese, veniva usato contemporaneamente un chiodo ed una caviglia, ciascun corso di fasciame era fissato a ciascuna costa con un chiodo ed una caviglia.

Nella Marineria Inglese nel XVII e XVIII se-colo non adoperavano chiodi ma solo ca-viglie.

In scala a 1÷48 i chiodi si possono realiz-zare con del filo metallico, del ø di 0,5 mm., mentre i cavicchi sono quadrati da 0,8 mm., per i cavicchi e meglio adopera-re del legno tipo il noce.

Per realizzare i cavicchi si prepara una ta-voletta dello spessore di 0,8 mm., in modo da poterli tagliare a sua volta da 0,8 mm.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 33

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200934

con la taglierina.

Per eseguire la incavicchiatura bisogna prima praticare dei fori con un trapano, il foro deve avere lo stesso diametro dello spessore del cavicchio, il cavicchio deve essere rigorosamente quadrato, piantan-dolo nel foro si adagia da solo, bisogna lasciare un pò di eccedenza, in modo che con la rifinitura andremo a pareggiare il tutto.

Passiamo ora alla realizzazione della ta-glierina, occorre questo materiale:come base ho preso del teflon ricavandolo da un tagliere, è di facile reperibilità in un supermercato.Il resto del materiale è alluminio, la mag-gior parte è ricavata da un quadretto di 10x10 mm. da una piattina di 5cm x 2 mm. e da un profilo a (U) da 5mm., tutti acquistati in un fai da te.Per la lama invece ne ho adoperato una da piallino per modellismo, del tipo lametta da barba ma più spessa.

Taglierina completa

Taglierina vista dall’altro lato

Taglierina vista dall’alto

Particolare ingrandito

Cominciamo a sezionare la taglierina in modo da capire bene la sua realizzazione anche se molto semplice. Pos-siamo notare che i supporti di base che sono stati inseriti nel teflon, per una migliore tenuta, sono stati tutti appli-cati eseguendo con la fresa degli incastri idonei ad allog-giare i singoli pezzi, nella base come potremo vedere sono stati inseriti due pezzi ad (ELLE), che servono da sostegno all’utensile da taglio, un pezzo di (quadrotto) da 08 x 08 mm. che serve da squadra e due pezzi a (U) che servono per lo scorrimento del cursore che da la misura al pezzo da tagliare.

Vista laterale del particolare sopra descritto

La base vista dall’alto con tutti i suoi compenenti montati

Vediamo l’utensile da taglio, l’utensile è realizzato con due quadretti di alluminio di sez. 10x10 mm., quello sot-tostante serve per alloggiare la lama. Per inserire la lama bisogna praticare un taglio nel quadrotto dello spessore di 0,5 mm., poi effettuare due fori in modo da poter bloccare la lama con dei bulloni, tutti i bulloni sono del ø di 4mm.

Vediamo il taglio per ospitare la lama, nell’altro quadrotto che serve anche come maniglia, si può notare una fresat-ura che serve per nascondere la lama che fuoriesce dal primo quadrotto.

Fori per il bloccagio della lama

Cursore per regolare lo spessore del taglio

Realizzazione dei cavicchi

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 35

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200936

Avanzamento CantieriC.S.S. Alabamadi Giampaolo Cusati

Il modello è in scala 1:96, come vedete la struttura è a falsa chiglia ed ordinate piene, ricoperta da un primo strato di li-stelli di tiglio incollati con vinavil bianco e fissati con chiodini di ottone (poi tolti quando ben asciutta la colla). La poppa è stata costruita con spezzoni di listello in verticale, cercando di dare l’inclinazio-ne e la forma arrotondata che è di questa nave. Una volta che sarà chiuso l’intero scafo con il primo strato di listelli, que-sto verrà ricoperto (murate comprese) da altri listelli più sottili, di dimensioni pos-sibilmente uguali a quelle della nave vera (riportati in scala)

RN Terribledi Giampaolo Cusati

La nave è una pirocorvetta corazzata, la RN Terrible fu, insieme alla sorella RN Formidabile, il primo vascello corazzato della Regia Marina Italiana. Fu costruita in Francia nel 1861 e prese servizio nel-la Regia Marina nel 1862 Prese parte alla sfortunata battaglia di Lissa il 20 Luglio 1866 per poi essere utilizzata per com-piti secondari. Fu la prima nave del Re-gno d’italia ad entrare a Civitavecchia il 15 Settembre del 1870, facendo svento-lare per la prima volta in questa città il vessillo tricolore. Venne successivamente adibita a Nave Scuola Cannonieri intorno al 1887. Per la realizzazione del modello mi stò basando sui disegni realizzati dall’ Amm. Gay integrati con fotografie e dati reperiti da libri e internet.

Palinurodi Roberto Venturin

Alcune fasi dell’avanzamento dei lavori del modello: lo scafo realizzato a false ordinate e fasciame, la successiva opera di rivestimento con piastrine d’ottone e la successiva verniciatura. Roberto ci fa sapere che: “E’ stata difficile la masche-ratura avendo dovuto prima saldare tutti gli eccessori che altrimenti dopo sarebbe stato complicato e sopratutto insicuro in-collare.”

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 37

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200938

San Filipedi Antonio Scassillo

Victorydi Tricera

Hotspurdi Enrico Pilani

“Ho intenzione di realizzare un modello statico, ma dinamico. Mi spiego meglio: cercherò di presentare la nave nel mo-mento in cui sta mettendo in vela dopo aver recuperato una lancia.Se non si fosse capito i diorami o almeno i modelli in assetto di navigazione sono i miei preferiti.”

Gozzodi Franco S.

Il modello è stato realizzato qualche anno fa ed è la prima prova di Franco di mo-torizzarne uno. Finalmente è avvenuto, dopo essere rimasto chiuso in un casset-to, il battesimo del Mare sul meraviglioso sfondo della baia del Silenzio ( Sestri Le-vante). Non essendo molto grande come scala il servo del timone non è stato na-scosto ma è stato camuffato con del com-pensato di mogano, e collegato alla barra con del fil di ottone piegato all’uopo.

Mississippidi Francesco Murgante

Victorydi Giovanni

Modelli al varo

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 39

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 200940

Immagini dal News Group

Da un mio recente viaggio in Tanzania vi mando alcune foto scattate in un museo anche navale (non molto ricco di reperti per la verità) maggiormente concentrato sulla vicenda degli schiavi a Zanzibar.Sandro

Mario Pistelli da qualche anno è impegna-to nella realizzazione di un modello del Vespucci; sempre alla ricerca di nuovi dettagli sulla nave ecco cos’ha trovato da un’ antiquario.

La replica dello yacht America fotogra-fato al porto di Genova dal nostro amico Franco S.

In Viaggio con Magellano n. V - Gennaio 2009 41

in Viaggio con Magellano

“In viaggio con Magellano” é una testata di intrattenimento senza scopo di lucroNon rappresenta una testata giornalistica, viene aggiornato senza alcuna periodicità

e non essendo un prodotto editoriale non è sottoposto alla disciplina di cui all’art. 1, comma III della legge n. 62 del 7/3/2001

Riproduzione anche parziale vietata - www.magellano.org - diffusione riservata ai Soci iscritti all’Associazione AMN Magellano