IMPARARE A CAMBIARLO PER LIBERARSI DALLA … · genitori, a Luca, Elisa e Silvia. ... scatenarsi di...
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L’ATTEGGIAMENTO:
IMPARARE A CAMBIARLO PER LIBERARSI DALLA
TRAPPOLA E SODDISFARE IL BISOGNO
CORSISTA: Cavallin Eva
Corso di Counselling Emozionale Aziendale
Anno Formativo 2011 Sede Vittorio Veneto (TV)
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INDICE:
Presentazione Pg. 2
1. Gli atteggiamenti: cosa sono e come si formano Pg. 5
1.2 L’atteggiamento base, personalità e pregiudizio; accenni Pg. 8
1.3 Gli atteggiamenti secondo Dan Casriel
e la Bonding Psycotherapy Pg. 10
2. Cambiare l’atteggiamento Pg. 14
2.1 Fattori contribuenti la stabilità dell’atteggiamento Pg. 15
3. Le emozioni Pg. 17
3.1 Le frequenze dell’energia emotiva Pg. 17
3.2 I centri delle emozioni e loro effetti sul piano fisico Pg. 18
4. Bisogno e bonding Pg. 19
4.1 Il bisogno non soddisfatto Pg. 21
5. Schemi motivazionali e di rifiuto Pg. 23
6. Le trappole: cosa sono e come si formano Pg. 26
Conclusioni Pg. 28
Bibliografia Pg. 30
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Presentazione: Alla base del mio approfondimento riguardo agli atteggiamenti c’è un convinzione
profonda che riguarda la volontà di agire. In questo elaborato espongo una panoramica
degli studi sull’atteggiamento effettuati dagli studiosi della psicologia cognitivo –
comportamentale. Per riassumere in breve, ho trattato cosa sono gli atteggiamenti e
come si formano, perché faticano a cambiare, come diventano automatismi. Cos’è
l’atteggiamento base, come influisce sulla personalità e sulla creazione dei pregiudizi.
Ho cercato di evidenziare come le emozioni e il bisogno siano parte integrante
dell’atteggiamento e come il funzionamento sinergico di queste componenti porta ogni
persona alla ricerca di ciò di cui ha bisogno. Ho iniziato un percorso di esplorazione
delle mie dinamiche nel 2008 con la formazione BP, per me è stato scoprire che potevo
prendermi un piccolo posto, che potevo iniziare ad avere delle preferenze senza dover
chiedere ne parere, ne consenso riguardo alle scelte che mi riguardano direttamente. In
questo contesto ho conosciuto il metodo utilizzato dal medico psichiatra Dott. Dan H.
Casriel, l’approccio utilizza le emozioni come strumento per lavorare sull’atteggiamento
disfunzionale (alla persona e alle relazioni che vive) e aprire una nuova strada più
consapevole, verso una risoluzione più positiva e attiva nel problema emotivo-
relazionale; dove la persona impara a liberarsi dai pregiudizi e a scegliere in maniera
più libera.
La panoramica sugli atteggiamenti utilizzati nella BP è stata suddivisa in 3 filoni
principali nei quali si possono essere fissate delle convinzioni negative su di sé. Il primo
filone è esistenziale, riguarda l’appartenenza alla vita, il secondo riguarda l’autonomia, il
terzo riguarda l’autostima e la realizzazione.
"Non è la specie più forte che sopravvive, o
quella più intelligente, ma quella che risponde
più prontamente al cambiamento"
Anonimo
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Un altro punto cruciale riguarda il cambiamento dell’atteggiamento, e la sua stabilità da
quali fattori dipende.
Ho esplorato le emozioni indicando cosa sono, quale spazio importante occupano nella
persona come identità dinamica o “uomo triangolare”; ho parlato delle frequenze
corporee che ogni emozione libera, quali sono i centri nervosi che partecipano e le fanno
funzionare, permettendo così di sentire l’energia nel corpo. Energia che ci collega con i
bisogni e con il mondo che ci circonda.
Ho parlato anche del bisogno e del bonding perché sono fondamentali parti
dell’atteggiamento in quanto racchiudono il significato chimico-fisico dell’appartenenza.
Ho raccontato il profondo disagio che ho provato rispetto all’inadeguatezza, un
disorientamento che mi ha portato a compiere scelte anche forzate e non volute,
mettendo le mie preferenze in un angolo. Mi serviva agire, non più aspettare e ascoltare.
Conoscere l’atteggiamento mi è servito per aumentare la consapevolezza in me stessa e
la capacità di agire e interagire con gli altri.
Come infermiera trovo importante avere consapevolezza delle mie dinamiche per non
farmi coinvolgere in certe situazioni emotive forti, come il lutto, la sofferenza, la
negazione di una patologia ad esempio e soprattutto per difendermi da circoli viziosi
che portano verso trappole emotive.
Attraverso il lavoro fatto con la tesi ho scoperto che alcune trappole sono nate nella mia
infanzia ma alcune volte mi condizionano ancora. Nell’analisi delle trappole che mi
caratterizzano (l’esclusione sociale e la sottomissione) ho avuto modo di approfondire
ciò che mi intrappola nelle relazioni e che non mi permette di sentirmi libera.
La conoscenza dell’atteggiamento mi ha permesso di prendere padronanza della mia
vita, di conoscere le mie dinamiche nelle relazioni e diventare più attiva nelle scelte,
prendendo decisioni più responsabili. Ho acquisito la consapevolezza che non devo
subire ciò che mi circonda ma che posso prendermi impegni reali, anche di
responsabilità e svolgerli con entusiasmo senza sentirmi ingabbiata.
Come infermiera ho bisogno di avere una rotta da seguire per quanto riguarda la
sicurezza in me e nei rapporti con gli altri, tenendo conto della gran varietà si situazioni
che mi si parano davanti. Devo difendermi da chi, per necessità propria, ha bisogno di
scaricare le tensioni; io non voglio caricarmi come ho sempre fatto, anche perché corro
il rischio di confondermi. Sento il bisogno di essere preparata per accogliere la persona,
che molte volte viene in ospedale per morire o che non ha neanche le capacità cognitive
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per comprendere. E’ utile per me, che io sia in grado di gestire il corpo che sono e di
interpretare il corpo che ho davanti.
Ringrazio infine chi mi ha permesso di iniziare il mio cammino verso il benessere che ora
finalmente vivo, vi porto nel cuore.
A Regina, Don Gigetto, Marisa, Lorenzo,
Renato, Isabella, Veronica, Matteo, ai miei
genitori, a Luca, Elisa e Silvia. Al buon Dio che
non mi abbandona mai.
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1. Gli atteggiamenti: cosa sono e come si formano
In genere per atteggiamento si intende la predisposizione mentale verso qualcosa, le
idee, le convinzioni e i giudizi sviluppati riguardo ad un argomento o evento vissuto.
Sono idée, convinzioni cariche di emozioni collegate agli eventi, pensieri che divengono
affermazioni interiori profonde; derivano da posizioni prese nel passato che hanno
contribuito al superamento di momenti di disagio e a far fronte ai bisogni non
soddisfatti; seguendo questo principio è possibile comprendere come di fronte allo
scatenarsi di una emozione (paura, rabbia, dolore, piacere, amore) sia possibile che la
persona metta in moto atteggiamenti appresi nei primi anni di vita anche a distanza di
molto tempo.
La maggior parte delle competenze per la sopravvivenza si acquisiscono nei primi 3
anni di vita, poi con lo sviluppo mentale e l’affinamento logico-astratto si creano le
situazioni in maniera astratta imparando perciò a prevedere e prevenire.
Gli atteggiamenti si formano in tre modalità:
-Esperienza diretta: Porta a una forte associazione in memoria tra la rappresentazione
dell’oggetto e la sua valutazione, il ripetersi dell’esposizione rende l’associazione
automatica e l’atteggiamento diviene più resistente al cambiamento.
-Osservazione della esperienza altrui: L’associazione tra la rappresentazione
dell’oggetto e la sua valutazione è meno forte, l’atteggiamento è meno resistente al
cambiamento.
-Comunicazione: L’associazione tra rappresentazione e oggetto è molto debole, diviene
difficile il recupero dalla memoria, l’atteggiamento è molto meno resistente al
cambiamento.
La valutazione positiva o negativa di un evento /oggetto dipende da:
- elementi cognitivi, ossia convinzioni, credenze, pregiudizi, conoscenze e stima.
- elementi emotivi, anch’essi basati su pregiudizi e stereotipi, come l’interesse, la noia
o la fatica evocate da determinate caratteristiche.
- elementi comportamentali, cioè volontà di azione, modi di intervenire,
comportamenti con i quali si affronta preferibilmente una situazione o un argomento.
L’atteggiamento favorevole o sfavorevole si forma attraverso la soddisfazione di un
bisogno, questi sono individuali e dipendono dall’esigenza di appartenenza e affiliazione
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ad un determinato gruppo, oggetto, evento e dal grado di soddisfacimento che questa
vicinanza crea.
Elementi cognitivi, emotivi e comportamentali lavorano sinergicamente in un individuo,
l’atteggiamento che si forma tende al raggiungimento di un risultato finale unico e
vantaggioso, il migliore possibile per la persona in quel determinato momento.
Secondo gli studi che si stanno effettuando sul ruolo attivo delle emozioni nella
formazione dell’atteggiamento, lo si può definire come il modo individuale di
agganciarsi e di appartenere alla vita.
Secondo la teoria dell’Azione Ragionata di Fishbein e Ajzen (1975, studio dal punto di
vista cognitivo - comportamentale), nell’atteggiamento vi sono una componente
individuale che valuta gli effetti che ipoteticamente avrà un certo comportamento e una
componente sociale circa le norme apprese (pressione sociale), questo abbinamento
produce una intenzione che può dare la percezione di aver controllo sul proprio
comportamento (Ajzen,1988).
La regola dell’azione ragionata, secondo Fazio, si applica solamente quando
l’associazione tra oggetto e la sua valutazione è debole o non disponibile; quando
l’associazione tra l’oggetto/evento e la sua valutazione è forte, l’atteggiamento guida il
comportamento.
La forza associativa è la più diretta probabilità che un atteggiamento diventi attivo se il
soggetto incontra l’oggetto d’atteggiamento, la ricerca ha dimostrato che quanto più è
accessibile un atteggiamento, tanto più esercita influenza sui processi cognitivi.
La forza di un atteggiamento e quindi il suo ripresentarsi dipende da fattori ben
determinati:
-Disponibilità dell’oggetto/evento (conoscenza): in memoria è presente un’associazione
tra la rappresentazione mentale e la relativa valutazione attribuita.
-Accessibilità all’oggetto/evento (tempo): sforzo richiesto per recuperare l’associazione
e applicarla al contesto vissuto.
E’ dimostrato che il cervello si sviluppa in circuiti neuronali, questi sono utilizzati allo
scopo di rendere la risposta più immediata; l’accessibilità a questi percorsi pre-
strutturati è data da determinati fattori e rende le risposte automatiche su base dello
stimolo scatenante che è causato dal fatto/evento in sé (atteggiamento come schema,
Fazio).
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L’Accessibilità è il legame associativo tra l’oggetto/evento (immagine introiettata) e la
sua valutazione (importante o meno).
Determinanti dell’accessibilità:
-Tempo di reazione (più breve è il tempo di recupero dell’informazione più è
accessibile)
-Forza di associazione tra l’oggetto/evento e la valutazione attribuita a esso.
Gli atteggiamenti direttamente accessibili dalla memoria hanno maggiore probabilità di
guidare l’elaborazione di informazioni rilevanti e di influenzare il comportamento,
l’accessibilità dipende da frequenza di attivazione, imminenza, importanza dell’idea.
L’accesso alla memoria avviene tramite tre distinti processi (Fazio e Williams, 1986):
-Processo automatico senza sforzo per richiamare alla memoria (atteggiamento forte)
-Processo controllato con elaborazione consapevole di richiamo (atteggiamento debole)
- Incapacità di recuperare l’associazione e formulazione della valutazione nel momento
stesso (atteggiamento molto debole)
NB: Il corretto non atteggiamento si avrà nelle situazioni in cui non esiste alcuna
valutazione in memoria.
Secondo Feather (1982) l’atteggiamento è una valutazione spontanea e inevitabile che
risente del valore riconosciuto agli attributi dell’oggetto / evento e della forza
dell’associazione; è influenzato solo da idee prontamente accessibili.
Il comportamento ha a che fare con l'agire, si suppone che l'atteggiamento influenzi il
comportamento, anche se non sempre si producono azioni coerenti e in linea con le
nostre idee, e viceversa.
La motivazione che spinge a comportarsi in una determinata maniera è data dai rinforzi
ad un determinato comportamento che porta al soddisfacimento del bisogno,
all’emozione che vi è legata, all’appartenenza e all’affiliazione che si sente rispetto a quel
comportamento.
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1.2 L’atteggiamento base, personalità e pregiudizio; accenni:
La mente giudica le emozioni rispetto ad un preciso evento e ci permette di affrontare la
situazione che stiamo vivendo. Il mancato soddisfacimento del bisogno o eventi troppo
dolorosi o situazioni troppo difficoltose determinano l’instaurarsi di un’affermazione
interiore negativa rispetto a un atteggiamento verso qualcosa o qualcuno, se invece il
bisogno è accolto e soddisfatto (nelle prime fasi della vita lo fa il genitore) sarà positiva.
L’atteggiamento base è quello che si forma fin dalla prima infanzia. E’ il risultato della
sommatoria di più variabili: gli eventi della vita, l’ambiente e le modalità relazionali
caratterizzanti il contesto/gruppo in cui si vive; viene introiettata una modalità
interattiva col proprio ambiente, le situazioni e le relazioni, che diventerà parte della
personalità, del carattere e del comportamento.
Tabella 1, Formazione dell’atteggiamento base e riattivazione EVENTO COMPORTAMENTO EMOZIONE + ATTEGGIAMENTO BASE (Funzionale alla situazione) PENSIERO
PERCEZIONE SOGGETTIVA EVENTO NUOVO Di fronte a un problema relazionale nuovo, la mente si fa un’idea dell’emozione; il comportamento conseguente se funzionale a risolvere il problema, viene interiorizzato e diventa atteggiamento relazionale con la vita e con gli altri; prendo cioè una posizione, questa tenderà a ripetersi in ogni problema con caratteristiche simili, a quelli già vissuti e soprattutto in contesti di necessità immediate. NB: L’atteggiamento è sempre modificabile a vantaggio di soluzioni migliori.
La personalità si sviluppa seguendo l’unico metodo di approccio alla vita che la persona
conosce, nell’atteggiamento base, che fondamentalmente è uno schema, l’azione non
viene espressa per ciò che si sente ma per ciò che si pensa, perciò se l’atteggiamento è
negativo, i pensieri che prenderanno il sopravvento sulla percezione fisica e corporea si
trasformeranno in pregiudizi negativi.
Il pregiudizio ha delle qualità positive, il fatto di memorizzare eventi, immagini,
persone, modi di comportamento aiuta ad individuare e prevenire le situazioni evitando
i conflitti o a prepararsi per il futuro, permettendoci di creare la soluzione causa-effetto
a livello cognitivo e volitivo. Riferendoci alle emozioni è importante sottolineare che
pregiudizi, quali un eccesso di paura del futuro per esperienze vissute in maniera
negativa nel passato, possono portare a non vivere più le situazioni presenti; il distacco
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che si forma limita, ovviamente, le capacità di agire sul presente stesso e questo tipo di
pregiudizi comporta a lungo andare anche disagi importanti di tipo relazionale. Le
interazioni quotidiane possono divenire difficoltose e non libere perché non legate al
momento ma vincolate da soluzioni ipotetiche o addirittura fantastiche. I rapporti
interpersonali possono venir vissuti come sconfitte o presupposte tali, a causa della
scarsa capacità relazionale e della tendenza alla bassa autostima che ovviamente ne
consegue peggiorando ulteriormente le relazioni con l’esterno.
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1.3 Gli atteggiamenti secondo Dan Casriel e la Bonding Psycotherapy:
“La terapia Emozionale è un metodo psicoterapeutico sviluppato dallo psichiatra Dan
Casriel come programma di educazione all' autoaffermazione, all’individuazione di
atteggiamenti motivanti, alla “riconciliazione” con eventi negativi emotivamente
perduranti nella propria esperienza, alla “vicinanza biologica”, fisica, psichica e
spirituale con gli altri, alla creazione di relazioni empatiche, corrette, gratificanti e
tutelanti.” [Silvio Quirico]
Fondamentalmente sono stati individuati 12 atteggiamenti che vengono utilizzati nella
bonding psycotherapy e che permettono di sbloccare le emozioni in modo da attuare
cambiamenti nella vita della persona e liberarla dalle trappole che condizionano le
relazioni intrapersonali e interpersonali.
Si possono dividere sommariamente in tre categorie di atteggiamento.
-Esistenziali sono molto importanti per quanto riguarda l’appartenenza alla vita, se
negative, sono le convinzioni più difficili da togliere:
IO ESISTO – IO NON ESISTO: Se l’affermazione interiorizzata è negativa, è
caratteristico di chi non sente il suo posto nel mondo, di persone suicide e bambini
super adattati, è collegato a emozioni come paura e dolore.
Con l’affermazione positiva le emozioni sono di piacere nell’esistere, nell’occupare il
proprio posto, del sentirsi accettato e appartenente alla vita.
IO HO BISOGNO – IO NON HO BISOGNO: L’affermazione negativa è di persone che
faticano a chiedere ciò di cui hanno bisogno; è collegato con l’appartenenza, affetto,
cibo, protezione, dipendenza. E’ presente l’accoglienza, l’accettazione e
l’appartenenza ma i bisogni non sono stati pienamente soddisfatti perché nessuno se
ne è accorto o non li ha accolti, le emozioni base sono paura e rabbia che
faticosamente riescono a esprimere.
Se l’affermazione è positiva significa che probabilmente i bisogni sono stati accolti, c’è
piacere nel chiedere, nel sentirsi soddisfatti e amati.
IO SONO AMABILE – IO NON SONO AMABILE: Se l’affermazione è negativa, significa
che la persona non si sente accudita bene, non sono soddisfatti i propri bisogni. La
percezione è che quando si mostra il bisogno l’altro non si accorge o non vuole dare
aiuto per soddisfarlo, col risultato di non sentirsi degni di amore. Se i bisogni sono
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soddisfatti la persona sente che è stata accudita bene, cioè si sente amata e quindi si
ritiene amabile, degna di amore. Quando mostra il suo bisogno ha l’attenzione
dell’altro che, a sua volta, ha un rapporto con il proprio bisogno; nell’aiutare chi
chiede aiuto, si da la percezione all’altro di essere amabile. Nell’affermazione positiva
le emozioni sono di piacere nel sentirsi accolti e degni di amore, chi non si sente
amato fa i dispetti, è ribelle; le emozioni principali quindi sono rabbia per la
frustrazione e dolore.
-Autonomia, riguardano la persona in rapporto al contesto di vita e nelle relazioni, la
sensazione è di sentirsi capace o incapace di scegliere, chiedere, responsabile e adulta:
IO HO DIRITTO – IO NON HO DIRITTO: Con l’affermazione positiva, la persona sente
che esiste, i bisogni sono soddisfatti e si sente amabile. Può chiedere, è insito il
principio e valore della giustizia e del torto. Se l’affermazione è negativa, la persona
che non ha diritto rimane in penombra, combina guai ma non chiede. L’emozione
prevalente è la paura, ma anche dolore e rabbia.
IO PER PRIMO - IO NON SONO PRIMO: Nella relazione (tra pari), se l’affermazione è
positiva, la persona si sente in 1° classe applica e tende ad applicare il diritto, quella
con affermazione negativa si mette in 2° classe, sente che arriva sempre dopo in tutto.
È il dramma dei secondi nati, è presente il senso di colpa come conseguenza alla
colpevolizzazione per essersi messi (o aver tentato di mettersi) al 1° posto, la
sensazione è di sentirsi tagliato fuori. Le emozioni sono di dolore e rabbia
nell’affermazione negativa, mentre se è positiva sono di amore e piacere.
IO POSSO SCEGLIERE – IO NON POSSO SCEGLIERE: Nelle situazioni in cui ci sono
nuovi bisogni e necessità la persona può sviluppare un affermazione negativa, è
caratteristico di chi non sa decidere, ha troppe possibilità e delega le scelte ad altri,
non assumendosi la responsabilità. L’emozione prevalente in questo caso è la paura.
Se l’affermazione è positiva, la persona, dopo una accurata valutazione sceglie la
soluzione più vantaggiosa; l’emozione in questo caso è il piacere. Il bambino e il
giovane scelgono per soddisfare le proprie esigenze, mentre l’adulto, solitamente
sceglie per soddisfare anche quella degli altri.
IO SONO RESPONSABILE – IO NON SONO RESPONSABILE: In questo caso è percepito
il rischio della scelta, questo atteggiamento se negativo mette a repentaglio il diritto
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di scegliere, la capacità di mettersi al primo posto, la possibilità di scegliere e quindi
divenire responsabile delle conseguenze. L’emozione principale è ancora la paura.
Al contrario, se l’affermazione è positiva, si avrà diritto e capacità di mettersi al primo
posto per scegliere assumendosi anche le conseguenze di ciò che porta la scelta.
L’emozione è il piacere e si abbina al sentimento della fiducia.
- Autostima: Sono gli atteggiamenti che fanno sentire la persona sicura e capace di
provvedere a se stessa. Hanno a che fare col valore personale e l’idea di se stessi,
con l’autorealizzazione nella vita.
IO VALGO – IO NON VALGO: Riguarda il valore attribuito a sé come persona nella
relazione con se stessi, con gli altri e con la vita. Se l’affermazione è negativa le
emozioni prevalenti sono il dolore e la rabbia. Se è positiva, l’emozione è l’amore e il
piacere per se stessi.
IO SONO CAPACE – IO NON SONO CAPACE: E’ la convinzione di avere le forze e le
energie per affrontare le situazioni, le relazioni. Se l’affermazione è negativa c’è la
convinzione di non riuscire, la frustrazione determina emozioni quali: rabbia e
dolore. Se l’affermazione è positiva determina emozioni come piacere e amore.
IO HO FIDUCIA – IO NON HO FIDUCIA: Riguarda l’autostima, l’autoaffermazione e
l’assertività. La persona crede o non crede in se stessa, si sente o no capace ed
efficiente. Se l’affermazione è negativa, l’emozione collegata è la paura; mentre se è
positiva, sarà il piacere di guardare avanti.
IO VADO BENE COSI’ – IO NON VADO BENE COSI’: Questa affermazione esprime
l’accettazione di sé in un determinato contesto. Se negativa, comporta un senso di
inadeguatezza e determina emozioni quali, dolore, paura e rabbia. Se l’affermazione è
positiva c’è un’accettazione generale, nonostante ci siano anche determinate pretese
o tendenze perfezionistiche e le emozioni collegate sono di piacere e gioia.
Quando l’identità personale o la conoscenza dei propri bisogni e conseguentemente dei
propri limiti non è ben chiara, si può generare confusione. Soprattutto in situazioni in
cui c’è molto bisogno o ci sono tante responsabilità, può crearsi una “fusione”, in cui la
persona non sente più dove finisce il suo spazio e dove inizia quello dell’altro.
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L’atteggiamento che è necessario per l’integrità personale è il dodicesimo:
IO SONO IO E SONO DIVERSO DA TE: Riguarda i confini individuali, la persona si
sente distinta dall’altro, ne è consapevole, in caso contrario possono generarsi
emozioni negative e distruttive.
Nell’affrontare le situazioni, difficili o meno, LA
PERSONA HA UNA IDEA PRECISA DI SÉ
ALL’INTERNO DELLA RELAZIONE (quale
identità in confronto con gli altri); ognuno di noi
ha questi atteggiamenti che operano in se
stesso, sia nella polarità positiva che negativa.
Sono tutti atteggiamenti interdipendenti tra di
loro, ma quelli acquisiti nei primi anni di vita e
nell’adolescenza, periodo in cui tutto viene stravolto e cambia, sono caratterizzanti e per
questo determinano le modalità interattive e comportamentali: per questa ragione ogni
situazione che fa riemergere il bambino o l’adolescente che è insito dentro di noi, verrà
affrontata con una inclinazione verso l’atteggiamento dominante.
Figura 1 - Nell’oggi c’è una parte di ieri
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2. Cambiare l’atteggiamento
La persona che arriva in consulenza espone il proprio disagio, come si può intendere da
ciò che è stato già considerato precedentemente, servono competenze specifiche per
aiutare ad elaborare eventi travagliati senza creare danni. Si possono creare situazioni
compromettenti con la persona che chiede aiuto, fino a fallire la consulenza o peggio
ancora riaprire ferite profonde dalle quali la persona ha imparato, a suo modo, a
difendersi.
Il consulente emotivo per arrivare a stimolare un cambiamento nell’atteggiamento della
persona utilizza come strumento le emozioni, accoglie ciò che la persona gli dona della
propria esperienza e fa sentire la vicinanza nel momento più liberatorio. Attraverso la
competenza emotiva, la corretta gestione delle emozioni e la ricerca del bisogno reale
che scatena il disagio; il consulente cerca di promuovere la consapevolezza delle
dinamiche che la persona mette in moto, sottolinea i comportamenti dannosi o
contraddittori rispetto al bisogno, lasciando alla persona la piena libertà di decidere in
merito ai passi da compiere.
Utilizzando modi alternativi per superare una certa situazione e allenando nuove
capacità si possono acquisire competenze più funzionali alla relazione fino alla
modificazione degli atteggiamenti non funzionali e anche di quelli autodistruttivi.
Qualsiasi persona diventa una risorsa per vedere aspetti diversi dal proprio e ottenere
spunti per modificare i propri atteggiamenti; il punto d’incontro che crea la crisi è il
conflitto che si genera tra ciò di cui si pensa di aver bisogno e il reale bisogno, in questo
spazio conflittuale si genera la forza per il cambiamento o il rafforzarsi
dell’atteggiamento.
Secondo la psicologia sociale, l’atteggiamento è una tendenza psicologica, un
orientamento nei confronti di un oggetto secondo l’asse del piacere – dispiacere
(valutazione personale) e secondo norme soggettive che si riferiscono a credenze su
come gli altri giudicano il comportamento, (principio del dovere). L’atteggiamento
rispecchia un insieme di affetti e cognizioni; attiva una tendenza ad esprimersi , ad agire
pro o contro.
Il comportamento è l’azione che segue l’atteggiamento, ciò che si vede: ci sono
comportamenti volontari e pianificati o spontanei e automatici.
Le inclinazioni e preferenze si trasformano in scelte di mettere in atto un
comportamento; le variabili considerate dalla nostra coscienza tengono conto di:
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-Norme soggettive: Propensioni individuali guidate dall’interno.
-Atteggiamento: Propensioni individuali influenzate dalle reazioni dell’ambiente ai
comportamenti espressi.
-Controllo comportamentale percepito: Quanto l’individuo riesce a controllare.
Gli atteggiamenti si replicano nel corso della vita e possono diventare automatici. In
alcuni frangenti servono a distaccare la mente dal sentire per proteggerla da emozioni
troppo forti; è utile individuare gli atteggiamenti non funzionali per prenderne
consapevolezza, conoscerli ed eventualmente correggerli. Il primo passo è quello di
portare alla coscienza le dinamiche dannose per individuare i comportamenti e i
pensieri che generano il disagio; si parla di un vero e proprio addestramento che
necessita di figure competenti in ambito emozionale ma anche psicologico, richiede
tempo e a volte costa fatica perché per una vita si è usato lo stesso modo di affrontare le
situazioni.
Nelle situazioni di disagio emotivo dove si ha una compromissione della relazione, chi
fa la consulenza pone domande per portare alla luce i fatti e le emozioni collegate in
maniera oggettiva, questo serve al cliente per poter azzardare ipotesi risolutive e aver
modo di decidere il da farsi rispetto all’evento stesso, in maniera libera.
2.1 Fattori contribuenti la stabilità dell’atteggiamento
1. Multilateralità, quanti elementi cognitivi, emotivi e comportamentali compongono
l’atteggiamento; è isolato se composto da un solo elemento (es. l’attrazione verso la
carriera di avvocato solo perché si guadagna bene).
2. Coerenza tra elementi cognitivi, emotivi e comportamentali, cioè tutti positivi o tutti
negativi, se non artificiosamente omogeneizzati. Ogni elemento discorde rischia di
venir forzatamente conformato alla tonalità generale (teoria della dissonanza di
Festinger). Per valutare l’intensità del proprio atteggiamento sarebbe necessario
enumerare tutte le componenti che lo compongono, contarle e valutarne la coerenza;
il numero di note negative evidenzia lo sforzo per sopprimerle o conformarle
artificiosamente alla tonalità positiva, pur di preservare un quadro coerente.
3. Interconnessione, quanto sono interconnessi o isolati i vari elementi
dell’atteggiamento. Un eccesso è dannoso perché crea un’ideologia ossia un sistema di
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credenze molto resistente al cambiamento, anche quando esposto a informazioni
contrarie (teoria dell’equilibrio di Heider).
4. Numero dei bisogni soddisfatti e relativa priorità. Un atteggiamento è stabile se
soddisfa numerosi bisogni e se tali bisogni sono gerarchicamente importanti per la
persona. Se si ambisce a qualcosa che da vantaggio certo l’atteggiamento sarà stabile, a
meno che non cambi la gerarchia dei bisogni e il vantaggio di prima non sia più
prioritario, per cui anche l’atteggiamento sarà meno positivo.
Ritengo sia utile una riflessione per quanto riguarda il cambiamento di un
atteggiamento. La persona deve assolutamente essere cosciente dei propri
comportamenti, della propria affettività e del proprio modo di pensare per poter
modificare se stessa.
Benché non sia facile creare un cambiamento è comunque utile intervenire sulla
componente che magari predomina in quel preciso momento e che crea disagio, sia essa
un comportamento, una emozione o un pensiero. Solo applicando il cambiamento si
potrà avere il risultato. E’ anche sottointeso che chi interviene in aiuto a una persona in
situazione di disagio deve avere le competenze necessarie e non dovrebbe mai in
nessun caso dare delle soluzioni, bensì offrire stimoli per la ricerca delle risposte,
tramite l’attivazione delle risorse personali del soggetto.
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3. Le emozioni:
Le emozioni meritano un approfondimento a sé. L’emozione come accennato
precedentemente è il messaggio che viene percepito, è l’unica modalità che ha il corpo
di parlare e rapportarsi con la mente.
Come sono fatte le emozioni?
Innanzitutto la persona è corpo, è identità. Secondo Daniel Casriel si può visualizzare
attraverso uno schema, il Triangolo della vita o identità dinamica: ad ogni angolo
corrisponde una parte della persona, è una condizione in continua trasformazione, se
cambio anche un solo angolo cambia tutto il modo di interagire con se stessi e con gli
altri e cambiano di riflesso anche gli altri angoli.
Schema 1, Identità dinamica secondo Daniel Casriel Affect (Emozioni) Behaviour Cognition (Comportamenti) (Atteggiamento verso la vita
/idea che ho di me)
3.1 Le frequenze dell’energia emotiva
Le emozioni sono energia che attraversa il corpo e che scuote la persona, l’energia
neurale passa attraverso le sedi delle emozioni (ippocampo→amigdala→corteccia).
Tabella 2, Le frequenze emotive
Paura: Frequenza alta e vicina Rabbia: Frequenza alta e abbastanza vicina Dolore: Frequenza quasi piatta Piacere: Frequenza piatta
Ogni emozione risuona e si cristallizza in una parte precisa del corpo (irrigidisce o rilassa).
“Gli psicologi e gli scienziati del comportamento parlano di emozione quando degli
stimoli, esterni o interni, causano una reazione affettiva e modificano il nostro stato di
IO (Identità)
Le emozioni sono distinte dai sentimenti, si sentono nella pancia. L’APPARTENENZA è l’unica ambientazione che permette al cervello di svilupparsi in un certo modo. Le emozioni appartengono alla sfera corporea ambientale: promuovono la vita e salvano la vita.
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coscienza. Questa reazione è di natura psicologica, ma ha effetti anche sul piano fisico, e
sono effetti difficili da controllare.” [Silvio Quirico]
3.2 I centri delle emozioni e loro effetti sul piano fisico
Il sistema limbico è il circuito cerebrale deputato al riconoscimento delle emozioni e
all’intelligenza emotiva, è un apparato funzionale composto da amigdala, ippocampo e
lobi pre-frontali. L’amigdala è il centro dell’emozione; determina la reazione primaria,
indica come comportarsi, dialoga con l’ippocampo in pochi secondi: si parla perciò di
stimoli e risposta.
L’ippocampo è la sede del ricordo emozionale, è questa struttura che in base all’evento
riconosce l’emozione al quale è associato.
I lobi pre-frontali creano il significato e attribuiscono un nome a ciò che la persona
vive a livello corporeo. Alla nascita queste aree non sono sviluppate, crescono con le
esperienze; un bambino appena nato quando sente reazioni corporee come il batticuore,
il sudore e l’eccitazione piange, questi sono sintomi che scuotono il corpo e ai quali
verrà attribuito un nome. I neuroni specchio si trovano nei lobi pre - frontali destri,
collegano l’immaginazione con la reazione, aiutano a vivere l’emozione cioè a sentire nel
corpo, creano l’empatia e l’immedesimazione.
Un altro importante circuito di comunicazione è il sistema della memoria implicita,
ne fanno parte l’amigdala e l’ippocampo. Esso immagazzina tutte le informazioni anche
se la persona non ne è cosciente e questo aiuta nel riconoscimento delle sensazioni ed
emozioni, è grazie a queste informazioni che esiste il ricordo del tocco della propria
madre, dello sguardo arrabbiato ecc.
L’intelligenza emotiva, permette, di fronte ad un evento (che può essere anche
traumatico) di attribuire dei significati e delle emozioni a determinati comportamenti. Il
significato introiettato rispetto ad un evento che si ripropone nel futuro condiziona il
comportamento in base a ciò che è stato appreso allora (abitudini e atteggiamenti); il
sistema limbico ne è la sede, essa si può modificare e rielaborare e può quindi
svilupparsi e accrescersi.
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4. Bisogno e bonding:
Il motore base delle interazioni e dello sviluppo di un atteggiamento è il bisogno, il
primo e fondamentale è il bisogno di bonding con la vita, se non viene soddisfatto non ci
potrà essere l’appartenenza alla vita.
“Nella psicoterapia il bonding è definito come vicinanza fisica ed emotiva” [Silvio Quirico].
In pediatria il bonding è considerato come un importante avvenimento collegato con la
nascita. E’ un intenso momento vissuto tra il neonato e la madre che lascia un ricordo
indelebile per la vita è fondamentale per il processo di attaccamento.
In un articolo tratto da un sito di ostetricia, viene spiegato il bonding:
''Definizione: Il bonding è un processo fisico, emozionale, ormonale e spirituale, di
legame, di relazione d’accudimento tra madre, bambino e padre. Inizia nel periodo pre-
natale, si consolida alla nascita e continua per il primo anno di vita. Crea le basi per la
futura relazione genitori - bambino e per tutte le relazioni sociali e affettive future.
Il bambino alla nascita, quando non viene separato dalla madre, attiva le sue risorse
endogene come: l’imprinting (registrazione cerebrale della prima immagine vista dal
bambino alla nascita e delle percezioni sensoriali), e la promozione attiva del bonding
(unione) madre-bambino. E' un periodo dove la coppia madre-bambino trova un nuovo
equilibrio dopo la separazione fisica del parto, infatti in questo periodo avvengono
importanti cambiamenti fisici, emotivi e psicologici.....”.
Come si può comprendere la sensazione di
riempimento e completezza che una persona
prova nell’appartenenza e nel sentirsi accolto
genera benessere ma non è facile conciliare le
esigenze e i bisogni personali con la
moltitudine di impegni, scadenze, situazioni di
stress che si creano nella società moderna,
dove rimane veramente poco tempo da dedicare a se stessi.
A meno che una persona non si fermi, per un motivo qualsiasi a sentire quali sono i
propri bisogni, continuerà a vivere in una situazione di disagio personale; in tanti casi
che io vedo nel mio lavoro d’infermiera la gente si ferma solo di fronte ad eventi grandi
come la morte di una persona cara senza aver mai espresso i sentimenti provati durante
la loro relazione in vita.
In generale le emozioni sono in grado di attivare il corpo per salvarlo nei casi di
pericolo basti pensare alle reazioni fisiche determinate dalla paura, dalla rabbia che
Figura 2 - Calore e accoglienza dell’abbraccio
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prepara il corpo alla fuga o all’attacco. In base a connessioni cerebrali e nervose precise
determinano il rilassamento nelle situazioni in cui non c’è pericolo, il corpo avrà quindi
un tono muscolare più basso; le endorfine ad esempio, sono un altro sistema di
comunicazione interna, esse sono le sostanze chimiche prodotte nel momento del
massimo piacere e che fanno sentire il benessere.
Riferendosi all’articolo di ostetricia citato precedentemente si fa riferimento ad alcuni
adattamenti corporei rispetto all’evento del parto, sono nominati due ormoni che
favoriscono l’attaccamento e che sono rilasciati nel corpo nelle situazioni di bonding e
benessere: “L’ossitocina è chiamata anche ormone dell’amore…. Il picco ossitocico …
aumenta la temperatura corporea … induce al comportamento materno, favorisce
l’innamoramento …”.
“L’adrenalina … produce l’imprinting, … l’immagine … rimane stampata dentro di te.
Non lo confonderai più con nessun’altro… ti fa sentire sveglia, energica, in allerta, i sensi
sono tesi … ai segnali. Mantiene in memoria in modo indelebile …”
E’ provato scientificamente che gli ormoni sono un altro metodo di comunicazione del
corpo rispetto ad un evento, ma il lavoro del corpo è ben più complesso perché a sua
volta viene influenzato dalla mente; alcuni studi hanno dimostrato che immaginare una
situazione cercando di viverla mentalmente può determinare addirittura l’attivazione
dei centri motori, (ad esempio pensando a un piatto delizioso si attiva la salivazione).
Nella parte precedente e per quanto riguarda l’atteggiamento in sé, si è parlato di
apprendere una modalità relazionale e quindi anche un comportamento. Facendo
questo l’attenzione cade inevitabilmente sulla memoria, non mi riferisco solo alla
memoria di fatti o eventi ma a tutto ciò che si è impresso nel corso degli anni sul corpo
che oggi siamo e cioè alla sommatoria della disgregazione e rigenerazione dei tessuti e
delle singole cellule che hanno vissuto tutti i momenti della vita. Questo concetto
sottolinea il fatto che vivere in un determinato modo comporta uno sviluppo
conseguente proprio e specifico a quel modo di vivere. Questo non significa che non si
può modificare l’atteggiamento o un comportamento, questi sono mutabili e adattabili
mentre le emozioni non lo sono, esse sono uguali nell’espressione e sono chiare perché
promuovono la vita e la proteggono. Proprio per questo devono essere inequivocabili.
Quello che molte volte non risulta chiaro è che i giudizi modificano le emozioni
generando i sentimenti.
Ci sono emozioni pure ed effetti alone: l’emozione viene definita pura quando si esprime
nel corpo senza filtri, senza condizionamenti mentali né auto imposizioni; la paura, la
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rabbia, il dolore creano delle modificazioni nel corpo ben precise come sudorazione,
lacrime, tremolio, urlo. Anche il piacere e l’amore puri determinano modificazioni
corporee come il rilassamento del corpo e della mente.
Gli effetti alone sono determinati da quello che la mente riesce a filtrare e comandare e
che non permette all’emozione di uscire, ma la modifica “sporcandola” con dell’altro. Ad
esempio se io provo dolore per un lutto e mi arrabbio con Dio, nell’espressione della
rabbia traspare anche il dolore e viceversa, l’espressione aiuta a far chiarezza e ad
esprimere le emozioni in maniera corretta e pura.
Il lavoro del Counselor Emozionale non punta a cambiare l’atteggiamento in sé, ma
attraverso domande mirate cerca di lavorare con le emozioni per definire i confini del
problema relazionale, in modo da stimolare una presa di posizione libera e
possibilmente vantaggiosa per la persona. L’aspetto più importante nel lavoro di
consulenza è rendere la persona cosciente di ciò che le succede e responsabile verso le
proprie scelte.
Ovviamente non si possono stabilire a priori un tempo o una misura standardizzata per
i risultati, in quanto ogni persona è una realtà a se stante.
4.1 Il bisogno non soddisfatto
Il non soddisfacimento del bisogno genera la forza, crea la motivazione a muoversi per
cercare ciò di cui si ha necessità. Esistono due differenti posizioni del bisogno che mi
sembrano fondamentali. La negazione comporta la mancanza di uno stimolo vitale,
solitamente il fatto di non avere un bisogno genera dolore e disperazione fino a non
percepire le proprie necessità, mentre quando è presente il bisogno, ma il
soddisfacimento viene procrastinato con sacrificio o rifiutato da altri, si genera rabbia,
ira.
La mancanza percepita nella situazione di bisogno può
creare una sensazione di vuoto: ciò che si prova è paura del
vuoto, cioè un contenuto emotivo ben preciso, il vuoto può
essere riempito col soddisfacimento del bisogno (motore
scatenante della tensione che attiva la ricerca) ma a volte
trovare, ammettere o accettare il vero bisogno non è facile.
Si deve necessariamente tenere conto anche del fatto che i
bisogni mutano in relazione al susseguirsi dei cambiamenti nella vita e può mancare
Figura 3 - Cosa ci metto?
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d’improvviso l’appartenenza a una situazione o gruppo creando così un nuovo stato di
necessità, diverso dal precedente.
Attualmente il piacere si può comprare infinitamente e senza grossi investimenti
economici, anzi viene svenduto anche per pochi euro, ma la qualità della risposte varia,
eccome. La soddisfazione momentanea e immediata crea rapporti di dipendenza dai
quali è difficile svincolarsi. E’ necessario allora prendere coscienza delle proprie
dinamiche e degli atteggiamenti che si utilizzano in modo da prendere posizioni libere e
positive; nel Counselor Emozionale possiamo trovare una persona preparata per quanto
riguarda le emozioni e le relazioni in grado di stimolare le persone: a fare chiarezza
rispetto ai propri bisogni, a evitare di coprirli con momentanei palliativi. L’obiettivo
della relazione di aiuto nella consulenza emotiva diventa quello di affrontare le
situazioni emotive difficoltose con un modo più sano e naturale, vivendo cioè la realtà
per quello che è.
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5. Schemi motivazionali e di rifiuto
Gli schemi motivazionali muovono la vita psicologica verso certi obiettivi, sono basati su
ciò che è accaduto nella realtà e che ha portato vantaggio, si sono formati per facilitare
l’individuo e renderlo pronto di fronte a situazioni già vissute. L’intenzionalità crea la
qualità degli eventi psicologici.
Gli schemi sono accompagnati da emozioni: il soddisfacimento del bisogno genera
emozioni positive mentre il non soddisfacimento del bisogno emozioni negative. Il QI
(quoziente intellettivo) viene superato dal QE (quoziente emotivo) perché quando
sento, la realtà appare più chiara, il giudizio e la volitività possono comportare un
allontanamento dall’evento reale.
La tensione fisica è generata da incoerenza e inconsistenza rispetto al bisogno originario
(che cambia in base a nuove priorità) e la riduzione immediata della stessa è un
fenomeno di protezione non dipendente dagli schemi, ma da meccanismi di difesa e
resistenza che si mettono in moto per alleviare il disagio; ad esempio manie e fobie
attenuano il bisogno di sicurezza perché sono utili a distrarre dal malessere reale.
Vivendo intrappolati in una situazione di disagio si può arrivare a sviluppare uno
schema di rifiuto, che si fissa nel cervello, il suo ruolo è limitare il contatto col disagio,
funziona bene per un certo periodo di tempo, ma non essendoci il soddisfacimento del
bisogno reale si avrà ancora la generazione di tensione che spinge a cercare oltre
facendo sentire ulteriormente la persona in trappola. Chi si abitua a perdere nel
conflitto (per non sentire il dolore), non affronta la paura e il rischio di cambiare e perde
l’opportunità di trovare la strada del piacere quindi il soddisfacimento del bisogno e non
meno l’appartenenza a se stesso.
Per arrivare ad agganciare il piacere e l’appartenenza si deve passare attraverso lo
schema neurale disfunzionale e stimolare una nuova strada. Lo schema di rifiuto
conduce ad un conflitto e il fatto di imparare ad assumere un atteggiamento positivo per
sé comporta nel tempo l’acquisizione di nuovi comportamenti e cognizioni più
consistenti e coerenti con i bisogni reali.
Il ruolo del consulente emotivo è quello di portare alla conoscenza della persona le
emozioni rispetto ai fatti oggettivi, rendere la persona cosciente che c’è un blocco ma
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che ad ogni problema c’è una soluzione. Ovviamente si perde qualcosa di conosciuto e
statico, ma si può ottenere un beneficio. L’esito dipende molto dalla volontà del cliente
ed è fondamentale che egli stesso scelga cosa fare in base a ciò che è pronto a fare.
Ci sono varie strade da percorrere per analizzare lo schema emozionale disfunzionale.
La ricostruzione/rievocazione aiuta ad aprire la persona ed è quindi utile porre le
domande giuste, di seguito sono indicate le componenti basilari dell’evento secondo
Lysen:
∘ Situazionali (ricordare il momento)
∘ Centro dello schema emozionale (punto di dolore/blocco)→ mostra il bisogno
∘ Fisici (dove sente il dolore: aiuta a individuare l’emozione inespressa)
∘ Simbolici o concettuali (pensieri, immagini, significati fatti di esperienza)
∘ Comportamentali (abituali nelle relazioni: fuga – attacco)
∘ Motivazionali (intenzioni di azione, hanno a che fare con appartenenza/abbandono)
L’attivazione di schemi dell’evitare nasconde il bisogno, per non sentire il dolore, ma il
bisogno resta.
Tornando a parlare di corpo e di messaggi che dovremmo imparare a leggere, rileviamo
delle patologie ben precise che si sviluppano nelle persone che si adeguano e rimangono
nel disagio ignorando determinati campanelli di allarme. Quando non si dà retta al
corpo e si adottano atteggiamenti adattivi verso le situazioni invece che verso i propri
bisogni, le energie delle emozioni si localizzano in punti precisi: anche quando c’è la
sensazione che manchi l’energia, in realtà c’è una emozione di fondo che ci impegna
togliendoci le forze, come nel caso del dolore.
La paura ci fa fuggire e ci tiene in allerta, crea la tensione necessaria a evitare il pericolo;
la rabbia ci permette di raggruppare l’energia necessaria e reagire a qualcosa che ci
disturba e non va. Se le energie che come abbiamo già identificato sono di tensione, non
vengono incanalate correttamente o non aiutano a soddisfare il bisogno si può andare in
contro a:
Depressione – Indica che stiamo percorrendo una via che non è la nostra, essa ci
allontana da uno stile di vita non nostro tutto vuoto e proiettato all’esterno, manca il
bisogno personale.
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Ansia e insonnia – Segnala che stiamo limitando il nostro potenziale, è il segno di chi
non si rilassa mai e teme che ogni suo gesto sia sbagliato.
Panico – E’ tutta l’energia che non utilizziamo, che sediamo e dimentichiamo per
adeguarci alle regole familiari/sociali. Energia che si ribella scuotendoci fino alle
fondamenta.
Obesità – Il cibo diventa rifugio, surrogato, riempie una vita che non ci soddisfa, seda la
frustrazione e soffoca la disperazione.
Calo delle difese – Le difese immunitarie risentono di stati d’infelicità, depressione,
ansia, stress da inseguimento di falsi obiettivi; sono la premessa a numerose malattie.
Cefalea e artrite – Ne diviene affetto chi è troppo rigido, contratto, censore di se stesso.
Gastrite – Infiammazione dello stomaco tipica di chi ingoia bocconi troppo amari.
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6. Le trappole: cosa sono e come si formano
La trappola si può definire come un modello cognitivo ed emotivo autolesionistico. Tale
struttura si crea nell’infanzia attraverso un susseguirsi di eventi e modalità relazionali
che il bambino interiorizza e che caratterizzerà il resto della sua vita; l’acquisizione
delle trappole è prodotta da una serie di relazioni poco positive o che vanno a
compromettere l’individualità e da una serie di vissuti non costruttivi o addirittura
lesionistici.
Le trappole condizionano il modo di pensare, sentire e relazionarsi verso la tendenza
che è stata appresa nelle relazioni base dell’infanzia. Se una persona non riesce a
superare il disagio in maniera costruttiva interiorizzerà
quel modo di rapportarsi, che diventerà poi il suo modo
di vivere e parte stessa della personalità, condizionando
in maniera importante il vissuto di ogni giorno e
intaccando tutte le modalità relazionali con se e con gli
altri.
Le trappole si perpetuano perché si ha la tendenza di rivivere ciò che si conosce invece
di rompere lo schema, quindi accogliere e vivere l’emozione che sottosta al rifiuto, sia
essa la paura o il dolore. Per quanto riguarda la rabbia, c’è la tendenza a rivolgerla
contro di sé, o contro le persone care e questo atteggiamento autodistruttivo crea un
circolo dannoso per l’integrità personale, può portare all’isolamento e verso disagi
esistenziali gravi.
Il fatto di avere una certezza è rassicurante, il fatto di comportarsi nella stessa maniera
produrrà gli stessi effetti; questo significa che io avrò la certezza che l’altra persona mi
lascerà, che si arrabbierà con me, che non valgo, che non sono degna di amore, che sono
inadeguata ecc… Questo è un motore che genera emozioni negative e crea, ovviamente,
un senso di inconsistenza e incoerenza verso gli obiettivi positivi che ciascuno potrebbe
porre nella propria vita come ad esempio avere una relazione stabile, equilibrata, di
sentirsi amato e degno di amore, di sentirsi adeguato.
Alla luce di ciò è importante sottolineare che, se si ripercorre la stessa strada non si può
avere la pretesa di arrivare ad una destinazione diversa; a meno che non si decida di
rischiare e provarne una nuova. Spesso la certezza nel fallimento viene preferita
rispetto all’incognita e al rischio del cambiamento.
Passata la sicurezza iniziale iniziano le difficoltà. Nei momenti di pericolo l’individuo è
solito attuare automaticamente il comportamento appreso, perché proprio quel
Figura 4 - La trappola di cristallo
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comportamento gli ha sempre salvato la vita o risolto il problema aiutandolo a ridurre
le tensioni. Cambiare, diventa una vero e proprio addestramento. All’inizio ovviamente
sarà difficile individuare il mettersi in moto dell’atteggiamento sbagliato perché
significa che si deve andare contro se stessi, contro la propria certezza, cambiare è
perdere i punti di riferimento precedenti per trovare nuovi appigli e nove stabilità
funzionali ai nostri obiettivi (positivi).
Nell’infanzia le emozioni vengono faticosamente modulate e quindi vengono vissute in
maniera intensa, in corrispondenza di situazioni che richiamano la trappola anche se la
persona è adulta, le emozioni si rivivono con la stessa forza originaria, questo è
importante per poter individuare l’atteggiamento che porta alla trappola e che produce
il comportamento a esso legato.
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Conclusioni: Al termine di questo anno sento che in me c’è stata una forte crescita come Counselor
Emozionale, ma prima di tutto come persona. Ho imparato a cambiare il mio punto di
vista, non più con l’intenzione di adeguarmi alla situazione che sto vivendo ma per
prendere coscienza in maniera obiettiva di ciò che mi succede.
Lavorare con le emozioni mi è servito molto perché nelle mie relazioni familiari non c’è
mai stato, e non c’è tutt’ora, la capacità di accogliere l’emozione altrui. Questo si è
sempre riflettuto in tutti i campi della mia vita, ma adesso ho capito che non funziona
proprio così, mi sento più libera di dire ciò che penso e di prendere delle posizioni
vantaggiose per me. Nel futuro credo che incanalerò maggiormente le mie energie in
questo senso, in modo da aumentare la mia assertività.
Per quanto riguarda il bisogno e le trappole, credo che la maggior parte del lavoro l’ho
compiuta mentre scrivevo la tesina, ci sono stati vari momenti in cui mi è parso chiaro il
meccanismo che si metteva in moto dentro di me quando mi ritrovavo in certe
situazioni caratteristiche che determinano l’instaurarsi del “circolo vizioso”.
Quando scatta la trappola, mi viene naturale accantonare tutto ciò che sono e che voglio,
per non perdere la vicinanza e l’appartenenza che vivo con le persone che ho attorno. In
questo senso riesco a posticipare il soddisfacimento del mio bisogno e come già
accennato in varie parti di questo elaborato accade maggiormente nelle situazioni in cui
vivo una diversità che mi contraddistingue dagli altri vivendola come esclusione sociale.
Per non perdere l’altro mi sottometto mettendo davanti i suoi bisogni. Riesco a passare
sopra alle mie necessità come se nulla fosse perpetuando questa visione negativa e
inferiore che mi sono creata nel corso degli anni.
Il fatto di averne preso coscienza, è forse la soddisfazione più grande che io posso aver
raggiunto quest’anno, adesso rimane l’applicazione pratica, consapevole e volontaria del
rispetto di me stessa e dei ciò che sono. Con un po’ di pratica sono sicura di migliorare.
Ho scoperto con mio grande piacere che il bisogno è positivo e soprattutto non rimane
statico, il primo bisogno di appartenere alla vita si, ma non tutti glia altri. Io credevo
ciecamente di essere una menomata perché non riuscendo a soddisfare i miei bisogni
trovavo come unica soluzione, quella di cambiare semplicemente strada, non legandomi
ne a luoghi, ne a persone fino a che perdendo tutti gli specchi e l’appartenenza ho perso
i punti di riferimento con la realtà.
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Sto imparando a fidarmi del mio sentire, ho imparato a dare un nome alle emozioni,
queste mi proteggono da forze interne ed esterne che mi fanno male.
Ho imparato a rifiutare e dire no, sto imparando a sopportare il senso di colpa,
allenando quindi l’assertività; il pensiero si è modificato perché prima pensavo di dover
fare ciò che mi veniva chiesto per non perdere la stima degli altri, adesso invece sta
entrando l’idea che se non me la sento di fare una cosa sto rispettando me stessa. In
fondo non c’è una ricetta, come io credevo, di fare le cose.
Sto imparando a gestire la mia rabbia, un po’ ho scoperto che è dovuta alle pretese che
io mi faccio sugli altri, un po’ è parte del mio carattere ribelle che compensa la mia
tendenza a sottomettermi agli altri.
Sto lavorando sul concetto che la mia idea non è sbagliata, è sicuramente diversa e
sicuramente può essere migliorata. La mia tendenza è sempre stata quella di
considerare l’altro migliore, il maestro, ora sto capendo che l’altro è diverso da me non
migliore di me e che posso sfruttare la diversità a vantaggio, senza sforzi, non più
vedendo che a me manca qualcosa, ma semplicemente facendo meno fatica e sfruttando
le idee o i punti di vista degli altri. Questo passo è ancora molto grande per me, però il
concetto l’ho capito eccome, ora mi sto allenando a dare ascolto a ciò che penso e in
questo sto diventando brava. Come sempre le capacità valutative ci mettono un po’ più
di tempo perché richiedono un insieme di valutazioni che io ancora non ho in tutti i
campi della mia vita.
Diciamo che nelle relazioni sto migliorando, in famiglia mi sto difendendo bene da
dinamiche vecchie e continuo a mettere “paletti” rispetto a ciò che voglio, fuori non ho
costruito molti legami profondi ma la qualità di quelli che ho adesso è davvero molto
alta e questo, non me lo sarei mai aspettata all’inizio del mio percorso. Ora mi sento
anche amata e accettata per ciò che sono.
Il miglioramento con l’esterno si sta riflettendo anche all’interno, anche se non sono
ancora soddisfatta, direi che, comunque, sto trovando le mie buone qualità e le sto
usando pro invece che contro. Questo è favoloso direi.
Il mio rapporto col piacere è notevolmente cambiato, all’inizio del mio percorso mi
sentivo in colpa se provavo gioia nel fare una cosa, venivo sempre criticata per il mio
modo bambino di gioire perché sembrava un gioco agli occhi degli altri, invece, ho
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deciso ora, che anche la mia parte bambina ha
diritto di divertirsi perché è lei che mi tiene in
vita e mi spinge senza pregiudizi ne
macchinazioni mentali verso ciò che mi piace e
mi fa bene.
Non voglio sentirmi arrivata, voglio continuare a cercare il meglio per me e continuare a
fare il bene dell’altro soprattutto nel mio lavoro che porto avanti con passione, è
importante che anche gli ultimi giorni di vita delle persone che assisto siano piene di
calore, di vita e di serenità.
“Spesso, negandovi al piacere, non fate altro che respingere il desiderio nei recessi del vostro essere. Chissà che non vi attenda domani ciò che oggi avete negato.
Anche il vostro corpo conosce la sua ricchezza e il suo legittimo bisogno, e non permette inganno. Il corpo è l'arpa della vostra anima, e sta a voi trarne musica armoniosa o confusi suoni.”
Kahlil Gibran, Profeta
Figura 5 - Prendere in braccio la bambina
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BIBLIOGRAFIA: Appunti delle lezioni del corso di Counselling Emozionale dell’anno 2011 D.Goleman. Intelligenza emotiva. Cos’è, perché può renderci felici. Rizzoli, 2000 J.E.Young, J.S.Klosko. Reinventa la tua vita. Raffaello cortina editore. 2004. K.H.Stauss. Bonding Psychotherapy. Theoretical Foundations and Methods. LINK: Gli atteggiamenti, tratto all’indirizzo http://www.ch.unich.it/facolta/psicologia/contributi/04/atteggiamenti.pdf - Ultimo accesso effettuato il 7.12.2011 Gli atteggiamenti sociali, tratto all’indirizzo http://www.unikore.it/documenti/doc/dispense06-07/comunicazione-multimediale/pace/pace/ atteggiamenti.pdf - Ultimo accesso effettuato il 7.12.2011 Gli atteggiamenti sociali, tratto all’indirizzo http://www.scienzeformazione.unipa.it/doc/332/10_atteggiamenti(2).ppt - Ultimo accesso effettuato il 7.12.2011 Gli atteggiamenti psico - sociali, tratto all’indirizzo http://lab4.psico.unimib.it/webhomes/magrin.maria.elena/Atteggiamento.ppt - Ultimo accesso effettuato il 26.5.2011 Gli atteggiamenti, tratto all’indirizzo http://www.lettere.unipd.it/static/docenti/545/ atteggiamenti.ppt - Ultimo accesso effettuato il 9.12.2011 Cambiamento, atteggiamenti e convinzioni, tratto all’indirizzo http://www.giuseppesantonocito.it/art_convinzioni.htm - Ultimo accesso effettuato il 9.12.2011 Atteggiamento credenze e intenzione di comportamento, tratto all’indirizzo http://www.economia.unimore.it/grappi_silvia/Mktg Beni di Consumo/Settimana%204.pdf - Ultimo accesso effettuato il 26.5.2011 Cos’è il ‘bonding’?, tratto all’indirizzo http://terapiaemozionale.blogspot.com/ - Ultimo accesso effettuato il 9.12.2011 Introduzione- La psicoterapia emozionale – Bonding, tratto all’indirizzo http://terapiaemozionale.blogspot.com/ - Ultimo accesso effettuato il 9.12.2011