In treno per la memorIa - untrenoperauschwitz.it · Liliana Segre venne deportata ad Auschwitz con...

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IN TRENO PER LA MEMORIA fotografie di Livio Senigalliesi Almayer

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Chi scendeva dai treni piombati era arrivato in tempo all’appuntamento, si portava, dietro milioni di ebrei, il destino della storia.Un genocidio non è un affare di mostri, è una questione di vicini, di gente semplice, di artisti, di politici, di uomini di chiesa, di psicopatici e di persone ragionevoli, di gente come tutti. È roba di tutti noi – è questa banalità che è raccapricciante.

Niccolò Rinaldi, Piccola anatomia di un genocidio

copia omaggionon destinata alla vendita

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In treno per la memorIafotografie di Livio Senigalliesi

Almayer

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In treno per la memorIafotografie di Livio Senigalliesi

Almayer

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Almayer Edizionivia Piave 31 – 41023 Lama Mocogno (Modena)e-mail : [email protected]

© 2012 AlmayerTutti i diritti riservati

Fotografie : © 2012 Livio Senigalliesi

Testi : © 2012 i rispettivi autori

Cura editoriale e bibliografia : Luca Maria Caffaro

Stampa : Tipografia Azzi – Pavullo nel Frignano (Modena)marzo 2012

Isbn 978-88-89901-21-2(collana istanti & riflessi, 3)

Copia omaggio non destinata alla vendita

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Almayer

Livio Senigalliesi

In TrEno PEr LA MEMorIA

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Fotografarela memoria

Bruno Bersani

Presidente del Comitato regionaleIn treno per la memoria di Cgil - Cisl Lombardia

Gli uomini, intere società, sono, purtroppo e

ripetutamente, nell’arco della storia, sprofondati nell’orrore. Ma quando questo è avvenuto è stato frutto solo di volontà consapevoli o non anche della totale indifferenza con la quale l’uomo si adatta a convivere col germe del male? Da questa domanda nasce la nostra quotidiana e costante ricerca applicata per la costruzione della giustizia, anche con l’impegno sindacale e sociale. Una ricerca che si alimenta in modo formidabile camminando sulle tracce della Shoah. Ecco allora In treno per la memoria del Comitato Regionale di Cgil e Cisl Lombardia, un cammino necessario, attraverso la storia, per comprendere, toccando con mano, la dimensione della follia umana. Questo perché toccare una realtà come quella costringe poi, e per sempre, a tenere vive le riflessioni che il viaggio fa nascere in noi; e la memoria condivisa genera assunzione di responsabilità votata al non dimenticare mai. Il futuro non

può darsi senza il passato e il presente non può che essere costruito nell’incontro con l’altro: la Shoah è lì a ricordarci che quando l’altro viene rifiutato, il passo verso l’ apocalisse è inevitabile. Dal fare e costruire memoria ci deriva la capacità di costruire relazioni buone e positive nel prenderci cura degli altri. Noi crediamo fermamente che occorra spendersi con forza per salvaguardare il ricordo, anche nelle immagini, di quello che è stato, perché quello che abbiamo visto non possa più accadere. Questo lavoro potrà contribuire a mantenere viva la capacità di cogliere i germi del male, anche oggi presenti nelle nostre società; allora sì che non potremo più vivere con indifferenza di fronte a nuove ingiustizie e discriminazioni, ma al contrario, quotidianamente, sapremo classificare e distinguere, quindi continuare a scegliere l’impegno civile, sociale e politico per contrastare ogni possibile riapparizione della violenza e del rifiuto dell’altro.

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« Auschwitz ci appartiene, appartiene a tutti noi ».

Così afferma uno studente nella gelida carrozza-ristorante del treno della Memoria di Cgil e Cisl della Lombardia, ripartito stracarico da Cracovia il 30 gennaio 2011. Il treno per la memoria sta percorrendo il tragitto da Auschwitz a Milano. È il ritorno.

ritornare da Auschwitz-Birkenau è il ritorno da un altrove disumano, da una terra desolata che oggi possiamo leggere solo attraverso le tracce – concrete, vere, ma mutate dalla storia e dalla memoria – lasciate dalla sterminata selva rossa degli inutili alti camini di stufe mai accese di baracche di mattoni, dove venne via via rinchiusa un’umanità, quella temporaneamente scampata alle terribili selezioni per le camere a gas, alla quale era stato tolto il nome di uomo, di donna, di bambino. Ebrei, sinti e rom.

Per i nazisti quelle selve di filo spinato erano recinti elettrificati per Stücke – pezzi,

Il futuroha unamemoria

capi di bestiame – da sfruttare fino allo sfinimento, per gasarli prima e ridurli in cenere poi negli immensi Krematorium, modernissime ed efficientissime macchine del razionale e perverso sistema di produzione della fabbrica della morte.

Auschwitz appartiene a un disumano altrove razionalmente ideato e concepito dalla perversa efficienza nazionalsocialista. Il Lager doveva trasformare in sub-umani quegli esseri umani considerati un impedimento alla nascita di una nuova razza super-umana, destinata al dominio totale.

Ma visitare ciò che resta dei numerosi campi di sterminio e di concentramento riguarda il presente, non il passato. L’imperativo a non dimenticare è il lascito prezioso e difficile di Primo Levi. I testimoni sopravvissuti ai lager hanno trasmesso e possono ancora trasmettere ai giovani la memoria delle atrocità a cui vennero sottoposti per essere trasformati da esseri umani

Ilde Bottoli

Coordinatrice del Comitato provinciale per la difesa e lo sviluppo della democrazia di Cremona

Ideatrice e organizzatrice del progetto Il futuro ha una memoria

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in « nudi corpi disabitati », in « cadaveri vivi », in numeri – urlati in una lingua altra, latrato rabbioso dell’aguzzino.

Tante storie corrono insieme ai ragazzi su quel treno che sferraglia sul metallo di un interminabile groviglio di binari, tornando da Auschwitz-Birkenau. Questi giovani portano dentro di sé tante immagini, tante parole. Bisogna dare voce a quello che è stato definito « l’indicibile ». Auschwitz-Birkenau, nelle immagini di Livio Senigalliesi, è il grande silenzio, l’immenso vuoto lasciato dai cumuli di corpi trasformati in cenere.

La memoria dei campi deve aiutare a far crescere le giovani generazioni che comprendono che andare ad Auschwitz e negli altri luoghi di memoria è compiere un viaggio nel presente, nel

quotidiano intessuto di un pericoloso razzismo, spesso camuffato. Significa diffondere e irrobustire gli anticorpi che devono difendere prima di tutto il nostro essere uomini e donne, degni di appartenere alla specie umana. Il Mediterraneo è oggi diventato una grande fossa comune di acqua salata. Le sue acque hanno inghiottito migliaia di migranti, uomini, donne e bambini, disperati, che la speranza in una vita migliore hanno reso vittime di mercanti d’uomini senza scrupoli, ma spesso vittime anche della nostra indifferenza. nazionalismo e razzismo, ingredienti principali di ogni ideologia negatrice dell’umanità dell’altro, oggi ancora fortemente presenti, sono indubbiamente all’origine di altri crimini contro l’umanità che sono nuovamente accaduti e stanno accadendo.

L’occhio umano di un fotografo come Livio Senigalliesi reintroduce l’uomo là dove è stato negato. Con le sue immagini crea una comunità umana capace di compassione. Introduce uno sguardo fraterno che restituisce l’umanità ai luoghi e ai corpi dilaniati dalle bombe e dalle torture, facendocene comprendere l’orrore.

Le sue foto di guerre e genocidi (Cambogia, rwanda, Bosnia, Kosovo, Congo, Palestina, Guatemala), il suo impegno costante a far conoscere quello che molti preferirebbero ignorare, vogliono raccontarci che è di nuovo accaduto, in forme e modi diversi, ciò per cui abbiamo detto, insieme a Primo Levi, « mai più ». È il suo grande contributo a far vivere la memoria.

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Il treno si mosse e sembrò puntare verso sud. Andava

molto piano, fermandosi a volte per ore. Dalle grate vedevamo la campagna emiliana nelle brume dell’inverno e stazioni deserte dai nomi familiari. Gli adulti mostravano un certo sollievo, visto che il treno non era diretto al confine, ma alla sera ci fu un’inversione di marcia e quella notte nessuno dormì.

Tutti piangevano, nessuno si rassegnava al fatto che stavamo andando verso nord, verso l’Austria. Era un coro di singhiozzi che copriva il rumore delle ruote. All’alba il treno si fermò e con sgomento vedemmo scendere i ferrovieri italiani e salire i sostituti, forse austriaci, forse tedeschi. Dai vagoni piombati saliva un coro di urla, di richiami, di implorazioni : nessuno ascoltava. Il treno ripartì.

Il vagone era fetido e freddo, odore di urina, visi grigi, gambe anchilosate, non avevamo spazio per muoverci. I pianti si acquietavano in una

Il trenosi mosse…

Liliana Segre

ex deportata

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disperazione assoluta. Io non avevo né fame né sete ; mi prese una specie d’inedia allucinata, come quando si ha la febbre alta.

Quando riuscivo a riflettere pensavo che, forse, senza di me, papà avrebbe potuto scappare da San Vittore, saltare quel muro come aveva proposto Peppino Levi, o forse no. Mi stringevo a lui, che era distrutto, pallido, gli occhi cerchiati di rosso di chi non dorme da giorni. Mi esortava a mangiare qualcosa, aveva ancora per me una scaglia di cioccolato. La mettevo in bocca per fargli piacere, ma non riuscivo a inghiottire nulla.

nel centro del vagone si formò un gruppo di preghiera : alcuni uomini pii, fra i quali ricordo il signor Silvera, si dondolarono a lungo recitando i Salmi. Mi sembrava che non finissero mai : erano i più fortunati.

Le ore passavano, così le notti e i giorni, in un’abulia totale : era difficile calcolare il tempo. Pochissimi avevano

ancora un orologio e anche quei pochi privilegiati non lo guardavano più. ogni tanto vedevo qualcuno alzarsi a fatica e cercare di capire dove fossimo, guardando dalle grate, schermate con stracci per riparare dal gelo quel carico umano. Si vedeva un paesaggio immerso nella neve, si vedevano casette, camini fumanti, campanili.

Prima di attraversare la Foresta nera, il treno si fermò e qualcuno poté scendere tra i soldati SS armati, per prendere un po’ d’acqua e vuotare il secchio immondo. Anch’io e il mio papà scendemmo e vedemmo per la prima volta, scritto col gesso sul vagone, « Auschwitz bei Katowice ». Capimmo che quella era la nostra meta. Il treno ripartì quasi subito e la notizia della nostra destinazione gettò tutti in una muta disperazione.

Fu silenzio nel vagone in quegli ultimi giorni. nessuno più piangeva, né si lamentava. ognuno taceva con la dignità e

Liliana Segre venne deportata ad Auschwitz con il treno partito dal binario 21 della stazione centrale di Milano il 30 gennaio 1944. Il treno trasportava seicentocinque ebrei italiani; dopo sette giorni di ansia e sofferenza il convoglio arrivò ad Auschwitz. Quattrocentosettantasette deportati furono immediatamente inviati alle camere a gas. Centotto morirono successivamente. Soltanto venti sopravvissero.

la consapevolezza delle ultime cose. Era la vigilia della morte per la maggior parte di noi. non c’era più niente da dire. Ci stringevamo ai nostri cari e trasmettevamo il nostro amore come un ultimo saluto.

Era il silenzio essenziale dei momenti decisivi della vita.

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pensieriin libertà

Visitare i campi di concentramento di

Auschwitz e Birkenau non è certo come leggere quella storia sui manuali scolastici. Quei luoghi sembrano mondi a sé, come se lì il tempo si fosse fermato. Sembra ancora di sentire l’odore del fumo che si leva dai camini, sembra di sentire le grida di coloro che persero non solo la vita, ma anche la dignità.

Passeggiare, con disinvoltura quasi colpevole, fra le baracche, le galere, i forni che conobbero il dramma di milioni di persone suscita un sentimento di indignazione, un sussulto dell’anima, un singhiozzo che non si può trattenere.

Soffermarsi di fronte alla beffarda scritta Arbeit macht frei o alla bambola decapitata che un tempo appartenne a una bambina dà la misura simbolica del significato della deportazione e dello sterminio. rimanere increduli di fronte alla vastità di Birkenau e ai binari che portavano a un luogo

senza ritorno fa render conto di quanto siamo infinitamente piccoli. L’inimmaginabile organizzazione scientifica della morte si rivela improvvisamente in tutta la sua brutalità, scalfendo le sicurezze che ci portiamo appresso.

L’umiliazione subita dai prigionieri si trasforma nella nostra umiliazione. Ci rendiamo conto di appartenere a quella stessa storia, a quella stessa tragedia. Ci sentiamo coinvolti, incapaci di esprimere – attraverso il fisico o le parole – ciò che proviamo, come se le schegge di uno specchio rotto vagassero incontrollate nel corpo.

nello stesso tempo acquistiamo la consapevolezza del significato di quelle parole, « non dimenticare », che troppe volte sono state scambiate per una litania desueta. Ebrei, omosessuali, politici, operai, religiosi, bambini, zingari, prigionieri di guerra. Persone. restituire un volto, un effetto personale, una narrazione a

Gli studenti

dell’Istituto « Lorenzo Lotto » di Trescore Balneario (Bergamo)

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tutti coloro che videro le loro vite stroncate – nemmeno per una tragica fatalità, ma per una spietata distorsione del pensiero umano – vuol dire ricostruire una memoria collettiva, un principio di solidarietà che permetta agli uomini di tornare a guardarsi negli occhi e definirsi tali, che permetta al mondo di reggersi come un’entità unica.

non va mai sottovalutato che Auschwitz, Birkenau e gli altri teatri della tragedia novecentesca furono prodotti del pensiero umano. Mai va dimenticato che lo stillicidio sacrificale di tante persone permise di costruire le basi della democrazia in Europa. Una democrazia che tuttora viene sistematicamente sottoposta ad attacchi pericolosi. I feticci del mondo contemporaneo sfruttano la vita, mercificano il lavoro, discriminano in base ad appartenenze sessuali o religiose, distruggono la socialità. E allora non dimenticare si trasforma in una pratica quotidiana alla quale dobbiamo

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permettere di permeare i nostri comportamenti individuali e collettivi.

non siamo andati ad Auschwitz perché abbiamo il torcicollo e vogliamo guardare al secolo scorso come a una storia statica, a una reliquia da conservare. Abbiamo fatto questo viaggio perché, come giovani e come prima generazione cresciuta fuori dal novecento, intendiamo assumerci la responsabilità della memoria come tramite per emendarci dal disprezzo del tempo presente, dalle strumentalizzazioni politiche a cui è stata subordinata la vicenda dello sterminio e l’intero periodo del nazifascismo.

Abbiamo deciso di far vivere la memoria nei buoni sentimenti e nelle buone parole che sapremo esprimere.

Il viaggio in treno, anch’esso carico di suggestioni simboliche e affascinanti superamenti di frontiere, è stato caratterizzato da un fortissimo spirito di comunità, da un’esperienza

collettiva con la quale, in qualche modo, abbiamo sancito la necessaria unità. Un’unità che ci permettesse di esorcizzare le brutture a cui abbiamo assistito e nel contempo ci aiutasse a metabolizzare il valore del nostro viaggio.

Senz’altro, e ci sentiamo di poterlo dire con inesorabile certezza, le tracce di questa esperienza non verranno cancellate dalla nostra memoria. Senz’altro siamo cresciuti e portiamo con noi nuove consapevolezze.

Auschwitz, il luogo che ha condensato i drammi della modernità e di un’umanità senz’anima, è il luogo della nostra memoria. Inevitabilmente, è da lì che dobbiamo trarre le fondamenta per costruire il futuro.

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Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler divenne cancelliere.

Il suo era un governo di coalizione, ma ben presto le istituzioni democratici, su cui si reggeva la repubblica di Weimar, furono distrutti e prese avvio la dittatura. L’avvenimento che permise ai nazisti di avviare una politica repressiva nei confronti degli oppositori e di eliminare la democrazia fu l’incendio del Reichstag, il parlamento tedesco, nella notte del 27 febbraio 1933. Il 22 marzo venne aperto, a Dachau, nei pressi di Monaco di Baviera, il primo campo di concentramento (Konzentrationslager ).

In questa prima fase venivano rinchiusi nel Lager gli oppositori politici : militanti comunisti, socialdemocratici, sindacalisti. Gli arresti potevano essere compiuti indiscriminatamente grazie all’istituto della detenzione preventiva : in questo modo la Gestapo poté inviare nei campi tutte le persone non

I campi di concentramento nazisti

grate al regime. I campi furono ben presto posti sotto la giurisdizione della SS.

Dopo una prima fase piuttosto caotica, il sistema dei Lager venne riprogettato e il campo di Dachau diventò un modello per tutti gli altri. A Dachau venivano addestrati i soldati della SS che sorvegliavano i campi ; qui fu sperimentato un regolamento, che venne poi progressivamente esteso, che disciplinava gli orari, le punizioni, l’applicazione della pena capitale.

Il numero dei prigionieri politici, dopo le prime ondate di arresti, andò progressivamente diminuendo ; la battaglia contro l’opposizione politica poteva ritenersi conclusa, ma il nazismo si prefigurava di modificare l’intera società tedesca : chiunque, per motivi biologico-razziali, non fosse considerato parte integrante della Volksgemeinschaft non poteva essere considerato cittadino tedesco a tutti gli effetti. Così il progetto di

Alessandra Chiappano

Istituto nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia, Milano

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purificazione dell’intera società portò alla persecuzione di una nutrita categoria di persone : gli ebrei, gli asociali, gli zingari, i vagabondi, i renitenti al lavoro, i testimoni di Geova, gli omosessuali, i criminali comuni.

negli anni dal 1936 al 1939 vennero aperti nuovi

grandi campi : Sachsenhausen nel 1936, Buchenwald nel 1937, Flossenbürg nel 1938, Mauthausen, in Austria, sempre nel 1938 e ravensbrück, destinato alle donne, nel 1939.

nel 1938 la SS cercò di dar vita a un impero economico e per la manodopera si servì

dei prigionieri rinchiusi nei Lager ; se, in una prima fase, il lavoro era stato utilizzato come mezzo di rieducazione e di punizione, a partire da questo momento venne finalizzato alla costruzione di un consistente numero di imprese, di cui la SS era direttamente proprietaria.

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In particolare vanno ricordati due colossi: la Dest (Deutsche Erd- und Steinwerke), fondata nel 1938 che gestiva le cave e la produzione di materiali da costruzione, e la Daw (Deutsche Ausrüstungswerke), fondata nel 1939, che comprendeva imprese specializzate nella lavorazione del legno e del ferro. Infine va ricordata la Texled, presente soprattutto a ravensbrück, che produceva tessili.

Dopo il pogrom del 9-10 novembre 1938, noto come Notte dei cristalli, furono rinchiusi nei Lager circa 36mila ebrei. non si trattava ancora di un’eliminazione pianificata : essi, dopo essere stati maltrattati e terrorizzati, se accettavano di emigrare, dopo aver praticamente ceduto i loro beni al Reich, venivano rilasciati. Infatti, fino al 1941, la politica antiebraica nazista era volta soprattutto all’emigrazione coatta della popolazione ebraica dal Reich.

Con la guerra, i Lager subirono altre profonde

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trasformazioni : innanzitutto la loro popolazione andò sempre più internazionalizzandosi : i primi stranieri a entrare nei Lager furono i polacchi, poi i sovietici, gli spagnoli, i francesi, gli olandesi, nel 1943 gli italiani, nel 1944 gli ungheresi. Si trattava di resistenti, oppositori politici, ma anche di cittadini rastrellati un po’ ovunque in Europa e costretti a lavorare, come fossero schiavi, nelle industrie tedesche. Sorsero nuovi grandi campi in Polonia, tra cui Auschwitz nel 1940,

Gross-rosen, nell’Alta Slesia e natzweiler in Alsazia.

La guerra di Hitler fu una guerra di rapina e di distruzione ; l’occupazione nazista tuttavia non fu identica in tutti i territori : mentre a ovest fu riconosciuta una parvenza di autonomia agli stati occupati, a Est, sia in Polonia sia in Unione Sovietica, si trattò di una guerra di sterminio che prevedeva la distruzione di milioni di persone. Il nuovo ordine europeo vagheggiato da Hitler prevedeva il trasferimento

delle razze inferiori sempre più a Est, mentre coloro che erano considerati tedeschi di stirpe dovevano essere ricondotti nel Reich. Per attuare questi propositi, nell’inverno del 1940-1941 scienziati e demografi studiarono i piani per il trasferimento – e probabilmente per la morte – di milioni di polacchi e di ebrei.

Con la guerra si accentuò, fino a arrivare allo sterminio fisico, la persecuzione degli ebrei. La strada per arrivare ad Auschwitz e alle camere a gas fu complessa : dapprima furono creati in tutta l’Europa orientale i ghetti, in cui furono concentrati in condizioni spaventose gli ebrei ; poi, a partire dall’agosto del 1941, in Unione Sovietica le Einsatzgruppen, che seguivano nelle retrovie l’avanzata dell’esercito tedesco, iniziarono i massacri indiscriminati.

Lo scenario dei massacri era molto simile : uomini, donne, vecchi e bambini venivano fatti uscire dalle loro case e giunti in

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luoghi defilati rispetto ai villaggi o alle città venivano costretti a scavare enormi fosse comuni e qui uccisi mediante fucilazione. Si calcola che siano stati eliminati in questo modo circa un milione e mezzo di ebrei.

Molto probabilmente fu presa nell’autunno del 1941 la decisione di eliminare fisicamente tutta la popolazione ebraica: tra la fine del 1941 e la primavera del 1942 entrarono in funzione i Vernichtungslager, i campi di sterminio immediato.

A Chełmno gli ebrei venivano uccisi immediatamente utilizzando i Gaswagen ; nei campi di Bełżec, Sobibór, Treblinka gli ebrei, soprattutto quelli del Governatorato Generale, furono gassati immediatamente dopo il loro arrivo ; venivano mantenuti in vita solo i pochissimi che servivano al funzionamento dei campi.

nei campi di Bełżec, Sobibór e Treblinka, denominati campi dell’Aktion Reinhard, furono sterminate migliaia e

migliaia di persone : per il solo campo di Treblinka la cifra oscilla fra 700 e 900mila morti.

Il luogo deputato per lo sterminio degli ebrei occidentali fu l’immenso lager di Auschwitz-Birkenau : nato come sottocampo di Auschwitz, diventò uno dei campi di sterminio più grandi. Qui furono installati i grandi complessi di messa a morte : i crematori e le camere a gas, capaci di contenere migliaia di vittime. Ma Auschwitz non fu soltanto un campo di

sterminio : fu anche un campo di lavoro. Infatti, ad Auschwitz iii (Monowitz) lavoravano per la ig Farben circa diecimila prigionieri.

Più complessa è la storia del campo di Majdanek, presso Lublino : sicuramente fu un campo di lavoro, dove, a più riprese, vennero effettuate uccisioni di massa mediante fucilazione e anche utilizzando la camera a gas, che non aveva tuttavia le dimensioni di quelle in uso negli altri campi di sterminio.

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A partire dal 1942, quando la guerra-lampo non fu più una realtà concreta, i nazisti cominciarono ad aver più bisogno di manodopera per le loro industrie, in particolare quelle belliche : si decise allora di fare ricorso in modo sempre più massiccio ai deportati. Tuttavia questo non mutò la sorte degli ebrei, che continuarono a essere sterminati fino alla liberazione.

nel 1944 questo sistema raggiunse l’apice : sorsero migliaia di piccoli campi, dipendenti da quelli più grandi, in cui i prigionieri lavoravano fino allo sfinimento ; così la fase finale della guerra fu quella peggiore. Mentre il sistema nazista collassava e le armate alleate si avvicinavano ai confini del “Reich millenario”, i prigionieri, in condizioni di vita sempre più precarie, erano costretti a lavorare senza sosta : la mortalità cresceva per il sovraffollamento, le epidemie, le razioni di cibo sempre più scarse. Dalla fine del 1944, i nazisti iniziarono a evacuare i

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campi posti più a est ; ebbero così inizio le micidiali marce della morte, che provocarono migliaia di vittime.

Tuttavia i nazisti non si arresero : fino alla fine continuarono a spingere per le strade di una Germania ormai ridotta in macerie i deportati, nel tentativo di sottrarli alle truppe sovietiche o angloamericane che avanzavano. Fino all’ultimo continuarono a infierire soprattutto sugli ebrei : i pochi scampati a est allo sterminio sistematico furono fino all’ultimo le vittime designate delle angherie della SS, rese ancor più fanatica nell’imminenza della fine del suo potere. non è possibile stabilire con certezza, perché mancano fonti precise in merito, se Himmler abbia ordinato o no l’uccisione di tutti i prigionieri dei Konzentrationslager perché non cadessero nelle mani degli alleati ; tuttavia è certo che anche durante gli ultimi giorni di guerra vi furono stragi di prigionieri.

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Così lontano,così vicino

A Fossoli di Carpi (Modena), rimangono ancora le tracce visibili di quello che, nel corso del 1944, era diventato il Campo poliziesco e di transito (Polizei- und Durchgangslager) utilizzato dalla SS come anticamera dei Lager del Reich. I circa 5mila prigionieri politici e razziali che passarono da Fossoli ebbero come tragiche destinazioni i campi di Auschwitz-Birkenau, Dachau, Buchenwald, Flossenburg.

http://www.fondazionefossoli.org/it/campo.php

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C’è un posto fisso sulla terraa cui mancano i confiniuna memoria che urlaoltre il filo spinatonei nostri occhi – di cenere –su binari – morti cancelli senza uscita –e si affollano sconcertatele domandeai lati di alberi prigionieri e cosìspogli che paionorovine…

C’è un gelo ad Auschwitzche inchioda tra la neve e il fangoil soleuna rosa rossa di dolore– il compianto e l’orrore.E soli insieme siamo fiaccoleche ora devono dire.

Milano, 30 gennaio 2011

le primeparole

Tiziana Altea

Impiegata, lavoratrice funzione pubblica

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Quando dopo un lungo viaggio dai finestrini del

treno si comincia a vedere la neve sui campi, non viene in mente che in una mattina di sole primaverile tutto potrebbe cambiare. Perché quella desolazione, che ancor più colpisce all’ingresso del campo di Auschwitz, è già scolpita nel nostro immaginario, come contornata dal freddo, dalla neve, dal cielo plumbeo.

Eppure è oltre, oltre le immagini e le letture, le fotografie, è come se tutto si materializzasse per dirci che non si può sfumare il ricordo, non lo si può trasferire nel paesaggio : bisogna guardarlo in faccia per vedere, misurare quanto terribile può essere la belva umana.

Allora lo sguardo corre su quanto l’immaginazione fa fatica ad assorbire, scemano le voci, si inumidiscono gli occhi, ci si chiude di fronte al dolore che cresce comunque e alla domanda – ma come è stato possibile ? Come è stato possibile che sia successo, come è stato

Susanna Camusso

Segretario generale Cgil

postfazione

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possibile quel silenzio intorno a quanto accadeva ? Come è possibile che ci sia chi nega, chi tenta di rimuovere ?

Su queste domande gli sguardi ricominciano a cercarsi, provano a darsi la forza di passare dall’emozione al vedere, all’elaborare ; parole ricominciano flebili, rispettose, quasi sussurri che si rincorrono.

Assumono forza e presenza le parole di chi accompagna, di chi nell’angolo delle nazioni prova a dire – non limitiamoci alla memoria di chi, dei pochi che sono usciti da quei campi e hanno indicato al mondo l’orrore. Tutti siamo portatori della memoria : perché non si scateni più la belva, perché non

ci sia più l’orrore di un popolo intero e dei tanti che erano diversi o oppositori.

Una nuova maturità collettiva ogni volta emerge dal treno della memoria, da tutti gli sguardi che poi forgiano racconti, disegni, immagini e parole, che trasmettono la memoria e un monito. Quegli sguardi, quelle parole, quella triste memoria, ma soprattutto quella nuova consapevolezza è e sarà la grande ragione per cui un nuovo treno dovrà correre su quei binari e mostrare quella landa, nevosa o primaverile ma sempre piena della necessità di gridare al mondo : mai più, nessuna rimozione, nessun oblio.

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riferimentifotografici

Buchenwald (1989)pp. 23-24

Berlino Est, Monumento alle vittime dell’olocausto (1989)p. 57 (a destra)

risiera di San Sabba (2003)p. 25

Sachsenhausen (2009)pp. 21-22

Berlino, Memoriale dell’olocaustodi Peter Eisenman (2009)pp. 56-57

Treno per Auschwitz (2011)pp. 9, 11

Auschwitz i (2011)pp. 7, 32-39, 46-47, 50-51, 54-55

Auschwitz ii – Birkenau (2011)copertina, pp. 4-5, 15, 17-19, 26-27, 30-31, 40-45, 48-49, 51 (in basso), 52-53

Milano, Binario 21 – Stazione Centrale FS (2012)pp. 12-13

Carpi, Museo del deportato (2012)pp. 28-29

Fossoli (2012)p. 29

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Livio Senigalliesi, 56 anni, è fotogiornalista. La passione per la fotografia come testimonianza e l’attenzione ai fatti storici di questi ultimi decenni l’hanno portato su fronti caldi come il Medioriente e il Kurdistan durante la prima guerra del Golfo, nella Berlino della divisione e della riunificazione, a Mosca durante i giorni del golpe che sancirono la fine dell’Unione Sovietica. Ha seguito tutte le fasi del conflitto nell’ex-Yugoslavia e documentato le atroci conseguenze di guerre e genocidi in Africa, Sud-est asiatico e America Latina. Lavora da anni al progetto Memoria fotografando i resti dei campi di concentramento nazisti in Italia e in Europa.Ha realizzato numerosi libri e mostre fotografiche.

www.liviosenigalliesi.com

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Comitato In treno per la memoria

via Ercole Marelli 49720099 Sesto San Giovanni (Milano)

www.intrenoperlamemoria.it

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Finito di stampare nel mese di marzo mmxii

presso la Tipografia Azzi di Pavullo nel Frignano (Modena)per conto di Almayer Edizioni

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Chi scendeva dai treni piombati era arrivato in tempo all’appuntamento, si portava, dietro milioni di ebrei, il destino della storia.Un genocidio non è un affare di mostri, è una questione di vicini, di gente semplice, di artisti, di politici, di uomini di chiesa, di psicopatici e di persone ragionevoli, di gente come tutti. È roba di tutti noi – è questa banalità che è raccapricciante.

Niccolò Rinaldi, Piccola anatomia di un genocidio

copia omaggionon destinata alla vendita

Livio Senigalliesi in tren

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A

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In treno per la memorIafotografie di Livio Senigalliesi

Almayer

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