Impegno per la pace · porta alla pace. Guerra chiama guer-ra, violenza chiama violenza!». Con...

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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLIII n. 200 (46.444) Città del Vaticano lunedì-martedì 2-3 settembre 2013 . y(7HA3J1*QSSKKM( +%!"!}!z!% All’Angelus ferma condanna dell’uso delle armi in Siria e appello per rilanciare la strada del dialogo e del negoziato Impegno per la pace Papa Francesco indice per sabato 7 settembre una giornata di digiuno e di preghiera dando appuntamento in piazza San Pietro «Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guer- ra, violenza chiama violenza!». Con parole forti e accorate Papa France- sco, di fronte a quanto sta accaden- do in Siria e ai drammatici possibili sviluppi, ha lanciato un nuovo ap- pello per la pace. E all’Angelus di domenica 1° settembre, ha indetto per il prossimo sabato 7 una giorna- ta di digiuno e di preghiera, dando appuntamento in piazza San Pietro, dove dalle 19 alle 24 si pregherà per invocare da Dio il dono della pace «per l’amata Nazione siriana e per tutte le situazioni di conflitto e di violenza nel mondo». Un invito — esteso a tutti i cristiani, ai credenti di altre religioni e agli «uomini di buona volontà» — che sta già riscuo- tendo numerose adesioni: significati- va, tra le altre, quella del Gran muftì di Siria, Ahmad Badreddin Has- soun, leader spirituale dell’islam sunnita nel Paese, il quale si è detto profondamente colpito dalle parole del Pontefice e ha espresso il deside- rio di essere personalmente presente in piazza San Pietro all’incontro di preghiera. «Profondamente ferito» e «ango- sciato» per quanto sta avvenendo in Siria, Papa Francesco ha deplorato «l’uso delle armi in quel martoriato Paese», condannando «con partico- lare fermezza» l’utilizzo di quelle chimiche: «C’è un giudizio di Dio — ha scandito con tono grave e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfug- gire!». Il Pontefice si è rivolto a tutte le parti in conflitto e alla comunità in- ternazionale chiedendo di «intra- prendere con coraggio e con decisio- ne la via dell’incontro e del negozia- to». Non è, infatti, «la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quel- la che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace». Concetti ribaditi in tre tweet lanciati tra domenica e lunedì attraverso l’account @pontifex e cen- trati sul tema della pace. PAGINA 8 Davanti a Dio e davanti alla storia «Mai più la guerra! Mai più la guerra!»: riprendendo prima della preghiera dell’Angelus e poi twit- tando l’invocazione di Paolo VI davanti alle Nazioni unite, Papa Francesco si è fatto interprete di un grido che — ha voluto ricorda- re — sale «dall’unica grande fami- glia che è l’umanità», senza di- stinzioni. È facile e amara la con- statazione che non tutti nel mon- do vogliono e costruiscono la pa- ce, ma sicuramente l’aspirazione alla pace è diffusa ovunque, di fronte a conflitti il più delle volte dimenticati. Come avviene ora, e sempre di più, davanti alla trage- dia che da oltre due anni in Siria ha fatto decine di migliaia di vitti- me, soprattutto civili, causando flussi imponenti e crescenti di profughi disperati. Per questo ancora una volta la voce del vescovo di Roma — che si è detto ferito per quanto accade e soprattutto «angosciato per i drammatici sviluppi che si pro- spettano» — si leva con forza per condannare l’uso delle armi, e «con particolare fermezza» l’im- piego di quelle chimiche: «Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi!» ha esclamato Papa Francesco, che subito dopo ha pronunciato parole gravi, sulle quali i responsabili delle nazioni hanno il dovere di riflettere: «C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire!». Tutto l’intervento del Pontefice è stato dedicato alla situazione in- ternazionale, uno scenario dove da troppo tempo e senza tregua si moltiplicano i conflitti, ma che in queste settimane è sempre più se- gnato dall’inasprirsi feroce della tragedia siriana. In un contesto dunque molto preoccupante e da- gli sviluppi imprevedibili Papa Francesco ripete che è indispensa- bile e urgente abbandonare la cul- tura dello scontro e del conflitto: a costruire la convivenza nei po- poli e tra i popoli è infatti «la cul- tura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace», che la Santa Sede indica e per la quale la sua diplo- mazia sta operando con ogni stru- mento possibile. Le parole del vescovo di Roma si rivolgono esplicitamente alle parti in conflitto e alla comunità internazionale, ma ancor più si- gnificativo è il richiamo alle paro- le di Giovanni XXIII sulla pace, e cioè che «a tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convi- venza nella giustizia e nell’amo- re». Papa Francesco chiede dun- que che l’impegno per la pace «unisca tutti gli uomini e le don- ne di buona volontà», cattolici, cristiani, appartenenti a ogni reli- gione e anche «quei fratelli e so- relle che non credono». E proprio per questo a tutti il Pontefice estende l’invito alla giornata di di- giuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio oriente e nel mondo, che ha indetto suscitando interesse e adesioni ben al di là della Chiesa cattolica. g.m.v. Si alzano i toni ma c’è attesa per un possibile confronto al G20 Come scongiurare una deriva di guerra DAMASCO, 2. L’attenzione delle di- plomazie internazionali resta concen- trata sulla Siria e ad alcuni irrigidi- menti fanno riscontro segnali di vo- lontà di confronto, il più multilatera- le possibile, prima che si riproponga nel Vicino Oriente una tragica deri- va di guerra. Questa volontà emerge soprattutto dalla società civile e dal- le comunità religiose di quell’area, che hanno accolto con partecipazio- ne e speranza il forte messaggio di Papa Francesco all’Angelus di ieri. Ciò vale in particolare per i siriani, come riferito dal nunzio apostolico a Damasco, arcivescovo Mario Zenari, secondo il quale quello del Papa è «un appello che senz’altro porta speranza alla popolazione, ma scuo- te anche le coscienze di tutti, specie di chi ha in mano i destini del mon- do in questo momento». Il nunzio ha aggiunto che l’inizia- tiva del Pontefice di convocare per sabato prossimo una giornata di di- giuno e di preghiera per la pace, alla quale ha invitato a unirsi anche i fe- deli di altre religioni e i non creden- ti, «sarà senz’altro apprezzata anche dall’ambiente maggioritario musul- mano». Sul piano diplomatico, una possi- bile sede per la ricerca di soluzioni alla crisi siriana — che in ogni caso già si protrae da troppo tempo, indipendentemente dalla questione delle armi chimiche — sarà il vertice del G20 in programma giovedì a San Pietroburgo. A confrontarsi saranno soprattutto i Paesi che si sono detti decisi a intervenire militarmente, come Stati Uniti e Francia, e quelli, come la Russia e la Cina, che ritengono una simile ipotesi una vio- lazione patente del diritto interna- zionale. La Lega araba, in un comunicato dei ministri degli Esteri riuniti ieri al Cairo nel quale accusa comunque Damasco dell’uso di armi chimiche, chiede di affrontare la questione in sede Onu e fa riferimento a «misure di deterrenza». Al documento, volu- to in particolare da Arabia Saudita e Qatar, si sono opposti Libano, Iraq e Algeria, mentre l’Egitto, che pure aveva manifestato contrarietà, alla fi- ne non ha votato contro. Da Washington, dove il presiden- te Barack Obama continua a con- frontarsi con il Congresso, il segreta- rio di Stato, John Kerry, ha parlato ieri di ulteriori prove contro Dama- sco, paragonando il presidente siria- no Bashar Al Assad a Hitler e a Saddam Hussein. Il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, ha definito oggi «molto strane» le dichiarazioni di Kerry sul fatto che alla Russia sareb- bero state fornite prove inconfutabili della colpevolezza di Assad. «Ci hanno mostrato materiali che non contengono nulla di concreto e non ci convincono. Ci sono molte incon- gruenze, restano moltissimi dubbi», ha detto Lavrov. Lavrov ha aggiunto che «Russia e Cina sono esclusivamente per solu- zioni diplomatiche e contrarie al ri- torno al linguaggio degli ultimatum e alla rinuncia del negoziato», in ri- ferimento alla crisi siriana, ma anche ad altri dossier caldi come quelli ira- niano e nordcoreano. Sempre oggi, l’agenzia di stampa ufficiale siriana Sana ha riferito che il Governo ha chiesto alle Nazioni Unite protezione contro ogni possi- bile «aggressione alla Siria». Le credenziali del nuovo ambasciatore del Montenegro Riccardo Calimani ripercorre quindici secoli di storia Così nacque lo stereotipo dell’ebreo errante ODD ONE CAMERANA A PAGINA 5 Cinquant’anni fa moriva Robert Schuman Antieroe tra concretezza e utopia MICHELE MARCHI A PAGINA 5 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Godfried Danneels, Arcivescovo emerito di Mechelen-Brussel (Belgio). Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Veselin Šuković, Ambasciatore del Montenegro, per la presenta- zione delle Lettere Credenziali. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza una Delegazione del «World Jewish Congress». Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Dottor Héctor Negri, Presi- dente della Corte Suprema di Giustizia della Provincia di Buenos Aires (Argentina). Oggi il mensile «donne chiesa mondo» IN ALLEGATO Decine di morti in un campo profughi in territorio iracheno PAGINA 3 Bambini siriani durante una distribuzione di aiuti in un campo profughi nei pressi del confine turco (Reuters) Nella mattina di lunedì 2 settembre Papa Francesco ha ricevuto in udienza Sua Eccellenza il Signor Veselin Šuković, nuovo ambasciatore del Montenegro, per la presentazione delle Lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede

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L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLIII n. 200 (46.444) Città del Vaticano lunedì-martedì 2-3 settembre 2013

.

y(7HA3J1*QSSKKM( +%!"!}!z!%

All’Angelus ferma condanna dell’uso delle armi in Siria e appello per rilanciare la strada del dialogo e del negoziato

Impegno per la pacePapa Francesco indice per sabato 7 settembre una giornata di digiuno e di preghiera dando appuntamento in piazza San Pietro

«Non è mai l’uso della violenza cheporta alla pace. Guerra chiama guer-ra, violenza chiama violenza!». Conparole forti e accorate Papa France-sco, di fronte a quanto sta accaden-do in Siria e ai drammatici possibilisviluppi, ha lanciato un nuovo ap-pello per la pace. E all’Angelus didomenica 1° settembre, ha indettoper il prossimo sabato 7 una giorna-ta di digiuno e di preghiera, dandoappuntamento in piazza San Pietro,

dove dalle 19 alle 24 si pregherà perinvocare da Dio il dono della pace«per l’amata Nazione siriana e pertutte le situazioni di conflitto e diviolenza nel mondo». Un invito —esteso a tutti i cristiani, ai credentidi altre religioni e agli «uomini dibuona volontà» — che sta già riscuo-tendo numerose adesioni: significati-va, tra le altre, quella del Gran muftìdi Siria, Ahmad Badreddin Has-soun, leader spirituale dell’islamsunnita nel Paese, il quale si è dettoprofondamente colpito dalle paroledel Pontefice e ha espresso il deside-rio di essere personalmente presentein piazza San Pietro all’incontro dip re g h i e r a .

«Profondamente ferito» e «ango-sciato» per quanto sta avvenendo inSiria, Papa Francesco ha deplorato«l’uso delle armi in quel martoriatoPaese», condannando «con partico-lare fermezza» l’utilizzo di quellechimiche: «C’è un giudizio di Dio —ha scandito con tono grave — eanche un giudizio della storia sullenostre azioni a cui non si può sfug-g i re ! » .

Il Pontefice si è rivolto a tutte leparti in conflitto e alla comunità in-ternazionale chiedendo di «intra-prendere con coraggio e con decisio-ne la via dell’incontro e del negozia-to». Non è, infatti, «la cultura delloscontro, la cultura del conflitto quel-la che costruisce la convivenza neipopoli e tra i popoli, ma questa: lacultura dell’incontro, la cultura deldialogo; questa è l’unica strada perla pace». Concetti ribaditi in tretweet lanciati tra domenica e lunedìattraverso l’account @pontifex e cen-trati sul tema della pace.

PAGINA 8

Davanti a Dioe davanti alla storia«Mai più la guerra! Mai più laguerra!»: riprendendo prima dellapreghiera dell’Angelus e poi twit-tando l’invocazione di Paolo VIdavanti alle Nazioni unite, PapaFrancesco si è fatto interprete diun grido che — ha voluto ricorda-re — sale «dall’unica grande fami-glia che è l’umanità», senza di-stinzioni. È facile e amara la con-statazione che non tutti nel mon-do vogliono e costruiscono la pa-ce, ma sicuramente l’aspirazionealla pace è diffusa ovunque, difronte a conflitti il più delle voltedimenticati. Come avviene ora, esempre di più, davanti alla trage-dia che da oltre due anni in Siriaha fatto decine di migliaia di vitti-me, soprattutto civili, causandoflussi imponenti e crescenti diprofughi disperati.

Per questo ancora una volta lavoce del vescovo di Roma — chesi è detto ferito per quanto accadee soprattutto «angosciato per idrammatici sviluppi che si pro-spettano» — si leva con forza percondannare l’uso delle armi, e«con particolare fermezza» l’im-piego di quelle chimiche: «Vi dicoche ho ancora fisse nella mente enel cuore le terribili immagini deigiorni scorsi!» ha esclamato PapaFrancesco, che subito dopo hapronunciato parole gravi, sullequali i responsabili delle nazionihanno il dovere di riflettere: «C’èun giudizio di Dio e anche ungiudizio della storia sulle nostreazioni a cui non si può sfuggire!».

Tutto l’intervento del Ponteficeè stato dedicato alla situazione in-ternazionale, uno scenario doveda troppo tempo e senza tregua simoltiplicano i conflitti, ma che inqueste settimane è sempre più se-gnato dall’inasprirsi feroce dellatragedia siriana. In un contestodunque molto preoccupante e da-gli sviluppi imprevedibili PapaFrancesco ripete che è indispensa-bile e urgente abbandonare la cul-tura dello scontro e del conflitto:a costruire la convivenza nei po-poli e tra i popoli è infatti «la cul-tura dell’incontro, la cultura deldialogo; questa è l’unica stradaper la pace», che la Santa Sedeindica e per la quale la sua diplo-mazia sta operando con ogni stru-mento possibile.

Le parole del vescovo di Romasi rivolgono esplicitamente alleparti in conflitto e alla comunitàinternazionale, ma ancor più si-gnificativo è il richiamo alle paro-le di Giovanni XXIII sulla pace, ecioè che «a tutti spetta il compitodi ricomporre i rapporti di convi-venza nella giustizia e nell’amo-re». Papa Francesco chiede dun-que che l’impegno per la pace«unisca tutti gli uomini e le don-ne di buona volontà», cattolici,cristiani, appartenenti a ogni reli-gione e anche «quei fratelli e so-relle che non credono». E proprioper questo a tutti il Ponteficeestende l’invito alla giornata di di-giuno e di preghiera per la pacein Siria, in Medio oriente e nelmondo, che ha indetto suscitandointeresse e adesioni ben al di làdella Chiesa cattolica.

g. m .v.

Si alzano i toni ma c’è attesa per un possibile confronto al G20

Come scongiurare una deriva di guerraDA M A S C O, 2. L’attenzione delle di-plomazie internazionali resta concen-trata sulla Siria e ad alcuni irrigidi-menti fanno riscontro segnali di vo-lontà di confronto, il più multilatera-le possibile, prima che si riproponganel Vicino Oriente una tragica deri-va di guerra. Questa volontà emergesoprattutto dalla società civile e dal-le comunità religiose di quell’a re a ,che hanno accolto con partecipazio-ne e speranza il forte messaggio diPapa Francesco all’Angelus di ieri.Ciò vale in particolare per i siriani,come riferito dal nunzio apostolico aDamasco, arcivescovo Mario Zenari,

secondo il quale quello del Papa è«un appello che senz’altro portasperanza alla popolazione, ma scuo-te anche le coscienze di tutti, speciedi chi ha in mano i destini del mon-do in questo momento».

Il nunzio ha aggiunto che l’inizia-tiva del Pontefice di convocare persabato prossimo una giornata di di-giuno e di preghiera per la pace, allaquale ha invitato a unirsi anche i fe-deli di altre religioni e i non creden-ti, «sarà senz’altro apprezzata anchedall’ambiente maggioritario musul-mano».

Sul piano diplomatico, una possi-bile sede per la ricerca di soluzionialla crisi siriana — che in ogni casogià si protrae da troppo tempo,indipendentemente dalla questionedelle armi chimiche — sarà il verticedel G20 in programma giovedì a SanPietroburgo. A confrontarsi sarannosoprattutto i Paesi che si sono dettidecisi a intervenire militarmente,come Stati Uniti e Francia, e quelli,come la Russia e la Cina, cheritengono una simile ipotesi una vio-lazione patente del diritto interna-zionale.

La Lega araba, in un comunicatodei ministri degli Esteri riuniti ieri alCairo nel quale accusa comunqueDamasco dell’uso di armi chimiche,chiede di affrontare la questione insede Onu e fa riferimento a «misuredi deterrenza». Al documento, volu-to in particolare da Arabia Saudita eQatar, si sono opposti Libano, Iraqe Algeria, mentre l’Egitto, che pureaveva manifestato contrarietà, alla fi-ne non ha votato contro.

Da Washington, dove il presiden-te Barack Obama continua a con-frontarsi con il Congresso, il segreta-rio di Stato, John Kerry, ha parlatoieri di ulteriori prove contro Dama-sco, paragonando il presidente siria-no Bashar Al Assad a Hitler e aSaddam Hussein.

Il ministro degli Esteri russo,Serghiei Lavrov, ha definito oggi«molto strane» le dichiarazioni diKerry sul fatto che alla Russia sareb-

bero state fornite prove inconfutabilidella colpevolezza di Assad. «Cihanno mostrato materiali che noncontengono nulla di concreto e nonci convincono. Ci sono molte incon-gruenze, restano moltissimi dubbi»,ha detto Lavrov.

Lavrov ha aggiunto che «Russia eCina sono esclusivamente per solu-zioni diplomatiche e contrarie al ri-torno al linguaggio degli ultimatume alla rinuncia del negoziato», in ri-ferimento alla crisi siriana, ma anchead altri dossier caldi come quelli ira-niano e nordcoreano.

Sempre oggi, l’agenzia di stampaufficiale siriana Sana ha riferito cheil Governo ha chiesto alle NazioniUnite protezione contro ogni possi-bile «aggressione alla Siria».Le credenziali del nuovo ambasciatore

del Montenegro

Riccardo Calimani ripercorrequindici secoli di storia

Così nacque lo stereotipodell’ebreo errante

ODD ONE CAMERANA A PA G I N A 5

Cinquant’anni famoriva Robert Schuman

Antiero etra concretezza e utopia

MICHELE MARCHI A PA G I N A 5

NOSTREINFORMAZIONI

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza SuaEminenza Reverendissima ilSignor Cardinale GodfriedDanneels, Arcivescovo emeritodi Mechelen-Brussel (Belgio).

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza SuaEccellenza il Signor VeselinŠuković, Ambasciatore delMontenegro, per la presenta-zione delle Lettere Credenziali.

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza unaDelegazione del «WorldJewish Congress».

Il Santo Padre ha ricevutoquesta mattina in udienza ilDottor Héctor Negri, Presi-dente della Corte Suprema diGiustizia della Provincia diBuenos Aires (Argentina).

Oggi il mensile«donne

chiesa mondo»

IN A L L E G AT O

Decine di mortiin un campo profughiin territorio iracheno

PAGINA 3

Bambini siriani durante una distribuzione di aiuti in un campo profughi nei pressi del confine turco (Reuters)

Nella mattina di lunedì 2 settembre Papa Francesco ha ricevuto in udienza Sua Eccellenzail Signor Veselin Šuković, nuovo ambasciatore del Montenegro,

per la presentazione delle Lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede

Page 2: Impegno per la pace · porta alla pace. Guerra chiama guer-ra, violenza chiama violenza!». Con parole forti e accorate Papa France-sco, di fronte a quanto sta accaden-do in Siria

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 lunedì-martedì 2-3 settembre 2013

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Decine di vittime in nuovi attacchi attribuiti a Boko Haram

Nessun argine alle violenzenel nord-est della Nigeria

Dimesso dopo tre mesi di ricovero

Mandela a casama le sue condizioni

restano criticheABUJA, 2. La notizia di altre decinedi persone uccise durante il fine set-timana conferma purtroppo comenon si riesca ancora ad arginare leviolenze nel nord-est della Nigeria.Ancora una volta, teatro di stragi èstato il Borno, uno dei tre Stati, in-sieme con lo Yobe e l’Adamawa, do-ve da mesi è in vigore lo stato d’as-sedio proclamato dal presidente ni-geriano Goodluck Jonathan, che hainviato l’esercito per un’op erazionecontro il gruppo di matrice fonda-mentalista islamica Boko Haram.

Le autorità nigeriane attribuisconoai militanti di Boko Haram, che inattacchi e attentati negli ultimi quat-tro anni hanno ucciso oltre tremilapersone, anche la responsabilità deidue attacchi che nel fine settimanahanno provocato 28 morti, appuntonel Borno, che del gruppo è consi-derato la principale roccaforte. Nelprimo caso sono stati uccisi 14 pasto-ri nomadi, mentre nel secondo sonomorti 24 civili arruolati in milizie lo-cali di autodifesa, che sostengonol’esercito nell’offensiva contro BokoHaram. Già la settimana scorsa pre-sunti combattenti di Boko Haramerano entrati in azione a due giornidi distanza prima a Bama e poi aDamasak, due località del Borno di-stanti tra loro circa duecento chilo-metri, contro le milizie di autodifesacivile, uccidendo complessivamente

venti persone. In quel caso, il quoti-diano «Daily Trust» aveva ricordatoche «le milizie locali nate per soste-nere l’esercito sono diventate unobiettivo per Boko Haram, finendoper trascinare ancora di più i civilinel conflitto».

In precedenza, l’esercito aveva ri-ferito che 44 persone erano state uc-

cise in un attacco sferrato il 19 ago-sto nel villaggio di Demba, vicinoalla città di Baga, sempre nel Borno.Proprio il 19 agosto fonti militariavevano divulgato la notizia dellapresunta morte del leader di BokoHaram, Abubakar Shekau. Secondol’esercito, questi sarebbe morto tra il25 luglio e il 4 agosto, per le ferite

riportate durante uno scontro a fuo-co del 30 giugno. Il 13 agosto, peral-tro, era stato diffuso da BokoHaram un video in cui apparivaShekau, già dato più volte per mor-to, e faceva a riferimento ad avveni-menti di tre giorni prima. L’e s e rc i t onigeriano aveva sostenuto che potes-se trattarsi di un impostore.

Militari controllano Maiduguri (LaPresse/Ap)

CITTÀ DEL CA P O, 2. «Restano criti-che e in certi momenti diventanoinstabili» le condizioni di NelsonMandela, il padre del Sud Africaaffrancato dall’apartheid, dimessoieri dall’ospedale. Mandela è torna-to a casa dopo quasi tre mesi dalricovero per un’infezione polmona-re, ritenuta da molti sanitari il la-scito della tubercolosi contratta du-rante i suoi 27 anni di prigionia.Quest’ultima degenza di Mandelaè stata la più lunga da quando ètornato in libertà, nel 1990.

La decisione dei medici ha esau-dito il desiderio della famiglia cheMandela, che quest’anno ha com-piuto 95 anni, possa essere assistitotra le mura domestiche. Il bolletti-no medico di ieri, citato in un co-municato del presidente della Re-pubblica, Jacob Zuma, non ha re-gistrato miglioramenti rispetto aquello diffuso cinque giorni fa. Sa-bato, la stessa presidenza avevaseccamente smentito le notizie cheMandela fosse in grado di tornarea casa sua. Ieri, invece, è stato resonoto che le dimissioni dall’osp eda-le sono state possibili perché «imedici ritengono che potrà esserecurato con la stessa attenzione an-che a casa, in terapia intensiva, co-me in clinica». Così un’ambulanzaha portato Mandela dalla clinica di

Pretoria alla sua abitazione diJohannesburg, nel quartiere diHoughton. Un familiare ha parlatodi «giorno da festeggiare, perchéfinalmente è tornato a casa». Man-dela ha espresso in passato il desi-derio di terminare i suoi giorni nelvillaggio nativo di Qunu, nel suddel Paese, che però si trova a nove-cento chilometri dai migliori ospe-dali.

Cibi scadutiin vendita in Greciacome misura contro

la recessione

ATENE, 2. La crisi in Grecia si fasempre più dura. Da oggi entra invigore un nuovo provvedimento de-ciso dal Governo del premierAntonis Samaras per cercare di ri-lanciare i consumi e l’economia: cibiscaduti in vendita nei supermercatiper un periodo limitato e a prezzi,ovviamente, più bassi.

Naturalmente — sottolinea il Go-verno in una nota — le confezioni diquesti alimenti dovranno essere siste-mate su scaffali appositi e gli eser-centi dovranno assumersi tutte le re-sponsabilità della vendita, pena unamulta dai mille ai cinquemila euro.Divieto, invece, di vendere cibi sca-duti per ristoranti e bar. Immediataè scattata la reazione dell’asso ciazio-ne dei consumatori, secondo la qua-le la misura del ministero per lo Svi-luppo economico «trasformerà ilPaese in un enorme immondezzaio,dividendo i consumatori in due cate-gorie, quelli di serie A e quelli di se-rie B». Il ministero, da parte sua, haaccusato i media di aver diffuso«false informazioni» insistendo sulfatto che in materia di cibi scaduti«non cambia nulla». Saranno ven-duti — ha inoltre specificato il dica-stero in una nota — quegli alimentiche solitamente si conservano ancheoltre la data di scadenza come pasta,riso e olio.

Primo e unico confronto a tre settimane dalle elezioni legislative in Germania

Sfida elettorale televisivatra Angela Merkel e Peer Steinbrück

Bocciate le misure anticrisidal tribunale costituzionale portoghese

Un momento del dibattito televisivo tra i due candidati (Ansa)

Sarà Tanja Miščevic a guidare il negoziato per la Serbia

Belgrado si avvicina all’E u ro p a

Una donnap re m i e r

del Senegal

DA KA R , 2. Il presidente del Se-negal, Macky Sall, ha nominatoAminata Touré, ex ministro del-la Giustizia senegalese, premieral posto di Abdoul Mbaye, ilcui Governo è stato discioltodopo 17 mesi senza che ne siastato reso noto il motivo. Touréè la seconda donna a ricoprire lacarica di premier in Senegal. Laprima fu Madior Boye.

Il nuovoA m b a s c i a t o re

della Repubblicadi Montenegro

Sua Eccellenza il signor VeselinŠuković, nuovo Ambasciatoredella Repubblica di Montenegropresso la Santa Sede, è nato aBijelo Polje il 24 marzo 1957, èsposato ed ha due figli. Oltre al-la propria lingua, parla l’inglesee l’italiano.

Laureato in Legge (Universitàdel Montenegro, Podgorica,1979), ha successivamente otte-nuto un Master presso l’Univer-sità di Belgrado (1986).

Ha ricoperto i seguenti incari-chi: assistente in Diritto interna-zionale presso la facoltà di Leg-ge dell’Università del Montene-gro, Podgorica (1980-1987); con-sigliere presso il ministero degliAffari esteri (1987-1993); vice mi-nistro degli Affari esteri (1993-2001); direttore dell’agenzia perle Iniziative anti-corruzione delGoverno del Montenegro (2001-2004); segretario esecutivo delSegretariato generale per le Ini-ziative anti-corruzione del Pattodi stabilità per il sud-est Europa(Sarajevo, 2004-2007); Amba-sciatore presso la Nato (2007-2010); Ambasciatore in Belgio(2008-2010); Ambasciatore pres-so il ministero degli Affari esterie direttore generale ad interimper le Relazioni multilaterali ele iniziative regionali (2009-2011); capo degli Ispettori diplo-matici (2012-2013).

A Sua Eccellenza il signor Ve-selin Šuković, nuovo Ambasciato-re della Repubblica di Montene-gro presso la Santa Sede, giunga-no, nel momento in cui si accingea ricoprire il suo alto incarico, lefelicitazioni del nostro giornale.

LISBONA, 2. Il tribunale costituzio-nale portoghese ha bocciato unadelle misure anticrisi decise dal Go-verno con l’obiettivo di recuperare4,7 miliardi nel 2013 per rientrarenei parametri previsti dalla troika(la squadra di rappresentanti Bce,Bca, Ue). Il provvedimento, nellospecifico, riguarda il pensionamen-to dei dipendenti pubblici: prevedela riduzione del 30 per cento degliattuali 700.000 impiegati, garanten-do tuttavia una parte dello stipen-dio per un anno (il 65 per cento nelprimo semestre, il 50 in quello

successivo). Ora il presidente dellaRepubblica, Aníbal Cavaco Silva,che aveva chiesto il parere deltribunale, dovrà inviare la legge alParlamento affinché apporti lenecessarie modifiche. La misurabocciata era stata approvata il 29luglio scorso e il premier portoghe-se, Pedro Passos Coelho, l’aveva de-finita «essenziale» per l’attuazionedel piano di contenimento dellaspesa. A febbraio il tribunale boc-ciò altre misure, costringendo ilGoverno a rivedere il piano anti-crisi.

BE R L I N O, 2. A tre settimane dalleelezioni legislative in Germania, l’at-teso confronto televisivo di ieri seratra il cancelliere, la cristiano-demo-cratica Angela Merkel, e lo sfidantesocialdemocratico, Peer Steinbrück,sembra non avere cambiato le cartein tavola. I primi sondaggi al termi-ne del duello, durato novanta minu-ti, indicano, esattamente come quellisulle intenzioni di voto, Merkel innetto vantaggio. Si è trattato del pri-mo e unico confronto diretto fra idue sfidanti prima delle elezioni perla cancelleria del 22 settembre pros-simo.

Nell’ora e mezza di dibattito,ognuno dei due contendenti ha ripe-tuto le posizioni già note, senza chesi arrivasse mai a una stoccata pole-mica capace di mettere l’avversarioalle corde. L’unica stilettata — rileva-no gli analisti — l’ha comunque asse-stata Merkel, quando all’obiezionedi Steinbrück di essere stata esitantenella crisi dell’euro, il cancelliere harisposto: «Io prima penso poi agi-sco, non faccio il contrario».

Le prime impressioni a caldo di-cono che il duello si è chiuso senzaun risultato che faccia pensare a unribaltamento dei consensi. Punti diattrito e serrato ping pong fra i dueduellanti sono stati le tasse, lo statosociale, la crisi dell’euro, gli aiuti al-la Grecia, la diagnosi dello stato disalute della Germania.

Steinbrück è partito all’attacco findall’inizio. «Non lasciatevi imbro-gliare, i salari minimi tedeschi sono ipiù bassi d’Europa», ha detto, ricor-dando quello che a suo avviso è ildeficit del Governo uscente in fattodi giustizia sociale. Merkel — che in-vece partiva dalla comoda posizionedi essere la politica più popolare inGermania — ha ribattuto che il pro-blema è «in chi i tedeschi possonoavere fiducia in questi tempi diffici-li». Sulla Grecia, il cancelliere ha ri-badito la sua linea dura, spiegandoche «il mio compito è quello dimantenere la pressione per fare le ri-forme», con il socialdemocratico cheha rinunciato ad attaccare, spiegan-do che la situazione ad Atene «cicosterà parecchio, nessuno sa ancoraquanto».

Chi si attendeva sorprese è rima-sto dunque deluso. Merkel ha rin-tuzzato ogni attacco, ricordando cheal Bundestag la Spd ha votato tutti ipacchetti di aiuti concessi finora aiPaesi europei in crisi. In generale,gli ultimi sondaggi pubblicati suigiornali danno la Cdu-Csu al 39 percento (un punto in meno rispetto al-la scorsa settimana) e i liberali in au-mento di un punto, al 6 per cento.Assieme gli alleati della attuale coali-zione di Governo arrivano al 45 percento. I socialdemocratici perdonoinvece due punti, attestandosi al 23per cento.

BELGRAD O, 2. Passi in avanti versol’integrazione della Serbia nell’Ue.Sarà Tanja Miščevic, esperta di pro-blemi europei vicina al partito De-mocratico (all’opposizione), a guida-re il negoziato di adesione della Ser-bia all’Unione, il cui inizio è previ-sto entro il prossimo gennaio. L’an-nuncio è giunto al termine di un col-loquio che Miščević (47 anni) haavuto ieri a Belgrado con il vice pre-mier conservatore Aleksandar Vučić,che attualmente è anche ministrodella Difesa.

La nomina arriva a pochi giornidall’entrata in vigore dell’Accordo distabilizzazione e associazione (Asa)fra Serbia e Ue. Come riferiscono imedia locali, la scelta è avvenuta do-po consultazioni fra Vučić, il premiersocialista Ivica Dačić e il presidenteTomislav Nikolić, e tenendo contodelle «qualità professionali» e delprofilo europeista della prescelta.

Nata a Belgrado il 6 agosto 1966,Miščevic insegna alla facoltà discienze politiche dell’Università dellacapitale serba. In passato, dal 2005

al 2008, è stata direttore dell’Ufficiogovernativo per l’integrazione euro-pea, e ha fatto parte inoltre del teamnegoziale serbo sulla liberalizzazionedei visti nella Unione europea. Vicepresidente del Movimento europeoin Serbia, fra il 2009 e il 2010 è statamembro e vicepresidente dell’Agen-zia anticorruzione. Nel passato Go-verno, guidato dai democraticidell’ex presidente Boris Tadić, ha ri-coperto anche il ruolo di vice mini-stro della Difesa.

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L’OSSERVATORE ROMANOlunedì-martedì 2-3 settembre 2013 pagina 3

Nella provincia di Nangarhar

Attaccatabase

statunitensein Afghanistan

KABUL, 2. Si è concluso con l’uc-cisione dei tre attentatori l’attaccoportato questa mattina dai taleba-ni afghani contro una base statu-nitense nella provincia orientale diNangarhar, al confine con il Paki-stan. Lo scrive l’agenzia di stampaPajhwok. Il responsabile della po-lizia di frontiera nella zona diTorkham, colonnello HussainKhel, ha precisato che gli scontri«sono durati varie ore e che vi so-no stati danni materiali».

Da parte sua il portavoce delGoverno provinciale, Ahmad ZiaAbdulzai, ha confermato che gliassalitori sono stati uccisi e che al-cune autobotti per il trasporto dibenzina della Nato sono state in-cendiate. Secondo un commer-ciante locale testimone dell’inci-dente, elicotteri della Forza inter-nazionale di assistenza alla sicu-rezza in Afghanistan (Isaf) hannobombardato i miliziani talebaniintorno alle 9 locali, tre ore dopoil primo scontro a fuoco.

Un altro attentatore suicida si èfatto saltare in aria davanti a unabanca di Kandahar, nel suddell’Afghanistan, uccidendo seipersone e ferendone altre 20. Loha reso noto un portavoce del go-vernatore provinciale, spiegandoche le vittime sono poliziotti e ci-vili che si trovavano in coda perriscuotere gli stipendi. In un altroattacco attribuito ai talebani e av-venuto nel distretto di Sangin,nella provincia orientale diHelmand, ci sono stati 12 mortiper l’esplosione di una bomba po-sta sul ciglio della strada al pas-saggio di un convoglio di civili.

Inoltre, un soldato dell’Isaf èmorto ieri nell’Afghanistan meri-dionale. Con quest’ultima vittimale perdite straniere in agosto nelconflitto afghano hanno raggiun-to, secondo un calcolo ufficioso,quota 12, ossia il livello più bassoregistrato dal 2004 per lo stessomese. Allora i militari stranierimorti furono appena quattro.

L’agosto più cruento è stato in-vece quello del 2011, con 89vittime. Intanto, il presidenteafghano, Hamid Karzai, ha decisoieri a sorpresa un avvicendamentoai vertici del ministero del-l’Interno, nominando ministrol’attuale ambasciatore in Pakistan,Mohammad Omar Daudzai, alposto di Ghulam Mujtaba Patang.Si tratta del secondo ministrodell’Interno nominato in Afghani-stan in meno di un anno. Il capodello Stato ha anche assegnato ilposto di vice ministro al massimoresponsabile della polizia diKabul, generale Ayoub Salangi.

Un sostenitore dei Fratelli musulmani durante una manifestazione al Cairo ( R e u t e rs )

L’Esecutivo nomina i cinquanta membri della commissione

Comitato costituente in Egitto

IL CA I R O, 2. Il presidente ad interim egiziano,Adly Mansour, ha nominato i cinquanta membridel comitato costituente. La revisione della Costi-tuzione fa infatti parte della Road map presentatadalla nuova Amministrazione dopo che l’e s e rc i t oaveva deposto il presidente Mursi lo scorso treluglio. La commissione è incaricata di rivedere laCarta da tutti gli articoli di matrice islamica, in-trodotti dal precedente Esecutivo dominato daiFratelli musulmani.

Il Governo ha incluso nella costituente l’ex se-gretario generale della Lega araba, Amr Moussa.C’è anche Mahmoud Badr, portavoce del movi-mento giovanile Tamarrod (che il 30 giugno die-de il via alle manifestazioni di protesta dopo averraccolto oltre venti milioni di firme controMohamed Mursi).

Su cinquanta membri, solo due sono islamisti:uno è esponente dei salafiti del partito Al Nour eun altro un ex membro della Fratellanza. La pre-sidenza ha però sottolineato che sono stati i Fra-

telli musulmani a rifiutarsi di designare un loroesponente, tra i pochi ancora in libertà. La costi-tuente, che si riunirà per la prima volta l’8 set-tembre, ha ora sessanta giorni di tempo per com-pletare il suo lavoro, in parte già scritto.

Il testo della nuova Costituzione sarà sottopo-sto a referendum (quello vecchio fu approvato daquasi il settanta per cento dei votanti con solo iltrenta per cento degli aventi diritto alle urne).Solo dopo si procederà a nuove elezioni parla-mentari e presidenziali.

La composizione della costituente riflette la di-rezione impressa all’Egitto dalle nuove autorità.Tra i primi articoli di cui è noto il testo, oltre allaprobabile messa al bando di qualsiasi partito diispirazione religiosa (mossa che respingerebbenella clandestinità i Fratelli musulmani ma anchei salafiti), anche misure che riporterebbero alla ri-balta alcuni esponenti del Governo di Mubarak,recentemente scarcerato e agli arresti domiciliariin attesa di un nuovo processo. Il testo sarà mate-

rialmente messo a punto da un comitato di esper-ti composto da dieci membri.

È stato intanto deciso che Mohamed Mursiverrà processato: lo ha reso noto il procuratoregenerale Hisham Barakat, che lo ha ieri rinviato agiudizio davanti alla Corte d’assise, insieme ad al-tri quattordici Fratelli musulmani, con l’accusa diaver incitato all’uccisione dei manifestanti nelcorso degli incidenti davanti al palazzo presiden-ziale. Mursi è accusato, come Mohamed ElBeltagy, segretario del partito Libertà e Giustiziaarrestato venerdì scorso, ed Essam El Eryan, vice-presidente dello stesso partito, di avere ordinatoal comandante della Guardia repubblicana e alministro dell’Interno di aprire il fuoco contro idimostranti anti-governativi. Gli altri incriminatidovranno rispondere dell’accusa di avere mobili-tato i propri sostenitori e i media per favorire larepressione violenta delle manifestazioni. Sonooltre duemila i Fratelli musulmani arrestati dal 14agosto scorso.

Decine di mortiin un campo

p ro f u g h iin territorio iracheno

BAGHDAD, 2. Ancora un fine setti-mana contrassegnato da episodi diviolenza in Iraq. Circa cinquantaoppositori iraniani rifugiati nelcampo di Ashraf, sono rimasti uc-cisi ieri. I profughi accusano leforze speciali irachene di averecompiuto un attacco accompagna-to da bombardamenti a colpi dimortaio. Fonti governative hannosmentito questa versione e un uffi-ciale dell’esercito ha detto che so-no stati i residenti del campo adattaccare i soldati di guardiaall’esterno dopo che sul sito eranoarrivati alcuni colpi di mortaio diprovenienza sconosciuta. L’altocommissariato dell’Onu per i rifu-giati (Unhcr) ha condannato quel-lo che ha definito «l’uso della for-za» contro civili e ha fatto appelloa Baghdad perché assicuri l’inco-lumità degli ospiti del campo. Lastessa richiesta è stata avanzata ie-ri sera dall’ambasciata statunitensein Iraq che ha fermamente con-dannato quelli che ha definito «iterribili avvenimenti».

Il campo di Ashraf ospitava fi-no allo scorso anno migliaia dimembri dell’opposizione iraniana,già alleati del deposto regime ira-cheno di Saddam Hussein. L’or-ganizzazione è stata tolta dalla li-sta delle organizzazioni terroristi-che nel 2009 dall’Unione europeae nel 2012 dagli Stati Uniti. Loscorso anno circa tremila residentinel campo sono stati trasferitinell’ex base americana di CampLiberty, vicino a Baghdad. Ma cir-ca cento rifugiati sono rimasti nelcampo di Ashraf, una quarantinadi chilometri a nord-est della capi-tale e non lontano dalla frontieracon l’Iran. I due campi sono statifatti oggetto di attacchi a più ri-prese. Camp Liberty è stato bom-bardato con mortai nel gennaio enel giugno scorsi e alcuni residen-ti sono rimasti uccisi.

Uomini armati hanno intantoucciso ieri cinque fedeli pressouna moschea sunnita di Baghdad.Il commando — riferiscono fontidella sicurezza, coperte da anoni-mato — si è dato alla fuga dopol’attacco, avvenuto nel corso dellapreghiera del mattino nel quartie-re di Jadidah, abitato in prevalen-za da sciiti. La notizia delle ucci-sioni è stata confermata da fontemedica, che ha riferito di una se-sta persona rimasta ferita. Nellestesse ore, dodici persone sono ri-maste uccise e altre venti feritedall’esplosione di un’autob ombanella città di Ramadi, cento chilo-metri a ovest di Baghdad. Lo han-no riferito fonti mediche e delleforze di sicurezza irachene.

Inoltre, sabato, sfidando il di-vieto del ministero dell’Interno,centinaia di dimostranti, in mag-gioranza giovani, hanno dato vitaa raduni a Baghdad e in altre cittàirachene contro i costi della politi-ca, chiedendo in particolare lacancellazione delle pensioni allequali i parlamentari e i ministrihanno diritto anche dopo un solomandato. Momenti di tensione sisono avuti nella capitale, dove lapolizia ha impedito ai manifestan-ti di raggiungere le piazze Tahrire Ferdus. Analoghi raduni si sonosvolti anche a Bassora, Nassiriya,Najaf, Diwaniya e nelle provincedi Babilonia e Anbar.

P ro t e s t al’opposizione tunisina

La dimostrazione a Tunisi (Reuters)

Negoziatitra Governo

e talebani smentitiin Pakistan

ISLAMABAD, 2. Il Governo pakista-no e anche i talebani del Tehrek-e-taliban Pakistan hanno smentitoieri di aver avviato colloqui di pa-ce, come alcune fonti anonimeavevano assicurato nei giorni scor-si. Dialogando con i giornalisti, ilministro dell’Interno, ChaudhryNisar Ali Khan, ha assicurato chesimili informazioni «sono statediffuse da una parte della stampaper creare confusione circa un dia-logo con i talebani». La notizia dicontatti preliminari fra le parti erastata affidata da una autorevolefonte governativa all’emittente bri-tannica Bbc in urdu. In particola-re Nisar, dopo aver ammesso cheè sempre possibile che qualcunoabbia potuto parlare per proprioconto con gli insorti, ha sottoli-neato che «i colloqui con i taleba-ni sono una questione molto com-plessa che deve essere trattata congrande cura. Il Governo — ha as-sicurato — non nasconderà nullaalla gente riguardo al dialogo dipace».

Nel frattempo, nove soldati so-no morti e altri venti sono rimastiferiti dall’esplosione di un ordignorudimentale nel Waziristan setten-trionale, al passaggio di un veico-lo delle guardie di frontiera paki-stane. Lo hanno reso noto fonti aRawalpindi.

Il livello di contaminazione è diciotto volte più alto rispetto al 22 agosto

Aumentano le radiazioni a FukushimaTO KY O, 2. Sempre più grave l’allar-me contaminazione nella disastratacentrale nucleare di Fukushima.

Il livello di radiazioni nei tre ser-batoi contenenti acqua contaminataè diciotto volte più alto rispetto al22 agosto scorso, ovvero 1.800 milli-sievert all’ora. Lo ha reso noto ieril’operatore Tepco, la società che ge-stisce l’impianto atomico, a due an-ni e mezzo dall’incidente nella cen-trale provocato dal terremoto e dalsuccessivo tsunami. Il nuovo livellodi radioattività, rilevano gli esperti,è in grado di uccidere una personaesposta nel giro di sole quattro ore.

Il 22 agosto, il livello nella stessaarea era di 100 millisievert all’ora ela Tepco non esclude che l’aumentosia dovuto a infiltrazioni di acquacontaminata. La legge giapponesefissa la soglia massima di esposizio-

ne a 50 millisievert per i lavoratoridelle centrali nucleari.

Al momento non ci sono elementichiari sul nuovo caso che interessala cosiddetta zona H4, quella dovefurono realizzate a ritmo serrato, ta-le da sollevare dubbi sulla loro sicu-rezza e sulla qualità dei materialiusati, le cisterne d’urgenza a pochimesi dalla crisi nucleare. Ad agosto,era stato invece reso noto che unserbatoio aveva una perdita conti-nua in mare. Proprio per questo,l’agenzia per la sicurezza nuclearenipponica aveva elevato la gravitàdella perdita dal livello 1 (anomalia)al livello 3 (incidente grave). Lasciagura dell’11 marzo del 2011 — laseconda più grave al mondo dopoChernobyl — provocò la fusione del-le barre di carburante in tre reattorie la contaminazione radioattivadell’aria, del terreno e dell’acqua,

imponendo lo sgombero immediatodi oltre 160.000 persone.

Intanto, un milione di giapponesihanno preso parte a una gigantescaesercitazione per simulare un terre-moto di magnitudo 9,1 e verificarela prontezza dei servizi d’e m e rg e n -za. Dal 1960, ogni anno, nel Paesedel Sol Levante si celebra la Gior-nata nazionale per la prevenzionedei disastri per commemorare il ter-remoto del 1923 che fece più di100.000 morti. A due anni dal terri-bile sisma, il Governo nipponico haaggiornato le stime per il caso di unterremoto di magnitudo superiore ai9 gradi, previsto entro 30 anni, chepotrebbe causare fino a 320.000morti. Anche il primo ministro,Shinzo Abe, ha partecipato all’eser-citazione, simulando una riunioned’emergenza del suo Gabinetto.

Sfugge a un attentatoil premier yemenita

SAN’A, 2. Il premier yemenita,Mohamed Basindawa, è scampato aun attentato a San’a dove uominiarmati hanno aperto il fuoco controla sua auto. A salvarlo la blindaturadell’autoveicolo. «Quattro uominiarmati hanno sparato contro il con-voglio del premier che stava tornan-do a casa», ha riferito una fontedella sicurezza, sottolineando chenessuno è rimasto ferito. Basindawaguida il Governo di unità nazionaledal dicembre 2011, sulla base diun’intesa — sostenuta dai sei Paesidel Consiglio di cooperazione delGolfo Persico: Arabia Saudita, Ku-wait, Emirati Arabi Uniti, Oman,

Qatar e Bahrein — che porto alladeposizione incruenta dell’ex presi-dente dello Yemen, Ali AbdullahSaleh. Ma nonostante il Paese ab-bia cercato di voltare pagina — do-po 33 anni di potere in mano a Sa-leh — resta forte la presenza dei ter-roristi di Al Qaeda nella penisolaarabica che continuano a compiereattentati, agguati e sequestri di per-sona. Queste azioni sono contrasta-te dai raid compiuti, soprattutto nelsud, da droni. È per questo che loYemen sta ancora affrontando unperiodo complicato e difficile cheha ulteriormente aggravato la crisiumanitaria.

TUNISI, 2. Si è conclusa sabato not-te a Tunisi la manifestazione indet-ta dall’opposizione che ha visto mi-gliaia di persone creare una lun-ghissima catena umana tra la piazzadel Bardo (dove si trova il palazzodell’Assemblea nazionale costituen-te) e quella della Kasbah (sullaquale si affacciano i palazzi del po-tere tunisino, a cominciare da quel-lo del primo ministro). La manife-stazione si è svolta senza alcun inci-dente. La protesta ha segnato unasettimana di dimostrazioni indettedall’opposizione, ma è probabileche si vada avanti visto lo stato di

sterile contrapposizione tra maggio-ranza e opposizione che sta sbar-rando la strada a una soluzioneconcordata per uscire dalla crisi.

Infatti, il blocco delle opposizio-ni tunisine alla coalizione di mag-gioranza ha respinto il pacchetto diproposte avanzate dai partiti cheformano il Governo (Ennahda,Ettakatol e Congresso per la Re-pubblica) per trovare una rispostacondivisa alle sfide del Paese. La si-tuazione resta quindi in uno statototale di stallo, con le posizioni deidue schieramenti nettamente con-trapp oste.

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 lunedì-martedì 2-3 settembre 2013

«Suora. Compositrice. Leggen-da» si legge sul sito del festivaldi musica sacra di Geru-salemme da poco concluso inun articolo intitolato e dedica-to a emahoy (“m a d re ”) Tsegué-Maryam Gebru. «Il Festival leha dedicato tre serate. La suamusica ricorda Chopin, macon scale pentatoniche abissi-ne» scrive François-XavierGomez su «Libération» del 27agosto scorso, nell’articoloTsegué-Maryam Guébrou, gam-mes soeurs, colpito dal talentodi questa anziana religiosa cheha dedicato la sua vita al pia-noforte, alla composizione ealla cura e all’educazione degliorfani. Tsegué-Maryam — ma ilsuo nome prima dell’i n g re s s oin monastero era Yewubdar —compirà presto novant’anni; ènata ad Addis Abeba il 12 di-cembre 1923; suo padre,Kentiba Gebru, era un lettera-to celebre alla corte dell’imp e-ratore Hailé Sélassié.

A sei anni entra insieme allasorella Senedu in un collegiosvizzero dove scopre il suoamore e il suo talento per lamusica; quattro anni dopo tie-

La musica di madre Gebru

Chopinin scalaabissina

ne il suo primo concerto diviolino. Tornata in Etiopia,chiede il permesso al negus ditornare in Europa per perfezio-nare i suoi studi musicali manon lo ottiene. Di lì a pocoperò dovrà lasciare comunque,suo malgrado, la sua terra: du-rante il conflitto con l’Italia,nel 1937, viene fatta prigionierainsieme alla famiglia e depor-tata prima nell’isola dell’Asina-ra, poi a Mercogliano, vicinoNapoli. Dopo la guerra parteper l’Egitto e studia musica alCairo, prendendo lezioni dalviolinista polacco AlexanderKontorowicz, che la seguirà adAddis Abeba.

All’età di 19 anni Yewubdarfugge dalla casa dei genitoriper entrare nel monastero diGuishen Mariam, nella regionedi Wello, che aveva visitatoqualche tempo prima con lafamiglia. Lascerà l’Etiopia perGerusalemme solo nel 1984,dopo la morte della madre,durante la dittatura diMengistu Haile Mariam; tutto-ra suor Gebru vive in un mo-nastero etiopico ortodosso del-la città santa.

«Emahoy era davvero moltoemozionata», spiega EricIsaacson, della Mississippi Re-cords, al giornalista di «Libé-ration» raccontando una suaconversazione con la composi-trice dopo i concerti del Festi-val di musica sacra di Gerusa-lemme. «Ha aspettato cin-quant’anni che la sua musicavenisse eseguita da un’o rc h e -stra, e questo momento alla fi-ne è arrivato». L’età avanzatanon le ha permesso di suonare;al suo posto al pianoforte c’eraMaya Dunietz, ma la soddisfa-zione è stata comunque gran-dissima. Qualche anno fa gliestimatori della musica di suorTsegué-Maryam hanno dato vi-ta a una fondazione che pro-muove l’educazione e lo svi-luppo dell’infanzia in Africaattraverso la musica (in retee m a h o y m u s i c f o u n d a t i o n . o rg ) .

In cantiere ci sono altre sor-prese, assicura Isaacson, «neisuoi cassetti ha ancora seicentopezzi». (silvia guidi)

Passano per la basilica dei Santi Giovanni e Paolo otto secoli di storia dell’ordine dei predicatori

Domenicani a Venezia

Una ricca serie di raffigurazioni documenta il ruolo delle donne nella cristianizzazione di Roma

Elena e le devote di Torpignattaradi FABRIZIO BISCONTI

L’anno costantiniano,celebrato da mostre,convegni e congressi,ci accompagna per lemetropoli e i territori

del mondo cristiano, guardandoall’Urbs, come alla vecchia capitale,stracolma di segni tangibili di unaideologia che, mentre consuma unarivoluzione istituzionale e religiosa,non dimentica il tracciato storico,costellato dai buoni imperatori, cosìcome dimostra l’arco di Costantino.Ebbene, questo manufatto si innestanella tradizione, se vuole celebrareun imperatore vittorioso, ma mostraanche il paradosso della menzionestorica della vittoria di una guerracivile e tutto questo consumandoquell’economia del reimpiego dei ri-lievi del passato, stralciati dai mo-numenti del tempo di Traiano,Adriano e Marco Aurelio. I rilievipropriamente costantiniani racconta-no una vera e propria “marcia suRoma” che, prendendo avvio daMilano, tocca Verona e trova il suoapex nel sanguinoso scontro di Pon-te Milvio, per poi approdare a Ro-ma con l’aulico discorso dei R o s t radel Foro e con la vivace scena dellal a rg i t i o .

Se l’arco di Costantino rappresen-ta il segno più forte e significativodel Senato per dialogare con l’imp e-ratore vittorioso, i luoghi dei Co-stantinidi si diffondono specialmen-

te nel suburbio romano, con i san-tuari apostolici e martiriali, o pro-prio a ridosso delle mura, come ilgruppo episcopale lateranense, labasilica di Santa Croce in Gerusa-lemme e il Sessorium. Proprio questiultimi monumenti richiamano ilruolo e la persona di Elena, la ma-dre di Costantino, che proietta lasua memoria anche lungo la via La-bicana, nell’immenso p ra e d i u m im-periale, che accoglie il complesso adduas lauros, in corrispondenza delsantuario dei Santi Pietro e Marcel-lino.

I due martiri romani furono se-polti nelle catacombe che si esten-dono nell’area. In corrispondenzadella loro tomba fu scavata unacripta, quasi corrispondente conuna basilica circiforme rinvenuta nelsopratterra. A essa si aggancia ilmausoleo di Elena, definito dal po-polo romano “To r p i g n a t t a r a ”, per lepignatte (anfore) che servivano adalleggerire il corpo cupolato delmonumento. Ebbene, secondo latradizione, il grande mausoleo —ora sistematicamente restaurato dairesponsabili della Sovrintendenzaarcheologica di Roma — era statoprogettato per ospitare il sepolcrodello stesso Costantino, come sug-gerisce il sarcofago porfiretico conscene di battaglia ancora conservatoai Musei Vaticani.

Nell’arca fu tumulata, dunque, lamadre Elena, quando Costantino,concependo la nuova Roma sul Bo-sforo, scelse di riposare nell’Ap o s t o -

leion. In questo modo si consacravala memoria di una donna estrema-mente coinvolta nel progetto politi-co-religioso del figlio, tanto da oc-cuparsi direttamente della costruzio-ne delle basiliche della Natività edell’Ascensione in Terra Santa e diricercare le reliquie della croce delGolgota, che fece sistemare nel sa-crario romano, di cui si è detto, eche acquisterà la suggestiva denomi-nazione di Ierusalem.

D’altra parte, anche il complessomonumentale di Sant’Agnese sullavia Nomentana parla al femminile epropone una situazione quasi spe-culare a quella evidenziata sulla viaLabicana. Anche qui, infatti, nellacatacomba fu sistemata la martirefanciulla Agnese; anche qui Damasosistemò la sua tomba, creando, pre-sumibilmente un piccolo edificio diculto ipogeo, ampliato dai vescovidi Roma, sino ai tempi di PapaOnorio; anche qui fu costruita unabasilica circiforme, annessa al mau-soleo di Costanza.

Ma torniamo sulla via Labicana,per scendere nelle catacombe deiSanti Pietro e Marcellino e accederea un’area scavata nei primi decennidel secolo scorso. L’area è ricca dicubicoli dipinti, riferibili proprio almomento costantiniano e furonostudiati da padre Antonio Ferrua.Uno dei cubicoli dell’area fu scava-to da Enrico Josi tra il 1911 e il 1915e fu definito Cubicolo di Nicerus,per il fatto che un’iscrizione, situatasulla parete sinistra dell’ambiente,recita: Nicerus bibat in ChristoPrimosus te amat. Non deve meravi-gliare l’apparente desinenza maschi-le del nome peraltro attestato comefemminile e assimilabile ad altrielementi onomastici simili, qualiNicarus o anche Agathus riferiti adonne.

La nostra attenzione si concentrasull’arcosolio di fondo, dove, contutta probabilità, Nicerus venne tu-mulata. Ebbene, nella lunetta difondo appare una delle scene relati-ve alla guarigione dell’e m o r ro i s s apiù raffinate e armoniose che ci ab-bia consegnato il repertorio pittori-co delle catacombe romane. La don-na inginocchiata sfiora il lembo delpallio del Cristo, che si volge, inmaniera solenne verso di lei.

L’estrema sintesi della storia, ri-dotta ai due protagonisti e tuttagiocata con i gesti e gli atteggia-menti dei personaggi ci parla di unanarrazione che assurge a livello sim-bolico, per evidenziare l’aspetto te-rapeutico e salvifico dell’episo dio.Nell’arco appare una figura orantevelata, con dalmatica clavata, in cuidobbiamo riconoscere proprio larappresentazione della defuntaNicerus, solennemente vestita e at-teggiata, per indicare il suo statussociale, piuttosto elevato. Ai lati an-cora due scene hanno come prota-goniste delle donne: a sinistra si ri-conoscono l’episodio del colloquiodel Cristo con la samaritana al poz-zo, a destra la più rara guarigionedella donna curva.

La decorazione di un altro cubi-colo, di poco più tardo, nello stessocimitero, mostra singolari analogiecon i nostri affreschi: l’arcosolio difondo presenta, infatti, nella lunettae nei riquadri laterali dell’intradossoancora tre scene di cui sono prota-goniste delle donne, ma il pittore,in questo caso, non trova l’audaciaper ripetere la scena della mulier in-clinata, che evidentemente ritenevadi difficile realizzazione o interpre-tazione e la sostituisce quindi conl’episodio di Susanna tra i s e n i o re s ,lasciando, tuttavia, inalterate, anchenello schema, l’incontro con la Sa-maritana al pozzo e la guarigionedell’e m o r ro i s s a .

Se non si vuole ammettere la sug-gestiva ipotesi della destinazionedella sede sepolcrale più importantedei due cubicoli a delle defunte,dobbiamo comunque rilevare il fe-nomeno di attrazione di scene rela-tive a donne: un recente esame sta-tistico delle associazioni di episodibiblici nell’arte delle catacombe ha,infatti, evidenziato che i “miracolifemminili” costituiscono dei casiprivilegiati di combinazione. Si de-ve notare che le scene di Susanna edell’emorroissa figurano fra le cin-que pitture più frequentementecombinate con la scena della Sama-ritana.

Ebbene, questa declinazione delfenomeno dell’arte catacombale, di-mostra il ruolo importante che lematrone del tempo dei Costantinidiebbero nella “cristianizzazione” del-la societas romana, cercando nelledonne di corte, ma anche nelle mar-tiri e nelle protagoniste della Bib-bia, delle emblematiche “compagnedi viaggio” nel percorso della sal-vezza della fede della devozione.

di MASSIMO MANCINI

San Domenico di Guzmán daCaleruega (1170-1221), fondatoredell’ordine dei predicatori, nell’ul-timo periodo della sua vita ha co-me compagno di viaggio il primofrate domenicano veneziano: fra’Paolo da Venezia. Dopo il capito-lo generale di Bologna del 1221,Domenico accompagnato da Pao-lo si dirige a Venezia, per incon-trarvi il cardinale Ugolino, il futu-ro pontefice Gregorio IX . Non ab-biamo notizie su una permanenzadei primi domenicani in città. In

Nel 1317 viene costituita ancheun’altra comunità domenicananella città di Venezia: la chiesa eil convento di San Domenico diCastello: questo importante com-plesso verrà completamente de-molito dai francesi nel 1807. AMurano (allora in diocesi di Tor-cello) dal 1363 inizia la costruzio-ne del convento e della chiesa diSan Pietro Martire.

La presenza dei domenicani aVenezia è importante per tutta lastoria dei frati predicatori, perchéda qui parte la grande riforma ditutto l’ordine. I discepoli di santaCaterina da Siena (1380) fanno di

mana, dapprima affidato ai fran-cescani, viene attribuito ai dome-nicani del convento di Castello,uno dei quali sarà l’inquisitore diVenezia fino allo spegnersidell’inquisizione a fine Settecento.Fra i vari membri di quella comu-nità c’è anche un Papa: VincenzoMaria Orsini, che entra nell’o rd i -ne a Castello nel 1668 e che poidiventerà nel 1724 Papa BenedettoXIII, il quarto e finora ultimoPontefice appartenente all’o rd i n edei predicatori. Il cenobio deiSanti Giovanni e Paolo rimanesempre quello con il maggior nu-mero di frati: sede centrale di unaprovincia religiosa detta di SanDomenico di Venezia, che com-prende i conventi della Repubbli-ca Veneta. È un centro di studicon una bellissima biblioteca.

Nel 1782 questa comunità ospi-terà Papa Pio VI, nella tappa vene-ziana del suo viaggio a Vienna perincontrare Giuseppe II. Nel corsodei secoli, però, quell’energia spi-rituale che ha caratterizzato allafine del Trecento i conventi vene-ziani finisce con l’affievolirsi gra-dualmente. Occorre una secondariforma domenicana, che si attua aVenezia a partire dal 1660: primaa San Secondo, poi anche inun nuovo convento, quello delSantissimo Rosario alle Zatte-re, là dove il già soppresso ordi-ne dei gesuati aveva una propriapiccola sede. Questo nuovo mo-vimento di osservanza si carat-terizza per l’attenzione alla po-vertà, alla preghiera comunita-ria e allo spirito di penitenza,oltre all’interesse per lo stu-dio, che è sempre un aspettocentrale della vita domeni-cana.

Ai Santi Giovanni ePaolo la seconda riformanon viene mai accolta, perl’opposizione dei religiosidi quel convento, che giàdal secondo Quattrocentoera in pratica estraneo allostile di osservanza regola-re. Tra Sei e Settecento la

documenti del 1226 e 1229 si parladi fra’ Martino priore dei domeni-cani della chiesa di San Martino.Nel giugno del 1234, l’ordine ot-tiene una sistemazione definitiva:a nome della Repubblica e di tut-to il popolo, il doge Jacopo Tie-polo concede a fra’ Alb erico,priore dei frati, un terreno nelluogo che ancora oggi è da essioccupato; e il doge giustifica laconcessione affermando che la re-sidenza dei domenicani in città,per il Governo e per il popolotutto, è sommamente necessaria.

Comincia così la presenza deireligiosi in quello che oggi è il si-to del convento e della basilicadei Santi Giovanni e Paolo, nomeattribuito fin dall’inizio. Si co-struisce la grande chiesa e si edifi-ca un ampio convento, destinato aospitare numerosi religiosi: si puòritenere che alla fine del Duecentoil complesso conventuale sia ormaicompiuto. Ben presto i frati predi-catori acquisiscono prestigio e sti-ma e penetrano all’interno dellasocietà veneziana, a tutti i livelli:(...) non limitano la propria attivi-tà alla sola sfera religiosa, ma par-tecipano anche in talune occasionialle vicende politiche della città.Già nel Duecento entrano a farparte della comunità di uomini ri-masti celebri per la loro santità eanche per gli incarichi ricevuti: fratutti si ricorda il veneziano beatoGiacomo Salomoni, morto a Forlìnel 1314, i cui resti sono ora nellabasilica veneziana.

Il Pantheondella SerenissimaPubblichiamo uno degli articoli contenutinel volume La basilica dei Santi Giovannie Paolo. Pantheon della Serenissima(Venezia, Marcianum Press — Fo n d a z i o n eGiorgio Cini, 2013, pagine 526, euro 110),curato da Giuseppe Pavanello, confotografie di Matteo de Fina.

costituirne un’altra anche ai SantiGiovanni e Paolo, non più nel-l’antico convento, diventato ospe-dale, ma in un piccolo edificio sulluogo della scuola di Sant’O rsola,privata dei teleri del Carpaccio epoi trasformata.

Con i provvedimenti a dannodei religiosi, applicati dal nuovoRegno d’Italia a partire dal 1866,nuove difficoltà impediscono ilreclutamento delle vocazioni. I re-ligiosi lasciano San Lorenzo nel1881. Rimane quindi solo il con-vento dei Santi Giovanni e Paolo:una presenza di religiosi numeri-camente piccola, ma non trascura-bile dal punto di vista qualitativo.

Venezia il centro pro-pulsore del nuovo mo-vimento di osservanzaregolare. Tra questi, ilbeato Giovanni Domi-nici, fiorentino ma diorigini veneziane, apartire dal 1391 intro-duce prima a San Do-menico di Castello, poia Chioggia e ai SantiGiovanni e Paolo, il re-gime di piena e coeren-te osservanza delle an-tiche costituzioni del-l’o rd i n e .

Nel 1394 viene inau-gurato anche il monastero femmi-nile domenicano del Corpus Chri-sti, che già esisteva ma ora vienericostituito, sempre su ispirazionedel Dominici, passando dalla Re-gola di san Benedetto a quellaagostiniana, secondo le costituzio-ni dei predicatori. Altro importan-te protagonista del nuovo movi-mento di riforma è Tommaso daSiena, più noto come TommasoCaffarini, i cui resti sono visibilisotto il polittico di Bellini: è ilgrande promotore della causa dicanonizzazione di santa Caterinada Siena e suo biografo. Da que-sta base di conventi osservanti inVenezia, la riforma si estende, gra-dualmente, in tutte le provincedell’ordine. La basilica dei SantiGiovanni e Paolo, consacrata nel1430, sempre più diventa il Pan-theon veneziano, con le tombe didogi e di altri illustri personaggi:e dal secolo XVI vi si svolgono or-dinariamente i funerali dei dogi.

Tra Quattro e Cinquecento nu-merose sono le figure che dannoprestigio alla presenza dei dome-nicani in Venezia. Tra gli altri, ilbeato Agostino da Biella (1493);Alberto da Castello (1522), autoredi un’importante opera sul rosa-rio; due frati che poi diventanopatriarchi di Venezia, TommasoDonà e Girolamo Querini. NelCinquecento si istituisce un altroconvento domenicano, quello sul-la piccola isola di San Secondo,ora distrutto. Dal 1560, il tribuna-le veneziano dell’inquisizione ro-

Antonio Tarsia, «San Domenico» (inizi XVIII secolo,Venezia, basilica dei Santi Giovanni e Paolo)

«La guarigione dell’e m o r ro i s s a »(IV secolo, Roma, Catacomba dei Santi Marcellino e Pietro, Cubicolo di Nicerus)

1810 alla totale cancellazione dellecomunità religiose. San Secondoera già stato soppresso qualcheanno prima; San Domenico diCastello viene raso al suolo perrealizzare i giardini pubblici; ven-gono chiusi i conventi delle Zatte-re e dei Santi Giovanni e Paolo.

Ma c’è una ripresa inaspettata,dovuta all’ultimo frate lì rimasto,Emanuele Lodi, il quale, per farsopravvivere la presenza domeni-cana a Venezia, prende l’incaricodi parroco della nuova parrocchiadei Santi Giovanni e Paolo, appe-na costituita. La restaurazione au-striaca presenta tentativi di ripri-stino, che approdano nel 1843, an-che per volontà del patriarca Mo-nico, alla fondazione di una pic-cola comunità a San Lorenzo. Po-chi anni dopo, i frati possono ri-

realtà domenicana più prestigiosaè quella del nuovo convento alleZattere. Esso contiene un centrodi studi istituzionali di filosofia edi teologia, dove i domenicani so-no professori, con studenti chenon sono solo i membri dell’o rd i -ne, ma anche preti secolari e laici.All’inizio del Settecento si edificaun nuovo tempio, la chiesa delRosario; il convento ospita unagrande biblioteca, arricchita conmigliaia di libri donati nel 1750 daApostolo Zeno, confluita, con lesoppressioni napoleoniche nellaBiblioteca Marciana. Dopo l’an-nessione di Venezia al napoleoni-co Regno d’Italia, si arriva nel

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L’OSSERVATORE ROMANOlunedì-martedì 2-3 settembre 2013 pagina 5

Riccardo Calimani ripercorre quindici secoli di storia

Così nacquelo stereotipo dell’ebreo errantedi ODD ONE CAMERANA

Leggere un bel libro di sto-ria è come stare sugli alti-piani della vita. È cometrovarsi in una posizioneeletta e intermedia tra le

vette vicine, senza tuttavia subirel’isolamento che ne deriva, e tra ifondi valle e le pianure che stanno aipiedi dell’altopiano stesso. Terre do-ve il brulicame infinito del mondoscorre senza forma. È questa la sen-sazione che si prova alla lettura dellaStoria degli ebrei italiani dalle originial XV secolo di Riccardo Calimani(volume primo, Milano, Mondadori,2013, pagine 631, euro 28).

Circa millecinquecento anni dicronaca ebraica sullo sfondo di gran-di eventi storici come la caduta diGerusalemme e la sua demolizione,da cui la perdita dello Stato nazio-nale di Israele seguita dalla disper-sione spontanea dei suoi abitanti, ladiaspora che si trasforma in galut,esilio doloroso forzato e dalla Torah(il Pentateuco) che diventa una pa-tria portatile.

Anni in cui dalla tolleranza paga-na si passa nel corso del IV e V seco-lo alla cristianizzazione e poi alla ca-

duta dell’impero romano nel 476 el’ebraismo viene respinto poco allavolta a un ruolo subalterno. Anniper altro in cui l’espansione arabanel Mediterraneo sembra aver favori-to la crescita della popolazione ebrai-ca verso una presenza sempre piùforte nel meridione d’Italia. Senza

Una costante, questa delle espul-sioni e degli spostamenti forzati, incoincidenza dei sommovimenti poli-tici e di potere, là dove gli ebrei sierano insediati pacificamente, feno-meno all’origine dello stereotipodell’ebreo errante.

Sennonché mentre gli eventi stori-

datazione passa in secondo piano ri-spetto al contenuto dell’evento stes-so, contenuto che tende a radicarsi ea standardizzarsi. Mi riferisco allecalunnie addossate agli ebrei e aimotivi di conflitto alla base della co-stituenda giudeofobia storica.

L’accusa di deicidio, quelladell’usura e del prestito a interesse,quella del contagio di malattie comela peste, quella di eresia, sono tra leprincipali. Accuse che hanno trovatouna loro sede, come nell’alveo di un

fiume, nell’inquisizione e nelle cro-ciate in Terra Santa contro gli infe-deli. Senza dimenticare l’accusa diesercitare la professione medica,osteggiata in nome del fatto che essacura il corpo e non l’anima e proba-bilmente è stata causa di invidia, te-nuto conto del favore che i mediciebrei incontrarono tra i potenti,principi, re e Papi.

Per essere più specifici in tema diaccuse giudeofobiche va ricordata lamacabra leggenda del sacrificio delsangue secondo la quale gli ebrei ra-

Nelle dolorose vicendedelle calunnie antiebraicherientrano anche gli avvenimentidella terribile peste neraalla metà del Trecento

È morto David Paradine Frost

Il mattatore del Watergate

pivano e uccidevano fanciulli cristia-ni per procurarsi sangue cristiano,favorire così la propria redenzione evendicarsi, non avendo dimenticatola connessione tra la crocifissione diCristo e l’annientamento di Israelenel 70. Clamoroso in questo senso fuil caso del piccolo Simone scompar-so a Trento nel marzo del 1475 e ri-trovato nello scantinato della casadell’ebreo Samuele, oggetto di unculto che durò per secoli e di perse-cuzioni da parte di chi conoscevabene l’efficacia del meccanismo della

creazione di capri espiatori. Una ve-nerazione che si ritrova nel dipintodi Paolo Uccello nel Palazzo Ducaledi Urbino, nei sei episodi in cui siracconta la vicenda del miracolodell’ostia profanata.

Di tutt’altra natura l’accusa dipraticare l’usura, più che altro unaconcessione avvelenata data a coloroche erano considerati anime perse.Peccatori già condannati e guardaticon sospetto per questa attività, gliusurai ebrei vivevano una condizioneparadossale. Diventati banchieri,molti vennero visti con diffidenza eallo stesso tempo con favore, nonsenza alimentare un ulteriore filonedi giudeofobia diventata ormai ende-mica. A nulla valse per altro il tenta-tivo di far loro concorrenza attraver-so la creazione dei monti di pietàche rispondevano alle esigenze diuna società statica, lontana da quelladinamica che stava per formarsi colRinascimento.

Sia come sia, appare evidente co-me la storia degli ebrei sia segnatadall’impiego di pratiche funeste che,attribuite alle comunità ebraiche, fu-rono utilizzate in funzione dell’effet-to purificatorio scaturito da esse inmomenti di sentito bisogno di ritro-vare l’ordine e la pace messi in peri-colo. Così avvenne con la peste neradel 1348-1350 seguita da massacri diebrei e loro fuga dal Nord versol’Italia, calunnia alimentata da predi-catori che agivano sulle masse spa-ventandole. Lo stesso dicasi per lecrociate il cui avvio scatenò unacampagna di denigrazione contro gliebrei alimentando l’intolleranza reli-giosa.

Detto questo, l’autore del libro fapresente che «cercare l’antisemitismodove non c’è può essere di gran lun-ga fuorviante e insidioso (...) poichégli ebrei accanto alla persecuzionenei secoli hanno goduto di stima esimpatia». Pertanto guardando lecose dal versante suggerito da Cali-mani, ci sentiamo di poter elencarecome conclusione una serie di fattiche possono essere letti in manierac o s t ru t t i v a .

A fronte dell’obbligo imposto agliebrei di indossare segni di identifica-zione (barbe, berretti, copricapi, ro-telle e via dicendo) va ricordato ilfiorire di mestieri resi eccellenti dalgenio ebraico come la banca, la me-dicina, la tipografia, la tessitura, laconfezione delle pietre preziose e deigioielli. E, ancora, come a fronte diuna Chiesa spesso oscillante nellesue posizioni e non in pace con sese stessa, la ricchezza del Talmud ela ricchezza della liturgia cristianacarica di simboli, di pittura, di scul-tura, di giochi di luce, di canti gre-goriani e di splendide vetrate comequelle delle cattedrali gotiche, rap-presentino un patrimonio e un tra-guardo che onora la storia di duegrandi protagonisti.

«Ho tradito i miei amici e il mio Paese»:era l’agosto del 1977 quando RichardNixon, a tre anni dalle dimissioni dallapresidenza statunitense, ammise pubbli-camente le sue responsabilità in occasio-ne del Watergate. Colui al quale riuscìla storica impresa di far dire l’indicibileall’inquilino della Casa Bianca è chiara-mente entrato negli annali del Novecen-to: si tratta di David Paradine Frost,giornalista e conduttore britannico, mor-to per un infarto lo scorso 31 agosto.Aveva settantaquattro anni.

L’esordio di Foster, fresco laureato inlingua inglese all’università di Cambrid-ge, avvenne nei primi anni Sessanta conil programma satirico That Was the WeekThat Was. Da allora in poi, la sua carrie-ra fu improntata ad affinare quell’indub-

bia capacità di mettere a proprio agiol’interlocutore. Portandolo a dire ancheciò che costui avrebbe volentieri taciuto.In circa cinquant’anni di presenza televi-siva, questa capacità portò Frost a collo-quiare con i principali protagonisti delsuo tempo. Oltre a quelli dei sei presi-denti statunitensi e degli otto primi mi-nistri inglesi, bastino (tra tutti) i nomi diNelson Mandela, Itzhak Rabin, MikhailGorbaciov, Indira Gandhi, BenazirBhutto, Yasser Arafat, Orson Welles,Vladimir Putin, Jacques Chirac, Marga-ret Thatcher. E Richard Nixon appunto,per le incredule orecchie dei ben 45 mi-lioni di telespettatori incollati davanti al-lo schermo. Un record assoluto per lastoria della televisione mondiale.

dimenticare sciagure come la pestedel Trecento che sconvolge la vitadelle popolazioni di tutta Europa, inparticolare quella degli ebrei per leaccuse loro attribuite di averne pro-vocato il contagio. Per arrivare infineagli editti funesti di Ferdinando ilCattolico del 1492, fonte di instabili-tà ebraica in tutto il Mediterraneo,compreso il sud d’Italia e di obbligoper gli ebrei spagnoli, trasformati inschiavi e profughi, di disperdersi neiquattro angoli del mondo.

ci sul cui sfondo simuove la vicenda seco-lare degli ebrei sono deimomenti, dei passaggiepocali con il loro se-guito di effetti che siesauriscono nel tempovenendone assorbiti, cisono fatti ed eventi del-la storia ebraica la cui

Marc Chagall, «L’ebreo errante. Sopra Vitebsk» (1914)

Cinquant’anni fa, il 4 settembre 1963, moriva Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’E u ro p a

Antieroe tra concretezza e utopiadi MICHELE MARCHI

Èdavvero un destino peculiare

quello di Robert Schuman. Lasua lunga e interessante carrierapolitica ha finito per essere con-densata nello spazio di un gior-no, il 9 maggio 1950, data di ini-

zio di quel processo di integrazione europeache ha condotto il Vecchio Continente dallemacerie della Guerra dei trent’anni a oltreun cinquantennio di pace e prosperità. Sen-za nulla togliere a quel momento simbolico,a cinquanta anni dalla scomparsa, è forseopportuno allargare un po’ lo sguardo eprovare a interpretare i gesti e le scelte poli-tiche di Schuman, descrivendo il retroterrapolitico-culturale che sta dietro all’immaginedel “padre dell’E u ro p a ”.

Per riuscire in un approccio di questo ge-nere è indispensabile muovere dalle originilorenesi di Schuman e intrecciare questo da-to con quello del suo profondo e partecipatocattolicesimo. Schuman diventa cittadinofrancese soltanto nel 1918 (dato che l’Alsaziae la Lorena tornano a essere territori francesisolo dopo la Prima guerra mondiale), all’etàdi 32 anni. La sua formazione culturale e ac-cademica avviene all’interno del contesto te-desco e ciò che lo lega maggiormente allaFrancia in questa prima parte della sua esi-stenza è proprio la fede cattolica. Infatti,seppur attraversata dalle laceranti tensioniprecedenti e successive al passaggio del 1905,la Francia resta pur sempre la fille aînée del’Eglise. E non a caso il neo-deputato RobertSchuman, eletto per la prima volta nellaChambre bleu horizon del dopo Prima guerramondiale, si definisce innanzitutto «deputa-to cattolico», portatore di un duplice e deci-sivo compito. Da una parte, favorire l’inseri-mento dei cattolici della Mosella, e più ingenerale della Lorena, all’interno di quelcattolicesimo francese in marcia verso ilcompleto reintegro nello spazio repubblica-no. E questo pur continuando a difenderel’autonomia religiosa e quella in materia diinsegnamento “confessionale” delle terre diAlsazia e Lorena dai progetti “laicisti” delCartel des Gauches di Herriot alla metà deglianni Venti. D’altra parte offrire il suo pecu-liare contributo di uomo di confine, portato-re di un culto della patria fatto di nazionali-smo repubblicano, ma avulso da qualsiasipulsione giacobina e centralizzatrice. E an-che su questo fronte, come non ricordare laposizione equilibrata e le critiche accentuateall’autonomismo alsaziano.

Più volte nei suoi interventi degli anniVenti e Trenta Schuman insiste sull’imp or-tanza di un apostolato profondamente catto-lico ma anche innervato di un intenso pa-triottismo, entrambi legati nel messaggio diuna Lorena cattolica e francese allo stessotempo e allo stesso modo. Francese, lorenesee cattolico sono in definitiva tre attributi inlui non separabili.

Un secondo decisivo passaggio sul qualesoffermarsi per andare un po’ più in profon-dità nella biografia politica di Schuman èquello della fase bellica. È in questa con-giuntura che emerge, e per certi aspetti siforgia, una personalità politica antieroica,contraria a qualsiasi forma di populismo edi demagogia e contestualmente pragmaticae realista. Schuman conosce la sua primaesperienza governativa nel momento in cuilo Stato francese sta scivolando nell’abissodell’occupazione nazista. Il 21 marzo 1940

egli entra, infatti, nel governo di PaulReynaud come sottosegretario al ministeroper i rifugiati. Già dai primi giorni digiugno, come Pétain, è convinto che l’unicavia per evitare il peggio sia quella dell’armi-stizio.

Un approccio di questo tipo si completacon il voto del 10 luglio 1940 a Vichy per at-tribuire i pieni poteri al maresciallo Pétain.Tale decisione segna il punto di massima di-varicazione tra Schuman e il resistente deGaulle, il generale che sceglie l’insub ordina-zione nei confronti dell’eroe di Verdun e of-fre così al Paese una via d’uscita dall’abbrac-cio mortale del nazismo hitleriano. Ma lastessa scelta deve anche essere utilizzata percomprendere a pieno il profilo politico diSchuman. Posto che egli non si soffermeràmai — né nei suoi interventi pubblici, né inprivato — su una decisione che più volte glicosterà attacchi (il resistente gollista AndréDiethelm non esiterà nel Quarantacinque adefinirlo «un prodotto di Vichy» e lo stesso

tà occupanti e dopo aver rischiato la depor-tazione in campo di concentramento, confi-nato ai domiciliari in una residenza nel Pala-tinato. Dopo circa due anni, nell’agosto del1942, riuscirà a fuggire e a raggiungere lazona “lib era”, di lì a poco anch’essa occupa-ta dalle truppe tedesche.

Solo avendo ben chiaro il quadro che si ècercato di delineare, si può comprendere apieno l’operato di quel Robert Schuman chedal 19 giugno 1946 all’8 gennaio 1953 è im-pegnato in incarichi governativi. Prima mi-nistro delle Finanze nel governo Bidault,poi presidente del Consiglio negli otto mesiforse più delicati della fase post-bellica (dalnovembre 1947 al luglio 1948, con il Paeseattraversato da un’ondata impressionante discioperi e sull’orlo della guerra civile dopol’uscita del Partito comunista francese dalgoverno) e infine per quasi cinque anni tito-lare degli Esteri. In questi anni di «serviziototale e totalizzante» al Paese (Schuman en-tra nel Movimento repubblicano popolaresolo l’8 novembre 1945, senza essere maiprotagonista nella vita di partito), il suo rea-lismo, il suo pragmatismo, la sua concretez-za e la sua distanza con la demagogia e iproclami a effetto si sono definitivamentedispiegati.

Due gli assi portanti del suo operato allaguida del Paese e della sua politica estera.Da un lato, come ricorda nel discorso di in-vestitura alla carica di Presidente del Consi-glio del novembre 1947 (intervento continua-mente interrotto dagli insulti provenienti daibanchi comunisti «Tedesco, Prussiano, As-sassino della Repubblica, abbasso il Bo-che»), «salvare e difendere la Repubblicadal caos e dalla minaccia a tutte le sue liber-tà fondamentali». Dall’altro, e questo in par-ticolare una volta preso il controllo del Quaid’Orsay, riuscire a risolvere quella “questio-ne tedesca” che ha portato Francia e Germa-nia a insanguinare e stravolgere l’Europa pertre volte tra la seconda metà dell’O ttocentoe la metà del Novecento. Ancora una voltaSchuman non abbandona il suo realismo,che lo porta a ricordare come «la mia espe-rienza personale m’impedisce di sognarequando si parla di Germania».

Ugualmente egli ha ben chiara la lezionedella storia, in particolare quella del periodosuccessivo alla Prima guerra mondiale. «Lastoria degli anni Venti e Trenta è stata, pertroppe volte, quella delle occasioni mancate(...). La fiducia tra popoli non s’i m p ro v v i s a ,né si impone. Desideriamo ristabilirla tra idue Paesi. Vi si potrà pervenire solo attra-verso una cooperazione in un quadro piùlargo, nel quale saremo in molti a dare pro-va di buona volontà. Questo quadro è l’Eu-ropa» (24 novembre 1949).

E infine egli, uomo per molti aspetti diinizio Novecento, ha ben chiare le nuoveesigenze, soprattutto statunitensi, impostedal nascente scontro bipolare. Sul finire de-gli anni Quaranta è oramai consapevole cheParigi non è più in grado di opporsi al com-pleto reintegro della Germania Occidentalenel novero della Nazioni libere e indipen-denti.

La proposta che Jean Monnet fa giungeresulla scrivania di Schuman sul finire di apri-le del 1950 è quel progetto concreto che ilministro degli Esteri da tempo cerca. Comegli ha più volte fatto notare Dean Achesonil tempo per Parigi è oramai scaduto e il ri-schio, all’incontro a tre (Stati Uniti — GranBretagna — Francia) previsto per il 10 mag-

gio 1950, è quello di essere scavalcati proprioda un progetto di Washington per la Re-pubblica Federale Tedesca. Ecco giungere laDichiarazione Schuman del 9 maggio 1950,un insieme virtuoso di concretezza e utopia.Come il giorno prima lo stesso Schuman hascritto nella lettera personale ad Adenauerche accompagna il testo della Dichiarazione,un’Europa che «nasce dalle realtà concreteche creeranno prima di tutto una solidarietàdi fatto». Ma anche, come commenta lostesso Schuman all’uscita del Salon del’Horloge del Quai d’Orsay letta la Di-chiarazione, un vero e proprio «salto nelvuoto».

Gli eventi successivi non richiedono gran-di precisazioni. Più delle interpretazioni edei tentativi di leggere la storia in senso fi-nalistico, sono ancora le parole di Schuman,in occasione del dibattito parlamentare perla ratifica del Trattato della Ceca del 6 di-cembre 1951, a descrivere la svolta. «Abbia-mo creduto giusto osare. Il tempo dirà seabbiamo avuto ragione. La Germania sareb-be stata più pericolosa se fosse rimasta isola-ta, se avesse potuto godere di tutta la sua li-bertà». Pochi giorni dopo, al Senato: «IlTrattato fornisce un contributo alla creazio-ne di un’Europa pacifica nella quale la Ger-mania avrà il suo spazio con uguali diritti,ma all’interno di una disciplina comune nel-la quale ogni contraente è garante della leal-tà dell’a l t ro » .

Il francese, lorenese e cattolico, portatoredi una religiosità profonda quanto sobria epersonale, raggiunge così forse il punto piùalto del suo “servizio” al Paese. Anche que-sto passaggio è condotto come atto di sotto-missione al volere della divina provvidenza,quel vivere sub specie aeternitatis, altro trattodistintivo dell’antieroe Robert Schuman.

Francese, lorenese e cattolicofurono per lui tre attributi non separabiliEra uomo di una religiosità profondasobria e personale

de Gaulle, un po’ meschinamente, dirà che«quanto a uniformi ha indossato solo quellatedesca») e il rischio di non potersi candida-re per l’elezione dell’Assemblea Costituentedell’ottobre 1945 (un intervento di de Gaullecancellerà l’ineleggibilità), il passaggio deveessere analizzato con attenzione e accostatoalla decisione immediatamente successiva,quella cioè di lasciare il sud del Paese con-trollato da Vichy, per raggiungere Metz, inpiena zona di occupazione nazista.

C’è una sorta di vocazione al martirio nelvoler raggiungere i propri concittadini, inlarga parte scacciati dalle loro abitazionisull’onda della furia dell’occupante. La scel-ta di Vichy e quella di Metz sono le due fac-ce della stessa medaglia, descrivono un lega-lista e non un resistente. Quello stessoSchuman che vota i pieni poteri a Pétain econsidera, nel luglio del 1940, il suo regimelegittimato a governare ciò che resta del Pae-se in quanto investito dei pieni poteri dalParlamento sovrano e repubblicano, è lastessa persona che desidera continuare il suo“servizio”, accanto a quella popolazione cat-tolica, lorenese e francese che dalla sua pri-ma elezione del 1919 ha scelto di rappresen-tare e guidare, in pace così come in condi-zioni estreme come quelle del 1940.

Nemmeno due settimane dopo il suo arri-vo a Metz, Schuman è arrestato dalle autori-

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 lunedì-martedì 2-3 settembre 2013

Cristiani e musulmani nelle parole di due protagonisti del dialogo in Francia

Insiemecercatori di Dio

È uscito in Francia il 29 agosto Leprêtre et l’imam. Entretiens avecAntoine d’Abbundo ( Mo n t ro u g e ,Bayard Éditions, 2013, pagine 183,euro 17), di padre Christophe Roucou,direttore del Servizio nazionale per lerelazioni con l’islam, e dell’imam TareqOubrou, rettore della Grande moscheadi Bordeaux. Pubblichiamo una nostratraduzione della prefazione, scritta dalpresidente del Pontificio Consiglio peril Dialogo Interreligioso.

di JEAN-LOUIS TAU R A N

Quando chiuderete questo libro, sa-rete più ottimisti. Due amici, duecredenti, due membri attivi delle lo-ro rispettive comunità, non solo ciinsegnano che il dialogo interreli-gioso è una realtà molto concreta,ma dimostrano anche che non sitratta di un dialogo tra specialisti,tra teologi, ma di un dialogo tracredenti. Non sono le religioni adialogare, sono i credenti. Cono-scendo personalmente i due interes-sati, il rigore di Tareq e la fedegioiosa di Christophe, sono certoche molti lettori scopriranno le pre-disposizioni interiori di questi due“dialoganti”: rispetto, attenzione,p erseveranza.

Leggendo queste pagine si perce-pisce bene che all’origine della loroamicizia e della loro collaborazionec’è una comune ambizione: ascolta-re, accogliere, comprendere e amare.È un punto sul quale vorrei insiste-re, è la necessità di imparare adascoltare. Ciò presuppone che io siaintellettualmente e affettivamentedisponibile per l’altro. Non si trattadi mettere tra parentesi la propriafede, di valutare le ricchezze dell’al-tro, di cercare semplicemente nell’al-tro quel che assomiglia di più a ciòin cui io credo; sarebbe la negazio-ne del dialogo. Si tratta al contrariodi avvicinarmi all’altro nella sua al-terità, di ascoltare la presenzadell’Altro. Si tratta di accettare ladiversità. Tutte le risposte di padreChristophe Roucou e dell’imamTareq Oubrou mostrano bene chel’ascolto non è qualcosa di passivo,ma è attenzione e volontà di averefiducia nell’interlocutore. Non è unaquestione di orecchio, ma è soprat-tutto un atteggiamento interiore.Quando tale dialogo si fonda su unascolto insieme silenzioso e deside-roso di comprendere, allora divienetrasparente ed è facile denunciare ipregiudizi che spesso sono all’origi-ne delle nostre difficoltà.

Leggendo le risposte incisive diTareq e di Christophe, si possonoanche intuire gli ostacoli in grado diannientare la costruzione pazientedegli scambi: una fede fragile, unaconoscenza superficiale dell’altro, ifattori socio-politici, l’intolleranza,l’assenza di reciprocità. Ma possia-mo anche intuire gli elementi che“salvano” ogni dialogo interreligio-so: la fiducia reciproca dei credenti,la valutazione realistica delle condi-zioni socio-politiche nelle quali vi-vono, la possibilità d’incontrarsi inoccasione delle feste religiose e tuttociò che la vita quotidiana proponein termini di servizio e di collabora-zione al bene comune. Come dicegiustamente Christophe Roucou: «Ènella relazione con Dio che si co-struisce un certo tipo di uomo, unacerta umanità. Le società totalitarieci hanno insegnato che quando Dioviene messo da parte, anche l’uomoviene dimenticato. Mi sembra inol-tre importante e urgente riaffermareche noi postuliamo che l’altro è unfratello in umanità perché crediamoche Dio ci ha creato, gli uni e gli al-tri. È su di Lui che si fonda questafraternità» (pag. 44).

Ma tutto ciò non è un’attività auso interno delle nostre rispettivecomunità: i credenti che devonoconfrontarsi con la diversità cultura-le e religiosa, con i misteri e le diffi-coltà della vita, possono contribuirecon il loro esempio al rinnovamentodelle società. Poiché sanno vivere ladiversità nell’unità, aiutano le socie-tà plurali ad accettare e a capire glialtri. Come dice Tareq Oubrou: «Sivive con Dio per vivere meglio congli altri. Tipico della fede è far usci-re l’essere umano dal suo ego perfarlo entrare nell’Alterità assoluta efare così posto agli altri uomini. Ècosì che l’individuo si realizza: nelsuo rapporto con Dio, nella sua co-munità spirituale, nella sua società,nella sua umanità, nell’universo»(pag. 90-91).

Si può dunque vedere delinearsiin queste pagine una pedagogia deldialogo che consiste nel formare le

comunità (religiose o non) alla dif-ferenza: alla capacità di vedere l’al-tro come un dono e non come unaminaccia. Per noi cristiani, in parti-colare, l’altro è colui che è semprecapace di fare l’esperienza di Dio.Le nostre città saranno sempre piùmulti-etniche e multi-religiose. Intal senso, padre Roucou e l’imamOubrou ci aiutano a credere insie-me, a condividere i nostri valori e lenostre esperienze, e a testimoniarela nostra religione, in un contestomulti-religioso, talvolta anti-religio-so. Attraverso la serietà del loro im-pegno e l’onestà delle loro risposte,ci mostrano bene che il dialogo in-terreligioso è tutt’altra cosa rispettoall’entusiasmo del cuore. È un im-pegno che presuppone una certaascesi, disciplina e molta pazienza.È anche una rimessa in discussionesalutare: quando dobbiamo definircicome cristiani o come musulmani difronte all’altro, è l’intera nostra vitache dobbiamo esaminare. Ma tuttoin definitiva si basa sulla fiducia esull’amicizia degli interlocutori etutto finisce in una fraternità reali-stica e, speriamo, contagiosa.

Dobbiamo essere grati ai nostridue amici che ci aiutano a costruiree a vivere con loro un dialogo chefavorisce la maturità nella fede, ildesiderio di approfondirla sempre

più e di liberarla dalle sue false si-curezze, e a mantenere socchiusa laporta che si apre sul misterodell’uomo. Il dialogo può essere ineffetti l’appello di Dio alla fraternitàuniversale. Mi guarderò bene daldimenticare che tutte queste paginesono attraversate dalla preghiera. Illettore scoprirà, attraverso formulefacili da ricordare, l’esperienza spiri-tuale di questi due pellegrini dellaverità. La preghiera nutre il dialogoe l’orienta verso la verità, il cammi-no che conduce a Dio passa perl’uomo e il più grande servizio chepossiamo rendere ai nostri fratelli inumanità è fare il bene, comportarcicome credenti credibili, capaci diamare persino il nemico e di serviretutti gli uomini.

Papa Benedetto XVI, che è statouno dei più ardenti promotori deldialogo islamico-cristiano, nel di-cembre del 2012 invitava i suoi col-laboratori a non aver paura di«prendere il largo nel vasto maredella verità». È a questa navigazio-ne serena che ci invitano le presentipagine poiché «non si dialoga soloper imparare a vivere insieme, maanche per vivere insieme comecercatori di Dio», come affermagiustamente Christophe Roucou(pag. 56).

Messaggio del patriarca ecumenico in occasione dell’inizio del nuovo anno ecclesiastico

L’arroganza dell’uomomette in pericolo il creato

IS TA N B U L , 2. Non ci sono solo leazioni distruttive visibili — come ladeforestazione, l’esaurimento dellerisorse idriche, lo sfruttamento com-plessivo delle fonti naturali e dienergia, l’inquinamento di interi ter-ritori o di regioni marine attraversolo spargimento o il deposito di ma-teriali tossici e chimici — ma anchequelle invisibili a occhio nudo:«Stiamo parlando degli interventisui geni di esseri viventi e dellacreazione di mutazioni con sviluppiimprevedibili, come ad esempio lascoperta di modi per liberare vastipoteri, atomici e nucleari, il cui usoimproprio può cancellare tutte letracce della vita e della civiltà sulnostro pianeta». Questa è «avidità,amore per il potere, l’arroganza daparte di alcuni che sembrano oppor-si alla saggezza di Dio e si conside-rano in grado di migliorare la suaopera». Gli antichi greci «chiamava-no questa condizione spirituale,questa arrogante insolenza hýbris».Lo scrive il patriarca ecumenico,Bartolomeo, arcivescovo di Costan-tinopoli, nel suo messaggio perl’inizio del nuovo anno ecclesiastico,domenica 1° settembre, che tradizio-nalmente la Chiesa ortodossa dedicaalla difesa dell’ambiente.

Bartolomeo precisa che «natural-mente non siamo contrari alla ricer-ca scientifica, a patto che forniscabenefici per l’umanità e l’ambiente.Pertanto l’uso di scoperte scientifi-che, ad esempio, per la guarigionedi malattie, è sicuramente accettabi-le, ma lo sfruttamento commercialedi risorse derivate dalla tecnologiachimica e biologica, alla luce diqualche conclusione predeterminatasecondo cui esse non sarebbero dan-nose all’umanità, va certamente de-nunciato perché ha più volte porta-to a tragiche conseguenze perl’umanità e l’ambiente». La condi-zione dunque «è che la ricerca el’utilizzo di conoscenze non devonomirare unicamente al profitto o di-ventare un tentativo arrogante di co-struire una nuova torre di Babele, inbase alla quale le creature di Diocercano di raggiungere e forse, conla presunzione di alcuni, superare ilCreatore stesso. Purtroppo — ricor-da il patriarca — a volte gli esseriumani dimenticano il fatto che “liha creati colui che è principio e au-tore della bellezza” (Sapienza, 13, 3)e che “la mia mano ha posto le fon-damenta della terra, la mia destraha disteso i cieli” (Isaia, 48, 13)».

Di conseguenza — conclude l’a rc i -vescovo di Costantinopoli — «è no-

stro dovere, come pastori dellaChiesa e come persone di spirito edi scienza, nonché come cristianidevoti, pregare il Creatore affinché

illumini gli scienziati in modo chepenetrino nei misteri della naturacon umiltà di fronte a Dio e rispettoverso le leggi naturali».

Gli anglicanisi consultano

in retesullo sviluppo

Gli anglicani di tutte le pro-vince del mondo potranno in-dicare attraverso un incontroin rete le proposte e gli orien-tamenti per lo sviluppo mon-diale da sottoporre alle Nazio-ni Unite. Si tratta, rendononoto gli anglicani, del primoseminario del genere.

L’Alleanza anglicana, l’or-ganismo di assistenza per tuttii fedeli della Comunione an-glicana, ospiterà, dunque,mercoledì 4 settembre, il di-battito sulla sua sua piattafor-ma informatica. Prenderannoparte all’evento l’a rc i v e s c o v oMauricio Andrade dal Brasile,dal Burundi l’arcivescovo Ber-nard Ntahoturi e il vice segre-tario generale delle NazioniUnite ed ex ministro del Re-gno Unito per l’Africa, BaronMallo ch-Brown.

Gli organizzatori — riferiscel’agenzia Acs - Anglican News— sostengono che «questoevento sarà l’occasione perascoltare i leader anglicani eoffrire loro proposte e opinio-ni, nonché discutere i nuoviobiettivi per lo sviluppo mon-diale dopo il 2015». L’Allean-za anglicana infatti ha orga-nizzato questo dibattito men-tre i leader mondiali si stannopreparando a concordare inuovi obiettivi per lo sviluppodel pianeta che sostituirannogli obiettivi di sviluppo delMillennio che terminano nel2015. L’organismo ha già par-tecipato al dibattito attraversola sua partecipazione alle di-scussioni riguardanti «Il mon-do che vogliamo», organizza-to dallo United Nations De-velopment Programme (Un-dp), il programma delle Na-zioni Unite per lo sviluppoche fa capo al Consiglio eco-nomico e sociale dell’Assem-blea generale dell’Onu). Frale iniziative evidenziatedall’organismo delle NazioniUnite figura anche il lavoroinnovativo condotto dagli an-glicani in Bangladesh per darealle donne nelle zone ruraliuna voce nel dibattito globale,organizzando per loro unospeciale sondaggio.

In Svizzera una comunità interreligiosa presso l’Istituto ecumenico di Bossey

Per la promozione del rispetto reciproco

Pieter Bruegel il Vecchio, «Piccola torre di Babele» (1563), Rotterdam

BO S S E Y, 2. Giovani di fede cristiana,musulmana ed ebraica hanno creatouna comunità presso l’Istituto ecu-menico di Bossey, in Svizzera. I ra-gazzi, quest’estate hanno partecipatoa un corso dal titolo: «Costruire unacomunità interconfessionale». Insie-me, si sono riconosciuti nella neces-sità di rompere gli stereotipi religio-si, di promuovere il rispetto recipro-co e di migliorare la loro compren-sione delle altre religioni superandole conflittualità. «Per me il corso —ha detto Oriya Gorgi, giovane ebreodi Ashdod — è stato un’opp ortunitàdi imparare e conoscere le altre reli-gioni. Uno spazio accademico peraffrontare questioni relative ai rap-porti con le comunità religiose che,altrimenti, potrebbero essere consi-derate troppo sensibili. A Bossey —ha aggiunto — abbiamo discusso di-verse questioni, dal ruolo delle don-ne nell’Islam ai valori comuni dellapace all’interno del cristianesimo edell’ebraismo. Gli argomenti trattatisono stati intensi e coinvolgenti enon sempre siamo stati d’a c c o rd o .Tuttavia, alla fine ho scoperto sem-pre qualcosa di nuovo anche sullamia fede. Questa è la scoperta checi porta al rispetto reciproco, allatolleranza e all’accettazione dell’al-t ro » .

I giovani di Bossey hanno anchevoluto condividere diverse espressio-ni di preghiera e spiritualità, e han-no preso parte a sessioni plenarie ediscussioni di gruppo.

Per Mataiva Dorothy Robertson,il corso ha fornito una vasta com-prensione delle relazioni multi con-fessionali. Robertson, 34 anni, meto-dista, inizialmente temeva di com-

promettere la propria identità di fe-de cristiana. «La mia comprensionedella fede era stata in qualche modolimitata solo alla mia verità. Comun-que, alla fine ho abbracciato la co-munità interreligiosa con tutto ilcuore. Le conversazioni con i mieifratelli musulmani ed ebrei mi han-

no dato la conoscenza che mi man-cava».

Approfondimenti della Bibbia,del Corano e della Torah hanno fat-to capire ai giovani come le religionicondividono i valori comunidell’umanità che possono essere uti-lizzati per costruire l’armonia, lagiustizia e la pace per tutti.

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L’OSSERVATORE ROMANOlunedì-martedì 2-3 settembre 2013 pagina 7

Messa di Benedetto XVI per i partecipanti all’incontro annuale dei suoi ex alunni

Chi scende per servireCi troviamo sulla via giusta se pro-viamo a diventare persone che«scendono» per servire, portando lagratuità di Dio al mondo. Lo ha af-fermato Benedetto XVI nella messacelebrata domenica mattina, 1° set-tembre, nella cappella di Santa Ma-ria Madre della Famiglia, nel palaz-zo del Governatorato dello Statodella Città del Vaticano, in occasio-ne del tradizionale seminario estivodei suoi ex allievi, il cosiddettoRatzinger Schülerkreis.

L’incontro degli studenti diJoseph Ratzinger si è svolto, comedi consueto, a Castel Gandolfo:quest’anno, però, Benedetto XVI nonha preso parte ai lavori. La trentot-tesima edizione è stata dedicata alla«questione di Dio sullo sfondo dellasecolarizzazione» alla luce della pro-duzione filosofica e teologica diRémi Brague, filosofo e storicofrancese premiato con il PremioRatzinger 2012 per la teologia.

Alla messa hanno partecipato cir-ca cinquanta persone. Con Benedet-to XVI hanno concelebrato, tra glialtri, i cardinali Kurt Koch, presi-dente del Pontificio Consiglio per laPromozione dell’Unità dei Cristiani,e Christoph Schönborn, arcivescovodi Vienna; l’arcivescovo GeorgGänswein, prefetto della CasaPontificia, il vescovo BarthélemyAdoukonou, segretario del Pontifi-cio Consiglio della Cultura, e il ve-scovo ausiliare di Amburgo, monsi-gnor Hans-Jochen Jaschke.

Ognuno nella vita vuole trovare ilsuo posto buono: ma quale è vera-mente il posto giusto? L’omelia diRatzinger è stata, in fondo, una ri-sposta a questa domanda a partiredal Vangelo domenicale, nel qualeGesù invita proprio a scegliere l’ulti-mo posto. «Un posto che può sem-brare molto buono, può rivelarsi per

essere un posto molto brutto» hadetto: accade così che «i primi» sia-no stati rovesciati e improvvisamentesiano diventati «ultimi». Anche du-rante l’ultima Cena i discepoli litiga-no per i posti migliori: Gesù si pre-senta invece come colui che serve.«Nato nella stalla» e «morto sullaCroce» — ha affermato BenedettoXVI — «ci dice che il posto giusto èquello vicino a lui, il posto secondola sua misura». E l’apostolo, inquanto inviato di Cristo, «è l’ultimonell’opinione del mondo» ma pro-prio per questo è vicino a Gesù.

«Chi in questo mondo e in questastoria — ha affermato — forse vienespinto in avanti e arriva ai primi po-sti, deve sapere di essere in pericolo;deve guardare ancora di più al Si-gnore, misurarsi a lui, misurarsi allaresponsabilità per l’altro, deve di-ventare colui che serve, quello che

nella realtà è seduto ai piedi dell’al-tro, e così benedice e a sua volta di-venta benedetto».

Nella pagina evangelica il Signorericorda che chi si esalta sarà umilia-to e chi si umilia sarà esaltato. E co-sì Benedetto XVI ha rimarcato che«Cristo, il Figlio di Dio, scende perservire noi e questo fa l’essenza diDio», che «consiste nel piegarsi ver-so di noi: l’amore, il sì ai sofferenti,l’elevazione dall’umiliazione». Eccoperché «noi — ha spiegato — ci tro-viamo sulla via di Cristo, sulla giu-sta via se in sua vece e come lui pro-viamo a diventare persone che“scendono” per entrare nella veragrandezza, nella grandezza di Dioche è la grandezza dell’amore». Delresto, «la croce, nella storia, è l’ulti-mo posto» e «il crocifisso non hanessun posto, è un non-posto»: èstato spogliato, «è un nessuno», ep-

pure Giovanni nel Vangelo vede«questa umiliazione estrema» come«la vera esaltazione».

«Così, Gesù è più alto; sì, è all’al-tezza di Dio — ha continuato — p er-ché l’altezza della croce è l’altezzadell’amore di Dio, l’altezza della ri-nuncia di se stesso e la dedizioneagli altri. Così, questo è il posto di-vino, e noi vogliamo pregare Dioche ci doni di comprendere questosempre di più e di accettare conumiltà, ciascuno a modo proprio,questo mistero dell’esaltazione edell’umiliazione».

Benedetto XVI ha quindi ricordatoche Gesù esorta a «invitare» i para-litici, gli storpi, i poveri, perché luistesso lo ha fatto invitando «noi allamensa di Dio» e mostrandoci inquesto modo cosa sia la gratuità.L’economia si poggia sulla «giusti-zia commutativa», sul do ut des. Mapersino in questo ambito rimanequalcosa di gratuito, ha precisatoBenedetto XVI, sottolineando che«senza la gratuità del perdono nes-suna società può crescere»; tanto èvero che le più grandi cose della vi-ta, cioè «l’amore, l’amicizia, la bon-tà, il perdono», «non le possiamopagare», perché «sono gratis, nellostesso modo in cui Dio ci dona a ti-tolo gratuito».

«Così, pur nella lotta per la giu-stizia nel mondo, non dobbiamomai dimenticare — ha spiegato — lagratuità di Dio, il continuo dare ericevere, e dobbiamo costruire sulfatto che il Signore dona a noi, checi sono persone buone che ci dona-no gratis la loro bontà, che ci sop-portano a titolo gratuito, ci amano esono buone con noi gratis; e poi, anostra volta, donare questa gratuitàper avvicinare così il mondo a Dio,per diventare simili a lui, per aprircia lui».

A Messina il cardinale Amato beatifica Antonio Franco

Un pastorepiù povero dei poveri

«Pastore secondo il cuore di Cristo,zelante testimone della carità evan-gelica». Le parole usate da PapaFrancesco per definire AntonioFranco (1585-1626), prelato ordina-rio di Santa Lucia del Mela, rie-cheggiano lunedì pomeriggio, 2 set-tembre, nella cattedrale di Messina.Le ripropone il cardinale AngeloAmato, prefetto della Congregazio-ne delle Cause dei Santi, il quale,in rappresentanza del Santo Padre,presiede il rito per la beatificazionedi questo esemplare testimone dellafede, il quale «non aveva limiti neldare» come sottolinea il porporatonella sua omelia. Antonio Franco«dava secondo il bisogno, dava tan-to da ridursi spesso a essere più po-vero dei poveri».

Un’opera caritativa, la sua, che,come afferma il cardinale Amato, siesprimeva «anche verso gli ammala-ti, che visitava spesso e al cui ca-pezzale accorreva anche di notteper prepararli all’ultimo passo». Edera un’opera accompagnata da unainstancabile azione pastorale, che siintensificò quando nel 1616 il re diSpagna, Filippo III, nominò Francoabate e prelato ordinario della p re -latura nullius di Santa Lucia delMela in Sicilia, con gli stessi privi-legi episcopali del suo predecessore.

A quel tempo, ricorda ancora ilcardinale Amato, la prelatura avevacirca 4.200 abitanti, quasi tutti con-tadini e pastori. Il nuovo beato sidistinse per lo zelo a favore dellapopolazione e del clero. «Per unvescovo — dice il porporato — nonè sufficiente essere personalmentesanto, bisogna anche che egli edu-chi i suoi fedeli ad avere costumionesti, pii, evangelici».

Egli, aggiunge, «spese gli ultimianni della sua vita proprio alla for-mazione del popolo di Dio, alla cuisantificazione contribuì con i sinodidiocesani annuali, con le ammoni-zioni emesse con prudenza e avve-dutezza, con le solenni feste religio-se, con la preparazione e la fre-quenza ai sacramenti, con le visitealle chiese, ai monasteri, agli ospe-dali, alle confraternite, con l’i s t ru -zione civile e religiosa dei piccoli,con l’istituzione di scuole per i gio-vani e le giovani».

Da zelante pastore, «si interessòdella promozione delle vocazioni,della formazione iniziale dei chiericie di quella permanente dei sacerdo-ti». Si narra, fa notare il porporato,«che con la sua solerzia e il suo ze-

lo, alla sua morte lasciò in SantaLucia un clero di ben settanta pre-sbiteri secolari e di ottanta chierici,senza tener conto dei sacerdoti re-golari e dei religiosi». Un fatto im-portante per una diocesi molto pic-cola come quella di Santa Lucia delMela. Monsignor Franco, infatti, halasciato una traccia indelebile nellacomunità, in quanto la sua diffusafama di santità, nonostante sianopassati quasi quattro secoli dallasua morte, è «giunta intatta e vivafino a noi».

A questo proposito, ricorda ilcardinale Amato, monsignor Francoancora vivente «era venerato per lasua vita santa e per la sua fama ditaumaturgo, con interventi prodi-giosi a favore degli ammalati e deicontadini, che chiedevano la piog-gia per i loro campi o l’allontana-mento delle intemperie dai loro rac-colti».

Il prelato morì in odore di santi-tà, il 2 settembre 1626, consumatodalle penitenze e dalle privazionialle quali si sottoponeva in spiritodi sacrificio.

Il cardinale Bertone nel santuario di Siracusa

La Siriaaffidata a Maria

Lutto nell’episcopato

Monsignor William John Bren-nan, vescovo emerito di WaggaWagga, in Australia, è morto alleore 15 di sabato 31 agosto aSydney. Aveva settantacinque an-ni. Nel 2002 il presule era statocolpito da una grave malattiache lo aveva costretto all’infermi-tà. Nato il 16 febbraio 1938 adArncliffe, nell’ardicioesi diSydney, era stato ordinato sacer-dote il 21 dicembre 1960 dal car-dinale Agagianian, per la diocesidi Wilcannia-Forbes. Quindi il16 gennaio 1984 era stato nomi-nato quarto vescovo di WaggaWagga e il 1° marzo aveva rice-vuto l’ordinazione episcopaledall’arcivescovo Clancy. Il 3 feb-braio 2002 aveva rinunciato algoverno pastorale della diocesi.Le esequie di monsignor Bren-nan saranno celebrate venerdì 6settembre, alle ore 11.30, nellacattedrale di San Michele aWagga Wagga.

Conclusa a Bergamo la Settimana liturgica nazionale

Nell’orizzonte della teologia conciliaredi GIULIANO ZANCHI

Si è appena svolta a Bergamo, dal26 al 30 agosto, l’annuale celebra-zione della Settimana liturgica na-zionale con il titolo «Cose nuove ecose antiche. La liturgia a 50 annidal Concilio». Da sessantaquattroanni il Centro di azione liturgica(Cal), come culmine del proprioquotidiano impegno per la cura diuna corretta sensibilità liturgica,promuove una settimana di conve-gno nella quale studiosi della mate-ria ne approfondiscono analitica-mente la posta in gioco teorica por-tandola il più possibile vicino allesue necessarie e indispensabili rica-dute pastorali. La Settimana liturgi-ca è così diventata nel tempo un at-teso punto di riferimento per moltisacerdoti, religiosi e laici quotidiana-mente alle prese con la fascinosa ecomplessa arte del celebrare, che datutta Italia raggiungono la sede an-nuale del convegno. Quest’anno èstata la volta di Bergamo, già teatrodella Settimana liturgica in due pre-cedenti occasioni (1972 e 1987).

L’ambientazione bergamasca dellaSettimana liturgica 2013 è stata rac-comandata da diversi e significativianniversari. Innanzitutto il sessante-simo anniversario della morte diAdriano Bernareggi. Vescovo di Ber-gamo dal 1936 al 1953, precoce esensibile cultore di una cultura este-tica e liturgica che avrebbe prepara-to il terreno ai temi del concilio,Bernareggi è stato il primo presiden-te del Cal, che contribuì a fondarefin dall’ottobre del 1947, pochi mesiprima della pubblicazione dell’enci-clica Mediator Dei di Pio XII. Ma inquesto stesso anno si aggiungono ilcinquantesimo anniversario dellamorte di Giovanni XXIII, Papa ber-gamasco del concilio Vaticano II,nonché il cinquantesimo anniversa-rio di promulgazione del decretoconciliare sulla liturgia S a c ro s a n c t u mconcilium. Nell’anno che celebra l’an-niversario dell’indizione del Vatica-no II è sembrata una scelta quasidovuta quella di dedicare la Setti-mana liturgica a una memoria ragio-nata della riforma liturgica — primofrutto concreto dei lavori conciliari— e un bilancio spassionato dellasua applicazione pastorale. I duemomenti difatti — quello delle inten-zioni profonde della riforma e quel-lo della sua attuazione — si sonosusseguiti con una repentinità checertamente ha impresso slancio ecordialità immediati al bisogno di

una riforma della liturgia per la vitadella Chiesa, ma nello stesso tempoha portato con sé un impeto talvoltaimpermeabile al bisogno di un pa-ziente e prolungato accompagna-mento teologico e pastorale. La cir-costanza è probabilmente all’originesia della precipitosa leggerezza di ta-luni esperimenti di rinnovamento li-turgico abbandonati a derive inac-cettabili. Sia alla fragilità complessi-va di una media prassi liturgica chestenta a ritrovare realmente lo slan-cio spirituale e la verità umana chesi addicono alla celebrazione cristia-na. Si comprendono forse solo ades-so il bisogno e i criteri di una neces-saria arte del celebrare senza la qua-le i cambiamenti concreti apportatial rito scadono a piccoli espedientidi semplificazione linguistica.

L’impianto generale del convegno(elaborato in collaborazione con ladiocesi di Bergamo) ha inteso quin-di ricollocare la questione della ri-forma liturgica nell’orizzonte dellegrandi categorie di fondo della “teo-logia” conciliare: il rinnovato sguar-do sulla Rivelazione (Dei Verbum),un’ecclesiologia di comunione (Lu-men gentium), una cordiale fraternitàcon la cultura degli uomini (Gau-dium et spes). Sacrosanctum conciliume la riforma liturgica nascono comefrutto circolare di queste poste ingioco di fondo che con il conciliohanno rinnovato il volto della Chie-sa e la sua missione nel mondo.

Lo ha mostrato con lucidità laprolusione introduttiva di monsi-gnor Felice di Molfetta, vescovo diCerignola - Ascoli Satriano e presi-dente del Cal, in una relazione intri-sa di una personale memoria deigiorni conciliari. «Proprio nella di-namica tra nova et vetera — ha affer-mato il presule — il Vaticano II è di-ventato come un “segno di contrad-dizione” nella Chiesa di questi cin-quant’anni. Né ciò dovrebbe meravi-gliarci se consideriamo che tutti igrandi concili hanno sempre suscita-to un momento di forte impatto cri-tico; essi sono infatti un atto di tra-dizione vivente: in quanto atto ditradizione, il Vaticano II ha intesotornare alle origini, partendo da unadomanda presente; in quanto attovivente, la ripresa dall’inizio ha rap-presentato un gesto nuovo di discer-nimento dell’epoca attuale».

Il lavori sono stati condotti secon-do la triplice scansione degli attifondamentali della vita cristiana: laparola, il rito, la comunità. La gran-de architrave conciliare sta nella ri-

scoperta di una concezione non dot-trinalistica della rivelazione. Dioparla nella storia e lo fa attraversoparole umane. La Scrittura in questosenso è parte di un evento più com-plessivo. Discende da queste catego-rie di fondo la restituzione alla vitacristiana di una Liturgia della Paro-la. Monsignor Ermenegildo Mani-cardi, biblista e rettore dell’AlmoCollegio Capranica, innestandosi nelsolco di questi ragionamenti, hamesso in luce i criteri necessari allanaturale connessione fra testimo-nianza biblica e proclamazione dellaParola di Dio. La Parola è vivaquando essa è proclamata come attovivente del Cristo vivo. Da questopunto di vista, don Paolo Tomatis,direttore dell’ufficio liturgico diTorino, ha sondato il caso serio del-la predicazione, autentica riscopertadella liturgia conciliare, nella qualel’atto con cui la Chiesa interpreta laParola è esso stesso parte integrantedella liturgia. Sotto questo profilo lapredicazione nella Chiesa rende vivala Parola solo quando è in grado direnderla luce per le concrete que-stioni di vita dell’uomo di oggi. Diocontinua a parlare all’uomo solo esoltanto con parole umane.

Goffredo Boselli, monaco di Bo-se, ha trattato la questione dell’elo-quenza del gesto liturgico, conside-rando la questione attraverso il temaspecifico della fractio panis. I gestidell’ordine rituale sono tanto piùeloquenti quanto più essi mantengo-

no la loro radice spirituale nell’elo-quenza stessa del gesto fondatore diGesù. Monsignor Franco GiulioBrambilla, vescovo di Novara e giàpreside della Facoltà teologica del-l’Italia settentrionale, ha stretto ilfuoco dell’indagine sul “caso serio”dell’eucaristia domenicale. La voca-zione liturgica della vita cristiananon si esaurisce nella celebrazioneeucaristica. Tuttavia essa ne è comeil centro simbolico. Essa rappresentail metronomo concreto dell’o rd i n a r i acostruzione comunitaria della Chie-sa. I convegnisti hanno potuto an-che godere di una preziosa testimo-nianza dell’arcivescovo Loris France-sco Capovilla, già segretario di Gio-vanni XXIII, da molto tempo resi-dente a Sotto il Monte, paese nataledi Papa Roncalli. La settimana litur-gica si è conclusa come d’abitudinecon una relazione di Enzo Bianchi,priore di Bose, che ha fatto dellasua comunità monastica uno deiluoghi di maggiore impegno per ildiscernimento conciliare della que-stione liturgica. La sua relazione hamesso bene in luce come le sceltedella riforma liturgica vanno certa-mente scagionate dall’imputazionedi essere le principali responsabilidelle disillusioni pastorali dei decen-ni successivi il concilio. L’appunta-mento si è concluso con l’annuncioche la prossima edizione, la sessan-tacinquesima, che verrà ospitata dal-la diocesi di Orvieto-Todi.

Un’intensa preghiera perché in Si-ria torni a regnare la pace si è leva-ta ieri, domenica 1 settembre, anchedal santuario siracusano dedicatoalla Madonna delle lacrime, dove ilcardinale segretario di Stato, Tarci-sio Bertone, ha presieduto la cele-brazione per il sessantesimo anni-versario della lacrimazione. «La tor-mentata vita dell’umanità in questa"valle di lacrime" — ha detto tra l’al-tro iniziando la sua omelia — o f f reanche oggi immagini dolorose cheattraggono gli occhi misericordiosidella nostra Madre celeste. Sonoimmagini terribili che Papa France-sco ha richiamato, pronunciandoun forte appello per la pace in Siriae nel mondo alla preghiera dell’An-gelus di stamane».

E dopo aver riproposto le paroledel Pontefice ha chiesto di unire laloro preghiera a quella del Papa edi porla «nelle mani di Maria Regi-na della pace». Del resto, ha nota-to, le letture bibliche della celebra-zione eucaristica hanno offerto«l’opportunità di una appropriatariflessione per sottolineare come lapresenza mistica di Maria, che quivolle lasciare il segno della suacompassione per le sofferenze uma-ne, sostiene lungo i secoli la fede,la speranza e la carità del popolocristiano, accompagna il camminodei suoi figli nella storia e condivi-de il loro pianto»

Il porporato ha poi posto l’ac-cento su tre atteggiamenti delleVergine, «rimanere, ascoltare e ac-cogliere» nei quali «si riassumel’esistenza di Maria, la sua vocazio-ne, la sua missione. E poiché Maria

è la madre e il modello della Chie-sa, questi sono anche i verbi che se-gnano la sequela Christi». Proprioin quanto modello le sue lacrimeassumono un significato particolareper i fedeli. «Quello delle lacrime— ha detto in proposito — è un lin-guaggio universale, che manifesta lacompassione di Dio. E la Chiesa,che riceve da Maria questo messag-gio, è chiamata a diventarne amba-sciatrice». Il cardinale ha poi citatoalcune immagini «semplici ed effi-caci» utilizzate in questi mesi daPapa Francesco «per parlarci diDio e del suo amore» e ha conclu-so ricordando tra l’altro che «ilpianto di Maria è come il “colliriodella memoria” contro l’idolatriadel presente, un collirio che ci aiutaad avere uno sguardo pieno di spe-ranza verso il futuro; uno sguardopieno di fede, per essere pronti allaconversione e docili allo Spirito».

Al termine della celebrazione ilsegretario di Stato, su richiesta delrettore del santuario siracusano, haincontrato un gruppo di giornalistie ha risposto ad alcune loro do-mande. In particolare il cardinaleBertone ha voluto ricordare e sotto-lineare le linee portanti che hannoispirato e sostenuto il suo serviziosvolto in Segreteria di Stato — traqueste, un rapporto armonizzatotra fede e ragione, tra diritto e leg-ge naturale, fra tradizione e moder-nità — richiamando poi alcuni avve-nimenti memorabili, tra i quali legiornate mondiali della gioventù diSydney e Madrid con BenedettoXVI e di Rio de Janeiro con PapaFr a n c e s c o .

Page 8: Impegno per la pace · porta alla pace. Guerra chiama guer-ra, violenza chiama violenza!». Con parole forti e accorate Papa France-sco, di fronte a quanto sta accaden-do in Siria

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 lunedì-martedì 2-3 settembre 2013

All’Angelus ferma condanna dell’uso delle armi in Siria e nuovo appello per percorrere la strada del dialogo e del negoziato

Il grido della pacePapa Francesco indice per sabato 7 settembre una giornata di digiuno e di preghiera dando appuntamento in piazza San Pietro

«Non è mai l’uso della violenza cheporta alla pace. Guerra chiama guerra,violenza chiama violenza!». Con paroleforti e accorate Papa Francesco halanciato un nuovo appello perché inSiria la logica del dialogo e delnegoziato prevalga su quella della«cieca contrapposizione». Lo ha fattoall’Angelus di domenica 1° settembre,in piazza San Pietro, convocando per ilprossimo sabato 7 una giornata didigiuno e di preghiera, e dandoappuntamento in piazza San Pietro,dove dalle 19 alle 24 si pregherà perinvocare da Dio il dono della pace«per l’amata Nazione siriana e pertutte le situazioni di conflitto e diviolenza nel mondo».

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Quest’oggi, cari fratelli e sorelle,vorrei farmi interprete del grido chesale da ogni parte della terra, daogni popolo, dal cuore di ognuno,dall’unica grande famiglia che èl’umanità, con angoscia crescente: èil grido della pace! È il grido che di-ce con forza: vogliamo un mondo dipace, vogliamo essere uomini e don-ne di pace, vogliamo che in questanostra società, dilaniata da divisionie da conflitti, scoppi la pace; maipiù la guerra! Mai più la guerra! Lapace è un dono troppo prezioso, chedeve essere promosso e tutelato.

Vivo con particolare sofferenza epreoccupazione le tante situazioni diconflitto che ci sono in questa nostraterra, ma, in questi giorni, il miocuore è profondamente ferito daquello che sta accadendo in Siria e

angosciato per i drammatici sviluppiche si prospettano.

Rivolgo un forte Appello per lapace, un Appello che nasce dall’inti-mo di me stesso! Quanta sofferenza,quanta devastazione, quanto doloreha portato e porta l’uso delle armiin quel martoriato Paese, special-mente tra la popolazione civile einerme! Pensiamo: quanti bambininon potranno vedere la luce del fu-turo! Con particolare fermezza con-danno l’uso delle armi chimiche! Vidico che ho ancora fisse nella mentee nel cuore le terribili immagini deigiorni scorsi! C’è un giudizio di Dioe anche un giudizio della storia sullenostre azioni a cui non si può sfug-gire! Non è mai l’uso della violenzache porta alla pace. Guerra chiamaguerra, violenza chiama violenza!

Con tutta la mia forza, chiedo alleparti in conflitto di ascoltare la vocedella propria coscienza, di non chiu-dersi nei propri interessi, ma diguardare all’altro come ad un fratel-lo e di intraprendere con coraggio econ decisione la via dell’incontro edel negoziato, superando la ciecacontrapposizione. Con altrettantaforza esorto anche la Comunità In-ternazionale a fare ogni sforzo perpromuovere, senza ulteriore indugio,iniziative chiare per la pace in quellaNazione, basate sul dialogo e sul ne-goziato, per il bene dell’intera popo-lazione siriana.

Non sia risparmiato alcuno sforzoper garantire assistenza umanitaria achi è colpito da questo terribile con-flitto, in particolare agli sfollati nelPaese e ai numerosi profughi neiPaesi vicini. Agli operatori umanita-ri, impegnati ad alleviare le sofferen-ze della popolazione, sia assicuratala possibilità di prestare il necessarioaiuto.

Che cosa possiamo fare noi per lapace nel mondo? Come diceva PapaGiovanni: a tutti spetta il compito diricomporre i rapporti di convivenzanella giustizia e nell’amore (cfr. Lett.enc. Pacem in terris [11 aprile 1963]:AAS 55 [1963], 301-302).

Una catena di impegno per la pa-ce unisca tutti gli uomini e le donnedi buona volontà! È un forte e pres-sante invito che rivolgo all’interaChiesa Cattolica, ma che estendo atutti i cristiani di altre Confessioni,agli uomini e donne di ogni Religio-ne e anche a quei fratelli e sorelleche non credono: la pace è un beneche supera ogni barriera, perché èun bene di tutta l’umanità.

Ripeto a voce alta: non è la cultu-ra dello scontro, la cultura del con-flitto quella che costruisce la convi-venza nei popoli e tra i popoli, maquesta: la cultura dell’incontro, lacultura del dialogo; questa è l’unicastrada per la pace.

Il grido della pace si levi alto per-ché giunga al cuore di tutti e tuttidepongano le armi e si lascino gui-dare dall’anelito di pace.

Per questo, fratelli e sorelle, hodeciso di indire per tutta la Chiesa,il 7 settembre prossimo, vigilia dellaricorrenza della Natività di Maria,Regina della Pace, una giornata didigiuno e di preghiera per la pace inSiria, in Medio Oriente, e nel mon-do intero, e anche invito ad unirsi aquesta iniziativa, nel modo che riter-ranno più opportuno, i fratelli cri-stiani non cattolici, gli appartenentialle altre Religioni e gli uomini dibuona volontà.

Il 7 settembre in Piazza San Pie-tro dalle ore 19 alle ore 24, ci riuni-remo in preghiera e in spirito di pe-nitenza per invocare da Dio questogrande dono per l’amata Nazione si-riana e per tutte le situazioni di con-

flitto e di violenza nel mondo.L’umanità ha bisogno di vedere gestidi pace e di sentire parole di speran-za e di pace! Chiedo a tutte le Chie-se particolari che, oltre a vivere que-sto giorno di digiuno, organizzinoqualche atto liturgico secondo que-sta intenzione.

A Maria chiediamo di aiutarci arispondere alla violenza, al conflittoe alla guerra, con la forza del dialo-go, della riconciliazione e dell’amo-re. Lei è madre: che Lei ci aiuti atrovare la pace; tutti noi siamo i suoifigli! Aiutaci, Maria, a superare que-sto difficile momento e ad impe-gnarci a costruire ogni giorno e inogni ambiente un’autentica cultura

dell’incontro e della pace. Maria,Regina della pace, prega per noi!

Subito dopo la recita dell’Angelus ilPontefice ha aggiunto.

Maria, Regina della Pace, pregaper noi! Maria, Regina della Pace,prega per noi!

Successivamente il Papa si è rivolto aifedeli con queste parole.

Cari fratelli e sorelle,ieri a Bucarest è stato proclamatobeato Vladimir Ghika, sacerdote dio-cesano, nato a Istanbul e mortomartire a Bucarest nel 1954. Domani,

invece, a Messina, avrà luogo la bea-tificazione di Antonio Franco, Prela-to Ordinario di Santa Lucia del Me-la, vissuto tra i secoli XVI e XVII.Rendiamo grazie a Dio per questiesemplari testimoni del Vangelo!

Oggi, in Italia, ricorre la Giornataper la custodia del creato, promossadalla Conferenza Episcopale. È mol-to bello il tema di quest’anno: «Lafamiglia educa alla custodia del crea-to».

Attraverso Maria, il Signore ci fasentire la sua tenerezza! Ci uniamooggi a tutti i fedeli di Siracusa nellaricorrenza del 60° anniversario dellelacrime della Madonna.

Saluto con affetto tutti i romani ei pellegrini presenti, in particolare igiovani di tanti Paesi del mondo:impegnatevi, impegnatevi a cono-scervi, a confrontarvi, a fare progettiinsieme! Questo costruisce un futurodi pace!

Saluto le famiglie dell’Azione Cat-tolica di Mellaredo e Rivale; le Suo-re di San Giuseppe dell’Apparizio-ne; la «Pia Società San Gaetano» diThiene.

Saluto i fedeli della Valle di Scal-ve, di Reschigliano, AlbanoSant’Alessandro, Caerano di SanMarco, Padova e Marradi; il gruppoACLI di Tolmezzo; l’Asso ciazioneNazionale Carabinieri di Pontedera;il coro di Taviano, i ragazzi di Zela-rino, Zevio, Gandino e Matera.

E oggi ce ne andiamo con questodesiderio di pregare per la pace. Viaspetto il prossimo sabato alle 19!

A tutti auguro buona domenica ebuon pranzo. Arrivederci!

Messa a Santa Marta

La minaccia del pettegolezzo

Il Gran muftì di Damasco accoglie l’appello del Santo Padre

Anche l’islamin preghiera per la Siria

Il Gran muftì di Siria, AhmadBadreddin Hassoun, leader spiritua-le dell’islam sunnita in Siria, è pro-fondamente colpito dall’appello diPapa Francesco per la pace in Siria eha espresso il desiderio di essere pre-sente in piazza San Pietro alla vegliadi preghiera per la pace convocatadal Pontefice per la sera di sabato 7settembre. Secondo quanto riferitodall’agenzia Fides, una richiestaesplorativa in tal senso è stata invia-ta dal leader islamico al nunzio apo-stolico nella Repubblica araba di Si-ria, l’arcivescovo Mario Zenari, e neiprossimi giorni si valuterà, da ambole parti, la fattibilità di questo desi-derio. Tuttavia, anche se, per ragionilogistiche o di altro genere, questaeventualità non si verificherà, semprel’agenzia Fides riferisce che il muftìha detto alla sua comunità a Dama-sco di «accogliere l’appello, estesodal Papa a tutte le religioni, a prega-re per la pace in Siria».

Così, i musulmani siriani sarannoinvitati a pregare per la pace il 7 set-tembre, in comunione e simultanea-mente al Papa, nelle moschee a Da-masco e in tutto il territorio naziona-le. Secondo il muftì, «tutti avverto-no che il Papa è un padre, che ha acuore il futuro del popolo siriano

tutto e che vuole proteggere tutta lasocietà siriana, nelle sue diversecomponenti, perché non sia distruttada divisioni religiose e dal radicali-smo». I musulmani siriani vedono ilPapa come «vero leader spirituale,libero da interessi politici, individua-li o collettivi, come leader che parlaper il vero bene del popolo siriano».Infatti, i gruppi musulmani, le co-munità tribali, i drusi, gli ismaeliti ele altri componenti della società si-riana si uniranno alla preghiera.

Adesioni giungono anche dai lea-der delle Chiese orientali. In Liba-no, il cardinale Béchara Boutros Raï,Patriarca di Antiochia dei Maroniti,ha fatto visita al Patriarca greco or-todosso di Antiochia, YouhannaYazigi, e i due si sono detti «profon-damente confortati e dall’appello delPapa», impegnandosi a sensibilizza-re le rispettive comunità per la co-mune preghiera. In una dichiarazio-ne congiunta i due leader religiosichiedono «a tutti i Paesi stranieri,nella regione o più lontani, di ado-perarsi per risolvere il conflitto attra-verso mezzi politici, diplomatici epacifici». Giudicando «inaccettabileche qualcuno distrugga la vita dei si-riani», si dicono «contrari a qualsiasiintervento armato straniero in Siria».

Il Catholicosdella Chiesaorto dossa

sira malankaresein visita al Pontefice

Dal 4 al 6 settembre sua santitàMoran Baselios MarthomaPaulose II, Catholicos della Chie-sa ortodossa sira malankarese, ra-dicata in India, farà visita a PapaFrancesco. Ne dà notizia un co-municato del Pontificio Consiglioper la Promozione dell’Unità deiCristiani, sottolineando che l’in-contro si inserisce nell’ambito del-la visita pastorale del Catholicosai fedeli ortodossi siri malankaresipresenti in Europa.

Il comunicato spiega che laChiesa ortodossa malankarese èdivisa in due comunità: la Chiesasira ortodossa malankarese, inpiena comunione con il patriarcasiro ortodosso d’Antiochia, e laChiesa ortodossa sira malankare-se, con a capo sua santità MoranBaselios Marthoma Paulose II,Chiesa ortodossa autonoma. Oggila Chiesa ortodossa sira malanka-rese conta circa 2.500.000 membriin 30 diocesi, servite da 33 vescovie da oltre 1.700 sacerdoti.

Il dicastero ricorda inoltre gliincontri che hanno avuto luogotra Giovanni Paolo II e il Ca-tholicos Moran Mar BaseliosMarthoma Mathews I, nel 1983 aRoma e nel 1986 a Kottayam, inIndia. In tale occasione, fu istitui-ta la Commissione mista interna-zionale per il dialogo tra la Chie-sa cattolica e la Chiesa ortodossasira malankarese. Un importantefrutto di questi contatti è stata laDichiarazione cristologica comu-ne firmata nel 1990 da GiovanniPaolo II e dal Catholicos MoranMar Baselios Marthoma MathewsI. Dal 1989, due dialoghi parallelihanno luogo una volta all’annonel Kerala (India del sud), unocon la Chiesa sira ortodossa ma-lankarese e l’altro con la Chiesaortodossa sira malankarese. Que-sti dialoghi si occupano principal-mente di questioni legate a tre te-matiche: la storia della Chiesa inIndia, l’ecclesiologia e la testimo-nianza comune.

Il Catholicos Moran BaseliosMarthoma Paulose II, oltre a in-contrare il Papa giovedì 5 settem-bre, visiterà la tomba dell’ap osto-lo Pietro e sarà ricevuto presso lasede dello stesso Pontificio Consi-glio.

La lingua, le chiacchiere, il pettego-lezzo sono armi che ogni giorno in-sidiano la comunità umana, semi-nando invidia, gelosia e bramosiadel potere. Con esse si può arrivarea uccidere una persona. Perciò par-lare di pace significa anche pensarea quanto male è possibile fare conla lingua.

È profonda la riflessione propo-sta da Papa Francesco nell’omeliadella messa celebrata nella cappelladella Domus Sanctae Marthae, con-suetudine ripresa questa mattina,lunedì 2 settembre.

Il Papa ha preso spunto dal rac-conto del ritorno di Gesù a Naza-reth, così come proposto da Luca(4, 16-30) in uno dei brani del Van-gelo tra i più «drammatici», nelquale — ha detto il Pontefice — «sipuò vedere com’è la nostra anima»e come il vento può farla girare dauna parte all’altra. A Nazareth, haspiegato il Papa, «tutti aspettavanoGesù. Volevano trovarlo. E lui è an-dato a trovare la sua gente. Per laprima volta tornava nel suo Paese.E loro lo aspettavano perché aveva-no sentito tutto ciò che Gesù avevafatto a Cafarnao, i miracoli. Equando inizia la cerimonia, come

d’abitudine, chiedono all’ospite dileggere il libro. Gesù fa questo elegge il libro del profeta Isaia, cheera un po’ la profezia su di lui eper questo conclude la lettura di-cendo “Oggi si compie questa scrit-tura che voi avete ascoltato”».

La prima reazione, ha spiegato ilPontefice, è stata bellissima, tutti lohanno apprezzato. Poi però nel-l’animo di qualcuno ha cominciatoa insinuarsi il tarlo dell’invidia e hacominciato a dire: «“Ma dove hastudiato costui? Non è costui il fi-glio di Giuseppe? E noi conoscia-mo tutta la parentela. Ma in cheuniversità ha studiato?”». E hannocominciato a pretendere che egli fa-cesse un miracolo: solo dopo avreb-bero creduto. «Loro — ha precisatoil Pontefice — volevano lo spettaco-lo: “Fai un miracolo e tutti noi cre-deremo in te”. Ma Gesù non è unartista».

Gesù non fece miracoli a Naza-reth. Anzi sottolineò la poca fededi chi chiedeva lo «spettacolo».Questi, ha notato Papa Francesco,«si sono arrabbiati tanto, si sono al-zati e spingevano Gesù fino almonte per buttarlo giù e uccider-lo». Ciò che era iniziato in modo

gioioso minacciava di concludersicon un crimine, l’uccisione di Gesù«per la gelosia, per l’invidia». Manon si tratta solamente di un even-to di duemila anni fa, ha evidenzia-to il vescovo di Roma. «Questosuccede ogni giorno — ha detto —nel nostro cuore, nelle nostre comu-nità» ogni volta che si accogliequalcuno parlandone bene il primogiorno e poi sempre meno sino adarrivare al pettegolezzo così quasida «spellarlo». Colui che, in unacomunità, chiacchiera contro unfratello finisce per «volerlo uccide-re», ha sottolineato il Pontefice.«L’apostolo Giovanni — ha ricorda-to — nella prima lettera, capitolo 3,al versetto 15, ci dice questo: coluiche odia nel suo cuore suo fratelloè un omicida». E il Papa ha subitoaggiunto: «noi siamo abituati allechiacchiere, ai pettegolezzi» e spes-so trasformiamo le nostre comunitàe anche la nostra famiglia in un«inferno», dove si manifesta questaforma di criminalità che porta a«uccidere il fratello e la sorella conla lingua».

«La Bibbia — ha proseguito ilPapa — dice che il diavolo è entratonel mondo per invidia. Una comu-nità, una famiglia viene distrutta daquesta invidia che insegna il diavo-lo nel cuore e fa che uno parli maledell’altro». E riferendosi a quantoaccade in questi giorni, ha sottoli-neato che bisogna pensare anche al-le nostre armi quotidiane: «la lin-gua, le chiacchiere, lo spettego-l a re » .

Come costruire dunque una co-munità, si è chiesto il Pontefice?Così «com’è il cielo» ha risposto;così come annuncia la Parola diDio: «Viene la voce dell’a rc a n g e l o ,il suono della tromba di Dio, ilgiorno della risurrezione. E dopoquesto dice: e così per sempre sare-mo con il Signore». Dunque «per-ché sia pace in una comunità, inuna famiglia, in un Paese, nel mon-do, dobbiamo cominciare a esserecon il Signore. E dov’è il Signorenon c’è l’invidia, non c’è la crimina-lità, non ci sono le gelosie. C’è fra-tellanza. Chiediamo questo al Si-gnore: mai uccidere il prossimo conla nostra lingua e essere con il Si-gnore come tutti noi saremo nelcielo».

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L’OSSERVATORE ROMANO agosto-settembre 2013 numero 15

Sua madre confrontavatutte queste cose nel suo cuoredonne chiesa mondo

La violenza sulle donne

Due quadri. Il primo è Aiace e Cassandra (1886) diJoseph Solomon: lui così scuro, forte, terreno, tuttomuscolo e pugno; lei, di un candore abbagliante,caricata sulla spalla del predatore, colta in unmovimento che sembra di danza. Aiace ha un volto, nelquadro; quello di Cassandra nemmeno si vede. Laseconda opera, invece, è La ninfa Corisca e il satiro (1635-1640) di Artemisia Gentileschi: qui il centro è lei, lavittima; sebbene molestata e rincorsa, la giovane vieneritratta in piedi mentre fugge, decisa e combattiva in ciòche non vuole. Ecco come cambia la violenza sulledonne — tema di questo numero — quando a raccontarlae commentarla sono le donne stesse. Abbiamo quitentato di raccontare, con voce di donne, la violenzasulle donne nelle sue sfaccettature storiche, attuali,religiose, domestiche e belliche.Se c’è un colore per la violenza, questo è il rosso.Eppure nessuno come le donne e quanto le donne sa cheil rosso non è solo sinonimo di violenza, ferita, minaccia,marchio o morte. Il rosso è anche l’allegria contagiosa, èil fuoco che scalda, seduce e cuoce, è la vita che siripropone. Che dà, a noi donne, la forza travolgentedell’amore e della creazione. Che la vittima de Laviolenza di Isabella Ducrot si possa alzare; che non siamai più costretta a ritrovarsi accucciata nel tentativo didifendersi. Che, soprattutto, possa portare il suo colorecon gioia e fierezza.Proprio per questo vogliamo fare nostra la propostapresentata da William Hague, ministro degli Esteribritannico, che ha voluto tra le priorità della politicadel suo Paese la lotta contro le violenze sessualidurante i conflitti. Un impegno che ha portato gli Statimembri del G8 a votare, nell’aprile scorso, unadichiarazione. (g.g.)

Uscire dal silenzioIntervista a Pauline Aweto che da anni studia e denuncia lo stupro usato come arma di guerra nel continente africano

di ALICIA LOPES AR AU J O

Quest’anno ricorre il cinquantenario dellacreazione dell’Unione africana — massimaistituzione panafricana e unica piattaformaintergovernativa continentale — fondata il25 maggio 1963 con il nome di Organizza-zione per l’unità africana. Notevoli pro-gressi sono stati conseguiti in Africa, maquanto per la condizione femminile anco-ra molto resta da fare. Tutt’oggi le donneafricane sono chiamate a combattere con-tro un destino apparentemente ineluttabi-le, che si ostina a considerarle come partideboli di una società di cui, paradossal-mente, sono invece i pilastri fondanti. So-prattutto non si può parlare di un possibi-le rinascimento africano, senza affrontareil flagello della violenza contro le donnesia durante i conflitti sia in tempo di pace,

che spesso equivale all’intermezzo fra unaguerra e l’altra. La più ignobile tra le vio-lenze contro le donne africane è lo stuprocome strumento di guerra a cui semprepiù spesso si ricorre, poiché assicura l’im-punità dei responsabili. In effetti la vio-lenza sessuale si sta legittimando, accredi-tandosi come nuova arma, e nessuna mes-sa al bando potrà mai impedire di ricor-rervi, se non quella di una rivoluzione del-le coscienze. Questo è il tema studiato dauna donna africana della diaspora, PaulineAweto, nel libro Wartime Rape. African Va-lues at Crossroads (The Ambassador Publi-cations, 2010), la cui edizione italiana èstata pubblicata dall’Harmattan nel 2012con il titolo Lo stupro come arma di guerrain Africa.

Cosa ha motivato la sua ricerca, portandolaa definire lo stupro in una prospettiva specifi-camente africana, come arma in tempo di pa-ce e di guerra?

Due ragioni principali: la prima riguar-da la mia vicenda personale, in quanto infamiglia non ero prevista (attendevano unmaschio). A questo si aggiunge l’esp erien-za professionale che maturai presso l’O r-ganizzazione internazionale per le migra-zioni (Oim), che mi ha segnata profonda-mente, spingendomi a riflettere sulla con-dizione femminile nei Paesi in via di svi-luppo e a impegnarmi per la causa delledonne nelle aree di crisi. Fu però il dram-matico episodio dello stupro di massacontro tante donne guineane dello stadiodi Conakry — manifestazione dell’irrazio-nalità e malvagità della mente umana —cui ha fatto seguito la richiesta dell’O nu

di lanciare un’inchiesta sullo stupro comearma di guerra in Africa, che mi ha porta-ta ad affrontare il discorso più ampio del-lo stupro come arma anche in tempo dipace. [Il 28 settembre 2009 nello stadio diConakry la giunta militare golpista gui-neana si rese responsabile della morte dicentocinquanta oppositori; delle dozzinedi donne che furono ferocemente violenta-te in maniera premeditata, molte morironoper le infezioni provocate dalle ferite, acausa dell’estrema brutalità loro inferta].Pertanto lo stupro quale arma in tempo dipace è un termine che adopero per indica-re qualsiasi forma di violenza perpetrata aidanni delle donne nella vita quotidianaspesso attraverso la strumentalizzazionedella cultura, determinando dunque l’alie-nazione e l’allontanamento delle donnedai processi di autorealizzazione. Le don-ne subiscono infatti varie forme di discri-minazione anche in ambito educativo,nonché violenza psicologica, violenza do-mestica in tutte le sue forme e lo stupro,incluso quello coniugale, cui di norma se-gue lo stigma e la colpevolizzazione dellevittime. Ed è chiaro che là dove la vita èparticolarmente difficile per le donne, co-me spesso accade in Africa, le violenze siacuiscono in tempo di guerra.

Pur essendo la violenza contro le donne unfenomeno universale, in cosa si differenzia larealtà africana?

Per me sono specifici dell’esp erienzaafricana sei elementi chiave: la naturapubblica dello stupro, il livello di brutali-tà, il simbolo del machete come forma diprimitivismo moderno, la trasmissione in-tenzionale dell’Aids, lo stupro delle donnein gravidanza e l’omicidio che segue allaviolenza carnale.

Quali sono i casi in cui la violenza è tollera-ta e quando vi è impunità per questi criminiin Africa?

La violenza domestica contro le donneè tollerata e resta impunita, perché tali attivengono giustificati facendo ricorso alproprio retaggio storico e culturale. Unesempio eclatante è costituito dal cosid-detto stupro coniugale, cioè quello che av-viene nel matrimonio. In alcuni Paesidell’Africa occidentale questo non vienericonosciuto come crimine, perché il con-senso della donna è considerato irrilevan-te. Né si può tralasciare l’istituzione delladote, obbligatoria in alcune società, il cuipagamento legittima il concetto di pro-prietà del maschio sulla femmina e i suoisoprusi. Gli sforzi per arginare l’impunitàdei colpevoli finora sembrano essersi con-centrati su noti criminali, come alcuni capidi Stato africani, dimenticando il nemicoche alberga dentro le mura domestiche.Allora mi domando: come mai il crimine èpunito esclusivamente quando avviene intempo di guerra, mentre è tollerato nellanormalità di tutti i giorni?

Quali sono le sue considerazioni in merito al-la pratica mortificante delle mutilazioni geni-tali femminili (mgf)?

A ben vedere, nonostante le apparentiragioni religiose, sociali e soprattutto cul-turali che favoriscono tale pratica, alla ba-se c’è una forte contraddizione, perché sipretende di dare identità, ma al costo ditogliere dignità. Malgrado le mgf siano in-ternazionalmente riconosciute come viola-zioni dei diritti umani a mio parere nonsono ancora state debellate, anche a causadel coinvolgimento di quei medici che, lu-crandovi, modernizzano questa pratica, ri-ducendo il rischio d’infezioni e di compli-cazioni. Secondo l’Organizzazione mon-diale della sanità la sua rapida eliminazio-ne dipenderebbe dalle comunità praticantinella clandestinità, che, per ironia dellasorte, sono gestite in gran parte proprioda donne.Chi è il vero nemico delledonne africane?

Paradossalmente pro-prio le donne, in quantocustodi delle tradizioni,di cui sono le prime vit-time inconsapevoli. Adesempio la pratica dellemgf è completamente gestita dalle donne,e anche nel mondo della tratta non man-cano figure femminili, che ricoprono ruolipurtroppo di rilievo nell’umiliare le altredonne. È una guerra delle donne controse stesse.

Non si rischia forse di colpevolizzare per l’en-nesima volta le donne?

La mia è un’autocritica in quanto don-na africana. Senz’altro il problema all’ori-gine resta il forte maschilismo, troppo dif-fuso in Africa come altrove. Lo sviluppoeconomico del continente africano andreb-be accompagnato dall’emancipazione dauna lunga catena di tradizioni antifemmi-nili. L’educazione è l’unico strumento effi-cace e indispensabile per l’emancipazione,l’autodeterminazione e l’empowerment delledonne. Non basta che le donne sappianoleggere, scrivere e far di conto: occorrepuntare sulla formazione superiore, apren-do le porte delle università. Si tratta di ri-scoprire le potenzialità finora soffocate, ri-conquistando con dignità un ruolo nellaso cietà.

Lei sottolinea il carattere di violenza perma-nente sulle donne, tollerato da molte tradizio-ni: esiste un legame tra cultura e violenza?

A mio avviso non c’è differenza tral’usanza delle mgf e le mutilazioni vere eproprie che hanno luogo in situazioni diguerra. Solo in casi circostanziati si puòparlare di violenza culturalmente fondata,ossia quando la cultura costituisce la basesulla quale si costruisce la sovrastrutturadella violenza contro le donne, fornendoalibi, giustificazioni e legittimazioni.

Quale contributo può venire dai media?

I media internazionali non sono maistati leali nei confronti dell’Africa, perchésono mossi solo dal sensazionalismo, trala-sciando l’approfondimento che richiedecontinuità. Purtroppo le guerre di tutti igiorni che le donne affrontano ormai nonfanno più notizia. I media potrebberosvolgere un lavoro responsabile se tenesse-ro puntati i riflettori permanentemente suquesta realtà, quella del grido del silenziodegli innocenti.

«A Maria, Madre di Dio, per la gloria diDio e la salvezza delle anime»: perché questadedica nel suo libro?

L’ho iniziato a scrivere il I° gennaio,proprio nel giorno della festa che la Chie-sa dedica alla Madre di Dio e un annodopo ho presentato il mio libro a Warri,in Nigeria, proprio in una chiesa dedicataalla Madre del Redentore. Con mia gran-

de soddisfazione ho potuto constatare chequell’iniziativa ha portato la parrocchia lo-cale a organizzare un gruppo di sostegnoa favore delle donne vittime di violenzacosì da incoraggiarle a uscire dal silenzio ea non sentirsi più sole.

Tra i caratteri specifici della violenza in Africala sua natura pubblicala trasmissione intenzionale dell’Aidslo stupro delle donne incintee l’omicidio che segue la violenza carnale

Malgrado le mutilazioni genitali femminilisiano ritenute una violazione dei diritti umaninon sono state ancora debellateAnche a causa dei medici che lucrano su di esse

Pauline Aweto, diorigine nigeriana, siè laureata infilosofia presso laPontificia universitàsalesiana a Roma.Ha compiutoricerche in ambitofilosofico sullepolitiche dellosviluppo. Halavorato comeconsulente pressol’O rganizzazioneinternazionale perle migrazioni. Si èoccupata deirimpatri volontaridelle vittime dellatratta a finisessuali. In Italia,ha collaborato conl’università diRoma Tre,svolgendo attivitàdidattica e diricerca su temilegati alle culture ealle religioniafricane. Insegna alBexley College diLondra.do

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Mural nel quartiere romano di San Lorenzo a ricordo delle donne italiane assassinate nel 2012 (foto Serena Sillitto)

Isabella Ducrot«La violenza» (2013)

Page 10: Impegno per la pace · porta alla pace. Guerra chiama guer-ra, violenza chiama violenza!». Con parole forti e accorate Papa France-sco, di fronte a quanto sta accaden-do in Siria

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L’OSSERVATORE ROMANO agosto-settembre 2013 numero 15

Inserto mensile a cura di RI TA N N A ARMENI e LU C E T TA SCARAFFIA, in redazione GIULIA GALEOTTIwww.osservatoreromano.va - per abbonamenti: [email protected] a

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«Peggio di così non può succedere al mondo»La drammatica e sconosciuta storia di Teresa Grigolini, eroica suora comboniana di cui forse si aprirà finalmente il processo di beatificazione

di LU C E T TA SCARAFFIA

La violenza sessuale è stata fin dalleorigini uno dei modi di torturare ledonne cristiane che si rifiutavano diabbandonare la loro religione. Ilcristianesimo, del resto, è l’unica re-

ligione che prevede per le donne la scelta del-la castità come via spirituale. Una delle novitàpiù travolgenti del cristianesimo antico, infatti,è stata proprio la possibilità per le donne discegliere la castità, rendendole uguali a mona-ci ed eremiti, e superiori ai laici appesantitidalle preoccupazioni familiari.

Ma questa uguaglianza veniva a cadere da-vanti al martirio. I pagani, infatti, molto colpi-

ti dal numero crescente di vergini cristiane,verso la fine del III secolo avevano cominciatoa infliggere loro persecuzioni che assumevanola forma di violenza sessuale o di obbligo aprostituirsi nei lupanari. Si trattava di un tipodi martirio specifico riservato alle donne con-sacrate al Signore, un martirio che gli uomininon conoscevano e che è ricordato nei primimartirologi cristiani — valga per tutti il celebrecaso di Agnese — ma che non è stato suffi-ciente in sé a determinare la santità: Agnese èvenerata come martire perché, dopo essere sta-ta esposta nuda in un lupanare, è stata uccisa.

Dopo i primi secoli, finite le persecuzioni,la violenza sulle donne consacrate si è ripetutapiù raramente nelle terre cristiane, per ricom-parire agli inizi dell’età contemporanea, quan-do rivoluzioni e invasioni hanno imposto lacacciata delle monache dai monasteri di clau-

sura. Soprattutto è ricomparsa — e purtroppoanche oggi costituisce un rischio reale — per lesuore missionarie o che vivono in zone diguerra interreligiosa ed etnica.

Se ne parla poco, si tratta di situazioni dif-ficili da definire e soprattutto da risolvere,specialmente quando la violenza dà origine aun figlio, evento che naturalmente obbliga lasuora violentata a rinunciare alla sua vocazio-ne di religiosa.

Su questi episodi gravano ancora l’imbaraz-zo e la vergogna che, fino a qualche decenniofa, impedivano anche alle nostre società di

pravvissuti, Teresa rimase incatenata alla suanuova condizione. Una catena reale, ma ancheaffettiva: i figli nati dal matrimonio, infatti,

creavano forti legami con il suo nuovo stato divita.

Ella inoltre era perfettamente consapevoleche la sua scelta non sarebbe stata facilmentecapita e approvata da chi in Italia viveva cosìlontano dal crudele mondo africano. La finedella speranza costituì per lei un momentoterribile: «Eccomi dunque, sola soletta in mez-zo a quei barbari e tanto lontana da tutto ilmondo, senza speranza, neanche lontana, diuscire da quella bolgia infernale». Ma ancheallora «metteva confidenza in Dio che, do-mandandogli perdono mi avrebbe perdona-to».

Anche quando non ha più alcuna speranzanegli esseri umani, riesce a sperare e ad accet-tare la volontà incomprensibile di Dio, che leimpone di lasciare la vita religiosa che avevascelto per amor suo: ecco il sacrificio piùgrande che Teresa compie dentro il suo cuore.

E lo compie totalmente, senza riserve: lo te-stimonia il suo ritorno alla casa maritale anchequando — tornata in Italia e accettata dallasua famiglia con i figli superstiti — p otrebb eristabilirsi lì. Decide invece di assumere finoin fondo il suo destino tornando a vivere conil marito a Ondurman e poi a El Obeid. Unmarito violento, che lei assisterà fino alla mor-te, dopo lunga malattia e dopo averlo riporta-to alla fede. Solo a questo punto, finalmentelibera dalla sua croce, tornerà in Italia per vi-vere quasi nascosta nella casa di un fratelloprete, dal momento che la sua congregazionesi rifiutava di accoglierla.

Se la rinuncia al proprio io, ai desideri e al-la volontà fanno parte di ogni cammino versola santità, che ha come obiettivo quello di so-stituire la volontà propria con quella divina, ilcaso di Teresa nella sua gravità rimane forseunico e misconosciuto esempio di una via par-ticolare al martirio.

La sua profonda onestà davanti a Dio, chela porta sempre a scegliere la via più difficilema giusta, l’aiuta anche ad affrontare chi, infamiglia e nella congregazione, tendeva a in-terpretare la sua scelta matrimoniale come unacolpa. Nel memoriale, da lei scritto come unadifesa, senza concessioni al patetico, Teresa siassume tutte le responsabilità, e fa capire co-me la saldezza del suo rapporto con Dio leabbia dato quella pace e quella sicurezza inte-riore che il mondo esterno le negava.

La sua vicenda, se pure con modalità forsemeno drammatiche, è stata condivisa da moltealtre missionarie, per le quali la violenza ses-suale ha assunto una connotazione particolar-mente dura perché, nel caso della nascita diun figlio, ha significato l’abbandono di unavita scelta e affrontata con convinzione, quellare l i g i o s a .

Per loro, l’abbandono alla volontà di Dioha voluto dire addirittura la rinuncia a donarsia lui. Sono vite nascoste e preziose, che testi-moniano come la violenza sul corpo delledonne possa prendere tante forme, alcune del-le quali quasi nascoste.

di RI TA N N A ARMENI

Virginia è una donna rumena cheha sposato un camionista italianoconosciuto nel suo Paese. Quan-do, dopo il matrimonio, è arrivatain Italia si è ritrovata semplice-

mente prigioniera. Il marito la teneva chiusain casa, le impediva di fare qualunque cosa edi vedere chiunque. Per timore che lei potes-se lamentarsi della sua condizione non la la-sciava mai sola. In poche parole era ridottain uno stato di schiavitù. L’unico momentoin cui Virginia poteva godere di qualche li-bertà era il corso di italiano organizzato dallaparrocchia. È lì che lei ha chiesto aiuto. È lìche è stata messa in contatto con chi nellaCaritas ambrosiana si occupa di donne mal-trattate e che l’ultimo giorno del corso, l’ulti-mo momento in cui era possibile evitare ilcontrollo del marito, ha organizzato la suafuga. Oggi è una donna libera che ha trovatoun lavoro e ha riconquistato quel permessodi soggiorno che, fuggendo dal marito, avevap erduto.

Virginia, o meglio la parrocchia che l’avevaascoltata, si era rivolta al Se.D (Servizio disa-gio donne), un centro di ascolto che fa partedella più ampia «area del maltrattamento edisagio delle donne» nella diocesi più granded’Europa quale è quella ambrosiana. Qui tro-vano ascolto e vengono aiutate in un percor-so di liberazione e di riconquista della pro-pria dignità molte donne che subiscono so-prusi e violenze. L’iniziativa della Caritasambrosiana è nata fra il 1993 e il 1994. Sitrattava in quegli anni di un’esperienza inno-vativa, ma che oggi è saldamente incastonatanell’attività della diocesi. Suor Claudia unadonna minuta che, evidentemente, non temedi portare grandi carichi, ne è responsabile.

«Molte cose sono cambiate dal nostro ini-zio — racconta — anche se in modo soft.Quando abbiamo cominciato c’era scarsaconsapevolezza della violenza che attraversa-va anche le cosiddette famiglie normali, quel-le che andavano in Chiesa e che le parroc-chie conoscevano». Era il silenzio il nemicoda combattere.

Oggi sono spesso i parroci a segnalare icasi di violenza, i maltrattamenti subiti dalledonne, a telefonare per loro. Nelle parrocchieci sono centri di ascolto che segnalano lecondizioni a rischio perché sono l’unico po-sto in cui quelle donne riescono ad andare.Sono le parrocchie, infine, che spesso metto-no a disposizione stanze e luoghi in cui ledonne possono rifugiarsi. Ma le segnalazionialla Caritas arrivano anche dalle forzedell’ordine, dalla clinica Mangiagalli che haun centro antiviolenza o dalla Casa delledonne maltrattate, istituzioni laiche con lequali si mantengono rapporti costanti. A tut-ti si risponde. Per tutte si cerca una solu-zione.

Nel 2012 sono state 143 le donne che han-no telefonato e che hanno ricevuto ascolto,64 italiane e 79 straniere. Di queste, 16 sonoentrate in una comunità, 33 non ne hannoavuto bisogno e hanno avuto “un percorsoterritoriale”, sono state cioè seguite fino allasoluzione dei loro problemi.

Per alcune l’intervento è stato rapido, ne-cessariamente rapido. «Ci sono dei casi —racconta Anny Procaccini del Se.D e quindiin contatto diretto con i casi di violenza — incui bisogna agire tempestivamente ed esserepronti in poche ore».

Anny racconta il caso di una ragazza paki-stana, nata e vissuta in Italia, con costumi eabitudini occidentali, costretta dai genitori aun matrimonio combinato con un ragazzodel suo Paese. Lei prima aveva chiesto aiuto,

poi non si era fatta più viva. Ha richiamatodopo alcuni mesi. Aveva accettato di sposar-si, ma quando il marito era arrivato in Italiaera iniziata una vita di violenza e di botte.Allora aveva ricordato quel numero di telefo-no. Anche per lei è stato attivato il prontointervento. Anche lei è stata fatta scappare.

Ma ci sono anche casi più complessi in cuinon si tratta di recidere un legame, ma di ri-costruire un rapporto su basi diverse. Comequello di una donna di oltre settant’anni icui maltrattamenti da parte di un marito piùgiovane erano soprattutto psicologici. Inquesto caso il percorso è stato differente. Ladonna è stata aiutata e rinforzarsi a crederein se stessa, a reagire. «Ogni donna è un ca-so diverso» non si stancano di ripetere ledonne del Se.D.

Nella sede della Caritas nella Milano stori-ca si respira un’aria di efficienza e di sereni-tà. Le donne che vi lavorano — sono proprio

tutte donne, laiche e religiose — mostranouna dedizione esente da eccessi di vittimismoo da denunce troppo urlate. Qui si affronta-no i casi segnalati uno per uno, o megliodonna per donna. Non è possibile fare unacasistica. Non è possibile decidere prima checosa fare. Non è neppure possibile dire checosa fa scattare il bisogno di chiamare anchese è chiaro che affidarsi a qualcuno,soprattutto per le straniere, è un passo im-p ortante.

Ci sono donne la cui soglia di tolleranzanei confronti dei maltrattamenti è molto alta,solo dopo anni e anni si rendono conto dinon poter vivere come sono costrette. Ci so-no casi in cui la richiesta di aiuto viene im-

mediatamente al primo avviso di violenza.«Non ci sono situazioni che si possono af-frontare con l’accetta, non ci sono regole va-lide per tutte — spiega suor Claudia — e ognipercorso non può che essere personalizzato,vale per quella donna e solo per lei. Abbia-mo visto che questa impostazione le rassicu-ra, le spinge a fidarsi e a confidarsi».

Si insiste molto su questo approccio in cuial centro c’è la persona, la donna, non unaidea astratta di violenza o di libertà. È pro-prio questa, probabilmente, la specificità diun centro di accoglienza religioso che nonpretende norme da seguire, ma fa solodell’ascolto una regola assoluta.

È stato questo modo di aiutare le donne,fuori da ogni pregiudizio o ideologia, il con-tributo specifico della Caritas ambrosianaall’attività dei centri di accoglienza per don-ne maltrattate o contro la violenza che in unacittà come Milano costituiscono ormai unarete solidale. Fra di loro c’è una discussionesui tempi e sui modi dell’accoglienza ma ci sitrova d’accordo sul fatto che ogni donna de-ve essere aiutata a costruire il suo personalepercorso di vita.

«Per me — dice Alessandra Kustermann,responsabile del servizio antiviolenza dellaMangiagalli, in contatto continuo con la Ca-ritas — il rapporto con loro è facile. Di frontea un caso di violenza è spontaneo affidare lo-ro la donna. So che c’è una capacità di ascol-to molto alta e una sensibilità alla diversitàdelle situazioni che viene dalla frequentazio-ne delle immigrate. Sanno che l’elab orazionedella violenza non è la stessa cosa per tutte.Che recidere dei legami non è automatico oi n d o l o re » .

«La denuncia non basta — spiega AnnyProcaccini, in polemica anche con i mezzi diinformazione che si limitano a spingere ledonne solo a denunciare chi le maltratta — enon basta se poi la donna rimane sola, nonsa che cosa fare, non ha un aiuto concreto.Può addirittura peggiorare la sua vita perché,senza mezzi e senza sostegni, è costretta atornare dal suo persecutore. Anche tagliare

un legame, senza aver preso piena consape-volezza, senza aver elaborato strumenti di di-fesa, può essere inutile».

Il punto è creare una rete, produrre infor-mazione e formazione. E infatti il lavoro diformazione è fondamentale. Grazie a questole cose sono cambiate, spiega suor Claudia,«nel 1994, quando abbiamo cominciato ab-biamo accettato il fatto importante che anchele comunità cristiane potevano vivere una

contraddizione, che c’erano delle famiglienelle quali nel momento in cui entravano lasopraffazione e la fine della dignità femmini-le veniva meno il progetto di Dio. La violen-za lo travolgeva, lo cancellava perché dicevache l’amore era venuto meno. La Chiesa nonpoteva tacere, doveva darsi delle strutture perrispondere». Nessuna difficoltà? Anche inquesto caso si insiste sul percorso, sui moltiincontri, sulle molte serate passate a discuterenelle parrocchie per costruire una rete, pereducare e formare. Si sono fatte mostre, sisono pubblicati opuscoli, si sono diffusi dati.

E si citano le parole di Giovanni Paolo IInella Lettera alle donne nelle quali è contenu-ta la spinta alla loro missione. «Sono convin-to che il segreto per percorrere speditamentela strada del pieno rispetto dell’identità fem-minile non passa solo per la denuncia, purnecessaria, delle discriminazioni e delle in-giustizie, ma anche e soprattutto per un fatti-vo progetto di promozione, che riguardi tuttigli ambiti della vita femminile, a partire dauna rinnovata e universale presa di coscienzadella dignità della donna».

Il racconto

Trois femmespuissantes

Khady è una giovane vedova africana,sterile. Scaraventata nel carico di unmercante di uomini, cerca di fuggireclandestinamente verso la Francia. Lungola via viene stuprata, sfruttata, derubata,venduta, ferita. Eppure le pagine più duredella storia di Khadi — terzo e ultimoracconto del libro Trois femmes puissantescon cui Marie Ndiaye, nata nella banlieueparigina da padre senegalese e madrefrancese, ora vive a Berlino, ha vinto ilPremio Goncourt 2009 — sono quelle cheraccontano della violenza esercitata su dilei dalle donne della famiglia del defuntomarito. «Khady sapeva di non esistere perloro. Perché il loro unico figlio maschiol’aveva sposata nonostante le loroproteste, perché lei non era stata capace diprocreare e perché non godeva dellaprotezione di nessuno, l’avevanotacitamente (...) esclusa dalla comunitàumana, e i loro occhi duri, poco più chefessure, (...) che si posavano su di lei nonfacevano nessuna distinzione tra quellaforma chiamata Khady e le altre,innumerevoli, delle bestie e delle cose chepopolavano anch’esse il mondo». Sola esconfitta, Khadi però non verrà maispezzata, perché salvata dal suo fortesenso di identità. Un sé inespropriabile,perché resistere alla sopraffazione èun’arte che la ragazza ha la forza diimparare. (@GiuliGaleotti)

Il film

The AccusedÈ una scena drammaticamentememorabile: Sarah Tobias (interpretata daun’eccezionale Jodie Foster, che per laparte vinse l’Oscar), in bagno davanti allo

specchio, si statagliando i capelli.Il suo sguardo digiovane donna èterribile: trasudarabbia e odio versochi l’ha violentata,ma anche una sortadi rifiuto verso laragazza che eraprima dellaviolenza. La scena— tratta dal filmThe Accused (1988)di JonathanKaplan, pellicola

statunitense dura e vera incentrata sullos t u p rodi una giovane cameriera su un flippera opera di tre ragazzi (tra l’incitamentogenerale degli avventori) — fo calizzauna tra le conseguenze più gravi epericolose prodotte dalla violenzasessuale. La volontà di autopunirsi che,in modo più o meno velato, la vittimaprova. Nel film (tratto da una storia vera)la parte del procuratore che si occupadel caso è interpretata dall’attricestatunitense Kelly McGillis,vittima nella vita reale di un episodiodi stupro. (@GiuliGaleotti)

STRAGE DI D ONNE IN COLOMBIA

In Colombia 514 donne sono state uccise nel primosemestre 2013. Al primo posto la regione di Valle delCauca con 144 casi di femminicidio, a cui seguonoAntioquia con 68 e Bogotà con 56. Dando la notizia,Radio Caracol ha citato un rapporto dell’istituto dimedicina legale della capitale colombiana. I dati —raccolti da esperti dell’istituto,verificati e studiati dal Centro nazionale di riferimentoper la violenza — rivelano che la maggior parte dellevittime sono donne comprese nella fascia di età che vadai 30 ai 34 anni.

CACCIA ALLE STREGHE IN INDIA

Sembra narrare storie di un’altra epoca il servizio diMatteo Fagotto pubblicato sul mensile «Jesus». È invecestretta attualità il racconto delle migliaia di donne cheogni anno vengono accusate di stregoneria in India.Capri espiatori per giustificare eventi apparentementeinspiegabili come morti improvvise, cattivi raccolti,epidemie, le vittime sono messe ai margini dalle rispettivecomunità, rifiutate dalle famiglie, ripudiate dai mariti.Emarginate, picchiate, linciate, uccise: succedevanell’Europa e negli Stati Uniti del Seicento, e succede

ancora oggi in una delle aree più arretrate del Paeseasiatico. È tenace l’impegno della Chiesa cattolica nellazona, volto a condannare le accuse di stregoneriadefinendole «un crimine contro Dio».

ZILDA ARNS VERSO LA B E AT I F I C A Z I O N E

Nel 2015 l’episcopato brasiliano inizierà la pratica per labeatificazione di Zilda Arns (1934-2010), missionaria laicae pediatra, tra le più famose attiviste per i diritti umanidel Brasile, paladina della lotta contro denutrizione emortalità infantile (il processo partirà solo allora giacchéla domanda va presentata dopo il quinto anniversariodalla morte del candidato). Nel 1983 Arns fondò laPastorale del Bambino, organizzazione umanitariacattolica legata alla Conferenza nazionale dei vescovibrasiliani, che oggi opera in oltre venti Paesi tra Americalatina, Africa e Asia.Madre di cinque figli e sorella del cardinale PauloEvaristo Arns, candidata per tre volte al Nobel per lapace, nel 2002 Zilda ricevette il premio della PanAmerican Health Organization per l’impegno umanitario.È morta il 12 gennaio 2010 nel terremoto che ha devastatoHaiti. Era giunta nell’isola una settimana prima peraffrontare il dramma della denutrizione.

GLI O R FA N I DEI FEMMINICIDI

«Sono i bimbi senza mamma e papà le altre vittime deifemminicidi»: in base a ciò che risulta dall’inchiesta diRaphaël Zanotti, pubblicata sul quotidiano italiano «LaStampa» del 6 agosto scorso, si tratta per lo più diminorenni molto piccoli, per cui i tribunali italianidispongono l’adozione o l’affidamento a famiglie terze,preferendo non lasciarli con zie e nonni d’origine. Lanecessità che emerge dall’inchiesta è quella di nondimenticare mai che si tratta di orfani con una storiadrammaticamente lacerante. Privati violentemente dellemadri dalla mano dei loro padri, questi figli necessitanoun aiuto esterno mirato. Solo così sarà possibile ridareluce a vite spente che rischiano di finire triturate sotto ilpeso della loro atroce storia.

IN BICI DA ROMA A GERUSALEMME

È cominciata il I° agosto da San Pietro l’avventura inbicicletta lungo la via Francigena del sud di Gaia Ferrarae Silvia Colesanti, pellegrine italiane che dal 2005 a oggihanno fatto lunghi viaggi in bici e, tra questi, trepellegrinaggi (il Cammino di Santiago in Spagna, la viaFrancigena del nord da Canterbury a Roma e ilCammino di Nikulas lungo il Reno). Nell’ambito del

progetto «D2, Due Donne, Day by Day», Gaia e Silviahanno iniziato il loro viaggio dopo la benedizione delcardinale Angelo Comastri. In diciassette giorni, hannoattraversato Lazio, Campania e Puglia per un totale dinovecento chilometri. «Ammainate le bandiere dalle aste,tolte le palme dalle poppe (...). Chiuse le credenziali conl’ultimo timbro (…) cala il sipario sul primo atto delnostro viaggio» hanno scritto il 18 agosto sul loro blog(hanno anche un diario su Facebook). Gaia e Silviariprenderanno le bici a dicembre: concluderanno allora illoro cammino lungo le strade della Terra Santa,celebrandovi il Natale.

MARIA MADRE DELLA RICONCILIAZIONE COREANA

«La Vergine Maria è madre della riconciliazione fra laCorea del Nord e la Corea del Sud. A Lei va affidata lapromozione della pace nella penisola»: lo ha affermato in

un messaggio l’arcivescovo di Seoul, monsignor AndrewYeom Soo-jung, nuovamente intervenuto sull’urgenza diriconciliare le Coree.Il messaggio giunge in un momento in cui i due Paesistanno cercando di riavviare le riunificazioni familiari framembri dei nuclei divisi dalla frontiera, mentre leesercitazioni militari congiunte in corso fra Stati Uniti eCorea del Sud alimentano la tensione. Prendendo lospunto da due eventi — uno civile (l’indipendenza dellaCorea del Sud) e uno religioso (l’Assunzione) —l’arcivescovo ha ricordato che se oltre sessant’anni faMaria fu «madre della liberazione» dall’imp erialismogiapponese per il popolo coreano, oggi deve essere«madre della riconciliazione». E, citando la Pacem interris, ha proseguito sostenendo che la riconciliazione fra idue Paesi non è solo una questione locale, ma è anche«la via per la pace nel mondo».

ALUNNE CONGOLESI A B U S AT E DAGLI INSEGNANTI

In alcune scuole del Congo, insegnanti e autoritàscolastiche approfittano del loro status per abusare dellealunne. Secondo l’organizzazione locale AfricanAssociation for the Defence of Human Rights (Aadhr),l’ignoranza della legge e il timore di denunciare gliaguzzini continuano ad alimentare gli abusi sessuali inparticolare a Kinshasa e Matadi. Il recente rapporto diAadhr intitolato School and Sexual Abuse in DRC:Knowledge is Power denuncia circa cento casi di stuproavvenuti tra aprile e giugno in 45 scuole delle due città (idati sono stati raccolti dalla polizia locale e da Aadhr).Nel 2006 il Paese africano ha approvato due leggi cheprevedono condanne severe contro le aggressioni sessualiverso i minori di 16 anni, ma secondo il vice presidentenazionale del Congolese Association for Access to Justice(Caaj) tali norme sono insufficienti. In media, secondoCaaj, l’ufficio del pubblico ministero riceve circa 15denunce la settimana, ma è fondamentale sollecitareancora le studentesse a denunciare i tentativi di violenza.

DONNE FILIPPINE V I O L E N TAT E DUE V O LT E

Donne filippine vittime di abusi sessuali da parte difunzionari governativi in servizio nelle ambasciate

filippine nei Paesi del Medio Oriente: è questa la precisadenuncia che il sacerdote cattolico Shay Cullen,missionario nell’arcipelago asiatico, ha inviato a Fides,chiedendo al presidente Benigno Aquino «tolleranza zerosullo sfruttamento sessuale». Padre Cullen, fondatoredell’associazione Preda che combatte lo sfruttamentominorile, ha raccolto storie che riferiscono di donnecostrette a prostituirsi per ottenere dai funzionari delleambasciate un biglietto aereo e il disbrigo delle praticheper tornare in Patria. Non solo dunque molte domestichefilippine vengono violentate dai datori di lavoro, maabusano di loro anche le persone pagate dallo Stato perassisterle. Padre Cullen ha chiesto alla magistratura diindagare e di accertare le responsabilità sulla base delletestimonianze da lui raccolte. Stigmatizzando losfruttamento, la corruzione e la diffusa violenza su donnee bambini, il sacerdote ha anche denunciato la pericolosasubcultura che nelle Filippine tollera in silenzio lo stuproe il traffico di esseri umani. Nel giugno scorso, del resto,le Filippine sono finite nella Tier 2 Watch List, la listanera del Rapporto sul traffico di esseri umani stilata dalDipartimento di Stato statunitense che include i Paesi chenon rispettano gli standard minimi internazionali nelfrenare la tratta di esseri umani.

Il saggio

Esclavas del poder

Il mercato degli esseri umani è oggi unodei più redditizi del mondo. Ogni annoquasi un milione e mezzo di persone, inprevalenza donne e bimbe, sono ridotte aschiave sessuali: comprate, vendute erivendute come materia prima, scarti otrofei. Lo sviluppo dell’industria sessualea livello mondiale ha creato un mercato —documentato in oltre 175 nazioni — inprocinto di superare il numero di esseriumani venduti all’epoca della schiavitù.Lo ha documentato, rischiando la vita, lagiornalista messicana Lydie Cacho nellibro Esclavas del poder (2010): esiste unautentico boom di reti organizzate cherapiscono, comprano e schiavizzanobambine e donne. Tutto questo, spiegaCacho, grazie alla diffusione di unacultura che considera normali ilrapimento, la sparizione, la compravenditae la corruzione di bimbe e adolescentionde trasformarle in oggetti sessuali. Ladenuncia del libro, però, va oltre i meridati. Milioni di persone considerano laprostituzione un male minore, scegliendodi ignorare lo sfruttamento. «Quandoascolto le argomentazioni a favore dellalegalizzazione, che restituirebbe alledonne il controllo sul proprio corpo, mitorna alla mente lo sguardo perso nelvuoto delle bambine che mai hanno avutoil potere di decidere». (@GiuliGaleotti)

Fu una delle prime religiosea seguire nel 1875in Africa Daniele Comboni«Essa è l’anima di tuttee guai a noise il Signore la prendesse con sé»scrisse un missionario

Il sacrificio di questa missionariaha implicato non solola fine della sua vocazione religiosama anche di ogni speranza umanaRimase infatti incatenataper tutta la vita alla sua condizionedi moglie forzata

Sopra e in basso foto delle missioni in alcuni villaggi del Sudan (Bahr el Ghazal, Delen) e dell’Eritrea (Amba Derò, Archico, Acria), 1880-1930 circa(Roma, Archivio Pie Madri Missionarie Comboniane)

Per mano contro la violenzaInchiesta sul Se.D, Servizio disagio donne, centro di ascolto della Caritas ambrosiana

«Anche le comunità cristianepotevano vivere una contraddizioneC’erano famigliein cui entrava la sopraffazionee veniva meno il progetto di Dio»

La responsabile è suor Claudiadonna minuta che non teme i carichiLo scopo è creare una retegiacché la denuncia da sola non basta

giudicare le violentate come vittime: su di lorosembrava sempre calare l’ombra della colpa,della connivenza con il violentatore. Se in am-bito laico il femminismo ha combattuto persfatare questo pregiudizio — che induceva

fronzoli — Teresa scrive: «Dico che peggio dicosì non può succedere al mondo». Dopoquesti anni, in cui ha sempre resistito allepressanti richieste di apostasia e ha più volteproclamato di preferire a questa la morte, con

molte donne a non denun-ciare la violenza subita — nelmondo cattolico questa opi-nione sta scomparendo soloora, come dimostra il proces-so di beatificazione che lesuore comboniane stannopreparando nei confronti diun’eroica missionaria costret-ta al matrimonio più di cen-to anni fa, Teresa Grigolini.

Teresa, una giovane donna che condivide ilsogno di Daniele Comboni di «rigenerarel’Africa», fu una delle prime religiose a seguir-lo nel 1875 nel Sudan, in luoghi inospitali peril clima e l’estrema povertà, con tanta passionee competenza da essere considerata dal fonda-tore «il modello della vera suora missionariadell’Africa centrale, il primo e più compiutosoggetto della congregazione delle Pie madridella Nigrizia».

Altre lettere di missionari comboniani checollaboravano con lei confermano questo lu-singhiero giudizio: «Essa — scrive Padre Or-walder dalla missione di El Obeid — è l’animadi tutte: quando lei manca, manca tutto. Èportatrice di gioia, di coraggio, e guai a noi seil Signore la prendesse con sé».

Teresa non muore di malattia, come tantecoraggiose giovani che l’hanno seguita, ma in-contra un supplizio peggiore quando la mis-sione viene occupata dalle truppe vittoriosedel Mahdi. Sarà costretta infatti a vivere diecianni in prigionia, torturata da stenti e timoridi violenza, ma soprattutto dal dolore di sen-tirsi abbandonata dal clero e dalla sua congre-gazione, che non riuscivano a fare arrivaresoccorsi né ad avviare tentativi diplomatici perliberare i prigionieri.

Nelle memorie della prigionia, che scrissepochi anni prima di morire — un testo dram-matico proprio per lo stile scarno e senza

le altre suore viene costretta dal Mahdi al ma-trimonio.

Si organizzano così matrimoni fittizi con al-cuni greci, anch’essi prigionieri ma, dopo setteanni in cui non nascono figli, diventa improv-visamente necessario, per la salvezza di tutti,che almeno uno dei matrimoni venga consu-mato e la nascita di un figlio lo provi. PadreOrwalder decise che si doveva sacrificare pro-prio Teresa — tutte erano state sciolte dai votiall’arrivo del Mahdi — con una scelta poi con-testata duramente, al momento del ritorno inItalia, sia dalla Santa Sede che dalla famigliaGrigolini. Perché richiedere questo drammati-co strappo a una missionaria perfetta?

Sappiamo solo che Teresa, seppure con di-sperazione, ha avuto la forza di obbedire:«Confesso pure la mia miseria, pensai che ilSignore mi avesse fatto torto. Per un anno in-tero — scrive nel memoriale — piansi la mia di-sgrazia, ma più ancora il giorno della libera-zione. Tutti, dicevo tra me, tutti hanno trovatola loro liberazione; le suore al loro convento, etutti gli altri in seno alle proprie famiglie e ailoro paesi; per me sola non ho potuto trovarené il mio convento né la mia famiglia; e finoalla morte sarebbe durata la mia schiavitù».

Si tratta di un sacrificio, infatti, che implicanon solo la fine della sua vocazione religiosa,ma anche quella di ogni speranza: quandol’arrivo degli inglesi liberò i prigionieri so-

Dopo i primi secoli la violenza sulle donne consacratesi è ripetuta più raramente nelle terre cristianeper ricomparire agli inizi dell’età contemporaneaOggi costituisce un rischio realeper missionarie e suore che vivono in zone di guerra

Tamara De Lempicka, «Mani e fiori»(1949 circa)

Page 11: Impegno per la pace · porta alla pace. Guerra chiama guer-ra, violenza chiama violenza!». Con parole forti e accorate Papa France-sco, di fronte a quanto sta accaden-do in Siria

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Contro gli stupri in guerra

È tempodi agire insieme

di WILLIAM HAGUE*

Durante i conflitti, in quasi ogni angolodel globo, lo stupro è usato come ar-ma di guerra: distrugge vite, provoca

traumi fisici e psicologici alle vittime, mina lecomunità e aggrava le divisioni etniche e set-tarie. Chi si macchia di questo crimine è sicu-ro dell’impunità, chi sopravvive non ottienemai giustizia o sostegno. Ho fatto diventareuna priorità della politica estera del RegnoUnito la lotta contro le violenze sessuali du-rante i conflitti. Come comunità globale ab-biamo raggiunto un accordo — Arms TradeTre a t y, trattato che regolerà il commercio in-ternazionale delle armi — ma lo stupro e laviolenza sessuale sono armi efficaci quanto lepallottole e i carri armati. Le loro conseguen-ze altrettanto distruttive.

Dobbiamo scegliere se lavorare di nuovoinsieme per cogliere il momento politico sem-pre più sensibile verso le violenze sessuali ecancellare l’impunità, o invece lasciare chel’opportunità sfugga e con essa le speranzedei sopravvissuti. Credo si debba scegliere laprima strada: ora è tempo di agire per porrefine all’uso dello stupro come arma di guerra.Non ci sono soluzioni facili. Affrontare laviolenza sessuale fa parte di uno sforzo piùvasto per dare maggior forza alle donne nellasocietà. Sono stato veramente contento quan-do, nell’aprile 2013, gli Stati del G8 hanno vo-tato la Dichiarazione sulla prevenzione dellaviolenza sessuale nei conflitti, impegnandosiad affrontare le questioni politiche e praticheconnesse a tali crimini. Abbiamo bisogno diquesto tipo di impegni per porre fine all’abi-tudine a considerare le violenze sessuali comequestione secondaria e per porre i diritti e lapartecipazione delle donne in primo pianonella risoluzione dei conflitti.

Sono contento che questo proposito abbiaricevuto il caloroso sostegno di Papa France-sco, che ha scritto al primo ministro come«un ulteriore segnale di attenzione verso lapersona umana è l’avere incluso tra i temicentrali nel programma [del G8] la protezionedelle donne e dei bambini dalla violenza ses-suale nelle situazioni di conflitto». In moltiPaesi, le Chiese e i fedeli danno sostegno achi sopravvive e aiutano le comunità a rico-struirsi. Le comunità di fede possono svolgereun ruolo importante nel trasferire lo stigmadella vergogna dalle vittime al carnefice. LaChiesa cattolica, con la sua rete globale, svol-ge un ruolo importante. Ma è solo l’inizio.

Per porre fine alla violenza sessuale neiconflitti, è necessario che altri Paesi si unisca-no a noi e decidano misure politiche e prati-che. Il G8 è stato un potente inizio e a giu-gno, sotto la presidenza del Regno Unito delConsiglio di sicurezza Onu, ho presieduto aun dibattito sulla violenza sessuale in cui piùdi quaranta Paesi hanno co-sponsorizzato lanuova Risoluzione del Consiglio di sicurezza.Sto lavorando in stretta collaborazione con ilRappresentante Speciale dell’Onu per la vio-lenza sessuale nei conflitti per migliorare lacooperazione internazionale e speriamo insie-me di far sì che quanti più Paesi possibile siimpegnino pubblicamente a una presa di po-sizione di alto livello e inviino un messaggioforte ai sopravvissuti per dire loro che nonsono stati dimenticati. Come Regno Unito,abbiamo inviato squadre di esperti per lavo-rare con un numero di Paesi e di gruppi dellasocietà civile, per migliorare le loro capacitàdi intervento. Dal dicembre 2012 lavoriamo inBosnia-Erzegovina, Libia, Mali, RepubblicaDemocratica del Congo e sul confine siriano,e stiamo sviluppando progetti in altri Paesi.

Insieme alla Chiesa cattolica possiamo sfi-dare la cultura dell’impunità e del silenzio,che ha permesso ad altri di nascondersi dietrol’argomento che la violenza sessuale è inevita-bile conseguenza dei conflitti. I nostri prede-cessori hanno combattuto la tratta deglischiavi, bandito la tortura e reso illegale l’usodi armi chimiche: sta a noi relegare l’uso del-lo stupro come arma bellica nei libri di storia.

*Segretario di Stato del Regno Unitoper gli affari esteri e il Commonwealth

«Carissimo fratello, tua Chiara»La santa del mese raccontata da Liliana Cavani

Nata a Carpi nel1933, LilianaCavani,sceneggiatrice eregista lirica, hadiretto film per ilcinema, tra cui Ilportiere di notte(1974) e quellidedicati al patronod’Italia, Fra n c e s c od’As s i s i (1966) eFra n c e s c o (1989); trai film per latelevisione, Mai peramore. Troppo amore(2012, sullaviolenza contro ledonne) e tra ido cumentariClarisse (2012). Haricevuto, nel 2012,il Premio FedericoFellini 8 1/2 e ilDavid Speciale allacarriera.

Helena Bonham Carterinterpreta Chiara

in «Francesco» (1989)di Liliana Cavani

L’ordine da Roma ha imposto a noi Sorelledi non uscire mai più e non incontrare più i FratelliEppure non ci fu mai scandalo di qualsiasi speciema scambio di aiuto e di consigli

«C arissimo fratello in Cristo, che il Pa-dre ti dia pace e salute. Avrei volutoscriverti soltanto per darti notizie diallegrezza ma non è questo il mo-mento. Tutte insieme noi le tue pic-

cole sorelle abbiamo riflettuto e soprattutto pregato tantoper toccarti in Spirito affinché le parole che leggerai nonti feriscano troppo ma raggiungano lo scopo che è quellodi illuminarti sulla urgente necessità di lasciare la Terradei Mori e tornare.

«La f ra t e r n i t a s è come una povera barca in mezzo auna grande tempesta e corre il rischio di essere sommer-sa. Ecco la causa. Chi la guida in tua assenza dà ordiniai Fratelli e alle Sorelle opposti e contrari a quelli che in-tendevi tu. Questo provoca discussioni e liti continue chetu conosci ma che sapevi gestire con pazienza e saggezza.Tre mesi dopo che sei partito per la Terrasanta ci sonostate assemblee di Fratelli sempre più frequenti alle qualinoi Sorelle non eravamo mai chiamate a partecipare.Leone, Egidio e qualche altro venivano tristissimi a rife-rirci quanto accadeva. E tu puoi immaginare quello cheaccadeva. Riproponevano per la Fratellanza una Regoladi vita opposta a quella che tu avevi indicato con tantachiarezza e pazienza. Chi si opponeva veniva zittito ecacciato fuori. Per questo tanti Fratelli sono confusi, altritristissimi e dispersi. Molti invece sono contenti di segui-re le nuove direttive.

«La prima conseguenza è che la nostra amatissima Si-gnora Povertà fedele compagna della nostre vite è caccia-ta via con fastidio e persino disprezzo. I Fratelli che con-tinuano ad amarla sono accusati di eresia e cacciati ma ilvero motivo è che sono considerati troppo fedeli alle tuedirettive. Il cuore di tutta la questione tu la conosci bene.Dicono che tu negavi loro il diritto di studiare e di ap-profondire con lo studio la parola di Gesù Cristo. Losanno bene che tu dicevi ben altro. Dicevi che lo studio èimportante quando aiuta gli uomini a essere liberi e dice-vi anche che lo studio è persino santo se è al servizio del-la Verità e della Vita. E per te proprio Cristo è Verità eVita. Per molti di loro invece lo studio è un mezzo persottomettere chi non ha studiato e non conosce le paroleper chiedere giustizia. Ed è proprio la parola f ra t e r n i t a sche sembra irritare questi dotti come se non ne compren-dessero il significato travolgente, quello che ha travolto tee attraverso te tanti uomini e donne compresa me. Que-sto ci dà una grande tristezza e possiamo soltanto prega-re per questi fratelli dotti affinché Gesù Cristo li illuminima per ora — è amaro dirtelo — sono vincenti e tenuti inconsiderazione da Roma.

«Ed è a causa di tutto questo che la tempesta si è ab-battuta anche su di noi Piccole Sorelle tue. Due mesi fada Roma è arrivato l’ordine di fare di San Damiano, cheper noi è sempre stata semplicemente la Casa, un veroconvento come tutti gli altri conventi. Se ricordi benec’era già una minaccia nell’aria anche prima che tu partis-si ma grazie alla tua presenza l’autorità restava ferma co-me una belva trattenuta a catena. L’ordine da Roma haimposto da subito a noi Sorelle di non uscire mai più edi non incontrare più i Fratelli, nessuno di loro. Eppurenon ci fu mai scandalo di qualsiasi specie ma scambio diaiuto e di consigli e ci aiutavano coi malati all’ospizioper casi difficili come i paralitici da far muovere. Erava-mo di fatto una f ra t e r n i t a s . Oltre a portoni e cancelli an-

persona. Esultava per la gioia ma pare che a Roma ab-biano altre idee. È evidente che in Terrasanta hanno bi-sogno di te e io e le Sorelle rischiamo di essere importu-ne. Ma è giusto che tu conosca tutto per poter decidere eper questo preghiamo tanto e...».

La lettera si interrompe qui. Provocò di sicuro moltodispiacere a Francesco. Sapeva che Chiara non l’avrebb emai scritta se i fatti non fossero stati anche peggiori. Eliada Cortona che stava con lui in Terrasanta, ricorda che

l’amico leggendola aveva le lacrime ma non rivelò il con-tenuto a nessuno. Decise però di tornare in Italia col pri-mo possibile vascello.

Questa lettera non è mai stata letta da alcun biografo.Nelle Fonti francescane si legge però una lettera inviata daChiara a Francesco in cui lo sollecitava a tornare. Era in-fatti il periodo nel quale dentro alla f ra t e r n i t a s c’eranograndi dissensi. L’ho scritta immaginandola. Ora mi sem-bra così vera che non posso distruggerla.

che le sbarre alle finestre ci separano da tutti. Non abbia-mo più potuto andare a lavorare chi al servizio in una ca-sa di benestanti chi alla fabbrica per ottenete il sostenta-mento per noi e per i nostri fratelli poveri o ammalati.

Ti chiederai di che cosa viviamo. Ecco la maggiore sor-presa. Il nutrimento ci deriva dalle consegne dei “nostricontadini” che ci portano ogni ben di Dio. Noi siamo di-ventate infatti le loro “p a d ro n e ”. Insomma la Chiesa ciha conferito delle rendite e così viviamo di rendita. Sem-bra quasi uno scherzo se pensi che io e altre sorelle ab-biamo lasciato comodi palazzi e ricche mense per abbrac-ciare Signora Povertà per vergogna verso i fratelli svan-taggiati. Siamo di nuovo privilegiate e protette e ci sen-tiamo come quei pupazzetti coi quali si gioca da bambi-ne e che vengono sbattuti qua e là. Il Commesso Pontifi-cio che ci ha portato il documento riguardo l’u s u f ru t t odelle terre che ci hanno conferito ha riso quando gli hodetto che non volevamo quel privilegio di rendita ma in-vece il privilegio di essere povere. Ci ha fatto notare chemoltissimi fratelli erano ben felici di avere ottenuto dellesedi confortevoli per lo studio e la preghiera. Non c’èstato verso di fargli capire che eravamo felici di guada-gnarci di che vivere come fanno la maggior parte dei“fratelli”. Non riusciva a capire che non mi riferivo a fra-telli di sangue ma ai fratelli in Dio che è ben più impor-tante. È stato un dialogo impossibile. I primi tempi nonriuscivamo quasi a mangiare per l’imbarazzo. Ci vergo-gnavamo e donavamo tutto. Poi insieme a Leone e Pietrosono andata dal Vescovo a parlargli e così d’intesa conlui, con lui solo, appena fa buio io e alcune sorelle uscia-mo a portare cibo e assistenza ai nostri fratelli in difficol-tà. Ma il principale impulso per la nostra resistenza è lacertezza che quando tornerai verrà chiarito questo equi-voco. Un’interpretazione così errata delle parole del Van-gelo non può che essere un equivoco. E proprio a causadi questo equivoco tanti Fratelli hanno accettato case epersino palazzi per vivere nell’agiatezza. Dicono che stu-diano e che perciò necessitano di riposare comodi, di nu-trirsi con cibi delicati e vestirsi con panni morbidi. Nonla pensano così i primi arrivati alla f ra t e r n i t a s , Leone, Ru-fino, Pietro, Egidio e altri. Sono rimasti fedeli al Vangeloalla lettera e pertanto continuano a vivere come primama sperano e pregano perché presto si faccia chiarezza.Quanto sia necessario che tu esista non puoi neanche im-maginarlo.

«È giunta qui la notizia, grazie a un mercante che l’hadiffusa, che hai incontrato il Sultano e che avete parlatodi una possibile Pace. Il Vescovo è venuto a riferircelo di

William Hague in Rwanda con Angelina Jolie, ambasciatrice dell’Al t oCommissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (marzo 2013)