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Archeologia industriale delle Marche Mostra fotografica a cura di Paolo Brugè e Francesco Chiapparino Moie di Maiolati Spontini, Cis, 28 aprile - 9 maggio 2007 Jesi, Salara del Palazzo della Signoria, 12 maggio - 3 giugno 2007 Serra de Conti, Fornace Hoffmann, 22 settembre - 7 ottobre 2007 Associazione Sistema Museale della Provincia di Ancona Provincia di Ancona Ass.to Cultura CIS Comune di Jesi Comune di Serra de’ Conti Comune di Maiolati Spontini L’antica fornace ristrutturata a sede del Cis di Maiolati Spontini (foto N. Petrini)

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Archeologia industrialedelle MarcheMostra fotograficaa cura di Paolo Brugè e Francesco Chiapparino

Moie di Maiolati Spontini, Cis, 28 aprile - 9 maggio 2007

Jesi, Salara del Palazzo della Signoria, 12 maggio - 3 giugno 2007

Serra de Conti, Fornace Hoffmann, 22 settembre - 7 ottobre 2007

Associazione Sistema Museale della Provincia di Ancona

Provincia di Ancona Ass.to Cultura

CIS

Comune di Jesi

Comune di Serra de’ Conti

Comune di Maiolati Spontini

L’antica fornace ristrutturata a sede del Cis di Maiolati Spontini (foto N. Petrini)

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Archeologia industrialedelle MarcheIl caso dello Jesinodi Francesco Chiapparino

L’archeologia industriale è una disciplina – o piùpropriamente un campo d’indagine interdiscipli-nare, comune a storici economici, storici dell’ar-te, architetti, esperti di restauro e di beni cultu-rali – dalle origini relativamente recenti. Si affer-ma nella Gran Bretagna degli anni Cinquanta,allorché ci si accorge che la ricostruzione e il rin-novamento del sistema produttivo del dopo-guerra rischiano di cancellare fabbriche, macchi-nari, ponti e canali che due secoli prima avevanofatto del paese la “prima nazionale industriale”, econ essi una componente importante dellamemoria storica, dell’identità e dello stesso pae-saggio dell’isola. Dall’Inghilterra l’interesse per “lamacchina arrugginita” si diffonde poi negli anniSessanta nel continente, oltre che negli StatiUniti e altrove, raggiungendo infine anche l’Italiae coniugandosi con l’attenzione per il mondo dellavoro e della produzione propria del clima diquegli anni. È in questo quadro che l’archeologiaindustriale si connota come una sorta di“archeologia del presente”: la ricerca, il recuperoe la conservazione delle testimonianze delle ori-gini di una società – quella contemporanea –che è in primo luogo (anche se non solo) unasocietà industriale. In tal senso, il patrimonioindustriale acquista un significato culturale intrin-seco, anche al di là del valore estetico – artistico,architettonico o paesaggistico – che spesso pureè annesso ai siti e ai manufatti che lo compon-gono.Attraverso queste vie, l’interesse per l’archeolo-gia industriale, che ovviamente attecchisce inItalia soprattutto nel Nord Ovest e laddove ilpatrimonio è più immediatamente rilevante evisibile, filtra anche nelle altre regioni della peni-sola. Nelle stesse Marche tra gli anni Settanta e iprimi anni Ottanta compaiono gli studi diGiorgio Pedrocco, mentre le prime operazioni direcupero, quali quelle dell’area mineraria diPerticara nel Montefeltro, si affiancano al rilanciodi iniziative di più vecchia data, come quelle cheruotano attorno al Museo della Carta e allavalorizzazione delle tradizioni cartarie fabrianesi.Se non che, a cavallo tra anni Ottanta eNovanta, il mutare dell’atmosfera culturale, il

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Falconara Marittima (AN) - Stabilimento Ex Montecatini. Magazzino pro-dotto finito.Falconara Marittima (AN) - Stabilimento Ex Montecatini. Magazzino pro-dotto finito.Jesi (AN) - Filanda Bigi.

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declino dell’impostazione più militante che avevacaratterizzato alcune delle esperienze degli anniprecedenti e le difficoltà delle strutture associa-tive che si erano coagulate nel settore portaro-no ad una certa eclisse delle tematiche legate alpatrimonio industriale. L’appannarsi dell’attenzio-ne della pubblica opinione, tuttavia, non ha impli-cato il venir meno dei problemi legati alla preser-vazione di tale patrimonio, che anzi sono andatiampliandosi sull’onda della ristrutturazione pro-duttiva conosciuta dall’industria italiana nell’ulti-mo ventennio del secolo da poco trascorso. Alungo così, tra gli anni Ottanta e Novanta, la con-servazione del patrimonio industriale è stata affi-data più, quando c’erano, a singole sensibilità – diindustriali, architetti, amministratori, comunitàlocali – che non alla consapevolezza dell’opinio-ne pubblica e a politiche organiche di valorizza-zione dei beni culturali. Solo da meno di unadecina d’anni, con la ripresa d’interesse diffusaper un simile aspetto del patrimonio storico eculturale del paese e la ricostituzione di un’As-sociazione nazionale per il patrimonio archeolo-gico industriale, si sta tentando faticosamente diriannodare i fili di una trama complessiva diintervento nel settore e portare queste proble-matiche al centro dell’attenzione nazionale.Le Marche, dal canto loro, costituiscono unospecchio abbastanza fedele di queste tendenze.Sebbene prive di grandi siti di rilievo nazionale,come il Nord Italia o la stessa vicina Umbria conil polo ternano, dispongono di un patrimonioindustriale ben lungi dall’essere “minore”, maanzi vasto e diffuso. Spesso esso viene messo inombra dall’enfasi (giustamente) posta sul passa-to agrario della regione e sul paesaggio ad essocollegato, con il quale, per altro, le tradizionimanifatturiere in molti casi si intrecciano, costi-tuendo un tutto organico.Tuttavia, nonostante illoro passato agricolo – ed in larga misura anchegrazie ad esso – le Marche sono oggi un territo-rio compiutamente industriale e le radici di que-sta identità meritano di essere valorizzate nonmeno di quelle propriamente rurali.Così, anche in ambito regionale, dopo l’interessesuscitato dall’archeologia industriale negli anniSettanta e nei primi anni Ottanta, e in parteanche sulla scorta di esso, una serie di iniziativesi sono prolungate nel periodo successivo, por-tando in vari casi a realizzazioni di notevole rilie-vo. Recuperi esemplari, come quelli dell’Opificiodi Porta Cartara ad Ascoli o della fornace diSerra de’ Conti, e più recentemente di quella di

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Loreto (AN) - Fornace per laterizi tipo Hoffman in località “Grotte”.L'essiccatoio, la volta nervata.Maiolati Spontini (AN) - Fornace per laterizi di Moie.Serra Dei Conti (AN) - Fornace circolare per laterizi tipo Hoffmann. Ilportico al piano terra.

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Moie, si sono affiancati alle esperienze fabrianesie dell’area solfifera del Montefeltro.Parallelamente, tuttavia, il venir meno dell’atten-zione dell’opinione pubblica e della sensibilità dif-fusa che pure aveva cominciato a crearsi attornoa queste problematiche, ha portato con sé lascomparsa di testimonianze importanti del pas-sato manifatturiero della regione. La demolizionedella Cecchetti di Civitanova, quella del cemen-tificio di Senigallia, come pure le precarie condi-zioni in cui versano i grandi impianti chimici lito-ranei di Porto Sant’Elpidio, Marina diMontemarciano e Porto Recanti, o ancora lecartiere di Esanatoglia, sono solo alcuni degliesempi più evidenti della sorte toccata a buonaparte del patrimonio archeologico industrialemarchigiano nell’ultimo quarto di secolo.Nondimeno, come si è detto, una certa ripresadi interesse attorno a simili tematiche si è verifi-cata anche nelle Marche. Ne sono prova pubbli-cazioni, mostre e campagne fotografiche recenti,lo stesso completamento delle iniziative di recu-pero architettonico di fornaci e cartiere di cui siè detto, assieme alla perdurante attività scientifi-ca, museale e convegnistica di centri comeFabriano e Perticara o, infine, un certo risvegliodelle attività associative e accademiche nel setto-re. Certamente, il panorama che si trova davan-ti a questa ripresa d’attenzione è estremamenteframmentato e incerto. Al policentrismo e alparticolarismo tipico della regione, si sommanoinfatti gli anni perduti, non solo per l’incedere delprocesso di ristrutturazione industriale, che hafatto e sta facendo scomparire porzioni semprepiù cospicue del patrimonio regionale, ma anchesul versante delle politiche e dell’intervento cul-turale complessivo, la cui assenza impedisce unacorretta e diffusa percezione del rilievo cultura-le, storico e urbanistico di un tale patrimonio.Capita così, spesso, che iniziative di recuperoanche molto pregevoli mantengano un rilievoquasi solo strettamente locale, e non si inneschi-no processi di valorizzazione regionale, e a volteanche nazionale, che senz’altro molte di essemeriterebbero.

Il patrimonio industriale a Jesi e nello Jesino

Il caso di Jesi rispecchia bene i limiti e le poten-zialità dell’archeologia industriale nelle Marche.La “piccola Milano delle Marche”, come pure lacittà venne chiamata tra Otto e Novecento,

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Serra Dei Conti (AN) - Fornace circolare per laterizi tipo Hoffmann.Veduta della fornace e della ciminiera nel contesto.

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dispone di un patrimonio ricco e vario, sebbeneancora scarsamente valorizzato e poco noto, inqualche caso, alla stessa comunità locale. Polomanifatturiero tra i più importanti della regionetra XIX e XX secolo, Jesi conosce un processodi crescita in larga misura endogeno, basato daun lato sulla ricchezza di energia idraulica resadisponibile dal canale Pallavicino (Vallato) e dalsistema di derivazioni idrauliche su di essoimperniato, e, dall’altro, su una stretta integrazio-ne con l’agricoltura fortemente mercantilizzatadella bassa Vallesina. A partire dai primidell’Ottocento, con la fornace Mancini (del1800, oggi trasformata in centro commerciale) esoprattutto la cartiera del conte Ripanti (del1806, attualmente in corso di ristrutturazionecon destinazione d’uso residenziale) Jesi vedesorgere una serie di attività produttive che sem-pre più frequentemente si distaccano, per tecni-che produttive, dimensioni, mercati di sbocco ofonti di approvvigionamento dei semilavorati, dalminuto tessuto artigianale preesistente. Accantoai due impianti sopra indicati, a metà degli anniQuaranta la città dispone anche di un maglio peril rame, due gualchiere per la lana, due filande,due concerie, due molini da grano e un frantoioidraulico, prevalentemente concentrati nell’at-tuale Borgo Cartiera e più in generale lungo ilVallato che scorre a sud-est del centro storico.Al di là di dimensioni e tecniche utilizzate, giàsolo questo addensamento comincia chiaramen-te a delineare quella vocazione manifatturierache la cittadina svilupperà poi compiutamentenella seconda metà del secolo. Un ruolo decisi-vo, in questa direzione, gioca l’affermarsi dellatorcitura della seta che, a partire dall’istituzionedel mercato dei bozzoli nel 1834, fa di Jesi unodei principali centri marchigiani del settore, assie-me a Fossombrone, Osimo e Ascoli. Il numerodelle filande jesine cresce dopo la metà del seco-lo, arrivando fino alla quarantina di impianti del1887, falcidiati poi dalla crisi di fine secolo che nelascerà pur sempre in attività una dozzina traquelli più solidi e di maggiori dimensioni. Le trac-ce di questa stagione produttiva legata alla seta,destinata a protrarsi fino alla seconda guerramondiale, sono ancora ben visibili nel tessutourbano della città. Il nucleo delle filande Moscé-Ponzelli, Leoni e Della Bella, degli anni Ottanta,arrampicate sul colle San Marco; quello sorto nelNovecento nei pressi della stazione e costituitodalla prima filanda Bigi, dalla filanda Bigi-Agostinelli, la Corinaldesi-Schiavoni, la Brecciaroli

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Civitanova Marche (MC) - Fornace per laterizi Ceccotti, tipo Hoffmann.Corridoio laterale del forno.La ciminiera, al centro del lungo complesso dei forni.

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(la più antica, già del 1892) e la Talamona-Lecchicol bell’ornato della facciata; o ancora la filandaGasparetti, del 1874 in via Castelfidardo, e quel-la Brocani, del 1890, dentro le mura, sono tuttiedifici ancora oggi esistenti, anche se ampiamen-te ristrutturati a fini abitativi.Dagli anni Settanta, inoltre, nel settore sericovengono sviluppandosi anche attività produttivepiù complesse delle filande, quali ad esempio lostabilimento bacologico Vitali o il cascamificio,sorto nel 1873 con l’intervento della bologneseBanca d’Industria e Commercio e ancora oggiesistente in località San Savino, benché in partericostruito dopo il bombardamento subitodurante la seconda guerra mondiale.Parallelamente, le manifatture cittadine si molti-plicano in tutta una serie di ulteriori ambiti pro-duttivi. Sempre del 1873 è la fabbrica di fiammi-feri Schiavoni e Ponzelli, che trasformatasi inSaffa alla fine del secolo, costituirà a lungo unodei maggiori stabilimenti cittadini. Quello stessoanno prende l’avvio la costruzione del lanificioCarotti, oggi trasformato in abitazioni, ma anco-ra ben riconoscibile col piccolo borgo che lo cir-conda nei pressi dell’Esino, e destinato ad ospita-re anche un polverificio, un maglificio, un mangi-mificio ed una filanda. Un altro aggregato poliva-lente è sorto otto anni prima a Borgo Cartieraper iniziativa di un bolognese, il Tommasi, che viavia attiva una fabbrica di fiammiferi, un brillatoioper riso, una fabbrica di colla, una segheria e unmobilificio. Nella seconda metà dell’Ottocentosono poi presenti in città la distilleria Zappelli, del1852, il pastificio Felcini, il saponificio Giannini-Santarelli, cui nella prima metà del nuovo secolosi aggiungono una seconda cartiera, per iniziativadi Alberto Albanesi, il grande deposito di conci-mi della Montecatini – tutti e due ancora esi-stenti nella zona industriale al di là della stazioneferroviaria –, lo zuccherificio Sadam e gli impian-ti aeronautici della Savoia-Marchetti, entrambiinvece scomparsi. Non sfugge, ovviamente, lanatura tradizionale di molti di questi opifici, cosìcome lo scarso grado di specializzazione di alcu-ni di essi. Rare, in altri termini, sono le esperien-ze industriali basate sulle tecnologie avanzatedella seconda rivoluzione industriale, che quan-do compaiono, come appunto nel caso degli sta-bilimenti aeronautici, sono piuttosto il frutto dipolitiche speciali condotte dallo Stato con finali-tà bellico-autarchiche. Le stesse fabbriche dimaggiori dimensioni della prima metà delNovecento, dalla Saffa al cascamificio, sono del

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Ascoli Piceno - Cartiera Papale. Fronte nord del mulino restaurato.Montelupone (MC) - Centrale di Sollevamento di Potenza Picena. Vedu-ta dell'officina di sollevamento, in stile liberty, e delle condotte idrauliche.Corridonia (MC) - Autopalazzo Ex Siamc. Particolare delle decorazioniliberty, recentemente restaurate.

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resto da ricondurre al concorso di capitali e indi-rizzi imprenditoriali extra-cittadini ed extra-regionali. Ma proprio questi elementi conferma-no la natura dell’industrializzazione jesina e la suarappresentatività sul piano regionale: un caso dicrescita relativamente lenta rispetto ai polinazionali più avanzati, basato sulla piccola emedia azienda manifatturiera spesso operante insettori tradizionali, che si sviluppa organicamen-te facendo leva sulla virtuosa integrazione con ildinamico contesto agrario circostante e la viva-cità imprenditoriale locale. La lavorazione dellaseta e del legno, le produzioni alimentari o quel-le di macchinari agricoli sono tutte espressioni diqueste interdipendenze con l’ambiente rurale.Se per un verso un simile modello offre un ter-reno favorevole all’innesto delle iniziative ester-ne sopra ricordate, per l’altro, i suoi ritmi relati-vamente lenti valgono un certo ritardo all’areajesina nel immediato secondo dopoguerrarispetto, ad esempio, al fabrianese o alla stessaarea anconitana. Nonostante ciò, è proprio all’in-terno di questo filone di sviluppo organicamen-te integrato con l’agricoltura che si trovano igermi più fecondi, sul medio-lungo periodo, dellacrescita locale. La comparsa delle prime produ-zioni di macchinari agricoli di Duilio Zappelli nel1884, aggiornando la tradizione artigianale dei“carradori” locali, avvia un percorso di sviluppoche, attraverso poi la nascita della Guerri nel1915 e della Sima nel 1926, è all’origine dell’at-tuale distretto meccanico polisettoriale e conesso di una delle realtà industriali regionali piùdinamiche dell’ultimo trentennio.Già soltanto questi brevi cenni sono sufficienti aindicare le cospicue dimensioni del patrimonioindustriale jesino e soprattutto il suo rilievo pro-priamente storico, oltre che spesso anche este-tico e architettonico, nonché il significato piùgenerale che esso ricopre nell’affermazione del“modello marchigiano” e non solo all’internodella vicenda strettamente cittadina e locale.L’auspicio è che un tale patrimonio sia oggetto,oltre che di indagini che ne approfondiscano laformazione e l’evoluzione – su cui a tutt’oggisono disponibili alcuni assai pregevoli studi –anche di un’opera di conservazione e valorizza-zione finalmente adeguata alla sua importanza.

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Fermignano (PU) - Lanificio Carotti.Veduta del complesso architettonico,sulle acque del Metauro.Mogliano (MC) - Autopalace. Il piccolo edificio, in stile “turco-romanico”,addossato alle mura urbane.Portorecanati (MC) - Ex stabilimento Montecatini. Il magazzino materia-li, attribuito a Nervi.

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Alcuni riferimenti bibliografici

SULL’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE NELLE MARCHE

Campagne e città tra Montefeltro e Cesano. Il lavoro degliuomini, la storia delle cose (Iders, “Quaderno Quattro”), acura di G. Pedrocco, Pesaro, 1983La miniera tra documentazione, storia e racconto, rappresen-tazione e conservazione, a cura di S.Lolletti e M. TozziFontana, Bologna, 1989Archeologia industriale in Emilia Romagna Marche, a cura diG. Pedrocco, P.P. D’Attorre, Cinisello Balsamo, 1991A.M. Eustacchi,V. Borzacchini, A. Guidotti, Gli opifici di PortaCartara ad Ascoli, Colonnella, 1997Archeologia industriale nelle Marche. L’architettura, a cura diP. Brugé e A. Monti, Ancona, 2001Orli d’acqua, a cura di F. Pugnaloni, Ancona, 2002F. Chiapparino, L’archeologia industriale nelle Marche, in“Proposte e ricerche”, 2004, n. 52,

SULL’INDUSTRIA A JESI

Nelle Marche centrali. Territorio, economia, società traMedioevo e Novecento, a cura di S. Anselmi, Jesi, 1979.T. Zedde, Gli imprenditori della seta a Jesi nell’Ottocento, in“Proposte e ricerche”, 1983, n. 10G. Gaudenzi, Storia dell’industria jesina e movimento econo-mico connesso, Jesi, 1984E. Santarelli, L’industria delle macchine agricole a Jesi dalle ori-gini al 1960, in “Quaderni di Resistenza Marche”, 1986, n.6.E. Sori, Evoluzione della struttura industriale, fattori di svilup-po e di localizzazione dall’Unità alla seconda guerra mondia-le, in Fare industria nella Marca d’Ancona, a cura di A.Niccoli, Ancona, 1995 Origini, caratteristiche e sviluppo dell’imprenditorialità nelleValli dell’Esino e del Misa (Quaderni di “EconomiaMarche”), a cura di V. Balloni e P.Trupia, Ancona, 2006I canali della Vallesina quale elemento portante dello sviluppodel tessuto urbano, a cura del Dip. Architettura, Rilievo,Disegno, Urbanistica e Storia dell’Univ. Politecnica delleMarche, Ancona, sd.

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Novafeltria (PU) - Cantiere Certino, per l'estrazione dello zolfo, in localitàPerticara. L'ingresso al Museo Minerario, nei locali recuperati dell'ex miniera.PotenzaPicena (MC) - Fornace per laterizi, tipo Hoffmann, in LocalitàPanperduto. La palazzina servizi e la ciminiera.Porto S. Elpidio (AP) - Ex FIM. Capriate lignee del magazzino prodottofinito.

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