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IN QUESTO NUMERO TESTIMo NIANZE E 15,00 Periodico Bimestrale - Sped. in Abb. Post. - 45% art 2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Firenze L’Italia dei piccoli centri Rivista fondata da Ernesto Balducci TESTIM o NIANZE L’Italia dei piccoli centri (Volume monografico a cura di Fabio Dei, Severino Saccardi, Simone Siliani e Giacomo Trentanovi) 507-508 507-508 L’Italia dei piccoli centri Severino Saccardi L’«Italia minore» degli anni 2000 Pietro Clemente, Fabio Dei, Paolo De Simonis, Federico Scarpelli, Vito Teti, Antonio Fanelli Paesi da raccontare Giovanni Commare, Pierluigi Di Piazza, Piero Meucci, Lucio Niccolai, Giacomo Trentanovi, Corrado Marcetti, Gabriele Parenti, Luisa Montanari, Vania Partilora, Luca Nannipieri, Donatello de Filippis, Simona Giani, Franco Toscani, Franco Toscani Quale «buona politica» per i piccoli centri? Silvia Viviani, Matteo Biffoni, Stefano Casini Benvenuti, Alberto Magnaghi, Tito Barbini, Tomaso Montanari e Simone Siliani

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IN QUESTO NUMERO

TESTIMo

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ZE

EE 15,00 Periodico Bimestrale - Sped. in Abb. Post. - 45% art 2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Firenze

L’Italia deipiccoli centri

R i v i s t a f o n d a t a d a E r n e s t o B a l d u c c i

TESTIMoNIANZEL’Italia dei piccoli centri

(Volume monografico a cura di Fabio Dei, Severino Saccardi,Simone Siliani e Giacomo Trentanovi)

507-508507-508

L’Italia dei piccoli centri Severino Saccardi

L’«Italia minore» degli anni 2000Pietro Clemente, Fabio Dei, Paolo De Simonis, Federico Scarpelli, Vito Teti, Antonio Fanelli

Paesi da raccontareGiovanni Commare, Pierluigi Di Piazza, Piero Meucci, Lucio Niccolai, Giacomo Trentanovi, Corrado Marcetti, Gabriele Parenti, Luisa Montanari, Vania Partilora, Luca Nannipieri, Donatello de Filippis, Simona Giani, Franco Toscani, Franco Toscani

Quale «buona politica» per i piccoli centri?Silvia Viviani, Matteo Biffoni, Stefano Casini Benvenuti, Alberto Magnaghi, Tito Barbini, Tomaso Montanari e Simone Siliani

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BIMESTRALE - ANNO LIXMAGGIO - AGOSTO 2016 nn. 3-4 (507-508)

RIVISTA EDITA DALL’ASSOCIAZIONE CULTURALE «TESTIMONIANZE»

Consiglio DirettivoGiorgio FedericiGiulio Mannucci (Tesoriere)Miriana Meli Roberto Mosi (Presidente)Severino SaccardiMauro SbordoniSimone SilianiVincenzo StrianoStefano Zani (vicepresidente)

Comitato ScientificoAndrea Bigalli (Presidente)Mauro CerutiMassimo Livi BacciCristina Martelli Mario Primicerio Aldo SchiavoneFrancesco Stella

Autorizz. del Tribunale di Firenze con decreto di registrazione nell’elenco periodici n. 1207 del 14 dicembre 1957 ISSN 0040-3989

Progetto grafico: Laura Venturi

Impaginazione e fotolito:SaffeVia San Morese, 12Calenzano (Firenze)

Stampa:ABC Tipografia Via Ettore Majorana, 38/40 Sesto Fiorentino (Firenze)

«Testimonianze» è associata all’Unione Stampa Periodica Italiana

e al Coordinamento Riviste Italiane di Cultura

TESTIMoNIANZE

Foto di copertinaCastello dei conti Guidi, Montemignaio (Foto Miriana Meli)

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TESTIMoNIANZER i v i s t a f o n d a t a d a E r n e s t o B a l d u c c i

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R i v i s t a f o n d a t a d a E r n e s t o B a l d u c c i

CAMPAGNA ABBONAMENTI 2016

TESTIMoNIANZE

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5 L’Italia dei piccoli centri (Volume monografico a cura di Fabio Dei, Severino Saccardi, Simone Siliani e GiacomoTrentanovi)Un volume, questo di «Testimonianze», completamente monografico, su quell’«Italiaminore» fatta di piccoli comuni, borghi storici, ma anche centri abitati anonimi e paesiabbandonati (che talora rinascono a nuova vita), caratterizzato da una riflessione, a piùvoci, di carattere antropologico, politico-istituzionale, storico e letterario, con uno spaziospecifico dedicato ad alcune località o territori (evocati talora con il linguaggio dellamemoria e del cuore da parte di chi vi è nato, vi ha dimorato o ne ha conoscenza peresperienze di vita o di studio) del Nord, del Centro e del Sud. Ne emerge uno spaccatodella realtà dei piccoli centri, in cui vive una fetta cospicua della popolazione italiana,che spesso svolge un’opera di presidio e di cura del territorio e del suo inestimabilepatrimonio ambientale ed artistico (un autentico deposito di cultura, di saperi e ditradizioni), ma che soffre le conseguenze della crisi e della disattenzione che talora èriservata ai destini dei territori (pur così importanti) della nostra «provincia». Al centrodella riflessione, il tema della necessità di individuare e perseguire strategie divalorizzazione di questo universo variegato, con una «buona politica» e con scelte digestione e di governo del territorio che, auspicabilmente con la partecipazione dellepopolazioni locali, sappiano coniugare modernità e tradizione, rispetto del patrimonio eprospettive di crescita culturale.

6 Severino Saccardi, Paesi d’Italia nell’età del «mondo globale»

13 L’«Italia minore» degli anni 2000

14 Pietro Clemente, Il centro in periferia

22 Fabio Dei, Cyberfolklore: quando le comunità locali (ri)vivono simbolicamente in Rete

28 Paolo De Simonis, Paesi sospesi

35 Federico Scarpelli, Armungia, Pienza, Montelanico: paesi a confronto, oltre la town andcountry fiction

42 Vito Teti, Antropologia e storia dei paesi abbandonati

49 Antonio Fanelli, Il circolo come «cuore del paese»: le case del popolo nell’area fiorentina

55 Paesi da raccontare

56 Giovanni Commare, Campobello: era un paradiso e non lo sapevo

62 Pierluigi Di Piazza, Fra villaggio e pianeta

QUESTONUMERO

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70 Piero Meucci, Montepescali, «fiore di pietra»

74 Lucio Niccolai, Paesi d’Amiata e di Maremma

85 Giacomo Trentanovi, Nel cuore della Toscana collinare

92 Corrado Marcetti, La rigenerazione di Larderello

96 Gabriele Parenti, Buti: dove tradizione fa rima con innovazione

103 Luisa Montanari, Il piccolo, mitico, mondo di San Pierino

108 Vania Partilora, Castagneto Carducci: storia e prospettiva di un borgo sulla Costa degliEtruschi

111 Luca Nannipieri, Se i paesi diventano invisibili

116 Donatello de Filippis, Provincia e grande letteratura: perché (ri)leggere Lucio Mastronardi

123 Simona Giani, Carlo Betocchi: dolce è la vita a chi bene le vuole

127 Franco Toscani, Un dialogo silenzioso con il monte Ragola

130 Franco Toscani, Dei nostri boschi e paesi montani

132 Quale «buona politica» per i piccoli centri?

133 Silvia Viviani, L’Italia dei piccoli comuni e l’urbanistica del cambiamento

139 Matteo Biffoni, Il riassetto istituzionale e i piccoli comuni: il «caso Toscana»

145 Stefano Casini Benvenuti, È possibile un accentramento amministrativo rispettoso dellediverse identità?

153 Alberto Magnaghi, Piccole città crescono. Il ritorno del Comune

161 Tito Barbini, Sindaco a Cortona

166 Tomaso Montanari (intervista a cura di Simone Siliani), «Se non diventerete comebambini…»

Il presente fascicolo della rivista (per la consistenza dei contributi della sezione tematica, che com-plessivamente, dal punto di vista delle pagine, configurano un volume più che doppio) ha, con unascelta abbastanza eccezionale per «Testimonianze», un carattere completamente monografico. Testi econtributi delle altre rubriche slittano, pertanto, al prossimo numero. Confidiamo nella comprensionedegli autori e dei lettori, che rinviamo comunque, intanto, ai molti contenuti, agli spunti, alle riflessio-ni che il presente volume raccoglie e a cui intende dare evidenza.

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CYBERFOLKLORE: QUANDO LECOMUNITÀ LOCALI (RI)VIVONOSIMBOLICAMENTE IN RETE

Bausinger e l’«espansione di orizzonti»

In questo articolo vorrei attirare l’atten-zione dei lettori su alcune modalità di co-struzione simbolica delle identità locali(di provincia e dei «piccoli centri»): unacostruzione che non si oppone alla gran-de scala dei processi di globalizzazione,e anzi ne sfrutta gli strumenti, a partiredalla Grande Rete comunicativa. L’artico-

lo è prevalentemente un invito a farsi qual-che giro in Internet per dare uno sguardoad alcuni interessanti fenomeni di produ-zione culturale dal basso – forme di cy-berfolklore, potremmo chiamarle. Mal-grado questo carattere descrittivo, ho peròbisogno di iniziare da un pizzico di teo-ria. Secondo il grande e un po’ trascurato et-nologo tedesco Hermann Bausinger, la

Uno sguardo su alcuni interessanti fenomeni della produzione

culturale dal basso, che si sviluppa e trova la sua possibilità di

divulgazione in Rete e che vede al centro dell’interesse i «piccoli

centri» e le realtà locali. Si opera, nell’ambito di questo fenomeno,

la ricostruzione consapevole di una tradizione, ormai persa con

la globalizzazione, attraverso la rivitalizzazione di memorie,

luoghi, eventi, personaggi. Il cyberfolklore, reso vitale e capillare

dai social network in forme modulari, imitative e al tempo

stesso creative, porta alla ribalta ora, con abbondanza di dati,

una realtà in passato sfuggente perché relegata nello spazio più

difficilmente documentabile delle relazioni faccia a faccia.

di Fabio Dei

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modernizzazione può essere letta comeun processo di «espansione di orizzonti».Per orizzonte si intende la sfera delle espe-rienze o risorse culturali cui un gruppoumano può accedere, in senso spaziale,temporale e sociale. Possiamo immagi-narci come punto zero dell’espansioneuna comunità chiusa su se stessa, circo-scritta «spazialmente» in un esiguo terri-torio; «temporalmente», in una trasmis-sione di memoria che non vada oltre ilpassaggio di bocca in bocca fra genera-zioni contigue; «socialmente», in una ap-partenenza di classe rigida e insuperabi-le. È la condizione che la sociologia clas-sica ha chiamato di «comunità»: forse em-piricamente non si è mai verificata in mo-do assoluto, anche se il mondo contadi-no, in certi suoi momenti di particolareisolamento, ci si è talvolta avvicinato (dal-le servitù della gleba medioevali alle con-dizioni delle famiglie mezzadrili fino allametà del Novecento). In età moderna econtemporanea l’espansione è stata co-stantemente accelerata da fattori come losviluppo dei mezzi di trasporto e di co-municazione, la diffusione dell’istruzio-ne, della stampa e poi dei media, le retidi connessioni economiche e culturali suscala sempre più ampia. Niente di parti-colarmente originale, fin qui, certo. Ma ilpunto che Bausinger ha colto con grandeacume fin dagli anni 60 1 è che, in questoprocesso, le identità comunitarie localinon si dissolvono semplicemente nel pro-cesso di espansione: piuttosto, via via chele loro condizioni «naturali» vengono me-no, esse sono ricreate culturalmente. Daqui un movimento di rivalutazione delletradizioni, delle appartenenze, dei vinco-li comunitari che tocca il suo apice con ilRomanticismo e che prosegue nei secolisuccessivi – prima in Europa e poi su unascala globale – attraverso svariate forme emodalità di memoria culturale. In altre pa-role, c’è un meccanismo per cui l’uscita

da una inconsapevole tradizione porta al-la consapevole ricostruzione culturale del-la tradizione stessa; la dissoluzione deiconfini locali e comunitari porta a tenta-tivi appassionati di ridisegnarli sul pianomemoriale, celebrativo, commemorativo.Bausinger mostra un tale meccanismo inazione nella Germania dell’800 e del 900.Ma l’analisi si potrebbe ampliare alla fasipiù recenti della globalizzazione: lo di-mostra la fortuna planetaria della nozio-ne di heritage – in particolare di patrimo-nio culturale intangibile, identificato conle tradizioni gelosamente tenute in serboda «popoli» o «comunità» prima del loroscioglimento negli orizzonti troppo vastidel villaggio globale 2.

Non importa trovarsi ai tavoli delleGiubbe Rosse

Ora, tutto questo ha molto a che fare conla questione dei piccoli centri. Per tuttal’alta modernità (fino almeno alla secon-da metà del Novecento inoltrata, dicia-mo) la contrapposizione fra città e villag-gi o «provincia», così come quella fra gran-di e piccoli centri, si è articolata sulla ba-se della dicotomia fra «comunità» e «so-cietà». Da un lato un mondo aperto, co-smopolita, denso di opportunità e pro-messe, tutto volto al mutamento e al pro-gresso, dall’altro piccoli mondi locali chiu-si su se stessi, immobili e conservatori, ste-rili e senza prospettive. Al tempo stesso,tuttavia, quelle città così aperte potevanoapparire corrotte, decadenti, artificiose,laddove agli universi locali si poteva at-tribuire una ingenua e commovente sem-plicità, un’autenticità culturale altrove per-sa per sempre. Vorrei far notare quantosiamo ancora catturati da questo immagi-nario, dalla oscillazione tra il disprezzo el’irrisione del provincialismo e il culto delmodo di vita semplice e «più naturale». La

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forza delle retoriche sociali è tale da so-pravvivere ai mutamenti radicali delle lo-ro condizioni storiche. Difficile pensare,infatti, che nel mondo occidentale di og-gi il rapporto tra la città e la provincia, trail grande e il piccolo centro, sia ancora lostesso di solo alcuni decenni fa. Sono ov-viamente cambiate le condizioni relazio-nali e comunicative che definivano queirapporti. In quasi tutti i campi, dagli affa-ri alla cultura, partecipare a vaste reti direlazioni socialmente significative non èpiù solo né principalmente questione dicontiguità spaziale (anche se bisogna ri-conoscere che quest’ultima un suo ruololo mantiene sempre). «Connessione» e«Rete» significano oggi qualcosa di di-verso. Per i letterati, poniamo, non occor-re più trovarsi ai tavoli delle Giubbe Ros-se per far parte di un movimento; né pergli artisti andare ad abitare a Montmartreo al Greenwich Village. Si può stare alcentro della comunicazione attraverso unadislocazione insediativa decentrata, e an-zi spesso lo si fa meglio. Da parte loro, molti piccoli centri e alcu-ne aree rurali hanno attraversato processidi gentrificazione (così come alcuni quar-tieri delle grandi città, che tradizional-mente replicavano la struttura comunita-ria del paese: si pensi al caso di Trasteve-re a Roma 3): non sono più «provinciali»nel vecchio senso del termine. Ad esem-pio, difficile pensare di non trovarvi «op-portunità» (in senso commerciale, cultu-rale, di tempo libero) che si troverebberosolo nelle città, come era invece fino auna generazione fa. Per altri versi, i fatto-ri di «identità» che li avevano caratteriz-zati su una scala di lunga durata si sonoerosi negli ultimi decenni. Non sto par-lando solo di fattori simbolici (il dialetto,il folklore locale, i repertori di storie e dipersonaggi), ma di cose ben concrete. Lastruttura della proprietà e dei capitali im-pegnati sul territorio, il paesaggio, la for-

ma della famiglia e le relazioni di classe,le subculture politiche, le forme del lavo-ro e gli stili di vita. Questi fattori di iden-tità locale sono spesso rimasti compatti suuna scala di secoli, pur con la necessitàdi periodici aggiustamenti e riequilibri 4;ma oggi sembrano non reggere all’impat-to della globalizzazione e alle dinamicheeconomiche e demografiche che essa in-nesca, non più controllabili e riassorbibi-li sul piano locale. Le recenti ondate di cri-si economica, in particolare, hanno mes-so a dura prova proprio i nuclei forti del-l’Italia dei piccoli centri: quelli della Ter-za Italia, dei distretti industriali radicati inuna secolare tradizione civica e coopera-tiva e in un rapporto forte col territorio.

Sei di Poggioverde se…

Non ho la pretesa di approfondire questodifficile ordine di problemi. Mi interessasolo sottolineare il venir meno della com-pattezza identitaria dei piccoli centri, siain positivo (connessione alle reti di circo-lazione globale, grado massimo di espan-sione di orizzonti) sia in negativo (crisi deimodelli territoriali tradizionali ed espro-priazione della capacità di controllo untempo detenuta dagli agenti locali). Ci sipotrebbe aspettare di conseguenza ancheun indebolimento delle percezioni iden-titarie e delle loro manifestazioni simbo-liche. E invece è a questo punto che scat-ta la «legge di Bausinger»: spezzata sulpiano strutturale, la continuità identitariadiventa oggetto di ossessive ricostruzionie ricuciture simboliche da parte di indivi-dui e gruppi sociali. E per quanto possaapparire paradossale, tali costruzioni av-vengono proprio sul terreno della globa-lizzazione comunicativa e attraverso i suoistrumenti – Internet e i social network pri-ma di tutti. Sono numerosi gli esempi pos-sibili del modo in cui la Rete può essere

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posta al servizio di ciò che ne rappresen-ta in apparenza l’antitesi, vale a dire unacerta idea di comunità locale. Una casoche mi colpisce molto è la recente fortu-na (negli ultimi due anni, più o meno) deigruppi Facebook che si chiamano «Sei diX se…» – dove X è un paese, un piccolocentro, talvolta una città o un suo quar-tiere. Chiamiamo il nostro paese Poggio-verde. Le pagine «Sei di Poggioverde se…»mettono in contatto persone interessate arievocare il passato prossimo o lontanodella località, a condividere memorie, tra-dizioni e peculiarità culturali, o sempli-cemente a praticare una nostalgia del-l’appartenenza. Sei di Poggioverde se haivissuto certe esperienze e comprendi cer-ti riferimenti che solo il radicamento lo-cale può renderti familiari. Si postano dun-que modi di dire ed espressioni dialettali,«idiotismi» di ogni tipo (ad esempioespressioni che rimandano a toponimi, apersonaggi, a soprannomi che solo gli abi-tanti storici del posto possono conosce-re); storie e mitologie del folklore locale("quella volta che…"); riferimenti a vecchinegozi, bar e ritrovi di decenni fa, giochie passatempi dei bambini; rievocazioni diimprese sportive di squadre o atleti loca-li; e ancora vecchie cartoline e immaginidel paese, foto di antiche classi scolasti-che, manifestini di iniziative locali, e co-sì via. Qualche volta si inseriscono neigruppi anche appassionati di storia e cul-tura che postano notizie sul lontano pas-sato del paese, sui suoi monumenti, sulleglorie storiche locali. Qualche altra voltala memoria va ben oltre l’ambito del lo-calismo e finisce per appuntarsi su prodottidella cultura di massa ("chi ricorda quelvecchio cartone animato, quella sigla te-levisiva…?"). Una confusione interessan-te perché mostra la contiguità di questidue ambiti della «nostalgia strutturale»: ilfatto cioè che le memorie della cultura dimassa (il vintage, come si dice) sono per-

cepite come elementi di coesione comu-nitaria. Questi gruppi sono molto numerosi e han-no una quantità altissima di iscritti. Nonc’è praticamente comune italiano che nonne abbia uno o più di uno (perché una lo-ro caratteristica è che tendono a prolife-rare per imitazione o per conflitti – ri-guardanti questioni di netiquette o impli-cazioni politiche – che portano alla fram-mentazione dei gruppi originari). Ne homonitorati alcuni nell’ultimo anno, con-centrandomi appunto sui piccoli centri(cittadine con più di tremila abitanti e me-no di cinquantamila). Come detto, gliiscritti sono moltissimi, mediamente in-torno al dieci per cento della popolazio-ne residente. Ciò significa che se Poggio-verde ha ventimila abitanti, il gruppo «Seidi Poggioverde se…» potrebbe avere al-meno duemila iscritti. Naturalmente, i par-tecipanti attivi al forum sono molti meno:vale anche qui la legge ormai ben notadelle comunità virtuali che si riassumenelle cifre 100-10-1: su cento iscritti, die-ci partecipano attivamente e uno è il rea-le motore e trascinatore della comunità.Le tipologie di iscritti sembrano assai di-versificate anche a seconda del tipo direaltà territoriali. Ad esempio per i paesidel Mezzogiorno una componente moltoattiva è quella degli emigrati, per i qualila partecipazione al forum è l’unico mo-do possibile di «fare comunità». Per i pae-si e le cittadine del Centro-Nord, si trattadi componenti autoctone di ceto medio(per i casi che sono riuscito a verificare),con un’alta presenza anche di giovani(non sembra importante la profondità del-la reale memoria storica dei partecipan-ti), che spesso si conoscono anche off-li-ne. Vi sono infatti casi in cui il gruppo Fa-cebook si è trasformato in una associa-zione reale, che organizza cene e pro-muove la pubblicazione di libri a partiredai materiali raccolti.

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Internet e il sogno degli studiosi dicultura popolare

Non mi è qui possibile proporre esempi oestratti del contenuto di queste pagine: an-che perché a risultare significativi non so-no singoli post, ma il loro accumulo, l’ef-fetto complessivo di costruzione coope-rativa di una memoria culturale e identi-taria. Sembra che Internet realizzi final-mente quella che è stata per secoli (dallafine del Settecento) l’illusione o il sognodegli studiosi di cultura popolare: un folk-lore prodotto collettivamente all’internodi una comunità di vita. Il tono assoluta-mente dominante in questi forum è l’«in-timità culturale» (per usare, forse traden-dola un po’, l’espressione di un antropo-logo americano, Michael Herzfeld 5): va-le a dire il gusto per quei tratti che pos-sono esser capiti solo dall’interno di un ri-stretto contesto di appartenenza, che su-scitano dunque «riconoscimento». La stes-sa commistione di emozioni localistiche,riconoscimento identitario e gusto per l’in-timità culturale si ritrova in numerose for-me di comunicazione in Rete. In questobreve spazio accenno ad altre due che misembrano di grande interesse. La prima –mantenendo il nostro immaginario nomedi paese – è «Poggioverde is burning». Sitratta di produzioni seriali di brani musi-cali che circolano prevalentemente trami-te Youtube o le piattaforme peer-to-peer.Su una base ritmica campionata, una vo-ce automatica recita versi che descrivonostili di vita giovanili in universi di provin-cia – densi di riferimento a toponimi, per-sonaggi noti nei paesi, nomi di discotechee locali di ritrovo, anche in questo casoespressioni dialettali (rese surreali dal to-no della voce sintetica). Il clima di questecomposizioni è per lo più ironico (lo di-mostrano anche le immagini – sequenzedi slide – che accompagnano alcune ver-sioni su Youtube. Ma la cosa significativa

è il fatto che il modello circola e trova«sviluppatori» disposti a seguirne la logi-ca in ogni realtà locale. Lo stesso vale perun ulteriore genere che possiamo chia-mare «Happy in Poggioverde». Qui si trat-ta della produzione di video a commen-to di un unico brano musicale, Happy diPharrell Williams, ambientati in paesi oquartieri specifici: ne vengono messi in ri-salto luoghi caratteristici, e persone notedella zona (ad esempio negozianti, vigiliurbani, semplici passanti, qualche voltapersino sindaco e amministratori pubbli-ci) si fanno riprendere danzando sull’ac-cattivate ritmo della canzone. Una sortadi autorappresentazione di una comunitàin chiave ironica: qui non vi sono riferi-menti al passato, non vi sono neppure pa-role (il testo resta quello della versione ori-ginale del brano), ma si allude attraversole immagini a un presente di relazionistrette e di vincoli sociali e territoriali for-ti. Siamo ancora sul piano di produzioni«collettive», non strettamente autoriali einfatti per lo più anonime, dove a partireda modelli di base ciascuna realtà localepropone le proprie varianti. E il repertoriolo contiene già interamente la Rete: nonc’è bisogno di folkloristi che vadano in gi-ro a raccogliere e confrontare varianti e le-zioni.

Il gusto per l’intimità culturale

Il raffronto con il folklore, come si saràcapito, non è solo una battuta. Internet ei social network sono capaci di dar vocee visibilità a meccanismi di costruzionedella cultura dal basso, con modalità mo-dulari e imitative ma al tempo stesso crea-tive, che in passato erano relegate nellospazio più difficilmente documentabiledelle relazioni faccia a faccia. Forse il gu-sto per l’intimità culturale e per la condi-visione di patrie locali non è niente di nuo-

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vo. Tuttavia questi tratti sono oggi esaltatida un lato dalle dinamiche globalizzanti,che minando le basi «naturali» dell’ap-partenenza locale rendono necessario –come detto – ricostruirle simbolicamente;dall’altro, dalle potenzialità di strumenticomunicativi che amplificano a dismisu-ra le voci locali, proiettandole verso unaaudience potenzialmente globale senzabisogno di filtri o passaggi intermedi. Oc-corre anche considerare che i socialnetwork e le risorse di Rete, in apparenzanemiche delle concrete (off-line) relazio-ni associative, in realtà le sostengono e lealimentano. L’intimità culturale viene co-sì sostenuta, oltre che dalle parole e dal-le immagini che circolano in Rete, ancheda un rilancio in grande stile di perfor-mance collettive pubbliche: ne è un esem-pio la clamorosa fortuna che negli ultimianni stanno avendo – proprio nei piccolicentri – le rievocazioni storiche e le for-me di re-enactment di eventi emblemati-ci del passato. Probabilmente le stesse per-sone di Poggioverde che postano vecchiefotografie o aneddoti sulle pagine fb, par-teciperanno in costume medioevale alla fe-sta storica del paese e al torneo in cui siaffrontano le sue contrade. «Immaginare comunità»: è l’espressionecon cui Benedict Anderson ha descritto ilprincipale compito ideologico del nazio-nalismo nell’Europa contemporanea 6. Farsentire parte di un’entità unica persone egruppi sociali che uniti non si erano mai

sentiti: sostituire all’appartenenza concre-ta di villaggio o di classe quella assai piùastratta e ideale alla Nazione. La stampa,la scuole, le cerimonie celebrative e altreforme di memoria culturale strettamente egerarchicamente gestita dallo Stato erano glistrumenti di questa strategia. Oggi l’imma-ginazione di comunità ha per certi versi ro-vesciato il suo senso. Sono le appartenen-ze locali che – perdute molte delle loro ba-si strutturali – devono essere sostenute sim-bolicamente, «immaginate». E gli strumentiper farlo sono attinti dallo spazio radical-mente molecolare, non gerarchizzato, del-la Rete – così come da performance pub-bliche «postmoderne», anch’esse sottrattea controllo e direzione politica.Un’ultima osservazione: le connotazioniidentitarie di simili pratiche e forme di co-municazione possono prestarsi a usi di ti-po «leghista» e neorazzista. Tuttavia que-sta non è la loro essenza (e dove analoghiesiti si presentano esplicitamente, spessoi gruppi prendono le distanze o persinoespellono i responsabili). L’immaginazio-ne di comunità locali che accompagna laglobalizzazione non può essere solo ri-condotta a modelli nostalgici di «piccolepatrie», o dismessa come sintomo dellapaura del diverso, delle ansie xenofobe ecosì via. È un fenomeno più ricco e am-bivalente. Il cyberfolklore su cui ho cer-cato di indirizzare l’attenzione in questebrevi note può essere un modo per com-prenderne più da vicino le caratteristiche.

1 H. Bausinger, Cultura popolare e mondo tecnolo-gico, trad. it., Guida, Napoli 2005 (ed. orig. 1961). 2 D. Lowenthal, The Heritage Crusade and the Spoilsof History, Cambridge University Press, Cambrid-ge1998. Su questi sviluppi più recenti lo stesso Bau-singer ha riflettuto in alcuni dei saggi che compon-gono il volume Vicinanza estranea, Pacini, Pisa 2009. 3 F. Scarpelli, C. Cingolani (a cura di) Passare Ponte.Trastevere e il senso del luogo, Carocci, Roma 2013. 4 Si veda in proposito il lavoro della storica Lucia Car-le, che analizza le identità strutturali della provincia

toscana e piemontese in età moderna e contempo-ranea (L. Carle, Dinamiche identitarie. Antropologiastorica e territori, Firenze University Press, Firenze2013). 5 M. Herzfeld, L’intimità culturale. Antropologia enazionalismo, trad. it., L’Ancora del Mediterraneo,Napoli 2003. 6 B. Anderson, Comunità immaginate. Origini e for-tuna dei nazionalismi, trad. it., Il Manifesto Libri, Ro-ma 2009 (ed. orig. 1982).

Page 13: IN QUESTO NUMERO TESTIM NIANZE - unipi.itfareantropologia.cfs.unipi.it/wp-content/uploads/2017/01/...3 5 L’Italia dei piccoli centri (Volume monografico a cura di Fabio Dei, Severino

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Polis

PAESI SOSPESI

Un antropologo su Marte

«Non ci sono più bambini, e gli adulti chelavorano sono pochi. Pontito, piccolo cen-tro un tempo vitale, oggi è spopolata e siva spegnendo» 1. Mentre ieri, «(…) isola-ta, immutabile, ferma nella sua tradizio-ne, (…) era una sorta di cittadella che siopponeva al flusso del tempo e del cam-biamento. La terra era fertile e gli abitan-ti laboriosi: fattorie e frutteti assicuravanoloro il sostentamento senza lussi, ma al ri-paro dalla miseria» 2. Spopolata o fuori dal tempo: in ogni mo-

do «sconnessa», per lo sguardo almeno diOliver Sacks, questa frazione del Comu-ne di Pescia, arroccata a quota 745 e do-ve la lingua inglese non era del tutto sco-nosciuta già agli inizi dell’800. Un citta-dino di Pontito, Lazzaro Papi, l’aveva ap-presa migrando in India come medico del-le truppe coloniali di sua maestà britan-nica: ne sortirono, nel 1802, le Lettere sul-le Indie Orientali e, nel 1811, una buonatraduzione del Paradiso perduto di Milton.Inglese parlavano alla meglio anche i mol-ti non laureati di Pontito che, durante laprima metà del 900, avevano per qualche

Dal paese impresso nella memoria, come il Pontito raffigurato da

Franco Magnani con maniacale precisione nella lontana San

Francisco e descritto da Oliver Sacks, ai paesi che si spopolano e

rischiano di scomparire, a quelli che vengono ripopolati per

scopi umanitari come Riace, a quelli che diventano Resort ad

uso turistico, alle campagne che tornano ad essere abitate per il

sogno di un nuovo vivere ecologico, la problematica del

(ri)pensare i piccoli centri a rischio di estinzione è caratterizzata

dal rapporto fra memoria e separazioni, fra tradizione e

mitizzazione, fra restauro filologico e reali aspettative delle

persone che ancora risiedono in quei luoghi.

di Paolo De Simonis