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1 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018 in questo numero «Custodire il cuore!» Editoriale di Michele Gianola Prendersi cura del cuore è custodire la propria identità, ricevere la Parola che rende figli e acconsentire al movimento dello Spirito, imparare a danzare con lui, imparare a vedere il compiersi dell’opera del Padre nella propria vita personale e nella storia di tutti. «Signore: chi è?» (Gv 13,24): il discepolo amato sul cuore di Cristo di Giuseppe De Virgilio Il secondo contributo sinodale sulla figura del “discepolo amato” approfondisce la scena della lavanda dei piedi e della rivelazione del traditore (Gv 13,1-30). Vengono evidenziati quattro aspetti: a) la funzione esemplare della lavanda dei piedi nella logica del servizio; b) le peculiarità dei tre apostoli accanto a Gesù: Giuda, Simon Pietro e il «discepolo amato»; c) i tre profili “esistenziali” in rapporto al “discernimento vocazionale”; d) il primato dell’amore “estremo” (Gv 13,1) che apre all’amicizia e alla vita piena. L’arte di custodire il cuore di Maria Ignazia Angelini L’itinerario della fede di un giovane verso la maturità, verso il discernimento della propria vocazione umana, implica come primo e fondamentale passo la rivisitazione del proprio inizio: l’evento della nascita rinnovato attraverso la libertà della fede che consente alla Promessa deposta in ogni nascita di un figlio d’uomo. I percorsi del cuore di Anna Bissi Con una felice immagine Alessandro Manzoni definisce il cuore umano con il termine “guazzabuglio”. L’espressione rende bene le complicazioni, le contraddizioni, la confusione che spesso ci abita interiormente e che tendiamo a localizzare nel cuore, inteso come il centro della nostra persona. Fede per dilatare la vita di Francesco Lambiasi La mancanza di futuro è la povertà più stringente che oggi af- fligge l’Italia e genera tanta rabbia e rancore in tanti, tantissimi. So- prattutto giovani. C’è una via per passare dalla noia alla gioia? Dalla paura alla speranza? Dalla rabbia alla fiducia? La via è una sola: si chiama vocazione, che significa chiamata per una missione. Questo numero della Rivista è a cura di Alessandro Frati

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  • 1VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

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    Editorialedi Michele Gianola

    Prendersi cura del cuore è custodire la propria identità, ricevere la Parola che rende figli e acconsentire al movimento dello Spirito, imparare a danzare con lui, imparare a vedere il compiersi dell’opera del Padre nella propria vita personale e nella storia di tutti.

    «Signore: chi è?» (Gv 13,24): il discepolo amato sul cuore di Cristodi Giuseppe De Virgilio

    Il secondo contributo sinodale sulla figura del “discepolo amato” approfondisce la scena della lavanda dei piedi e della rivelazione del traditore (Gv 13,1-30). Vengono evidenziati quattro aspetti: a) la funzione esemplare della lavanda dei piedi nella logica del servizio; b) le peculiarità dei tre apostoli accanto a Gesù: Giuda, Simon Pietro e il «discepolo amato»; c) i tre profili “esistenziali” in rapporto al “discernimento vocazionale”; d) il primato dell’amore “estremo” (Gv 13,1) che apre all’amicizia e alla vita piena.

    L’arte di custodire il cuoredi Maria Ignazia Angelini

    L’itinerario della fede di un giovane verso la maturità, verso il discernimento della propria vocazione umana, implica come primo e fondamentale passo la rivisitazione del proprio inizio: l’evento della nascita rinnovato attraverso la libertà della fede che consente alla Promessa deposta in ogni nascita di un figlio d’uomo.

    I percorsi del cuoredi Anna Bissi

    Con una felice immagine Alessandro Manzoni definisce il cuore umano con il termine “guazzabuglio”. L’espressione rende bene le complicazioni, le contraddizioni, la confusione che spesso ci abita interiormente e che tendiamo a localizzare nel cuore, inteso come il centro della nostra persona.

    Fede per dilatare la vitadi Francesco Lambiasi

    La mancanza di futuro è la povertà più stringente che oggi af-fligge l’Italia e genera tanta rabbia e rancore in tanti, tantissimi. So-prattutto giovani. C’è una via per passare dalla noia alla gioia? Dalla paura alla speranza? Dalla rabbia alla fiducia? La via è una sola: si chiama vocazione, che significa chiamata per una missione.

    Questo numero della Rivista è a cura di Alessandro Frati

  • Rivista bimestrale a cura dell’Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioni

    N. 1 ANNO XXXV GENNAIO/FEBBRAIO 2018

    Pubblicazione a carattere scientifico - proprietà e edizione Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da SienaCirconvallazione Aurelia, 50 - 00165 Roma

    Redazione:Ufficio Nazionale per la pastorale delle vocazioniVia Aurelia, 468 - 00165 Roma Tel. 06.66398410-411 - Fax 06.66398414e-mail: [email protected] www.vocazioni.chiesacattolica.it

    Direttore responsabileMichele Gianola

    Coordinatore editorialeSerena Aureli

    Coordinatore del Gruppo redazionaleGiuseppe De Virgilio

    Gruppo redazionaleMarina Beretti, Roberto Donadoni, Carmine Fischetti, Donatella Forlani, Alessandro Frati, Antonio Genziani, Maria Mascheretti, Francesca Palamà, Cristiano Passoni, Giuseppe Roggia, Pietro Sulkowski

    Segreteria di RedazioneMaria Teresa Romanelli, Salvatore Urzì, Ferdinando Pierantoni

    Progetto grafico e realizzazioneYattagraf srls - Tivoli (Roma)

    StampaMediagraf spa - Viale della Navigazione Interna, 8935027 Noventa Padovana (PD)Tel. 049.8991563 - Fax 049.8991501

    Autorizzazione Tribunale di Roma n. 479/96 del 1/10/96

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    editor ia le

    «Siate custodi dei doni di Dio!» Michele Gianola, Direttore UNPV-CEI

    Custodia. Subito vengono alla mente la borsa per la chitarra, la co-ver dello smartphone, la bustina dove mettere gli occhiali perché non si ro-vinino. Così custodire il cuore può introdurci l’idea di protezione e di vigilanza, perché non si rovini, non si macchi, non si sporchi come ac-cade agli abiti o ai preziosi di alcu-ne persone, che rischiano di passare tutta la vita dentro i loro armadi.

    Il cuore dell’uomo, la sua identi-tà più vera, non è una realtà statica perché ciò che è immobile poco ha a che fare con il Regno di Dio che ha l’energia del fermento, del germo-glio (Is 43,19) della vita che cresce e della quale è necessario prendersi cura.

    Prendersi cura del cuore è custo-dire la propria identità, ricevere la Parola che rende figli e acconsenti-re al movimento dello Spirito, im-parare a danzare con lui, imparare a vedere il compiersi dell’opera del Padre nella propria vita personale e nella storia di tutti. Il discepolo ama-to ci conduce alla fonte: appoggiare l’orecchio sul petto di Gesù, entrare in intimità con il suo cuore, bagnarsi nel fiume del Battesimo e dei Sacra-

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    editor ia le«Siate cuStodi dei doni di dio!»

    VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    menti che attraverso il petto squarciato effondono la sua vita, per-ché anche la nostra ne sia piena (Gv 10,10).

    Prendersi cura del cuore secondo l’arte del Giardiniere (Gv 20,15) è prestare ascolto alla terra, appassionarsi al terreno perché lo si possa preparare ad accogliere il seme (Mc 1,3) credere che «in certi ammassi dove l’odio, la cupidigia segnano il peccato, conoscia-mo un silenzio di deserto e [che] il nostro cuore possa raccogliersi perché Dio vi faccia squillare il suo nome: vox clamans in deserto» (M. Delbrêl, Noi delle strade). Il deserto è l’aridità della nostra vita e della nostra storia, il deserto che ci abita ed abita le nostre città, odi, so-litudini, rancori, divisioni, invidie, rabbie, bramosie, aridità di ogni genere che non fatichiamo a riconoscere, nascono dal di dentro (Mc 7,21) di questa creazione che geme e soffre le doglie del parto. Noi tutti attendiamo, anche qui non certo alla maniera passiva del mondo, di «nascere per la terza volta» (cf Sinodo dei Vescovi, Do-cumento preparatorio) custodiamo il frutto ricevuto nel Battesimo, tendiamo a prendercene cura perché nelle nostre persone possa crescere e svilupparsi la vita divina, fino alla sua pienezza (Ef 4,13).

    «Abbiamo ascoltato nel Vangelo che Giuseppe fece come gli ave-va ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé Maria, sua sposa. In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode […]. In lui, cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cri-sto! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! […] È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore […] è l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia […] è il vivere con sincerità le amicizie […]. In fondo tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci ri-guarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!» (Papa Francesco, Omelia per l’inizio del pontificato, 19 marzo 2013).

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    «Signore: chi è?» (Gv 13,24):il discepolo amato sul CUORE di Cristo

    Giuseppe De Virgilio

    Docente di Sacra Scrittura alla Pontificia Università della Santa Croce e Coordinatore del Gruppo redazionale di «Vocazioni» - Roma.

    doss ier

    L’icona sinodale del “discepolo amato” suggerisce l’approfon-dimento di una seconda tappa giovannea: dal primo incon-tro con Gesù che ha permesso l’avventura della sequela (cf

    Gv 1,35-42) al “compimento dell’ora” di Cristo che vede presenti

    i discepoli nella «Cena di addio». La perifrasi «discepolo che Gesù

    amava» è attestata nel racconto evangelico nella sezione di Gv 13-

    21 anche se tale figura può essere identificata con «l’altro discepo-

    lo» che fa esperienza dell’incontro con Gesù in Gv 1,35-421. In tal

    modo si può collegare allo stesso personaggio l’esperienza entusia-

    stica della sequela iniziale (Gv 1,35-42) con la tenerezza del “giova-

    ne” che condivide le ultime ore di Gesù nel mondo2. La narrazione

    della «Cena di addio» apre la seconda parte del Vangelo giovanneo

    (il “libro dell’ora”: cf Gv 13-20) situando il “discepolo amato” in

    una posizione esemplare3. Nei racconti della passione egli è presen-

    1 Cf V. Mannucci, Giovanni. Il Vangelo narrante, Dehoniane, Bologna 1997, pp. 236-237.

    2 R. Schnackenburg, Il vangelo secondo Giovanni, III, Paideia, Brescia 1981, pp. 204-214; K. WengSt, Il Vangelo di Giovanni, Queriniana, Brescia 2005, pp. 536-542; R. FabriS, Giovanni, Borla, Roma 2003, pp. 586-590.

    3 Cf R. Schnackenburg, Il vangelo secondo Giovanni, III, pp. 623-644; R.E. broWn, Gio-vanni. Commento al vangelo spirituale, Assisi, Cittadella 1979, CX-CXVIII; id., La comunità del discepolo prediletto, Assisi, Cittadella 1982, pp. 350-356; A. Marchadour, I personaggi del Vangelo di Giovanni. Specchio per una cristologia narrativa, Dehoniane, Bologna 2007, pp. 159-168; I. de La Potterie, Il discepolo che Gesù amava, in L. PadoveSe (ed.), Atti del 1° Simposio di Efeso su San Giovanni Apostolo, Pontificio Ateneo Antoniano, Ed. Antonianum,

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    doss ierIl dIscepolo amato sul cuore dI crIsto«

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    Donando la vita sulla croce, il Signore porta a conclusione

    l’opera di amore che ha caratterizzato la sua missione

    nel mondo.

    te in tre momenti: la partecipazione alla Cena (13,23-25), l’ingresso

    presso la casa di Caifa con Simon Pietro (18,15-16: «L’altro discepo-

    lo») e accanto alla Vergine Maria presso la croce di Gesù (19,25-37).

    L’analisi dell’intera pericope di Gv 13,1-30 ci permetterà di cogliere

    la peculiarità della figura giovannea e l’attualità del suo messaggio

    per la riflessione sul discernimento vocazionale4.

    1. Li amò sino alla fine (Gv 13,1)

    Lo sviluppo narrativo della prima parte del Vangelo (cf Gv 1-12)

    ha mostrato il processo di rivelazione del Cristo caratterizzato dallo

    sviluppo progressivo dei segni cristologici. Tale cammino culmina

    nel compimento della «glorificazione» del Figlio nella seconda parte

    del Vangelo (cf Gv 13-20)5. Il dinamismo dell’amore cristologico è

    tematizzato inizialmente nella frase programmatica: «Prima della

    festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora (ḗlthen au-toû ē ṓra) di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine (eis télos egápēsen autoús)» (13,1)6. L’amore oblativo (agápē) del Cristo-servo assume il carat-tere del dono pieno e totale di sé a favore dei suoi discepoli. Egli li

    amerà «fino alla fine» (eis télos), fino al termine estremo che con-

    duce alla risurrezione e alla vita. Tale affermazione non ha solo un

    valore temporale, ma esistenziale. Essa trova conferma nella parola

    “finale” del crocifisso sul punto di morire: «È compiuto!» (tetélestai:

    19,30). Donando la vita sulla croce, il Si-

    gnore porta a conclusione l’opera di amo-

    re che ha caratterizzato la sua missione nel

    mondo. Nello sviluppo della sezione di Gv

    13-19 Gesù insegna e testimonia il valore

    Roma 1991, pp. 33-55; G. Zevini, Il discepolo e il discepolato dietro a Cristo nel Vangelo secondo Giovanni, in «Parola Spirito e Vita» 1 (2010), pp. 115-135; G. de virgiLio, La fatica di scegliere. Profili biblici per il discernimento vocazionale, Roma, Rogate 2010, pp. 185-287.

    4 Nel numero 3/2018 di «Vocazioni» verranno analizzate le altre due scene della pas-sione, dove il discepolo amato è in compagnia di Simon Pietro nel cortile del sommo sacerdote (Gv 18,15-18) e presso la croce del Signore (Gv 19,25-37).

    5 Cf Gv 13,31-32.

    6 Cf G. Zevini, «Li amò sino al termine estremo» (Gv 13,1), in «Parola Spirito e Vita» 59 (2009), pp. 139-163.

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    Giuseppe De VirGiliodoss ier

    profondo dell’amore7, affidando come testamento ai suoi l’impegno

    ad «amarsi gli uni gli altri come il Padre ama il Figlio» (cf 15,9.12).

    Siamo di fronte alla sezione fondamentale della narrazione evan-

    gelica, la cui natura introspettiva assume un valore essenziale per il

    discernimento vocazionale8. Occorre avere presente la densità teo-

    logica di questa sezione per comprendere la pagina di Gv 13,1-30.

    Essa si compone di due scene distinte: nei vv. 1-20 si presenta il

    segno della lavanda dei piedi e nei vv. 21-30 Gesù, profondamen-

    te turbato, annuncia l’imminente tradimento e rivela l’identità del

    traditore9.

    2. Nella forma del servo (Gv 13,1-20)

    La scena della lavanda dei piedi (vv. 1-20) costituisce il gesto del

    “servo” che si china davanti ai discepoli per insegnare loro lo stile

    dell’amore redentivo10. Durante la Cena (v. 2), nella piena obbe-

    dienza alla volontà del Padre, mentre il diavolo opera nel cuore di

    Giuda Iscariota, Gesù «si alzò da tavola, depose le vesti, prese un

    asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel

    catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con

    l’asciugamano di cui si era cinto» (vv. 4-5). La scena è descritta

    7 Cf la ricorrenza del verbo amare (agapáō): Gv 13,34; 14,15.21.23.28.31; 15,9.17.23-24; 17,26.

    8 Una serie di temi intrecciati concorre a comprendere questa sezione nella linea er-meneutica della riflessione vocazionale: la comunione con Cristo-servo, il dono dello Spirito e la futura missione dei discepoli, la testimonianza dell’amore trinitario, la gioia pasquale, la lotta interiore, la preghiera per l’unità della Chiesa, la consacrazione nella verità, l’amicizia di Cristo che oltrepassa le fragilità dei discepoli, il dono salvifico della vita di Gesù: cf G. Zevini, L’ora di Gesù nel Vangelo di Giovanni, in «Parola Spirito e Vita» 36 (1997), pp. 153-169.

    9 Cf K. WengSt, Il Vangelo di Giovanni, cit., pp. 536-542. Schnackenburg segnala sei tap-pe: vv. 1-5: introduzione alla lavanda dei piedi; vv. 6-11: il dialogo di Gesù con Simon Pietro; vv. 12-17: la lavanda compiuta da Gesù come esempio per i discepoli; vv. 18-20: preannuncio del tradimento e rafforzamento della fede; vv. 21-26: lo smascheramento del traditore; vv. 27-30: Giuda abbandona la sala (cf R. Schnackengurg, Il vangelo secondo Giovanni, cit. III, pp. 30-62).

    10 Il parallelo lucano non riporta il gesto della lavanda, ma registra il tema dell’umiltà di fronte alla domanda dei discepoli su «chi fosse il più grande» (cf Lc 22,24-27). L’espres-sione di Gesù: «Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mazzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27) appare molto vicina al messaggio giovanneo della lavanda dei piedi: cf G.P. carMinati, «Vi ho dato un esempio» (Gv 13,15). La lavanda dei piedi come tratto della cristologia di Giovanni, in «Parola Spirito e Vita» 68 (2013), pp. 115-116.

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    doss ierIl dIscepolo amato sul cuore dI crIsto«

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    !»L’esemplarità del «maestro e Signore» si traduce

    nell’immagine di chi si sa chinare davanti al prossimo

    e mettere la propria vita a servizio dei fratelli.

    visivamente in tutte le sue fasi: preparazione, esecuzione e conclu-

    sione; otto azioni consecutive dal momento in cui Gesù si alza da

    tavola fino a quando si risiede (v. 12), durante la Cena11. Si tratta

    di un gesto non usuale, in quanto, secondo gli usi locali del tempo,

    esso avveniva prima del pasto12. I presenti accolgono il gesto. Tra

    di essi c’è anche il discepolo amato. Solo Simon Pietro dichiara la

    sua contrarietà, ritenendo ingiusta l’umiliazione del Maestro che

    si espone ad una condizione “servile”. Nei vv. 6-11 è presentato il

    dialogo con Simon Pietro che prima si oppone al gesto e, alla replica

    di Gesù (v. 8), invoca un bagno competo. Nella risposta del Cristo

    si rivela il valore spirituale e programmatico del gesto di Cristo: egli

    vuole esprimere il suo amore in forma estrema e dare l’esempio

    perché anche i discepoli in futuro possano fare altrettanto (vv. 12-

    15). L’esemplarità del «maestro e Signore»

    si traduce nell’immagine di chi si sa chinare

    davanti al prossimo e mettere la propria vita

    a servizio dei fratelli. Va notato come Gesù

    compie questo gesto anche nei riguardi di

    Giuda e del discepolo amato. L’amicizia li-

    berante e gratuita di Gesù rappresenta la

    condizione basilare per il discernimento personale e comunitario13.

    L’ideale della «purezza» nel nostro contesto (vv. 10-11: kataròs) si

    collega con la trasparenza della vita e la lealtà nell’amicizia (cf Sal

    41,10). Solo mettendo in pratica l’autenticità del servizio, i discepoli

    11 Diversi simbolismi sono presenti nel racconto giovanneo collegati al motivo dell’o-spitalità (cf Gen 18,2; 19,2): il gesto di Abigail (2Sam 25,41), il servizio nei riguardi del profeta (2Re 3,11), le connessioni con la tradizione sapienziale e giudaica relativa ai mo-delli di umiltà e di servizio. Collegamenti tra il gesto di servizio e l’insegnamento di Gesù sono ravvisabili in Lc 12,37 (il padrone che premia i suoi servi fedeli cingendosi le vesti, facendoli sedere e passando a servirli: cf Pr 31,17). Il binomio “deporre/riprendere” si collega alla figura del buon pastore (Gv 10,17-18). Circa l’immagine del cingersi i fianchi vi sono echi in Es 12,11; 1Pt 1,13; Ef 6,14 e Gv 21,18; cf C.S. keener, The Gospel of John. A Commentary, Hendrickson, Peabody (MA) 2003, pp. 903-906. Nella linea antropologico-culturale si colloca il contributo di M. Pesce che interpreta la lavanda dei piedi come un rito iniziatico che caratterizza il gruppo dei credenti: cf M. PeSce, Il lavaggio dei piedi, in Opera giovannea, a cura di G. Ghiberti e collaboratori (Logos 7), Elledici, Leumann (TO) 2003, pp. 233-250.

    12 Cf G.P. carMinati, op. cit., pp. 117-127.

    13 Va sottolineata la connessione tra l’esemplarità del gesto e l’insegnamento del mes-saggio di Cristo, connotato dalla ripetizione del verbo «conoscere» (cf 13,7.12.28).

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    Giuseppe De VirGiliodoss ier

    saranno beati (cf Mt 5,8). L’ultima parte della pericope (vv. 16-20) è

    connotata dalla ripetizione della formula di rivelazione (vv. 15.20:

    «In verità in verità vi dico») e tratteggia lo stile diaconale che deve

    ispirare le relazioni ecclesiali: mettersi a servizio degli altri ricono-

    scendo la presenza di Cristo come modello dell’amore accogliente

    che proviene dal Padre.

    3. Amici o traditori (Gv 13,21-30)

    Dopo l’insegnamento sul servizio, Gesù si commuove profon-

    damente (cf 11,35) e dichiara che uno dei suoi discepoli lo tradirà

    (13,21)14. Segue la reazione di sconcerto e di smarrimento dei pre-

    senti, che non comprendono il dramma che sta per consumarsi.

    È importante osservare l’intreccio narrativo della scena descritta

    dall’evangelista: al centro si pone la figura di Cristo e di fronte a

    lui quella del traditore Giuda. Ai due lati del Signore sono presenti

    Simon Pietro e quel «discepolo che Gesù amava». Benché ricoprisse

    un ruolo primaziale, Simon Pietro sceglie la mediazione del “disce-

    polo amato” per avere informazioni da Gesù15 e invita l’altro di-

    scepolo a domandare l’identità del traditore. Il particolare descritto

    dall’evangelista è indicativo dell’intimità con il Signore: il discepolo

    amato «chinandosi sul petto di Gesù (lett. «nel seno»: en tô kolpô),

    gli disse: “Signore, chi è?”. Rispose Gesù: “È colui per il quale intin-

    gerò il boccone e glielo darò”. E, intinto il boccone, lo prese e lo die-

    de a Giuda, figlio di Simone Iscariota» (vv. 25-26). Il “chinarsi” del

    discepolo sul “cuore turbato” di Cristo

    non solo indica un segno di discrezione,

    ma rappresenta un gesto di affidamento

    filiale e di tenerezza. Nel dramma che sta

    per consumarsi, il «discepolo che Gesù

    amava» è accanto al suo Signore che sof-

    fre e con la sua amicizia si fa prossimo di

    14 Il motivo del tradimento è attestato in Gv 6,70-71; 12,4-6; 17,2.

    15 Commenta Marchadour: «È forse voler andar oltre il senso letterale pensare che, nel dubbio circa l’identità del traditore, e dalla scelta di Simon Pietro di passare attraverso di lui per arrivare al Signore, il solo che sia escluso come ipotetico traditore sia il disce-polo amato? La vicinanza dice anche un affetto che è contenuto nel nome del discepolo amato» (A. Marchadour, I personaggi del Vangelo di Giovanni. Specchio per una cristologia narrativa, Dehoniane, Bologna 2007, p. 164).

    Il “chinarsi” del discepolo sul “cuore turbato” di Cristo non

    solo indica un segno di discrezione, ma rappresenta un gesto di affidamento filiale

    e di tenerezza.

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    doss ierIl dIscepolo amato sul cuore dI crIsto«

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    Cristo. Il segno del boccone offerto all’Iscariota rende manifesta la

    condizione terrificante del cuore di Giuda, reso schiavo del potere

    di Satana (cf Lc 22,3)16. Mentre il gesto di Cristo vuole esprimere la

    compartecipazione e il coinvolgimento nella commensalità frater-

    na, il traditore prende quel boccone entrando definitivamente nella

    notte tenebrosa del male. Sembra che il boccone offerto da Gesù a

    Giuda diventi il segnale per Satana di prendere pieno possesso del

    traditore. La scena pone in netta contrapposizione la figura del di-

    scepolo amato e quella di Giuda Iscariota. Il gesto della tenerezza di

    chi ama «fino alla fine» cade nel vuoto notturno di un cuore posse-

    duto dal Maligno. In quell’istante Gesù si rivolge a Giuda dicendo:

    «Quello che vuoi fare, fallo presto» (v. 27), ma nessuno dei presenti

    comprende il vero senso della frase (vv. 28-29). Così, in silenzio

    Giuda esegue immediatamente l’ordine di Gesù (v. 30) e s’inoltra

    nella «notte» mortale17.

    4. L’onore del grembiule

    Un primo aspetto emergente dall’analisi del brano è rappresenta-

    to dal segno della lavanda dei piedi e dalla spiegazione data da Gesù

    ai suoi discepoli. Il principio che guida il servizio è l’amore, propo-

    sto nella cornice della commensalità e della fraternità familiare. Alla

    logica della separazione si contrappone quella della comunione e

    del servizio. La gestualità descritta dall’evangelista rivela uno stile

    inaugurato da Gesù «maestro e signore» che si fa «servo», depone

    le vesti, si cinge un grembiule, prende il catino dell’acqua e si chi-

    na davanti ai suoi discepoli per lavare loro i piedi. Siamo di fronte

    ad un sublime gesto di accoglienza e di partecipazione all’amore e

    l’insegnamento che qualifica l’esistenza dei discepoli nel segno del-

    la fedeltà a Dio e al prossimo. Gesù-servo dà onore al grembiule e

    16 Il boccone offerto a Giuda va inteso nel segno dell’amicizia aperta all’ospitalità. Nei banchetti antichi il capo della casa riservava il boccone di pane inzuppato (psomíon) agli ospiti d’onore; cf G. Zevini, «Li amò sino al termine estremo» (Gv 13,1), in «Parola Spirito e Vita» 59 (2009), p. 156.

    17 Annota Schnackenburg: «Per Giuda è la sfera delle tenebre di cui è definitivamente preda, l’ambito in cui avviene il crollo (cf 11,10); per Gesù è l’ora in cui si conclude la sua attività fra gli uomini (cf 9,4). La breve frase che conclude l’episodio riassume in sé la tenebrosità di questo avvenimento: una chiusa impressionante (cf 6,71), che però all’evangelista serve solo da oscuro contrasto su cui far risaltare le successive parole che trattano della glorificazione» (R. Schnackenburg, Il vangelo secondo Giovanni, cit., III, p. 62).

  • 10 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    Giuseppe De VirGiliodoss ier

    a quanti sapranno indossarlo per servire il prossimo. In tale ottica, esso diventa criterio per ridefinire i rapporti recipro-ci e i ruoli nella comunità. L’immagine del servo, associata a quella dell’inviato,

    consente di parlare di un servizio e di un dono reciproco di amore. Questo nuovo dinamismo che parte da Gesù rovescia lo schema dei ruoli nella comunità dei discepoli, prendendo come criterio fonda-mentale l’atto di Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli, così che an-che l’apostolo è associato alla figura del servo. Entrambi, l’apostolo e il servo, hanno il loro archetipo nel Signore e Maestro, che ama in una forma paradossale ed estrema.

    5. Tre modelli per un discernimento vocazionale

    Il racconto evidenzia le tre figure principali che ruotano intor-no a Cristo: Simon Pietro, che rappresenta il “discepolo reticente”, Giuda che è l’”anti-discepolo” e il “discepolo amato”, esempio di fedeltà e di tenerezza. Ci limitiamo a segnalare alcuni spunti per la riflessione teologica e pastorale in prospettiva vocazionale.

    5.1 Il tradimento e la sua notte

    La descrizione giovannea dell’annuncio del tradimento pone in evidenza il contrasto tra il bene luminoso rappresentato dall’amo-re di Cristo per i suoi discepoli e il male tenebroso delineato dalla figura di Giuda Iscariota in balia di Satana. In questa lotta si coglie il turbamento di Gesù e il dramma della sua solitudine. Mentre la Cena rappresenta il vertice della comunione tra Cristo e i discepoli, il gesto del tradimento costituisce la profonda ferita che lacera la fiducia e la comunione reciproca. La citazione del Sal 41,10: «Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno» (Gv 13,18) esprime tutta l’amarezza dell’inganno di colui che è amico e che si trasforma in nemico (Sir 6,9-10). L’evangelista sottolinea la condizione “diabolica” del cuore del discepolo, che rifiuta di veni-re alla luce, preferendo l’ambiguità e l’oscurità delle sue azioni. Il simbolo della notte in Giovanni richiama la presenza operante del male nel mondo (Gv 9,4; 11,10). Anche i discepoli sperimenteranno il dramma della “notte” nella sofferenza al Getsemani, nell’arresto di Gesù e nella sua condanna.

    Gesù-servo dà onore al grembiule e a quanti

    sapranno indossarlo per servire il prossimo.

  • 11VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ierIl dIscepolo amato sul cuore dI crIsto«

    Cu

    stod

    ire il cu

    ore

    5.2 Il controllore reticente

    Dal racconto emerge anche il profilo di Simon Pietro e il suo carattere duro ma reticente. Di fronte al gesto umile di Gesù, il pescatore di Betsaida si oppone, cerca di resistere alla logica del servizio, condizionato dal contesto sociale che relegava solo agli schiavi quel ruolo subalterno. Egli fa fatica ad accettare un amore oblativo così radicale. Alla fine Pietro accetta di condividere l’a-more di Cristo. La sua incomprensione si traduce nella solitudine. Egli evita di rivolgersi direttamente a Gesù, che aveva annunciato il tradimento, e preferisce la mediazione del “discepolo amato”. Nelle vesti del protettore e del controllore Simon Pietro sperimen-ta l’amarezza del rinnegamento. Nello sviluppo del racconto di passione, Pietro evidenzierà la sua incapacità di donarsi e la sua fragilità nella fede: la promessa di dare la vita per Cristo (13,36-38), il tentativo di difendere il Signore (18,10-11), il triplice rin-negamento (18,25-27). Dietro la sua fragilità si cela l’insicurezza della fede e l’incapacità di fare un profondo discernimento sulla propria esistenza. Solo nella luce pasquale l’apostolo potrà rileg-gere la propria identità e riscoprire il senso della sua missione, fondata sull’amore (Gv 21,15-19).

    5.3 Il discepolo del cuore

    La presentazione del «discepolo che Gesù amava» assume una funzione tipica nel racconto giovanneo. Egli è designato con la pe-rifrasi relazionale degli affetti e rappresentato come colui che pone il suo capo sul cuore del Signore. Egli diventa l’icona dell’amicizia profonda che rimane fedele nei momenti di prova e che si apre al discernimento. La sua delicatezza è rassicurante, illuminante, pacificante. In questa singolare figura giovannea si può scorgere il cuore di ogni giovane che cerca risposte di vita. Per tale ragione il “discepolo amato” riveste il ruolo dell’intimità, della fedeltà e della tenerezza. L’intimità evoca il bisogno di scoprire la ricchezza pro-fonda dell’amore di Dio. La fedeltà impegna il discepolo a vivere con coerenza e lealtà il rapporto con Cristo, testimoniando la sua Parola senza ambiguità né tradimenti. La tenerezza rivela la dimen-sione misericordiosa delle relazioni interpersonali che è in grado di guarire le ferite, di dare certezze nei momenti di turbamento e di aprire strade nuove verso il futuro. Il discernimento vocazionale

  • 12 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    Giuseppe De VirGiliodoss ier

    sgorga da un cuore che si lascia incontrare e chiamare dallo sguardo di amore di Cristo.

    «Nei racconti evangelici lo sguardo di amore di Gesù si trasfor-ma in una parola, che è una chiamata a una novità da accogliere, esplorare e costruire. Chiamare vuol dire in primo luogo ridestare il desiderio, smuovere le persone da ciò che le tiene bloccate o dalle comodità in cui si adagiano. Chiamare vuol dire porre domande a cui non ci sono risposte preconfezionate. È questo, e non la prescri-zione di norme da rispettare, che stimola le persone a mettersi in cammino e incontrare la gioia del Vangelo»18.

    18 Sinodo dei veScovi, Xv aSSeMbLea generaLe ordinaria, I giovani la fede e il discernimento vocazionale, Documento preparatorio (17.01.2017), III.1.

  • 13VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    «C

    usto

    dire

    il cuo

    re!»

    L’arte di CUSTODIRE il cuore

    Maria Ignazia Angelini

    Monaca benedettina dell’Abbazia di Viboldone, San Giuliano Milanese (MI).

    doss ier

    L’itinerario della fede di un giovane verso la maturità, verso il discernimento della propria vocazione umana, implica come primo e fondamentale passo la rivisitazione del proprio inizio:

    l’evento della nascita rinnovato attraverso la libertà della fede che

    consente alla Promessa deposta in ogni nascita di un figlio d’uomo.

    La ricchezza promissoria dell’inizio della vita, riproposta attraverso

    l’itinerario della libertà che si cerca e si riceve dall’incontro con l’u-

    mano di Gesù.

    Così, raccogliendo la provocazione del Documento preparatorio

    del Sinodo, possiamo cercare di ripercorrere le tappe della matu-

    razione spirituale di una vocazione cristiana, assumendo anche la

    provocazione che giunge – attraverso i secoli – dal suggestivo per-

    corso delineato da Filosseno di Mabbough nelle sue Omelie, in par-

    ticolare nella Nona, che – appunto – descrive la rinuncia evangelica

    come evento spirituale della “terza nascita”. La prima nascita è, per

    Filosseno, quella dal grembo materno, la seconda dalle acque del

    battesimo, la terza è l’esperienza battesimale interiorizzata attraver-

    so quel momento cruciale della libertà che aderisce in modo totale:

    la rinuncia, il vissuto base nell’arte della custodia del cuore.

    L’evento sacramentale innesca un processo che in un’ora crucia-

    le giunge al suo pieno frutto: la pasqua di Gesù si fa stile, forma del-

    la vita. La scansione della vita di fede su queste tre tappe, peraltro,

    ha origine e trova fondamento ben più radicale: nelle parole stesse

  • 14 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier Maria ignazia angelini

    di Gesù a Nicodemo, sulla nuova nascita (Gv 3,3). È illuminante perciò partire da quel dialogo, per comprendere tutta la pregnanza del discorso di Filosseno citato nel Documento preparatorio del Si-nodo, che per sé in alcuni suoi passaggi rimarrebbe un po’ ellittico. Accenniamo sinteticamente quei passaggi su cui occorre lungamen-te meditare, perché sia configurato al vivo, per le giovani genera-zioni, un itinerario di discernimento, per niente scontato: ché anzi è alternativo alla cultura imperante del farsi da sé.

    2. Nascere e rinascere

    Gesù dice a Nicodemo, “maestro in Israele” e perciò dotto nelle cose di Dio, al cercatore notturno delle tracce del Vi-vente (Gv 3,7): non si può essere credenti se non attraverso il “rinascere” dall’alto, di nuovo. È il battesimo, la seconda na-scita, che dà pienezza alla Promessa rac-chiusa in ogni umano nascere. Ma il bat-tesimo, da evento puntuale – per la sua intima energia generante – si distende in un processo: nascere dall’alto, nascere al

    Soffio dello Spirito, implica un cammino della libertà. Per questo, perché la storia connoti intrinsecamente il consenso della libertà alla grazia, la vita di fede va di inizio in inizio: ebbene, la soglia della maturità rappresenta un momento sintetico di questo dinamismo.

    E Gesù, con queste parole di avvio al dialogo con Nicodemo, inaugura la rivelazione della nuova umanità e dell’arte della vita nello Spirito. In nuce in questa parola del Signore è racchiuso il mi-stero della vita di fede: incessante meraviglia di nascita, tensione spirituale che sospinge la vita umana e, a partire dall’”Alto”, cioè dalla potenza dello Spirito che riempie la Parola, inaugura l’arte della scrittura di storie spirituali sempre inedite. E di ogni storia umana, la scelta fondamentale si pone come momento cruciale: “la terza”, nuova, nascita. Che significa?

    «Nessuno può compiere i segni che tu compi se non è da Dio», aveva esordito Nicodemo avvicinandosi a Gesù, con aria di inten-dersene. Ma Gesù, in risposta, trasforma il livello di quella affer-

    È il battesimo, la seconda nascita, che dà pienezza alla Promessa racchiusa in ogni

    umano nascere. Ma il battesimo da evento puntuale – per la sua

    intima energia generante – si distende in un processo: nascere dall’alto, nascere al Soffio dello

    Spirito implica un cammino della libertà.

  • 15VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier

    «C

    usto

    dire

    il cuo

    re!»

    L’arte di custodire iL cuore

    mazione altisonante e ne fa un principio della vita spirituale: per vedere il Regno di Dio, dice Gesù, occorre non certo sentenziare, ma nascere di nuovo.

    Per intendere la lingua dei segni compiuti dal Signore, è indi-spensabile una conversione. Quel che deve mutare sta addirittura alla radice della vita; occorre che, liberamente, dalla fede che incon-tra il Cristo venga posto un nuovo inizio. Soltanto a tale condizione sarà possibile vedere il regno di Dio, vedere dunque – oltre i segni – verso dove i segni indirizzano.

    Si tratta di una nascita alternativa alla prima, all’inizio nativo, o non piuttosto della sua piena verità: una nascita che riprende la pri-

    NascitaLa parola “nascita” rimanda ad un evento. Nulla è più con-creto, visibile, tangibile di una nuova esistenza che fa il pro-prio ingresso sul palcoscenico del mondo. Questa presenza è, per se stessa, riscoperta di una memoria grata verso Chi,

    con immenso gesto d’amore, ha reso possibile quel miracolo che è ogni vita umana, nella sua altissima dignità umano-divina. Parlare dunque di un nascituro richiama alla sua dipendenza da Qualcuno (Dio sopra tutto) a cui il bambino deve il suo stesso respiro e da cui riceve, sin dal primo vagito, le attenzioni di cui ha bisogno da chi deve prendersi cura di lui. Ma la nascita non è solo memoria e presenza: è anche profezia, invito alla speranza, giacché la generazione di ogni infante è la conferma della premura misericordiosa del Signore per tutte le sue creature – specialmente le più deboli e fragili – verso le quali gli adulti nutrono e invocano, fin da subito, l’attesa di un futuro migliore. In questo senso,

    ogni nascita non è solo generazione, ma anche rigenerazione; novità nello Spirito Santo causata da un fatto sorprendente, indicibile: l’avven-

    to di Dio – l’Eterno – nel tempo; da quest’istante, la storia non è più sem-plice kronos, ma storia di salvezza. È il grande mistero dell’Incarnazione

    di Gesù Cristo; «il tutto nel frammento» (H.U. Von Balthasar). Da questo accadimento, nulla è più come prima: chi infatti riceve il sacramento del

    Battesimo, viene investito della vita di Dio, per diventare così nuova creatura. Davvero grande è l’amore di Dio: dal nulla, dona all’uomo il suo soffio vitale e lo divinizza. Questa è la nostra fede in Dio, fonte e amante della vita.

    di Alessandro Frati

  • 16 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier Maria ignazia angelini

    ma nel suo nucleo più vitale e la porta a compimento? La tensione polare tra la nascita prima e il rinascere dall’alto – alla luce di Gv 3 – rivela una profonda, sostanziale continuità dell’esistenza umana, però sottoposta a passaggi critici, a paradossi innescati dal Vangelo. È proprio l’arte della vita spirituale: comporre il filo di fedeltà della Promessa originaria racchiusa in ogni nascita umana, la paradossale continuità. Di nascita in nascita.

    Nascere da acqua e Spirito è convertire il cuore di pietra in cuore di carne. Portare alla luce la verità nascosta della grazia della ori-ginaria plasmazione di un corpo “mio” (Sal 40,7-9), attraverso un cammino di libertà liberata dall’incontro con Gesù: «Ho detto: ecco io vengo».

    Nascere dall’alto è dare valore all’es-sere creature nuove plasmate da Cristo, dalla sua umanità; è andare verso la luce per trasfigurare la propria vita in modo nuovo, per accogliere e consentire all’in-vito divino: «Ecco faccio una cosa nuo-va» (Is 43,19).

    La prima nascita della creatura umana, grumo di Promessa, è evento divino; è gravida di una verità spirituale e dunque di una verità che può realizzarsi soltanto a condizione che essa sia cono-sciuta attraverso e oltre la carne e ad essa quindi anche si consen-ta. Più intimamente, la verità spirituale della prima nascita ha la forma della promessa e insieme porta in nuce il comandamento: «Vivi!» (Ez 16,6). Per riconoscere la promessa iscritta nella prima nascita, e dunque per conoscere la speranza da essa dischiusa; e per riconoscere, insieme, il cammino che è intimato da tale nascita, e realizzare quel cammino, è indispensabile che intervenga una de-terminazione della libertà. Occorre ri-nascere. In tal senso, occorre riconoscere che, mentre la prima nascita semplicemente accade, la seconda invece deve essere voluta con atto di suprema, sofferta li-bertà. Tutti noi nasciamo senza scegliere; non possiamo davvero vi-vere, però, se non a questa condizione: che ci apriamo alla gratuita Promessa deposta nell’inizio della nostra vita, attraverso l’atto della volontà che aderisce all’umano di Gesù, il Figlio.

    Ebbene, per divenire capaci di questo volere è necessario un processo: che intervenga una decisione, una sorta di immersione

    Nascere dall’alto è dare valore all’essere creature nuove

    plasmate da Cristo, dalla sua umanità; è andare verso la luce per trasfigurare la propria vita

    in modo nuovo.

  • 17VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier

    «C

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    dire

    il cuo

    re!»

    L’arte di custodire iL cuore

    nell’umano di Gesù; e una decisione che ha in ogni caso la forma della fede.

    L’alto da cui nascere, a cui Gesù qui fa riferimento nella risposta a Nicodemo, è quell’alto costituito dalla Parola di Dio, dal suo Verbo; una tale parola viene appunto dall’alto; viene più precisamente nella for-

    ma di una promessa di Dio. La promessa che nella prima nascita è solo iscritta, con tratto sottile, in nuce: solo la promessa, infatti, colta e interiorizzata, può autorizzare il consenso libero e quindi anche la corrispondenza pratica ad essa attraverso le forme dell’agire, che – appunto – obbediscono, si configurano alla promessa.

    La nascita si rivela così non soltanto l’inizio della vita: è trat-to costitutivo e permanente dell’esistenza umana; è il documento dell’origine, di quell’origine nei cui confronti il soggetto rimane da sempre in debito. La nascita è il momento nel quale con più evi-denza, con più originaria evidenza, si mostra il debito del soggetto nei confronti della grazia dell’origine. È rivelativo in tal senso, è un simbolo, il bimbo appena nato che, ancora senza parola, pure subito cerca – volgendosi al seno materno – l’Alto, la sorgente della vita dalla quale la nascita lo ha traumaticamente staccato.

    “Nascere”. È l’evento più sorprendente della storia singolare del vivente umano, tale da suscitare incondizionato stupore, che perfo-ra ogni già saputo. Rivela la grazia che previene.

    Il primo tratto della vita umana, per altro, la nascita corporea, per la persona umana – a differenza dell’animale – non conduce ancora alla meta; solo istituisce le condizioni perché diventi possi-bile un secondo cammino. Non solo possibile, ma addirittura ne-cessario: il secondo cammino invece è quel che si deve fare; assume la forma di un compito e di un compito che può essere assunto unicamente da un soggetto libero. Come rivela Gesù a Nicodemo: «Bisogna nascere di nuovo».

    La fede come nuova nascita include nell’evento la libertà della fede che riconosce la grazia dell’inizio e liberamente vi consente. In tale consenso addirittura rinasce, novità assoluta, il mondo. Come dice il poeta: «È sempre pieno di promesse il nascere / sebbene sia straziante».

    L’alto da cui nascere, a cui Gesù qui fa riferimento nella

    risposta a Nicodemo, è quell’alto costituito dalla Parola di Dio.

  • 18 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier Maria ignazia angelini

    Quante storie di nascita interrotte nei personaggi che Gesù in-contra e chiama alla vita. Dal giovane ricco, ai nove lebbrosi gra-ziati, fino a Gerusalemme che Gesù, come una chioccia madre, ha desiderato radunare...

    Lo stesso Nicodemo chiamato a nascere dall’alto, dovrà attende-re fino all’ora della croce per comprendere nell’Innalzato, nel rice-vere la consegna del suo corpo, che cosa sia nascere di nuovo.

    3. La nascita battesimale

    Dall’infante alla nascita battesimale, al sacramento della morte e risurrezione – chiesto con libertà che si riceve – il passaggio non è mutuabile dalla sfera delle umane possibilità: «Come il vento» (Gv 3,8) è evento indeducibile, irriducibile nuovo; che corrisponde al vedere il regno di Dio, la sua signoria generatrice.

    Il sacramento è nuova nascita in quanto vissuto come incontro con l’in-condizionata e generativa grazia, con l’amorosa autorivelazione di Dio in Gesù innalzato sulla croce – donde nasce l’uo-mo come “cuore”. Passaggio decisivo, che la terza nascita non supera, ma in-teriorizza e trasforma in forma corporea.

    Dalla vita che semplicemente accade, alla vita che assume libera-mente forma. Interviene, anche qui, una sorta di funzione genera-tiva di chi accompagna (Gal 4,19). Al fine che Cristo – il monoghenès, l’unico generato – prenda forma nel mondo.

    Possiamo qui solo accennare, alludendo rapidamente al cuore della esperienza cristiana, ciò che Filosseno esplicita dettagliata-mente nelle sue prime otto omelie. Seconda nascita, il sacramento del battesimo plasma la vita, pazientemente: dalla rappresentazione al vivo, nel simbolo, della morte e risurrezione di Gesù, fino a ma-turare la forma di Cristo nella singola persona.

    Il rito evoca l’evento, l’esperienza (se siamo sensibili) attesta. Evento di libertà che viene plasmata, di una passività, evento di un’emersione libera. La fede è appunto questo: guardare Gesù e, conseguentemente guardare con lo sguardo di Gesù, come spiega la Lumen fidei 18.

    Il sacramento è nuova nascita in quanto vissuto come

    incontro con l’incondizionata e generativa grazia, con l’amorosa

    autorivelazione di Dio in Gesù innalzato sulla croce – donde

    nasce l’uomo come “cuore”.

  • 19VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier

    «C

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    il cuo

    re!»

    L’arte di custodire iL cuore

    La seconda nascita, rispetto alla prima e in sostanziale continuità con essa, trae fuori la Promessa nascosta nella carne e nel sangue. La verità in attesa di consenso. Un filo di continuità, nello strazio di qualcosa che deve morire. Unità superiore dell’umano, attraverso quelle che Dietrich Bonhoeffer chiama «le stazioni della libertà».

    È necessario nascere di nuovo. Nella so-cietà complessa, invece, questa sorta di ne-cessità, una tale coerenza, è sempre meno evidente e ai giovani raramente viene in-segnata. Ne deriva la conseguente difficoltà per il singolo di tenere insieme i diversi si-stemi parziali di rapporto nei quali si svol-

    ge quotidianamente l’esistenza, che incoraggiano a rassegnarsi al vivere su scenari plurimi e irrelati e, anzi, a passare dalla rasse-gnazione all’accomodamento. Invece di cimentarsi con il compito complesso di ricondurre il molteplice all’uno, il soggetto si arrende alla molteplicità; egli recita molte parti. Di recita si tratta, nel senso che lo schema soggettivo sotteso al suo agire appare ormai come una maschera, una rappresentazione, piuttosto che l’identità stessa della persona. Anche a questo riguardo il comportamento precoce dei minori appare illuminante. Essi oggi spesso recitano; troppo sti-molati, e in direzioni troppo disparate, si difendono dalla dissocia-zione appunto soltanto recitando i loro comportamenti, mimando i testimonial del costume imperante, abdicando dunque al compito troppo impegnativo di maturare una forma alla vita, uno stile, la bellezza che sorge dallo stupore di un unico amore.

    Questo comportamento giovanile soltanto mimico rispetto al costume imperante, che risparmia l’investimento della propria identità profonda e il cammino di libertà, è ulteriormente inco-raggiato da un’altra circostanza: la sostituzione del rapporto tra pari al rapporto tra le generazioni quale mezzo di apprendimen-to culturale. I codici del comportamento secondario, quelli cioè propri della socializzazione extrafamiliare, sono appresi oggi ormai soprattutto attraverso le relazioni tra coetanei; non passano più attraverso la persona dei genitori e degli adulti in genere: manca-no accanto a loro testimoni credibili di umanità, della Promessa che li precede. Non esiste, generalmente, tra i giovani la figura del maestro spirituale.

    È necessario nascere di nuovo. Nella società complessa, invece,

    questa sorta di necessità, una tale coerenza, è sempre meno evidente, e ai giovani raramente viene insegnata.

  • 20 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier Maria ignazia angelini

    La crescita mediante la trasmissione di generazione in genera-zione (cf Gal 4,19) è evento sempre più raro: evento facilmente rimosso nel suo significato originario dalla cultura imperante: quasi fosse irrilevante per l’identità della persona libera.

    In realtà, ogni volta di nuovo il nasce-re umano è pieno di promessa. La prima identificazione avviene appunto – nella nascita umana, a differenza degli altri viventi – attraverso un accudimento, nelle relazioni fondamentali (testimoni dell’Origine attraverso il duplice regi-stro: degli affetti e quello dei significati),

    che consente di “addomesticare” il mondo. Grazie a queste relazioni primarie il neo nato viene alla parola. Insieme alla cura, le relazioni che portano avanti la “nascita” nella identificazione della persona aiutano alla separazione, a quella differenziazione che consente il compimento della nascita nella libertà. Ebbene, proprio di questo si tratta nella seconda nascita.

    La seconda nascita, tuttavia, drammatica ma solo come avvio, inaugura la storia della libertà, ma non conclude se non nella terza nascita – simbolo delle innumerevoli svolte della vita di fede – in cui il discepolo testimonia corporalmente, con un suo inconfondibile stile di vita e una scelta fondamentale, nella storia in cui è immerso, la sua adesione a Gesù Cristo.

    È una nascita integralmente drammatica, la terza: attraverso la rinuncia, la prova. Come scrive Filosseno: «Il mistero della nascita nel battesimo si è operato solo attraverso l’audizione della fede; si tratta nella terza nascita della volontà che abbandona effettivamen-te l’uomo vecchio morto nel battesimo e di sentire interiormente che lo lasciamo attraverso un lavoro spirituale, la fatica, l’esperien-za concreta, la sofferenza delle lacrime, attraverso preghiere pure e invocazioni continue; attraverso l’ammirazione e la contemplazio-ne della bellezza di Dio; per una rapida corsa dell’uomo nascosto nel cuore verso il Signore... cosicché la nascita battesimale non resti realtà estranea al nostro sentire» (IX, 267).

    L’esigenza di armonizzare l’esperienza spirituale, il singolare per-corso della libertà personale, alla novità gratuitamente operata dal

    Ogni volta di nuovo il nascere umano è pieno di promessa.

    La prima identificazione avviene attraverso un

    accudimento, nelle relazioni fondamentali che consente di

    “addomesticare” il mondo.

  • 21VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier

    «C

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    dire

    il cuo

    re!»

    L’arte di custodire iL cuore

    battesimo, è strutturante un vero e proprio cammino di discernimento. Si riconduce al compito di maturare un proprio stile spi-rituale e una scelta di vita che sintetizzi la propria somiglianza all’umano di Gesù. Fi-losseno (è un orientale, un persiano fattosi siriano!) insiste lungamente nell’argomen-tare la radicale incompatibilità tra questa nuova forma di vita e lo stile della monda-

    nità. Non per nulla la madre di tutte le virtù per Filosseno è la sem-plicità – l’unificazione del cuore nella contemplazione dell’umano di Gesù.

    Manca forse – nella testimonianza di questo padre dell’antichi-tà – la considerazione della potenza plasmatrice della relazione con l’altro, nella configurazione del sentire nuovo conforme alla regola evangelica: la mediazione orizzontale non era considerata, se non indirettamente, nella pedagogia antica. Oggi siamo più acutamente consapevoli del passaggio di pedagogia: dall’altro inteso come di-strazione, all’altro compreso come rivelazione.

    Ignazio di Antiochia, padre molto anteriore che pure si muove nell’area del cristianesimo siriaco, vive il suo percorso verso Roma come attesa di questa nuova nascita: «Allora nascerò uomo», dice a proposito dell’atteso martirio, nella Lettera ai Romani (VI,2).

    Al di là dei condizionamenti di una cultura oggi desueta (e Fi-losseno, in più, apparteneva a un’area del cristianesimo un poco defilata dal punto di vista dell’ortodossia nicena), i padri del mo-nachesimo siriaco hanno ben individuato questa successione di na-scite, di “venute al mondo”, che caratterizza il cammino della fede. Passaggio dalle evidenze sensibili all’evidenza della fede mediata dalla libertà. Già Efrem ha mirabilmente cantato la storia della li-bertà cristiana negli Inni. Come quando dice di sé, nell’esperienza di essere mosso dallo Spirito: «Poiché tu sei un’arpa, dotata di vita e di linguaggio, le tue corde e le tue parole possiedono la libertà» (Inni sulla fede, 25,1).

    Filosseno di Mabbough (metropolita della chiesa monofisita di Ierapoli), autore siriaco del VI secolo, morto nel 523, è una delle

    L’esigenza di armonizzare l’esperienza spirituale,

    il singolare percorso della libertà personale, alla novità

    gratuitamente operata dal battesimo, è strutturante un vero e proprio cammino di

    discernimento.

  • 22 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier Maria ignazia angelini

    figure più importanti e affascinanti della letteratura siriaca. Di ori-gine persiana, si formò nella scuola teologica di Edessa, ebbe molti rapporti con i centri monastici siriaci e scrisse, tra l’altro, un piccolo trattato sull’inabitazione dello Spirito santo nel cuore dei battezzati. Con audacia espressiva di linguaggio, giustificata dalla sua esperien-za della fede, Filosseno chiama lo Spirito Santo «anima della nostra anima».

    Nella sua opera Insegnamento sulle regole, che è composta per i monaci, ma riguarda la vita cristiana come tale nel suo processo di maturazione, c’è una Omelia nella quale medita sulla esperien-za della fede intesa in termini radicali: come nascita, anzi, come processo di successive nascite tra loro correlate, in una dinamica di progressiva interiorizzazione del dono della vita divina. L’espe-rienza della fede è da Filosseno considerata nella triplice scansione: della venuta al mondo; della rinascita – nel battesimo –; della terza nascita – nella rinuncia evangelica.

    Ebbene, nella fase ultima, che corrisponde alla maturità della fede, ciò che subisce significativo incremento è l’aspetto promis-sorio del nascere: a questa terza stazione di libertà, l’orizzonte si ridefinisce a contatto con l’umano di Gesù; ciò che della fede è co-nosciuto – per il battesimo e la professione del simbolo – a livello puramente mentale, per il dinamismo spirituale innescato dal sa-cramento, scende al cuore:

    «Nel battesimo è la grazia che ha operato le due cose: abban-donare l’uomo vecchio e rivestire il nuovo; ma noi non abbiamo percepito nulla. Il mistero si è operato in noi in quel momento solo attraverso l’ascolto della fede. Si tratta invece nella terza nascita di sperimentare, attraverso il travaglio della libertà, che lasciamo l’uo-mo vecchio, attraverso il dolore delle lacrime, attraverso la preghie-ra istante a Dio, attraverso l’ammirazione e la contemplazione della signoria di Dio sulla nostra vita; in un rapido correre dell’uomo nascosto nel cuore verso il Signore» (Om. IX, 266-67).

    Nella terza nascita il travaglio delle generazione incide nella car-ne della persona la traccia decisiva, esperienziale: attraverso un ta-glio delle passioni, la rinuncia evangelica, nasce l’uomo nuovo, a immagine del “mite e umile di cuore” – l’umano rivelato in Gesù. Traccia che non definisce però un “esperimento”, una messa alla

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    L’arte di custodire iL cuore

    prova della forma di vita che si va scegliendo, bensì l’esperienza della relazione con la santità di Dio. La passività della prima nascita, la grazia della seconda, sono preludio e premessa per il coinvolgi-mento della libertà adulta, nella terza.

    Ci introduciamo così, sulla scorta di questo padre siriaco citato nel Documento del Sinodo, alla considerazione di questa terza na-scita, così decisiva nella maturazione di un giovane alla vita adulta e così significativa per tutte le scelte decisive della vita.

    Della terza nascita, come risposta alla chiamata originaria, da Fi-losseno è sottolineata in modo molto forte l’esperienza della nudità. È il vissuto proprio di chi realmente, esperienzialmente, incontra e liberamente risponde alla grazia e, mosso dallo Spirito, si priva di tutto per raggiungere la radicalità della fede: riconoscersi total-mente nudo significa acconsentire a riceversi da Altri. La nascita è in questa terza fase il più puro esempio di evento: da fede a fede (Rm 1,17). Semplicemente, gratuitamente il nascere, libero consen-so alla Donazione di Dio, si dà. Ha delle premesse – che però non lo spiegano. È irriducibile, è gratuito evento. In ordine al quale è solo richiesto di rimuovere gli ostacoli: la rinuncia, comunque essa si configuri in ordine alla decisione fondamentale. Rinuncia alla mol-teplicità delle voci e dei poteri, che impediscono di abbandonarsi alla promessa dell’Origine – fattasi visibile in Gesù.

    A tutto questo processo bisogna introdurre il giovane che si di-spone alla maturità della fede.

    4. Il lavoro del cuore

    La terza nascita ha dunque un solo signi-ficato: far diventare esperienza personale ciò che il sacramento ha operato nella crea-tura umana. La nuova nascita. Due omelie vi sono dedicate nella raccolta di Filosseno. Dopo le due sulla fede, le due sulla sempli-cità, le due sul timore di Dio, una coppia

    di omelie (la nona e l’ottava) sono dedicate alla rinuncia. Una pri-ma descrive semplicemente la necessità della rinuncia per servire Dio. Tutti i preamboli all’esperienza spirituale. Ma la nona omelia si addentra nel tema della rinuncia come nuova nascita. Gettato nel mondo, inizialmente l’uomo vive come vive il feto nel grembo

    La terza nascita ha dunque un solo significato: far diventare

    esperienza personale ciò che il sacramento ha operato nella creatura umana.

    La nuova nascita.

  • 24 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier Maria ignazia angelini

    materno: non vede, non respira, non si sviluppa – pur essendo vivo. Uscendo dal grembo del mondo attraverso la “vulva” costituita dal-la rinuncia, finalmente si manifesta, si apre a vedere, a formarsi, a crescere fino alla misura umana piena, quella di Cristo. Ciò che nel battesimo era accaduto passivamente, si elabora in una soggettività libera, che prende e interiorizza il sentire di Cristo. Il sentimento spirituale viene plasmato. Una forma spirituale, delle proporzioni e armonie della vita si dispongono in relazione al rivelarsi di Dio nella propria vita.

    L’immagine del mondo come “viscere” materne è pieno di riso-nanza simbolica. Esclude ogni idea gnostica, ogni spiritualismo di questa terza nascita e, stabilendo un progredire del processo vitale, ne delinea i contorni coerenti con un evento di nascita. Ciò che del cristiano avviene grazie al battesimo, la terza nascita lo compie a li-vello di stile spirituale: sentire nuovo, maturazione di un sapere spi-rituale, acquisizione di una misura, di uno stile, di una forma di vita.

    Solo una volta che l’uomo così è nato, i suoi organi possono percepire la realtà: gli occhi vedono, le orecchie odono, il naso per-cepisce profumi, ecc.: egli nasce come uomo spirituale. Grazie allo Spirito santo passa dal buio del grembo all’esistenza. E attraverso il lavoro spirituale nasce l’uomo del cuore (1Pt 3,4) che ha preso la misura di Cristo.

    Ed è, questa terza nascita, paragonata da Filosseno all’uscita di Gesù nel deserto – dopo il battesimo – attraverso la quale lotta con lo spirito del male e si spoglia di tutto ciò che potrebbe essere una ricchezza, nella nudità di mezzi e poteri mondani, e matura la pro-pria “regola spirituale” che darà uno stile inconfondibile alla sua missione di annunciatore del Regno. È quella fase della matura-zione dell’uomo spirituale che corrisponde alla espressione di una propria peculiare elaborazione della Parola dell’Origine:

    «Sappi che quando Gesù uscì nel deserto, uscì solo senza compa-gnia e senza aiuto, senza amici che si prendessero cura di lui, senza cose preziose né ricchezze, senza beni, senza vesti, senza ornamen-ti: niente – sta scritto – uscì con lui».

    Stile di conformità all’umano di Gesù che è ben sintetizzato, se-condo Filosseno, dalle parole evangeliche: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e portate fardelli pesanti, prendete il mio giogo e io vi darò sollievo» (cf Mt 11,28-30). Il giogo è la rinuncia, quel-

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    L’arte di custodire iL cuore

    la nudità generativa il cui simbolo eloquente è rappresentato dalla croce.

    Prima di ogni cosa, custodire il cuore perché da lì scaturisce la vita. Lotta, ascol-to, lettura, sensi spirituali, risentimento. Le tribolazioni della soggettività: la meditatio come murmuratio. Dividi la tua anima. Vit-toriosa è la lotta con armi impari, “in nomi-ne Domini”. Attraversata la lotta, al sorgere

    – attraverso la discesa agli inferi – dello sguardo fanciullo (nascita come generazione a opera della libertà liberata), discernimento del-la via, configurazione di una forma, per una volontà che è gene-rativa là dove realizza alla risposta della libertà liberata: il pieno abbandono. Rinasciamo non solo in quanto rigenerati, ma anche in quanto rigeneranti, consentendo al dolore della gestazione e del parto, porta d’accesso ineliminabile alla gioia della nuova nascita. Volere la grazia dell’Origine. Il discepolo amato: lui, semplicemente rimane. Il martire: «Allora veramente nascerò uomo» (Ignazio di Antiochia). Natale come Pasqua. Pasqua come Natale.

    Prima di ogni cosa custodire il cuore perché da lì scaturisce la vita. Lotta, ascolto, lettura,

    sensi spirituali, risentimento. Le tribolazioni della soggettività:

    la meditatio come murmuratio.

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    I PERCORSI del cuore

    Anna Bissi

    Psicoterapeuta presso il Centro di Consultazione familiare di Vercelli (VC).

    doss ier

    Con una felice immagine Alessandro Manzoni definisce il cuore umano con il termine “guazzabuglio”. L’espressione rende bene le complicazioni, le contraddizioni, la confusio-

    ne che spesso ci abita interiormente e che tendiamo a localizzare

    nel cuore, inteso come il centro della nostra persona. Essa, inoltre,

    rivela – benché in modo implicito – alcuni aspetti della nostra inte-

    riorità. Complicazioni, contraddizioni e confusione possono, infatti,

    offrirci due indicazioni diverse a proposito di ciò che noi siamo. Esse

    mettono in risalto come l’essere umano sia contemporaneamente

    libero e fragile e, proprio per questo motivo, interiormente diviso.

    Non ci sarebbe, infatti, nessuna contraddizione o confusione se non

    fossimo persone libere, ma esseri dominati unicamente da pulsioni

    interne predeterminate.

    L’animale non conosce le complicazioni del cuore umano perché

    guidato solamente dal suo istinto, che lo orienta verso quanto la na-

    tura ha definito come buono e utile per lui. Nello stesso tempo non

    esisterebbero contraddizione e confusione se non fossimo persone

    fragili, la cui libertà è talvolta condizionata o decide di orientarsi

    verso direzioni opposte rispetto al proprio bene, alla pienezza di vita

    a cui siamo chiamati.

    Il nostro cuore conosce dunque percorsi diversi, che si intreccia-

    no, si oppongono e talvolta creano quell’inquietudine interiore –

    anch’essa caratteristica dell’essere umano – che può risolversi in un

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    I percorsI del cuore

    percorso di crescita, di maturazione, il cui compimento si manifesterà come pienezza di vita, oppure orientarsi verso scelte im-mature, apparentemente gratificanti, ma in realtà inconcludenti e senza meta.

    A tali percorsi del cuore si possono at-tribuire nomi diversi, che cercheremo ora di configurare, nel tentativo di individuare quali siano i possibili itinerari evolutivi ca-paci di trasformare il cuore e quelli invece

    involutivi, che provocano un arresto, un blocco della crescita, se non addirittura una regressione.

    1. Il percorso dell’appagamento e dell’immediatezza

    Il nostro cuore è abitato da passioni forti, da bisogni intensi che in noi spingono, urgono, per essere soddisfatti. La persona umana, infatti, è fin dalla nascita un “essere di bisogno”: il neonato non nasce autosufficiente e per diventare veramente se stesso deve es-sere sottoposto a un lungo processo di umanizzazione, in cui biso-gni fisiologici e psicologici – in particolare l’essere accudito, l’essere accolto e amato – premono per essere soddisfatti. All’inizio della vita tali bisogni necessitano di una risposta immediata, perché il bambino possa sentirsi al sicuro e non “gettato” in un mondo che non si prende cura di lui. Un neonato costretto a sperimentare co-stantemente la mancanza e il vuoto probabilmente non riuscirà a sopravvivere o – nella migliore delle ipotesi – ne risentirà per tutta la vita.

    La psicologia ci ricorda, però, che anche colui che nell’infanzia è stato continuamente gratificato ne avvertirà gli effetti negativi nel corso di tutta l’esistenza: molto probabilmente diventerà un anti-sociale ribelle o un narcisista pretenzioso e incapace di intessere relazioni. Sarà prima un giovane e poi un uomo piatto, immaturo, portato a relazionarsi con gli altri in modo strumentale, bisognoso di soddisfare i bisogni primari e mai appagato da ciò che riceve.

    La crescita esige, infatti, che alla gratificazione immediata poco per volta si accompagni anche la frustrazione, il “no” che insegna ad accettare il limite, a riconoscere i diritti degli altri, a interagi-re in un mondo di pari rinunciando all’affermazione assoluta dei

    Il nostro cuore conosce percorsi che creano quell’inquietudine interiore che può risolversi in

    un percorso di maturazione, il cui compimento si

    manifesterà come pienezza di vita, oppure orientarsi verso scelte immature, inconcludenti

    e senza meta.

  • 28 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier AnnA Bissi

    propri diritti. Se questo non avviene, il cuore impara a percorrere un’unica via: la via della pretesa, dell’esigere la sod-disfazione immediata e incondizionata delle proprie voglie, dell’incapacità di attendere per lasciare spazio anche ad altri. Il bisogno si impone su tutto il re-sto, orientando verso un unico percorso ripetitivo, monotono e mai pienamente soddisfacente: la via dell’appagamento,

    della ricerca immediata del piacere, che si rivela destinata a non raggiungere mai una pienezza. Ciò avviene perché il piacere possie-de due caratteristiche destinate a creare frustrazione nella persona. Esso è innanzitutto passivo e, di conseguenza, può essere accolto oppure cercato solo per essere goduto in se stesso, senza rimandare mai a una tensione ulteriore. La sua continua soddisfazione appiat-tisce più che stimolare, porta ad aspirare sempre e solo al medesimo piacere, non dilata l’orizzonte, ma lo rimpicciolisce.

    Il piacere, inoltre, non solo è passivo, ma anche ripetitivo, crea assuefazione e rende la persona insaziabile. La gioia del piacere sod-disfatto crea in realtà un vuoto, una voragine interiore. La forza che lo guida internamente urge, preme e orienta solo verso il “riempi-mento”: il “buco” vuole essere colmato per evitare la carenza pro-vocata dal vuoto. Tuttavia tale tentativo continuo di sopperire alla mancanza non soddisfa: il bisogno costantemente gratificato, al po-sto di riempire il vuoto, lo amplifica e rende frustrati e mai sazi. Tale sazietà, inoltre, porta alla regressione, al ritornare indietro, a ten-tare di placare il cuore con gratificazioni sempre più immature, ma che – allo sguardo del cercatore eternamente insoddisfatto – posso-no presentarsi come possibili fonti di pacificazione: il sesso, l’alcool, la droga, la sfida, la negazione del pericolo, le fughe promesse dal mondo virtuale – forse il maggior oggetto di attrazione per giovani e ragazzi – rispondono proprio alle esigenze di chi non ha imparato a rinunciare all’appagamento immediato di un bisogno, ma quasi sempre lasciano l’amaro in bocca.

    Il percorso dell’immediatezza è, dunque, estremamente perico-loso e ne cogliamo gli effetti negativi in molti ragazzi e giovani della nostra società. Esso crea frustrazione, tensione, tristezza e talora

    La crescita esige che alla gratificazione immediata poco per volta si accompagni anche

    la frustrazione, il “no” che insegna ad accettare il limite, a

    riconoscere i diritti degli altri, a interagire in un mondo di pari

    rinunciando all’affermazione assoluta dei propri diritti.

  • 29VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

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    I percorsI del cuore

    anche angoscia: come, infatti, può vivere serenamente chi non è attrezzato ad affron-tare la vita o chi, fin dall’infanzia, non ha imparato a gestire il vuoto e la mancanza sapendo cogliere in essi la premessa di una

    futura soddisfazione? L’abitudine a vedere immediatamente esau-dite le proprie attese è anche fonte di noia: il vuoto costantemen-te riempito, invece di provocare una sensazione di pienezza, crea assuefazione, incapacità di godere, mancanza di slancio e di desi-derio. Infine, il percorso dell’immediatezza favorisce aggressività e difficoltà relazionali: esso, infatti, induce a percepire l’altro come il nemico che priva dei beni di cui si ha diritto più che un fratello o un compagno di viaggio lungo il cammino della vita; di conseguen-za, ogni persona sarà osservata con lo sguardo ostile di chi teme di essere espropriato dei propri diritti, gli unici che sembrano avere valore, e mai considerata nella prospettiva di creare una relazione reciprocamente appagante.

    2. Il percorso del sentire e dell’emozione

    Le emozioni sono una componente fondamentale dell’esistenza umana: senza di esse, infatti, tutto ci sembrerebbe grigio, banale, senza senso. Loro compito è di colorare la vita con le tinte più va-riegate, rendendola così più ricca e attraente, più “vita”. Talvolta, però, esse si impadroniscono del nostro cuore e, dal suo centro, orientano il nostro agire, il relazionarsi, il modo di pensare a se stessi e agli altri. L’emozione e – ancor prima – la sensazione di-ventano così il motore del vissuto quotidiano e, soprattutto, delle nostre scelte. Si è invitati ad andare “dove ci porta il cuore”, vale a dire ad agire non in base a ciò che pensiamo o riteniamo buono e utile per noi e per gli altri, ma a quanto ci fa sentire bene, offre una soddisfazione immediata o appare ai nostri occhi come una fonte di benessere.

    Il percorso del sentire invita ad ascoltare e seguire ciò che provia-mo in un determinato momento e, di conseguenza, rende mutevo-li, favorisce la percezione dell’esistenza come una realtà in continuo cambiamento, come una trasformazione incessante. La vita appare dinamica e, proprio per questo, più attraente. Si è alla ricerca della bella emozione, del sentimento appagante vissuto nel “qui e ora”,

    Il percorso dell’immediatezza è estremamente pericoloso, crea

    frustrazione, tensione, tristezza e talora anche angoscia.

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    doss ier AnnA Bissi

    senza pensare troppo al futuro oppure progettandolo secondo crite-ri di autorealizzazione personale: «Che cosa mi farà star bene?»; «In che cosa potrò porre la mia felicità?». Si tratta di interrogativi legit-timi, anche se è altrettanto legittimo domandarsi se lo “star bene” possa essere il fine di un’esistenza e il provare emozioni piacevoli sia sufficiente per rendere felice un essere umano.

    Il percorso del sentire e dell’emozione è indubbiamente più maturo rispetto a quello dell’appagamento immediato: cercare il proprio benessere emotivo è più evoluto se paragonato alla sem-plice spinta a colmare il vuoto; si tratta, però, di un percorso co-stellato di pericoli e che, senza volerlo, può ritorcersi contro chi ha intrapreso questa via. Le emozioni, infatti, sono labili, cambiano

    CuoreIl termine “cuore” evoca realtà diverse in culture diverse. Nel nostro mondo occidentale esso è solitamente conside-rato come la sede delle emozioni che abitano la nostra vita. Esso è anche spesso ritenuto il luogo d’origine da cui sca-

    turiscono i sentimenti amorosi; non a caso, il verso più scontato, ma forse anche più frequente nella nostra lingua è quello dove “cuore” fa rima con “amore”.Il cuore può essere anche inteso come l’indicatore di un modo di cono-scere e di raggiungere la verità che, pur appartenendo all’essere uma-no, non segue la via della logica e della ragione, ma quella dell’intuizio-ne e dell’introspezione. In questa accezione può essere inteso come la sede dell’interiorità, guidata da leggi diverse rispetto a quelle razionali, ma tuttavia degne di ascolto e di rispetto. A questo modo diverso di accostarsi alla verità si riferiva, per esempio, Pascal quando scriveva

    che «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce».Nella Bibbia il termine cuore ha un significato ancora più ampio che –

    tradotto in termini psicologici a noi più vicini – potremmo definire come il Sé dell’individuo, vale a dire il centro della persona. Inteso in tale modo

    il cuore è la sede dell’intelligenza, della memoria, il luogo in cui si operano le decisioni e le scelte dell’individuo. Per l’ebreo praticante, così come per il

    cristiano, il cuore non è però solo un luogo psichico, ma rappresenta anche la dimensione più profonda dell’essere umano, lo spazio interno abitato dalla presenza di un Dio desideroso di entrare in dialogo con la sua creatura.

    di Anna Bissi

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    I percorsI del cuore

    continuamente; noi stessi ce ne rendiamo conto nel corso del quotidiano: possiamo svegliarci di cattivo umore e finire la gior-nata sereni, senza sapere nemmeno il per-ché. Se questo è vero in merito al vissuto di ogni giorno è ancora più vero a propo-sito dei momenti importanti dell’esistenza. Operare delle scelte lasciandosi guidare

    solo dal cuore, inteso come sede del nostro mondo emotivo, non dà solidità alla vita, poiché quanto oggi può renderci felici do-mani potrà diventare fonte di tensione, di noia, di frustrazione. Ciò è ancora più vero per quanto riguarda le scelte relazionali, in modo particolare quella del partner con cui si vuole condividere l’esistenza: qui il percorso delle emozioni può rivelarsi insidioso e fallace. Alla base di un rapporto maturo, infatti, il sentire può occupare un posto importante, ma non unico. Quali garanzie, in-fatti, può offrire una relazione basata unicamente sulle sensazioni piacevoli che ogni esperienza di innamoramento necessariamente porta con sé?

    Quando la gioia frizzante che nasce dalla reciproca attrazione lascia il posto alle fatiche della convivenza, solo i valori condivisi, l’impegno vicendevolmente assunto possono costituire quella roc-cia solida e rassicurante su cui costruire la casa del proprio reciproco amore. Il percorso del sentire e dell’emozione, invece, suggerisce un altro tipo di soluzione: quella del cambiamento continuo, del seguire il proprio “feeling” personale che giustifica la separazione e l’allontanamento, avendo come unica motivazione: «Sono cambia-to, non sento più niente di ciò che provavo un tempo». Tale per-corso, quindi, non costituisce una via tipicamente umana di agire, poiché nega o non favorisce la maturazione di ciò che è essenziale per la persona: la capacità relazionale. Mettere al centro il proprio sentire emotivo, infatti, significa fare delle proprie emozioni il va-lore assoluto e, di conseguenza, escludere l’altro, i cui diritti diven-tano insignificanti se paragonati alla ricerca del proprio benessere.

    La fragilità che oggigiorno constatiamo presente nei rapporti di coppia è uno dei segni evidenti della pericolosità dell’itinerario in cui il cuore è prevalentemente spinto dalle emozioni; esse, infat-ti, possono rendere la persona instabile e vulnerabile, perché priva

    Cercare il proprio benessere emotivo è più evoluto se

    paragonato alla semplice spinta a colmare il vuoto; si tratta di un

    percorso costellato di pericoli e che può ritorcersi contro chi ha

    intrapreso questa via.

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    doss ier AnnA Bissi

    delle sicurezze e dei punti d’appoggio oggettivi capaci di rendere la vita più sicura e serena.

    3. Il percorso del desiderio

    Il nostro cuore non è solamente sede di bisogni impellenti o di sentimenti ap-paganti: esso è anche luogo di desiderio. Come il bisogno, anche il desiderio na-sce dalla mancanza, dall’inappagamen-to, ma li gestisce in modo diverso. In un interessante libro su questo tema, lo psi-canalista Massimo Recalcati spiega il si-gnificato del termine desiderio partendo

    dalla sua etimologia. Egli afferma che il termine da cui deriva – de-siderantes – è stato usato la prima volta da Giulio Cesare nel De bello gallico per riferirsi ai soldati che, dopo la battaglia, guardavano le stelle nel cielo – sidera – nell’attesa dei compagni non ancora tornati al campo. «Il de privativo indica in latino l’impossibilità di seguire la rotta segnalata dalle stelle e, dunque, una condizione di disorienta-mento, di perdita di riferimenti, di nostalgia, di lontananza, ma an-che l’avvertimento positivo di ciò che è necessario alla vita, l’attesa e la ricerca della propria stella. La parola “desiderio” porta quindi nel suo etimo la dimensione della veglia e dell’attesa, dell’orizzonte aperto e stellare, dell’avvertimento positivo di una mancanza che sospinge verso la ricerca»1.

    Il desiderio può quindi essere descritto come un vuoto trasfigu-rato: ciò che manca, infatti, diventa occasione di crescita, di ricerca, di tensione, di trascendenza, come spinta verso un “oltre” che ci supera e va al di là di noi stessi. Desiderare, infatti, è essere abitati da qualcosa che contemporaneamente è molto personale e, nello stesso tempo, ci oltrepassa; è vivere una contraddizione, poiché il desiderio è unico, è nostro, è personalissimo, ma rappresenta anche una forza ingovernabile, una spinta che sovrasta e supera la perso-na stessa. Noi, infatti, non decidiamo di desiderare, ma siamo presi dal desiderio, che ci orienta, ci guida, ci sospinge in una direzione. Indirizziamo le nostre forze verso il desiderio perché prima ci siamo

    1 M. recaLcati, Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, p. 17.

    Il nostro cuore non è solamente sede di bisogni impellenti o di

    sentimenti appaganti: esso è anche luogo di desiderio.

    Come il bisogno, anche il desiderio nasce dalla

    mancanza, dall’inappagamento, ma li gestisce in modo diverso.

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    I percorsI del cuore

    sentiti guidati, trascinati, spinti dal desiderio stesso e questa spinta è sempre una spinta trascendente, che porta al di là di noi stessi; è un esodo del nostro io che “si impone a noi” e ci orienta verso un “al di là” di noi stessi. L’innamoramento è l’esempio più chiaro di que-sta dinamica: le persone non decidono a tavolino di innamorarsi di questa o quella persona, ma è piuttosto la persona che causa e fa nascere il desiderio. Lo stesso vale per la vocazione religiosa, scelta non programmabile, ma scoperta di un Altro, “più intimo a noi di noi stessi”, che attrae e suscita la voglia di seguirlo.

    La via del desiderio è, nello stesso tempo, una via esigente ed appagante, che domanda impegno e attenzione. Essa richiede in-nanzitutto la disponibilità ad accettare il vuoto, inteso non unica-mente come momento di frustrazione, ma anche come occasione di crescita, come possibilità lasciata al cuore di orientare il cammino su percorsi sempre nuovi, sempre più stimolanti e avvincenti, che non passano però dalla soluzione immediata, ma comportano la capacità di attendere e tollerare la frustrazione.

    Anche il desiderio, però, conosce una sua fragilità: esso, infatti, può apparire tale, ma – di fronte alle prove della vita – può rivelarsi un bisogno camuffato. Quante volte, infatti, desideri di bene, di servizio, di donazione, apparentemente abitati da una tensione va-

    loriale trascendente, si sono rivelati altro: dietro all’apparente aspira-zione a servire si è manifestata una forte tensione esibizionistica così come la sete di preghiera ha mascherato un bisogno di fuggire rela-zioni che potevano incutere paura. La nostra psiche, infatti, è molto complessa e soprattutto è dotata della capacità di difendersi, camuffa-re le sue motivazioni più profonde, attribuendo loro un’apparenza di bene, con lo scopo di proteggere l’immagine di sé, evitando di pren-dere consapevolezza della fragilità personale. Il bisogno mascherato da desiderio, però, non appaga e prima o poi si sarà costretti a “fare i conti” con il cuore che, spinto in direzioni contrastanti, fatica a trova-re la serenità e l’armonia interiore a cui aspira.

    4. Il percorso del discernimento

    «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi», diceva la Volpe al Piccolo Principe, e aveva ragione. Essa

    Anche il desiderio conosce una sua fragilità: può apparire tale, ma – di fronte alle prove

    della vita – può rivelarsi un bisogno camuffato.

  • 34 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier AnnA Bissi

    però forse dimenticava che, per vedere meglio degli occhi, il cuore dell’uomo ha bisogno di essere purificato. Proprio perché è un “guazzabuglio” di fragilità e

    grandezza, di libertà e paure che lo spingono a difendersi, il cuore non può limitarsi a lasciarsi guidare dai desideri; essi, infatti, talvol-ta sono ambivalenti: all’apparenza sembrano indirizzare la persona verso valori trascendenti, ma in realtà nascondono un’intenzione diversa, che preme perché il bisogno venga soddisfatto. Tante scelte di vita si rivelano così inappaganti, proprio perché la persona vive una profonda contraddizione interiore: convinta di andare in una direzione, in realtà ne percorre un’altra. Ciò vale a proposito della scelta matrimoniale, dove il volere il bene dell’altro è minacciato dalla spinta compulsiva e mai inappagata di ricevere affetto, o per la decisione vocazionale, in cui il dono di sé a Dio maschera la paura di affrontare il mondo o il dilagante bisogno di realizzazione personale.

    Il percorso del desiderio è dunque insufficiente per orientare in modo maturo e soddisfacente il nostro cuore; esso, infatti, deve an-che sviluppare la capacità di valutare i propri desideri, al fine di scorgere ciò che può indirizzare il cammino personale in direzioni sbagliate o insoddisfacenti.

    Il percorso del discernimento appare allora come l’itinerario più saggio e più appagante perché il cuore possa ritrovare quell’ordine interno e quell’armonia che, nonostante tutti gli “ingorghi” inte-riori, gli sono connaturali e tanto desidera. Attribuire al cuore la capacità di discernere significa, però, pensarlo come il centro della persona e non come una realtà unicamente mossa dalla dimensione affettiva, desiderante. Il cuore, infatti, è anche capace di giudizio, di valutazione; è in grado di distinguere correttamente fra scelte che orientano verso il bene e la crescita personale e altre che favorisco-no dinamiche immature e regressive.

    Noi non siamo solo impulso, emozione, sensibilità, desiderio: siamo dotati anche della facoltà di riflettere, valutare, soppesare vantaggi e svantaggi delle scelte fatte o dei comportamenti assunti. Siamo intuizione, capacità di penetrare nei meandri della nostra interiorità, per scorgere i possibili modi in cui siamo tentati di ca-muffare le nostre motivazioni profonde, mascherare la verità per

    Per vedere meglio degli occhi, il cuore dell’uomo ha bisogno

    di essere purificato.

  • 35VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    doss ier

    «C

    usto

    dire

    il cuo

    re!»

    I percorsI del cuore

    far apparire buono e desiderabile ciò che, di fatto, non lo è. Siamo anche volontà e, di conseguenza, intenzionalità che orienta la vita verso orizzonti ben precisi, tensione per trasformare in decisione e in atti ciò che è stato valutato come buono, significativo e giusto per la propria esistenza. Se, infatti, non mette in moto la volontà e non porta all’agire, il cuore rimane sterile, non dà frutti di vita; come diceva un grande pensatore: «Il bene è sempre concreto»; esso deve dunque trasformarsi in atto, in scelta, in vita vera.

    Il percorso del discernimento è, dun-que, in ultima analisi, un percorso di educazione del cuore. Educazione intesa soprattutto come armonizzazione delle di-verse componenti, come integrazione del-le differenti dimensioni della persona, af-finché tutte possano esprimersi e nessuna prevalga sull’altra. Sarebbe, infatti, perico-loso se il cuore dovesse agire guidato solo da criteri di morali acquisiti dall’esterno, a cui si aderisce rigidamente senza mai porsi

    interrogativi: i comportamenti sarebbero ineccepibili, ma la per-sona si trasformerebbe presto in un automa, incapace di operare scelte personali e assumersi le proprie responsabilità. Lo stesso si può affermare di un cuore unicamente guidato dal pensare e, di conseguenza, incapace di venire a patti con la realtà, percepita secondo criteri astratti e avulsi dal vissuto quotidiano. Come però abbiamo già messo in risalto, il cuore non può nemmeno lasciar-si guidare unicamente dalla sensazione o dall’emozione, che lo orientano su vie di immediatezza ma, nello stesso tempo, lo in-troducono in circoli viziosi di compulsiva necessità di soddisfare i bisogni fisiologici e psicologici, senza lasciare spazio per la dimen-sione trascendente che lo abita.

    Il discernimento si rivela allora come il percorso necessario per-ché il cuore possa individuare quali sono le spinte che lo muovono e decidere come orientarle e dare loro spazio. Solo così potrà di-ventare ciò che è chiamato ad essere: il centro della persona che contemporaneamente ricerca un’armonia interna tra le diverse di-mensioni in esso presenti e orienta verso un “oltre” a cui tendere per vivere quella trascendenza che caratterizza ogni essere umano.

    Il percorso del discernimento è un percorso di educazione

    del cuore. Educazione intesa soprattutto come

    armonizzazione delle diverse componenti, come integrazione

    delle differenti dimensioni della persona, affinché tutte

    possano esprimersi e nessuna prevalga sull’altra.

  • 36 VOCAZIONI N. 1 Gennaio/Febbraio 2018

    FEDE per dilatare la vita

    Francesco Lambiasi

    Vescovo di Rimini (RN).

    doss ier

    «Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta?»(1Cor 5,6).

    Tutte le componenti della Chiesa interpellate hanno chiesto al

    Santo Padre di convocare il prossimo Sinodo sul tema delle giovani

    generazioni. In qu