Immortalità dell'anima o risurrezione?

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La Bibbia non insegna l'immortalità dell'anima, ma il sonno incosciente dei defunti.

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Samuele Bacchiocchi

IMMORTALITÀ ORISURREZIONE?

Ricerca biblica sulla naturae il destino dell’uomo

Edizioni ADV

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Titolo originale dell’opera: Immortality or Resurrection?

A biblical Study on Human Nature and Destiny

Traduzione dall’inglese: Giuseppe De Meo

Redazione: Giuseppe Marrazzo

Revisione: Giovanni De Meo, Maurizio Caracciolo

Impaginazione: Enza Laterza

Grafica di copertina: Valeria Rizzo

Copyright originale: Biblical Perspectives, 4990 Appian Way,

Berrien Springs, Michigan 49103 U.S.A.

I testi biblici citati sono tratti dalla versione Nuova Riveduta,

© 1994 Società Biblica di Ginevra, CH 1211, Ginevra (Svizzera)

ISBN: 88-7659-133-8

Per l’edizione italiana:

© 2003 tutti i diritti riservati alle Edizioni ADV

dell’Ente Patrimoniale U.I.C.C.A.

Via Chiantigiana 30, Falciani, 50023 Impruneta, FI

www.edizioniadv.it posta elettronica: [email protected]

Stampatore: Legoprint SpA - Via G. Galilei 11 - 38015 Lavis TN

La riproduzione in qualsiasi forma, intera o parziale,

è vietata in italiano e in ogni altra lingua.

I diritti sono riservati in tutto il mondo.

Prima edizione: 2003

Finito di stampare nel mese di ottobre 2003

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Dedicato ad Anna, mia moglie,il cui sostegno affettuoso

è stato per me un grande incoraggiamento

nel servizio

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Prefazione

Sono felice di presentare il nuovo libro del dott. Samuele Bacchiocchi.Proseguendo nel solco tracciato da Oscar Cullmann, Bacchiocchi hadimostrato in modo ancora più esauriente il contrasto esistente tra laconcezione della speranza cristiana nella risurrezione dei morti e quel-la ellenistica, basata invece sulla sopravvivenza dell’anima.

In questo apprezzabile lavoro, egli offre uno studio completo dellanatura umana e della sua indivisibile unità e ne trae alcune importan-ti implicazioni per il nostro destino e per molte altre questioni.

Il dualismo antropologico ha provocato seri danni sminuendo lanostra beata speranza dell’apparizione di Cristo e distorcendo la com-prensione del mondo che verrà. Ha inoltre incoraggiato molte falsedicotomie come, per esempio, la concezione negativa del corpo in con-trapposizione all’anima e un concetto della salvezza vista come espe-rienza interiore più che come trasformazione di tutto l’essere. La cosapeggiore è che ha fatto nascere l’idea di un Dio sadico che farà soffri-re ai malvagi un consapevole tormento eterno. Un’idea, questa, che harappresentato un peso per la coscienza dei cristiani e un’offesa nonrichiesta per tutti coloro che ricercano la verità.

Molti studiosi sono concordi con l’autore per quanto riguarda lanatura dell’uomo, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di giungere adalcune implicazioni necessarie. Questo libro è pertanto fondamentaleper contrastare la persistente ma errata opinione presente tra i cristia-ni, secondo la quale l’anima è una sostanza immortale, un concettoantibiblico e dannoso. Desidero congratularmi col dott. Bacchiocchi eringraziarlo per quest’opera di importanza decisiva.

Clark H. Pinnock, Ph. D.Professore di teologia

McMaster Divinity CollegeHamilton, Ontario, Canada

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Presentazione

Da secoli l’uomo si interroga sulla propria natura. Le più grandi mentidella storia hanno offerto il meglio di sé chinandosi su questo argo-mento. I risultati delle indagini, però, sono sempre stati condizionati -e non poteva essere diversamente - dal punto in cui ogni essereumano, ogni filosofo è partito. Un pensatore pagano, per esempio,poteva circoscrivere il proprio lavoro di ricerca solo all’interno delmondo in cui gravitava; così un pensatore agnostico o un ebreo o uncristiano venivano e vengono certamente condizionati dall’«universo»ideologico in cui erano e sono.

Per chi crede nella rivelazione divina e nella ispirazione dellaBibbia, il terreno di ricerca non potrà che essere quello della Parola diDio. Tutto il percorso dell’indagine sarà, di conseguenza, costellato dicontinui riferimenti a questo insostituibile documento; le soluzioni, aloro volta, troveranno in esso anche il loro punto d’arrivo.

Il professor Bacchiocchi con quest’opera, Immortalità o risurrezio-ne?, mostra una volta di più di avere coraggio e grande dimestichezzacon la Parola di Dio. Coraggio perché, in un mondo qual è il nostro,andare a volte contro corrente non è né facile né saggio.

Il mondo cristiano da secoli viaggia ormai, per quanto attiene alladottrina dell’uomo, alla sua risurrezione e salvezza eterna e, eventual-mente, all’annichilimento totale e definitivo dei malvagi, su binaridiversi, quando non opposti, su cui si muove questo teologo italianoche opera negli Stati Uniti. Per questo suo coraggio e per la lucidità concui affronta il tema della natura dell’uomo e del suo destino ultimo,merita davvero di essere elogiato. C’è solo da augurarsi che quantiamano la verità della Bibbia non si limitino, con supponenza, alla let-tura dei primi due o tre paragrafi, ma che leggano l’intero volume.

I suggerimenti avuti nel corso dei secoli in merito alla composi-zione dell’uomo sono stati questi:

1. Due elementi: corpo e anima.2. Tre elementi: corpo, anima e spirito.3. Un solo elemento: l’uomo, un tutto unico.

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Presentazione

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La Bibbia sostiene che l’uomo debba essere considerato come unacompenetrazione tanto dei due elementi, come dei tre. Essa sottolineacon forza come l’uomo sia costituito da un solo e unico elemento. Nonsi tratta, certo, di voler qui accontentare tutti, ma dell’acquisizionedella chiara consapevolezza che anche le due visioni che sostengonocome l’uomo sia il risultato della fusione di due o di tre elementi,abbiano ragione di essere solo se circoscritte e comprese in una visio-ne unitaria dell’uomo. La Parola di Dio è chiara al riguardo: ogni esse-re umano manifesta se stesso in vari campi e a tante persone, ma rima-ne sempre uguale a se medesimo. Un uomo adulto, per esempio, simanifesterà in modi diversi - si rapporterà in maniera diversa - aseconda delle persone con cui verrà in contatto.

Il modo di essere con la propria moglie, per esempio, non saràcome quello di rapportarsi con i figli, con i parenti, con il datore dilavoro, con l’intero mondo esterno. Eppure, egli sarà sempre se stessoquanto a persona fisica. Risulterà però sempre diverso secondo lenecessità a cui dovrà far fronte; mantenendo sempre la propria unità eunicità di persona.

L’uomo, dunque, è un individuo che si manifesta, che si esprime,attraverso gli elementi che lo compongono. La pluralità della sua per-sonalità e delle sue manifestazioni non potrà non esprimersi sempreattraverso la singolarità della sua persona. Così, pur rimanendo un’u-nità indivisibile, risulterà di volta in volta «diverso» o visto tramite quel-la che potrebbe definirsi la «visione di Dio», o attraverso la visione chegli altri esseri umani possono avere di lui o di lei o, infine, attraverso lavisione che ogni essere umano possa avere di se stesso.

Dio ha rivelato nella sua Parola l’origine dell’uomoNulla sapremmo delle origini del mondo e delle origini dell’uomo seDio non ce le avesse rivelate. A questa Parola di Dio non abbiamo nien-t’altro da opporre. Il vuoto sarebbe totale. Quanti non accettano laBibbia come parola ispirata, devono, giocoforza, rifugiarsi nel caso,nell’evoluzione.

La Bibbia dice: TU, uomo, esisti perché IO ti ho voluto, perché IO tiho amato avanti che TU fossi, perché IO ti ho creato. Le origini nostresono dunque in Dio che ci ha formati mediante l’attimo di fusione didue elementi in un’unica persona:

1. Polvere della terra2. Alito vitale

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L’uomo ha una consapevolezza di se stessoQuando l’uomo esamina se stesso, non può che riconoscersi come unessere in azione, un essere che agisce. Egli è - e ognuno può render-sene conto - pensiero, sentimenti e azione.

La Bibbia afferma con forza che dopo l’atto creativo, anzi nellostesso istante in cui la creazione dell’uomo era in divenire, l’uomodivenne un’anima vivente (cfr. Gn 2:7). È diventato cioè, un elementodel creato con capacità di scelta, di pensiero e di azione secondo prin-cipi etici e morali. Un individuo, sì, capace di azione, movimento edemozioni all’interno però di un’unica e indivisibile unità.

L’essere umano visto dagli altri (cfr. At 17:28)La terza possibilità è quella che altri esseri umani come noi, anche secon caratteristiche diverse, offrano dall’esterno indicazioni e suggeri-menti su come siamo. Questi suggerimenti possono venire, come si ègià detto, da Dio, ma anche dagli stessi uomini. Il pensiero di Dio, persua stessa affermazione, sarà comunque ritenuto dal credente comple-to, sufficiente e obiettivo. Il pensiero e la visione che gli uomini posso-no avere di altri uomini o di loro stessi, invece, non dovrebbe mai esse-re in grado di raggiungere la stessa obiettività.

La Bibbia da un lato e l’esperienza umana dall’altro affermano chel’uomo altro non è che l’insieme di spirito, anima e corpo. Dal cantosuo, la Parola di Dio insiste nel sottolineare il dato che l’uomo è com-pleto solo quando è un insieme unico che ama, pensa, agisce (1 Ts5:23). Diversamente non è nulla, se non un cadavere freddo e senzavita. In altri termini l’uomo, quale creatura, sa di sé solo se ciò gli vienerivelato. Questa visione che si può avere soltanto attraverso l’informa-zione biblica - detta anche ontologica - è di fondamentale importanzaperché l’uomo, quale essere vivente, possa avere di sé una visioneequilibrata.

Nel contesto biblico, è il TU che viene a trovarsi posto di fronte aDio, all’IO Sono. Dio, infatti, ha voluto che questo essere gli stesse sem-pre davanti in permanente stato di comunione reciproca, ma filiale, ein atteggiamento di costante adorazione, rispetto, riconoscenza e ubbi-dienza. Questa visione può essere colta come attraverso la percezionedel «dito di Dio» puntato verso l’uomo in atto di dirgli: «Tu sei ciò chesei perché io ti ho voluto così. Senza di me, non solo non potresti sape-re nulla di te stesso, ma non saresti mai nemmeno esistito».

Dove c’è vita c’è movimento, pensiero, volontà e azione. Dove al

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Presentazione

contrario, la vita non fosse presente, l’uomo non avrebbe, per ciò stes-so, alcuna possibilità di provare se stesso, né di esaminare se stesso.L’uomo sa per certo di non essersi chiamato autonomamente all’esi-stenza. Egli chiaramente percepisce il fatto che il mondo in cui è chia-mato ad esprimere la propria umanità non è stato né da lui creato, néè da lui mantenuto in essere.

La creatura umana si rende conto di essere in grado di poter guar-dare dentro di sé come fosse al proprio esterno e cogliesse di se stes-sa molti aspetti che via via potrà analizzare.

Se la prima visione qui proposta la si è denominata ontologica, laseconda la si può definire soggettiva, e la terza ed ultima visione la sipuò denominare oggettiva. L’essere umano non ha difficoltà a ricono-scere di essere una creatura meravigliosa e complessa allo stessotempo. Si rende facilmente conto di essere un corpo con organi emuscoli. Riconosce altresì di essere un’insieme di passioni, di deside-ri e di volontà; così come è certo di essere depositario di intelligenzae di sapere.

Ontologico Soggettivo Oggettivo

tu io - azione egli - luiGn 2:7 At 17:28 1 Ts 5:23

In Genesi 2:7, l’uomo viene informato direttamente da Dio in meri-to alle proprie origini. Il testo sacro mette chiaramente in evidenzacome l’uomo sia creatura di Dio e non già figlio del caso. Dio, diceancora la Bibbia, ha preso ogni cura nella creazione dell’essere viven-te e non si è accontentato di chiamarlo all’esistenza come aveva giàfatto con tutte le altre creature viventi. Senza questo primo testo, chedocumenta la nostra prima nascita, saremmo lasciati a noi stessi. LaBibbia, invece, non permette di accogliere sulla creazione umana,alcuna dottrina che si allontani da quella chiaramente indicata dallostesso Creatore.

In Atti 17:28 l’apostolo insegna come, in maniera oggettiva, l’uomosia in grado di rendersi conto di essere un’entità vivente. I suoi movi-menti risultano per lui una garanzia nell’accettazione del proprio statodi essere creatura vivente.

In 1 Tessalonicesi 5:23, la Scrittura sottolinea in maniera lapidariacome l’essere umano sia in grado di avere un’idea di se stesso e degli

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altri esseri umani tramite il corpo, l’anima e lo spirito. Merita ricorda-re a quanti amano lo studio della Parola di Dio, che i termini espressiin lingua greca da parte dell’apostolo Paolo, hanno inevitabilmente,quanto alla loro origine, una «mente ebraica». La sottolineatura deltesto è tutta incentrata sull’unità dell’essere. Le espressioni come«completamente», e «l’intero essere vostro», sono proprio lì a dirci cheil fulcro del pensiero di questo versetto è da ricercarsi nell’idea dell’in-divisibilità dell’essere o, se si vuole, nella sua unitarietà.

Genesi 2:7 Genesi 2:7 1 Tessalonicesi 5:23

Nel primo riquadro del diagramma, si apprende una volta di più,come l’essere umano sia il risultato del punto d’incontro di due ele-menti. Questi due elementi, però, presi singolarmente, non possonomai avere vita in sé, né tanto meno manifestarla. Se ci vogliono dueelementi per dare vita all’essere vivente, va da sé che, quando allacreatura è dato di vivere, essa lo può solo in virtù del fatto che i due ele-menti vengono racchiusi in un unico: l’uomo.

Nel secondo riquadro è messo in evidenza come l’essere creato sia«anima vivente» (vedere come anche le creature volute da Dio primadella creazione dell’uomo possano fregiarsi della stessa definizione dianime viventi. Questo indica, al di là di ogni possibile contestazione,che la definizione anima vivente sia da porsi in relazione alla vita stes-sa. In Genesi 1:30 tra l’altro si legge: «... a tutto ciò che si muove sullaterra e ha in sé anima vivente»). Per quanto concerne l’uomo, la defi-nizione è data quale spiegazione di ciò che è avvenuto al momento del-l’unione tra la polvere della terra e l’alito vitale. Merita ancora di esse-

alito vitale divenneanima vivente

polveredella terra

animaenergie affettive

spiritoenergie mentali

corpoenergie fisiche

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Presentazione

re rilevato il fatto che dal momento che è «scoccata la scintilla dellavita», l’uomo è in continuo divenire: «divenne anima vivente» (diveni-re, non significa affatto ricevere, avere o possedere). La sua esperien-za era prevista come un costante e progressivo divenire. Il peccato,però, porterà a un brusco ridimensionamento di questo aspetto, por-tando, in ultima analisi, alla morte dell’«anima vivente». Anche in que-sto secondo momento, però, la totalità - l’interezza - dell’uomo è ine-quivocabilmente confermata.

Nel terzo e ultimo riquadro, dove si sottolinea la diversità dell’es-sere umano quanto alle sue componenti, l’unità del soggetto uomo èripetutamente evidenziata all’interno del testo scritto dall’apostolo. «Oril Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l’intero esse-re vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia (non siano) conservato irre-prensibile, per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1 Ts 5:23). Lospirito, l’anima e il corpo hanno una ragion d’essere solo in quantocostituiscono l’uomo nella sua totalità. La mancanza anche di uno diquesti elementi riporterebbe l’uomo a non essere più «anima vivente»,dunque, ci si troverebbe di fronte a un cadavere. Un non uomo.

Nel momento in cui Dio fonde i due elementi, l’uomo riceve la vita.Essa vita, ovviamente, non è sua propria, gli è stata data anche perchépotesse trasmetterla. Dio ha creato solo la prima coppia lasciando aessa il compito non solo di diventare individui singoli e autonomi, ma

Genesi 2:7 Atti 17:28 1 Tessalonicesi 5:23

VITA MOVIMENTO ESSERE

EGLI(oggettivamente)

TU(ontologicamente)

IO(soggettivamente)

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anche coppia. Dio ordina ai nostri progenitori di «crescere e di riempi-re la terra», e questo è stato un modo per manifestare pienamente lavitalità da lui ricevuta.

L’uomo, dichiara categoricamente la Bibbia, è figlio di Dio. Cometale, ha prerogative e doveri regali a cui non può sottrarsi. Le sueresponsabilità sono in primo luogo verso Dio che l’ha chiamato all’esi-stenza, poi nei confronti degli altri e, infine, nei confronti di se stesso.Cristo è morto per lui e ciò lo dovrebbe indurre a essere sempre piùquella creatura che il Signore ha voluto che fosse.

Giunti a questo punto, prima di lasciare il lettore alle belle e posi-tive pagine scritte da Samuele Bacchiocchi, è opportuno e auspicabileche questo libro sia veicolato bene tra cattolici ed evangelici, certi, chesvilupperà un buon dialogo proficuo e fecondo su un tema non affattosecondario.

Giuseppe De Meo

NOTA

Questi ultimi due diagrammi sono stati presentati dal professore svizzero JeanZurcher durante le lezioni sulla «natura dell’uomo», svoltesi a Firenze nel 1964, orga-nizzate dall’Andrews University. (Cfr. dello stesso, L’Homme, sa nature et sa destinée,Imprimerie Delachaux & Niestlé S.A., Neuchâtel, 1953.

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Introduzione

Il dibattito sulla naturae il destino dell’uomo

Ciò che i cristiani credono in merito alla natura umana determinagrandemente ciò che pensano riguardo al loro destino finale. Coloroche considerano l’uomo un composto di materia e di spirito, con unanatura «dualistica», cioè consistente di un corpo mortale e materiale edi un’anima spirituale e immortale, generalmente immaginano undestino secondo il quale le loro anime immortali sopravvivono allamorte del corpo e trascorrono l’eternità nella beatitudine del paradisoo nel tormento dell’inferno. Per alcuni, come i cattolici e altri, esisteanche la possibilità che le anime possano essere perdonate e purifica-te in purgatorio prima di ascendere al paradiso.

Dall’altra parte, coloro che credono che la loro natura sia un tuttoindivisibile e il corpo, l’anima e lo spirito siano soltanto manifestazionidella stessa persona, generalmente immaginano un destino dove laloro intera persona risusciterà a vita eterna o a morte eterna. I duediversi destini sono riconducibili a due diversi concetti della naturaumana, quello «dualistico» e quello «unitario»; potrebbero essere defi-niti, come suggerisce il titolo del libro, l’immortalità dell’anima o larisurrezione dei morti.

Da diversi decenni, il concetto biblico della natura umana e delsuo destino ha suscitato un nuovo interesse tra gli studiosi. I più rag-guardevoli fra loro, pur trovandosi su posizioni iniziali diverse, hannoaffrontato questo argomento in articoli e libri. Gli studi pubblicati negliultimi cinquant’anni rivelano come il concetto tradizionale fondato suldualismo filosofico sia stato ampiamente superato a favore di un con-cetto biblico dell’uomo inteso come unità psicosomatica indivisibile.

Nel ripercorrere i numerosi testi pubblicati si ha quasi l’impres-sione che il cristianesimo stia uscendo da un lungo torpore, riscopren-

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Introduzione

do l’insegnamento biblico e abbandonando i presupposti filosofici allabase del concetto dualistico.

Gli obiettivi Questo studio si avvale di recenti ricerche compiute da numerosi stu-diosi e tenta di mostrare come l’insegnamento biblico della naturaumana possa influire in grande misura nella comprensione che l’uomoha di se stesso, del mondo presente, della salvezza e del suo destinofinale. Spero di poter conseguire un duplice obiettivo.

Il primo è quello di stabilire quale sia l’insegnamento biblico in-torno alla natura umana per dimostrare che l’essere umano è un tut-t’uno indivisibile. Questa verità è stata accettata, negli anni recenti, damolti studiosi di varie denominazioni. Nella Bibbia non troviamo il con-cetto di una vita autonoma dell’anima separata dal corpo, anzi l’anima,lo spirito e il cuore non costituiscono i componenti che si ag-giungonoal corpo, ma le caratteristiche che insieme al corpo sono parte inte-grante della stessa persona. La dicotomia tra corpo e anima derivadalla filosofia platonica e non dalla rivelazione biblica. È risaputo cheil concetto di Platone di un corpo come prigione dell’anima è estraneoalla Bibbia e ha compromesso la spiritualità cristiana, il tema della sal-vezza e quello relativo alle cose finali.

Il secondo obiettivo è di comprendere in che modo l’insegnamen-to biblico intorno alla natura umana possa interagire sulla vita presen-te e su quella futura. Tra gli studiosi c’è la tendenza a esaminare sepa-ratamente il concetto biblico dell’uomo (antropologia biblica) e quellodel destino umano (escatologia biblica). Eppure, i due aspetti teologicinon possono essere studiati separatamente.

In genere, l’analisi, fatta con grande abilità, conduce alla divisionee alla separazione, ma spesso non è seguita da una sintesi capace dimostrare in che modo le varie parti si armonizzino fra di loro per risco-prire un quadro più completo. In questo studio, si tenterà di mostrarecome la verità biblica circa l’indivisibilità della natura umana sia unvalido supporto per comprendere il destino umano in cui il corpo, l’a-nima, la carne, il cuore, la mente e lo spirito fanno tutti parte dellacreazione di Dio, della redenzione e della restaurazione finale.

La proceduraPer mantenere un’esposizione logica lo studio seguirà la seguente pro-cedura. In un primo momento esaminerò il concetto biblico della natu-

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Il dibattito sulla natura e il destino dell’uomo

ra umana, studiando alcune delle parole chiave utilizzate nel-l’Anticoe nel Nuovo Testamento. Se apparentemente questa parte potrà sem-brare troppo analitica vorrei rassicurare il lettore perché terrò semprein mente che per la Bibbia l’uomo è un tutt’uno. Così, pur consideran-do i vari aspetti della natura umana, non bisogna dimenticare che lapersona è un’unità indivisibile. «È doveroso riconoscere» dice John A.T.Robinson «che ogni singola parte dell’uomo può corrispondere in qual-siasi momento alla totalità dell’essere».1

Il secondo aspetto della procedura seguita in questo lavoro, consi-ste nell’esaminare il destino dell’uomo cristiano, biblico, alla luce del-l’insegnamento sulla natura umana. Lo studio si prefigge di fare unasintesi tra l’antropologia e l’escatologia, dove il corpo, l’anima, la carnee lo spirito costituiscono un tutto indissolubile, presupponendo unasorta di continuità tra la creazione e il destino finale; infatti tutta la per-sona risusciterà, corpo e anima per ricevere la vita eterna o la morteeterna. Inoltre, coloro che ricevono la vita eterna trascorreranno l’e-ternità non in un paradiso etereo e spirituale, ma su questo pianeta,restaurato e ricondotto da Dio alla sua perfezione originale.

Lo studio del destino umano richiede una riflessione su alcuneidee popolari ed errate riguardanti lo stato intermedio tra la morte e larisurrezione, tra il paradiso e l’inferno, come si dice in genere.Ciascuno di questi temi è esaminato in capitoli separati, alla luce del-l’insegnamento biblico.

Nella quinta parte viene posta una particolare attenzione allo stu-dio dell’«inferno» per dimostrare biblicamente che esso non è il luogodi una vita di tormento senza fine. Lo scopo ultimo non è solo di espor-re le vedute erronee, ma di sottolineare con forza il concetto biblicounitario e realistico della natura umana e del suo destino.

Nell’introduzione vorrei presentare una veduta d’insieme dei dueaspetti basilari dell’uomo e comprendere il loro grande influsso eserci-tato sulla vita pratica dei credenti e infine aiutare il lettore a capire l’im-portanza della discussione, perché comprendere chi siamo ci permet-terà di capire meglio il mondo, la redenzione e il nostro ultimo destino.

1. Due aspetti basilari dell’uomoCome abbiamo visto, due modi di concepire l’uomo determinano duemodi di comprendere il proprio destino. Da una parte il concetto del-

1 J.A.T. ROBINSON, The Body, London, 1952, p. 16.

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Introduzione

l’immortalità dell’anima, dall’altra la risurrezione dai morti. Nello stu-dio teologico La natura e il destino dell’uomo, Reinhold Niebuhr sug-gerisce che queste dottrine cristiane fondamentalmente diverse circala natura umana e il destino, derivino da due concetti: quello «classico»e quello «cristiano».2

Il primo si appoggia sulla filosofia greca, il secondo sull’insegna-mento della Bibbia. Il termine «cristiano», applicato al secondo termi-ne, potrebbe anche trarre in inganno perché, come si avrà modo divedere, la maggioranza dei cristiani è stata fortemente influenzata dal-l’insegnamento classico della natura umana che prefigura un corpomortale e un’anima immortale. Per questo, allora, preferisco utilizzareil termine «biblico» per il secondo concetto, in quanto riflette gli inse-gnamenti della Bibbia.

Il dualismo classicoLa nozione classica della natura umana deriva in massima parte dagliscritti di Platone, Aristotele e dai filosofi stoici. Il pensiero dominantedella speculazione filosofica relativa all’uomo è caratterizzato dalladistinzione tra materia e anima. Nel pensiero platonico, la naturaumana è costituita da una componente materiale e da una spirituale. Ilcorpo è formato dalla materia ed è sostanzialmente malvagio; la com-ponente spirituale è, invece, l’anima (psyche) o la mente (nous), che èessenzialmente buona. Il corpo umano è transitorio e mortale mentrel’anima umana è permanente e immortale. Alla morte, l’anima vieneliberata dalla prigione del corpo dove è stata, per un periodo, sepolta.Nel tempo, il pensiero cristiano è stato profondamente influenzato daquesta visione dualistica e non-biblica della natura umana. Le impli-cazioni teologiche e le conseguenze pratiche derivanti dalla filosofiaclassica sono state davvero incalcolabili.

Per la Bibbia l’uomo è un tuttoL’uomo biblico è considerato come un tutto, non è diviso; corpo, animae spirito sono parte integrante di un organismo indivisibile. Questopensiero della rivelazione evidenzia almeno due differenze importanticon il concetto classico.

La prima è che l’idea unitaria della natura umana si fonda sullaconvinzione che la creazione fisica del cosmo e del corpo umano, siano

2 R. NIEBUHR, The Nature and Destiny of Man, New York, 1941, pp. 4-17.

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Il dibattito sulla natura e il destino dell’uomo

considerate «molto buone» (Gn 1:31). Nelle prime pagine della Bibbianon troviamo nessuna contrapposizione tra la materia e lo spirito, trail corpo e l’anima, perché fanno tutti parte della creazione di Dio. Laredenzione prevede la restaurazione di tutta la persona, corpo e anima,e non la salvezza di un’anima separata dal corpo.

La seconda differenza è che la natura umana non è stata creatacon un’immortalità innata, ma con la possibilità di diventare immorta-le. Gli esseri umani non possiedono un corpo mortale e un’animaimmortale, ma sono individui che con il corpo e l’anima sono candida-ti all’immortalità.

La vita eterna è il dono di Dio a coloro che accettano il piano dellasalvezza; quelli che lo rifiutano conosceranno la di-struzione eterna,non un tormento eterno, né un fuoco infernale che duri sempre. Laragione è semplice: l’immortalità è data come ricompensa ai salvati enon come retribuzione ai non-salvati.

Questo è il messaggio del Vangelo: Dio ha creato Adamo ed Evacome esseri mortali ma candidati alla vita eterna, se solo avesseromangiato il frutto dell’albero della vita. Anche noi, figli di Adamo,nasciamo mortali ma possiamo ricevere la vita eterna se accettiamo ildono di Dio. L’immortalità è un dono e non un possesso umano innato.È condizionato dalla nostra volontà di accettare la grazia di Dio per lasalvezza della nostra intera natura, corpo e anima. Così la soluzionebiblica è anche chiamata immortalità condizionale, perché è offerta daDio a condizione che l’uomo l’accetti.

Il dibattito corpo-animaAlcuni lettori potranno dire che la discussione del corpo in contrastocon l’anima sia un problema superato che non interessa più a nessunoe dedicare un libro solo a questo argomento potrebbe sembrare ecces-sivo. La verità è che la questione è lontana dall’essere irrilevante osuperata. Il suicidio di massa di 39 persone in una residenza di SanDiego, in California, che volevano abbandonare il «contenitore» delloro corpo per raggiungere con le loro anime la cometa Hale-Bopp,ricorda quanto sia viva la discussione intorno al corpo e l’anima.

Oggi più che mai, l’interesse per la vita ultraterrena sembra siadiventato di grande attualità. Nel medioevo la fede nella vita ultrater-rena è stata mantenuta accesa attraverso rappresentazioni letterarie,artistiche e superstiziose della beatitudine dei santi e dei tormenti deipeccatori. Oggi, questa convinzione è diffusa in modo più sofisticato

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Introduzione

attraverso i medium, i parapsicologi, le ricerche chiamate «scientifi-che» di esperienze prossime alla morte e gli spiritisti del New Age checercano un contatto con gli spiriti del passato. Il risultato è che tuttoquesto rumore intorno alla questione corpo-anima sta attirando un’at-tenzione senza precedenti persino nella comunità teologica.

Un’indagine della letteratura prodotta negli anni recenti mostrachiaramente come questo argomento sia fortemente dibattuto daimaggiori studiosi di diverse convinzioni religiose. L’anima può soprav-vivere ed esistere separatamente dal corpo? In altre parole, bisognasapere se veramente l’uomo possiede questa scintilla di eternità chealla morte del corpo continua a esistere.

Basandosi sulla tradizione, la grande maggioranza dei cristiani harisposto affermativamente a questa domanda. Molti credono che tra lamorte e la risurrezione finale, Dio preservi l’esistenza delle animesenza il corpo e che, alla risurrezione, i corpi fisici vengano riuniti alleanime spirituali, intensificando così il piacere del paradiso o il doloredell’inferno.

Questi concetti tradizionali e popolari sono stati rivalutati in que-sti ultimi decenni. Tuttavia un numero sempre maggiore di studiosi staabbandonando il concetto classico e dualista della natura umana afavore di un concetto unitario dell’uomo secondo la rivelazione.

Diversi fattori hanno contribuito all’abbandono del dualismo clas-sico da parte di molti studiosi. Uno di questi è da ricercarsi negli studibiblici effettuati di recente circa il significato dei termini antropologici(corpo, anima, spirito, carne, mente e cuore); queste indagini hannoaiutato molti studiosi a riconoscere che questi termini non indicano deicomponenti indipendenti, ma diversi aspetti della persona intera. «Glistudi recenti riconoscono» scrive Eldon Ladd «che termini come corpo,anima e spirito non costituiscano facoltà diverse e separabili dell’uo-mo, ma modi diversi nell’osservare l’intero uomo».3

Qualsiasi parte dell’uomo può essere usata, nella Bibbia, per rap-presentare l’intero essere umano. Non c’è nessuna dicotomia tra uncorpo mortale e un’anima immortale che sopravviva e funzioni sepa-ratamente dal corpo. Entrambi, corpo e anima, carne e spirito fannoparte della stessa persona e non si «dividono» alla morte.

3 G.E. LADD, A Theology of the New Testament, Grand Rapids, 1974, p. 457. Sul dibatti-to corpo-anima in campo filosofico e logico-linguistico segnaliamo lo studio corredatoda una ricca biobliografia di G. GAVA, Mente versus corpo, un errore logico-linguistico,Liviana Ed., Padova, 1977.

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Il rifiuto del dualismoIn tempi recenti numerosi studiosi della Bibbia sono giunti alla con-clusione che gli scrittori dell’Antico e del Nuovo Testamento hannoignorato la concezione dualistica della natura umana, in favore di unaunitaria e integrale. I loro studi verranno presi in considerazione neicapitoli successivi. Posso però anticipare che i risultati di queste inte-ressanti ricerche hanno messo in crisi molti sostenitori del dualismo, iquali, in numero sempre crescente, rifiutano la nozione di un’esisten-za dell’anima parallela o separata dal corpo e riconoscono che essa nonfa parte dell’insegnamento biblico.

Molti storici della chiesa condividono queste conclusioni pur rico-noscendo che il dualismo e la fede nella sopravvivenza di anime senzail corpo siano stati introdotti nel cristianesimo da padri della chiesainfluenzati, a loro volta, dalla filosofia dualistica di Platone. Questospiega perché queste convinzioni siano state ampiamente accettatenella chiesa cristiana anche se estranee agli insegnamenti della Bibbia.

Filosofi e scienziati hanno contribuito a smantellare l’idea tradi-zionale e dualistica della natura umana. I filosofi hanno confutato gliargomenti tradizionali secondo i quali l’anima costituisce una sostanzaimmortale che sopravvive alla morte. Hanno proposto teorie alternati-ve secondo le quali essa rappresenta invece un aspetto del corpoumano e non un elemento separato.

Gli scienziati, dal canto loro, hanno contribuito a demolire la con-vinzione di un’esistenza indipendente dell’anima, mostrando come lacoscienza umana dipenda, e allo stesso tempo sia influenzata, dal cer-vello. Alla morte, il cervello cessa di funzionare e tutte le attività co-scienti si arrestano. La cessazione di tutte le funzioni mentali, allamorte, suggerisce come sia altamente improbabile che le funzioniattribuite all’anima possano continuare a esprimersi.

I ripensamenti sul dualismo da parte di ricercatori biblici, di stori-ci della chiesa, di filosofi e di scienziati hanno condotto i liberali e per-sino alcuni cristiani conservatori a rifiutare il concetto dualistico tradi-zionale della natura umana.

Nel suo libro Corpo, anima e vita eterna, John W. Cooper riassumeil risultato di questa discussione, dicendo: «I liberali hanno rifiutato [ildualismo] considerandolo fuori moda e non più intellettualmentesostenibile. Certi protestanti conservatori sostengono che, dal mo-mento che dovranno seguire solamente la Scrittura e non le tradizioniumane, qualora il dualismo antropologico risultasse essere una tradi-

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Introduzione

zione umana non basata sulla Scrittura, dovranno riformulare le pro-prie dottrine fondamentali epurandole da ogni aggiunta extra biblica.La distinzione anima-corpo è dunque attaccata da più parti».4

Dualisti preoccupatiQuesti ultimi sviluppi preoccupano coloro che continuano a mantene-re una comprensione dualistica della natura umana. Il libro di Cooperrappresenta uno dei molteplici tentativi di riaffermare l’insegnamentodualistico e tradizionale cercando di rispondere agli attacchi sul duali-smo. La ragione è bene espressa dallo stesso Cooper: «Se ciò che [glistudiosi] dicono fosse vero, allora bisogna rispondere a due do-mandeveramente sconvolgenti. La prima è che una dottrina affermata dallamaggior parte della chiesa cristiana è falsa. La seconda, più personaleed esistenziale, è che sarebbero delusi quei milioni di cristiani convin-ti di ottenere il premio alla loro morte».5

Cooper è profondamente impensierito per l’alto costo «emotivo»determinato dall’abbandono del concetto dualistico della naturaumana. Egli scrive: «Il più ovvio è che le convinzioni che praticamentetutti i comuni cristiani hanno circa la vita ultraterrena, debbano esse-re gettate come si getta a mare un carico in caso di pericolo. Se leanime non sono qualcosa che si possa staccare dai corpi, allora, in real-tà, non esistiamo, tra la morte e la risurrezione, né con Cristo né daqualche altra parte, né consciamente né tanto meno inconsciamente.Questa conclusione causerà a molti cristiani, livelli di ansietà esisten-ziale. Un costo più generale è costituito dalla perdita di un altro assenella piattaforma delle convinzioni tradizionali cristiane, forzatamenteslegato e gettato fra gli scampoli della informata cultura moderna».6

Non c’è nessun dubbio che la moderna cultura biblica stia causan-do grande «ansietà esistenziale» a milioni di sinceri cristiani i qualicredono che, alla morte, le loro anime disincarnate andranno in cielo,là dove ora sono quelle dei loro cari. Qualsiasi provocazione contro larassicurante tradizione del passato può essere devastante. Eppure queicristiani che riconoscono l’autorevolezza normativa della Scritturadovrebbero essere disposti a riesaminare le proprie convinzioni e acambiarle se non sono in armonia con essa.

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4 J. W. COOPER, Body, Soul and Life Everlasting. Biblical Anthropology and the Monism-Dualism Debate, Grand Rapids, 1989, p. 3.5 Ibidem, p. 1.6 Ibidem, p. 4.

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Le reazioni emotive sono comprensibili quando le proprie convin-zioni religiose sono messe in dubbio dagli studi biblici. Il teologo sviz-zero Oscar Cullmann, per esempio, è stato amaramente criticato damolti che hanno energicamente dissentito sul suo libro Immortalitàdell’anima o risurrezione dei morti? Nella prefazione scrive: «Nes-sun’altra pubblicazione nostra ha suscitato reazioni vive come questa,talune entusiaste, altre violentemente ostili».7

La critica, in effetti, diventò talmente intensa e così tanti si senti-rono offesi dalle sue dichiarazioni, che decise deliberatamente di rima-nere in silenzio per qualche tempo. Va qui aggiunto che Cullmann nonsi lasciò impressionare dagli oppositori del suo libro poiché constatòche questi si basavano non già su argomenti esegetici, ma su conside-razioni emotive, psicologiche e sentimentali.

Atteggiamenti scorrettiIn certi casi, la reazione ha preso forma di molestia. Il rispettato teolo-go canadese Clark Pinnock menziona alcune delle tattiche di molestiamesse in atto per screditare eventualmente gli studiosi evangelici cheavessero abbandonato il punto di vista dualistico della natura umana ela dottrina attinente all’eterno tormento di un inferno ardente.

Una delle tattiche è stata quella di associare questi studiosi o ailiberali o ai settari come gli avventisti. Pinnock scrive: «Sembra che siastato scoperto un nuovo criterio per definire la verità, secondo il qualese gli avventisti o i liberali difendono una determinata posizione, allo-ra deve essere sicuramente sbagliata. Chiaramente si può vedere cheuna verità può essere stabilita in base a una associazione, e non habisogno di essere provata dall’opinione pubblica attraverso un dibatti-to aperto e franco. Un tale argomento, inutile in una discussione intel-ligente, potrebbe avere un qualche effetto sulle persone meno prepa-rate perché sedotte dalla retorica».8

Nonostante gli atteggiamenti poco simpatici, la posizione biblicacirca il concetto unitario dell’uomo, che nega l’immortalità naturaledell’anima e, di conseguenza, le pene dell’inferno dei non salvati, staottenendo un sempre maggiore consenso tra gli evangelici. Con il suoappoggio pubblico, John R.W. Stott, noto teologo e predicatore britan-

7 O. CULLMANN, Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti?, Paideia, Brescia,1967, p. 7. 8 C.H. PINNOCK, «The Conditional View», in Four Views on Hell, William Crockett,Grand Rapids, 1992, p. 161.

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Introduzione

nico molto rispettato, sta sicuramente incoraggiando questa tendenza.«In un piacevole brano, pieno di ironia» scrive Pinnock «sta creandouna linea di credito per associazione, offrendo le stesse tattiche usatecontro di esse. È diventato impossibile pretendere che solo gli eretici oquanti a essi vicini (come gli avventisti) mantengano questa posizione,anche se, sono sicuro, qualcuno rigetterà l’ortodossia di Stott precisa-mente su questo terreno».9

Lo stesso Stott esprime forti preoccupazioni sulle conseguenze la-ceranti all’interno della comunità evangelica di cui è dirigente, legateproprio alle sue nuove convinzioni. Egli scrive: «Sono esitante in meri-to alle cose scritte, perché da una parte ho un grande rispetto per la tra-dizione di vecchia data, particolarmente quando afferma come veritàun’interpretazione della Scrittura, e non l’accantono a cuor leggero.Inoltre, l’unità della comunità mondiale evangelica ha sempre avutoun gran significato per me. Ma la questione è troppo importante peressere soppressa, e le sono grato (scrive a David Edwards) del suo invi-to a rendere noto il mio attuale pensiero. Non credo che la posizione acui sono giunto sia assoluta, ma per il momento la tengo ferma; alzo lamia voce affinché un dialogo schietto, basato sulla Scrittura, possaavvenire tra noi evangelici».10

L’auspicio di Stott per un «dialogo schietto tra evangelici, basatosulla Scrittura», potrebbe essere molto difficile se non impossibile darealizzarsi. La ragione è semplice: gli evangelici sono condizionati dailoro insegnamenti tradizionali e denominazionali, tanto quanto i catto-lici romani e gli ortodossi orientali. In teoria, fanno appello alla solaScriptura ma in pratica, gli evangelici spesso interpretano la Scritturasecondo i loro insegnamenti tradizionali e denominazionali.

Se la nuova ricerca biblica sfida le dottrine tradizionali, nella mag-gior parte dei casi le chiese evangeliche cercheranno di sostenere la«tradizione» piuttosto che la sola Scriptura. La differenza tra evangeli-ci e cattolici romani sta in questo: i cattolici ammettono che la loro tra-dizione ecclesiastica ha un’autorità normativa. L’«evangelico» puòsostenere alcune dottrine tradizionali senza porsi domande, perché chiosa mettere in discussione la validità biblica di una dottrina tradizio-nale rischia di essere considerato «eretico».

9 Ibidem, p. 162.10 J.R.W. STOTT e D. EDWARDS, Essentials, A Liberal-Evangelical Dialogue, London,1988, pp. 319-320.

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Nel 1989, in una grande assemblea organizzata per discutere sulsignificato del termine «evangelico», venivano poste delle domande emolti si chiedevano se teologi come J. Stott o P. Hughes potessero esse-re considerati ancora evangelici, dal momento che avevano aderito alladottrina dell’immortalità condizionale e dell’annichilimento dei nonsalvati. La decisione di escludere questi teologi dalla comunione evan-gelica non è stata presa solo per una manciata di voti.11

Altri insegnamenti tradizionali sono collegati al dualismo dellanatura umana; questo spiega perché alcuni gruppi evangelici difenda-no tenacemente l’immortalità dell’anima. Il rifiuto del concetto duali-stico dell’uomo significa abbandonare anche tante altre dottrine. Qualisono le conseguenze del dualismo antropologico?

2. Conseguenze del dualismoImplicazioni dottrinaliIl concetto dualistico classico della natura umana ha enormi implica-zioni dottrinali. Un gran numero di dottrine derivano o dipendonograndemente da questo. Per esempio, la convinzione che al momentodella morte l’anima possa trasmigrare nel paradiso, nell’inferno o nelpurgatorio riposa sul presupposto che l’anima sia immortale per natu-ra e che abbia una sua vita autonoma. Questo significa che, se l’im-mortalità innata dell’anima poggiasse su una concezione non biblica,allora la dottrina relativa all’aldilà, (paradiso, purgatorio e inferno),dovrebbe essere radicalmente modificata se non addirittura rifiutata.

Dal dualismo antropologico dipende anche la mediazione di Mariae l’intercessione dei santi che nella chiesa cattolica e nelle chiese orto-dosse hanno un posto rilevante. Se le anime dei santi sono in cielo, sipotrebbe pensare che esista la loro intercessione a favore dei peccato-ri che si rivolgono a loro. La devozione mariana e il culto dei santianche se scaturiscono da una pietà popolare molto sentita, sono in con-trasto con l’insegnamento biblico. L’apostolo Paolo ribadisce: «Infattic’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, CristoGesù uomo» (1 Tm 2:5).

Se, però, l’anima non sopravvive e non può esistere separata dalcorpo, allora tutto l’insegnamento della mediazione di Maria e dei santi

11 Si consiglia di consultare Christianity Today (June 16, 1989), pp. 60-62. JohnAnkerberg sostiene che negare la concezione tradizionalista dell’immortalità dell’a-nima e della punizione eterna nell’inferno, equivale a negare la divinità di Cristo (cfr.K.S. KANTZER e C.F. HENRY, eds., Evangelical Affirmations, Grand Rapids, 1990).

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Introduzione

deve essere considerato come una aggiunta ecclesiastica. Un riesamedell’insegnamento biblico sulla natura umana, potrebbe avere conse-guenze veramente dirompenti per le dottrine tradizionali della chiesa.

Anche la dottrina del purgatorio poggia sul presupposto che l’ani-ma sopravvive al corpo e questo falso insegnamento ha però indotto lachiesa a considerarsi, sulla terra, colei che ha una giurisdizione sul«serbatoio dei meriti» e può così attribuire i meriti di Cristo e dei santialle anime che si trovano nel purgatorio. Questa dottrina ha portato lachiesa allo scandalo della vendita delle indulgenze, dando così inizioalla Riforma del sedicesimo secolo.

I riformatori hanno considerato il purgatorio come una dottrinanon biblica, ma hanno mantenuto la dottrina della traslazione delleanime individuali in uno stato di beatitudine (cielo) o in uno stato dipunizione continua (inferno). Di nuovo, se la convinzione della soprav-vivenza dell’anima alla morte fisica fosse considerata non biblica, allo-ra le dottrine tradizionali relative al purgatorio, alle indulgenze e altransito delle anime al cielo o all’inferno, dovrebbero anch’esse essererigettate come impianti voluti dall’uomo.

L’opera che i riformatori hanno iniziato eliminando il purgatorio,ora, deve essere completata col ridefinire il paradiso e l’inferno inaccordo con la Scrittura e non secondo le tradizioni ecclesiastiche. Èimprobabile che un tale colossale compito, possa essere oggi intrapre-so da una qualsiasi chiesa protestante. Ogni tentativo di modificare o dirifiutare le dottrine tradizionali è stato spesso interpretato come un tra-dimento della fede, una causa di lacerazione del corpo unitario dellachiesa. Questo è un prezzo talmente alto, che la maggior parte dellechiese non sono disposte a pagare.

L’immortalità dell’anima svaluta la parousiaIl dualismo tradizionale ha anche contribuito a svalutare la speranzadell’avvento. La fede nell’ascensione delle anime al cielo può oscurareed eclissare l’attesa del secondo avvento. Se alla morte, l’anima del cre-dente «ascende» immediatamente alla beatitudine del paradiso peressere con il Signore, il credente con difficoltà potrà coltivare il sensoreale dell’attesa di Cristo che «scende» per risuscitare i santi che dor-mono. La preoccupazione principale sarà quella di raggiungere imme-diatamente il paradiso, come anima immortale e non di vivere ognimomento presente con lo sguardo rivolto all’evento futuro.

Quelli che sono convinti di possedere un’anima immortale credo-

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no che una parte di se stessi sia incapace di non esistere. Tale convin-zione esalta l’individuo e dà la certezza che una parte di sé ritorna alSignore. Mentre quelli che credono alla risurrezione finale non posso-no esaltare se stessi perché hanno riposto la fiducia in Cristo Gesù enelle sue promesse, tra cui quella del suo glorioso ritorno per risusci-tare i morti e trasformare i viventi. Questo significa che non sono leanime dei morti che «volano» in cielo, ma è il Signore che «viene» dalcielo per incontrare i suoi fedeli.

Un’altra conseguenza della speranza individuale fondata sull’im-mortalità immediata risiede nel fatto che essa cancella la speranzabiblica comunitaria per un’ultima restaurazione della creazione e dellesue creature (cfr. Rm 8:19,23; 1 Cor 15:24,28). Quando l’unico futuroche conta veramente è la sopravvivenza dell’anima individuale allamorte, l’angoscia per l’umanità raggiunge un interesse periferico emarginale. In questo modo il valore della redenzione di Dio che per-mea tutto il cosmo viene a essere grandemente offuscato. La conse-guenza ultima, secondo Abraham Kuyper, è questa: «La maggioranzadei cristiani pensa a un futuro che non va oltre la propria morte».12

Equivoci sul mondo futuroIl dualismo classico ha incoraggiato idee erronee sul mondo futuro. Ilconcetto comune di paradiso come luogo di beatitudine dove le animeglorificate trascorreranno l’eternità nella contemplazione e nella medi-tazione, è ispirato più al dualismo platonico che al realismo biblico. PerPlatone, i componenti materiali di questo mondo sono malvagi e, diconseguenza, non degni di sopravvivenza. Lo scopo ultimo, è quello diraggiungere il regno spirituale dove le anime, liberate dalla prigioniadel corpo materiale, godranno una beatitudine eterna.

Durante il corso di questo studio vedremo che nell’Antico e nelNuovo Testamento non esiste il dualismo tra un mondo materiale infe-riore e un regno spirituale superiore. La salvezza finale inauguratadalla venuta del Signore è considerata nella Scrittura non come «unafuga da…», ma come una «trasformazione» di questa terra.

L’insegnamento biblico riguardo il mondo futuro non è quello diun «celestiale ritiro spirituale» abitato da anime glorificate, ma questonostro «pianeta» popolato da santi risuscitati (cfr. Is 66:22; Ap 21:1).

12Citato da G.C. BERKOUWER, The Return of Christ, Grand Rapids, 1972, p. 34. La stessavisione è espressa da R. F. ALDWINCKLE, Death in the Secular City, London, 1972, p. 82.

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Implicazioni praticheIl dualismo classico della natura umana ha privilegiato le attività intel-lettuali a scapito di quelle manuali. L’esistenza di un’anima separatadal corpo ha svilito tutte le attività legate al corpo e soppresso gli appe-titi fisici, impulsi naturali e salutari. Per contro, l’uomo secondo laBibbia, come unità psicosomatica indivisibile, canta la creazione diDio, compreso il piacere fisico.

La spiritualità medioevale aveva promosso la mortificazione dellacarne come un modo per raggiungere la meta divina della santità. Isanti sono persone ascetiche che si dedicano alla «vita contemplativa»,distaccando se stessi dalla «vita activa». Dal momento che la salvezzadell’anima veniva considerata più importante di quella del corpo, gliimpulsi fisici dello stesso furono intenzionalmente trascurati o persinosoppressi.

La dicotomia tra corpo e anima, tra fisico e spirituale, è ancorapresente nel pensiero di molti credenti. Sono ancora molti coloro cheassociano la redenzione solo all’anima e non al corpo umano. La mis-sione della chiesa consisterebbe nel «salvare le anime», perché sonopiù importanti dei corpi.

Conrad Bergendoff afferma: «I vangeli non offrono nessuna baseper una teoria di redenzione che salvi le anime separatamente daicorpi. Quello che Dio ha congiunto, filosofi e teologi non dovrebberoseparare. Essi sono colpevoli di aver decretato il divorzio tra corpo eanima che Dio, invece, ha unito alla creazione; la loro colpa, poi, nondiminuisce quando si scusano asserendo che la salvezza è, così, facili-tata. Fino a quando l’essere umano non riconoscerà una teoria diredenzione che soddisfi tutte le sue aspettative, non capirà le ragioniper cui Cristo si sia incarnato per salvare l’umanità».13

L’origine del secolarismoAlcuni studiosi affermano che il dualismo classico è stato determinan-te per la genesi del secolarismo moderno e per l’erosione progressivadell’influenza cristiana sulla società e la cultura.14

13 C. BERGENDOFF, «Body and Spirit in Christian Thought», The Lutheran Quarterly n.6, Agosto 1954, pp. 188-189.14 Un eccellente studio che dimostra come il dualismo anima-corpo abbia contribui-to alla nascita del moderno secolarismo e la distizione tra secolare e spirituale o vitareligiosa si può trovare in B. WALSH e R. MIDDLETON, «The Development of Dualism»capitolo 7 in The Transforming Vision, Downers Grove, Illinois, 1984.

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Essi trovano una correlazione tra il secolarismo moderno cheesclude la religione dalla vita, e la distinzione tra corpo e anima del cri-stianesimo tradizionale. Essi vedono anche un collegamento tra seco-larismo e distinzione tra natura e grazia come particolarmente soste-nuto da Tommaso D’Aquino. Secondo quest’ultimo, la ragione natura-le è sufficiente per vivere la vita naturale in questo mondo, mentre c’èbisogno della grazia per vivere una vita spirituale e raggiungere lameta della salvezza. Così, la divisione della scolastica su corpo-animaha permesso alla vita di essere divisa in due compartimenti diversi:«vita activa» e «vita contemplativa» o, si potrebbe dire, «vita secolare evita spirituale».

Questa distinzione ha progressivamente condotto alla convinzioneche il cristianesimo dovrebbe preoccuparsi della salvezza delle animedelle persone, mentre lo Stato dovrebbe essere responsabile della curadel corpo. Questo significa che lo Stato, e non la chiesa, dovrebbepreoccuparsi dell’educazione, della scienza, della tecnologia, dei siste-mi economici, dei problemi sociali e politici, della cultura in generalee dei valori pubblici.

Dualismo nella liturgiaL’influsso del dualismo è rintracciabile in molti inni cristiani, nelle pre-ghiere e nelle poesie. La frase iniziale della preghiera di sepoltura, chesi trova nel Libro delle Preghiere della chiesa d’Inghilterra, è totalmen-te dualistica: «Poiché è piaciuto al Dio onnipotente, nella sua grandemisericordia, di prendere con sé l’anima del nostro caro fratello che ciha lasciato, noi, adesso, affidiamo il suo corpo alla terra».15

Una frase, in un’altra preghiera dello stesso servizio funebre, rive-la un chiaro apprezzamento dualistico: «Le anime dei fedeli, dopo esse-re state salvate dal peso della carne, sono nella gioia e nella felicità».

La nozione platonica della liberazione dell’anima, prigione delcorpo, è chiaramente espressa nei versi del poeta John Donne:

«Come i corpi nella tomba scendono, dalla tomba le anime si sollevano».16

Molti inni sono permeati di pensieri dualistici sottilmente travesti-ti. In essi viene spesso chiesto di vedere questa vita presente come un

15 Citato da D.R.G. OWEN, Body and Soul. A Study on the Christian View of Man,Philadelphia, 1957, p. 28.16 Dal poema di John Donne, The Anniversary.

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«gravoso pellegrinaggio» e di cercare eventualmente rifugio in cielo,«su, di sopra, in alto».

Esempi di inni che manifestino ostilità verso questa vita terrena,l’evasione religiosa e l’essere di un altro mondo, possono essere trova-ti facilmente negli innari della maggior parte delle denominazioni cri-stiane. Alcuni inni ritraggono questa terra come una prigione dallaquale il credente viene liberato per ascendere alla casa celeste. «Lacasa di mio Padre è costruita in alto,/ lontana, sopra il cielo stellato;/quando, liberato da questa prigionia terrena,/ quella residenza celestesarà mia». Altri inni descrivono il cristiano come uno straniero che nonvede l’ora di lasciare questo mondo: «Qui in questo paese così scuro etriste,/ per molto ho vagato abbandonato e stanco». Oppure «Son stra-niero in questa terra,/ sta la patria mia nel ciel!/ Questo mondo mi faguerra,/sta la patria mia nel ciel!».

I cristiani che credono alle parole di questi inni potrebbero, ungiorno, essere delusi scoprendo che la loro dimora eterna non è «soprail mondo... sul tavolato del cielo», ma qua sotto, su questa terra. Questoè il pianeta che Dio ha creato, redento e che alla fine restaurerà per l’e-terna dimora dei salvati. Le vaste implicazioni dottrinali e pratiche del-l’idea dualistica della natura umana possono aiutare il lettore a rico-noscere l’importanza di questo studio: non si tratta di una mera que-stione accademica, ma si indaga su un insegnamento biblico fonda-mentale che ha ripercussioni dirette e indirette su molte altre convin-zioni e pratiche cristiane.

3. Implicazioni dell’uomo biblicoDignità del corpo L’uomo, essere completo in cui il corpo e l’anima costituiscono un’uni-tà indissolubile, creato e redento da Dio, ha l’obbligo di vedere la digni-tà anche negli aspetti fisici della vita oltre che in quelli spirituali.

Si onora Dio non soltanto con la mente, ma anche con il corpo,perché il nostro corpo è «il tempio dello Spirito Santo» (1 Cor 6:19). LaScrittura ci esorta a presentare i nostri corpi come «sacrificio vivente»(Rm 12:1). Questo significa che non solo la mente agisce sul corpo, mache anche il corpo può influenzare i nostri pensieri. L’ecologia dellapersona non riguarda solo i pensieri negativi, ma anche le abitudiniquotidiane e lo stile di vita (droghe, alcol, tabacco possono avvelenarenon solo i nostri corpi ma anche i pensieri e le relazioni).

Henlee H. Barnette nota che «quello che le persone sono disposte

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a fare agli altri, per gli altri, con gli altri e al proprio ambiente, dipen-de in buona misura da quello che pensano di Dio, della natura, di sestessi e del destino».17

La persona intera Il concetto dell’uomo secondo la Bibbia incoraggia tutti ad avere rispet-to per la persona intera. Nella predicazione, nell’insegnamento e nellamissione la chiesa deve rispondere non solo alle esigenze spiritualidell’anima, ma anche a quelle fisiche. È compito della chiesa salva-guardare il creato e rispettare la persona, in modo che ogni credentepossa ricercare la salute fisica, emotiva e spirituale.

Nella missione evangelistica la chiesa non si occuperà solo delle«anime», ma anche delle condizioni di vita, della prevenzione, dellasalute, dell’alimentazione e dell’educazione. Lo scopo dovrebbe esserequello di servire al meglio il mondo, non di evitarlo, chiudendosi inuno spazio sacro. I problemi della giustizia sociale, della guerra, delrazzismo, della povertà e dello squilibrio economico riguardano tutti icredenti perché essi credono che Dio operi per restaurare l’uomo e ilmondo intero. L’educazione cristiana dovrebbe promuovere lo svilup-po della persona nella sua completezza.

La formazione scolastica dovrebbe mirare non solo allo sviluppointellettivo, ma anche a quello fisico e spirituale. Un buon programmadi educazione fisica dovrebbe essere considerato importante quantoquelli accademici e religiosi. I genitori e gli educatori dovrebbero for-nire le nozioni basilari per acquisire buone abitudini alimentari, perprendersi cura del proprio corpo e per svolgere un programma di eser-cizi fisici regolari.

La visione biblica della persona ha anche implicazioni di caratteremedico. La scienza medica ha recentemente sviluppato quella che ènota come «medicina integrata». Professionisti «integrali» della salute«enfatizzano la necessità di curare l’intera persona, inclusa la condi-zione fisica, la nutrizione, lo stato emotivo, lo stato spirituale, i valoridello stile di vita e dell’ambiente».18

Nel 1975, durante la prolusione accademica alla facoltà di medici-na dell’università John Hopkins, il dott. Jerome D. Frank disse ai suoiallievi: «Qualsiasi trattamento di una malattia che non inglobi anche lo

17 H.H. BARNETTE, The Church and the Ecological Crisis, New York, 1972, p. 65. 18 Encyclopedia Americana, 1983 ed., s. v. «Holistic Medicine», p. 294.

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Introduzione

spirito umano, è grandemente insufficiente».19 Il mantenimento dellasalute fisica e la sua eventuale guarigione in caso di malattia, dovran-no sempre coinvolgere l’intera persona.

La redenzione del cosmoL’uomo biblico presuppone anche un aspetto cosmico della redenzioneche racchiude il corpo, l’anima, il mondo materiale e spirituale. Laseparazione tra il corpo e l’anima o lo spirito hanno spesso portato alladivisione tra il regno della creazione e il regno della redenzione.Quest’ultima ha privilegiato in larga misura, sia nel cattolicesimo sianel protestantesimo, la salvezza delle singole anime a scapito delladimensione fisica e cosmica della redenzione.

I santi sono spesso ritratti come pellegrini che vivono sulla terrama distaccati dal mondo e le cui anime, alla morte, lasciano immedia-tamente i loro corpi materiali per ascendere a un luogo astratto chia-mato «cielo» o «paradiso». Questo concetto riflette il dualismo classico,ma non tiene conto del pensiero biblico circa il creato.

Se, come abbiamo visto, il dualismo tradizionale ha prodotto di-sprezzo verso il corpo e il mondo naturale, se i credenti continuano acantare «son straniero in questa terra,/ sta la patria mia nel ciel»,creando una sorta di separazione tra il mondo dello spirito e quellofisico, nel leggere i salmi non troviamo alcun disprezzo per la terra.

Nel salterio ebraico si cantavano, e ancora si leggono, le lodi alSignore per le sue opere magnifiche.

Davide dice: «Io ti loderò, perché sono stato creato in modo stu-pendo. Meravigliose sono le tue opere, e l’anima mia lo sa molto bene»(Sal 139:14). Il salmista loda Dio per il suo corpo meraviglioso, un fattosaputo molto bene dalla sua anima (la sua mente). Questo è un buonesempio del pensiero unitario, dove il corpo e l’anima fanno parte dellameravigliosa creazione di Dio. Nel Salmo 92, il salmista invita a lodareDio con strumenti musicali, dicendo: «Poiché m’hai rallegrato con letue meraviglie, o SIGNORE; io canto di gioia per le opere delle tue mani.Come sono grandi le tue opere, o SIGNORE! Come sono profondi i tuoi

19 Cited by N. COUSINS, Anatomy of an Illness, New York, 1979, p. 133. Consideriamodegno di nota, tra i vari libri che parlano della medicina olistica, i seguenti: D. ALLEN

e altri., Whole Person Medicine, Downers Grove, Illinois, 1980; E. GAEDWAG, ed., InnerBalance: The Power of Holistic Healing, Englewood Cliffs, NJ, 1979; M. WALKER, TotalHealth: The Holistic Alternative to Traditional Medicine, New York, 1979; J. LA PATRA,Healing the Coming Revolution in Holistic Medicine, New York, 1978.

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Il dibattito sulla natura e il destino dell’uomo

pensieri!» (Sal 92:4,5). L’allegrezza del salmista per il suo corpo mera-viglioso e per la magnificenza della creazione è basata sulla sua con-cezione unitaria del mondo, creato come parte integrante dell’interaopera della creazione e della redenzione.

Realismo biblicoL’insegnamento biblico circa la natura umana si ripercuote anche sulnostro modo di vedere il mondo futuro. Nella sesta parte, vedremo inche modo la Bibbia descrive il mondo avvenire, non come un paradisoetereo dove le anime glorificate trascorreranno l’eternità vestite dituniche bianche, cantando, suonando arpe, pregando, inseguendo nubie bevendo latte di ambrosia.

La Bibbia, al contrario, parla di santi risuscitati che abitano su que-sto pianeta purificato, trasformato e perfezionato con la venuta delSignore (cfr. 2 Pt 3:11,13; Rm 8:19,25; Ap 21:1). I «nuovi cieli e la nuovaterra» (Is 65:17) non sono affatto un ritiro spirituale remoto fra spazisiderali non meglio definiti, ma indicano il presente cielo e la terraodierna riportati alla loro perfezione originale.

I credenti entrano nella nuova terra non come anime disincarna-te, ma come persone risuscitate (cfr. Ap 20:4; Gv 5:28,29; 1 Ts 4:14,17).Sebbene nulla di impuro entrerà nella nuova Gerusalemme, vienedetto che «i re della terra porteranno la loro gloria [alla luce]... e por-teranno a lei la gloria e l’onore delle nazioni» (Ap 21:24,26). Questi ver-setti suggeriscono che tutto quello che ha vero valore nell’antico cieloe sulla vecchia terra, inclusi i successi dell’abilità inventiva, artistica eintellettuale dell’uomo, troveranno posto nell’ordine eterno. L’im-magine stessa di «città» trasmette l’idea di abilità, vitalità, creatività erelazioni reali.

ConclusioneIntorno all’uomo due grandi concetti si oppongono radicalmente: unoè il dualismo classico e l’altro l’unità psicosomatica biblica. Il dibattitoin corso sull’insegnamento biblico della natura umana ha mostratol’importanza fondamentale di questo argomento per l’insieme delledottrine e delle pratiche cristiane. È imperativo, perciò, esaminare conumiltà quello che la Bibbia insegna intorno all’uomo. Nella prima enella seconda parte esamineremo i termini relativi alla persona umanautilizzati nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Dalla terza alla sestaparte vedremo il destino dell’uomo.

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I PARTE

LA NATURA UMANA

NELL’ANTICO TESTAMENTO

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Capitolo 1

La creazione dell’uomo

La domanda posta dal salmista «che cos’è l’uomo, perché te ne ricor-di?» (Sal 8:4) è una delle domande fondamentali su cui ognuno puòriflettere. È fondamentale in quanto, dalla risposta che si dà, si mani-festa il modo in cui l’essere umano vede se stesso, questo mondo, laredenzione e il destino finale.

In nessun’altra epoca si è mai saputo così tanto e così tante cosea proposito della natura umana, eppure si conosce molto poco su chirealmente sia l’uomo. Avendo perso la consapevolezza di Dio, moltepersone sono principalmente ed esclusivamente interessate alla loroesistenza presente. La diminuzione della conoscenza di Dio crea inmolte persone incertezza circa il senso della vita, perché è solamentein riferimento a Dio e alla sua rivelazione che la natura e il destinodella vita umana possono essere veramente capiti. La questione intor-no alla natura umana è stata una costante preoccupazione nella storiadel pensiero occidentale.

Nell’introduzione abbiamo visto come, nella storia del pensiero cri-stiano, la maggior parte degli studiosi abbia definito l’essere umano apartire da un presupposto dualistico, cioè l’uomo avrebbe in sé un’ani-ma immateriale e immortale che sopravvive alla morte del corpo.

Dai tempi dell’illuminismo (movimento filosofico e letterario delXVIII secolo), sono stati compiuti diversi tentativi volti a spiegare l’uo-mo come un ingranaggio meccanicistico, inserito in un gigantescomeccanismo cosmico. Gli esseri umani sarebbero intrappolati all’in-terno di un universo deterministico e il loro comportamento sarebbedefinito da forze impersonali e involontarie quali i fattori genetici, lesecrezioni chimiche, l’educazione, la crescita e il condizionamentodella società. La gente non avrebbe un’anima spirituale e immortale,ma solo un corpo mortale e materiale esso stesso condizionato da unmeccanicismo universale.

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Capitolo 1

Questa deprimente visione , che riduce gli esseri umani allo statodi una macchina o di un animale, nega l’evidenza biblica dell’uomocreato a immagine di Dio. L’uomo nega la sua origine divina e diventasempre più «simile a un animale». Per questo motivo, forse, in rispostaa un concetto così pessimistico, sorgono vari culti e ideologie pseudo-pagane (come il New Age) che deificano gli esseri umani.

Secondo questi movimenti, l’uomo non è né «simile a un animale»né «simile a Dio», egli stesso è dio e ha in sé risorse e poteri divini cheattendono d’esser liberati. Questo nuovo vangelo umanistico gode oggidi grande popolarità perché incoraggia le persone a ricercare una sal-vezza interiore in modo da liberare i poteri e le risorse latenti.

Ciò che la società sta sperimentando oggi è una fulminea oscilla-zione del pendolo verso i due estremi, andando da un concetto pura-mente materialistico della natura umana, a un altro, invece, mistico edeificato. Con queste premesse si è confrontati tra due scelte: o gliesseri umani sono macchine pre-programmate, oppure sono esseridivini con un potenziale illimitato. La risposta cristiana a questa sfidadeve essere cercata nelle Scritture che forniscono le basi per definirele convinzioni e le azioni.

Creazione, caduta e redenzioneNel cercare di capire l’insegnamento biblico circa la natura umana, èopportuno, in primo luogo, riconoscere che il significato della vitaumana è precisato da alcuni eventi: la creazione iniziale, la caduta o ilpeccato e il progetto divino della redenzione. Queste tre verità sonofondamentali per comprendere la visione biblica della natura e deldestino umano.

Cronologicamente, queste sono le prime tre verità che s’incontra-no nella Genesi dal primo al terzo capitolo, dove è introdotto il primoracconto della creazione, in seguito alla caduta e quindi della reden-zione. Tutto ciò che segue è un commento e uno sviluppo di questi treconcetti. Essi, in effetti, costituiscono il prisma attraverso cui l’esisten-za umana, con tutti i suoi problemi, è definita e vista.

Quando Gesù ha affrontato l’argomento del matrimonio e deldivorzio, si è rifatto, prima di tutto, a ciò che il matrimonio era alle ori-gini, alla creazione. In un secondo tempo, lo ha considerato attraversol’esperienza della caduta. Il peccato, inserito allora in quest’ottica, ciaiuta a capire le ragioni che hanno permesso la pratica del divorzio(Mt 19:1,8). Lo stesso apostolo Paolo si rifà alla creazione, alla caduta e

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La creazione dell’uomo

alla redenzione per spiegare le distinzioni dei ruoli tra uomini e donne(cfr. 1 Cor 2:3,12; 1 Tm 2:12,14), oltre che la loro uguaglianza in Cristo(cfr. Gal 3:28).

Quando si considera la questione della natura umana partendodalla prospettiva biblica della creazione, della caduta e della redenzio-ne, si vede immediatamente come la creazione descrive l’origine dellanatura umana, la caduta ne illustra la condizione presente e la reden-zione descrive le prospettive della restaurazione. Quest’ultima, poi, ègià compiuta nel presente anche se si realizzerà completamente nelfuturo. Così, per una completa definizione biblica della natura umana,è necessario prendere in considerazione che cosa accadde alla crea-zione, che cosa è diventato l’uomo dopo la caduta e che cosa diverrànel futuro, come risultato della redenzione.

«Facciamo l’uomo»Il termine «uomo», usato nelle Scritture, indica sia l’uomo sia la donna.La prima importante affermazione biblica si trova nella Genesi: «PoiDio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglian-za, e abbia dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sulbestiame e su tutta la terra, e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.Così Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; licreò maschio e femmina» (Gn 1:26,27).

Questo primo racconto della creazione dell’uomo assicura che lavita non ebbe inizio attraverso il concorso di forze naturali fortuite o aseguito di una mutazione casuale nel mondo animale, ma come risul-tato di un atto creativo e personale di Dio. Solo dopo aver chiamatoall’esistenza la terra, la vegetazione e gli animali, il Signore annunciala creazione dell’uomo. L’essere umano viene così a essere il puntofocale della creazione di Dio. L’impressione che si coglie dal raccontodivino della creazione dell’uomo è l’affermazione di Dio che si è spin-to verso qualcosa di diverso e di particolare.

Alla fine di ogni atto creativo del mondo (cfr. Gn 1:4,10,12,18,21,25)Dio si è fermato a contemplare la propria opera per definirla «buona» .Allora Dio si dispose a creare un essere che potesse avere la signoriasulla sua creazione: un essere con cui poter camminare e parlare.L’avverbio «allora», all’inizio del versetto 26 suggerisce l’idea che lacreazione dell’uomo costituì qualcosa di particolare. Tutti i precedentiatti creativi di Dio sono introdotti come una concatenazione progressi-va collegata insieme dalla congiunzione «e» (cfr. Gn 1:3,6,9,14,20,24).

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Capitolo 1

Quando però l’ordine cosmico della creazione giunse al suo apice e laterra fu pronta a sostenere la vita umana, allora il Signore pronunciòla sua intenzione di creare l’uomo. «Allora Dio disse: “Facciamo l’uo-mo”» (Gn 1:26). Subito dopo la creazione dell’uomo, Dio commentò chel’intero creato era «molto buono» (Gn 1:31).

Un’azione particolareQuesta dichiarazione divina e assolutamente originale suggerisce dueverità fondamentali:

1. l’uomo è una creazione particolare di Dio la cui vita dipende dalui e continua solo grazie alla sua misericordia. Questo senso di conti-nua, umana dipendenza dall’Altissimo, è fondamentale per la com-prensione biblica sulla natura umana. Dio è Creatore e gli esseri umanisono creature che dipendono da lui sia per l’origine sia per il prose-guimento della loro esistenza.

2. l’uomo è distinto da Dio. Gli esseri umani hanno un inizio tem-porale, mentre Dio è eterno. Il Signore non è un uomo che dovrà mori-re. Le Scritture evidenziano il contrasto tra gli attributi infiniti di Diocome Creatore e quelli limitati e finiti relativi all’uomo come creatura.

Questa è una considerazione importante da tenere presente quan-do si considera l’insegnamento biblico della natura umana. Tutta larivelazione divina presenta gli esseri umani come creature dipenden-ti, ma distinte da Dio (cfr. Is 45:11; 57:15; Gb 10:8,10).

Eppure, nonostante l’enfasi sulla dipendenza dell’uomo qualecreatura di Dio, questi rimane in una posizione di relazione del tuttoparticolare con il Creatore. «Il carattere distintivo della sua umanitànon solo lo separa dalle altre creature di Dio, ma lo consacra anche alservizio amorevole e grato verso il proprio Creatore».20

L’immagine di DioLa caratteristica distintiva della relazione dell’uomo con Dio è conte-nuta nell’espressione: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, conformealla nostra somiglianza» (Gn 1:26; cfr. 5:1,3; 9:6). Nella storia questaespressione è stata commentata in diversi modi.21

Alcuni ritengono che l’immagine sia la somiglianza fisica tra Dio e

20 P.E. HUGHES, Hope for a Despairing World, Grand Rapids, 1997, p. 50.21 Per maggiori dettagli circa le varie interpretazioni dell’immagine di Dio si può con-sultare H.D. MCDONALD, The Christian View of Man, Westchester, Illinois, 1981, pp. 33-41. In italiano B. MONDIN, Antropologia teologica, Edizioni Paoline, Alba, 1977 pp. 81-123.

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La creazione dell’uomo

l’uomo,22 ma questa interpretazione presuppone che Dio abbia unanatura corporea simile a quella degli esseri umani. Quest’idea contra-sta con l’affermazione di Cristo che «Dio è spirito» (Gv 4:24) e quindinon legato allo spazio o alla materia come noi. Inoltre, i termini bibli-ci legati all’aspetto fisico della natura umana, corpo (basar) e carne(sarx), non sono mai applicati a Dio.

Altri pensano che l’immagine di Dio consista nell’aspetto nonmateriale della natura umana, cioè la sua anima spirituale. R. Laird-Harris così afferma: «Solamente l’uomo nel mondo è un essere spiri-tuale, morale e razionale. Ha un’anima datagli da Dio e, di conseguen-za, essendo creata all’immagine di Dio, non è soggetta ai limiti deltempo e dello spazio».23

La stessa idea è difesa da Calvino: «Non può esser messo in dubbioche la sede propria dell’immagine sia l’anima», sebbene aggiunga che«non c’è alcuna parte nell’uomo, neanche nel suo corpo, che non siaadornata da qualche raggio della sua gloria».24

Questo modo di vedere la natura umana presuppone il dualismocorpo e anima che, però, il racconto della Genesi non ammette. L’uomonon ha ricevuto un’anima da Dio; è stato fatto anima vivente. Inoltre,nella Genesi si afferma che anche gli animali sono diventati «animeviventi», pur non essendo stati creati a immagine di Dio.

Alcuni vedono l’immagine di Dio nella polarizzazione sessuale,Dio li creò maschio e femmina.25

Quest’interpretazione si basa principalmente sulla prossimitàdelle espressioni: «Lo creò all’immagine di Dio» e «li creò maschio efemmina» (Gn 1:27). È fuor di dubbio che permane una verità teologi-ca nella nozione che l’immagine di Dio sia riflessa nell’uguaglianzadella relazione maschio-femmina, ma il problema con quest’interpre-

22 Per esempio, C. RYDER SMITH afferma che i termini ebraici e l’equivalente in greco sug-geriscano una somiglianza fisica tra Dio e l’uomo (cfr. The Bible Doctrine of Man,London, 1951, pp. 29,30). Mentre H. GUNKEL fa riferimento al modo antropomorfico concui l’Antico Testamento descrive Dio (cfr. The Legend of Genesis, Chicago, 1901, pp. 8-10).23 R. LAIRD-HARRIS, Man-God’s Eternal Creation: A Study of Old Testament Culture,Chicago, 1971, p. 24.24 J. CALVIN, Istituzione della religione cristiana (a cura di G. Tourn), Torino, Utet,1971, 1, XV, 3, London, 1949, Vol. 1, pp. 294,295.25 Il pensiero espresso da P. Jewett, seguace di K. Barth riguardo all’immagine di Dionell’uomo è polarizzato sull’espressione maschio-femmina. Egli dichiara: «Genesi1:27b (“li creò maschio e femmina”) è una spiegazione di 1:27a (“Dio creò l’uomo asua immagine”)» Man: Male and Female, Grand Rapids, 1975, p. 33.

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Capitolo 1

tazione è che afferma troppo e, allo stesso tempo, troppo poco perchériduce l’immagine di Dio esclusivamente all’uguaglianza dei due sessi.

L’interpretazione dell’immagine di Dio nella polarizzazione ses-suale ha portato alcuni studiosi a ipotizzare Dio come un essere andro-gino, contemporaneamente maschio e femmina. Questo concetto èestraneo alla Bibbia dal momento che Dio non ha bisogno di una con-troparte femminile per completare la sua identità. L’agire di Dio qual-che volta è paragonato a quello di una madre compassionevole (Is49:15), ma la persona di Dio è particolarmente rivelata, in Gesù Cristo,quale Padre nostro.

Capacità di riflettere DioSecondo noi, l’immagine di Dio non può risolversi né nella polarizza-zione sessuale né nell’anima immortale, ma piuttosto essa è collegataalla capacità dell’uomo, su un livello limitato, di essere e agire in rap-porto a ciò che Dio è e opera, su un livello illimitato. Il racconto dellacreazione sembra indicare che, mentre il sole domina il giorno, la lunala notte e i pesci il mare, l’umanità rappresenti Dio per il dominio cheesercita su tutti questi regni (Gn 1:28,30).

Nel Nuovo Testamento, l’immagine di Dio nell’umanità non è maiassociata alla comunione maschio-femmina né alla somiglianza fisicao all’anima immateriale e spirituale, ma piuttosto alla capacità moralee razionale: «Vi siete rivestiti del nuovo, che si va rinnovando in cono-scenza a immagine di colui che l’ha creato» (Col 3:10; Ef 4:24).

Per lo stesso motivo, la conformità all’immagine di Cristo (cfr. Rm 8:29;1 Cor 15:49) è generalmente percepita in termini di giustizia e santità.Nessuna di queste qualità è posseduta dagli animali. Ciò che distinguel’essere umano dagli animali sta nel fatto che la natura umana ha in sédelle possibilità divine. Per il fatto che siamo stati creati all’immaginedi Dio, siamo in grado di rifletterne il carattere. Essere creati all’im-magine di Dio significa, inoltre, che l’essere umano debba vedere sestesso come un individuo rivestito di significato, potenzialità e respon-sabilità. Significa che l’uomo è stato creato per riflettere Dio nellamente e nelle azioni. Egli può compiere, a un livello limitato, ciò cheDio opera a un livello illimitato.

La Bibbia non menziona mai l’immortalità in relazione all’imma-gine di Dio nell’uomo. L’albero della vita rappresenta l’immortalitànella comunione con il Creatore. A seguito del peccato, Adamo ed Evafurono cacciati dal giardino, privati così dell’accesso alla fonte di vita

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continua alla presenza di Dio. Perché l’immagine di Dio dovrebbeessere associata esclusivamente all’immortalità e non invece ancheall’onniscienza, all’onnipotenza o all’onnipresenza? Nessuno di questialtri attributi divini è stato ascritto all’uomo quale somiglianza all’im-magine di Dio, nemmeno prima della caduta. Nella Scrittura, nullasuggerisce che l’uomo rappresenti Dio e che possieda attributi divini,come l’immortalità. Non esiste nessuna ragione valida per privilegiarel’immortalità quale attributo divino sottinteso dalla frase «immagine diDio». Al contrario, le Scritture lo negano.

La «persona vivente»La seconda importante affermazione biblica per capire la natura umanasi trova in Genesi 2:7. Non deve sorprendere che questo testo costitui-sca il fondamento per la riflessione concernente la natura umana. Essoè, dopo tutto, l’unico racconto biblico che informi su come Dio abbiacreato l’uomo. Il testo dice: «E il Signore Iddio formò l’uomo della pol-vere della terra, e gli alitò nelle nari un fiato vitale; e l’uomo fu fattoanima vivente» (Diodati). La nuova Riveduta molto più correttamentetraduce: «Dio il SIGNORE formò l’uomo dalla polvere della terra, gli sof-fiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un essere vivente».

Storicamente, questo testo è stato letto attraverso le lenti del dua-lismo classico. È stato dato per scontato che l’alito di vita che Dio hasoffiato nelle narici dell’uomo fosse un’anima immateriale e immorta-le immessa da Dio nel corpo materiale. Alla luce di questa interpreta-zione, si sostiene che come la vita terrena ebbe inizio con l’innesto diun’anima immortale in un corpo fisico, così la fine avverrà quando l’a-nima lascerà il corpo. Genesi 2:7 è stato storicamente interpretato allaluce del dualismo tradizionale corpo-anima. Ciò che ha portato a que-sta errata e mistificante interpretazione va ricercato nel fatto che laparola ebraica nefesh, tradotta «anima» in Genesi 2:7, è stata intesasecondo la definizione tratta dal dizionario della lingua italiana:«Principio immateriale della vita dell’uomo contrapposta al corpo e tra-dizionalmente ritenuta immortale o addirittura partecipe del divino» o,ancora: «Principio spirituale incarnato in esseri umani».26

Questa definizione riflette la concezione platonica dell’anima

26 G. DEVOTO E G.C. OLI, Nuovo vocabolario illustrato della lingua italiana,Selezione dal Reader’s Digest, vol. 1, Milano, 1987 p. 139. Webster’s New CollegiateDictionary, 1974, voce: «Soul».

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Capitolo 1

come essenza immateriale e immortale aggiunta al corpo, benché nonne faccia parte.

Purtroppo per molti questo presupposto costituisce la chiave di let-tura dell’Antico Testamento e si comprende nefesh alla luce del duali-smo platonico anziché del concetto biblico dell’uomo.

Come dice Claude Tresmontant: «Applicando all’ebraico nefesh(anima) le caratteristiche della psyche (anima) platonica, ... facciamo sìche il vero significato di nefesh (anima) ci sfugga e, inoltre, rimaniamocon innumerevoli falsi problemi».27

Coloro che interpretano le caratteristiche di nefesh nell’AnticoTestamento (che nella versione inglese King James è tradotto «anima»ben 472 volte), partendo dal presupposto dualistico, avranno grandedifficoltà a capire il concetto biblico unitario della natura umana,secondo il quale, corpo e anima costituiscono una manifestazione dellastessa persona, vista da prospettive diverse.

Queste persone, ancora, avranno difficoltà ad accettare il signifi-cato biblico dell’anima intesa come principio vitale per la vita umana eanimale. Inoltre, sarà per loro difficile spiegare quei brani che parlanodel cadavere come di un’anima (nefesh) morta (cfr. Lev 19:28; 21:1,11;22:4; Nm 5:2; 6:6,11; 9:6,7,10; 19:11,13; Ag 2:13). Per loro sarà inconce-pibile che un’anima immortale possa morire con il corpo.

Il significato di «essere vivente»La tesi comune che sostiene che l’anima umana sia immortale ha con-dotto molti a interpretare la frase «l’uomo divenne un’anima vivente»(Gn 2:7) con «l’uomo ottenne un’anima vivente». Questa interpretazio-ne è stata messa in discussione da numerosi studiosi consapevoli dellaconfusione nel saper cogliere la differenza tra la concezione greco-dualistica e quella biblico-unitaria della natura umana.

Audrey Johnson, per esempio, ritiene che l’anima della Genesiindichi l’intero uomo, con una particolare sottolineatura alla suacoscienza e vitalità.28

Johannes Pedersen, parlando della creazione dell’uomo nel suostudio ormai classico, Israele, scrive: «La base della sua essenza era la

27 C. TRESMONTANT, A Study in Hebrew Thought, New York, 1960, p. 94. È il migliorestudio per comprendere la differenza tra il pensiero ebraico e quello greco. Titolooriginale Essai sur la pensée hébraïque, Paris, Cerf, 1962, p. 97.28 A. JOHNSON, The Vitality of the Individual in the Thought of Ancient Israel, Cardiff,Wales, 1964, p. 19.

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fragile sostanza corporea, ma, attraverso l’alito di Dio, fu trasformata edivenne nefesh, un’anima. Non è detto che l’uomo sia stato fornito dinefesh, e così la relazione tra il corpo e l’anima è abbastanza diversa daquella che noi percepiamo. Così com’è, l’uomo nella sua essenza tota-le, è un’anima».29

Pedersen dice ancora che «nell’Antico Testamento siamo sempreconfrontati con il fatto che l’uomo, in quanto tale, sia un’anima.Abraamo partì per Canaan con le sue proprietà e con tutte le anime cheaveva ottenuto (Gn 12:5) e, quando Abraamo prese il bottino nella suaspedizione bellica contro i re, il re di Sodoma lo esortò a restituire leanime e a tenere il bottino (Gn 14:21). Settanta anime della casa diGiacobbe scesero in Egitto (Gn 46:27; Es 1:5). Tutte le volte che si fa uncensimento si pone la domanda: «Quante anime ci sono? In questi, comein altri numerosi luoghi, potremmo sostituire persone con anime».30

Commentando Genesi 2:7, Hans Walter Wolff si chiede: «Che cosasignifica in questo caso nefesh (anima)? Certamente non anima nelsenso tradizionale dualistico. Nefesh dev’essere visto insieme con tuttala forma dell’uomo, e specialmente con il suo alito; inoltre, l’uomo nonha nefesh (anima), egli stesso è nefesh (anima), e vive come nefesh(anima)».31

Il fatto che l’anima nella Bibbia rappresenti l’intera persona viven-te è riconosciuto persino dallo studioso cattolico Dom Wulstan Morkche si esprime con questi termini: «È la nefesh che dà vita a basar(carne), ma non facendone una nuova sostanza distinta. Adamo non hanefesh; egli è nefesh, come è basar. Il corpo, lungi dall’esser distinto dalprincipio che lo anima, è la stessa nefesh visibile».32

Secondo una prospettiva biblica, il corpo e l’anima non sono duesostanze diverse (uno mortale e l’altra immortale) che abitano insiemedentro un essere umano, ma due caratteristiche della stessa persona.Pedersen riassume questo punto con l’affermazione che è diventataproverbiale: «Il corpo è l’anima nella sua forma esterna».33

Lo stesso concetto è espresso da H. Wheeler Robinson in un’affer-

29 J. PEDERSEN, Israel: Its Life and Culture, London, 1926, Vol. 1, p. 99.30 Ibid., pp. 99,100.31 H.W. WOLFF, Antropologia dell’Antico Testamento, (trad. E. Buli), Brescia,Queriniana, 1975, p. 18.32 W. MORK, Linee di antropologia biblica, (trad. L. Bono), Fossano, ed. Esperienza,1971, p. 48. 33 J. PEDERSEN, Op. cit., p. 171.

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mazione molto famosa: «L’idea ebraica di personalità è quella di uncorpo animato, non di un anima incarnata come presso i greci».34

Ricapitolando, si può affermare che l’espressione «l’uomo divenneun’anima vivente (nefesh hayyah)» non significa che alla creazione ilsuo corpo fosse stato dotato di un’anima immortale, di un’entità sepa-rata e distinta dal corpo, piuttosto significa che, grazie al soffio divino,l’uomo divenne un essere vivente capace di respirare, né più né meno.Il cuore iniziò a battere, il sangue a circolare, il cervello a pensare etutti i segni vitali furono attivati. Semplicemente, «un’anima vivente»corrisponde a «un essere vivente».

Le implicazioni pratiche di questa definizione sono messe in evi-denza in modo chiaro da Dom Wulstan Mork: «Se l’uomo è nefesh, ciòvuol dire che è la sua nefesh che va a pranzo, che prende e mangia lasua bistecca. Quando vedo una persona non vedo solo il suo corpo, mala sua nefesh visibile, perché, stando a Genesi 2:7, l’uomo è questo: unanefesh vivente. Si dice che “gli occhi sono le finestre dell’anima”; eccouna autentica espressione dicotomica. Gli occhi, in quanto appartengo-no a una persona vivente sono in se stessi la rivelazione dell’anima».35

Anche gli animali sono «anime viventi»Il significato di «anima vivente» inteso come «essere vivente» è inco-raggiato anche dall’uso della stessa frase applicata, però, agli animali.Nelle nostre traduzion,i in genere l’espressione appare per la primavolta in Genesi 2:7, quando si descrive la creazione di Adamo. Si deve,però, prestare attenzione poiché non è qui l’unica volta che si trovanella Bibbia ebraica. È anche presente in Genesi 1:20,21,24,30. In tuttie quattro questi versi, «anima vivente» (nefesh hayyah) si riferisce aglianimali, ma la maggior parte dei traduttori ha scelto di tradurla con«creatura vivente». La stessa cosa è vera in molti altri passi dopoGenesi 2:7, dove è riferita agli animali come a «creature viventi» piut-tosto che come «anime viventi» (Gn 2:19; 9:10,12,15,16; Lv 11:46).

Perché i traduttori nella maggior parte delle versioni traducono lastessa frase ebraica nefesh hayyah come «anima vivente» quando siriferisce all’uomo e «creature viventi» quando si riferisce agli animali?La ragione è semplice. Sono condizionati dalla convinzione che gliesseri umani abbiano un’anima immateriale e immortale, mentre gli

34 H.W. ROBINSON, The Christian Doctrine of Man, Edinburg, 1952, p. 27. 35 W. MORK, Op. cit. pp. 48,49.

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animali non ce l’hanno. Di conseguenza, utilizzano la parola «anima»per l’uomo e «creatura» per l’animale nel tradurre la stessa parolaebraica nefesh. Norman Snaith trova questo «spiacevole» e dice: «Ènecessario riprendere severamente i traduttori della versione autoriz-zata, perché hanno mantenuto questa ingannevole differenza nella tra-duzione... La frase ebraica dovrebbe essere tradotta nello stesso modoin ambedue i casi. Agire diversamente, significa ingannare tutti coloroche non leggono l’ebraico. Non hanno nessuna scusa, non possonoessere difesi. La tendenza di leggere “anima immortale” nella parolaebraica nefesh e di tradurla in modo erroneo, è molto antica, e puòessere trovata nella Septuaginta...».36

Basil F. Atkinson, ex bibliotecario dell’Università di Cambridge,offre la stessa spiegazione: «I nostri traduttori (della versione autoriz-zata), hanno celato questo fatto, presumibilmente perché erano succu-bi delle nozioni teologiche correnti a proposito del significato dellaparola “anima”, e non hanno osato tradurla con una parola ebraicacorrispondente quando si riferiva agli animali, benché l’abbiano usataai margini dei versetti 20 e 30. In questi versetti si trova “creature chesi muovono” e “anima vivente” (v. 20); “ogni anima vivente” (nefesh)secondo la sua specie” (v. 24); “e a ogni animale della terra, a ogniuccello del cielo, e a tutto ciò che si muove sulla terra, che ha in séun’anima vivente (nefesh v. 30)”».37

L’uso del termine nefesh in questi versetti, con riferimento a tutti itipi di animali, mostra chiaramente come non possa essere considera-to un’anima immortale data all’uomo, ma un principio vitale o «il sof-fio di vita» dato agli esseri umani come agli animali. Entrambi sonocaratterizzati in modo da distinguersi dalle piante. La ragione per cuile piante non siano definite come anime è presumibilmente da ricer-care nel fatto che non hanno organi che permettano loro di respirare,di provare dolore o gioia, o di muoversi per procurarsi cibo. Ciò chedistingue l’anima umana da quella degli animali è da ricercarsi nelfatto che gli esseri umani sono stati creati all’immagine di Dio, e quin-di con delle possibilità divine in più rispetto agli animali.

Entrambi, l’uomo e l’animale, sono anime, questa è la verità cheaffiora. Come dice Basil F. Atkinson: «Essi (l’uomo e gli animali) non

36 N. SNAITH, «Justice and Immortality» in Scottish Journal of Theology 17/3, settem-bre 1964, pp. 312,313.37 B.F.C. ATKINSON, Life and Immortality, London, pp. 1,2.

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sono creature duplici con un corpo e un’anima che possa separarsi daesso e continuare a esistere. La loro anima è il loro tutto, vale a dire ilcorpo e le facoltà mentali. Si parla di loro come aventi anime, e cioèesseri coscienti, per distinguerli da oggetti inanimati che non hannovita. Nello stesso modo possiamo dire in inglese che un uomo o un ani-male sia un essere cosciente o abbia un essere conscio».38 Il termineanima è usato per entrambi, persone e animali, perché entrambi sonoesseri consapevoli. Entrambi condividono lo stesso principio vitale o «ilsoffio di vita».

Anima e sangueOltre ai brani già considerati di Genesi capitolo 1, ci sono altri dieciriferimenti nell’Antico Testamento nei quali la parola nefesh è applica-ta agli animali. Due di questi potranno aiutare a capire meglio il signi-ficato di «anima vivente» di Genesi 2:7. Questi brani rivestono un inte-resse particolare perché associano nefesh al sangue.

In Levitico 17:11, si legge: «Poiché la vita della carne è nel sangue».«Vita» è la traduzione dell’ebraico nefesh: «L’anima della carne è nelsangue». Nel verso 14 dello stesso capitolo, si legge: «Perché la vita diogni carne è il sangue; nel suo sangue sta la vita; perciò ho detto ai figlid’Israele: “Non mangerete il sangue di nessuna creatura, poiché la vitadi ogni creatura è il suo sangue”; chiunque ne mangerà sarà tolto via».La parola «vita» è sempre usata per tradurre l’ebraico nefesh. Così, siavrà: «Poiché il sangue è l’anima di ogni creatura; poiché l’anima diogni creatura è il suo sangue» (cfr. Dt 12:23). La frase «ogni creatura»suggerisce che il riferimento al sangue si applichi a entrambi: all’uomoe all’animale. Atkinson aggiunge: «Qui abbiamo un accostamentomolto importante riguardo all’essenza della natura umana: l’anima e ilsangue sono identici».39

È probabile che la ragione per cui l’anima sia tutt’uno con il san-gue è che l’energia della vita risiede in questo. Nel sistema sacrificale,il sangue espia il peccato grazie all’associazione con la vita. L’uccisionesacrificale di un animale era richiesta per far comprendere che unavita veniva immolata per espiare i peccati di un’altra nefesh.

Tory Hoff osserva: «La relazione ebraica tra la nefesh (vita) e il san-gue rivela che la nefesh (vita) comunica un aspetto “sacro” all’esisten-

38 B.F.C. ATKINSON, Op.cit., p. 2.39 Idem.

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za umana. Nefesh (vita) è un’opera di Dio (Gn 2:7), dipende dalle curedi Dio (Gb 12:10) e a lui appartiene (Ez 18:4,20).

Gli ebrei sapevano che era proibito mischiarsi o interferire con l’e-sistenza nefesh dal momento che era una realtà ricevuta dall’esterno.Agli ebrei era proibito mangiare carne che contenesse ancora sangueperché essa diveniva la stessa cosa con la nefesh (vita) e, dunque, que-st’atto era offensivo nei confronti di Dio. L’eguaglianza tra il sangue ela nefesh (vita) è così stretta che ingerire sangue equivaleva a commet-tere un assassinio. Ognuno sosteneva la propria nefesh (vita) con lanefesh (vita) di un altro».40

Questa associazione tra la nefesh degli animali e il sangue, ci hapermesso di chiarire meglio il significato di «anima vivente» (Gn 2:7)applicato ad Adamo. Questa espressione non significa che alla creazio-ne Dio abbia aggiunto al corpo umano un’anima immortale, ma sem-plicemente che l’uomo sia diventato una persona vivente mediantel’intervento di Dio, con il suo soffio vitale. Questa conclusione è con-fermata dal fatto che il termine nefesh viene utilizzato anche per glianimali e per il sangue. Il sangue, tra l’altro, era considerato la mani-festazione tangibile dell’energia vitale. Prima di proseguire lo studiodel significato di «anima» nell’Antico Testamento, è necessario com-prendere il significato del «soffio vitale» di Genesi 2:7.

Il soffio vitaleChe cos’è «l’alito (neshamah) vitale» che Dio ha soffiato nelle narici diAdamo? Alcuni concludono troppo frettolosamente che si tratti dell’a-nima immortale che Dio avrebbe aggiunto al corpo mortale di Adamo.Ma questa interpretazione contrasta con il significato e l’uso biblico di«alito vitale», perché in nessun punto della Bibbia esso è identificatocon il concetto di anima immortale.

Nella Scrittura, neshamah è la potenza creatrice di Dio. In Giobbe33:4 leggiamo: «Lo spirito (ruach) di Dio mi ha creato, e il soffio (nes-hamah) dell’Onnipotente mi dà la vita». Il parallelismo tra «lo Spirito diDio» e «il soffio dell’Onnipotente» suggerisce che le due espressionisiano interscambiabili perché entrambe si riferiscono al dono della vitaofferto da Dio alle sue creature.

Un altro chiaro esempio si trova in Isaia 42:5 «Così parla Dio, il

40 T. HOFF «Nefesh and the Fulfillment It Receives as Psyche» in Biblical View of Man:Some Readings, editori Arnold H. De Graaff and James H. Olthuis, Toronto, 1978, p. 103.

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SIGNORE, che ha creato i cieli e li ha spiegati… che dà il respiro (nesha-mah) al popolo che c’è sopra e lo spirito (ruach) a quelli che vi cam-minano». Qui, di nuovo, il parallelismo mostra che il respiro e lo spiri-to implicano lo stesso principio di vita che Dio offre alle sue creature.

L’immagine dell’alito vitale descrive, in modo affascinante, il donodi Dio per le sue creature, in quanto la respirazione costituisce il segnoessenziale della vita. Una persona che non respiri più è morta. Non devesorprendere, allora, che nella Scrittura lo spirito vivificante di Dio siaidentificato con l’«alito vitale». Per la mentalità ebraica, non speculativa,la vita ha una sua manifestazione concreta attraverso la respirazione.

Giobbe dice: «Finché avrò fiato (neshamah) e il soffio (ruach) diDio sarà nelle mie narici, le mie labbra, no, non diranno nulla d’ingiu-sto, la mia lingua non proferirà falsità» (27:3,4). Qui, il fiato dell’uomoe lo Spirito divino sono posti sullo stesso piano, perché l’atto di respi-rare è visto come la manifestazione della potenza sostenitrice delloSpirito di Dio.

Tuttavia pur in possesso dell’alito vitale non significa che l’uomoabbia in se stesso l’immortalità, perché la Bibbia afferma che allamorte «il soffio vitale» ritorna a Dio. La vita quindi viene da Dio, èsostenuta da lui e a lui ritorna. Descrivendo la morte, Giobbe dice: «Seegli (Dio) non si curasse che di sé stesso, se ritirasse a sé il suo spirito(ruach) e il suo soffio (neshamah), ogni carne perirebbe all’improvvisoe l’uomo ritornerebbe in polvere» (34:14,15).

La stessa verità è espressa nel libro del Qoelet: «Prima che la pol-vere torni alla terra com’era prima, e lo spirito torni a Dio che l’hadato» (Ec 12:9). In merito al diluvio si legge: «Perì ogni essere viventeche si moveva sulla terra: uccelli, bestiame, animali selvatici, rettili diogni sorta striscianti sulla terra e tutti gli uomini. Tutto quello che erasulla terra asciutta e aveva alito di vita (neshamah) nelle sue narici,morì» (Gn 7:21,22). La morte come assenza di «soffio vitale» dimostrache questo non è l’anima immortale che Dio avrebbe conferito alle suecreature, ma un dono di cui gli esseri viventi usufruiscono per la dura-ta della loro esistenza.

La relazione tra «alito vitale» e «anima vivente» diventa ancora piùevidente; Basil F. Atkinson così riassume il suo pensiero: «L’anima del-l’uomo è nel suo sangue e, in verità, il suo sangue è la sua anima.L’uomo è mantenuto in vita come «anima vivente» attraverso l’inala-zione dell’ossigeno dall’aria. La scienza medica, oggi, conosce moltecose in merito agli scambi che avvengono tra l’ossigeno e il sangue».41

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L’assenza di respirazione è la morte dell’anima, perché il sangue, in cuiè la vita cioè l’anima, non riceve più ossigeno per proseguire i proces-si vitali. Questo spiega perché la Bibbia faccia riferimento per ben tre-dici volte alla morte dell’uomo, come alla morte dell’anima (Lv 19:28;21:1,11; 22:4; Nm 5:2; 6:6,11; 9:6,7,10; 19:11,13; Ag 2:13).

ConclusioneDopo quanto abbiamo visto si può affermare che l’uomo divenneanima vivente alla creazione, non perché ricevette la scintilla divina diun’anima immortale e spirituale in un corpo materiale e mortale, maattraverso il principio vitale («alito di vita») donatogli da Dio stesso.Quel principio anima il corpo e attraverso la respirazione rivela in con-creto la presenza della vita.

41 B.F.C. ATKINSON, Op. cit., p. 17.

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Che cos’è l’anima?

Fin qui abbiamo esaminato la natura umana presentata nella Genesialla luce dell’espressione: l’uomo è stato creato «a immagine di Dio» edè diventato una «persona vivente». Come abbiamo visto, i due testi fon-damentali circa la creazione degli esseri umani non consentono un’in-terpretazione dualistica della natura umana; al contrario corpo,anima, alito vitale non sono entità separate, ma caratteristiche dellapersona vivente. Il corpo è l’essere tangibile; l’anima è l’individuovivente; l’alito di vita, lo spirito, è la persona in relazione con Dio. Perprovare la validità di questa ipotesi di partenza, si rende necessario l’e-same dei quattro termini chiave della natura umana: anima, corpo,cuore e spirito, nell’Antico Testamento.

Lo studio iniziale sul significato di nefesh nel contesto della crea-zione, ha mostrato come la parola sia usata per designare il principiovitale, presente tanto negli esseri umani quanto negli animali. A que-sto punto, è necessario esplorare l’uso più ampio di nefesh nell’AnticoTestamento che troviamo ben 754 volte ed è tradotto in 45 modi diver-si.42 Si porrà attenzione ai tre maggiori usi del termine nefesh: perso-na bisognosa, sede delle emozioni e della personalità.

Persona bisognosaIn Antropologia dell’Antico Testamento, uno studio analitico da tuttiriconosciuto come pregevole, Hans W. Wolff intitola il capitolo sull’a-nima «Nefesh l’uomo bisognoso».43 La ragione di nefesh come «uomobisognoso» diventa evidente quando si leggono i molti testi che illu-strano nefesh (anima) in situazioni ed esperienze di vita o di morte.

42 Cfr. B.F.C. ATKINSON, Op. cit., p. 3.43 H.W. WOLFF, Op. cit. , p. 10.

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Poiché Dio creò l’uomo che divenne «un’anima vivente», vale adire da lui sostenuta, gli ebrei, quando si trovavano in pericolo, sirivolgevano a Dio per ottenere la salvezza dell’anima, la loro vita.Davide pregò: «Liberami (nafeshi anima mia) dall’empio» (Sal 17:13).«Nella tua giustizia libera l’anima mia dalla tribolazione!» (Sal 143:11).Il Signore è degno di lode, «perché egli libera il povero (la nefesh delbisognoso) dalla mano dei malfattori!» (Ger 20:13).

Le persone temevano per le proprie anime (nefesh) (Gs 9:24)quando altri cercavano le loro anime (nefesh) (Es 4:19; 1 Sm 23:15).Dovevano fuggire per le loro anime (nefesh) (2 Re 7:7) o difendere leloro anime (nefesh) (Es 8:9); se non lo facevano, le loro anime (nefesh)sarebbero state totalmente distrutte (Gs 10:28,30,32,35,37,39). «L’animache pecca, morrà» (Ez 18:4,20). Rahab chiese ai due esploratori israe-liti di salvare la sua famiglia e «liberare le nostre anime (nefesh) dallamorte» (Gs 2:13). In questi casi, è evidente che l’anima era in pericoloe la vita dell’individuo aveva bisogno di essere liberata.

L’anima sperimentava il pericolo non solo per la presenza dinemici, ma anche per la mancanza di cibo. Lamentando lo stato diGerusalemme, Geremia dice: «Tutto il suo popolo sospira, cerca pane;dà le cose sue più preziose in cambio di cibo, per poter sopravvivere»(letteralmente «per alleviare l’anima») (Lam 1:11).

Gli israeliti mormoravano nel deserto perché non avevano più lacarne come in Egitto: «E ora siamo inariditi (la nostra anima è inaridi-ta); non c’è più nulla! I nostri occhi non vedono altro che questamanna» (Nm 11:6). Il digiuno aveva implicazioni per l’anima perchérifiutava il nutrimento di cui l’anima aveva bisogno. Nel giorno dell’e-spiazione, agli israeliti era richiesto di «affliggere le loro anime» (Lv16:29), digiunando. Si astenevano dal cibo per dimostrare che le loroanime dipendevano da Dio sia per il nutrimento fisico sia per la sal-vezza spirituale. Tory Hoff scrive: «Agli israeliti era chiesto di digiuna-re nel giorno dell’espiazione perché la loro vita doveva essere purifi-cata tramite lo spargimento di sangue (di una vita innocente) ed era laprovvidenza divina che sosteneva l’anima, nonostante il peccato».44

Il tema del pericolo e della liberazione associato all’anima(nefesh) permette di comprendere come l’anima fosse vista nell’AnticoTestamento. Non già come un componente immortale della naturaumana, ma come la condizione incerta e insicura della vita che, qual-

44 T. HOFF, Op. cit., p. 98.

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Che cos’è l’anima?

che volta, era minacciata di morte. Le situazioni che implicavanointenso pericolo e liberazione ricordavano agli israeliti che eranoanime bisognose (nefesh), esseri viventi la cui vita dipendeva costan-temente da Dio per protezione e liberazione.

Sede delle emozioniCome principio vitale, l’anima agisce come centro delle attività emo-tive. Il profeta Eliseo, parlando della Sunamita disse: «Lasciala stare,poiché l’anima (nefesh) sua è amareggiata» (2 Re 4:27). Davide gridòal Signore, cercando liberazione dai suoi nemici, dicendo: «Anche lamia anima (nefesh) è grandemente afflitta; ...ritorna, o Signore, liberal’anima (nefesh) mia» (Sal 6:3,4). Mentre le persone aspettavano laliberazione di Dio, la loro anima perdeva vitalità.

Tory Hoff nota che «siccome il salmista spesso scriveva della suaesperienza (di pericolo), i salmi includono frasi come “l’anima venivameno in loro” (Sal 107:5), “l’anima mia, dal dolore, si consuma inlacrime” (Sal 119:28), “l’anima mia vien meno nell’attesa della tua sal-vezza” (Sal 119:81), “l’anima mia langue e vien meno, sospirando icortili del Signore” (Sal 84:2), “l’anima loro vien meno per l’angoscia”(Sal 107:26). Giobbe chiede: “Fino a quando mi (anima mia) affligge-rete”? (19:2). Era anche l’anima che avrebbe aspettato la liberazione.“Solo in Dio trova riposo l’anima mia” (Sal 62:1). “Io aspetto il SIGNORE,l’anima mia lo aspetta, io spero nella sua parola” (Sal 130:5).L’israelita sapeva che ogni liberazione veniva da Dio, per questo la suaanima “cerca rifugio” in Dio (Sal 57:1) ed “è assetata” di lui (Sal 42:2;63:1). Una volta che l’intenso pericolo era passato e la precaria situa-zione superata, l’anima lodava Dio per la liberazione ricevuta. “Io mi(anima mia) glorierò nel Signore; gli umili l’udranno e si rallegreran-no” (Sal 34:2). “Allora l’anima mia esulterà nel SIGNORE e mi rallegre-rò della sua salvezza” (Sal 35:9)».45

Questi passi che parlano dell’anima come sede di emozioni, sonomal compresi da coloro che accettano il presupposto dell’anima comeentità immateriale legata al corpo e responsabile della vita emotiva eintellettuale dell’individuo. Il problema con quest’interpretazione è,come spiega Tory Hoff, che «l’anima è la sede dell’emozione non piùdi qualsiasi altro termine antropologico ebraico».46

45 Idem.46 Idem.

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Capitolo 2

In seguito si avrà modo di vedere che l’anima è soltanto uno deicentri emotivi perché il corpo, il cuore, le viscere e anche altre parti delcorpo hanno questa stessa funzione.

Hans Wolff giustamente osserva che il contenuto emotivo dell’ani-ma è l’individuo stesso o la persona e non un’entità indipendente. Eglicita, come esempio, i Salmi 42:5,11 e 43:5, dove si trova lo stesso ritor-nello di lamento e di esortazione: «Perché ti abbatti, anima mia? Perchéti agiti in me? Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora; egli è il mio sal-vatore e il mio Dio». «Qui», scrive H. Wolff, «nefesh (anima) costituisceil fulcro della vita bisognosa assetata di desideri».47 Nessuno di questibrani suggerisce che l’anima sia una parte immateriale della naturaumana, con una sua personalità e coscienza, capace di sopravviverealla morte. L’anima muore quando muore il corpo.

Sede della personalitàL’anima (nefesh) è vista nell’Antico Testamento non soltanto come lasede delle emozioni, ma anche come la sede della personalità. L’animaè la persona come individuo responsabile. In Michea 6:7 si legge:«Dovrò offrire il mio primogenito per la mia trasgressione, il fruttodelle mie viscere per il mio (mia nefesh) peccato?». La parola ebraicatradotta qui con «viscere» è beten, che significa viscere, seno. Il contra-sto non è assolutamente fra corpo e anima.

Nel commentare questo testo, Dom Wulstan Mork scrive: «Il sensodel versetto non è che l’anima sia la fonte umana del peccato e il corpoil suo strumento. La causa del peccato è piuttosto la nefesh, tutta la per-sona vivente, e pertanto in questo versetto la responsabilità del pecca-to è attribuita alla nefesh come persona».48

La stessa idea è proposta in parecchi altri testi che parlano del pec-cato e della colpa. «Se qualcuno (nefesh) commette peccato per erro-re...» (Lv 4:2). «Una persona (nefesh) pecca se… non dichiara ciò che havisto o ciò che sa. Porterà la propria colpa» (Lv 5:1). «Ma la persona(nefesh) che agisce con proposito deliberato… oltraggia il Signore;quella persona (nefesh) sarà eliminata dal mezzo del suo popolo» (Nm15:30). «Ecco, tutte le vite (nefesh) sono mie... chi (nefesh) pecca mori-rà» (Ez 18:4). In testi come questi, l’anima è la persona che pensa,vuole ed è responsabile della propria condotta. «La nefesh nel suo insie-

47 H.W. WOLFF, Op. cit., p. 25.48 W. MORK, Op. cit., p. 54.

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Che cos’è l’anima?

me è coinvolta nel mangiare, nel camminare, nell’aver sete, nell’ama-re, nel pensare, perché la mentalità ebraica non distingue, assegnan-dole a organi diversi, le varie attività umane. Ogni atto è tutta la nefeshin azione, pertanto tutta la persona».49 W. D. Stacey ha affermato: «Lanefesh soffre, patisce la fame e pensa, perché ciascuna di queste fun-zioni implica tutta la personalità e non esiste distinzione tra la sferaemotiva e quella fisica o intellettuale».50

Nell’Antico Testamento l’anima e il corpo sono due manifestazionidella stessa persona. L’anima include e presume il corpo. Mork conti-nua: «Gli antichi ebrei, infatti, non potevano nemmeno concepire l’unasenza l’altro. Non esiste per loro la dicotomia greca di anima e corpo,come due sostanze che si oppongono, ma esiste una unità, l’uomo, cheè basar per un aspetto e nefesh per un altro. Basar, dunque, è la realtàconcreta dell’esistenza umana, nefesh ne è la personalità».51

Anima e morteLa sopravvivenza dell’anima nell’Antico Testamento è legata allasopravvivenza del corpo, visto che il corpo è la manifestazione esternadell’anima. Questo spiega perché la morte di una persona è spessodescritta come la morte dell’anima. «Quando sopraggiunge la morte»scrive J. Pedersen «è l’anima che è privata di vita. La morte non puòcolpire il corpo o qualsiasi altra parte dell’anima senza colpire la tota-lità della persona. Per questo si dice “uccidere un’anima” o “colpireun’anima” (cfr. Nm 31:19; 35:15,30; Gs 20:3,9); si dice anche “colpireuno per quanto riguarda l’anima”, cioè colpirlo così che l’anima siauccisa (cfr. Gn 37:21; Dt 19:6,11; Ger 40:14,15). Non c’è nessun dubbioche è l’anima che muore, e tutte le teorie che tentano di negare questofatto sono false. È detto deliberatamente che l’anima muore (cfr. Gdc16:30; Nm 23:10), che è distrutta o consumata (cfr. Ez 22:25,27) e che sispegne (Gb 11:20)».52

I lettori della Bibbia potrebbero mettere in dubbio la validità del-l’affermazione di J. Pedersen che l’anima muore, perché la parola«anima» non appare nel testo da lui citato. In Numeri 35:15 si parladelle città rifugio dove trovava scampo «chiunque avesse ucciso qual-

49 W. MORK, Op. cit., p. 55.50 W.D. STACEY, The Pauline View of Man, London, 1956, p. 87, citato da Dom W. MorkOp. cit., p. 55.51 W. MORK, Op. cit., p. 55.52 J. PEDERSEN, Op. cit., p. 179.

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cuno (nefesh) involontariamente». Siccome la parola anima non appa-re nella maggior parte delle traduzioni, alcuni potrebbero concludereche il testo parli dell’uccisione del corpo e non di quella dell’anima. Laverità è che nefesh si trova nell’ebraico, ma i traduttori di solito scelgo-no di tradurla con «persona», presumibilmente perché credono che l’a-nima sia immortale e non possa essere uccisa. In certi casi, i tradutto-ri scambiano anima con pronomi personali.

I lettori di queste versioni non possono sapere in nessun modo checon il pronome si traduce il termine nefesh. Per esempio, uno dei testicitati da J. Pedersen è Deuteronomio 19:11 «Ma se un uomo odia il suoprossimo, gli tende insidie, lo assale, lo percuote in modo da causare lasua morte (lett. ferisce la nefesh mortalmente)…». Pedersen cita i testidella Bibbia ebraica e non le traduzioni. La sua affermazione, allora,che «l’anima muore», riflette accuratamente ciò che si afferma nel testoebraico. Inoltre, vi sono testi, persino nelle traduzioni, che parlanochiaramente della morte dell’anima. Per esempio, in Ezechiele 18:20 silegge: «L’anima che pecca, morrà» (cfr. anche Es 18:4).

La morte è vista nell’Antico Testamento come lo svuotamento del-l’anima dalla sua vitalità e forza. «Ha dato se stesso alla morte (lett. haversato la sua anima)» (Is 53:12). «Versare la propria anima» traducel’ebraico arah che significa «svuotare, scoprire, denudare». Questosignifica che il servo sofferente di Yahweh svuotò se stesso di tutta lavitalità dell’anima. Alla morte, l’anima non agisce più come principiovitale, ma riposa nella tomba. «I morti» scrive J. Pedersen «sono animeprive di forza. Perciò i morti sono chiamati “i deboli” (rephaim). “Orasei diventato debole”: con questo saluto viene ricevuto nel regno deimorti il defunto re dei babilonesi (Is 14:10). Il corpo morto è ancoraun’anima, ma senza vita. Ai Nazirei non era permesso contaminarsiavvicinandosi “a un corpo morto” (Nm 6:6), o, come dice il testo ebrai-co “l’anima di un morto”. Allo stesso modo, i sacerdoti non dovevanocontaminarsi avvicinandosi alle anime morte dei loro parenti (cfr. Lv21:1,11; Nm 5:2; 9:6,7,10)».53

Il destino dell’anima è legato al destino del corpo. La distruzionedel corpo è vista come la distruzione dell’anima. «Nella Bibbia», scriveEdmond Jacob, «nefesh si riferisce soltanto al cadavere prima della suadissoluzione finale e mentre conserva lineamenti distinguibili».54

53 Ibidem, p. 180.54 E. JACOB, «Nefesh» alla voce «Psyché», in G. KITTEL - G. FRIEDRICH, Grande Lessico delNuovo Testamento, Paideia, Brescia, 1988, vol. XV, col. 1197.

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Che cos’è l’anima?

Quando il corpo è distrutto e consumato al punto che i lineamenti nonsiano più riconoscibili, allora l’anima non esiste più, perché «il corpo èl’anima nella sua forma esterna».55 D’altra parte, quando il corpo èmesso a riposo nella tomba con i padri, anche l’anima riposa e giaceindisturbata (cfr. Gn 15:15; 25:8; Gdc 8:32; 1 Cr 29:28).

Il concetto veterotestamentario dell’anima che alla morte smettadi funzionare come principio vitale fa sorgere qualche interessantedomanda a proposito dell’affermazione di Gesù: «Non temete coloroche uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima» (Mt 10:28).Questo testo sembra suggerire che la morte del corpo non comportinecessariamente la morte dell’anima, ma lo vedremo meglio quandoesamineremo la natura dell’uomo nel Nuovo Testamento.

Separazione dell’animaOltre ai passi appena considerati e nei quali l’anima nefesh è associataalla morte, almeno due testi meritano una considerazione particolareperché parlano della separazione e del ritorno dell’anima. Il primo è inGenesi 35:18 che afferma che l’anima di Rachele «se ne andava» men-tre stava per morire; il secondo, è in 1 Re 17:21,22, che racconta dell’a-nima del figlio della vedova che ritorna in lui. Questi due testi sonousati per sostenere l’idea che alla morte l’anima abbandoni il corpo eritorni poi nel corpo alla risurrezione.

Nel suo libro La morte e la vita ultraterrena, Robert A. Morey citaquesti due testi per sostenere la sopravvivenza dell’anima dopo lamorte del corpo. Egli scrive: «Se gli autori della Scrittura non avesserocreduto che l’anima lasci il corpo alla morte e vi ritorni alla resurre-zione, non avrebbero usato questo tipo di fraseologia (separazione eritorno dell’anima). Il loro modo di parlare rivela, in effetti, che l’uomo,alla fine, sarebbe sopravvissuto alla morte del corpo».56

È possibile giungere a simili conclusioni partendo da questi duetesti? Esaminiamoli con attenzione! Nel descrivere il travaglio diRachele, Genesi 35:18 dice: «Mentre l’anima sua se ne andava, perchéstava morendo, chiamò il bimbo Ben-Oni; ma il padre lo chiamòBeniamino». Se si interpreta la frase «l’anima sua se ne andava» comese si trattasse dell’anima immortale di Rachele che stava per lasciare ilsuo corpo al momento della morte, questa risulterebbe contraria all’in-

55 J. PEDERSEN, Op. cit., p. 171.56 R.A. MOREY, Death and the Afterlife, Minneapolis, 1984, p. 49.

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segnamento di tutto l’Antico Testamento che dichiara che l’animamuore con la morte del corpo.

H.W. Wolff indica giustamente: «Vale la pena osservare che allanefesh (anima) non è mai dato il significato di un centro indistruttibiledell’essere in contrapposizione alla vita fisica, e che sia in grado divivere anche quando ne è separata. Quando è menzionata la “parten-za” (Gn 35:18) della nefesh da un uomo, o il suo “ritorno” (Lam 1:11),l’idea fondamentale è quella di una nozione concreta della cessazioneo della ripresa della respirazione».57

La frase «l’anima sua se ne andava» molto probabilmente significache «il suo respiro stava cessando», oppure che stava esalando il suoultimo respiro. È importante notare che il sostantivo «anima» derividalla stessa radice del verbo «respirare», «prendere fiato». Quando lapersona perde il soffio vitale diventa un’anima morta. Edmond Jacobcosì spiega: «La dipartita della nefesh è una metafora per la morte; unuomo morto è uno che ha cessato di respirare».58

Tory Hoff offre un commento simile: «Con l’immagine concretadella perdita del respiro, il testo ci dice che Rachele stava per morirementre nasceva Beniamino. Non era ancora morta nel senso modernodel termine, ma stava per entrare in coma prima di spegnersi comple-tamente. Stava perdendo la nefesh, vitalità sostenuta dal ruah (respiro),al punto che di lì a poco, avrebbe lasciato l’esistenza (nefesh)».59

Si può concludere che la dipartita dell’anima sia una metafora perindicare la morte, associata alla scomparsa dell’attività respiratoria.

Ritorno dell’animaNel racconto dell’episodio della risurrezione del figlio della vedova diSarepta grazie al profeta Elia, si parla del ritorno della nefesh. Il testodice: «Si distese quindi tre volte sul bambino e invocò il SIGNORE e disse:“SIGNORE, mio Dio, ti prego, torni la vita di questo bambino in lui!”. IlSIGNORE esaudì la voce di Elia: la vita del bambino tornò in lui, ed eglivisse» (1 Re 17:21,22).

A prima vista, si deve ammettere che questo testo potrebbe far cre-dere che alla morte l’anima lasci il corpo e che possa essere richiama-ta dalla preghiera di Elia. Questa è la conclusione cui giungono i soste-nitori dell’immortalità dell’anima.

57 H.W. WOLFF, Op. cit. , p. 20.58 E. JACOB, Art. cit., col. 1191.59 T. HOFF, Op. cit. , p. 101.

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Che cos’è l’anima?

Tre importanti ragioni portano a rifiutare quest’interpretazione. Laprima è che, né in questo brano, né in nessun’altra parte della Bibbia,si trova un’indicazione circa l’immortalità dell’anima umana.

La seconda è che la morte del ragazzo (v. 17) è descritta come lacessazione del respiro: «Non gli rimase più soffio di vita». Questo sug-gerisce che, come la cessazione del respiro causava la dipartita dell’a-nima nefesh, così la ripresa del respiro richiamava il ritorno dell’anima.Edmond Jacob così scrive: «In 1 Re 17:17, la mancanza di neshamah(respiro) causa la dipartita della nefesh, che ritorna quando il profetadà di nuovo fiato (aria) al ragazzo, poiché soltanto la nefesh fa di unacreatura vivente un organismo vivente».60 Il respiro è la manifestazio-ne esterna dell’anima, l’arresto o la ripresa della respirazione determi-na la separazione o il ritorno dell’anima.

La terza è che il versetto 21, tradotto letteralmente, dice: «Fa chel’anima di questo bambino entri di nuovo nelle sue parti interne».Questa lettura permette una costruzione diversa del brano. Ciò chetorna nelle sue parti interne è il respiro. L’anima, come tale, non è maiassociata a qualche organo «interno» del corpo. Il ritorno del respironelle parti interne comporta un recupero della vita per tutto il corpo,oppure si potrebbe dire che la persona torni a essere di nuovo un’ani-ma vivente.

Dom Wulstan Mork osserva a ragione: «Nefesh qui significa la vitadel fanciullo, la vitalità che ne fa un essere vivente umano. Questosenso basilare espresso da nefesh permane attraverso tutto l’AnticoTestamento in tutti i tempi e in tutti gli scritti».61

Alla luce delle considerazioni di cui sopra, si deve concludere chel’affermazione «l’anima del bambino entrò in lui di nuovo» significasemplicemente che il bambino riprese a vivere o che il bambino iniziònuovamente a respirare. Questo è il senso che i traduttori danno allafrase rendendola: «La vita del ragazzo ritornò a lui». Questo è un modoperfettamente intelligibile di capire il testo ed è coerente con il restodell’insegnamento dell’Antico Testamento.

ConclusioneLo studio sul significato di nefesh (anima) nell’Antico Testamento hamostrato come nemmeno una volta la parola sia usata per trasmette-

60 E. JACOB, Art. cit., col. 1191.61 W. MORK, Op. cit., p. 49.

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re l’idea di un’entità immateriale e immortale capace di esistere sepa-ratamente dal corpo. Al contrario nefesh costituisce il principio vitale,il soffio di vita, sede delle emozioni e della personalità. Alla morte, l’a-nima cessa di funzionare come principio animatore della vita delcorpo. Il destino dell’anima è collegato indissolubilmente con il desti-no del corpo perché il corpo è la manifestazione esterna dell’anima.

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La realtà fisicadella natura umana

Lo studio sull’anima nell’Antico Testamento stabilisce che il corpo e l’a-nima costituiscono un’unità indivisibile: l’uomo è inteso come unità psi-cosomatica, anche se visto da diverse prospettive. Il corpo è la realtàfisica e l’anima è la vitalità, la personalità dell’esistenza umana. Permolto tempo, nella storia del cristianesimo, l’aspetto fisico della naturaumana è stato svalutato e persino vilipeso come indesiderabile e mal-vagio. La parola «carne» è associata a immoralità. I «peccati della carne»significano debolezze peccaminose. Il dualismo classico ha enorme-mente influenzato la vita e il pensiero cristiani attraverso i secoli.

Nella Bibbia «la carne» non rappresenta l’aspetto più nobile e piùelevato della natura umana. Paolo parla di inimicizia tra «la carne e loSpirito». Ciò non significa che Paolo e il resto della Bibbia condanninola carne o il corpo come moralmente malvagi. Il termine è usato meta-foricamente per rappresentare tutta la persona non rigenerata che agi-sce secondo i propri desideri naturali e segue le proprie inclinazioni.

Storicamente anche la pietà e la spiritualità cristiane sono stateinfluenzate da questa visione pessimista del corpo come sede del pec-cato. La mortificazione della carne, intesa come sottrazione degli ali-menti al corpo, oppure il non vestirsi con vesti calde o persino nonprovare il piacere fisico di un bagno caldo, erano visti come azioniindispensabili per edificare la propria vita spirituale.62

62 Le regole monastiche rivelano quanto fosse importante mortificare la carne fornendo al corposolo l’indispensabile per la sopravvivenza allo scopo di coltivare il benessere dell’anima. Laregola benedettina, per esempio, concede ai malati la possibilità di fare un bagno per lavarsi,ma è molto restrittiva con le persone sane: «Dovrebbe essere concesso ai malati di fare un bagnoper lavarsi tutte le volte che lo necessitano: per i sani, specialmente la gioventù, dovrebbe acca-dere più raramente». H. BETTENSON, Documents of the Christian Church, Oxford, 1967, p. 121.

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Noi riteniamo invece che per rafforzare la spiritualità cristiana sianecessario il recupero della dignità biblica relativa all’aspetto fisicodella nostra esistenza.

Il corpo è creato da Dio Il racconto della creazione offre il punto di partenza per chiarire subi-to che la materia creata da Dio, incluso il corpo umano, non ha in sénulla di malvagio. La materia non è un principio eterno e malefico chesi oppone a Dio come nel Timeo di Platone, ma fa parte della creazio-ne di Dio, per realizzare il suo progetto eterno. Tutto l’ordine fisico,incluso il corpo, è stato creato da Dio secondo questo scopo eterno epiù volte è detto che Dio, dopo aver contemplato quanto aveva creato,«vide che era buono» (Gn 1:10,12,18,21,25). Dopo la creazione dell’uo-mo a sua immagine, vide che era «molto buono» (Gn 1:31).

È importante notare che Dio non creò l’uomo a partire da unasostanza divina o spirituale, ma «dalla polvere della terra» (Gn 2:7) e locreò «a immagine di Dio» (Gn 1:27). «Non c’è nessuna parte dell’uomoche sia di origine divina e che sia scesa dall’alto per prendere residen-za temporanea nella prigione del “corpo”. L’uomo in nessun modo par-tecipa alla natura divina. È stato tratto dalla polvere della terra e la suarelazione con Dio non consiste in una scintilla nel fuoco o in una goc-cia d’acqua nell’oceano, quanto piuttosto quella di un’immagine dell’o-riginale. Non esiste nulla nell’uomo che stabilisca un’identità o persinouna continuità fra se stesso e Dio, come pretende sia “l’anima” nel pen-siero dualista. Invece dell’identità, c’è la semplice similitudine; invecedella continuità, esiste una radicale discontinuità, come tra la creaturae il Creatore».63

Il corpo non è malvagioIl fatto che il corpo umano sia stato creato dalla sostanza materialedella terra non significa che la materia sia fonte del male. Nel dualismoplatonico, la materia costituisce l’origine del male. Quest’ultimo èidentificato con la materia che è principio eterno e indipendente daDio, anzi antagonista. L’identificazione del male con la materia ha por-tato i pensatori a coltivare una visione negativa del corpo e dell’esi-stenza fisica; questa teoria ha influito molto il pensiero e la condottadei cristiani.

63 D.R.G. OWEN, Body and Soul, Philadelphia, 1956, p. 167.

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La realtà fisica della natura umana

Anche nel racconto del peccato originale della Genesi non trovia-mo il minimo accenno al fatto che la disubbidienza sia dovuta a un usoimproprio del corpo. Una tradizione popolare ha identificato il peccatooriginale con il rapporto sessuale dei nostri progenitori. Ma questainterpretazione è totalmente priva di fondamento biblico. La sessuali-tà è stata creata da Dio ed è inclusa nel commento che egli fa: tutto era«molto buono» (tov meod). La tentazione era su un altro piano, certa-mente non nei rapporti sessuali della prima coppia, piuttosto nel desi-derio di diventare simili a Dio. La tentazione era situata nel «saretecome Dio» (Gn 3:5). L’origine del peccato nella vita umana non haniente a che fare con il rapporto sessuale o qualsiasi altro atto fisico delcorpo. Piuttosto, deve essere ricercato nel fatto che l’uomo abbia cedu-to alla tentazione di voler divenire come Dio, invece di accontentarsi dirifletterne l’immagine. L’uomo ha messo se stesso al centro dei propriinteressi invece di trarre il senso della propria vita da Dio. Questa èstata la manifestazione fondamentale del peccato.

L’origine del peccato, secondo la Bibbia, non è da ricercarsi in undifetto della costituzione fisica del corpo umano, ma nella scelta sba-gliata ed egocentrica compiuta da esseri liberi e quindi responsabili.L’umanità oggi vive una condizione di peccato perché vive concentra-ta su se stessa anziché trovare in Dio la propria ragion d’essere. A moti-vo di questo egocentrismo e a causa delle potenzialità usate male, l’uo-mo, pur essendo stato creato a immagine di Dio, sta vivendo una lungastagione di nonsenso e di crisi d’identità. «Quelle che sono delle poten-zialità divine diventano attualità demoniache».64

Il racconto biblico della creazione e della caduta dell’umanità loca-lizza l’origine del peccato non nel corpo, ma nella mente, cioè, nel desi-derio di agire e di pensare come se fosse uguale a Dio. Il peccato èvolontario - un atto della volontà - e non una condizione biologica delcorpo. La Bibbia presenta il corpo umano come oggetto della creazio-ne e della redenzione di Dio. Questo aspetto verrà ancora più appro-fondito nel paragrafo successivo dedicato al significato e all’utilizzo deltermine basar (carne) nell’Antico Testamento.

La carne sostanza del corpoIl termine ebraico per indicare il corpo intero è geviyyah, ma èalquanto raro. È usato una dozzina di volte e si riferisce sia a un corpo

64 Ibidem, p. 169.

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vivo sia a un corpo morto ( cfr. Gn 47:18; 1 Re 31:10,12; Ez 1:11,23; 1 Sm31:10,12; Dn 10:6).

Il termine comunemente usato nella Bibbia ebraica per indicare ilcorpo è basar, che significa carne. Basar appare 266 volte negli scrittiebraici e il suo significato più comune è «la carne che costituisce ilcorpo». Un esempio di quest’uso lo troviamo nella Genesi: «Allora Dioil SIGNORE fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormen-tò; prese una delle costole di lui, e richiuse la carne (basar) al postod’essa… Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a suamoglie, e saranno una stessa carne (basar)» (2:21,24).

Un altro esempio si trova nella raccolta dei salmi, dove il salmistalamenta: «Hanno dato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli delcielo, la carne (basar) dei tuoi santi alle bestie della campagna» (79:2).Il parallelismo indica che carne (basar) è usata come sinonimo di corpo.Basar indica la parte molle che gli esseri umani hanno in comune congli animali: l’uomo e gli animali sono carne. Il racconto del diluvio sot-tolinea: «Ecco, io sto per far venire il diluvio delle acque sulla terra, perdistruggere sotto il cielo ogni essere (basar) in cui è alito di vita; tuttoquello che è sulla terra perirà» (Gn 6:17; 6:19; 9:17). «Tutti gli animaliche sono con te, di ogni specie (basar), volatili, bestiame e tutti i rettiliche strisciano sulla terra, falli uscire con te, perché possano dissemi-narsi sulla terra, siano fecondi e si moltiplichino su di essa» (Gn 8:17).

Questi esempi ci fanno comprendere che basar indicava la sostan-za del corpo che l’uomo ha in comune con gli animali. La carne è crea-ta da Dio che la può distruggere, guarire o ristabilire.

«Basar», l’uomo nella sua totalitàVi sono testi in cui con la parola carne s’identifica l’intera persona, nonsolo come sostanza molle, ma come essere razionale ed emotivo. «ODio, tu sei il mio Dio, io ti cerco all’alba; di te è assetata l’anima mia, ate anela il mio corpo (basar) languente in arida terra, senz’acqua» (Sal63:1). «L’anima mia langue e vien meno, sospirando i cortili delSIGNORE; il mio cuore e la mia carne (basar) mandano grida di gioia alDio vivente» (Sal 84:2). Giobbe dice di colui che giace sul suo letto dimalattia: «Questo solo sente: che il suo corpo (basar) soffre, che l’ani-ma sua è in lutto» (Gb 14:22).

Il parallelismo in questi testi tra anima e carne indica che anche lacarne deve essere considerata sede delle emozioni. La carne e l’animanon sono due forme diverse di esistenza, ma due manifestazioni della

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La realtà fisica della natura umana

stessa persona. Il concetto biblico dell’uomo rende possibile l’uso indif-ferente di carne e anima, poiché indicano la medesima cosa e si riferi-scono a uno stesso organismo.

Il termine «carne» viene anche usato per indicare le affinità chelegano le persone fra di loro come parenti consanguinei o come mem-bri della famiglia umana. Giuda, per esempio, consiglia i fratelli dinon uccidere Giuseppe «perché è nostro fratello, nostra carne (basar)»(Gn 37:27). Una formula spesso usata per esprimere una relazione con-sanguinea è: «mie ossa e mia carne» (cfr. Gn 29:14; Gd 9:2; 2 Sam 5:1;19:12). Nel racconto del diluvio, «ogni carne» (Gn 6:17,19) implica illegame più esteso che accomuna la famiglia umana.

Natura deboleBasar viene anche usata nella Bibbia per caratterizzare la debolezza ela fragilità della natura umana. Hans Walter Wolff ha intitolato il capi-tolo sulla basar (carne) in questo modo: «L’uomo nella sua infermità».65

Il titolo implica l’uso frequente di «carne» nell’Antico Testamentoper indicare la «nullità» umana agli occhi di Dio. In Giobbe 34:14,15 silegge: «Se egli non si curasse che di se stesso, se ritirasse a sé il suo spi-rito e il suo soffio, ogni carne (basar) perirebbe all’improvviso e l’uo-mo ritornerebbe in polvere». Gli esseri umani sono deboli e fragili(basar), per questo il Signore si ricorda di loro: «Ma egli, che è pietoso,perdona l’iniquità... ricordando che essi erano carne (basar), un soffioche va e non ritorna» (Sal 78:38,39).

In rapporto a Dio, l’uomo è carne, una creatura dipendente per lapropria, continua esistenza. «Ogni carne (basar) è come l’erba e tuttala sua grazia è come il fiore del campo» (Is 40:6). Gli esseri umani sonocarne perché sono impotenti davanti a Dio. «In Dio confido, e nontemerò; che mi può fare il mortale (basar)?» (Sal 56:4; cfr. Is 31:3). Diconseguenza è preferibile che gli esseri umani abbiano fiducia in Dioe non nella loro «carne» (le risorse umane). «Maledetto l’uomo checonfida nell’uomo e fa della carne (basar) il suo braccio» (Ger 17:5). Inquesto testo, basar indica il modo in cui spesso l’uomo si pone in con-trasto con Dio. La carne non è malvagia in sé, neanche sul piano etico.Può essere debole, ma non è peccaminosa in sé. Quando un «cuore dipietra» è trasformato in un «cuore di carne», diventa un cuore cheubbidisce a Dio (cfr. Ez 11:19). A motivo delle sue doti naturali la carne

65 H.W. WOLFF, Op. cit., pp. 26-31.

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Capitolo 3

può diventare orgogliosa, menzognera e, di conseguenza, essere oppo-sta a Dio. Si avrà modo di riflettere su questo tema, sia studiando ilNuovo Testamento in generale, sia il pensiero dell’apostolo Paolo inparticolare.

ConclusioneQuesto studio sul significato e l’uso di carne nell’Antico Testamento hamostrato come generalmente la parola sia usata per descrivere la real-tà concreta dell’esistenza umana nella sua prospettiva di fragilità e didebolezza. Contrariamente al dualismo classico, la carne e l’anima nonsono mai considerate due forme diverse di esistenza, piuttosto manife-stazioni della stessa persona e, di solito, intercambiabili.

Un buon esempio è nel Salmo 84:2 dove l’anima, il cuore e lacarne, esprimono tutti lo stesso desiderio verso Dio: «L’anima mia lan-gue e viene meno, sospirando i cortili del Signore; il mio cuore e la miacarne (basar) mandano grida di gioia al Dio vivente».

Il concetto unitario della natura umana ha permesso agli autoribiblici di vedere il corpo e l’anima come espressioni dello stesso orga-nismo. Pedersen giustamente osserva che «l’affermazione che l’animasia come la carne è indissolubilmente connessa al suo contrario, e cioèche la carne è come l’anima».66

Le due realtà sono indissolubilmente collegate perché il corpo è laforma esteriore dell’anima e l’anima è la vita interiore del corpo.

66 J. PEDERSEN, Op. cit., p. 178.

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Capitolo 4

Il cuore, la parte non visibile

Tra i termini antropologici biblici, il cuore è l’organo centrale e unifi-cante della vita dell’individuo. Le parole ebraiche che traducono«cuore» sono leb e lebab, utilizzate 858 volte.67 Questo significa che ilcuore è il più comune dei termini usati per descrivere la natura umana.Walter Eichrodt afferma: «Difficilmente si assiste a un processo spiri-tuale dove il cuore non sia coinvolto. È l’organo equivalente al senti-mento, alle attività intellettuali e all’opera della volontà».68

Nel pensiero biblico il cuore è la sorgente della vita individuale,l’estrema fonte delle energie fisiche, intellettuali, emotive e volontarie,per conseguenza è la parte della persona che normalmente è in con-tatto con Dio. Nei recessi del cuore sono i pensieri, le attitudini, lepaure e le speranze che determinano la personalità e il carattere del-l’individuo. Molte delle funzioni del cuore corrispondono alle funzionidell’anima.

Sede delle emozioniTutte le emozioni di cui una persona è capace sono attribuite al cuore.«Il cuore può essere allegro (Prv 27:11; At 14:17), triste (Ne 2:2), tur-bato (2 Re 6:11), coraggioso (2 Sam 17:10), scoraggiato (Nm 32:7),smarrito (Is 35:4), invidioso (Prv 23:17), fiducioso (Prv 31:11), genero-so (2 Cr 29:31), mosso da odio (Lev 19:17) o amore (Dt 13:3)».69

Le emozioni del cuore sono dipinte con intensità e descritte inmodo concreto: il cuore può venire meno (Gn 42:28), svenire (Gn 45:26),battere (Sal 38:10), tremare (1 Sam 28:5), esser stimolato (Prv 23:17; Dt19:6), essere malato (Prv 13:12). Lo stato del cuore domina ogni mani-

67 L’informazione è tratta da H.W. WOLFF, Op. cit, p. 40.68 W. EICHRODT, Theology of the Old Testament, Philadelphia, 1967, Vol. 2, p. 143.69 R.C. DENTAN, The Interpreter’s Dictionary of the Bible, Nashville, 1962, voce «heart», vol.

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festazione della vita. «Un cuore allegro rende il viso raggiante, ma perl’afflizione del cuore lo spirito è abbattuto» (Prv 15:13). Persino la salu-te è influenzata dalla condizione del cuore: «Un cuore allegro è unbuon rimedio, ma uno spirito abbattuto fiacca le ossa» (Prv 17:22).

Organi interniPer chiarezza, si deve aggiungere che la sede delle emozioni non sitrova solo nel cuore, ma anche in altri organi interni, come per esem-pio le viscere gereb. Quello che colpisce è che l’Antico Testamento con-sidera alcune parti interne del corpo come sede e sorgente delle capa-cità umane più elevate. Come osserva Hans Walter Wolff: «Le partiinterne del corpo e i suoi organi sono allo stesso tempo portatori degliimpulsi spirituali e morali dell’uomo».70

Alcuni esempi serviranno a illustrare questo aspetto. Geremiachiede agli abitanti della città: «Gerusalemme, purifica il tuo cuoredalla malvagità, affinché tu sia salvata. Fino a quando albergherannoin te (nelle tue viscere gereb) i tuoi pensieri iniqui?» (4:14). Qui le visce-re sono la sede dei pensieri malvagi. Mentre nei Proverbi i reni esulta-no: «Il mio cuore (lett. kelayot, reni) esulterà quando le tue labbradiranno cose rette» (23:16). Il salmista ringrazia Dio per il suo consiglioe per le sue istruzioni: «Benedirò il SIGNORE che mi consiglia; anche ilmio cuore (kelayot reni) mi istruisce di notte» (Sal 16:7). Altrove, il sal-mista associa le reni con il cuore come il più sensibile degli organi:«Quando il mio cuore era amareggiato e io mi sentivo trafitto interna-mente (nelle mie reni kelayot)» (Sal 73:21). Qui i reni operano comecoscienza dell’individuo. Anche il fegato può servire a esprimere pro-fondo dolore. Geremia si lamenta: «I miei occhi si consumano in lacri-me, le mie viscere si commuovono, il mio fegato (kabed) si spande interra per il disastro della figlia del mio popolo, al pensiero dei bambinie dei lattanti che venivano meno per le piazze della città» (Lam 2:11).

Le parti non visibili dell’uomo descrivono, come il cuore, i senti-menti interiori. Ciò è possibile perché nel pensiero biblico una partedella persona rappresenta tutto l’insieme.

Sede dell’intellettoNella maggior parte dei casi, il cuore, nella Bibbia, funziona da fulcrodella vita intellettuale e precisamente si attribuisce al cuore tutto ciò

70 H.W. WOLFF, Op. cit., p. 66.

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Il cuore, la parte non visibile

che noi oggi attribuiamo alla mente o al cervello. Contrariamente allanostra cultura occidentale dove il cuore è associato primariamente alleemozioni e ai sentimenti, il cuore nella Bibbia è visto come il centrodell’intelletto.

Nel libro dei Proverbi viene descritta la funzione essenziale delcuore in senso biblico: «Il cuore dell’uomo intelligente cerca la scien-za, ma la bocca degli stolti si pasce di follia» (15:14). Il cuore cercasapienza non solo per conoscere, ma anche perché l’individuo sia ingrado di prendere decisioni morali e responsabili. È significativo ilfatto che il termine cuore (leb) appaia con maggiore frequenza nei testidetti sapienzali (99 volte in Proverbi, 42 volte nell’Ecclesiaste e 51 voltenel libro didattico per eccellenza, il Deuteronomio).71

Il re Salomone ha mostrato tutta la sua saggezza quando all’iniziodel suo regno ha chiesto al Signore non ricchezze e lunga vita, ma un«cuore intelligente». «Dà dunque al tuo servo un cuore intelligente per-ché io possa amministrare la giustizia per il tuo popolo e discernere ilbene dal male; perché chi mai potrebbe amministrare la giustizia perquesto tuo popolo che è così numeroso?» (1 Re 3:9). Il cuore intelligen-te che Salomone chiedeva è quello che noi chiameremmo una menteacuta e lungimirante. Data la concretezza della lingua ebraica, difficil-mente riesce a esprimere l’idea di «pensare» se non con la frase «direnel cuore» (cfr. Gn 27:41; Sal 10:6). È con il cuore che una persona pia-nifica la propria esistenza (Prv 16:9), cerca la conoscenza e capisce (Ec16:9), e medita sulle cose profonde della vita (Sal 4:4).

Come punto focale della persona, il cuore è anche il baricentro dellavolontà e della vita morale: può progettare cose malvagie (Prv 6:18) ediventare perverso (Prv 11:20). Si può innalzare con orgoglio (Dt 8:14),indurire (Zc 7:12), esser testardo (Ger 3:17), o ribellarsi a Dio (I Re 11:2).D’altra parte, il cuore buono è perfetto (1 Re 8:61), senza colpa (Sal119:80), puro (Sal 51:10) e retto (Sal 32:11). Il cuore può essere purifi-cato (Sal 73:13) o rinnovato (Ez 18:31). Un cuore nuovo è in grado diinteriorizzare la volontà di Dio come rivelata nella sua legge (cfr. Ez11:19; 36:26).

Il cuore comunica con DioÈ tramite il cuore che avviene l’incontro tra l’uomo e Dio. Il cuoreparla con Dio (Sal 27:8), riceve la sua parola (Dt 30:14) e confida in lui

71 Ibidem, p. 89.

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(Sal 28:7). Dio dà all’uomo un cuore intelligente (1 Re 3:9) o toglie ogniintendimento (Gb 12:24).

Dopo il peccato, il cuore è incline al male e la sua trasformazioneavviene con l’aiuto della grazia divina. Dio promette di scrivere la sualegge nel cuore dell’uomo (Ger 31:33) per operare una radicale tra-sformazione (Sal 51:10). Egli toglierà il cuore indurito e lo sostituiràcon uno ricettivo (Ez 36:26). Nel Nuovo Testamento è detto che Dio hariversato il suo amore nel cuore (Rm 5:5) dove regnano Cristo (Ef 3:17)e la sua pace (Col 3:15).

ConclusioneLa breve indagine in merito alle funzioni del cuore nell’AnticoTestamento mostra come esso sia il centro e la fonte di tutte le attivitàreligiose, intellettuali e morali.

Nell’Antico Testamento il cuore rappresenta, più di ogni altra cosa,il centro più profondo dell’esistenza umana poiché ciò che una perso-na realmente è, lo è nel profondo del proprio essere. «Il SIGNORE nonbada a ciò che colpisce lo sguardo dell’uomo: l’uomo guarda all’appa-renza, ma il SIGNORE guarda al cuore» (1 Sam 16:7).

In molti modi, il cuore è il centro unificante dell’intera persona,corpo e anima. Alcune funzioni del cuore si sovrappongono con quelledell’anima, ma ciò non è sorprendente perché nella prospettiva biblicanon c’è nessuna distinzione radicale tra l’anima e il cuore. «Gesù glidisse: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tuaanima e con tutta la tua mente”» (Mt 22:37).

«Il cuore» scrive J. Pedersen «è la totalità dell’anima come caratte-re e potere operante... nefesh è la somma dell’anima nella sua totalità;il cuore è l’anima nel suo valore interno».72

Quanto si è detto per l’anima spesso può esser applicato al cuore.L’unità funzionale che esiste fra corpo, anima e cuore, nega l’insegna-mento dualistico sulla natura umana, che separa l’anima dal corpo. Lefunzioni spirituali e morali della natura umana, che i dualisti vedonocome prerogativa dell’anima, sono molto spesso attribuite al cuore.Nella Bibbia, è chiaro, l’anima non esiste e non opera come un’entitàdistinta e immateriale separatamente dal corpo.

72 J. PEDERSEN, Op. cit., p. 104.

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Lo spirito, l’intelletto

Fino a questo momento abbiamo visto che l’Antico Testamento consi-dera l’uomo come un’unità psicosomatica, ma c’è, a questo punto, unaspetto ancora più importante da considerare: l’uomo è anche spirito.Il termine «spirito» traduce l’ebraico ruach e il greco pneuma.

È importante studiare in che modo l’uomo è visitato dalla presen-za dello Spirito di Dio. Secondo la visione dualista, lo spirito altro nonè se non l’anima immortale donata all’uomo e che ritorna a Dio allamorte. È dunque importante chiedersi: qual è la natura dello Spirito diDio in relazione all’uomo? Lo spirito è una componente distinta e sepa-rata della natura umana oppure un aspetto indivisibile della stessa?

Basta solo uno sguardo all’uso statistico del termine spirito nel-l’Antico Testamento per capire che ci sono almeno due cose curiosecirca questo termine che appare 389 volte in totale. Per 113 volte lo spi-rito descrive la potenza naturale del vento, quindi indica una manife-stazione di potenza. Per 136 volte ruach si riferisce a Dio. 129 volte,cioè nel 33 per cento dei casi, si riferisce agli uomini, agli animali e aifalsi dei. Questo è un dato sorprendente visto che il termine «carne»non è mai associato a Dio, e che l’«anima» è riferita a Dio solo nel 3 percento dei casi (21 volte).73 Sulla base di questi dati statistici, Hans W.Wolff conclude giustamente che spirito (ruach) deve esser considerato«un termine teoantropologico»,74 cioè con significato divino e umano.

La Bibbia applica lo spirito a Dio e all’uomo. Per capire il concettobiblico dello spirito dell’uomo, è importante capire il significato biblicodello Spirito di Dio. Questo studio potrà esserci utile per comprenderein che modo lo Spirito di Dio agisca sulla natura umana.

73 Il conteggio è tratto da H.W. WOLFF, Op. cit., p. 32.74 Idem.

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Significato di ruachRuach significa letteralmente «aria in movimento, vento». In Genesi1:2, lo Spirito di Dio «aleggiava sulla superficie delle acque» e in Isaia7:2 «gli alberi della foresta sono agitati dal vento (ruach)». Hans W.Wolff puntualizza che ruach non significa aria statica ma «aria in movi-mento»75 che genera una notevole potenza.

Non deve sorprenderci che la potenza formidabile del vento(ruach) sia spesso intesa come una manifestazione della potenza diDio! Il vento di levante (ruach) porta le locuste (Es 10:13). Un ventopotente (ruach) asciuga il mar Rosso (Es 14:21). Un vento forte (ruach)soffia sulla terra e calma le acque (Gn 8:1).

La potenza manifestata dal vento è associata nella Scrittura al sof-fio di Dio, sua potenza creatrice e sostenitrice. La prima volta in cui tro-viamo questa espressione è in Genesi: «Dio il SIGNORE formò l’uomodalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale (nesha-mah) e l’uomo divenne un essere vivente» (2:7).

In precedenza abbiamo esaminato questo importante testo pervedere la relazione tra «alito vitale» e «anima vivente». Ora, si tratta dicapire più profondamente che cosa sia «l’alito di vita» tramite il qualel’uomo diventa «anima vivente». La parola ebraica utilizzata non èruach ma un’espressione piuttosto rara, neshamah (respiro). Il signifi-cato dei due termini è simile, come indicato dal fatto che appaiono inparallelo in cinque passi (cfr. Is 42:5; Gb 27:3;32:8; 33:4; 34:14,15).

Nel libro di Giobbe troviamo: «Lo spirito di Dio (ruach) mi ha crea-to, e il soffio (neshamah) dell’Onnipotente mi dà la vita» (33:4) Un po’più avanti dice: «Se egli non si curasse che di se stesso, se ritirasse a séil suo spirito (ruach) e il suo soffio (neshamah), ogni carne perirebbeall’improvviso e l’uomo ritornerebbe in polvere» (34:14,15).

In questi versetti, neshamah e ruach sono usati come sinonimi, masembra che vi sia una piccola differenza: neshamah indica il respirocalmo, pacifico, fisico, mentre ruach descrive la forma più attiva edinamica. Ruach sembra anche essere l’elemento che rende possibilela respirazione, «finché avrò fiato (neshamah) e il soffio di Dio (ruach)sarà nelle mie narici» (Gb 27:3). Qui l’alito vitale (neshamah) è nellapersona, mentre lo spirito è nella corrente d’aria che passa nelle nari-ci. «Così parla Dio, il SIGNORE… che dà il respiro (neshamah) al popoloche c’è sopra e lo spirito (ruach) a quelli che vi camminano» (Is 42:5).

75 Idem.

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Lo spirito, l’intelletto

Qui lo spirito indica più che il respiro, perché è dato solo a «quelliche camminano per essa». Sembra che il soffio costituisca una dellemanifestazioni dello spirito di Dio. Quest’ultimo ha significati e funzio-ni più ampi. Una delle funzioni dello Spirito di Dio è di dare e sostene-re la vita attraverso il processo della respirazione.

Dom W. Mork ha detto: «Il soffio vitale dell’uomo è dono di Dio.Egli respira “per grazia” di Dio».76

È interessante notare che la lettura marginale di Genesi 7:22 nellaversione autorizzata traduce «soffio vitale» con «il soffio dello Spirito divita». Questa traduzione letterale dall’ebraico trasmette l’idea che l’ali-to di vita (neshamah) derivi dallo spirito (ruach) che dona la vita.

Commentando questo testo, Basil F. Atkinson scrive: «Il neshamah(soffio) sembra essere una proprietà o una porzione del ruach (spirito)e di essere collegato con ciò che oggi chiameremmo la vita fisica. Ilruach, che è anche un principio di vita, è molto più ampio. Esso pro-duce e sostiene la vita interna e anche esterna dell’uomo, il suo intel-letto, i suoi pensieri astratti, le sue emozioni e desideri, coprendoanche l’intera azione del neshamah sulla vita fisica».77

La base della vitaL’uso parallelo di soffio e spirito nei testi citati rivela che «l’alito vitale»,costituisce lo Spirito vivificante di Dio, presente alla creazione dellavita e dell’universo nel suo insieme. «Quanto son numerose le tueopere, SIGNORE!… la terra è piena delle tue ricchezze. Tu nascondi latua faccia, e sono smarriti; tu ritiri il loro fiato (ruach) e muoiono, ritor-nano nella loro polvere. Tu mandi il tuo Spirito (ruach) e sono creati, etu rinnovi la faccia della terra» (Sal 104:24,29,30).

«Fiato» e «Spirito» sono qui tradotti ruach, indicando in questomodo che il soffio è identico allo Spirito di Dio che dà la vita, che creae rinnova «la faccia della terra».

In numerosi testi dell’Antico Testamento lo spirito è riferito al prin-cipio vitale presente negli esseri umani. Nel libro di Isaia, Ezechia dice:«Signore, mediante queste cose si vive e in tutte queste cose sta la vitadel mio spirito (ruach)». La frase «la vita del mio spirito» probabilmen-te si riferisce al recupero della salute di Ezechia, visto che il testo con-tinua dicendo: «Guariscimi dunque, e rendimi la vita!» (38:16).

76 W. MORK, Op. cit., p. 92.77 B.F.C. ATKINSON, Op. cit., p. 18.

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Qui lo spirito è chiaramente identificato con la vita. Nulla suggeri-sce che lo spirito dell’uomo sia un componente indipendente e immor-tale della natura umana, piuttosto è il principio che rende possibile lavita stessa.

Gli idoli, statue inanimate, non hanno lo spirito. «Ogni orafo havergogna delle sue immagini scolpite; perché le sue immagini fusesono menzogna e non c’è soffio vitale in loro» (Ger 10:14). «Ecco, èricoperta d’oro e d’argento, ma non c’è in lei nessuno spirito (ruach)»(Ab 2:19). In entrambi i testi, ruach significa «soffio, alito», perché larespirazione costituisce la manifestazione dello Spirito di Dio nellanatura umana. Gli idoli sono senza vita perché sono senza ruach, nonhanno il principio vitale che caratterizza la persona vivente.

Nel descrivere la sorte del re Sedechia prigioniero di Nabucodo-nosor, Geremia si serve di un’interessante metafora: «Colui che ci farespirare, l’unto del SIGNORE è stato preso nelle loro fosse (dei babilo-nesi)» (Lam 4:20). In questo caso Sedechia è paragonato alla vita stes-sa della nazione, che è stata portata via quando il re è stato deportato.Ancora una volta siamo di fronte a un chiaro esempio di ruach, intesocome principio vitale.

Parlando della spossatezza fisica di Sansone, leggiamo: «Sansonebevve, il suo spirito (ruach) si rianimò ed egli riprese vita» (Gdc 15:19).La stessa espressione è presente anche in 1 Samuele 30:12 e in Daniele10:17, dove lo spirito indica una rigenerazione fisica. In quanto ele-mento vitale, lo spirito ruach può rappresentare il rinnovamento fisicodella vita.

Nella famosa visione della valle delle ossa secche, Ezechiele parladella potenza vivificante dello Spirito di Dio: «Così dice DIO, il Signore,a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito (ruach) e voi rivi-vrete… e conoscerete che io sono il SIGNORE… “Vieni dai quattro venti,o spirito (ruach), soffia su questi uccisi, e fa’ che rivivano!”. Io profetiz-zai, come egli mi aveva comandato, e lo spirito (ruach) entrò in essi:tornarono alla vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande,grandissimo» (Ez 37:5,6,9,10). Qui lo Spirito è l’elemento vitale, comein Genesi, che ha fatto tornare in vita i corpi morti. Gli esseri viventi sidistinguono per una manifestazione concreta: hanno la respirazione.

Parola di DioNel Salmo 33:6 troviamo un’interessante parallelismo fra lo spirito diDio e la sua Parola: «I cieli furono fatti dalla parola del SIGNORE, e tutto

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Lo spirito, l’intelletto

il loro esercito dal soffio della sua bocca». Qui lo Spirito di Dio è sino-nimo della sua parola, poiché entrambi procedono dalla sua bocca. Ilparallelismo suggerisce che il soffio di Dio è qualcosa di più che lasemplice aria in movimento. Esso è la potenza della vita manifestataattraverso la Parola di Dio.

Un altro esempio in cui la Parola è associata allo spirito si trova nelSalmo 147: «Egli manda la sua parola e li fa sciogliere; fa soffiare il suovento (ruach) e le acque corrono» (v. 18). La parola di Dio è qui asso-ciata al vento, presumibilmente perché l’espressione della parola pro-cede dalla bocca mentre si respira. Dio è descritto con un antropomor-fismo come se la sua parola procedesse dalla corrente del suo soffio.

Occorre ricordare che il pensiero ebraico non ha sviluppato i con-cetti astratti, ma descrive le azioni attraverso l’osservazione concreta.Per esempio esso ha notato che la parola è prodotta dalle vibrazionidelle corde vocali grazie al passaggio dell’aria; era quindi naturale asso-ciare l’alito di Dio con la sua parola. Così, il soffio divino deve esserecapito non come aria in movimento, ma come potenza vivificante mani-festata attraverso l’espressione della sua parola. Quando Dio parla, lecose sono, perché la sua parola non è vuota, ma potenza vivificante.

Rinnovamento moraleIl rinnovamento compiuto dallo Spirito di Dio non agisce solo sul fisico,ma sul piano etico e morale. Davide pregò: «O Dio, crea in me un cuorepuro e rinnova dentro di me uno spirito ben saldo. Non respingermidalla tua presenza e non togliermi il tuo santo spirito» (Sal 51:10,11).

Lo spirito (ruach) «ben saldo» è l’immagine del peccatore riconci-liato con il suo Signore, grazie all’azione dello Spirito Santo. Così lo spi-rito è quello di Dio, ma anche quello dell’uomo. Dio dà lo Spirito percreare e sostenere la vita. L’uomo riceve lo Spirito per vivere non piùsottomesso ai propri desideri ma in armonia con la volontà di Dio. F.Baumgartel scrive: «Lo Spirito di Dio è una potenza creatrice e trasfor-matrice, il cui scopo è di creare un ambiente di religione e di valori».78

Il profeta Ezechiele cita tre volte lo spirito per indicare il principiodi rigenerazione che Dio crea nel credente che si converte (cfr. Ez11:19; 18:31; 36:26). «Io darò loro un medesimo cuore, metterò dentrodi loro un nuovo spirito (ruach), toglierò dal loro corpo il cuore di pie-tra, e metterò in loro un cuore di carne». In questo caso ancora, il

78 F. BAUMGARTEL, Spirit of God, Bible Key Words, New York, 1961, p. 1.

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nuovo spirito è associato a «un cuore nuovo», perché, come abbiamogià visto sopra, il cuore è la mente, o il centro della ragione dell’indi-viduo. Lo «spirito nuovo» è un’attitudine di ubbidienza volenterosa aicomandamenti di Dio resa possibile dal rinnovamento della mente(Rm 12:2). Questo significato è chiarito nel versetto successivo:«Metterò dentro di voi il mio spirito (ruach) e vi farò camminare neimiei statuti, e voi osserverete e metterete in pratica i miei decreti (Ez36:27). È attraverso la potenza dello Spirito di Dio che la mente è rin-novata, così si può vivere in accordo con i princìpi morali che Dio harivelato per il nostro bene.

Potenza di DioLo Spirito di Dio è manifestato non solo nella creazione e nel sosten-tamento della vita, ma anche per qualificare gli uomini che sceglie perdei compiti specifici. Quando Dio chiama Gedeone per liberare gliIsraeliti dalla tirannia dei madianiti, viene detto: «Ma lo spirito delSIGNORE si impossessò di Gedeone…» (Gdc 6:34) e lo rese forte per gui-dare gli israeliti alla vittoria. È stato lo Spirito del Signore a chiamarloa questo compito, visto che Gedeone metteva in dubbio le proprie qua-lità: «Ah, signore mio, con che salverò Israele? Ecco, la mia famiglia èla più povera di Manasse, e io sono il più piccolo nella casa di miopadre» (Gdc 6:15).

La stessa cosa accadde a Iefte: «Allora lo spirito del SIGNORE vennesu Iefte, che… marciò contro i figli di Ammon per fare loro guerra e ilSIGNORE glieli diede nelle mani» (Gdc 11:29,32). In queste circostanzelo Spirito di Dio ha qualificato le guide d’Israele per compiere, inmomenti critici, atti fuori dal normale.

Lo Spirito di Dio è stato dato anche alle guide nazionali per com-piere il piano divino per Israele. Quando lo Spirito del Signore investìSaul, questi venne «trasformato in un altro uomo». Quando Samueleunse Davide per succedere a Saul come re, «da quel giorno lo Spirito(ruach) del SIGNORE investì Davide» (1 Sam 16:13). Quando Davide fuunto come futuro re, «lo Spirito (ruach) del Signore si ritirò da Saul»(1 Sam 16:14). Lo Spirito si ritirò da Saul ma questo non vuol dire chela sua anima salì a Dio, dal momento che era ancora in vita. Il ritirodello Spirito ha coinciso con la squalifica di Saul come re d’Israele,mentre il dono dello Spirito a Davide lo ha qualificato per regnare al suoposto. È evidente che lo Spirito donato a Gedeone e a Iefte per giudica-re e a Davide per regnare, non è lo stesso «soffio vitale» presente in ogni

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Lo spirito, l’intelletto

essere umano. Il soffio vitale riguarda ogni essere vivente, ma quandolo Spirito di Dio è sparso su coloro che sono stati chiamati a svolgereuna missione particolare, essi sono qualificati per quell’incarico.

Nel caso di Besaleel, per esempio, lo Spirito di Dio gli diede dellecapacità uniche per la costruzione del santuario. «L’ho riempito delloSpirito (ruach) di Dio, per dargli sapienza, intelligenza e conoscenzaper ogni sorta di lavori, per concepire opere d’arte, per lavorare l’oro,l’argento e il rame, per incidere pietre da incastonare, per scolpire illegno, per eseguire ogni sorta di lavori» (Es 31:3,4).

Lo Spirito investiva i profeti di Dio per comunicare al popolo deimessaggi particolari. Ezechiele dice: «Mentre egli mi parlava, lo Spirito(ruach) entrò in me e mi fece alzare in piedi, e io udii colui che mi par-lava» (Ez 2:2). Ripetutamente, i profeti affermano che lo Spirito di Dioè sceso su di loro. Zaccaria parla dell’indurimento del cuore dei suoicontemporanei «per non ascoltare la legge e le parole che il Signoredegli eserciti rivolgeva loro per mezzo del suo Spirito (ruach), permezzo dei profeti del passato» (Zc 7:12).

Il dono dello Spirito di Dio è visto come un incarico ufficiale e divi-no. In Isaia 61, il servo del Signore, il Messia, è unto dallo Spirito per lasua missione: «Lo spirito (ruach) del Signore, di DIO, è su di me, perchéil SIGNORE mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi hainviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamarela libertà a quelli che sono schiavi, l’apertura del carcere ai prigionie-ri» (Is 61:1). Gioele profetizza del tempo messianico quando lo Spiritosarebbe stato versato su ogni credente: «Dopo questo, avverrà che iospargerò il mio Spirito (ruach) sopra ogni persona; i vostri figli e levostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi faranno sogni, i vostri gio-vani avranno delle visioni» (Gl 2:28). Lo Spirito di Dio in questi casi,non agisce come principio che anima la vita fisica, ma come l’agenteche qualifica i credenti per il servizio.

Impulso dominanteLa potenza dello spirito indica altresì quello che chiameremmo incli-nazione o impulso dominante di un individuo. Ogni essere umano hadelle attitudini o degli impulsi che lo dominano, ma che egli deve vin-cere. Anche in questo caso si utilizza il termine spirito, in questo casocaratterizza lo spirito dell’uomo in contrapposizione a quello di Dio.Osea lamenta che uno «spirito (ruach) di prostituzione» ha sviato isacerdoti (Os 4:12). Ezechiele denuncia: «Guai ai profeti stolti, che

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seguono il loro proprio spirito (ruach), e parlano di cose che non hannoviste!» (Ez 13:3). Il Salmo 78:8 parla della generazione ostinata «il cuispirito (ruach) non fu fedele a Dio». Proverbi 25:28 paragona un uomoche non ha autocontrollo (lett. «non sa dominare il proprio spirito») auna «città smantellata, priva di mura». L’Ecclesiaste assicura che «lospirito paziente vale più dello spirito altero» (7:8). In tutti questi casi, lospirito indica un’attitudine all’ubbidienza o alla disubbidienza a Dio enon deve esser confuso con la funzione vivificante dello Spirito di Dio.

Certe volte lo spirito è la sede del dolore soprattutto nell’espressio-ne «amarezza di spirito». Il popolo d’Israele non diede «ascolto a Mosè acausa dell’angoscia del loro spirito e della loro dura schiavitù» (Es 6:9).

Anna, madre di Samuele, disse al sacerdote Eli: «No, mio signore,io sono una donna tribolata nello spirito e non ho bevuto vino nébevanda alcolica, ma stavo solo aprendo il mio cuore davanti alSIGNORE» (1 Sam 1:15). Qui lo spirito afflitto è paragonato all’atto disvuotare l’anima davanti a Dio.

Lo spirito e l’anima sono menzionati insieme perché ambeduerappresentano la continuità della vita ferita dal dolore. In Proverbi15:13 si legge: «Quando il cuore è triste, lo spirito è abbattuto». Se ilcuore è la sede del dolore, il dolore tocca anche lo spirito o la vita inte-riore di una persona. L’interazione tra spirito e anima, o cuore e spiri-to, ci ricorda ancora una volta il concetto biblico della natura umana,dove i vari aspetti della personalità sono indivisibili .

In altri casi lo spirito costituisce la sede delle emozioni. Proverbi16:32 dice: «Chi è lento all’ira vale più del prode guerriero; chi ha auto-controllo (domina lo spirito suo) vale più di chi espugna città». Domi-nare il proprio spirito significa controllare il proprio umore o la propriaira. In parecchi casi, ruach è tradotto con «ira», «sdegno» (cfr. Gdc 8:3;Ez 3:14; Prv 14:29; 16:32; Ec 7:9; 10:4;); in altri testi con coraggio:«Appena l’abbiamo udito, il nostro cuore è venuto meno e non è piùrimasto coraggio (ruach) in alcuno» (Gs 2:11).

In altri passi ancora spirito è usato con il significato di tristezza:«Poiché il Signore ti richiama come una donna abbandonata, il cui spi-rito è afflitto (ruach)» (Is 54:6). «Il SIGNORE è vicino a quelli che hannoil cuore afflitto, salva gli umili di spirito» (Sal 34:18).79

Lo spirito può anche indicare contrizione e umiltà. «Io dimoro nelluogo eccelso e santo, ma sto vicino a chi è oppresso e umile di spirito

79 Confronta anche Ez 21:12; Es 6:9; Is 61:3; 65:14; Dan 7:15.

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per ravvivare lo spirito degli umili, per ravvivare il cuore degli oppres-si» (Is 57:15). «Ecco su chi poserò lo sguardo: colui che è umile, che halo spirito afflitto (ruach) e trema alla mia parola» (Is 66:2).

Questa breve indagine sui diversi usi del termine spiritonell’Antico Testamento ha mostrato come esso sia un principio vitaleche proviene da Dio e conserva la vita umana. In modo figurato, lo spi-rito è utilizzato in riferimento al rinnovamento morale interiore, alleinclinazioni buone e cattive, agli impulsi dominanti, al dolore, al corag-gio, alla tristezza, alla contrizione e all’umiltà. In nessun caso lo spiri-to ha coscienza e personalità autonoma che, alla morte, si separa dallapersona. La funzione dello spirito quale principio vivificante e sosteni-tore cessa quando la persona muore.

Alla morte lo spirito lascia l’uomoUndici passi nell’Antico Testamento parlano del distacco dello spirito almomento della morte.80 Di questi, quattro meritano un’attenzione par-ticolare perché sono spesso usati per sostenere la convinzione che allamorte lo spirito ritorna a Dio, portando con sé la personalità e lacoscienza dell’individuo morto.

Nel prefigurare la morte del Signore, il Salmo 31:5 dice: «Nelle tuemani io rimetto il mio spirito (ruach)». Lo spirito che Cristo ha affidatonelle mani del Padre non era altro che la vita umana che lasciava invista della risurrezione. Il principio che animava la sua vita stava perabbandonarlo, facendolo sprofondare nell’incoscienza della morte.

Parlando di creature marine, il salmista dice: «Tu ritiri il loro fiato(ruach) e muoiono, ritornano nella loro polvere» (Sal 104:29). Nessunopenserà mai che lo spirito che Dio ritira ai pesci, sia la loro coscienzae la loro personalità.

Si ha ragione di credere che ciò sia vero anche per gli esseriumani, visto che la stessa espressione è usata per entrambi. Infatti, neltesto che segue, la creazione degli animali è opera dello Spirito vivifi-cante di Dio, come la creazione dell’uomo: «Tu mandi il tuo spirito esono creati» (Sal 104:30). Dal momento che la creazione della vita èavvenuta grazie all’apporto dello Spirito di Dio, la fine della vita, cioèla morte, è descritta come l’abbandono del soffio vitale. Quest’ultimoconcetto è chiaramente espresso in Giobbe 34:14,15: «Se egli non si

80 Le citazioni dell’Antico Testamento circa la separazione dello spirito alla mortesono: Sal 31:5; 76:12; 104:29,30; 146:4; Gb 34:14,15; Ec 3:19-21; 8:8; 12:7.

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Capitolo 5

curasse che di se stesso, se ritirasse a sé il suo spirito (ruach) e il suosoffio (neshamah), ogni carne perirebbe all’improvviso e l’uomo ritor-nerebbe in polvere». Lo stesso pensiero è espresso nel ben noto branodi Ecclesiaste in cui l’autore invita l’uomo a fare le scelte giuste «primache la polvere torni alla terra com’era prima, e lo spirito (ruach) torni aDio che l’ha dato» (Ec 12:9).

Questi ultimi due testi sono molto importanti, perché sono comu-nemente citati per sostenere il convincimento che lo spirito che ri-torna a Dio è l’anima che lascia il corpo alla morte portando con sécoscienza e personalità. Quest’interpretazione contrasta con l’inse-gnamento biblico per quattro grandi ragioni.

1. Da nessuna parte nella Bibbia lo spirito o l’alito di Dio è identi-ficato con l’anima umana. L’esistenza dell’anima dipende dalla pre-senza del soffio (neshamah) o dello spirito (ruach) vivificante di Dio equando lo spirito vivificante è tolto, una persona cessa di essere un’a-nima vivente e diventa un’anima morta. Così il salmista dice: «Il suofiato (ruach) se ne va, ed egli ritorna alla sua terra; in quel giorno peri-scono i suoi progetti» (Sal 146:4).

2. La Bibbia non suggerisce che lo spirito vivificante che torna aDio sia la sopravvivenza dell’anima al corpo morto. Al contrario, laBibbia insegna che quando Dio ritira il soffio vitale o spirito di vita, ilrisultato non è la sopravvivenza dell’anima, ma la morte dell’interoessere umano. «In quel giorno periscono i suoi progetti» (Sal 146:4),perché non c’è più coscienza. La morte conserva un carattere più tra-gico perché riguarda tutto l’uomo, il suo corpo come la sua anima,perché, come abbiamo visto, i due aspetti sono indivisibili. Il corpo èla forma esterna dell’anima e l’anima è la forma interna del corpo.

3. Lo spirito che ritorna a Dio è quello di tutti gli uomini («ognicarne») e non solo dei giusti. Coloro che sostengono che lo spirito ditutte le persone, salvate e non salvate, vada a Dio per il giudizio, nontengono conto che la Scrittura insegna che il giudizio non avviene allamorte, ma alla fine del mondo, alla venuta del Signore.

4. La Bibbia non insegna che il soffio vitale rende eterno o immor-tale chi lo possiede. In nessuno dei 389 casi dell’uso di ruachnell’Antico Testamento si fa comprendere che lo spirito sia un’entitàcosciente della natura umana, capace di esistere separatamente dalcorpo. Al contrario, la Bibbia afferma che l’essere umano, pur avendoricevuto il soffio da Dio, morirà comunque: «Ecco, io sto per far veni-re il diluvio delle acque sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni

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Lo spirito, l’intelletto

essere in cui è alito di vita (ruach); tutto quello che è sulla terra peri-rà (gava cesserà di respirare)» (Gn 6:17). «Perì ogni essere vivente chesi moveva sulla terra: uccelli, bestiame, animali selvatici, rettili di ognisorta striscianti sulla terra e tutti gli uomini. Tutto quello che era sullaterra asciutta e aveva alito di vita (ruach) nelle sue narici, morì (gavacessò di respirare)» (Gn 7:21,22).

Da testi come questi risulta chiaro che possedere l’alito o lo spiri-to di vita non significa avere un’anima immortale. L’alito di vita èsemplicemente il dono della vita agli esseri umani e agli animali perla durata della loro esistenza terrena. Lo spirito o l’alito di vita cheritorna a Dio alla morte è semplicemente il principio di vita dato daDio agli esseri umani e agli animali.

Questo è affermato chiaramente nell’Ecclesiaste: «Infatti, la sortedei figli degli uomini è la sorte delle bestie; agli uni e alle altre toccala stessa sorte; come muore l’uno, così muore l’altra; hanno tutti unmedesimo soffio, e l’uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia; poi-ché tutto è vanità» (3:19). Coloro che mettono in discussione il fattoche gli animali non abbiano lo spirito (ruach) di vita ma solo l’alito(neshamah) di vita, ignorano il fatto che Ecclesiaste 3:21 e Genesi7:15,22 chiaramente affermano che gli animali possiedono lo stessosoffio vitale dato agli esseri umani.

Non c’è nessuna indicazione nella Bibbia che lo spirito di vita datoall’uomo alla creazione fosse preesistente come entità cosciente.Questo permette di credere che lo spirito di vita non abbia alcuna per-sonalità consapevole quando fa ritorno a Dio. Infatti, lo spirito cheritorna a Dio è semplicemente il principio vitale donato da Dio per ladurata dell’esistenza terrena.

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Conclusione I parte

Siamo così giunti alla fine dell’indagine sui quattro termini più impor-tanti usati nell’Antico Testamento per descrivere la natura umana, cioèanima, corpo, cuore e spirito. Indiscutibilmente si è pensato che questitermini non rappresentino entità diverse, ognuna con le proprie fun-zioni, ma piuttosto funzioni diverse integrate all’interno di un medesi-mo organismo.

L’Antico Testamento vede la natura umana come un’unità, nonuna dicotomia. Non esiste alcun contrasto fra il corpo e l’anima, comequesti termini potrebbero suggerire.

L’anima non è una parte semplice, spirituale e immortale dellanatura umana che domina il corpo, ma ne indica la vitalità o il princi-pio di vita. Il corpo è composto da elementi fisici a cui si aggiunge ilprincipio vitale donato da Dio, chiamato occasionalmente soffio (nes-hamah) e, solitamente, spirito (ruach). Il corpo e il soffio divino insie-me costituiscono l’anima vitale e attiva. La sede dell’anima è il sangue,perché esso è la manifestazione tangibile della vita.

Da questo principio di vita, il termine anima (nefesh) è ampliatoper includere i sentimenti, le passioni, la volontà e la personalità di unindividuo e, inoltre, è usato come sinonimo per l’uomo stesso. Le per-sone sono contate come anime (Gn 12:5; 46:27). La morte influisce sul-l’anima (Nm 23:10) e sul corpo.

Lo spirito (ruach), che significa letteralmente «vento», è con unacerta frequenza riferito a Dio stesso. Lo spirito del Signore è il suo sof-fio, la sua potenza manifestata nel creare e sostenere la vita (Sal 33:6;104:29,30). Lo spirito dell’uomo viene dal soffio di Dio (Is 42:5; Gb27:3). In senso figurato, lo spirito è un concetto esteso anche al rinno-vamento morale, alle disposizioni buone e cattive, alla vita emotiva eagli atti di volontà, sovrapponendosi così, in qualche modo, con l’ani-ma (nefesh). La differenza tra l’anima e lo spirito è che il primo si rife-risce maggiormente a una persona vivente in relazione con altri esse-ri umani, mentre l’altro allude alla relazione con Dio. Comunque,come abbiamo visto né l’anima né lo spirito sono considerati comescintille di eternità, capaci di sopravvivere alla morte del corpo.

I riferimenti dell’Antico Testamento alla carne o al corpo non sug-geriscono mai che le funzioni corporee siano puramente biologiche eindipendenti dalle funzioni psicologiche dell’anima. Non c’è alcuna

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Conclusione I parte

distinzione nell’Antico Testamento tra organi fisici e spirituali, perchél’intera lista delle funzioni umane più nobili come sentire, pensare,sapere, amare, osservare i comandamenti di Dio, lodare e pregare, èugualmente attribuita all’anima (o spirito) e a organi «fisici» come ilcuore e, occasionalmente, i reni e le viscere.

Gli organi interni diventano simboli delle funzioni psichiche. Cosìil cuore pensa, i reni gioiscono, il fegato fa cordoglio e le viscere sen-tono compassione. Questo è possibile a motivo della visione biblicadella natura umana dove una parte della persona può, a volte, rappre-sentare l’intero organismo. I riferimenti alla separazione (Gn 35:18) eal ritorno (1 Re 17:21,22) dell’anima non possono essere usati persostenere la convinzione che al momento della morte l’anima lasci ilcorpo e ne faccia ritorno al momento della risurrezione. La separazio-ne dell’anima è una metafora per la morte e indica la cessazione dellarespirazione indispensabile per la vita. Allo stesso modo, il ritorno del-l’anima è una metafora per il ripristino della vita, indicando che la per-sona ha nuovamente ripreso a respirare. Ciò che è vero per l’anima èanche vero per il soffio vitale o spirito che alla morte ritorna a Dio. Ciòche torna a Dio non è l’anima immortale, ma semplicemente il princi-pio di vita donato da Dio sia agli esseri umani sia agli animali per ladurata dell’esistenza terrena.

Ralph W. Doermann giunge alla stessa conclusione nella sua tesidi laurea dal titolo Lo Sheol nell’Antico Testamento, presentata nel 1961alla Duke University. Egli scrive: «È evidente che dal punto di vistaebraico sull’unità psicosomatica dell’uomo, c’è poco spazio per il con-vincimento dell’immortalità dell’anima. O tutta la persona vive o tuttala persona scende nel soggiorno dei morti. Non c’è nessuna esistenzaa sé stante per il ruach (spirito) o per la nefesh (anima) separati dalcorpo. Con la morte del corpo, il ruach (spirito) “ritorna a Dio che l’hadato” (Ec 12:9) e la nefesh non esiste più».81

Senza timore di essere smentiti, possiamo affermare che la nozioneunitaria della natura umana dell’Antico Testamento elimina la distinzio-ne fra corpo e anima, come se fossero due realtà completamente distin-te. Essa rimuove il fondamento stesso della sopravvivenza dell’animaoltre la morte. Nella sezione seguente vedremo se il Nuovo Testamentoconferma o modifica l’insegnamento delle Scritture ebraiche.

81 R.W. DOERMANN, Sheol in the Old Testament, tesi di dottorato presso la DukeUniversity, 1961, p. 205.

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II PARTE

LA NATURA UMANA

NEL NUOVO TESTAMENTO

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Introduzione II parte

I termini della questione

La prima pagina del Nuovo Testamento segue immediatamente l’ulti-ma dell’Antico. Ciò potrebbe far pensare che non ci sia nessun inter-vallo fra le Scritture ebraiche e quelle scritte in greco. In realtà, sonoseparate da circa quattro secoli. Durante questo periodo intertesta-mentario il popolo ebraico è stato esposto, in Palestina come nella dia-spora (dispersione), alla cultura e alle filosofie ellenistiche. L’impattodell’ellenismo sul giudaismo è evidente in molti aspetti, tra questi tro-viamo l’accettazione del dualismo greco da parte di alcuni autori delleopere letterarie giudaiche prodotte in quel tempo generalmente cono-sciute come apocrife o pseudoepigrafiche.82

La maggior parte dei cristiani considera questi libri come nonispirati e non autorevoli sul piano della fede, non facenti parte delcanone biblico. Questo, però, non toglie nulla al loro valore storico,dal momento che costituiscono un’importante fonte d’informazionecirca gli sviluppi storici e ideologici di quel tempo.

Per quanto riguarda la natura umana e il suo destino, durante ilperiodo intertestamentario, si vennero a formare nel mondo giudaicodue scuole di pensiero. La prima è la scuola palestinese, che rimane-va fedele all’insegnamento dell’Antico Testamento e forniva, così, unapremessa per la comprensione del Nuovo Testamento.

Il giudaismo palestinese vedeva la morte come un sonno noncosciente dell’intera persona e insegnava la risurrezione finale delcorpo. L’importanza di questa convinzione per lo studio del Nuovo

82 Uno studio approfondito circa la letteratura intertestamentaria circa il concettodell’uomo e il suo destino è stato fatto da H.C.C. CAVALIN, Life after Death: Paul’sArgument for the Resurrection of the Dead in I Corinthians; Part I. «An Inquiry into theJewish Background», Lund, Holland, 1974. Un altro studio importante è quello di G.NICKELSBURG, JR., Resurrection, Immortality, and Eternal Life in Inter-testamentaryJudaism, Cambridge, 1972.

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Introduzione II parte

Testamento è descritta nel libro apocrifo denominato Apocalisse diBaruch. Questo libro, conosciuto anche come 2 Baruch è stato scrittoda un giudeo palestinese durante l’ultima metà del primo secolo del-l’era cristiana. L’autore afferma che i morti «dormono nella terra» equando il Messia ritornerà, «tutti quelli che si addormentano confidan-do in lui, risusciteranno».83

Tutti i giusti saranno raccolti in un momento e gli empi farannocordoglio perché sarà giunta l’ora del loro tormento.84 Questa dottrinasi armonizza con l’insegnamento del Nuovo Testamento circa la risur-rezione dei morti; ma era ritenuto «follia» dai greci (1 Cor 1:23).

Il secondo movimento di pensiero del giudaismo è costituito dallascuola ellenistica, fortemente influenzata dal dualismo greco. Il giu-daismo ellenistico prosperava soprattutto ad Alessandria, pressoFilone, noto filosofo ebreo che tentava di fare una sintesi fra i presup-posti greci e quelli ebraici.

Negli scritti dei giudei della diaspora si trovano chiari accenni allasopravvivenza e all’immortalità dell’anima. La sopravvivenza dell’ani-ma sembra essere il destino eterno dei salvati. Per esempio, il Libro deiGiubilei (135 a.C. circa) insegna che le «ossa» riposano nella tombamentre gli «spiriti» vivono indipendenti. «E le ossa si riposeranno nellaterra, e i loro spiriti avranno molta gioia, e sapranno che è il Signoreche adempie il giudizio, e mostra misericordia a… quanti lo amano»(23:31).85

Sulla stessa linea di pensiero, La Sapienza di Salomone, scritto daun giudeo ellenista fra il 50 e il 30 a.C., sostiene che «le anime dei giu-sti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà… essi sononella pace… la loro speranza è piena di immortalità» (3:1,3,4).86

La stessa idea si trova nel libro 4 Maccabei, un trattato filosoficoscritto da un giudeo ellenista poco prima dell’era cristiana. I morti giu-sti, dice l’autore, ascendono immediatamente alla beatitudine eterna,87

83 II Baruch 30, citato da R. H. CHARLES, The Apocrypha and Pseudepigrapha of the OldTestament in English with Introductory and Critical Explanatory Notes to the SeveralBooks, Oxford, 1913, p. 498.84 Nel commentare questo testo, R.H. CHARLES scrisse: «L’immortalità condizionatadell’uomo è altresì presente in 1 Enoch 69:11; Sapienza 1:13,14; 2 Enoch 30:16,17; 4Esdra 3:7» (Ibidem, p. 477).85 Ibidem, p. 49. Secondo R. H. CHARLES: «Questa è la più antica affermazione relativaa questa attesa nei due secoli che precedono la nascita di Gesù» (Ibidem, p. 10).86 Ibidem, p. 538.87 Cfr. 4 Maccabei 10:15; 13:17; 18:18; 18:23.

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I termini della questione

mentre gli empi discendono verso il tormento eterno, che sarà più omeno intenso.88

Durante il periodo intertestamentario, come ha ben sintetizzatoA.H. Wheeler Robinson, «l’interpretazione dualistica della relazione delcorpo e dell’anima (o spirito) si trova nella linea ellenistica del giudai-smo (Sap. 9:15); ma è estranea alla scuola palestinese, che coniugadirettamente il pensiero dell’Antico Testamento con quello delNuovo».89

Lo studio del Nuovo Testamento in merito alla natura umana nonautorizza a ignorare il possibile influsso del giudaismo ellenistico sugliautori. Dopo tutto, con la possibile eccezione di Matteo, tutti i libri delNuovo Testamento furono scritti in greco e utilizzano le quattro grandiparole antropologiche greche: psyche anima, pneuma spirito, somacorpo e sarx carne. Questi termini erano comunemente usati nel perio-do neotestamentario con il significato greco dualistico. Anima e spiritoindicavano la parte immateriale e immortale della natura umana,mentre corpo e carne descrivevano la parte visibile e mortale.

Ci chiediamo: fino a che punto si possono colorare di significatodualistico queste importanti parole greche delle Scritture del NuovoTestamento? Sorprendentemente, come si vedrà in questa sezione,l’uso e il significato dualistico di questi termini è del tutto assente nelNuovo Testamento. Persino nei brani che indicano il contrasto tracarne e spirito, apparentemente dualistici, da un esame più attentorivelano un concetto unitario della natura umana. La carne e lo spiritonon rappresentano due parti separate della natura umana, bensì duestili di vita opposti: egocentrico e teocentrico.

La ragione per l’assenza dell’influsso dualistico nel NuovoTestamento è da ricercarsi nel fatto che gli autori hanno preso in pre-stito i termini della cultura ellenistica ma partendo dagli equivalentidell’Antico Testamento dai quali le idee prendono origine.

Si deve, inoltre, sempre tenere presente che «il collegamento fral’ebraico dell’Antico Testamento e il greco del Nuovo Testamento ècostituito dalla straordinaria traduzione dell’Antico Testamento deiSettanta, detta Septuaginta, portata a termine ad Alessandria d’Egittonel terzo secolo a.C. La traduzione è stata compiuta da giudei che natu-ralmente capivano sia il significato delle parole ebraiche sia quelle

88 Cfr. 4 Maccabei 9:8,32; 10:11,15; 12:19; 13:15.89 H.W. ROBINSON, The Christian Doctrine of man, Edinburgh, 1952, p. 74.

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Introduzione II parte

greche che usavano per trovarvi la loro corrispondenza. Così, laSeptuaginta segue l’ebraico e il Nuovo Testamento segue la Septua-ginta. La versione dei Settanta non era ispirata, ma nella provvidenzadi Dio, forniva questo raccordo prezioso fra l’Antico e il NuovoTestamento».90

L’assimilazione del dualismo greco nella tradizione cristiana èavvenuta dopo la stesura del Nuovo Testamento. John A.T. Robinsonoffre alcuni eccellenti esempi di come Paolo usasse parole greche macon il significato delle parole ebraiche corrispondenti, e non secondol’usanza greca prevalente. Per esempio, la frase di Paolo «la mente car-nale» (Col 2:18), non aveva nessun significato per la mentalità greca,perché la mente (nous) era sempre associata con l’anima (psyche) emai con la carne. Sono sullo stesso piano di idee, i riferimenti di Paoloal «corpo spirituale» (1 Cor 15:44,46) e alla contaminazione della carnee dello spirito (2 Cor 7:1). Una impostazione simile, «sarebbe stata con-siderata un’assurdità da parte dei greci»91 perché, secondo loro, ilcorpo non era spirituale e lo spirito non poteva essere contaminato.Indicazioni come queste mostrano, in definitiva, che nel NuovoTestamento la natura umana sia ricollegabile più al pensiero ebraicoche a quello greco.

Chiariamo i terminiIn questa parte ci prefiggiamo di comprendere i concetti del NuovoTestamento a proposito della natura umana, analizzando i quattro ter-mini antropologici fondamentali cioè, «anima», «spirito», «corpo» e«cuore». Si tratta della stessa fraseologia considerata nella sezione pre-cedente circa l’esame dei termini relativi all’uomo nell’AnticoTestamento. Il significato e l’uso dei sostantivi o delle espressioni sonostudiati per determinare se, in effetti, seguono, oppure no, il significa-to e l’uso dei termini ebraici corrispondenti. Vedremo che esiste unacontinuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento circa la comprensionedella natura umana. La nozione di immortalità dell’anima, anche secondivisa dalla cultura popolare di molti, proprio al tempo del NuovoTestamento è però assente dalle Scritture greche perché gli autori sonorimasti fedeli agli insegnamenti veterotestamentari.

Il Nuovo manifesta una continuità con l’Antico Testamento non

90 B.F.C. ATKINSON, Life and Immortality, Taunton, England, N.D., p. 12.91 J.A.T. ROBINSON, The Body: A Study of Pauline Theology, London, 1966, p. 23.

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I termini della questione

solo circa la natura umana e il suo destino, ma offre anche una com-prensione più ampia proprio alla luce dell’incarnazione e degli inse-gnamenti di Gesù. Infatti, Cristo è il nuovo capostipite della razzaumana, dal momento che Adamo «è la figura di colui che doveva veni-re» (Rm 5:14). Mentre nell’Antico Testamento la natura umana è fon-damentalmente collegata con Adamo in virtù della creazione e dellacaduta, nel Nuovo Testamento la stessa è messa in relazione con Cristoin virtù della sua incarnazione e redenzione. Cristo costituisce la pie-nezza della rivelazione circa la natura umana, il suo significato e il suodestino. Cristo dà un significato più profondo all’anima, al corpo e allospirito umano, perché l’effetto immediato della sua redenzione è costi-tuito dalla donazione del suo Spirito che «dimora con voi e sarà in voi»(Gv 14:17).

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Capitolo 6

Che cos’è la psyche?

La parola greca psyche, anima, è usata nel Nuovo Testamento secondoi significati propri dell’ebraico nefesh che abbiamo già esaminato alcapitolo 2. Vale la pena considerare brevemente il significato di psyche,ponendo particolare attenzione al significato più ampio del termine,alla luce degli insegnamenti e della redenzione di Cristo.

È la persona interaL’anima psyche nel Nuovo Testamento indica l’intera persona nellostesso modo in cui nefesh la indica nell’Antico Testamento. Per esem-pio, nella sua difesa davanti al Sinedrio, Stefano menziona che «settan-tacinque anime (psyche)» della famiglia di Giacobbe scesero in Egitto(At 7:14), figura e usanza, queste, presenti nell’Antico Testamento (cfr.Gn 46:26, 27; Es 1:5; Dt 10:22). Nel giorno della Pentecoste, «tremilaanime (psyche)» (Atti 2:41) furono battezzate e «ogni anima (psyche)»era presa da timore (At 2:43). Parlando della famiglia di Noè, Pietrodice «otto anime (psyche) furono salvate attraverso l’acqua» (1 Pt 3:20).

È evidente in testi come questi, che il termine anima è usato comesinonimo di persona. In questo contesto, merita considerare la notapromessa di Cristo del riposo per le «anime» di coloro che accettano ilsuo giogo (Mt 11:28). L’espressione «riposo per le vostre anime» derivada Geremia 6:16, in cui il riposo per l’anima è promesso a quanti cam-minano secondo i comandamenti di Dio. Circa il riposo che Cristo offreall’anima, Edward Schweitzer dice: «siamo assai lontani dalla mentali-tà greca, secondo la quale l’anima trova riposo quando è liberata dalcorpo. Qui è mantenuta ferma l’unità e la totalità dell’uomo. Proprionel suo corporeo agire in ubbidienza l’uomo troverà il riposo in Dio».92

92 E. SCHWEITZER, voce «Psyche» in G. KITTEL, G. FRIEDRICH, Grande Lessico del NuovoTestamento, Brescia, Paideia, 1988, vol. XV, col. 1247.

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Capitolo 6

Cristo dà riposo (pace interiore e armonia) alle anime di quantiaccettano la sua grazia e la sua salvezza («venite a me») e vivono secon-do i principi di vita che egli ha insegnato e vissuto («imparate da me»).

È vitaLa traduzione più frequente della parola psyche nel Nuovo Testamentoè «vita» (46 volte),93 In questi casi psyche si riferisce alla vita fisica. Nelpieno della tempesta, Paolo rassicura i membri della nave che «non visarà perdita della vita per nessuno di voi ma solo della nave» (At 27:22;cfr. 27:10). In questo contesto, psyche è correttamente tradotto «vita»perché Paolo sta parlando della perdita di vite umane. Un angelo dissea Giuseppe: «Alzati, prendi il bambino e sua madre, e va’ nel paesed’Israele; perché sono morti coloro che cercavano di uccidere il bam-bino» (Mt 2:20). Questi sono alcuni dei numerosi testi che fanno riferi-mento alla ricerca, alla soppressione e alla salvezza dell’anima e cheaiutano a capire che l’anima non è una parte immortale della naturaumana, ma la vita fisica stessa, esposta ai pericoli. Come nell’AnticoTestamento anche la psyche smette di esistere quando il corpo muore.

Gesù associava l’anima con il cibo e le bevande: «Non siate in ansiaper la vostra vita (psyche), di che cosa mangerete o di che cosa berre-te; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita (psyche) piùdel nutrimento, e il corpo più del vestito?» (Mt 6:25). Qui l’anima èassociata al nutrimento e ai vestiti (per coprire il corpo). Associandol’anima con cibo e bevande, Gesù mostra come essa includa l’aspettofisico della vita, anche se ritiene che la vita valga più del cibo e dellebevande. I credenti possono elevare i propri desideri e pensieri versole cose celesti e meditare sulla vita eterna. In questo modo, Gesù haesteso il significato dell’anima alla ricerca di un senso più elevato, cioèla vita eterna che in lui è stata donata all’umanità. Rimane il fatto, però,che associando l’anima agli alimenti e alle bevande, Cristo mostracome l’anima costituisca l’aspetto fisico dell’esistenza e non una com-ponente immateriale della nostra natura.

Salvare l’anima perdendolaAbbiamo già trovato nell’Antico Testamento l’uso di nefesh associatofrequentemente all’incertezza della vita, al rischio di ricevere undanno e perfino alla distruzione. Gli antichi israeliti erano preoccupa-

93 Dato fornito da B.F.C. ATKINSON, Op.cit., p. 14.

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ti della salvezza, liberazione, restaurazione e sicurezza dell’animacome anche di sostenerla con il cibo. In un simile contesto, i giudeidovevano provare imbarazzo nell’udire Cristo affermare: «Chi vorràsalvare la sua vita (psyche), la perderà; ma chi perderà la sua vita(psyche) per amor mio e del vangelo, la salverà» (Mc 8:35; cfr. Mt 16:25;10:39; Lc 9:24; 17:33; Gv 12:25).

L’impatto sui giudei dell’affermazione di Cristo deve essere statoenorme, visto che aveva l’audacia di proclamare che le loro animepotevano essere salvate solo se fossero state perse per causa sua. Ilparadosso della salvezza dell’anima dopo averla persa era sconvolgen-te per i giudei perché esso è assente nell’Antico Testamento. Cristo conla sua vita ha dimostrato in maniera concreta il proprio insegnamento,concludendo la sua vita mediante la crocifissione. Egli venne «per darela sua vita (psyche) come prezzo di riscatto per molti» (Mt 20:28). Comeil buon pastore, «dà la sua vita per le pecore» (Gv 10:11).

L’insegnamento di Gesù secondo cui per salvare la propria vitabisogna essere disposti a rinunciare a essa permette al Maestro diampliare il concetto di nefesh degli scritti ebraici. L’anima è sì la vitafisica, ma Gesù vi include la vita eterna che è offerta a coloro che sonodisposti a donare la propria esistenza (anima), per causa sua.

L’evangelista Giovanni conferma questo significato ampliato dianima: «Chi ama la sua vita (psyche), la perde, e chi odia la sua vita(psyche) in questo mondo, la conserverà in vita eterna» (Gv 12:25). Lacorrelazione fra «questo mondo» e «vita eterna» indica come il termineanima sia applicato a entrambi i riferimenti: vita terrena e vita eterna.La comprensione di Giovanni delle parole di Gesù dimostra che l’ani-ma non debba essere considerata immortale, «altrimenti» affermaEdward Schweitzer, «non potremmo essere invitati a odiarla. Psycheresta la vita che è data all’uomo da Dio, ma che poi dal comportamen-to dell’uomo di fronte a Dio riceve il suo carattere mortale o eterno…Quindi non si parla mai della psyche aionios o athanatos (anima eter-na o immortale), ma solo della psyche (anima) dotata e preservata daDio per la zoe aionios (vita eterna)».94

Il significato dell’anima come vita eterna è presente anche in Luca21:19, dove Cristo dice: «Con la vostra costanza salverete le vostre vite(psyche)». Il contesto indica come Cristo non stia parlando della con-servazione della vita terrena giacché predice che alcuni suoi seguaci

94 E. SCHWEITZER, Art. cit., col. 1259.

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saranno traditi e uccisi (v. 16). Qui psyche è da comprendere come lavita eterna ottenuta da quanti vogliono impegnarsi totalmente, sacrifi-candosi per Cristo. La promessa che la vita sarà salva quando è spesaper Cristo mostra la vita autentica che egli offre a coloro che lo accet-tano come personale Salvatore. La vita in Cristo non è diversa dalla vitanaturale perché è quella vissuta da quanti sono liberati dal pensiero diconservarla. Si tratta di una vita libera, pienamente realizzata ricca disignificato e che porta a compimento l’esistenza biologica stessa.Questo è il significato più ampio che Cristo dà all’anima; beninteso èassente la nozione di un’anima immateriale e immortale coesistentecon il corpo.

La chiesa apostolica ha annunciato il senso ampliato dell’anima,vivendo e consacrandosi totalmente al Salvatore. Giuda e Sila sono statiuomini che «hanno messo a repentaglio la propria vita (psyche) per ilnome del Signore nostro Gesù Cristo» (At 15:26). Epafrodito ha rischia-to «la propria vita (psyche)» per il servizio di Cristo (Fil 2:30). Lo stessoapostolo Paolo ha detto: «Ma non faccio nessun conto della mia vita(psyche), come se mi fosse preziosa, pur di condurre a termine [congioia] la mia corsa e il servizio affidatomi dal Signore Gesù, cioè ditestimoniare del vangelo della grazia di Dio» (At 20:24). Se Paolo fossestato convinto dell’immortalità dell’anima è molto improbabile che l’a-vrebbe vista quasi senza valore e degna di essere persa a causa delVangelo. Questi testi mostrano che la chiesa apostolica accettava prati-camente il significato ampio dell’anima, vivendo una vita di totaleimpegno e di sacrificio per Cristo. I credenti avevano capito che la loroanima, come vita fisica, poteva essere salvata soltanto consacrandola alservizio di Cristo.

L’errore maggiore che si possa commettere è guadagnare tutto ilmondo e perdere l’anima (psyche) (cfr. Mc 8:36). È questa la vita chetrascende la morte, l’oggetto primario della redenzione (cfr. Eb 10:39;13:17; Gc 1:21; 1 Pt 1:9,22). Mentre il termine «anima» è usato meno fre-quentemente nel Nuovo Testamento rispetto all’Antico, questi passichiave, però, ne indicano un significato più ampio: la vita eterna dona-ta a coloro che sono pronti a dimenticare se stessi e a vivere una vitaconsacrata al Signore.

In rari casi l’anima nefesh è usata nell’Antico Testamento per indi-care la vita che trascende la morte. Un esempio è il Salmo 49:15: «MaDio riscatterà l’anima mia dal potere del soggiorno dei morti, perchémi prenderà con sé». Questo significato di anima intesa come vita oltre

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la morte viene sviluppato dall’insegnamento di Gesù con il perdere etrovare l’anima. La continuità fra la vita presente e quella futura ègarantita non dall’immortalità dell’anima, ma dalla fedeltà a Dio chedarà la vita eterna ai credenti.

La vita fisica e quella eterna non sono due realtà distinte, perchéentrambe sono donate da Dio. L’anima racchiude ambedue perché lavita eterna è la vita fisica vissuta per Dio. Dopo tutto, la vita fisica è l’u-nica forma di esistenza che si conosca, ma il significato ambivalentedell’anima serve a ricordare che la vita umana non è soltanto salute ericchezza, ma vita in relazione con Dio.

Il duplice significato biblico dell’anima come vita fisica ed eternanega la distinzione ellenistica tra corpo e anima, tra vita sulla terra conil corpo e nel cielo con l’anima. Secondo la prospettiva biblica, la vitadel corpo costituisce la vita dell’anima, perché il modo in cui una per-sona vive la vita presente determina il suo destino futuro, vita eterna odistruzione eterna. L’anima, allora, non è una sostanza che sopravvivealla morte del corpo; è la vita che si vive attraverso la grazia di Dio eche sarà rivelata e compiuta da Dio al giudizio finale.

Anima e carneUn testo importante nel Nuovo Testamento pone l’anima psyche inchiara antitesi con la carne sarx. Si trova in 1 Pietro 2:11 dove l’apostolodice: «Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervidalle carnali (sarx) concupiscenze che danno l’assalto contro l’anima(psyche)». Edward Schweitzer afferma che questo è l’uso più ellenisti-co dell’anima nel Nuovo Testamento, dal momento che l’evidente anti-tesi fra l’anima (psyche) e la carne (sarx) può suggerire una compo-nente dualistica della natura umana.95

Uno sguardo più attento al testo mostra come Pietro fosse influen-zato non dal dualismo greco, ma dalla comprensione dell’animadell’Antico Testamento. Nelle Scritture ebraiche abbiamo già visto inquanti modi la nefesh fosse costantemente in pericolo e quanto avessebisogno di essere protetta. Lo stesso tema è presente nell’ammonizio-ne di Pietro. La differenza è che Pietro si riferisce a un nemico che agi-sce sull’anima dall’interno stesso dell’uomo: le passioni carnali cheguerreggiano contro l’anima e inducono la persona a vivere solo persoddisfare gli appetiti fisici.

95 Ibidem, coll. 1263-1264.

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Pietro vede l’anima non come entità immateriale che sopravvivealla morte del corpo, ma come vita della fede santificata dall’ubbidien-za alla verità rivelata di Dio. Riprende il pensiero con queste parole:«Benché non l’abbiate visto, voi lo amate; credendo in lui, benché oranon lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa, ottenendo ilfine della fede: la salvezza delle anime (psyche)» (1 Pt 1:8,9). «Avendopurificato le anime (psyche) vostre con l’ubbidienza alla verità pergiungere a un sincero amor fraterno…» (v. 22). Siccome la salvezza del-l’anima (vita eterna) è il risultato di una vita di ubbidienza fedele allaverità, le passioni carnali minacciano l’anima (vita eterna), perchécausano a una persona di vivere in maniera infedele e disubbidientealla verità. Così, l’antitesi fra la carne e l’anima, in questo passo, è eticae non ontologica; è fra una vita di disubbidienza (carne) e una di ubbi-dienza (anima). Più avanti vedremo in che modo Paolo esprime la stes-sa antitesi nel contrasto tra la carne e lo spirito.

Dio può distruggere l’animaIl senso più ampio del termine anima (psyche) ci permette di com-prendere quel famoso detto di Gesù, troppe volte frainteso: «E nontemete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima(psyche); temete piuttosto colui che può far perire l’anima (psyche) e ilcorpo nella geenna» (Mt 10:28; cfr. Lc 12:4). I dualisti fanno leva suquesto versetto per sostenere l’idea che l’anima è una sostanza imma-teriale che è salvaguardata e sopravvive alla morte del corpo. Robert A.Morey, per esempio, afferma: «Qui Cristo (Mt 10:28) dice chiaramenteche, mentre noi possiamo uccidere e sopprimere la vita fisica di uncorpo, non possiamo uccidere o sopprimere l’anima, e cioè il trascen-dente immateriale, la mente o l’ego. Egli utilizza la dicotomia del corpoanima che si trova in tutta la Scrittura».96

Quest’interpretazione riprende la comprensione dualistica grecadella natura umana e non il concetto unitario delle Scritture. Il riferi-mento alla potenza di Dio per distruggere l’anima (psyche) e il corponella geenna nega la nozione di un’anima immateriale e immortale.Come può l’anima essere immortale se Dio la distrugge con il corpo nelcaso di peccatori impenitenti?

Oscar Cullmann giustamente nota: «Il detto di Gesù, spesso citato(Mt 10:28), non suppone affatto la concezione greca come se l’anima

96 R.A. MOREY, Death and the Afterlife (Minneapolis, 1984), p. 152.

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non avesse necessità del corpo. Il seguito mostra giustamente che talenon è il caso».97 Nel paragrafo precedente abbiamo visto che Cristo haampliato il significato dell’anima psyche per indicare non solo la vitafisica, ma anche la vita eterna, offerta a coloro che credono e stabili-scono un’alleanza con lui. Questo testo, alla luce del significato dato daGesù si può comprendere in questo modo: «Non temete coloro che pos-sono privarvi dell’esistenza terrena (soma) e non possono annullare lavita eterna in Dio (psyche); temete piuttosto Dio che può distruggereper sempre il vostro essere intero».

La morte dell’animaL’insegnamento di Cristo difficilmente conduce all’immortalità dell’a-nima. Egli insegna in che maniera Dio può distruggere sia l’anima siail corpo. Edward William Fudge osserva giustamente che «a meno cheGesù stia facendo minacce vane, l’avvertimento stesso implica che Dioeseguirà una tale sentenza su quelli che ostinatamente si ribellano allasua autorità e resistono a ogni proposta di misericordia».98 Fudge con-tinua: «L’avvertimento di nostro Signore è chiaro: la capacità dell’uomodi togliere la vita si limita al corpo e solo nel tempo presente. La morteche l’uomo infligge non è finale, perché Dio chiamerà i morti dallaterra e darà ai giusti l’immortalità. La capacità di Dio di uccidere edistruggere è senza limite, va ben oltre l’aspetto fisico e il presente. Diopuò distruggere il corpo e l’anima, ora e nell’avvenire».99

Luca riporta le parole di Gesù, tralasciando il riferimento all’ani-ma: «Non temete quelli che uccidono il corpo ma, oltre a questo, nonpossono far di più. Io vi mostrerò chi dovete temere. Temete colui che,dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella geenna. Sì, vi dico, teme-te lui» (12:4,5). Luca tralascia l’anima (psyche) e si riferisce invece allapersona intera che Dio può distruggere nella geenna. È possibile chel’omissione del termine anima sia stata intenzionale per impedire unmalinteso nei lettori non ebrei abituati a considerare l’anima come unacomponente indipendente e immortale che sopravvive alla morte. Perrendere chiaro che niente sopravvive alla distruzione di Dio, Lucaomette di parlare dell’anima.

97 O. CULLMANN, Dalle fonti dell’Evangelo alla teologia Cristiana, Roma: AVE, 1971, p.208, nota 21. Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti?, Paideia, Brescia, 1968,p. 36, nota n. 9.98 E.W. FUDGE, The Fire That Consumes, Houston, 1989, p. 173.99 Ibidem, p. 177.

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La conferma di questa interpretazione è fornita in Luca 9:25, dovedi nuovo tralascia il termine anima: «Infatti, che serve all’uomo guada-gnare tutto il mondo, se poi perde o rovina se stesso (eauton)?».Presumibilmente, Luca utilizza il pronome «se stesso» invece dell’ani-ma (psyche), come invece è usato in Marco 8:36, perché quest’ultimadefinizione, come suggerisce Edward Schweitzer, «potrebbe essereerroneamente intesa come punizione dell’anima dopo la morte»;100

usando invece il pronome «se stesso», Luca intende la parola di Gesùcome riferita alla perdizione dell’intera persona.

Quando si tiene presente il concetto di anima così come Cristo loha ampliato, allora il significato delle sue parole diventa più chiaro.Uccidere il corpo significa togliere la vita presente sulla terra. Ma que-sto non uccide l’anima, cioè la vita eterna ricevuta da quelli che hannoaccettato la salvezza di Cristo. Togliere la vita presente significa mette-re una persona a dormire, ma una persona non è totalmente distruttafino alla «morte seconda», l’espressione biblica più simile a ciò checomunemente si chiama «inferno».

Il significato delle parole di Gesù (cfr. Mt 10:28), è illustrato dallasua dichiarazione in merito alla figlia di Iairo: «La bambina non èmorta, ma dorme» (Mt 9:24). In realtà, era effettivamente morta («ucci-dere il corpo») ma, siccome doveva svegliarsi alla risurrezione, si pote-va giustamente dire che dormisse. Nello stesso modo, tutti i defuntisono in attesa del loro destino finale: se hanno vissuto in favore o con-tro Cristo Gesù essi potranno ottenere la salvezza eterna o la perdizio-ne eterna. Quest’ultima costituisce la distruzione del corpo e dell’ani-ma nella geenna di cui parla Gesù.

La conservazione dell’anima nell’insegnamento di Gesù non è unprocedimento automatico insito nella potenza dell’anima stessa, ma undono di Dio a coloro che sono pronti a sacrificare la loro anima (la vita)per lui. In questo modo l’anima è strettamente collegata al carattere oalla personalità del credente.

Persone o potenze malvagie possono distruggere il corpo, cioè lavita fisica, ma non possono distruggere l’anima, il carattere o la perso-nalità di un credente. Dio ha impegnato se stesso nel conservare l’in-dividualità, la personalità e il carattere di ogni credente. Alla sua venu-ta, Cristo risusciterà quelli che sono morti in lui, restaurando la loroanima, il loro carattere e la loro personalità.

100 E. SCHWEITZER, Art. cit., col. 1265.

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L’anima di un corpo mortoEsaminiamo ora l’affermazione di Paolo, spesso male interpretata,circa la risurrezione di Eutico. Durante una riunione serale a Troas incui Paolo si dilungava, un giovane di nome Eutico, seduto sul davan-zale di una finestra, si addormentò, cadde dal terzo piano e morì. «MaPaolo scese, si gettò su di lui, e, abbracciatolo, disse: “Non vi turbate,perché è ancora in vita” (psyche)» (At 20:10). Questo fatto è simile aquello avvenuto ai tempi di Elia (1 Re 17:17) e più tardi al tempod’Eliseo (2 Re 4:32,36): entrambi si distesero su un bambino senza vitae l’anima (nefesh) ritornò in loro.

I dualisti utilizzano questi episodi per indicare come l’anima siaun’entità indipendente che possa ritornare dopo aver lasciato il corpo.Quest’interpretazione è contraddetta da due importanti considerazioni.La prima è che Paolo, nel caso di Eutico, non riteneva l’anima un’enti-tà immateriale che lasciasse il corpo alla morte. Egli disse: «La suaanima (psyche) è in lui» benché fosse morto. L’anima era ancora inEutico, non perché non l’avesse ancora abbandonato, ma perché,abbracciando il giovane, Paolo sentì che riprendeva a respirare, ritor-nando così alla vita. La seconda è che, per capire ciò che è successo aEutico e ai due bambini risuscitati da Elia e da Eliseo, è necessarioricordare che la Bibbia vede la morte come un fatto opposto a ciò cheè avvenuto alla creazione. Alla creazione, l’uomo divenne un’animavivente quando il corpo, tratto dalla polvere della terra, iniziò a respi-rare, grazie al soffio divino, l’alito vitale. Alla morte, una persona cessadi essere un’anima vivente quando la persona rende l’ultimo respiro eritorna alla polvere. Nel caso di Eutico e dei due bambini, il respiromiracolosamente ritornò in loro e tornarono a essere persone viventi.

Paolo e l’animaIn confronto all’Antico Testamento, o persino ai vangeli, l’uso del ter-mine anima è raro negli scritti di Paolo che lo usa solo tredici volte101

101 «Sorprende in Paolo il raro uso di psyche. La sua mentalità non è né greca da far-gli adottare la dottrina ellenistica dell’anima, né non greca da fargli dimenticare chenell’ambito della cultura greca psyche significa qualcosa di diverso di nefesh». Ibidem,coll. 1268, 1269. Così si è espresso anche T. Hoff: «Paolo non ha mai utilizzato il termi-ne psyche per indicare una vita che sopravvive al corpo… perché sapeva come questaconcezione era stata distorta nel tempo. Egli sapeva che la tradizione platonica avreb-be potuto creare una gran confusione nella mente dei non ebrei («Nefesh and theFulfillment it Receives as Psyche» in Toward a Biblical View of Man: Some Readings,ed. Arnold H. De Graff and James H. Olthuis, Toronto, 1978, p. 114.

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(incluse le citazioni dell’Antico Testamento), per riferirsi alla vita fisi-ca (cfr. Rm 11:3; Fil 2:30; 1 Ts 2:8), a una persona (cfr. Rm 2:9; 13:1) ealla sede della vita emotiva (cfr. Fil 1:27; Col 3:23; Ef 6:6). Paolo non uti-lizza mai psyche per designare la vita dopo la morte, questo per evita-re che il termine anima potesse essere frainteso dai convertiti prove-nienti dal mondo ellenistico che credevano nell’immortalità innata.

Per essere certo che la nuova vita in Cristo sarebbe stata vista inte-ramente come un dono divino e non come qualcosa di innato, Paolousa il termine spirito (pneuma), invece di anima (psyche).

Nel capitolo successivo, vedremo l’uso che Paolo fa del termine«spirito». L’apostolo certamente riconosce una continuità fra la vitapresente e quella della risurrezione, tuttavia, siccome la vede come undono di Dio e non come un qualcosa insito nella natura umana, prefe-risce il termine spirito.102

Nel suo famoso brano circa la risurrezione (1 Cor 15), Paolo utiliz-za il concetto di anima secondo il significato dell’Antico Testamento divita fisica. Egli sostiene che il primo Adamo divenne «un’anima(psyche) vivente» e l’ultimo Adamo (Cristo) uno «spirito (pneuma) vivi-ficante». Paolo applica la stessa distinzione tra il corpo presente e quel-lo della risurrezione. Egli scrive: «È seminato corpo naturale (psychi-kon) e risuscita corpo spirituale (pneumatikon). Se c’è un corpo natu-rale, c’è anche un corpo spirituale (1 Cor 15:44). Il corpo presente èpsychikon, letteralmente «come l’anima» (da psyche ), un organismofisico soggetto alla legge del peccato e della morte. Il corpo futuro dopola risurrezione è pneumatikon, letteralmente «spirituale» (da pneuma),un organismo controllato dallo Spirito di Dio.

Il corpo risuscitato è chiamato «spirituale», non perché sia non fisi-co, ma perché è governato dallo Spirito Santo invece che dagli impulsicarnali. Questo diventa evidente quando si vede come Paolo applichi lastessa distinzione fra il naturale psychikos e lo spirituale pneumatikosalla vita presente (1 Cor 2:14,15). Qui Paolo distingue fra l’uomo natu-rale psychikos, che non è guidato dallo Spirito di Dio, e l’uomo spiri-tuale (pneumatikos), che è guidato, invece, dallo Spirito di Dio.

Nessuna immortalità naturaleÈ evidente che per Paolo la continuità fra il corpo presente e quellofuturo deve essere trovata non nel significato dell’anima, come ripor-

102 G. CALVINO, Istituzione della religione Cristiana, I, XV, 6 Op.cit., p. 299.

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tato dai vangeli, ma nel compito dello Spirito di Dio che rinnova la vita,ora e alla risurrezione. Nell’esaltare la funzione dello Spirito, Paolonega l’immortalità dell’anima. Per lui è molto importante affermare l’i-dea che la nuova vita del credente, nel tempo presente e nel futuro, siainteramente un dono dello Spirito di Dio. L’uomo non è in possessodella scintilla immortale della vita.

La stessa espressione «immortalità dell’anima» non appare nellaScrittura. La parola greca che comunemente traduce «immortalità» èathanasia. Questo termine appare solo due volte nel Nuovo Testamento;la prima volta è riferita a Dio, «il solo che possiede l’immortalità (atha-nasia) e che abita una luce inaccessibile; che nessun uomo ha visto népuò vedere» (1 Tm 6:16). Ovviamente qui immortalità significa più del-l’esistenza eterna. Paolo afferma che Dio è la fonte di vita (cfr. Gv 5:26)e che tutti gli altri esseri ricevono la vita eterna solo da lui.

La seconda volta appare in 1 Corinzi 15:53,54 in relazione allanatura mortale dell’uomo che si riveste di immortalità alla risurrezio-ne: «Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e chequesto mortale rivesta immortalità (athanasia). Quando poi questocorruttibile avrà rivestito incorruttibilità e questo mortale avrà rivesti-to immortalità (athanasia), allora sarà adempiuta la parola che è scrit-ta: “La morte è stata sommersa nella vittoria”».

Paolo qui non sta parlando di alcuna immortalità naturale dell’a-nima, bensì della trasformazione dalla mortalità all’immortalità che icredenti sperimenteranno quando Cristo ritornerà. Le implicazioni diquesto passo sono chiare: la natura umana non è dotata di nessunaforma di immortalità naturale, perché essa è deperibile e mortale.L’immortalità non è una caratteristica presente; è un dono che saràofferto ai credenti alla venuta di Cristo.

Nella filosofia di Platone, l’anima è considerata indistruttibile, per-ché partecipa a una sostanza non creata ed eterna che il corpo non pos-siede. È sconfortante notare come questo concetto dualistico di Platonepossa aver offuscato persino il pensiero di un grande riformatore comeCalvino, che afferma «sarebbe follia rivolgersi ai filosofi per avere unadefinizione sicura dell’anima dato che nessuno di loro, eccettuatoPlatone, ne ha mai affermato esplicitamente l’essenza immortale».103

Egli insiste, dicendo: «Abbiamo più sopra insegnato con la Scrittura chesi tratta di una sostanza senza corpo. Bisogna ora aggiungere che, seb-

103 Ibidem, p. 300.

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bene non possa essere contenuta in un luogo, tuttavia deposta e allog-giata com’è nei corpi essa vi abita come in un domicilio, non solo perdare vigore alle membra e rendere gli organi esterni adatti e utili alleloro azioni, ma anche per tenere il primo posto nel governare la vitadell’uomo, non solo con rispetto ai doveri della sua vita terrena, maanche per svegliarlo e guidarlo a temere Dio».104

È difficile credere che uno studioso della Bibbia diligente comeCalvino possa aver frainteso i suoi insegnamenti in merito alla naturaumana. Questo dovrebbe far ricordare quanto facilmente la menteumana possa essere condizionata dall’errore, ingannandosi così neldiscernere la verità biblica. Nella Bibbia, l’anima non è una «sostanzaincorporea e immortale»; la vita fisica è rigenerata, creata, sostenuta daDio, dal quale dipende per la sua esistenza.

Non c’è nessuna qualità intrinseca nella natura umana che possarendere una persona indistruttibile. La speranza cristiana è basata nongià sull’immortalità dell’anima, ma sulla risurrezione del corpo. Se sivuole usare la parola «immortalità» con riferimento alla natura umana,si deve allora parlare non dell’immortalità dell’anima, ma piuttostodell’immortalità del corpo (l’intera persona) attraverso la risurrezione.È la risurrezione che offre il dono dell’immortalità al corpo, e quindi, atutta la persona del credente.

L’uomo, un essere mortaleLa definizione di Paolo del corpo presente come psychikon, cioè cor-ruttibile e mortale, mostra chiaramente come egli identificasse l’animacon l’aspetto fisico e mortale dell’esistenza umana. Questo è in accor-do con l’insegnamento dell’Antico Testamento circa l’anima, intesacome aspetto fisico e mortale della vita. È evidente che l’immortalitàdell’anima sia totalmente assente dagli insegnamenti di Paolo e del-l’intera Bibbia, ma questa definizione dell’anima propone un proble-ma: come si può conciliare la nozione che gli esseri umani siano dinatura mortale con l’affermazione di Paolo in Romani 5:12, che lamorte è entrata in questo mondo «attraverso il peccato», e non a causadella natura umana mortale e fisica?

La soluzione di quest’apparente contraddizione si risolve ricono-scendo, come dichiara H. Wheeler Robinson, che «Paolo concepiscel’uomo come un essere mortale nella sua natura originale, ma con la

104 H.W. ROBINSON, Op. cit., p. 122.

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prospettiva dell’immortalità, persa dopo l’uscita dall’Eden, dove c’eral’albero della vita, quello che avrebbe nutrito la sua immortalità; così,venne la morte attraverso il peccato».105

Paolo non spiega come l’uomo, attraverso la disubbidienza, abbiaperso la possibilità di diventare immortale. Il suo interesse è di mostra-re come Cristo redima gli uomini dalla tragica conseguenza del pecca-to: la morte. Gli insegnamenti di Paolo, in ogni modo, testimoniano ciòche sentiva come due verità complementari: l’attuale mortalità dellanatura umana da una parte e la giustizia di quella mortalità vista comepunizione per la disubbidienza umana.

Anima e spiritoLa distinzione tra anima e spirito appare in altri due importanti passinel Nuovo Testamento che si devono brevemente considerare: 1Tessalonicesi 5:23 ed Ebrei 4:12. Scrivendo ai tessalonicesi, Paolo dice:«Or il Dio della pace vi santifichi egli stesso completamente; e l’interoessere vostro, lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibi-le per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1 Ts 5:23).

Alcuni si appellano a questo testo per sostenere che l’uomo allacreazione sia stato formato come un essere avente un corpo, un’animae uno spirito, ciascuno come entità separata. I cattolici riducono i treelementi a due, unendo lo spirito con l’anima. Il nuovo Catechismodella Chiesa Cattolica fa riferimento a questo testo affermando che«“Spirito” significa che sin dalla sua creazione l’uomo è ordinato al suofine soprannaturale, e che la sua anima è capace di essere gratuita-mente elevata alla comunione con Dio».106

Per i cattolici, lo spirito e l’anima sono essenzialmente uno, perchéè lo spirito che crea ogni anima come entità spirituale e immortale. IlCatechismo si esprime così: «La Chiesa insegna che ogni anima spiri-tuale è creata direttamente da Dio - non è “prodotta” dai genitori - edè immortale: essa non perisce al momento della sua separazione dalcorpo nella morte…».107

Questo insegnamento tradizionale cattolico non tiene conto del-l’insegnamento biblico della natura umana. Secondo la Bibbia, l’animanon è una sostanza immortale che si separa dal corpo alla morte; è la

105 Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria vaticana, Città del Vaticano, 1992, pp.106,107, n° 367.106 Ibidem, p. 106, n° 366.107 E. SCHWEITZER, Art. cit., coll. 1277,1278.

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vita fisica e mortale che può diventare immortale per chi accetta ildono di Dio della vita eterna. Affermare che lo Spirito sia subordinatoalla natura «spirituale» e immortale dell’anima significa ignorare cheuno dei compiti dello Spirito di Dio è di dare vita ai nostri corpi morta-li: «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi,colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostricorpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8:11).

Per prima cosa, è opportuno osservare che in 1 Tessalonicesi 5:23,non si tratta di un’affermazione dottrinale ma di una preghiera. Paoloauspica che i membri di Tessalonica possano esser totalmente santifi-cati e conservati irreprensibili fino alla venuta di Cristo. È evidente chequando l’apostolo prega che lo spirito, l’anima e il corpo dei tessaloni-cesi possano essere conservati irreprensibili, non tenta di frazionare lanatura umana in tre parti, più di quanto Gesù non intendesse frazio-nare la natura umana in quattro parti quando disse: «Ama dunque ilSignore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tuttala mente tua, e con tutta la forza tua» (Mc 12:30).

«Spirito, anima e corpo»La chiave per capire l’espressione di Paolo «spirito, anima e corpo» di1 Tessalonicesi 5:23 è data dal fatto che l’apostolo si rivolge a credenticristiani che, mentre sono ancora nella carne (corpo), possiedono duenature: la natura originale adamitica ricevuta alla nascita (l’anima) ela nuova natura spirituale creata dentro di loro attraverso la potenzadello Spirito. La natura adamitica, come detto sopra, è chiamata«anima» e indica i vari aspetti della vita fisica associati, nella Bibbia,con l’anima. La natura spirituale è chiamata «spirito» perché è loSpirito di Dio che rinnova e trasforma la natura umana. Il corpo è,naturalmente, la parte esteriore visibile della persona. Così Paolo invi-ta i tessalonicesi a mantenere:

- la loro anima perfetta e irreprensibile per la venuta di Cristo,vivere non solo per la vita fisica (cfr. Mt 6:25; At 20:24), minacciata dallamorte, ma anche per la vita più elevata, eterna, che trascende la morte;

- il loro corpo perfetto e irreprensibile, a non «adempiere ai desi-deri della carne» (Gal 5:16), o produrre le «opere della carne»: fornica-zione, impurità e dissolutezza (Gal 5:19).

- lo spirito perfetto e irreprensibile, essere guidati dallo Spirito(Gal 5:18) e portare il «frutto dello Spirito»: amore, gioia, pace, pazien-za, gentilezza, bontà, fedeltà (Gal 5:22).

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La preghiera di Paolo ai tessalonicesi non intende elencare le partidella natura umana, ma porre l’accento sullo stile di vita di coloro cheaspettano la venuta di Cristo. La distinzione tra i tre elementi è di natu-ra etica e non ontologica.

Il secondo testo dove appare lo stesso contrasto fra anima e spiritosi trova in Ebrei 4:12: «Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, piùaffilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a divide-re l’anima (psyche) dallo spirito (pneuma), le giunture dalle midolla;essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore».

La questione è sapere se la Parola di Dio separi l’anima e lo spiri-to o trafigga entrambi. Edward Schweitzer osserva: «Dato che la sepa-razione di giunture e midollo è difficile da immaginare, il testo proba-bilmente significa che la parola pervade lo pneuma e la psiche comegiunture e midollo».108

Tenendo presente che l’anima e lo spirito indicano rispettivamen-te gli aspetti fisici e spirituali della vita umana, il testo afferma che laParola di Dio penetra e scruta l’intera esistenza umana, persino la stes-sa interiorità del nostro essere. Lo studio della Scrittura rivela che idesideri, le aspirazioni, le emozioni e i pensieri possono essere ispira-ti dallo Spirito di Dio o da aspirazioni carnali ed egoistiche. Il testo dicesemplicemente che la Parola di Dio penetra i recessi più intimi delnostro essere, portando alla luce i motivi segreti delle nostre azioni.

In un certo senso, questo passo è simile a quello che Paolo scrivein 1 Corinzi 4:5: «Il Signore metterà in luce quello che è nascosto nelletenebre e manifesterà i pensieri dei cuori; allora ciascuno avrà la sualode da Dio».

Quindi, non c’è nessuna ragione di interpretare Ebrei 4:12 comeuna distinzione strutturale nella natura umana fra anima e spirito.

Ancora una volta giungiamo alla conclusione che anche quei braniche distinguono l’anima e lo spirito non hanno niente a che vedere conl’immortalità dell’anima. Certo non vogliono dire che un elementopossa sopravvivere alla separazione dell’altro alla morte o che si riferi-scano a sostanze diverse. Al contrario, la funzione dello Spirito di Dio,la Persona divina che opera il rinnovamento morale in questa vita pre-sente e alla risurrezione, alla vita eterna, nega la nozione dell’immor-talità dell’anima perché la vita eterna è quella che sarà data dalloSpirito di Dio alla venuta di Cristo.

108 E. Schweitzer, Art. cit., coll. 1277,1278.

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Ragione e sentimentoIl termine anima (psyche) è generalmente utilizzato nel Nuovo Testa-mento per precisare che la vita fisica può diventare «vita eterna» quan-do è vissuta con fede per Cristo. Esistono pochi casi in cui il terminepsyche è usato come sede del sentimento e sorgente dei pensieri edelle azioni.

I cristiani di Antiochia erano turbati da insegnamenti erroneiimpartiti da persone che sconvolgevano le loro «anime» (psyche) (At15:24). «Anima» in questo caso si riferisce alle menti di questi credenticonfusi in seguito a falsi insegnamenti.

Un uso simile del termine, si trova in Giovanni 10:24, dove i giudeichiedono a Gesù: «Fino a quando terrai sospeso l’animo (psyche)nostro? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente». Qui «l’anima» rappre-senta la mente che prende decisioni a favore o contro Cristo. L’animacome mente può essere influenzata dal bene o dal male. Così, si legge,che Paolo e Barnaba vennero ad Antiochia «fortificando gli animi(psychas) dei discepoli, esortandoli a perseverare nella fede» (At 14:22).In questo caso, gli animi, sono i discepoli incoraggiati a pensare e amanifestare i loro sentimenti.

In Luca 12:19, si trova un esempio interessante dove il termineanima è riferito a entrambe le attività, fisiche e psichiche. L’uomo riccola cui terra ha prodotto abbondantemente disse: «Dirò all’anima mia:“Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia,bevi, divertiti”». Benché l’enfasi sia posta maggiormente sull’aspettofisico della vita, come mangiare, bere, essere felice, il fatto che l’animaesprima soddisfazione di sé, suggerisce chiaramente anche una fun-zione psichica. In questo brano, Dio pronuncia il suo giudizio su que-st’anima così soddisfatta di sé: «Ma Dio gli disse: “Stolto, questa stessanotte l’anima tua ti sarà ridomandata”» (Lc 12:20). Il testo suggerisceche tanto la vita quanto la morte dell’anima costituiscono finalmente,il dono o la punizione di Dio.

I vangeli sinottici riportano le note parole di Gesù nelle quali l’a-nima è utilizzata come un perfetto sinonimo di cuore: «Ama il SignoreDio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima (psyche), con tuttala tua mente e con tutta la tua forza» (cfr. Mc 12:30; cfr. Mt 22:37; Lc10:37). In queste parole, riprese da Deuteronomio 6:5, il cuore, l’anima,la mente e la forza, sono usati per esprimere l’impegno d’amore tantorazionale quanto emotivo verso Dio.

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ConclusioneL’uso del termine «anima» nel Nuovo Testamento indica che non esistealcun fondamento biblico per il concetto di un’entità incorporea eimmortale che sopravvive alla morte del corpo. Non solo il NuovoTestamento nega la nozione di immortalità dell’anima, ma mostrachiaramente come la psyche indichi la vita fisica, emotiva e spiritualenella sua globalità. L’anima è la persona intesa come essere vivente,con la propria personalità, i propri appetiti, le proprie emozioni e leproprie abilità di pensiero. L’anima descrive l’intera persona vivente eper questo è inseparabile dal corpo.

Si è trovato, inoltre, che benché Cristo abbia ampliato il significa-to dell’anima psyche includendovi l’idea del dono della vita eternaofferta a quanti sono pronti a sacrificare la loro vita terrena per lui, nonha, però, mai alluso a un’anima incorporea e immortale. Al contrario,Gesù ha insegnato che Dio può distruggere tanto l’anima quanto ilcorpo dei peccatori impenitenti (cfr. Mt 10:28).

Neppure Paolo usa il termine psyche per indicare la vita oltre lamorte. Al contrario, identifica l’anima con il nostro organismo fisico(psychikon) che è soggetto alla legge del peccato e della morte (1 Cor15:44). Per essere certo che anche i credenti provenienti dal mondonon ebraico capissero che non c’è nulla di immortale nella naturaumana, Paolo utilizza il termine «spirito» (pneuma) per descrivere lanuova vita in Cristo che il credente riceve come dono dello Spirito diDio sia ora, sia alla risurrezione.

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Quello che è vero per l’anima lo è anche per lo spirito umano. La venu-ta di Cristo ha contribuito a rivelare il significato e la funzione piùampia, rispetto all’Antico Testamento, di spirito ruach nella redenzionedell’uomo. Il significato di spirito (pneuma) come principio di vitainclude altresì l’esperienza della vita nuova, della rigenerazione mora-le, tramite la redenzione di Cristo.

Lo spirito (pneuma) è sinonimo di psyche. I due vocaboli sono spes-so intercambiabili tanto nell’Antico Testamento quanto nel Nuovoanche se sono evidenti delle differenze: «Spirito» è frequentementeusato per indicare Dio, mentre il termine «anima», non è mai usato inquesto senso. L’uso dei due termini, però, privilegia «spirito» per indi-care prevalentemente la persona orientata verso Dio, mentre «anima»è la persona orientata verso il prossimo. Volendo spiegare tutto questocon altre parole, si potrebbe dire che l’anima generalmente descrivel’aspetto fisico della natura umana, mentre lo spirito quello spiritualedella vita interiore che lega un individuo al mondo eterno.

Per capire il significato e la funzione di spirito (pneuma) dellanatura umana nel Nuovo Testamento, è importante capire prima ilruolo dello Spirito nella vita e nel ministero di Cristo.

Cristo, uomo dello SpiritoLe Scritture cristiane identificano Cristo, nell’opera della salvezza, conlo Spirito. Come il secondo Adamo, Cristo è diventato uno «spirito vivi-ficante» (1 Cor 15:45). Lo Spirito di Dio diventa lo Spirito di Cristo: «Dioha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: «Abbà,Padre» (Gal 4:6). Lo «Spirito di Dio» che dimora nei credenti, è vistocome lo «Spirito di Cristo» (Rm 8:9,10). Lo Spirito è così intimamente

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connesso con la vita e il ministero di Cristo, che Paolo può dire: «IlSignore è lo Spirito» (2 Cor 3:17).

Lo Spirito che dimora in Cristo abita anche nella persona che è «inCristo» (Rm 8:2). Egli stesso rende testimonianza al nostro spirito chesiamo figli di Dio (Rm 8:16). L’effetto immediato della redenzione è ildono dello Spirito che «…dimora in voi e sarà con voi» (Gv 14:17). LoSpirito che dimora in un credente non è la presenza autonoma di un’a-nima immortale, ma la potenza divina che rigenera la vita presente ecrea una nuova creatura (cfr. Rm 7:6; Gal 6:8).

Cristo è l’uomo dello Spirito per eccellenza. È stato concepito dalloSpirito (Mt 1:18, 20; Lc 1:25). Al suo battesimo, lo Spirito è disceso su dilui sotto forma di una colomba (Mc 1:10; At 10:38). Dopo il suo battesi-mo, è stato condotto «dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni, doveera tentato dal diavolo» (Lc 4:1,2; Mt 4:1). Dopo la tentazione, Gesù,«nella potenza dello Spirito, se ne tornò in Galilea» (Lc 4:14). Nel suodiscorso inaugurale, pronunciato nella sinagoga di Nazaret, Cristoapplicò a se stesso la profezia d’Isaia circa l’unzione dello Spirito delMessia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; perciò mi ha unto perevangelizzare i poveri… “Oggi, si è adempiuta questa Scrittura, che voiudite”» (Lc 4:18,21). Mediante la potenza dello Spirito Santo, Cristo «èandato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti quelli che eranosotto il potere del diavolo» (At 10:38).

Spirito di Dio e spirito dell’uomoIn quale maniera lo Spirito di Dio, mediante Cristo, si rapporta allo spi-rito umano? Qual è la relazione tra lo spirito, principio vitale presentein ogni persona vivente, e lo Spirito, principio rigeneratore della vitamorale nella vita dei credenti? La risposta a queste domande si trovariconoscendo che entrambi gli aspetti fisici, morali e spirituali dellavita, hanno bisogno dello Spirito per la loro esistenza. L’uomo è unessere vivente animato dall’alito dello Spirito di Dio, per questo motivopuò ricevere lo Spirito Santo.

Nell’Antico Testamento si trovano numerosi testi secondo i quali lospirito (ruach) è l’alito di Dio che dà e sostiene la vita umana. La stes-sa funzione dello spirito pneuma è espressa nel Nuovo Testamento. Peresempio, Giacomo dice: «Infatti, come il corpo senza lo spirito (pneu-ma) è morto, così anche la fede senza le opere è morta» (Gc 2:26).Anche Giovanni parla dello spirito (pneuma) di vita che entra nei corpimorti ed essi rivivono e si alzano (cfr. Ap 11:11).

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Ogni essere umano ha lo spirito vivificante di Dio dentro di sé.Quando Gesù risuscitò la figlia di Iairo, «lo spirito di lei ritornò ed ellasi alzò subito» (Lc 8:55). Lo spirito che ritornò era l’alito di vita di Dioe la ragazza tornò a essere una persona vivente.

Lo spirito, come sorgente della vita fisica, è diventato anche sino-nimo di razionalità. È usato per indicare la mente, sede del discerni-mento, del sentimento, della ragione e della disposizione interna o ilcarattere del credente. Questo spiega perché ricorra tante volte il ter-mine «spirito» nell’Antico e nel Nuovo Testamento. «Lo spirito dell’uo-mo è commosso (Ez 2:2) o turbato (Gn 41:8); è volenteroso (Mt 26:41)o indurito (Dt 2:30). Un uomo può essere paziente (Ec 7:8), orgogliosoo povero nello spirito (Mt 5:3). In Proverbi 25:28, si afferma la necessi-tà di governare il proprio spirito. È lo spirito dell’uomo che cerca Dio(Is 26:9), ed è allo spirito dell’uomo che lo Spirito immanente di Diorende testimonianza (Rm 8:16)».109

Attività dello SpiritoSiccome lo spirito costituisce la parte più intima della persona, è dun-que mediante questo che il credente serve Dio (Rm 1:9). La persona èin grado di avere una comunione con Dio (1 Cor 6:17). La preghiera ela profezia sono prerogative dello spirito umano (1 Cor 14:32). La gra-zia di Dio è donata al credente nella sfera dello spirito (Gal 6:18). Il rin-novamento è sperimentato nello spirito (Ef 4:23). «Lo Spirito stessoattesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio» (Rm 8:16).

Entrambi gli aspetti, fisici e psichici della vita, hanno bisogno delloSpirito per la loro esistenza, e così il termine può essere ragionevol-mente applicato a entrambi: il principio generale della vita fisica e ilprincipio rigeneratore della vita morale. La nuova natura è certamen-te un principio di vita nuova, ma anche un principio essenziale di vitamorale che si manifesta in un atteggiamento saggio o anche nel carat-tere. È difficile stabilire l’esatta relazione che sussiste fra lo spiritocome principio di vita e lo spirito come principio rigeneratore della vitamorale. Per esempio, in alcuni passi di Romani 8 non è semplice indi-viduare se «spirito» debba essere scritto con una «esse» maiuscola perdesignare lo Spirito Santo, oppure con una minuscola per riferirsi allospirito umano redento e rinnovato. L’apostolo, forse, voleva che leg-

109 W. WHITE, «Spirit», The Zondervan Pictorial Encyclopedia of the Bible, ed. MerrillC. Tenney, Grand Rapids, 1978, Vol. 5, p. 505.

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gessimo le sue parole nei due modi. I versetti 5 e 9 non perdono nulladel loro significato profondo se avviene questo scambio. «Quelli chesono secondo lo Spirito, pensano alle cose dello Spirito» (Rm 8:5). «Voiperò non siete nella carne ma nello spirito, se lo Spirito di Dio abitaveramente in voi» (Rm 8:9).

La relazione tra i due sembra essere stabilita dal fatto che lo spiri-to che ogni persona possiede come principio vitale,rende capaci i cre-denti di essere ricettivi e sensibili all’opera dello Spirito Santo. In altreparole, è lo spirito come sede della vita psichica e razionale (il sé inte-riore), donato a ogni persona, che rende possibile allo Spirito di Dio didimorare negli esseri umani. W. D. Stacey afferma proprio questoquando dice: «Tutti gli uomini hanno il pneuma (spirito) dalla nascita,ma il pneuma (spirito) cristiano, in comunione con lo Spirito di Dio,assume un nuovo carattere e una nuova dignità (Rm 8:16)».110

Lo spirito dell’uomo riceve lo Spirito di DioLo spirito umano non ha nessuna capacità di rigenerarsi. Non è

una scintilla divina ventilata in una fiamma. Piuttosto, è la capacità cheDio offre a ogni persona per sperimentare la potenza rigeneratrice delsuo Spirito. Quando una persona è rigenerata dallo Spirito di Dio, lasua essenza «naturale» (psychikos) diventa «spirituale» (pneumatikos)(1 Cor 2:14,15). Lo spirito umano che ubbidisce a Dio sperimenta lapotenza propulsiva e trasformatrice dello Spirito di Dio. La comunionecon il Signore si realizza nello spirito umano mediante lo Spirito Santo.

Claude Tresmontant descrive questa funzione dello spirito: «Ilpneuma è ciò per cui siamo capaci di ricevere lo Spirito di Dio e di com-prendere quanto ci comunica e ci dice. Lo spirito nel linguaggio bibli-co è ciò per cui possiamo entrare in relazione con Dio, creatore delmondo».111

Lo spirito umano rende una persona capace di servire Dio, Paolodice: «Dio, che servo nel mio spirito annunziando il vangelo del Figliosuo, mi è testimone…» (Rm 1:9). La frase «servo nel mio spirito» sug-gerisce che lo spirito è la capacità mentale e relativa alla volontà cherende una persona capace di servire Dio. Perché l’uomo è spirito pneu-ma, cioè un essere vivente animato dall’alito di Dio, capace di riceverelo Spirito Santo e vivere in una relazione personale con il Creatore.

110 D.W. STACEY, The Pauline View of Man, London, 1956, p. 135.111 C. TRESMONTANT, Il problema dell’anima, Edizioni Paoline, Roma, 1972, p. 68.

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Henry Barclay Swete spiega: «Lo Spirito Santo non crea lo spiritonell’uomo; esso è potenzialmente presente in ogni uomo, anche serudimentale e incolto. Ogni essere umano ha affinità con le cose spiri-tuali ed eterne. In ogni individuo lo spirito dell’uomo (1 Cor 2:11)risponde allo Spirito di Dio, per quanto un uomo limitato possa corri-spondere con l’infinito… Benché lo Spirito trovi nell’uomo una naturaspirituale sulla quale possa operare, lo spirito umano è però in unacondizione così imperfetta e depravata che si rende necessario uncompleto rinnovamento, persino una ri-creazione (2 Cor 5:17)».112

Permettere allo Spirito di Dio di rinnovare e trasformare la vitanon significa rinunciare alla propria personalità ma portarla a sotto-missione. In linea con l’Antico, il Nuovo Testamento vede la naturaumana come un’unità psicosomatica indissolubile, dove corpo, animae spirito sono parti integranti dello stesso essere. Lo spirito è una forza,inseparabile dal destino e dalla vita (Lc 8:56; 23:46), che rinnova lamente (Ef 4:23) e rende una persona capace di diventare un uomonuovo, «creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che pro-cedono dalla verità» (Ef 4:24).

Spirito e rinnovamento dell’uomoLo Spirito di Dio è attivo nella creazione e nella ri-creazione. Abbiamogià visto come, nell’Antico Testamento, la creazione dell’uomo sia attri-buita allo Spirito di Dio. L’uomo esiste come anima vivente a motivodell’alito di Dio (Gn 2:7). La rinascita spirituale è anche opera delloSpirito, basti ricordare la visione del profeta Ezechiele riguardo alle«ossa secche» che ritornarono in vita grazie allo Spirito di Dio. Le ossasecche rappresentano «tutta la casa d’Israele» (Ez 37:11) nella condi-zione di infedeltà e, per l’azione dello Spirito, avviene il risveglio spiri-tuale: «Metterò in voi il mio spirito, e voi tornerete in vita» (Ez 37:14).

a. Nuova nascita (Giovanni)Nel Nuovo Testamento, il cambiamento radicale della persona è com-piuto dallo Spirito Santo specialmente negli scritti di Giovanni e diPaolo. I due apostoli descrivono questo procedimento in modi diversi ecomplementari. Giovanni concepisce il cambiamento di vita come una«nuova nascita» e Paolo come una «nuova creazione». Le due metaforesono complementari, ognuna presenta aspetti che ci aiutano a capire

112 H.B. SWETE, The Holy Spirit in the New Testament, London, 1910, p. 342.

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la rigenerazione compiuta dallo Spirito Santo. Nel vangelo di Giovanni,Gesù, parlando con Nicodemo, dice: «In verità, in verità ti dico che seuno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio(Gv 3:5). Per Gesù lo Spirito agisce in contrasto con la carne: «Quelloche è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spi-rito» (Gv 3:6).

La nascita fisica avviene secondo la «carne» (kata sarka) e ponel’essere umano su un livello orizzontale circa l’esistenza naturale. Lanascita spirituale viene dall’alto (cfr. Gv 3:3), tramite la potenza delloSpirito, e pone la persona su un piano verticale.

Nella notte della sua risurrezione, Gesù «soffiò su di loro e disse:“Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20:22). Quest’azione, che ha segnato lari-creazione dei discepoli, è parallela alla prima creazione dell’uomo,quando Dio soffiò l’alito di vita. La creazione e la rigenerazione, lanascita e la nuova nascita, sono entrambe azioni dello Spirito. Gesù hainsegnato: «È lo Spirito che vivifica» (Gv 6:63); questo è vero sia per lavita fisica sia per quella spirituale. Se lo Spirito è la sorgente della vitaessa giunge a noi tramite il Signore Gesù: «Se qualcuno ha sete, vengaa me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acquaviva sgorgheranno dal suo seno». Disse questo dello Spirito, che dove-vano ricevere quelli che avrebbero creduto in lui; lo Spirito, infatti, nonera ancora stato dato, perché Gesù non era ancora glorificato» (Gv7:37-39). Cristo è la fonte attiva dello Spirito, perché, attraverso il suosacrificio espiatorio, dona il proprio Spirito vivificante al credente. Perquesto Paolo parla dello «Spirito della vita in Cristo Gesù» (Rm 8:2).

Anche se Giovanni non menziona lo spirito dell’uomo come tale, loconsidera pienamente realizzato dallo Spirito attraverso il quale Cristodà a chi crede una nuova vita. Mai, però, Giovanni identifica lo Spiritovivificante con l’anima incorporea, immortale e capace di sopravvive-re al corpo. L’azione dello Spirito compie la rinascita spirituale e la tra-sformazione morale dell’intera persona.

b. Nuova creazione (Paolo)Paolo descrive il cambiamento radicale del credente compiuto dalloSpirito di Dio come una «nuova creazione» (cfr. 2 Cor 5:17; cfr 1 Cor6:11; Gal 3:27; 6:15; Ef 4:24). Così facendo, l’apostolo attribuisce un’im-portanza vitale al compito dello Spirito nella «metamorfosi» del cre-dente. Questo è indicato dal fatto che nelle sue lettere si riferisce allospirito 146 volte, e solo 13 volte all’anima. H. Wheeler Robinson affer-

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ma giustamente che pneuma è «il termine più importante del vocabo-lario psicologico di Paolo, forse del suo intero dizionario».113 L’apostoloPaolo è interessato a mostrare che la salvezza è esclusivamente undono divino, una grazia, mediato dallo «Spirito della vita in CristoGesù» (Rm 8:2), e non un patrimonio naturale che appartiene all’uomocon la scintilla eterna di un’anima immortale.

La salvezza non è la rimozione dello spirito o dell’anima dal corpoo dal mondo nel quale vive il corpo, ma è piuttosto il rinnovamentoattraverso la potenza dello Spirito. Per questo, la descrizione che Paolo,con ferma convinzione, fa della vita cristiana è espressa in termini difavore gratuito dello Spirito, donato al credente secondo la volontà diDio. L’apostolo afferma che Cristo è venuto «affinché il comandamen-to della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo lacarne, ma secondo lo Spirito» (Rm 8:4).

«Camminare secondo lo Spirito» significa pensare «alle cose delloSpirito» (Rm 8:5) e quindi vivere conformemente ai principi di vita cheDio ha rivelato, piuttosto che secondo i desideri della carne. «Io dico:camminate secondo lo Spirito e non adempirete affatto i desideri dellacarne» (Gal 5:16). «Camminare secondo la carne» (kata sarka) signifi-ca adempiere «le opere della carne» come «fornicazione, impurità, dis-solutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, con-tese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, orge e altre simili cose» (Gal5:19,20). Al contrario, camminare secondo lo spirito (kata pneuma),significa manifestare «il frutto dello Spirito» come «amore, gioia, pace,pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo»(Gal 5:22,23).

Gli effetti della nuova creazione compiuta nella vita di un creden-te mediante lo Spirito Santo sono manifestati specialmente in una rela-zione di figliolanza; in una speranza e in una fede irremovibili; in unamore ardente per i fratelli e in una coraggiosa testimonianza perCristo. Attraverso lo Spirito, si diventa membri della famiglia di Dio: «E,perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostricuori, che grida: «Abbà, Padre». Così tu non sei più servo, ma figlio; ese sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio» (Gal 4:6,7).

Lo Spirito infonde nel credente fede e speranza in Cristo: «Or il Diodella speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede, affin-ché abbondiate nella speranza, per la potenza dello Spirito Santo» (Rm

113 H.W. ROBINSON, Op. cit., p. 109.

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15:13; cfr. Gal 3:14; 5:5). La vita nuova nello Spirito è manifestata spe-cialmente nello spirito d’amore fraterno che si sprigiona da Cristo nellavita del credente. «L’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori permezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5:5; cfr. 15:30; Col 1:8;2 Cor 6:6). Lo Spirito trasmette forza per soffrire per la causa di Cristo:«Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi! Perché lo Spirito digloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi» (1 Pt 4:14).

Infine, lo Spirito è la potenza miracolosa vivificante della terza per-sona della divinità che produrrà la risurrezione del corpo: «Se lo Spiritodi colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risu-scitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali permezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8:11; cfr. 1 Cor 6:14; 2 Cor3:6; Gal 6:8).

Così, come lo Spirito era attivo al principio al momento della crea-zione (Gn 2:7), così sarà all’opera nella risurrezione finale. In un’altrasezione vedremo che la Bibbia non afferma mai che un corpo risusci-tato si ricongiunge a un’anima disincarnata; essa insegna invece che ilcorpo terreno sarà risuscitato come «corpo spirituale» (pneumatikos)(1 Cor 15:44), e cioè in una persona completamente controllata dallapotenza di vita dello Spirito del Signore.

La «carne» antagonista dello spiritoLa contrapposizione tra «carne» e spirito ha indotto molti a credere chel’apostolo faccia una distinzione tra corpo materiale e mortale, e animaspirituale e immortale.114 Quest’interpretazione ignora che l’antitesipaolina tra carne e spirito non consiste in una dualità di sostanze meta-fisiche, ma in un contrasto d’orientamento etico-religioso, espresso inmodo vivido in Romani 8. Qui Paolo oppone duramente quelli che«vivono secondo la carne» a quelli che «vivono secondo lo Spirito».«Infatti quelli che sono secondo la carne, pensano alle cose della carne;invece quelli che sono secondo lo Spirito, pensano alle cose dello

114 Cfr. R.A. MOREY, Op.cit., p. 62; W. MORGAN, The Religion and Theology of Paul, NewYork, 1917, pp. 17 e ss. Una presentazione classica dell’interpretazione dualistica dicarne e spirito si trova in O. PFLEIDERER, Primitive Christianity, New York, 1906, Vol. 1,pp. 280 ss. Vedere anche il saggio di M. E. WHITE, «The Greek and Roman Contribution»in the Heritage of Western Culture, ed. R.C. Chalmers, Toronto, 1952, pp. 19-21.L’autrice sostiene che il contrasto tra carne e spirito scaturisca dal dualismo greco e«ha avuto come conseguenza la mortificazione della carne; solo di recente i credentihanno ritrovato una posizione più equilibrata», p. 21.

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Spirito. Ma ciò che brama la carne è morte, mentre ciò che brama loSpirito è vita e pace» (Rm 8:5,6).

La prima cosa da mettere in rilievo è che Paolo, in questo brano ein altri simili (Gal 5:16-26), non contrappone il «corpo» (soma)all’«anima» (psyche), perché usa termini diversi, cioè sarx e pneuma,tradotti con «carne» e «spirito». Se Paolo avesse inteso porre l’accentosulla distinzione tra corpo mortale e anima immortale, avrebbe usatola coppia di parole in uso anche nella filosofia dualistica greca. Paoloha in mente qualcosa di completamente diverso e, quindi, usa altreparole per esprimere il suo pensiero.

Non c’è nessun dubbio che per Paolo «carne» e «spirito» implichi-no, non due parti separate e opposte della natura umana, ma dueorientamenti etici diversi. Questo diventa ancora più chiaro nel con-fronto tra la lista delle «opere della carne» (Gal 5:19,20) e quella del«frutto dello Spirito» (Gal 5:22,23). I peccati attribuiti alla carne come«idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosie, ire, contese, divi-sioni, sette, invidie», non hanno niente a che fare con impulsi fisici:«Potrebbero anche essere praticate da uno spirito disincarnato».115

Charles Davis sostiene chiaramente il significato biblico dellacarne e dello spirito e afferma: «Egli (Paolo) è completamente ebreonel suo modo di vedere le cose; vede l’essere umano semplicementecome un’unità. Conseguentemente la sua antitesi tra carne (sarx) espirito (pneuma) non è un’opposizione tra la materia e lo spirito o fra ilcorpo e l’anima. La “carne” non è parte dell’uomo, ma è l’intero uomonella sua debolezza e mortalità, nel suo distacco da Dio, nella sua soli-darietà con la creazione peccaminosa e corrotta. “Spirito” è l’uomoaperto alla vita divina e appartenente alla sfera del divino; l’uomo sottol’influsso e l’attività dello Spirito. Carne e spirito sono due principi atti-vi che influenzano l’uomo e combattono dentro di lui».116

George Eldon Ladd, dal canto suo, scrive che la «carne» si riferisce«all’uomo nell’insieme, visto nel suo stato decaduto, opposto a Dio.Quest’utilizzazione è uno sviluppo naturale dell’uso di basar (carne)nell’Antico Testamento, che è l’uomo visto nella sua fragilità e debo-

115 D.E.H. WHITELEY, The Theology of St. Paul, Grand Rapids, 1964, p. 39.116 C. DAVIS, «The Resurrection of the Body» in Theology Digest 1960, p. 100. Cfr. O. CULLMANN, op. cit. p. 33,34 in cui afferma: «Carne e spirito sono due potenzetrascendenti attive che dall’esterno possono penetrare nell’uomo, ma nessuna dellequali è implicita nell’uomo in quanto tale. L’antropologia cristiana, a differenza diquella greca, è fondata sulla storia della salvezza».

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lezza davanti a Dio. Quando ciò è applicato al regno etico diventa l’uo-mo nella sua debolezza etica, e cioè, nella sua peccaminosità davanti aDio. Sarx (carne) rappresenta non una parte dell’uomo, ma l’uomo nelsuo insieme, non rigenerato, decaduto e peccaminoso».117

La carne e lo spirito rappresentano rispettivamente la potenzadella morte e la potenza della vita che possono agire dentro una per-sona. Oscar Cullmann stabilisce la differenza tra l’uomo biblico e quel-lo greco in questi termini: «Ci interessa qui rilevare in cosa differiscal’antropologia del Nuovo Testamento da quella dei greci. Corpo eanima sono entrambi buoni, in quanto creati da Dio. Sono entrambicattivi in quanto la potenza della morte, la carne, il peccato, ne hapreso possesso… La carne è la potenza del peccato che col peccatod’Adamo è penetrata come potenza di morte nell’uomo intero… LoSpirito è il grande antagonista della carne, ma anche qui non in sensoantropologico; è una presenza che penetra nell’uomo dall’esterno. LoSpirito è il potere creatore di Dio, la grande potenza di vita, l’elementodi risurrezione, come la carne è la potenza della morte. Nell’anticaalleanza lo Spirito opera solo temporaneamente nei profeti. Invece,nella fase finale del secolo presente… questa potenza di vita è operan-te in tutti i membri della chiesa di Cristo».118

La potenza vivificante dello Spirito Santo è manifestata in questavita presente nella «nostra natura interiore (la quale) è rinnovata ognigiorno» (cfr. 2 Cor 4:16; cfr Ef 4:23,24).

La carne è resa debole dal peccatoLa carne (sarx) rappresenta la natura umana non rigenerata e pecca-minosa. Il peccato risiede tanto nella natura fisica del corpo, quanto inquella «spirituale» dell’anima. Dopo tutto, il corpo è il tempio delloSpirito Santo (1 Cor 6:19), «i nostri corpi sono membra di Cristo» (1 Cor6:15) e un mezzo per glorificare Dio (1 Cor 6:20). La ragione per cui lacarne rappresenta la natura umana decaduta e peccaminosa, è perchéin essa si sottolinea la fragilità e la debolezza dell’uomo a tal punto dadivenire strumento di peccato.

Il concetto di «carne», come significato di «mondo», in Paolo è ambi-valente come lo è, in generale, in tutta la Bibbia. La carne e il mondo,creati da Dio per la gioia dell’umanità, sono buoni (Gn 1:18,21,25,31);

117 G.E. LADD, A Theology of the New Testament, Grand Rapids, 1974, p. 472.118 O. CULLMANN, Op. cit., pp. 33-35.

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ma quando la carne e il mondo negano il loro status di creature e siribellano contro Dio pretendendo indipendenza e autosufficienza, allo-ra diventano malvagi.

È in questo senso che la carne (la natura carnale) e la mondanitàsono sinonimi di peccaminosità. Si potrebbe dire che la «carne» è neu-tra quando si riferisce a una persona che vive nel mondo, ma indicapeccaminosità quando descrive una persona che vive per il mondo epermette al mondo di governare la sua vita e la sua condotta.

È evidente, allora, che l’antitesi fra «carne» e «spirito» non ha nullaa che fare con il dualismo corpo-anima. La carne di per sé non rap-presenta quella parte della natura umana (il corpo) definita malvagia,né lo spirito rappresenta quella parte della natura umana che si sup-pone sia buona (l’anima). Quando è usata in modo negativo, la «carne»rappresenta una persona la cui vita, fisica e psichica, è traviata, cen-trata su di sé piuttosto che su Dio. Allo stesso modo, lo «spirito» rap-presenta non soltanto la parte spirituale della natura umana, ma la per-sona in cui la vita, fisica e psichica, è diretta verso Dio piuttosto cheverso se stessa. Il contrasto tra «carne» e «spirito» è di natura etico enon ontologico.

Spiace vedere come molti abbiano frainteso Paolo su questo punto.La ragione di tutto questo è dovuta alla mancanza di comprensione delfatto che, per Paolo e per la Bibbia nel suo insieme, ciò che corrompeuna persona non è il corpo o la carne, ma il peccato. La carne puòdiventare uno strumento di peccato, e come tale influisce sul corpo esull’anima, esattamente come la sua controparte, lo spirito, trasformail corpo e l’anima.119 «Il nemico finale dello Spirito di Dio non è lacarne, ma il peccato, del quale la carne è diventata lo strumento debo-le e corrotto».120

ConclusioneL’analisi dell’uso del termine «spirito» nel Nuovo Testamento ci fa con-cludere che per l’anima non vi sia alcun elemento indipendente dellanatura umana che opera separatamente dal corpo; al contrario, lo spi-rito costituisce il principio vitale che agisce sul corpo fisico e rigeneratutta la persona.

119 Per un’interessante discussione circa i malintesi del dualismo paolino cfr. R.L.HALL, «Dualism and Christianity: A Reconsideration» Center Journal, Autunno 1982,pp. 43-55.120 H.W. ROBINSON, Op.cit., p. 117.

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Con Cristo, lo Spirito è identificato con l’opera della salvezza, lanuova nascita, la trasformazione morale dell’individuo, che per Gio-vanni è la «nuova nascita» e per Paolo la «nuova creazione».

Lo Spirito è il termine più importante del vocabolario di Paoloperché indica la salvezza esclusivamente come dono di grazia propriomediante «lo Spirito della vita in Cristo Gesù» (Rm 8:2), e non comepatrimonio naturale contenuto nell’anima immortale.

Il Nuovo Testamento non identifica in nessuna sua parte lo Spiritovivificante con un’anima immateriale e immortale capace di staccarsidal corpo.

Lo Spirito sostiene la vita fisica e quella spirituale. La creazione ela rigenerazione, la nascita e la nuova nascita, sono atti dello Spiritoperché, come afferma Gesù «è lo spirito che dà vita» (Gv 6:63).

L’antitesi di Paolo fra «carne» e «spirito» non ha niente a che vede-re con il dualismo corpo-anima. Tanto l’uno quanto l’altra non rap-presentano due parti separate e opposte della natura umana, ma dueorientamenti etici diversi: una vita vissuta in modo egocentrica inopposizione a una imperniata su Dio.

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Capitolo 8

La natura umana come corpo

I significati di «corpo» (sôma) e «carne» (sarx) nel Nuovo Testamentosono simili ai loro corrispondenti dell’Antico Testamento «corpo» geviy-yah e «carne» basar, esaminati nel capitolo 3. Nell’uso letterale, il ter-mine «corpo» descrive la realtà concreta della vita umana, fatta dicarne e sangue.

Nel Nuovo Testamento, «corpo» (sôma) è usato maggiormente inmaniera figurata per rappresentare la persona nel suo insieme (cfr. Rm6:12; Eb 10:5), la natura umana corrotta (cfr. Rm 6:12; 8:11; 2 Cor 4:11),la chiesa come corpo di Cristo (cfr. Ef 1:23; Col 1:24), il corpo risusci-tato dei redenti (1 Cor 15:44) e la presenza spirituale di Cristo simbo-leggiata dal pane e dal vino (1 Cor 11:27). Questo studio si concentre-rà sul concetto del Nuovo Testamento circa il corpo umano in rappor-to alla totalità della persona.

Cristo e il corpo umanoPer valutare esattamente la nozione di «corpo» nel Nuovo Testamentooccorre riflettere sulla dottrina centrale dell’incarnazione. Per esem-pio, il vangelo di Giovanni annuncia che il Figlio eterno di Dio «è diven-tato carne e ha abitato per un tempo fra di noi» (Gv 1:14). La sola ideache l’eterno Figlio di Dio poteva entrare nel tempo e nello spazioumano e assumere la piena natura umana, incluso un corpo, eraincomprensibile per la mentalità greca.

Lo gnosticismo, un importante movimento settario cristiano gran-demente influenzato dal dualismo greco, ha rifiutato apertamente l’in-carnazione di Cristo. Questo illustra efficacemente la differenza tra ladottrina biblica unitaria della natura umana che valorizza il corpo, equella dualistica greca, che considera il corpo come prigione dell’ani-ma di cui ci si libera alla morte.

Chiunque accetti pienamente l’insegnamento dell’incarnazione

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Capitolo 8

del Nuovo Testamento non può mai accusare i suoi autori di denigrareil corpo umano o l’ordine fisico. Il fatto che il Figlio di Dio abbia presoforma umana per vivere su questa terra dà dignità e importanza alcorpo e all’intero regno fisico.

È anche indicativo notare che la stessa Parola, per mezzo dellaquale «ogni cosa è stata fatta» (Gv 1:3) alla creazione, è venuta in que-sto mondo per redimere e ristabilire non solo «l’anima», ma l’interoessere umano e l’intero mondo. «Questo è il significato della dottrinadella risurrezione del corpo che più d’ogni altra cosa faceva inorridiree che il mondo greco respingeva. Questa dottrina accettava, nel modopiù forte possibile, il concetto del Nuovo Testamento che vuole che nonsolo una parte dell’uomo (per esempio l’anima razionale) sia destinataal pieno benessere nell’eternità, ma è persona intera che avrà un postonel piano di Dio».121

La dottrina della risurrezione del corpo, che vedremo nella sestaparte, insegna come la natura fisica e il mondo materiale, assumano unruolo vitale nel plasmare l’esistenza terrena, un significato eterno nelprogetto divino delle cose. Questo insegna che, come dice in modo con-vincente Ronald Hall, «anche nell’aldilà, il corpo non è un sempliceornamento dello spirito ma un elemento essenziale dell’essere, dellapersona. È difficile capire come Paolo abbia potuto mantenere il pro-prio convincimento nella risurrezione se avesse pensato diversamente.Per esempio, se avesse pensato che la salvezza aveva a che fare solocon un’anima disincarnata liberata dal corpo, sicuramente non avreb-be fatto così tanta pressione per la risurrezione del corpo; si sarebbeaccontentato della nozione greca di un’anima immortale».122

La fede nella risurrezione del corpo è basata sulla risurrezione cor-porea di Cristo: «Se Cristo non è stato risuscitato», esclama Paolo, «…anche quelli che sono morti in Cristo, sono dunque periti» (1 Cor15:17,18). L’incarnazione di Cristo in un corpo umano e la sua risurre-zione in un corpo glorificato (Gv 20:27), indicano quanto il corpo abbiaun significato eterno nel disegno di Dio per questo mondo. Rivela ancheche il corpo non costituisce una prigione temporanea o un terreno diprova per le «anime» destinate all’annientamento finale. Piuttosto,lascia intendere che il corpo simboleggi l’intera personalità che Diodesidera conservare e far tornare in vita nel giorno della risurrezione.

121 D.R.G. OWEN, Body and Soul, Philadelphia, 1956, p. 171.122 R. HALL, Op. cit., p. 50.

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La natura umana come corpo

La risurrezione del corpo è necessaria per la vita del mondo avve-nire perché il Nuovo Testamento non ha mai accettato la nozione del-l’immortalità dell’anima. La vita senza il corpo è inconcepibile.

Siccome il corpo esprime l’umana concretezza, la sua risurrezio-ne è indispensabile per assicurare personalità e una vita piena nellanuova terra.

La fede cristiana è «materialistica»?A questo punto vale la pena ricordare che la speranza dell’AnticoTestamento per il mondo futuro è veramente «materialistica». Mentre igreci pregustavano l’eventuale fuga dell’anima da questa terra versouna regione eterna, i credenti dell’Antico Testamento attendevano lafondazione del Regno di Dio su questa terra (cfr. Dn 2:44; 7:27). Il regnomessianico avrebbe portato a compimento la storia umana sul pianetasecondo il disegno creativo di Dio.

La stessa nozione è presente nel Nuovo Testamento. Cristo è scesosu questa terra per redimere tutta la creazione (Rm 8:22, 23) e ritorne-rà su questa terra per stabilirvi un nuovo ordine fisico. «Ho visto unnuovo cielo e una nuova terra» (Ap 21:1). Tutta la terra, incluso il corpoumano, non viene sminuita ma perfezionata; «Egli (Dio) asciugheràogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né cordoglio, négrido, né dolore, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21:4). «E iovidi la santa città, la nuova Gerusalemme, che scendeva dal cielo dapresso Dio» (Ap 21:2).

Il rinnovamento finale di questa terra costituisce la contropartecosmologica della dottrina della risurrezione del corpo. Esattamentecome il credente alla fine non sfuggirà dal corpo, ma riceverà un corpoindistruttibile (1 Cor 15:53), così i redenti non saranno rapiti per sem-pre nel cielo, ma saranno stabiliti su questa terra, restituita alla suaperfezione originale, come il luogo del regno glorioso ed eterno di Dio.

«Qui non c’è nessun suggerimento», scrive D.R.G. Owen, «di animedisincarnate che dolorosamente ascendono al cielo per trascorrervitutta l’eternità come puri “spiriti”. Al contrario, Dio scende verso l’uo-mo; la Parola diventa carne; il cielo scende sulla terra; la santa cittàscende dal cielo da Dio... Così, alla fine della Bibbia, nella sua dottrinadelle cose ultime, come al principio, nella sua dottrina delle coseprime, il significato eterno del regno fisico è chiaramente espresso».123

123 D.R.G. OWEN, Op.cit., p. 174.

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Capitolo 8

Owen conclude le proprie considerazioni dicendo: «Le implicazio-ni di questo materialismo biblico, per l’antropologia biblica - implica-zioni che sono poi rilevate dalla dottrina della risurrezione del corpocontraria alla dottrina dell’immortalità dell’anima - sono le seguenti:primo, “il corpo” è un aspetto essenziale della personalità umana e nonuna parte che si possa separare o che, eventualmente, si stacchi;secondo, l’intera persona, e non un’anima disincarnata, è destinata allavita eterna».124

Il corpo come persona interaNel Nuovo Testamento, il corpo sôma non è qualcosa d’esterno che ade-risce alla vera essenza di una persona (l’anima), ma comprende l’inte-ra persona. Questo conduce Rudolf Bultmann ad affermare: «L’uomonon ha un sôma (corpo); egli è un sôma (corpo)».125 Ci sono pochi braninei quali il corpo o la carne sono contrapposti all’anima o allo spirito;tali contrasti non sono intesi a frazionare la natura umana in entitàdiverse, piuttosto descrivono diversi aspetti dell’intera persona.

Il corpo sôma indica l’intera persona. Per esempio, quando Paolodice: «Se dessi il mio corpo per essere arso» (1 Cor 13:3), sta ovvia-mente riferendosi alla sua intera persona. Similmente, quando dice«disciplino il mio corpo e lo riduco in servitù» (1 Cor 9:27) intende direche esercita l’autocontrollo. L’offerta del corpo come sacrificio vivente(Rm 12:1), significa l’arrendersi a Dio. Il desiderio di Paolo che «Cristosarà magnificato nel mio corpo» (Fil 1:20) significa onorare Cristo nellasua intera persona. In riferimenti come questi, il corpo rappresental’intera persona responsabile delle proprie azioni.

L’esistenza corporea costituisce il modo normale e corretto di esi-stere. Così il corpo è un elemento essenziale dell’esistenza umana. Lavita del corpo non contrasta con la vita dell’anima o dello spirito, comese il corpo fosse un ostacolo alla realizzazione piena della vita più ele-vata dell’anima o dello spirito. Il corpo può diventare un ostacolo quan-do è usato come strumento di peccato, in ogni modo, non è di per sé unimpedimento. Il corpo non è necessariamente malvagio, perché è partedella buona creazione di Dio. Questo è anche indicato dal fatto che nes-suna malvagità fosse presente in Cristo, benché partecipasse al nostrocorpo umano.

124 Ibidem, pp. 174,175.125 R. BULTMANN, Teologia del Nuovo Testamento, (trad. A. Rizzi), Queriniana, Brescia,1985, p. 188.

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La natura umana come corpo

Il corpo come strumento di peccatoEssendo corruttibile e mortale (Rm 6:12; 8:11; 2 Cor 4:11), il corpo puòdiventare uno strumento di peccato. Questo spiega perché Paolo parlidel «corpo di morte». «Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo dimorte?» (Rm 7:24). Qui l’immagine nella mente dell’apostolo non è fisi-ca ma etica. La morte è il dominio del peccato rivelato nella vita fisica,dal quale il credente è liberato mediante la rigenerazione per la fede inCristo. Siccome il peccato può regnare nel nostro corpo mortale (Rm6:12) come strumento di peccato, può esser chiamato «corpo del pec-cato» (Rm 6:6) e «corpo di morte» (Rm 7:24). Per il credente è necessa-rio «far morire le opere del corpo» (Rm 8:13), per vivere secondo loSpirito. Questo non significa la mortificazione del corpo stesso, ma larinuncia agli atti peccaminosi.

Siccome il corpo può diventare uno strumento di peccato, lo scopodella vita cristiana è di esercitare autocontrollo per impedirgli di domi-nare la vita spirituale. Paolo evidenzia chiaramente questa verità in 1Corinzi 9, dove paragona se stesso a un atleta in allenamento che eser-citi un rigoroso autocontrollo per impedire al proprio corpo di aver lameglio sulla vita spirituale. «Tratto duramente il mio corpo e lo riducoin schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, iostesso sia squalificato» (1 Cor 9:27).

L’autocontrollo sul corpo si raggiunge consacrando se stessi a Diocome sacrificio vivente (Rm 12:1). Questo si realizza non attraversopratiche ascetiche o la mortificazione del corpo, ma sensibilizzandosiai precetti della Parola di Dio. Il cristiano riconosce che il corpo costi-tuisce la dimora dello Spirito Santo (1 Cor 6:19). Coltivare la presenzadello Spirito nel proprio corpo, significa sottomettere i divertimenti fisi-ci e le attività fisiche a fini spirituali.

ConclusioneIl corpo nel Nuovo Testamento indica la persona nel suo insieme, sialetteralmente, nella realtà concreta dell’esistenza umana, sia metafori-camente, nella propria sottomissione da un lato, all’influsso della po-tenza dello Spirito Santo e dall’altro, a quello nefasto del peccato. IlNuovo Testamento vede il corpo come un aspetto essenziale dell’inte-ra persona che non è separabile dall’anima né può essere eliminato.

Il significato del corpo nel Nuovo Testamento è rafforzato dall’in-carnazione di Cristo che ha preso forma di corpo umano per compieresu questa terra la sua missione redentrice. L’incarnazione di Cristo e la

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Capitolo 8

sua risurrezione con un corpo glorificato (Gv 20:27) evidenziano senzaalcun dubbio che il corpo ha un significato eterno nel disegno creativodi Dio e nella redenzione. Questo è confermato dalla risurrezione delcorpo, che costituirà, anche nella nuova terra, una parte essenzialedell’esistenza.

In modo figurato, il corpo è usato nel Nuovo Testamento in modoambivalente. Da una parte, esso può diventare «corpo di peccato» (Rm6:6) e «corpo di morte» (Rm 7:24), quando diventa strumento di pecca-to; dall’altra, può diventare il tempio dello Spirito Santo (1 Cor 6:19) eil mezzo per glorificare Dio (1 Cor 6:20), quando diventa strumento alservizio di Cristo.

Redenzione significa non già la separazione dell’anima buona daun corpo malvagio, ma il rinnovamento del corpo (tutta la persona) inquesta vita presente e la risurrezione del corpo (tutta la persona) nelmondo futuro.

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Capitolo 9

La natura umana come cuore

Il cuore (kardia) nel Nuovo Testamento è usato con lo stesso ampiosignificato che abbiamo già considerato nell’Antico Testamento (leb elebab) al capitolo 4. Non è dunque necessario soffermarsi a lungo sullostudio del significato e sugli usi della parola cuore nel Nuovo Testa-mento. Essenzialmente, il cuore (kardia) rappresenta l’intera vita inte-riore d’una persona nei suoi vari aspetti. Esso si propone, accanto allospirito, come centro emotivo, intellettuale e spirituale della persona. Ilfatto che il «cuore» e lo «spirito» siano usati di nuovo in modo similemostra che secondo la Scrittura l’uomo è inteso come un’unità indivi-sibile. Ancora una volta, una parte può riferirsi all’intera persona.

Sede delle emozioniTutte le emozioni nascono dal cuore. Il cuore prova gioia (cfr. Gv 16:22;Atti 2:26; 14:17), paura (Gv 14:1), dolore (cfr. Gv 16:6; 2 Cor 2:4), amore(cfr. 2 Cor 7:3; 6:11; Fil 1:7), lussuria (Rm 1:24), bramosia (cfr. Rm 10:1;Lc 24:32) e passione (cfr. Rm 1:24; Mt 5:28; Gc 3:14). Paolo manifesta ildesiderio del suo cuore per la conversione dei suoi connazionali giu-dei (Rm 10:1). Scrive ai corinzi in «angoscia di cuore» (2 Cor 2:4) e liesorta ad aprire i loro cuori ricevendo lui e i suoi compagni nell’amo-re (2 Cor 7:2).

Sede dell’attività intellettualeGesù dice che «dal cuore dell’uomo escono cattivi pensieri» (Mc 7:21) e«dall’abbondanza del cuore la bocca parla» (Mt 12:34). Paolo esorta ogniuomo a dare generosamente «come ha deliberato nel cuor suo» (2 Cor9:7). «Gli occhi del cuore» devono essere illuminati (Ef 1:18) per capirela speranza cristiana. Le decisioni hanno origine nel cuore (cfr. Lc21:14; At 11:23). A volte è Dio che influenza la decisione dei cuori umani:«Dio ha messo nei loro cuori di eseguire il suo disegno» (Ap 17:17).

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Capitolo 9

A volte il diavolo fa la medesima cosa: «Il diavolo aveva già messoin cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo» (Gv 13:2). Ilcuore, talora, è sinonimo di coscienza: «Carissimi, se il nostro cuorenon ci condanna, abbiamo fiducia davanti a Dio» (1 Gv 3:21). I paganipossiedono una legge, che è scritta nei loro cuori e li rende capaci didistinguere il bene e il male (Rm 2:14:15).

Sede dell’esperienza religiosaDio si manifesta a una persona nel proprio cuore. Scruta il cuore e lomette alla prova (cfr. Lc 16:15; Rm 8:27; 1 Ts 2:4); scrive la sua leggenel cuore (cfr. Rm 2:15; 2 Cor 3:2; Eb 8:10); apre il cuore dell’uomo (cfr.Lc 24:45; At 16:14); lo illumina della conoscenza di Gesù Cristo (2 Cor4:6). La pace di Dio custodisce i cuori e le menti in Cristo (Fil 4:7). LoSpirito di Dio è versato nei cuori (cfr. Rm 5:5; 2 Cor 1:22; Gal 4:6).

Cristo dimora nei cuori e agisce in essi mediante la fede (Ef4:17,18). Il cuore cristiano è purificato e santificato mediante la fede eil battesimo (cfr. At 15:9; Eb 10:22). Il cuore è purificato (Mt 5:8) e for-tificato da Dio (1 Ts 3:13). La pace di Cristo può regnare nel cuore (Col3:15). Il cuore riceve la caparra dello Spirito (2 Cor 1:22).

Le virtù cristiane sono attribuite al cuore: l’amore (cfr. 2 Ts 3:5; 1Pt 1:22); l’ubbidienza (Rm 6:17; Col 3:22); il perdono (Mt 18:35); la gra-titudine (Col 3:16); la pace di Dio (Fil 4:7); ma soprattutto, l’amore perDio e per il prossimo (Mc 12:30,31; Lc 10:27; Mt 22:37,39).

Questi numerosi testi parlano del «cuore» e descrivono la vita inte-riore dell’intera persona. Questo permette a Karl Barth di dire che «ilcuore non è soltanto una parte ma la realtà dell’uomo: totalmenteanima e totalmente corpo».126

Il fatto che il cuore rappresenti tutta la vita interiore di una perso-na nello stesso modo in cui lo rappresenti lo spirito, rivela, una voltaancora, quanto il concetto biblico della natura umana sia unitario. Ildualismo che attribuisce funzioni spirituali e morali della naturaumana all’anima, è screditato dal fatto che tali funzioni siano ugual-mente attribuite al cuore e allo spirito.

Infatti, nella Bibbia la natura umana è un’unità indissolubile e nonun composto di «elementi» diversi. La visione biblica della naturaumana nega la sopravvivenza dell’anima, come un’entità distinta eincorporea.

126 K. Barth, Church Dogmatics, Edinburgh, 1960, vol 3, part 2, p. 436.

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L’uomo biblico nella teologiaAlla fine di questo breve studio sui termini antropologici usati nellaScrittura proponiamo alcune affermazioni di vari studiosi di diversescuole, che sostengono la visione biblica dell’uomo come un’unità psi-cosomatica, negando di fatto, la nozione dell’immortalità dell’anima.127

In diversi suoi libri, William Temple, arcivescovo di Canterbury,riconosce il concetto unitario della natura umana e dichiara «non bibli-ca la nozione dell’indistruttibilità naturale dell’anima individuale».128

Egli scrive: «L’uomo non è immortale né per natura né per diritto; maè capace d’immortalità che gli è offerta alla risurrezione dei morti. Lastessa vita eterna può riceverla da Dio nei termini da lui stabiliti».129

Alla Conferenza di Ingersoll sull’immortalità dell’uomo, svoltasinel 1955 presso la Cappella di Andover all’Università di Harvard, il teo-logo svizzero Oscar Cullmann insisteva sulla differenza fondamentalefra la dottrina cristiana della risurrezione e il concetto greco dell’im-mortalità dell’anima, affermando: «L’anima non è immortale. Ci deveessere una risurrezione per entrambi (corpo e anima); poiché dallacaduta l’intero uomo è “seminato” corruttibile».130

Il rapporto di questa famosa conferenza, pubblicato in seguito inun opuscolo dal titolo Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti?,ha provocato violente ostilità da parte di alcuni che hanno accusatoOscar Cullmann di essere una specie di «mostro che prova piacere agettare turbamento nelle anime».131 Uno studioso ebbe a dire: «Alpopolo francese, che muore perché non ha il pane di vita, si offronopietre invece di pane, se non addirittura scorpioni».132 Queste violentereazioni, indicano quanto sia difficile per molti riesaminare serena-mente le loro più radicate convinzioni.

Nel suo libro Basic Christian Teachings, il teologo luterano MartinHeinechen rifiuta come «falso dualismo» la nozione che alla creazione«Dio abbia creato un’anima, che poi costituisce la vera persona, e poi

127 Per una panoramica esauriente sui teologi e gli studiosi che attraverso la storiacristiana hanno abbracciato la teoria di una natura umana unica e quindi di unaimmortalità condizionata; cfr. i due volumi monumentali di L.R.E. FROOM, TheConditionalist Faith of our Fathers: The Conflict of the Ages over the Nature andDestiny of Man, Washington D.C., 1965.128 W. TEMPLE, Christian Faith and life, London, 1954, p. 81.129 W. TEMPLE, Man, Nature and God, London, 1953, p. 472.130 O. CULLMANN Op .cit., p. 28.131 O. CULLMANN, Op. cit., p. 7.132 Ibidem.

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abbia dato a quest’anima una casa temporanea in un corpo fatto dallapolvere della terra… L’uomo deve essere considerato un’unità… Il dua-lismo cristiano non è quello dell’anima e del corpo, della mente eternae di materia transitoria, ma il dualismo del Creatore e della creatura.L’uomo è una persona, un essere unito, un centro di responsabilità, chesi pone a fronte del proprio Creatore e giudice. L’uomo non ha nessu-na vita o immortalità in sé».133

Nel Commentario Tascabile della Bibbia, Basil F.C. Atkinson,bibliotecario dell’Università di Cambridge, in relazione a Genesi 2:7,scrive: «A volte si è pensato che la trasmissione del principio di vita,come ci è presentata in questo versetto, implichi l’immortalità dellospirito o dell’anima. È stato detto che esser fatti all’immagine di Dioimplichi l’immortalità. La Bibbia non dice mai così. Se implica l’im-mortalità, perché non implica anche l’onniscienza, l’onnipresenza oqualsiasi altra qualità o attributo di Dio?… Attraverso tutta la Bibbia,l’uomo, eccetto Cristo, è concepito come fatto di polvere e cenere, unacreatura fisica, alla quale Dio ha dato in prestito la vita. I pensatorigreci hanno concepito l’uomo come un’anima immortale imprigionatanel corpo. Questa antropologia si trova in netto contrasto con quellabiblica, ma ha trovato ampio spazio nel pensiero cristiano».134

Alcuni studiosi cattolici riconoscono che il concetto tradizionaledell’immortalità naturale dell’anima non è biblico.

Claude Tresmontant, francese, studioso cattolico domenicano,contrappone il concetto tradizionale dualistico alla risurrezione biblicadell’intera persona e scrive: «Il maggior errore e la peggiore illusioneconsiste nel ritenere che si possa passare da un universo di pensiero aun altro, stabilendo semplicemente una corrispondenza linguistica tradue termini che in realtà non hanno lo stesso significato… L’esistenzacorporea e fisica, nella tradizione ebraica, non è mai sentita come col-pevole, né vergognosa, né impura».135 «Ma la dottrina giudeo cristiana

133 M.J. HEINECKEN, Basic Christian Teachings, Philadelphia, 1949, pp. 37, 133.134 B.F.C. ATKINSON, The Pocket Commentary of the Bible, London, 1954, part 1, p. 32.135 C. TRESMONTANT, Il problema dell’anima, (trad. G. Gismondi), Ed. Paoline, Roma, 1972,pp. 63,64. Sulla medesima falsariga, Y.B. TREMEL, studioso domenicano francese, faun’ammissione degna di nota quando dice che «Il Nuovo Testamento chiaramente nonconcepisce una vita dell’essere umano dopo la sua morte né filosoficamente né nei ter-mini dell’immortalità dell’anima. Gli autori sacri non pensano alla vita futura come finedi un processo naturale. Al contrario, per loro essa è sempre il risultato della salvezza edella redenzione; è condizionata dalla volontà di Dio e dalla vittoria del Cristo». («ManBetween Death and Resurrection,» Theology Digest, Autumn, 1957, p. 151).

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della risurrezione è di natura e di struttura diversa. Non significa cheuna parte dell’uomo, l’anima, sarà liberata abbandonando l’altra parte,il corpo, alla materia. La dottrina biblica della risurrezione implica lasalvezza della totalità dell’uomo».136

Nel suo Linee di antropologia biblica, Dom Wulstan Mork, anch’e-gli studioso cattolico domenicano, critica l’opinione tradizionale duali-stica della natura umana e incoraggia il lettore a ritrovare l’insegna-mento biblico. Egli scrive: «L’uomo biblico, così chiameremo d’orainnanzi l’uomo come è rivelato nella Bibbia, è un’unità di carne, animae spirito, non una tricotomia, né una dicotomia di corpo e anima».Continua dicendo che la Bibbia vede «l’uomo un tutto: un modo divedere giusto, per una vita equilibrata, integrale e profondamente vis-suta sia in rapporto a Dio che all’umanità e a tutta la creazione. Noiabbiamo bisogno oggi di questo punto di vista, sia per controbilancia-re la mentalità platonica ancora presente nel sottofondo, sia per cor-reggere un’accettazione troppo naturale, secolarizzata, della situazio-ne umana».137 Dom Wulstan Mork crede che il recupero dell’insegna-mento biblico unitario della natura umana possa contribuire ad avere«un’attitudine più serena verso la persona umana e, quindi, verso lamateria in generale».138

Reinhold Niebuhr, famoso teologo americano e professore dalunga data all’Union Theological Seminary, critica la posizione classi-ca dualista con una visione più biblica della natura umana e conclude:«Tutte le prove plausibili e inammissibili per l’immortalità dell’animasono sforzi da parte della mente umana per dominare e controllare ildisfacimento della vita. Tutti gli sforzi sono tesi a provare, in un modoo nell’altro, che un elemento eterno della natura dell’uomo è degno ecapace di sopravvivere oltre la morte. Ma ogni tecnica mistica o razio-nale che cerchi di liberare l’elemento eterno tende a negare il pienosignificato dell’intero procedimento storico con le sue elaborazioniinfinite di quell’unità».139

Nel suo libro La speranza cristiana, il teologo luterano Taito A.Kantonen sostiene che «una caratteristica del pensiero occidentale, sindai tempi di Platone, è quella di distinguere nettamente fra l’anima eil corpo. Il corpo si ritiene esser composto di materia e l’anima di spi-

136 C. TRESMONTANT, Paolo da Tarso, (Trad. P. Rossi), A. Mondadori, Milano, 1961 p. 139.137 W. MORK, Linee di antropologia biblica, Editrice Esperienze, Fossano, 1971, p. 8.138 W. MORK, Op. cit,. p. 64.139 R. NIEBUHR, The Nature and Destiny of Man, New York, 1964, p. 295.

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Capitolo 9

rito. Il corpo è una prigione dalla quale l’anima è liberata alla morteper continuare la propria esistenza non fisica. Così la questione dellavita dopo la morte è stata una disputa sulla dimostrazione dell’immor-talità, della capacità dell’anima di sfidare la morte. Il corpo è di pocaimportanza. Questo modo di pensare è estraneo alla Bibbia. Fedele allaScrittura e rifiutando definitivamente l’opinione greca, il credo cristia-no non dice “Io credo nell’immortalità dell’anima”, ma “Io credo nellarisurrezione del corpo”».140

Nel suo impressionante studio sul concetto biblico della naturaumana intitolato Corpo e Anima, R.G. Owen, già rettore del TrinityCollege, dell’Università di Toronto, offre un’analisi penetrante del con-trasto tra la posizione greca dualistica e quella biblica unitaria dellanatura umana. Owen crede che nella Bibbia l’uomo costituisca «un’u-nità psicosomatica» e che «non vi possa essere nessun elemento divisi-bile dall’uomo che sopravviva alla morte fisica».141 Egli prosegue: «LaBibbia afferma che la natura umana è un’unità indivisibile; nel NuovoTestamento il destino finale dell’uomo coinvolge, con la risurrezionedel corpo, tutto l’uomo».142 R.G. Owen suggerisce che «l’antica dottrinadell’immortalità dell’anima separata dal corpo debba essere gentil-mente accompagnata nel mondo degli estinti».143

Emile Brunner, noto teologo svizzero, trova la concezione dualistadella natura umana assolutamente inconciliabile con l’insegnamentobiblico unitario e scrive: «In qualche luogo vi deve essere quindi nellastessa fede cristiana una porta aperta, attraverso la quale è penetrataquesta dottrina estranea. Certo, secondo il modo di vedere della Bibbiaè “solo Dio, che possiede l’immortalità” (1 Tm 6:16). La concezione chenoi siamo uomini mortali, mentre le nostre anime sono indistruttibili,perché di essenza divina, è incompatibile, una volta per tutte, con laconoscenza biblica di Dio e dell’uomo».144

Brunner discute diverse implicazioni negative del concetto duali-stico intorno alla natura umana:

1. Riconosce che «il dualismo platonico non si esprime solo nel ren-

140 T.A. KANTONEN, The Christian Hope, Philadelphia, 1954, p. 28.141 D.R.G. OWEN, Body and Soul: A Study of the Christian View of Man, Philadelphia,1956, p. 27.142 D.R.G. OWEN, Op. cit., p. 29.143 D.R.G. OWEN, Op. cit., p. 98.144 E. BRUNNER, L’eternità come futuro e tempo presente, Edizioni Dehoniane, Bologna,1973, p. 148

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dere inoffensiva la morte, ma altresì nel rendere inoffensivo il male.Come la morte viene cacciata nella parte bassa dell’uomo, così pure ilmale. Esso esiste unicamente nella sensorialità, nell’istinto. Per il malenon sono dunque io stesso propriamente responsabile, ma solo la miaparte più bassa, che è appiccicata, quasi, alla mia vera essenza miglio-re, più elevata. Il male non è quindi un atto dello spirito, nessuna ribel-lione dell’io contro il creatore, ma unicamente la sensorialità o l’istinti-vità non ancora domata dello spirito. Per dirla più esattamente: il maleè assenza di spirito, non è peccato».145

2. Che «l’uomo è, nella sua parte ed essenza spirituali, di naturadivina, non di natura creata, Dio non è il suo creatore, Dio è il tutto ciòdi cui lo spirito umano è solo una parte. L’uomo è “partecipe” del divi-no nel senso diretto, letterale, del “far parte”. Perciò, dato che questorendere inoffensivo il male necessariamente va in parallelo con il ren-dere inoffensiva la morte nella dottrina dell’immortalità, questa solu-zione del problema della morte è in contrasto irriconciliabile con ilpensiero cristiano. O si crede all’immortalità dell’anima… ovvero sicrede al Dio della rivelazione».146

Nel suo libro Io credo nel secondo avvento, Stephen H. Travis, emi-nente teologo britannico, riconosce che se fosse costretto a scegliere tra«la punizione eterna» e «l’immortalità condizionale», voterebbe perquest’ultima. La prima ragione che offre è questa: «L’immortalità del-l’anima è una dottrina non biblica derivata dalla filosofia greca.Nell’insegnamento biblico, l’uomo ha un’immortalità condizionata, cioèha la possibilità di diventare immortale se riceve la risurrezione o l’im-mortalità come dono di Dio. Questo implica il dono della risurrezione aquanti lo amano, ma la non esistenza a coloro che lo respingono».147

Stephen H. Travis nota che «l’antico concetto dell’anima, che sal-vaguardava la continuità della persona da questa vita a quella succes-siva, è stato sicuramente abbandonato nel pensiero moderno. La natu-ra dell’uomo è pensata come un’unità; non consiste di due parti, in uncorpo fisico che muore e un’anima che vive per sempre. La “sua”anima o il suo sé o la personalità, è semplicemente una funzione delcervello. Così, quando il cervello muore, la persona muore, e nonrimane niente che possa entrare in un’altra vita».148

145 E. BRUNNER, Op. cit., p. 142,143.146 E. BRUNNER, Op.cit., p. 143.147 S. H. TRAVIS, I Believe in the Second Coming of Jesus, Grand Rapids, 1982, p. 198148 Ibidem, p. 163..

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Capitolo 9

B. Reichenbach, filosofo americano, analizza la natura umana nelsuo libro È l’Uomo la Fenice? Egli conclude che «la dottrina che l’uo-mo come persona (anima) non muoia, pone particolari difficoltà alcredente dualista. Per cominciare, è apparentemente contraria agliinsegnamenti della Scrittura… (cita molti testi). Ognuno di questi enumerosi altri passi indicano che ognuno di noi, come persona, devemorire. Non è fatto alcun cenno, però, a che l’unica cosa destinata alladistruzione sia il solo organismo fisico, mentre la persona reale, l’ani-ma, non abbia a morire, ma continui a vivere».149

D. Bloesch, un eminente studioso evangelico, condivide lo stessoconcetto dicendo: «Non sussiste nessuna immortalità innata dell’ani-ma. La persona che muore, persino quella che muore in Cristo, subi-sce la morte di entrambi, il corpo e l’anima».150

Antony Hoekema, teologo calvinista, è d’accordo: «Non possiamocontare su una parte innata nell’uomo o su un aspetto dell’uomo chelo renda indistruttibile».151

F. F. Bruce, studioso britannico del Nuovo Testamento, dice che «ilnostro pensiero tradizionale circa l’anima immortale, che tanto deveall’eredità greco-romana, rende difficile la comprensione dell’uomocome un’unità indivisibile presente in Paolo».152

M. Harris, studioso biblico americano, conclude il suo articolosulla Risurrezione e immortalità dicendo: «L’uomo non è immortaleperché possiede ed è un’anima. Diventa immortale perché Dio lo tra-sforma, risuscitandolo dai morti».153

Continua spiegando che, mentre il pensiero platonico considera-va l’immortalità «un attributo inalienabile dell’anima… la Bibbia noncontiene nessuna definizione della costituzione dell’anima che impli-chi la sua indistruttibilità».154

Nella sua dissertazione di laurea sullo Sheol nell’Antico Testamento,Ralph W. Doermann conclude così la sua analisi sulla natura umana: «Èevidente che nel concetto ebraico dell’uomo inteso come un’unità psi-cosomatica, non può esistere nessuno spazio per la dottrina dell’im-

149 B.R. REICHENBACH, Is Man the Phoenix? A Study of Immortality, Grand Rapids, 1978, p. 54.150 D.G. BLOESCH, Essentials of Evangelical Theology, San Francisco, 1979, Vol. 2, p. 188.151 A. HOEKEMA, The Bible and the Future, Grand Rapids, 1979, p. 90.152 F.F. BRUCE, «Paul on Immortality», Scottish Journal of Theology 24, 4 (nov 1971), p. 469.153 M. HARRIS, «Resurrection and Immortality: Eight Theses» Themelios 1, no. 2, pri-mavera, 1976, p. 53.154 Idem.

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La natura umana come cuore

mortalità dell’anima. O tutta la persona vive o tutta la persona scendenella morte… non c’era nessuna esistenza indipendente per il ruach(spirito) o il nefesh (anima) separatamente dal corpo. Con la morte delcorpo, l’impersonale ruach (spirito) “ritorna a Dio che l’ha dato” (Ec12:7) e il nefesh (anima) muore, benché ancora presente, in un sensomolto debole, nelle ossa e nel sangue».155

H. Dooyeweerd, filosofo calvinista olandese, critica acutamente ilpensiero dualista della natura umana. Egli rifiuta questo modo di con-cepire l’uomo perché «l’idea di una sostanza centrata nella ragioneumana (l’anima) è in conflitto con la confessione della corruzioneradicale della natura umana, ma anche perché la divisione dell’animadal corpo fa sorgere vari problemi». Uno di questi consiste nell’impos-sibilità dell’anima di compiere delle attività una volta separata dalcorpo, perché le funzioni psichiche sono indissolubilmente collegatecon la totale relazione temporale delle funzioni del corpo.156

155 R.W. DOERMANN, Sheol in the Old Testament (tesi di dottorato alla Duke University)1961, p. 205.156 H. DOOYEWEERD, «Kuypers Wetenschapsleer», Philosophia Reformata, IV, pp.199,201, citato da G.C. BERKOUWER, Man: The Image of God, Grand Rapids, 1972, pp.255,256.

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Conclusione II parte

Nel Nuovo Testamento, il cuore rappresenta la vita interiore di unapersona, le funzioni emotive, psicologiche, intellettuali e spirituali.Queste funzioni, attribuite al cuore e allo spirito, dimostrano ancorauna volta che, nel Nuovo come nell’Antico Testamento, la naturaumana è vista come un’unità indissolubile e non come un compostodi «sostanze» diverse. L’insegnamento biblico circa la natura dell’uo-mo nega del tutto la sopravvivenza dell’anima alla morte del corpo.Tuttavia, che cosa succede alla morte della persona? Se l’intera per-sona, corpo, anima e spirito, muore, vuole forse dire che nulla soprav-vive? Perché la Bibbia parla della risurrezione dei morti? Qual è lostato intermedio dei morti fino alla risurrezione? Qual è la natura delcorpo risuscitato? Sarà simile o diverso dal corpo presente? Questesono alcune delle domande che esamineremo nella terza parte.

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III PARTE

LA MORTE E IL MORIRE

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Capitolo 10

La sopravvivenza delle anime

L’uomo, in genere, rifiuta la morte intesa come un’interruzione inac-cettabile e improvvisa del lavoro, dei progetti e delle relazioni. Benchésu molte lapidi si legga: «Riposa in pace», la verità è che la maggiorparte delle persone non accetta il silenzio della tomba; piuttosto si vor-rebbe continuare a essere vivi e produttivi.

Non sorprende che la questione della morte e dell’aldilà sianosempre state oggetto di intenso studio e, spesso, di speculazione. Dopotutto, il tasso di morte è ancora uno per ogni singola persona. Ognunodi noi, a suo tempo, dovrà affrontare la morte come una realtà nonprocrastinabile.

Oggi si vive sempre più immersi in una cultura che tende a nega-re l’ineluttabilità della morte. Le persone vivono come se la morte nonesistesse. I medici e il personale ospedaliero considerano la mortecome la vanificazione del loro lavoro. Anche in fin di vita, si tende anegare la realtà della morte imbalsamando i morti da un lato e usan-do la cosmesi per restituire al defunto una parvenza di naturalezza. Sivestono le salme con abiti e vesti di valore come se stessero andandoa una festa invece di ritornare alla polvere. I colori del lutto, il biancoo il nero, tradizionalmente accettati in molti paesi, stanno gradual-mente scomparendo, perché le persone non accettano la morte comequell’intrusa che pone termine alla vita.

Di recente, in alcune università occidentali, sono stati introdottidei corsi sulla morte e sul morire; e contemporaneamente si possonofrequentare anche corsi sull’occultismo, sui fenomeni paranormali oesperienze vicine alla morte.

Naturalmente viene garantita la scientificità delle indagini perprovare che oltre la morte c’è ancora vita. L’interesse per la morte el’aldilà rompe l’alone di mistero per ritrovare nuove o pseudo certez-ze in una qualche esistenza dopo la vita.

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Capitolo 10

«No, non morirete affatto»Un breve resoconto storico della sopravvivenza dell’anima potrà forseaiutarci a comprendere meglio la posizione biblica circa la morte e lostato dei morti. La menzogna del serpente: «Non morirete affatto» (Gn 3:4)ha ottenuto un grande successo in tutta la storia del pensiero fino ainostri giorni.

La convinzione che dopo la morte c’è una specie di vita, è statapraticamente mantenuta in ogni epoca. La necessità di rassicurazionee di certezza in merito alla sfida della morte ha condotto uomini edonne di ogni cultura e ceto a credere alla sopravvivenza.

Anche nella filosofia cristiana, la morte è stata definita in generecome la separazione dell’anima immortale dal corpo mortale. Questaconvinzione è stata espressa in varie maniere e ha contribuito al sor-gere di altre dottrine: per esempio le preghiere per i morti, la venditadelle indulgenze, il purgatorio, l’intercessione dei santi, l’eterno tor-mento dell’inferno, ecc.

Agostino (354-430) insegnava che tra la morte e la risurrezione,cioè nel periodo conosciuto come «stadio intermedio», le anime deimorti si trovano nella beatitudine del paradiso oppure soffrono le penedel purgatorio o dell’inferno. L’anima di per sé continua a esistere finoalla risurrezione del corpo, dove si consumerà il destino umano: la sal-vezza dei santi o la perdizione degli empi.

Durante il medioevo, la paura della morte e le speculazioni riguar-do l’aldilà hanno colpito l’immaginario cristiano, ispirando svariateopere letterarie e teologiche. La Divina Commedia di Dante è solo unodei molteplici scritti che descrivono i tormenti delle anime dei pecca-tori nel purgatorio e nell’inferno, o le beatitudini delle anime dei santinel paradiso.

La sopravvivenza dell’anima ha contribuito allo sviluppo della dot-trina del purgatorio, il luogo dove le anime dei morti sono purificatemediante la punizione temporanea dei loro peccati prima di ascende-re al paradiso. Questa dottrina, accettata con timore da folle popolari,ha caricato i viventi di fortissime tensioni emotive e finanziarie.

Come dice Ray S. Anderson: «Non solo bisognava guadagnareabbastanza per vivere, ma anche per pagare “l’ipoteca spirituale” abeneficio dei morti».157

157 R.S. ANDERSON, La fede, la morte e il morire, (trad. R. Fabbri), Claudiana, Torino,1993, p. 133

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La sopravvivenza della anime

I riformatori rifiutano il purgatorioLa riforma protestante ebbe origine proprio come reazione contro lesuperstizioni medievali riguardo alla vita ultraterrena nel purgatorio. Iriformatori hanno rifiutato, considerandola una pratica non biblica enon conforme alla ragione, l’idea di comprare o vendere le indulgenzeper accorciare il tempo di permanenza nel purgatorio delle anime deiparenti defunti. In ogni caso, hanno continuato a credere nell’esisten-za consapevole delle anime nel paradiso o nell’inferno durante lo sta-dio intermedio. Calvino ha espresso questa convinzione con maggioredecisione rispetto a Lutero.158

Nel trattato Psychopannychia159 rivolto contro gli anabattisti, con-vinti assertori del sonno dei morti nello stadio intermedio, Calvino hasostenuto che tra la morte e la risurrezione le anime dei credenti godo-no la beatitudine del cielo; quelle dei non credenti soffrono i tormentidell’inferno. Alla risurrezione, il corpo è riunito con l’anima, intensifi-cando così il piacere del paradiso o il dolore dell’inferno. La dottrinadello stadio intermedio è stata fin da quel momento accettata dallamaggior parte delle chiese protestanti ed è presente nelle diverse pro-fessioni di fede.160

La Confessione di Westminster (1646), considerata come la dichia-razione definitiva delle dottrine presbiteriane nel mondo anglosassone,afferma: «Il corpo degli uomini dopo la morte ritorna alla polvere, evede la corruzione; ma le loro anime (che non muoiono né dormono)avendo una sussistenza immortale, immediatamente ritornano a Dioche le ha date. Le anime dei giusti, essendo allora rese perfette in san-tità, sono accolte nel cielo, dove vedono il volto di Dio in luce e in glo-ria, aspettando la piena redenzione dei loro corpi; mentre le animedegli empi sono gettate nell’inferno, dove rimangono nel tormento enelle tenebre più complete, fino al giorno del giudizio».161

Nello stesso documento si afferma che la dottrina del purgatorionon ha alcun fondamento biblico. Rifiutando come non bibliche le

158 Cfr. H. SCHWARZ, «Luther’s Understanding of Heaven and Hell», InterpretingLuther’s Legacy, ed. F.W. Meuser and S.D. Schneider, Minneapolis, 1969, pp. 83-94.159 Il testo di questa citazione si trova in CALVINO Stracts and Treatises of the ReformedFaith, trad. H. Beveridge, Grand Rapids, 1958, vol. 3, pp. 413-490.160 Cfr con C. HODGE, Systematic Theology, Grand Rapids, 1940, vol. 3, pp. 713-30;W.G.T. SHEDD, Dogmatic Theology, Grand Rapids, s.d., vol. 2, pp. 591-640. G.C.BERKOUWER, The Return of Christ, Grand Rapids, 1972, pp. 32-64.161 «Westminster Confession», cap. 32, cit. da J.H. LEITH, ed., Creeds of the Churches,Atlanta, 1977, p. 228.

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superstizioni riguardanti le sofferenze delle anime in purgatorio, iriformatori hanno spianato la strada per un riesame della naturaumana da parte dei filosofi razionalisti del secolo dei Lumi.

Questi filosofi non hanno abbandonato immediatamente la nozio-ne dell’immortalità dell’anima. Il primo a mettere in discussione laconvinzione riguardante la sopravvivenza della vita dopo la morte, èstato David Hume (1711-1776), filosofo e storico inglese. Egli credevache tutta la conoscenza derivasse dalle percezioni dei sensi, quindi delcorpo.162 Siccome la morte pone fine a ogni percezione, è impossibileper l’anima avere un’esistenza consapevole dopo la morte.

L’abbandono di una vita ultraterrena ha raggiunto il suo culminein Francia, Inghilterra e America verso la metà del diciottesimo secolocon il sorgere dell’ateismo, dello scetticismo e del razionalismo.

La pubblicazione de L’origine delle specie (1859) di Charles Darwinha dato un valido contributo al progresso della causa super naturalistafacendo crollare il fondamento dell’immortalità dell’anima. Se la vitaumana è il prodotto della generazione spontanea, allora gli esseriumani non hanno uno spirito divino o un’anima immortale in loro. Leteorie di Darwin hanno incoraggiato la ricerca delle prove «scientifi-che» per i fenomeni soprannaturali, come la sopravvivenza dell’anima.

Lo spiritismo: nuovo interesse per l’animaL’interesse per la vita dell’anima dopo la morte è stato confermato dallapubblicazione di La razza futura (1860) di Bulmer Lytton. Questo libroha esercitato un notevole influsso su molti scrittori i quali hanno divul-gato le pratiche dell’occultismo presso la società britannica.

Negli Stati Uniti, l’interesse per la comunicazione con il mondodell’occulto ha avuto origine con le sedute spiritiche organizzate dallesorelle Fox a Hydesdale, nello stato di New York.

Il 31 marzo 1848, le sorelle hanno stabilito, in una seduta spiritica,un contatto con il sedicente spirito di un uomo, un certo WilliamDuesler, assassinato e sepolto nel sottoscala della loro casa dove vennerinvenuto, in effetti, un cadavere.

Gli spiriti dei morti in casa Fox comunicavano tramite colpi sul

162 D. HUME, «Trattato sulla natura umana» in Opere, Bari, Laterza, 1971, vol. 1.David Hume (A.D. 1711–1776), filosofo e storico inglese. Ha messo in dubbio l’immorta-lità dell’anima, perché credeva che tutta la conoscenza derivasse dalle percezioni sen-sorie del corpo (cfr. R.A. MOREY, Death and the Afterlife, Minneapolis, 1984, pp. 173-184).

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tavolo e questa pratica divenne famosa, in America e in Inghilterra,moltiplicando le sedute. Il fenomeno ha attirato l’attenzione di nume-rose persone colte che nel 1882 hanno organizzato la Società per lericerche psichiche (Spr). Henry Sedgwich, noto filosofo di Cambridge,ha fatto molto per accogliere in seno alla società alcune delle personepiù influenti dell’epoca, ivi incluso William Gladstone (già primo mini-stro britannico) e Arthur Balfour (futuro primo ministro).

Un risultato importante per il movimento Spr è rappresentato dal-l’opera di Joseph Banks Rhine, che nel 1930 ha iniziato le sue ricerchedi vita conscia dopo la morte. Rhine si è preparato come biologo pres-so l’università di Chicago; piu tardi si è avvicinato alla Spr mentre inse-gnava all’università di Harvard. Egli ha ridefinito e ricatalogato gliargomenti che la Spr aveva studiato per anni, coniando termini come«percezione extrasensoria» (Esp), «psicologia paranormale» o «parapsi-cologia», con l’intento di dare credibilità scientifica allo studio sulla vitaultraterrena.

Più tardi, Joseph Banks Rhine, insieme con William McDougal,quest’ultimo presidente di entrambi i gruppi della Spr britannici eamericani, ha fondato il dipartimento per gli studi psichici alla DukeUniversity. I russi, dal canto loro, hanno condotto esperimenti psichicipropri. Le loro scoperte sono state pubblicate in forma divulgativa inScoperte psichiche dietro la cortina di ferro da Sheila Ostrander e LynnScroeder (1970).

Negli ultimi anni Sessanta, l’ex vescovo episcopale James A. Pikeha dato nuovo impulso all’idea largamente diffusa di poter comunica-re con gli spiriti dei morti, contattando regolarmente il proprio figliodeceduto. Oggi la nostra società è inondata di medium ed esperti delparanormale che reclamizzano i loro servizi attraverso la televisione, iperiodici, le radio e i quotidiani. Nel libro Nell’ora della morte, K. Osised E. Haraldsson scrivono: «Le esperienze spontanee del contatto con imorti sono sorprendentemente diffuse. In un sondaggio di opinioni… il27 per cento della popolazione americana ha affermato di aver avutoincontri con parenti morti… vedovi e vedove… ogni tanto raccontanogli incontri con il loro coniuge defunto (57 per cento)».163

Il contatto con gli spiriti dei defunti non è solo un fenomeno ame-ricano. Indagini condotte in altri paesi hanno rivelato un’alta percen-

163 K. OSIS and E. HARALDSSON, At the Hour of Death, Avon, 1977, p. 13. Italiano Quelloche videro nell’ora della morte, (trad. D. Dettori), Milano, Armenia, 1988.

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tuale di persone che richiedono i servizi dei medium per comunicarecon gli spiriti dei loro defunti.164

Nel loro libro Immortalità o estinzione? Paul e Linda Badham,ambedue professori all’università di S. David, nel Galles, dedicano uncapitolo alle «evidenze della ricerca psichica» per sostenere la loro con-vinzione nella vita cosciente oltre la morte. Essi hanno scritto: «Certepersone credono che un contatto diretto con i morti possa esser rag-giunto attraverso i medium che hanno l’abilità, in uno stato ipnotico, ditrasmettere messaggi fra i vivi e i morti. La credenza nella realtà diquesti contatti costituisce l’elemento di coesione delle chiese spiritiche;quanti, poi, sono in lutto e consultano i medium, sono spesso impres-sionati dalle convincenti descrizioni fatte dai loro parenti deceduti, tra-smesse loro dai medium. A volte un medium è anche in grado di cono-scere la vita precedente del defunto».165

Paolo e Linda Badham riconoscono che in molti casi i mediumsono ciarlatani che basano i loro contatti su «acute osservazioni e con-getture intelligenti».166

Eppure, credono che esista «una prova autentica della sopravvi-venza dell’anima umana dopo la morte».167 Essi sostengono questoconvincimento riportando i casi di diversi membri della Società per lericerche psichiche (Spr), che, dopo la morte, hanno iniziato a manda-re messaggi ai membri vivi della Spr per provare che erano sopravvis-suti alla morte.168

Non è intento in questo libro discutere l’abilità di alcuni mediumdi ricevere e trasmettere messaggi da e per gli spiriti. Ciò che real-mente conta, però, è sapere se questi messaggi provengano diretta-mente dagli spiriti di defunti o da entità sataniche. Nel capitolo succes-sivo esamineremo la consultazione che il re Saul fece presso la magadi Endor (1 Sam 28:7,25). Per il momento ci preme far notare quanto,ancora oggi, lo spiritismo contribuisca enormemente a mantenere l’i-dea della sopravvivenza dell’anima dopo la morte. Coloro che, attra-verso i medium, pensano di comunicare con lo spirito dei defuntihanno ragione di credere all’immortalità dell’anima?

164 Ibidem, pp. 13,14. cfr. W.D. REES, The Hallucinations of Widowhood BMJ 4, 1971,pp. 37-41; G.N.M. TYRRELL, Apparitions, Duckworth, 1953, pp. 76,77.165 P. BADHAM and L. BADHAM, Immortality or Extinction?, Totatwa, New Jersey, 1982,pp. 93,94.166 Ibidem, p. 94.167 Ibidem, p. 98.168 Ibidem, pp. 95-98.

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Esperienze ravvicinate con la morteUn altro sviluppo significativo del nostro tempo, che ha contribuito adiffondere la popolare sopravvivenza dell’anima, è da ricercarsi nellostudio delle «esperienze ravvicinate con la morte» (Nde da Near deathesperience). Questi studi sono basati su racconti di persone, uscite dalcoma e da medici e infermieri che hanno registrato le esperienze sulletto di morte di alcuni loro pazienti. Queste esperienze spesso si con-frontano con ciò che molti credono sia la vita dell’anima in paradiso.Benché ogni racconto mantenga una propria originalità, alcune carat-teristiche sono comuni: l’impressione di tranquillità, la sensazione diessere attratti molto velocemente attraverso un tunnel buio, la sensa-zione di possedere un corpo spirituale che galleggia senza peso, la con-sapevolezza di essere in presenza di un essere spirituale, un incontrocon una luce folgorante, spesso identificata con Gesù Cristo o un ange-lo e la visione di una città piena di luce.169 Questi racconti sono consi-derate prove che, al momento della morte, l’anima lasci il corpo e con-tinui a vivere, ma non costituiscono una novità; nella letteratura clas-sica si trovano tracce simili: La storia della chiesa del popolo inglese, lafede venerabile, il Libro tibetano dei morti, cultura primitiva di Sir E. B.Taylor, e la Repubblica di Platone.170

Nella Repubblica, Platone offre il racconto straordinario di unaesperienza ravvicinata con la morte, che utilizza per confermare la cre-denza nell’immortalità dell’anima.

«La storia di un valoroso, Er figlio di Armenio, di razza panfilia.Costui era morto in guerra e quando dopo dieci giorni si raccolsero icadaveri già putrefatti, venne raccolto ancora intatto. Portato a casa,nel dodicesimo giorno stava per essere sepolto. Già era deposto sullapira quando risuscitò e, risorto, prese a raccontare quello che avevaveduto nell’aldilà.

Ed ecco il suo racconto. Uscita dal corpo, l’anima aveva cammina-to insieme con molte altre ed erano arrivate in un luogo meraviglioso,

169 Queste caratteristiche sono tratte da uno studio dello psichiatra americano RaymondA. Moody, che ha scritto due libri fondamentali su questo soggetto: Life after Life (1976)e Reflections on Life after Life (1977). Lo studio di Moody è citato da Hans Schwarz (note14), pp. 40,41. R.A, Moody, La vita oltre la vita, (trad. A.L. Zozo), Mondadori, Milano,1997 e Nuove ipotesi sulla vita oltre la vita, Mondadori, Milano, 1998.170 Per un approfondimento riguardante esperienze ravvicinate con la morte nelcorso della storia, cfr. H. SCHWARZ, Beyond the Gates of Death: A Biblical Examinationof Evidence for Life After Death, Minneapolis, 1981, pp. 37,48.

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dove si aprivano due voragini nella terra, contigue, e di fronte a que-ste, alte nel cielo, altre due. In mezzo sedevano dei giudici che, dopo ilgiudizio, invitavano i giusti a prendere la strada di destra che salivaverso il cielo, dopo aver loro apposto davanti i segni della sentenza; egli ingiusti invece quella di sinistra, in discesa. E anche questi aveva-no, ma sul dorso, i segni di tutte le loro azioni passate. Quando eraavanzato lui, gli avevano detto che avrebbe dovuto descrivere agliuomini il mondo dell’aldilà, e che lo esortavano ad ascoltare e contem-plare tutto quello che c’era in quel luogo…»

«Per dove e come avesse raggiunto il suo corpo non sapeva. Sapevasolo che d’un tratto aveva aperto gli occhi e s’era veduto all’alba giace-re sulla pira».171

Platone conclude la sua storia con questo commento: «E così,Glaucone, s’è salvato il mito e non è andato perduto. E potrà salvareanche noi, se gli crediamo… Se mi darete ascolto e penserete che l’ani-ma è immortale, che può soffrire ogni male e godere ogni bene».172

Qualcuno potrebbe porre la domanda: che tipo di salvezza offre lacredenza dell’immortalità dell’anima? La sopravvivenza dell’anima odi uno spirito disincarnato in un mondo etereo difficilmente può esse-re paragonata alla speranza biblica della risurrezione della personanella sua globalità a una vita reale sulla terra rinnovata nella sua per-fezione originale. Su questo punto, ritorneremo nell’ultima parte dovevedremo il concetto biblico del mondo futuro.

Studi su esperienze ravvicinate con la morteLo studio intorno alle esperienze ravvicinate con la morte è stato com-piuto da uno psichiatra americano, Raymond A. Moody. I suoi due libriLa vita oltre la vita (1975) e Nuove ipotesi sulla vita oltre la vita (1977)hanno dato il via alla pubblicazione di numerosi altri libri, articoli edibattiti che affrontano le esperienze extracorporee.173

«Recentemente è stata pubblicata una bibliografia di libri e di arti-

171 PLATONE, Opere complete, vol. VI: Clitofonte, Repubblica, Timeo, Crizia, Laterza,Bari, 1982, Repubblica X, 614, p. 337. 172 Repubblica X, 621, op.cit., p. 345.173 Cfr. C.S. KING, Psychic and Religious Phenomena, New York, 1978. Per approfondi-re ulteriormente l’argomento consigliamo STANISLAV GROF e CHRISTINA GROF, BeyondDeath: the Gates of Consciousness, New York, 1989; M. RAWLINGS, Beyond Death’s Door,New York, 1981; J. HEANEY, The Sacred and the Psychic: Parapsychology and theChristian Theology, New York, 1984; H. Schwarz, Beyond the Gates of Death: A BiblicalExamination of Evidence for Life After Death, Minneapolis, 1981.

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coli di rilievo sulle esperienze ravvicinate con la morte. Il catalogo con-tava duemilacinquecento titoli».174

Raymond A. Moody ha studiato 150 persone che hanno avuto espe-rienze ravvicinate con la morte e, in certi casi, di persone clinicamen-te morte. La domanda è: come devono essere interpretati questi dati?L’editore di Moody sostiene che i racconti «sono casi reali e che rivela-no una vita dopo la morte».175

Moody stesso, comunque, è molto più cauto. Egli nega esplicita-mente di aver cercato «di produrre una prova di sopravvivenza a segui-to della morte del corpo», anche se è del parere che i dati siano «alta-mente significativi» per chi vi crede.176 Egli lascia aperta la possibilitàdi concepire le esperienze ravvicinate con la morte come annunci diimmortalità o solo come il risultato di eventi fisiologici terminali.

Non si intende qui esaminare il preteso valore probativo delleesperienze ravvicinate con la morte sulla convinzione della sopravvi-venza dell’anima. L’autorità normativa per definire la natura umananon può essere data da esperienze soggettive ravvicinate con la mortedelle persone, ma con la rivelazione di Dio contenuta nella sua Parola(2 Pt 1:19). Per questa ragione, prenderemo in considerazione solo treosservazioni di fondo circa le esperienze ravvicinate con la morte.

In primo luogo, si tratta di definire cos’è la morte. L’editore diLancet, una rivista che si interessa di ricerche mediche, ha ribadito:«Solo un uso deliberato di vocaboli obsoleti per definire la morte puòpermettere a qualcuno di pretendere che in certe condizioni cliniche,possa essere tornato per raccontarci ciò che esiste oltre la morte; per-ché, per definizione periodicamente aggiornata, la morte è da situarsipoco oltre il punto dal quale qualcuno possa ritornare per farne un rac-conto».177 Anche il professore Paul Kurts commenta: «Non abbiamoalcuna prova concreta che i soggetti in questione siano di fatto morti.Questa prova non è impossibile ottenerla: la rigidità cadaverica è unsegno e la morte del cervello ne è un altro. Ciò che i racconti vera-mente descrivono è la procedura del morire e l’esperienza ravvicinatacon la morte, non la morte stessa».178

174 P. BADHAM e L. BADHAM, Op. cit., p. 88.175 Sulla copertina di R.A. MOODY, Life after Life, New York, 1975.176 Ibidem, p. 182.177 Editorial, Lancet, June 24, 1978.178 P. Kurtz, Is There Life After Death? Una pubblicazione presentata durante l’ottavaconferenza internazionale sull’unità delle scienze, Los Angeles, Novembre, 1979.

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In seconda istanza va ricordato, come osservano Paolo e LindaBadham, che «chiunque stia passando tra la vita e la morte vive unaprofonda tensione fisica e psicologica. Un cervello privo di ossigeno,sotto l’effetto di farmaci antidolorifici e allucinatori o sotto l’effettodella febbre, difficilmente funziona bene e chi sa di quali visioni nonsia capace a causa delle sue perturbate condizioni?».179

Alcune ricerche hanno dimostrato la similitudine tra le esperienzeravvicinate con la morte e gli effetti causati dalle droghe psichedeliche.«Le recenti ricerche sull’autocoscienza hanno mostrato che questesomiglianze possono essere riprodotte con l’uso di droghe in sedutepsichedeliche. Si tratta dunque di esperienze che fanno parte del pro-cesso continuo dell’esperienza psichica e che hanno dimostrato nontanto l’esistenza di una vita oltre la morte, quanto piuttosto che la rela-zione tra l’Io conscio e l’Io incarnato è molto più complessa di quantosi ritenesse in precedenza».180

In sintesi, in che modo è possibile stabilire che queste esperienzeravvicinate con la morte siano «esperienze reali», e non un prodottodella mente stessa del paziente? E perché quasi tutti i racconti di Nderiguardano la felicità e le beatitudini del cielo e non c’è nessunaocchiata fugace ai tormenti dell’inferno? È evidente che le persone chestanno morendo preferiscano sognare un destino colorato a tinte roseepiuttosto che pensare alle tenebre e alle pene dell’inferno; la visionedelle cose sublimi dipende grandemente dallo stereotipo culturale ereligioso della persona.

Karlis Osis e Erlendur Haraldsson hanno valutato i racconti di piùdi 1.000 esperienze Nde sia negli Stati Uniti, sia in India. Hanno trova-to che la visione dei pazienti di religione indù era tipicamente indiana,mentre quella degli americani era occidentale o cristiana. Per esempio,una donna indù, studentessa universitaria, sentiva d’esser portata incielo su una mucca, mentre una paziente americana cattolica devota diS. Giuseppe ha incontrato il suo santo protettore.181

Questi racconti su esperienze dopo la morte, riflettono le convin-zioni personali dei pazienti. Si dovrà ricordare che le esperienze sulletto di morte o di incontri ravvicinati con la morte, sono esperienze di

179 P. BADHAM and L. BADHAM, op. cit., p. 81.180 R.S. ANDERSON, Op. cit., p. 140. Cfr. A. GOUNELLE, F. VOUGA, Dopo la morte?,Claudiana, Torino, 1995, pp. 14-17. «Malgrado l’interesse di queste esperienze, è diffi-cile fondarsi su di esse per descrivere quel che accade dopo la morte.…» p. 16 (ndr).181 K. OSIS and E. HARALDSSON, Op. cit., p. 197.

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persone ancora vive o le cui menti hanno ripreso coscienza. Qualun-que cosa sperimentino in queste circostanze fa ancora parte della lorovita presente e non della vita dopo la morte. La Bibbia riporta la risur-rezione di sette persone (cfr. 1 Re 17:17,24; 2 Re 4:25,37; Lc 7:11,15;8:41,56; At 9:36,41; 20:9,11) ma nessuna di esse ha elaborato un rac-conto di un’esperienza di vita ultraterrena.

Lazzaro è risuscitato dopo essere stato clinicamente morto perquattro giorni e non ha raccontato nessuna esperienza vissuta fuori dalcorpo. La ragione è semplice: la morte, secondo la Bibbia, è la cessa-zione della vita per l’intera persona, corpo e anima. Non c’è nessunaforma di esistenza consapevole tra la morte e la risurrezione. I mortiriposano nelle loro tombe nella completa incoscienza fino a quandoCristo li richiamerà all’esistenza nel giorno glorioso del suo ritorno.

Il movimento del New AgeLa credenza nella vita consapevole dopo la morte è oggi particolar-mente divulgata dal movimento del New Age.182 Non è facile definirequesto movimento popolare, perché esso è l’insieme di una rete diorganizzazioni e individui che condividono valori e visioni comuni.Questi valori, derivano sia dal misticismo occulto/orientale, sia da unavisione panteistica del mondo secondo la quale tutti sono in quell’Unoche è dio. Essi immaginano una «nuova era» di pace e di sapienza dimassa, nota come «l’era dell’acquario».183

Gli adepti del New Age possono avere divergenze circa il momen-to in cui potrà iniziare la «nuova era», ma tutti concordano nel crederedi poter affrontare il nuovo ordine partecipando alla vita politica, eco-nomica, sociale e spirituale.

Secondo alcuni analisti sociali, il movimento del New Age si è pro-posto come la maggiore tendenza culturale del nostro tempo. ElliotMiller lo definisce «la terza maggiore forza sociale» in concorrenza,

182 Alcuni dei più importanti studi sul movimento del New Age sono: VI SHAL

MANGALWADI, When the New Age Gets Old: Looking for a Greater Spirituality, DownersGrove, Illinois, 1992; T. PETERS, The Cosmic Self. A Penetrating Look at Today’s NewAge Movements, New York, 1991; M. PERRY, Gods Within: A Critical Guide to the NewAge, London, 1992; R. BASIL, ed., Not Necessarily the New Age, New York, 1988.183 Il movimento del New Age è attraversato da una profonda crisi e l’ottimismo ini-ziale ha esposto il movimento a un profondo ripensamento, ma l’uomo non si arren-de e continua a sognare un millennio di pace o una epoca d’oro non più nella nuovaera, ma nella Next Age (cfr. M. INTROVIGNE, P. ZOCCATELLI e V. FANTONI, Il sogno del NewAge, Edizioni ADV, Impruneta, 2000, pp. 50-70)

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per il predominio culturale, con la religione tradizionale giudeo-cri-stiana e l’umanesimo laico.184

Per gli adepti del New Age, la realtà finale dell’umanità si con-giunge con un Dio panteistico, coscienza infinita e forza impersonale.Gli esseri umani partecipano alla natura divina e sono separati da Diosolo nella loro coscienza. Mediante tecniche specifiche, come medita-zione, canto, danza estatica e privazioni sensorie, gli aderenti al movi-mento cercano di raggiungere l’unione con Dio. La salvezza è sinoni-mo di piena autorealizzazione tramite tecniche spirituali particolari.

La moda del «channeling»Un aspetto importante del movimento del New Age è dato dai presun-ti contatti con le intelligenze umane e sovrumane dei defunti. Questofenomeno è noto come «channeling», ma è stato definito «spiritismo instile New Age».185 Elliot Miller giustamente afferma: «Lo spiritismo haavuto un ruolo storicamente e virtualmente fondamentale in tutte leforme del paganesimo. Coloro che hanno permesso agli spiriti di usarei loro corpi sono stati chiamati con una varietà di nomi, come “sciama-ni”, “stregoni”, “oracoli”, “chiromanti” e “veggenti”, “l’uomo di medi-cina”. Nella nostra cultura il termine comune è “medium”, ma neglianni recenti è stato abbandonato in favore di “canale” o “canalista”,riflettendo, in parte, il desiderio di fuggire dagli stereotipi negativi chenegli anni sono stati associati ai medium».186

Un «channeler» è essenzialmente una persona che crede di essereil destinatario degli insegnamenti e della sapienza dei grandi spiriti delpassato. Il giro d’affari dei «channelers» è in espansione in tutte le mag-giori città americane. Secondo il Los Angeles Time, in dieci anni ilnumero dei «canalisti» professionisti a Los Angeles è cresciuto da dueunità a oltre mille.187 Questo li obbliga a usare nuovi approcci psicolo-gici per commercializzare i loro servizi.

Uno di questi è Taryn Krive che così pubblicizza i suoi servizi:«Tramite Taryn un elevato numero di spiriti trasmettono i loro inse-gnamenti e messaggi. Essi risponderanno alle tue domande riguardo aquesta o ad altra vita. Ti aiuteranno a identificare le tue esperienze di

184 E. MILLER, A Crash Course on the New Age Movement, Grand Rapids, 1989, p. 183.185 Ibidem, p. 141.186 Ibidem, p. 144.187 L. SMITH, «The New, Chic Metaphysical Fad of Channeling», Los Angeles Timesdel 5 dic.1986, Part V.

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vita e a sbloccare il tuo massimo potenziale per vivere e amare…Incontrerai il tuo spirito-guida. Imparerai a collegarti con le tue esi-stenze precedenti e a svincolarti dal loro potente influsso sul presente.Egli sviluppa le tue qualità come «channelers» (telescrittura automati-ca, canali d’estasi)».188

La persona che ha avuto un ruolo preminente nel promuovere ilmovimento del New Age, e specialmente i “canali”, è la famosa attriceShirley McLaine. Sono stati venduti oltre cinque milioni di copie deisuoi libri e la miniserie Là sul ramo, ha convogliato per i «channels» uninteresse senza precedenti.

Shirley McLaine ha assunto seriamente il ruolo di capo carismati-co del movimento New Age. Nella sua miniserie televisiva, ha presen-tato a tutta la nazione americana seminari di due giorni chiamati «con-giungersi con il punto più elevato di sé». I profitti derivati dai seminarisono stati utilizzati per fondare un centro spirituale di oltre mille etta-ri vicino a Pueblo, in Colorado. Lo scopo del centro è di offrire uno spa-zio adeguato dove le persone possano comunicare con fiducia con glispiriti superiori.189

Un importante elemento che ha contribuito al successo del NewAge è certamente da attribuirsi all’idea di poter stabilire dei contattinon solo con i propri defunti, ma anche con i grandi spiriti del passato.Come indica Alan Vaughan, parapsicologo e «canalista»: «Nell’emo-zione, nell’istantaneità di un contatto con un’altra coscienza, potrebberitrovarsi la forza e l’energia che stanno dietro la straordinaria cresci-ta della pratica dei “channels”».190

Una transizione verso un’esistenza superioreIl contatto con gli spiriti dei morti si fonda sulla convinzione che lamorte non sia la fine della vita, ma solo una transizione verso un’esi-stenza superiore. Inoltre, secondo questa filosofia, potrebbe esserepossibile una reincarnazione sulla terra o altrove. Virginia Essene ritie-ne di essere guidata da uno spirito eccellente, niente di meno Gesùstesso e dice: «La morte ci introduce nella sfera più elevata della cono-scenza, della crescita e del servizio al quale siete già abituati.

188 «Advertisement», The Whole Person, July 1987, p. 1.189 Cfr. N. EASTON, «Shirley MacLaine’s Mysticism for the Masses», Los Angeles TimesMagazine, September 6, 1987, p. 8.190 A. VAUGHAN, «Channels-Historic Cycle Begins Again», Mobius Reports, Spring-Summer 1987, p. 4.

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Capitolo 10

Semplicemente, occorre vivere in un orizzonte di gioia e di compren-sione più elevato».191

La convinzione che la morte introduca l’essere umano in una sferasuperiore della vita, riflette la tradizione della fede cristiana circa lasopravvivenza consapevole dell’anima dopo la morte. I due modi dipensare sono riconducibili alla prima menzogna espressa dal serpentenel giardino dell’Eden: «Non morirete» (Gn 3:4).

Questa menzogna è sopravvissuta attraverso i secoli con effettidevastanti sulla religione cristiana e non. Elliot Miller, nella sua pro-fonda analisi del movimento New Age, osserva: «È stato giustamentenotato da molti osservatori cristiani che il fondamento delle dottrinedel New Age e dei «channels», è costruito sulle frasi del serpente, il piùastuto di tutti gli animali e simbolo dell’avversario, che troviamo nelprimo libro della Bibbia: «sarete come Dio» e «non morirete affatto» (Gn3:4,5). L’adesione a questo nuovo «vangelo» ha provocato la miseria delmondo».192

Elliot Miller dice il giusto quando afferma che la fede nell’immor-talità innata, promossa dal New Age, non ha bisogno della salvezzadonata per grazia da Gesù, dal momento che una persona può conse-guire un livello di vita superiore. Purtroppo però Miller non crede cheil successo del New Age nel promuovere le sue idee sia da attribuirsialla visione dualistica tradizionale cristiana intorno alla natura umana.I cristiani che credono nell’immortalità dell’anima non hanno difficol-tà ad accettare l’insegnamento che la morte sia una transizione versouna sfera superiore di vita. Dopo tutto, quest’ultima, corrisponde intoto alla credenza nell’esistenza consapevole delle anime dei santinella beatitudine del paradiso.

ConclusioneLa menzogna di Satana, «non morirete» (Gn 3:4), è sopravvissuta finoal nostro tempo in diverse forme e ha accompagnato tutta la storiaumana. Mentre nel medioevo la vita ultraterrena era promossa da rap-presentazioni letterarie, artistiche e superstiziose della beatitudine deisanti e dei tormenti per i peccatori, oggi questa convinzione è diffusain maniera più sofisticata tramite i medium, le ricerche «scientifiche»,

191 «Jesus»(tratto da V. ESSENE,«Secret Truths - What Is Life?» Life Times, 1, p. 3, cita-to da E. MILLER, Op. cit., p. 172.192 E. MILLER, Op. cit., p. 178.

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La sopravvivenza della anime

nelle esperienze ravvicinate con la morte, e i «canalisti» del New Agecon gli spiriti del passato.

I metodi dell’avversario sono cambiati, ma il suo obiettivo è sem-pre lo stesso: indurre le persone a credere che non sia importante quel-lo che fanno perché alla fine, con la morte, l’uomo diventa per l’eter-nità un tutt’uno con Dio. L’unica protezione possibile contro questoinganno è una chiara comprensione di ciò che la Bibbia insegna circala natura della morte e lo stato dei morti. Vale la pena, ora, concentrarsisu questo insegnamento.

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Capitolo 11

La natura della morte

La morte di Socrate e la morte di CristoPer illustrare il concetto biblico della morte, Oscar Cullmann mette incontrasto la morte di Socrate con quella di Gesù.193 Nel Fedone, Platonefa una descrizione impressionante della morte di Socrate. Nel giornodella sua condanna a morte, Socrate insegna ai suoi discepoli la dottri-na dell’immortalità dell’anima, mostrando come vivere quel convinci-mento personale. Spiega quanto sia importante liberare l’anima dallaprigionia del corpo tramite l’accettazione delle verità eterne della filo-sofia. Dal momento che la morte compie il processo della liberazionedell’anima, Platone racconta, che Socrate ha bevuto la cicuta in pace ein compostezza. Per Socrate, la morte era la miglior amica dell’animaperché la liberava dalle catene del corpo.

Quanto è stato diverso l’atteggiamento di Gesù! Alla vigilia dellasua morte nel Getsemani, Gesù è stato «spaventato e angosciato» (Mc14:33) e non si è vergognato di condividere i suoi sentimenti con i suoidiscepoli, dicendo: «L’anima mia è oppressa da tristezza mortale; rima-nete qui e vegliate» (Mc 14:34). Per Gesù, la morte mantiene tutto il suoorrore, è la terribile nemica che lo avrebbe separato dal Padre. Eglinon ha affrontato la morte con la sublime serenità di Socrate, anziquando è stato confrontato con la sua dura realtà ha gridato: «Abbà,Padre! Ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Però, nonquello che io voglio, ma quello che tu vuoi» (Mc 14:36).

Gesù sapeva che morire significava essere separato da Dio. Perquesto ha gridato a Dio, perché non voleva essere abbandonato dalPadre e persino dai suoi discepoli. Che contrasto tra Socrate e Gesùnella loro comprensione ed esperienza della morte!

193 O. CULLMANN, «Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti?», in Dalle fontidell’Evangelo alla teologia cristiana, editrice Ave, Roma, 1971, pp. 196,197.

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Oscar Cullmann osserva: «L’epistola agli Ebrei, che più di ognialtro scritto del Nuovo Testamento sottolinea la piena divinità (Eb1:10), ma anche la piena umanità di Gesù, nella sua descrizione del-l’angoscia di Gesù di fronte alla morte oltrepassa le narrazioni sinotti-che. Ci viene detto che Gesù “offrì preghiere e suppliche a colui chepoteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà” (Eb5:7). Dunque secondo l’epistola agli Ebrei Gesù ha gridato e pianto difronte alla morte. Da una parte Socrate che con calma e serenità parladell’immortalità dell’anima; dall’altra Gesù che grida e piange».194

Il contrasto è evidente, Socrate ha bevuto la cicuta con calma su-blime, Gesù ha gridato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandona-to?» (Mc 15:34). Questa non è «l’amica morte», ma è la nemica. Paolo,dopo aver annunciato la risurrezione, conclude che la morte sarà «l’ul-timo nemico» (1 Cor 15:26), che alla fine sarà gettato nello stagno difuoco (Ap 20:14).

Se la morte avesse liberato l’anima dal corpo così da rendere pos-sibile un’immediata comunione con Dio, allora anche Cristo l’avrebbeaccolta a braccia aperte per gioire della comunione con il Padre. Gesù,invece, ha sentito la morte come una separazione da Dio, datore dellavita e Creatore di ogni esistenza. Egli ha sofferto più di ogni altro esse-re umano, perché era strettamente legato a suo Padre. Gesù ha speri-mentato la morte in tutto il suo orrore, nel corpo e in tutta la sua per-sona (cfr. Mt 27:46).

Il contrasto tra la morte di Socrate e quella di Cristo permette dicomprendere il concetto biblico della morte. Nel pensiero greco, lamorte della materia deve essere considerata un bene perché vienedistrutto ciò che è malvagio, ma la distruzione del corpo non costitui-sce in alcun senso la perdita della vera vita. Nel pensiero biblico, anchela morte del corpo implica la rovina della vita creata da Dio. «Per que-sto non il corpo ma la morte va vinta dalla risurrezione».195

Ecco la ragione del perché la risurrezione è fondamentale per lafede cristiana. Essa è la garanzia che la morte è stata sconfitta e checoloro che accettano la morte di Cristo e hanno fede in lui possonoottenere la vita eterna. Oscar Cullmann continua: «La fede nell’im-mortalità dell’anima non è una fede in un avvenimento che rovesciatutto. L’immortalità in fondo è solo un’affermazione negativa: l’anima

194 Ibidem, p. 199.195 Ibidem, p. 201.

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La natura della morte

non muore (continua semplicemente a vivere). Risurrezione è un’af-fermazione positiva: l’uomo intero, realmente morto, è richiamato allavita con un nuovo atto creatore di Dio. Avviene l’inaudito! Un miracolocreatore. Perché prima è avvenuta ugualmente una realtà orribile: èstata distrutta una vita creata da Dio».196

Il peccato e la mortePer capire l’insegnamento biblico sulla morte, bisogna ritornare al rac-conto della creazione dove la morte è presentata, non come un pro-cesso naturale voluto da Dio, ma come qualcosa di innaturale contra-rio a Dio. Il racconto della Genesi insegna che la morte è entrata nelmondo dopo il peccato. Dio ha ordinato ad Adamo di non mangiare del-l’albero della conoscenza del bene e del male e ha aggiunto questoavvertimento: «Nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai»(Gn 2:17). Il fatto che Adamo ed Eva non siano morti nel giorno dellaloro trasgressione, ha condotto alcuni a concludere che gli esseriumani di fatto non muoiono perché sono in possesso di un’animacosciente che sopravvive alla morte del corpo.

Quest’interpretazione metaforica difficilmente può essere sostenu-ta perché, se tradotto letteralmente, il testo dice: «morendo, morirete».Ciò che Dio ha semplicemente inteso dire è che nel giorno in cui aves-sero disubbidito, il processo di morte sarebbe iniziato. Da una situa-zione nella quale era per loro possibile non morire (immortalità con-dizionata), sono passati a uno stato nel quale era per loro impossibilenon morire (mortalità incondizionata). Prima della caduta, l’assicura-zione dell’immortalità era concessa dall’albero della vita. Dopo lacaduta, Adamo ed Eva non hanno più avuto accesso a esso (Gn 3:22,23)e, di conseguenza, hanno dovuto sperimentare la realtà del processo dimorte. Nella visione profetica della nuova terra, l’albero della vita sitrova ad ambedue i lati del fiume come simbolo del dono della vitaeterna donata ai redenti (Ap 21:2).

La dichiarazione che si trova in Genesi 2:17 stabilisce un chiarorapporto fra la morte umana e la trasgressione del comandamento diDio. Quindi, la vita e la morte nella Bibbia hanno un significato reli-gioso ed etico perché dipendono dall’ubbidienza o dalla disubbidienzadell’uomo nei confronti di Dio. L’insegnamento fondamentale dellaBibbia è chiaro: la morte è entrata in questo mondo quale risultato

196 Ibidem, p. 202

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della disubbidienza umana (cfr. Rm 5:12; 1 Cor 15:21). Tutto ciò, però,non diminuisce la responsabilità dell’individuo per la propria parteci-pazione al peccato (Ez 18:4,20). La Bibbia comunque fa distinzione frala prima morte, che ogni essere umano sperimenta come risultato delpeccato d’Adamo (cfr. Rm 5:12; 1 Cor 15:21), e la seconda morte cheavverrà dopo la risurrezione (Ap 20:6) come castigo per i peccati com-messi (Rm 6:23).

La morte come separazione dell’anima dal corpoUn argomento che non può più essere rinviato è questo: la morte è laseparazione dell’anima immortale dal corpo mortale? Oppure è la ces-sazione dell’esistenza dell’intera persona, corpo e anima?

Storicamente, la tradizione cristiana considera la morte una sepa-razione dell’anima immortale dal corpo mortale, come se l’animapotesse sopravvivere al corpo senza alcuna forma. Per esempio, ilnuovo Catechismo della Chiesa cattolica afferma: «Con la morte, sepa-razione dell’anima e del corpo, il corpo dell’uomo cade nella corruzio-ne, mentre la sua anima va incontro a Dio, pur restando in attesa diessere riunita al suo corpo glorificato».197

Augustus Hopkins Strong, in Teologia sistematica, definisce lamorte in termini simili: «La morte fisica è la separazione dell’animadal corpo, distinta dalla morte spirituale che è la separazione dell’ani-ma da Dio».198

Henry Clarence Thiessen, teologo calvinista, in Lectures inSystematic Theology (un manuale molto diffuso) si esprime più o menoin modo analogo: «La morte fisica concerne il corpo; l’anima è immor-tale e come tale non può morire».199 Francis Pieper, teologo luterano,ribadisce molto chiaramente la visione storica: «La morte temporaneanon è altro che il lacerarsi degli uomini, la separazione dell’anima dalcorpo, la rottura innaturale dell’unione dell’anima e del corpo che sonostati creati da Dio per essere uno».200

Affermazioni come queste possono essere moltiplicate, dalmomento che si trovano nella maggior parte dei manuali di teologiasistematica e nelle più importanti dichiarazioni di fede.

La posizione storica circa la natura della morte come separazione

197 Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria vaticana, Città del Vaticano, 1992, p. 265.198 A.H. STRONG, Systematic Theology , Old Tappan, New Jersey, 1970, p. 982.199 H.C. THIESSEN, Lectures in Systematic Theology, Grand Rapids, 1979, p. 338.200 F. PIEPER, Christian Dogmatics, trans. Theodore Engelder, St. Louis, 1950, vol. 1, p. 536.

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La natura della morte

dell’anima dal corpo è messa in discussione da molti studiosi moderni.Sarà sufficiente, esaminare il pensiero di alcuni per sottolineare que-sto aspetto. Il teologo luterano Paul Althaus scrive: «La morte è più diuna partenza dell’anima dal corpo. La persona, corpo e anima, è coin-volta nella morte… La fede cristiana ignora completamente l’immorta-lità della persona umana… Sa solo di un risveglio dalla morte realemediante la potenza di Dio. L’esistenza dopo la morte è data solo attra-verso il risveglio dell’intera persona alla risurrezione».201

Paul Althaus sostiene che la dottrina dell’immortalità dell’animanon renda giustizia alla serietà della morte dal momento che l’animapassa illesa attraverso la morte.202 Inoltre, la nozione che una personapossa essere completamente felice e beata senza il corpo nega il valo-re del corpo e svuota la risurrezione del suo significato.203 Se i creden-ti sono già beati nel cielo e gli empi sono già tormentati nell’inferno,perché è ancora necessario il giudizio finale?».204 Paul Althaus giungealla conclusione che la dottrina dell’immortalità dell’anima arreca unaseparazione in un insieme indivisibile: il corpo e l’anima, il destino del-l’individuo e quello del mondo.205

Nel suo libro Il corpo, John A. T. Robinson afferma: «L’anima nonsopravvive all’uomo, essa semplicemente esce, prosciugandosi con ilsangue».206

Nella sua monografia Life after Death, Taito A. Kantonen fa questapungente affermazione: «L’insegnamento cristiano della morte è inpieno accordo con quello della scienza naturale, le due posizioni com-baciano. Quando moriamo siamo veramente morti. Le nostre speranzee i nostri desideri non possono cambiare questo fatto. L’uomo non dif-ferisce da tutto il resto della creazione solo perché pensa di avere un’a-nima immortale».207

Perfino il liberale Interpreter’s Dictionary of the Bible, nel suo arti-colo sulla morte afferma chiaramente: «La “dipartita” del nefesh(anima) deve essere vista come un traslato, poiché non continua a esi-stere indipendentemente dal corpo, ma muore con esso (cfr. Nm 31:19;

201 P. ALTHAUS, Die Letzten Dinge, Gutersloth: Germany, 1957, p. 157.202 P. ALTHAUS, Ibidem, p. 155203 Idem.204 P. ALTHAUS, Op.cit., p. 156.205 Ibidem, p. 158.206 J.A.T. ROBINSON, The Body, A study in Pauline Theology, London, 1957, p. 14.207 T. KANTONEN, Life after Death, Philadelphia, 1952, p. 18.

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Gdc 16:30; Ez 13:19). Nessun testo biblico autorizza l’affermazione che“l’anima” si separi dal corpo nel momento della morte. Il ruach (spiri-to) che fa dell’uomo un essere vivente (Gn 2:7), e che perde alla morte,non è, specificamente parlando, una realtà antropologica, ma un donodi Dio, che a lui ritorna al momento della morte (Ec 12:7)».208

The International Standard Bible Encyclopaedia riconosce chesiamo sempre più o meno influenzati dall’idea greca e platonica secon-do la quale se anche il corpo muore, l’anima, da parte sua, continua avivere. Questa idea è assolutamente contraria al concetto ebraico e nonsi trova in nessuna parte dell’Antico Testamento. L’uomo muore nellasua totalità, quando alla morte, lo spirito (cfr. Sal 146:4; Ec 12:7) o l’a-nima (cfr. Gn 35:18; 2 Sam 1:9; 1 Re 17:21; Gv 4:3) lascia l’uomo. Nonsolo il suo corpo, ma anche la sua anima ritorna a uno stato di morte eappartiene al mondo inferiore; per questo l’Antico Testamento può par-lare della morte dell’anima di un individuo (cfr. Gn 37:21; Nm 23:10; Dt22:21; Gdc 16:30; Gb 36:14; Sal 78:50)».209

Questa sfida lanciata dal pensiero moderno all’opinione tradizio-nale della morte come separazione dell’anima dal corpo, era attesa datempo. È difficile credere come, per la maggior parte della sua storia,il cristianesimo abbia mantenuto più o meno il concetto della morte edel destino umano fortemente condizionato dal pensiero greco, piutto-sto che dagli insegnamenti della Scrittura.

Quello che è persino più sorprendente è che nessun tentativo seriodi ricerca biblica porterà a mutare la convinzione tradizionale circa lostato intermedio sostenuta dalla maggior parte delle chiese. La ragio-ne è semplice. Mentre gli studiosi, presi individualmente, possonocambiare le loro posizioni dottrinali senza soffrire conseguenze deva-stanti, lo stesso non è vero per le chiese.

Una chiesa che introducesse cambiamenti radicali nelle proprieconvinzioni dottrinali e storiche minerebbe la fede dei propri membrie quindi la stabilità stessa dell’istituzione. Un caso emblematico è costi-tuito dalla Chiesa mondiale di Dio che ha perso più della metà dei suoimembri quando nel 1995 i responsabili hanno introdotto dei cambia-menti dottrinali. L’alto prezzo richiesto per correggere convinzioni reli-giose denominazionali, potrebbe incoraggiare quei credenti a mante-

208 E. JACOB, «Death», The Interpreter’s Dictionary of the Bible, Nashville, 1962, vol. 1, p. 802.209 H. BAVINK, «Death», The International Standard Bible Encyclopaedia, Grand Rapids,1960, Vol. 2, p. 812.

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nere dottrine fondate sulla tradizione, piuttosto che cercare una com-prensione più vicina agli insegnamenti della Parola di Dio su questio-ni primarie della vita.

La fine della vitaQuando si cerca nella Bibbia una descrizione intorno alla natura dellamorte, si trovano chiarissime affermazioni che hanno bisogno di pocao nessuna interpretazione.

In primo luogo, la Scrittura descrive la morte come un ritorno aglielementi dai quali l’uomo è stato originariamente creato. Nel pronun-ciare la sua sentenza su Adamo dopo la disubbidienza, Dio disse:«Mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nellaterra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai» (Gn3:19). Il testo dice che la morte non è la separazione dell’anima dalcorpo, ma è la conclusione della vita, come risultato del decadimentoe della decomposizione del corpo. «Dal momento che l’uomo è creatocon la materia deperibile, la sua condizione naturale è la mortalità(Gn 3:19)».210

Uno studio delle parole «morire», «morte» e «morti» in ebraico e ingreco rivela che la morte è percepita nella Bibbia come la privazione ola cessazione della vita. La parola comunemente utilizzata in ebraicoper «morire» è muth e si trova nell’Antico Testamento più di 800 volte.Nella maggioranza dei casi muth è usata tanto per la morte degli uomi-ni quanto per quella degli animali. Non c’è nessun cenno di distinzio-ne fra i due tipi di morte.

Un chiaro esempio si trova in Ecclesiaste 3:19: «la sorte dei figlidegli uomini è la sorte delle bestie». L’ebraico muth (morire) è a volteusato in modo metafisico per indicare la distruzione o l’eliminazioned’una nazione (cfr. Is 65:15; Os 2:3; Am 2:2), d’una tribù (cfr. Dt 33:6;Os 13:1), o di una città (2 Sam 20:19). Nessuno di questi usi metaforicisostiene l’idea della sopravvivenza individuale. Al contrario, la parolamuth (morire) è usata in Deuteronomio 2:16 parallelamente a taman,che significa «consumare» o «finire». Il parallelismo suggerisce che lamorte è vista come la fine della vita.

Il verbo «morire» (apothanein) usato 77 volte nel Nuovo Testa-mento, tranne poche eccezioni, indica la cessazione della vita. Le ecce-zioni introducono in gran parte delle metafore che, però, dipendono

210 E. JACOB, Op. cit., p. 803.

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dal significato letterale. Per esempio, Paolo dice: «Siamo giunti a que-sta conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono» (2Cor 5:14). Evidentemente non fa riferimento alla morte fisica, ma aglieffetti della morte di Cristo nella vita del credente davanti a Dio. Sipotrebbe tradurre «perciò tutti sono morti» come «perciò tutti sono con-siderati come morti». Nessun uso letterale e metaforico dell’ebraicomuth o del greco apothanein suggeriscono che «l’anima» o lo «spirito»sopravvivano alla morte dell’individuo.

La descrizione della morte nelle Scritture ebraichePer spiegare il significato e la natura della morte, i verbi utilizzati inebraico e in greco per «morire» non sono sufficienti se non per indica-re che la morte degli uomini è identica a quella degli animali. Più chia-ro è l’uso del sostantivo ebraico maveth utilizzato circa 150 volte e tra-dotto generalmente «morte» da cui traiamo tre aspetti fondamentaliriguardo la natura della morte.

Primo, nella morte non esiste una memoria del Signore: «Poichénella morte (maveth) non c’è memoria di te; chi ti celebrerà nel sog-giorno dei morti (sheol)?» (Sal 6:5). La ragione per l’assenza dellamemoria è semplicemente dovuta al fatto che il processo dei pensierisi ferma quando il corpo e il cervello arrestano le loro funzioni. «Il suofiato se ne va, ed egli ritorna alla sua terra; in quel giorno periscono isuoi progetti» (Sal 146:4). Siccome alla morte «periscono i progetti», èevidente che nessuna anima consapevole sopravviva alla morte. Se ilprocesso dei pensieri, che è generalmente associato all’anima, soprav-vivesse alla morte del corpo, allora i pensieri dei figli di Dio non peri-rebbero. Essi sarebbero capaci di ricordare Dio. Il fatto però è che «iviventi sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla» (Ec 9:5).

Secondo, dal soggiorno dei morti non sale a Dio alcuna lode. «Cheprofitto avrai dal mio sangue s’io scendo nella tomba? Potrebbe la pol-vere celebrarti, predicare la tua verità?» (Sal 30:9). Paragonando lamorte alla polvere, il salmista mostra chiaramente che non esiste con-sapevolezza alcuna nella morte perché la polvere non può pensare. Lostesso pensiero è espresso nel Salmo 115:17: «Non sono i morti chelodano il SIGNORE, né alcuno di quelli che scendono nella tomba». Qui ilsalmista descrive la morte come uno stato di «silenzio». Quale contra-sto con la «rumorosa» visione popolare della vita dove i santi lodanoDio nel cielo e gli empi gridano nell’agonia dell’inferno!

Terzo, la morte è descritta come un «sonno». «Guarda, rispondimi,

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o SIGNORE, mio Dio! Illumina i miei occhi perché io non m’addormentidel sonno della morte» (Sal 13:3).

La descrizione della morte come «sonno» ritorna frequentementenell’Antico e nel Nuovo Testamento perché essa rappresenta adegua-tamente lo stato di inconsapevolezza nella morte. Merita, a questopunto, che si esamini brevemente il significato della metafora del«sonno» per capire la natura della morte. Alcuni affermano che i branicitati, che descrivono la morte come uno stato di non coscienza, «nonsiano lì a insegnare che l’anima dell’uomo sia in uno stato di inco-scienza dopo la morte», ma piuttosto per dire che «alla morte l’uomonon può più partecipare alle attività del mondo presente».211

In altre parole, il defunto si troverebbe nello stato di incoscienzaper quanto riguarda questo mondo, ma la sua anima continuerebbe avivere nel mondo degli spiriti. La difficoltà di quest’interpretazione stanel fatto che si basa sull’ipotesi che l’anima sopravviva alla morte delcorpo; ipotesi che contrasta in modo evidente l’insegnamentodell’Antico Testamento. Abbiamo già visto, nella seconda parte di que-sto studio, come nelle Scritture ebraiche la morte costituisca anche lafine dell’anima in quanto il corpo è la forma esteriore dell’anima.

In diversi luoghi, maveth (morte) è usato in riferimento alla morteseconda. «Com’è vero che io vivo, dice Dio, il Signore, io non mi com-piaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua viae viva» (Ez 33:11; cfr. 18:23,32). Qui «la morte dell’empio», è evidente,non indica la naturale conclusione dell’esistenza umana, ma la morteche troveranno i peccatori impenitenti al giudizio finale. Nessunadescrizione letterale o metaforica della morte nell’Antico Testamentosuggerisce l’idea di una sopravvivenza consapevole dell’anima o dellospirito indipendentemente dal corpo. La morte è la cessazione dellavita per l’intera persona.

La morte nel Nuovo TestamentoAnche il termine greco thanatos (morte) manca di precisione circa lanatura della morte, benché il Nuovo Testamento ponga come prospet-tiva di base la vittoria di Cristo sulla morte. Questo è il tema dominan-te delle Scritture cristiane che condiziona notevolmente il pensierodella chiesa riguardo la morte.

211 H.W. TEPKER, Problems in Eschatology: The Nature of Death and the IntermediateState, The Springfielder, Summer 1965, p. 26.

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Attraverso la sua vittoria, Cristo ha neutralizzato il dardo dellamorte (1 Cor 15:55); ha abolito la morte (2 Tm 1:10); ha distrutto il dia-volo che aveva l’impero sulla morte (Eb 2:14); ha nelle sue mani lechiavi del regno della morte (Ap 1:18); è il capo di una nuova umanitàcome primogenito dai morti (Col 1:18); chiama i credenti a nascere dinuovo, a una speranza vivente mediante la sua risurrezione dai morti(1 Pt 1:3).

La vittoria di Cristo focalizza la comprensione del credente sullamorte fisica, spirituale ed eterna. Il credente può affrontare la mortefisica con un’attesa fiduciosa, sapendo che Cristo ha neutralizzato ilpungiglione della morte e alla sua venuta risveglierà i santi che si sonoaddormentati (1 Cor 15:51,56). I credenti spiritualmente «morti nellecolpe e nei peccati» (cfr. Ef 2:1; 4:17,19; Mt 8:22), sono stati rigenerati auna nuova vita in Cristo (Ef 4:24).

Gli increduli, che sono considerati spiritualmente morti perchérifiutano il beneficio di Cristo per la loro salvezza (Gv 8:21,24), nel gior-no del giudizio sperimenteranno la morte seconda (Ap 20:6; 21:8).Questa è la morte finale, eterna, dalla quale non c’è ritorno.

I significati metaforici della parola thanatos dipendono interamen-te dal significato letterale: cessazione di vita. Discutere sulla sopravvi-venza dell’anima in base al significato metaforico del termine utilizzatoper la morte, significa attribuire alla parola un significato che le è estra-neo. Tutto questo è contrario alle regole ermeneutiche e grammaticali.

La morte nell’Antico TestamentoNell’Antico e nel Nuovo Testamento, la morte è spesso descritta come«sonno». Prima di tentare di spiegare la ragione per l’uso biblico dellametafora del «sonno», sarà bene considerare qualche esempio.Nell’Antico Testamento, per descrivere la morte-sonno si utilizzano tretermini: shachav, yashen e shenah.

Shachav è il più comune e viene utilizzato nell’espressione cheritorna frequentemente come «dormire con i suoi padri» (cfr. Gn 28:11;Dt 31:16; 2 Sam 7:12; 1 Re 2:10). Il Signore dice a Mosè: «Ecco, tu staiper addormentarti con i tuoi padri» (Dt 31:16), e poi a Davide: «Tu ripo-serai con i tuoi padri» (2 Sam 7:12). Giobbe dice: «Presto giacerò nellapolvere» (Gb 7:21). Questo eufemismo è usato per indicare la morte epercorre come un filo unico tutto l’Antico e il Nuovo Testamento ter-minando con l’affermazione di Pietro che dice: «I padri si sono addor-mentati» (2 Pt 3:4).

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Commentando queste dichiarazioni, Basil F. Atkinson giustamenteosserva: «Sia per i re, come per altri deceduti, è detto che dormono coni loro padri. Se i loro spiriti fossero vivi in un altro mondo, si sarebbepotuto dire tutto questo senza alludere al fatto che la persona indicatanon stava invece dormendo affatto?».212

Yashen indica il verbo «dormire» (cfr. Ger 51:39; Sal 13:3) e ilsostantivo «sonno». Quest’ultimo significato si trova nel testo di Daniele12:2: «Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglie-ranno; gli uni per la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eter-na infamia». È da notare il fatto che, in questo brano, sia i giusti sia gliempi dormono nella polvere della terra e gli uni come gli altri sarannorisuscitati alla fine.

Shenah è usata anch’essa per indicare il sonno della morte. Giobbepone questa domanda retorica: «Ma l’uomo muore e perde ogni forza;il mortale spira, e dov’è egli?» (Gb 14:10). La sua risposta è: «Le acquedel lago se ne vanno, il fiume vien meno e si prosciuga; così l’uomogiace, e non risorge più; finché non vi siano più cieli egli non si risve-glierà né sarà più destato dal suo sonno (shenah)» (cfr. Gb 14:11,12; Sal76:5; 90:5). Qui siamo confrontati con una descrizione realistica dellamorte. Quando una persona esala l’ultimo respiro, «dov’è?»; cioè, «cosarimane di lui?»: niente. Egli non esiste più; diventa come un lago o unfiume che si è prosciugato; dorme nella tomba e non «si sveglierà» finoalla fine del mondo.Viene qui da chiedersi, avrebbe Giobbe fornito unadescrizione così negativa della morte se avesse creduto che la suaanima sarebbe sopravvissuta alla morte? Se la morte avesse introdottol’anima di Giobbe all’immediata presenza di Dio nel cielo, perché dicedi aspettare «finché non vi siano più i cieli» (Gb 14:11) e «finché cambila mia condizione» (Gb 14:14)? È evidente, che né Giobbe né alcunaltro credente dell’Antico Testamento, sapeva di un’esistenza in un’al-tra dimensione dopo la morte.

La morte come un sonnoLa morte è descritta come sonno nel Nuovo Testamento più di quantoessa non lo sia nell’Antico. La ragione può essere data dalla speranzadella risurrezione, chiarita e rafforzata dalla risurrezione di Cristo.Tutto ciò offre un nuovo significato al sonno della morte dal quale i cre-denti si risveglieranno alla venuta di Cristo. Come Cristo ha dormito

212 B.F.C. ATKINSON, Life and Immortality, Taunton, England, n.d., p. 38.

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nella tomba prima della sua risurrezione, così i credenti dormononella tomba mentre aspettano di essere risuscitati.

Nel Nuovo Testamento si usano due verbi per indicare la mortecome sonno: koimaõ e katheudein.

Il primo è koimaõ e viene usato quattordici volte; da questo derivail sostantivo greco koimêtêrion, il nostro «cimitero». Per inciso possia-mo notare che la radice del verbo koimaõ è oikos (casa), il cimitero ècosì collegato alla casa perché entrambi sono luoghi dove si dorme.

Il secondo verbo è katheudein, spesso utilizzato per il sonno ordi-nario. Nel Nuovo Testamento ricorre quattro volte per indicare lamorte (cfr. Mt 9:24; Mc 5:39; Lc 8:52; Ef 5:14; 1 Ts 4:14).

Al momento della crocifissione di Cristo, Matteo riporta che «letombe s’aprirono e molti corpi dei santi, che dormivano, risuscitarono»(Mt 27:52). Nell’originale il testo dice: «Molti corpi dei santi addormen-tati furono risuscitati». È evidente che ciò che è stato risuscitato sono lepersone nella loro totalità e non solo i corpi. Non c’è alcun riferimentoalle loro anime che si sono riunite ai loro corpi, ovviamente, perchéquesto concetto è estraneo alla Bibbia.

Parlando metaforicamente della morte di Lazzaro, Gesù ha detto:«Il nostro amico Lazzaro si è addormentato (kekoimêtai), ma io vado asvegliarlo» (Gv 11:11). Quando Gesù ha percepito di essere stato frain-teso «disse loro apertamente: “Lazzaro è morto”» (Gv 11:14). Poi Gesùsi affrettò a rassicurare Marta: «Tuo fratello risusciterà» (Gv 11:23).

Quest’episodio è estremamente significativo, prima di tutto, per-ché Gesù descrive apertamente la morte come un «sonno» dal quale imorti si risveglieranno al suono della sua voce. La condizione diLazzaro nella morte era simile a un sonno dal quale ci si risveglia.Cristo ha detto: «Vado a svegliarlo» (Gv 11:11). Il Signore ha effettuatola sua promessa recandosi alla tomba per svegliare Lazzaro dove gridòad alta voce: «“Lazzaro, vieni fuori”, e il morto uscì» (Gv 11:43,44).

Il «risveglio» di Lazzaro dal sonno della morte mediante il suonodella voce di Cristo è paragonato al risveglio dei santi addormentati nelgiorno della sua gloriosa venuta. Anch’essi sentiranno la voce di Cristoe s’incammineranno a nuova vita. «L’ora viene in cui tutti quelli chesono nelle tombe udranno la sua voce e ne verranno fuori» (Gv 5:28;Gv 5:25). «Perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcange-lo… e prima risusciteranno i morti in Cristo» (1 Ts 4:16).

C’è armonia e simmetria nelle espressioni «dormire» e «svegliarsi»,così come sono usate nella Bibbia per entrare e uscire dalla morte. Le

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due espressioni confermano la nozione che la morte sia uno statoinconscio come il dormire, dal quale i credenti si risveglieranno nelgiorno della venuta di Cristo.

Lazzaro non ha vissuto nessuna esperienza ultraterrenaL’esperienza di Lazzaro è significativa anche perché ha trascorso quat-tro giorni nella tomba. Questa non era una semplice esperienza ravvi-cinata con la morte, ma una morte reale. Se l’anima, secondo la tradi-zione popolare, al momento della morte avesse lasciato corpo perrecarsi in cielo, allora Lazzaro avrebbe avuto un’esperienza meravi-gliosa da condividere riguardo ai quattro giorni trascorsi in paradiso. Icapi religiosi e la gente avrebbero fatto tutto il possibile per riceveredal racconto di Lazzaro quante più informazioni possibili circa ilmondo invisibile.

Robertson W. Nichol dice: «Se (Lazzaro) avesse appreso qualcosaintorno al mondo degli spiriti, sicuramente l’avrebbe riferito».213

Queste informazioni avrebbero fornito risposte valide alle domandecirca la vita dopo la morte, così calorosamente dibattute tra i sadduceie i farisei (cfr. Mt 22:23,28; Mc 12:18,23; Lc 20:27,33).

Lazzaro, però, non ha raccontato nulla a proposito della vita dopola morte, perché durante i quattro giorni trascorsi nella tomba, dormi-va nel sonno inconscio della morte. Ciò che è stato vero per Lazzaro èanche vero per altre sei persone che sono state risuscitate dai morti: ilfiglio della vedova (1 Re 17:17,24); il figlio della sunamita (2 Re 4:18,37);il figlio della vedova a Nain (Lc 7:11,15); la figlia di Iairo (8:41,42,49,56);Tabita (At 9:36,41) ed Eutico (20:9,12). Tutte queste persone sono ritor-nate in vita come se fossero uscite da un sonno profondo, ma senzaalcuna esperienza ultraterrena da raccontare.

Non vi sono indicazioni che l’anima di Lazzaro, o delle altre seipersone risuscitate dai morti, fosse ascesa al cielo. Nessuno di loro haavuto «un’esperienza celestiale» da raccontare. La ragione sta nel fattoche nessuna è ascesa al cielo. Questo è confermato dai riferimenti diPietro a Davide nel suo discorso il giorno della Pentecoste: «Fratelli, sipuò ben dire liberamente riguardo al patriarca Davide, che egli morì efu sepolto; e la sua tomba è ancora al giorno d’oggi tra di noi» (At 2:29).Alcuni potrebbero contestare dicendo che quello che si trovava nellatomba era sì il corpo di Davide, ma non la sua anima poiché era asce-

213 R.W. NICHOL (editore), Expositor’s Bible, New York, 1908, p. 362.

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sa al cielo. Quest’interpretazione è negata dalle esplicite parole diPietro: «Poiché Davide infatti non è salito in cielo» (At 2:34). La versio-ne di John Knox traduce: «Davide mai è andato su al cielo». La Bibbiadi Cambridge contiene la seguente nota: «Poiché Davide non è ascesoal cielo. Egli è disceso nella tomba e “dormiva con i suoi padri”». Chidorme nella tomba, secondo la Bibbia, non è solo il corpo, ma l’interapersona che aspetta il risveglio della risurrezione.

«Quelli che dormono…»Nei due grandi capitoli sulla risurrezione in 1 Tessalonicesi 4 e in 1Corinzi 15, Paolo parla ripetutamente di coloro che si sono «addor-mentati» in Cristo (cfr. 1 Ts 4:13,14,15; 1 Cor 15:6,18,20). Uno sguardoa certe sue affermazioni fa luce su ciò che Paolo intendesse affermarequando ha caratterizzato la morte con il sonno.

Scrivendo ai tessalonicesi, che facevano cordoglio per i loro cariche si erano addormentati prima di sperimentare la venuta di Cristo,Paolo li rassicura che, come Dio ha risuscitato Gesù dai morti, così,mediante Cristo, «ricondurrà con lui quelli che si sono addormentati»(1 Ts 4:14). Alcuni sostengono che Paolo qui stia parlando di anime dis-incarnate, che sono ascese alla morte in cielo e torneranno con Cristoquando egli scenderà sulla terra al suo ritorno.

Quest’interpretazione ignora tre importanti aspetti. - Il presente studio ha mostrato come la Bibbia non insegni da nes-

suna parte che l’anima alla morte ascenda al cielo. - Nel contesto, Paolo non parla di anime immortali ma di «quelli

che si sono addormentati» (1 Ts 4:13; cf. v.14) e dei «morti in Cristo» (1Ts 4:16). Dalle loro tombe «prima risusciteranno i morti in Cristo» (1 Ts4:16) e non scenderanno dal cielo. Non c’è nessun accenno a corpi cherisuscitano dalle tombe e anime che scendono dal cielo per essereriunite con i corpi. Questa nozione dualistica è sconosciuta dallaBibbia. I commenti di Leon Morris secondo il quale «Paolo dice “porte-rà”, non “risusciterà”»,214 sono inesatti, visto che Paolo usa le dueespressioni: Cristo risusciterà i morti e li porterà con sé. Quindi, il con-testo suggerisce che Cristo porterà con sé i morti che sono risuscitatiper primi, cioè prima del trasferimento dei credenti viventi.

- Se veramente Paolo avesse creduto che i «morti in Cristo» nonfossero realmente morti nella tomba ma vivi, come anime disincarna-

214 L. MORRIS, The Epistles of Paul to the Thessalonians, Grand Rapids, 1982, p. 86.

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te, egli avrebbe sicuramente insistito sulla loro condizione beata nelcielo per spiegare ai tessalonicesi che il loro cordoglio era sproporzio-nato. Perché piangere per i propri cari se essi stavano già godendo laceleste beatitudine?

Paolo non li ha incoraggiati in questo modo perché, ovviamente,sapeva che i morti addormentati non erano in cielo, ma nelle lorotombe. Questa conclusione è incoraggiata da un altro messaggio diconsolazione: i credenti viventi non avrebbero incontrato Cristo, allasua venuta, prima di quelli che si sono addormentati. «Noi viventi, iquali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemoquelli che si sono addormentati» (1 Ts 4:15). La ragione è che i morti inCristo risusciteranno per primi; poi «noi viventi, che saremo rimasti,verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signorenell’aria; e così saremo sempre con il Signore» (1 Ts 4:16,17).

Il fatto che i santi viventi incontreranno Cristo nello stesso mo-mento dei santi addormentati, indica che questi ultimi non sono statiancora uniti con Cristo nel cielo. Se le anime dei santi addormentatistessero già godendo della comunione con Cristo nel cielo e poi doves-sero scendere sulla terra con Cristo al suo secondo avvento, allora,ovviamente, gioirebbero di una evidente priorità sui santi viventi. Inrealtà, però, sia i credenti addormentati sia i credenti viventi, aspetta-no la loro attesa unione con il Salvatore, unione che sperimenterannotutti nel giorno della venuta di Cristo.

La discussione di Paolo sui santi dormienti in 1 Corinzi 15, confer-ma quanto già trovato in 1 Tessalonicesi 4. Dopo aver affermato l’im-portanza fondamentale della risurrezione di Cristo per la fede e la spe-ranza cristiana, Paolo spiega: «Se Cristo non è stato risuscitato… anchequelli che sono morti in Cristo, sono dunque periti» (vv. 17,18).

L’apostolo difficilmente avrebbe potuto dire che i santi addormen-tati sarebbero periti senza la garanzia della risurrezione di Cristo, se inrealtà avesse creduto che le loro anime fossero immortali e stessero giàgodendo della beatitudine del paradiso. Se Paolo avesse creduto tuttoquesto, probabilmente avrebbe detto che senza la risurrezione diCristo l’anima dei santi addormentati sarebbe rimasta addormentataper tutta l’eternità. Ma Paolo credeva che l’intera persona, corpo eanima, sarebbe «perita» senza la garanzia della risurrezione di Cristo.

È significativo che nell’intero capitolo consacrato all’importanza ealle dinamiche della risurrezione, Paolo non accenni mai alla riunionedel corpo con l’anima al momento della risurrezione. Se Paolo avesse

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avuto una siffatta convinzione, difficilmente avrebbe potuto evitare difare qualche allusione al ricongiungimento del corpo con l’anima, spe-cialmente durante le sue discussioni sulla trasformazione dei credentida uno stato mortale a uno immortale, alla venuta di Cristo. L’unico«mistero» che Paolo rivela è che «non tutti morremo, ma tutti saremotrasformati» (1 Cor 15:51). Questo cambiamento da una natura peritu-ra a una incorruttibile avverrà nello stesso momento, per i viventi e peri morti, cioè al suono «dell’ultima tromba» (v. 52).

La trasformazione non ha nulla a che vedere con le anime disin-carnate che rientrano in possesso dei loro corpi risuscitati. Si tratta diuna trasformazione da una vita mortale a una immortale sia per i vivisia per i morti in Cristo: «Il mortale avrà rivestito immortalità» (v. 54).

La metafora del «sonno»L’uso popolare della metafora del «sonno» per descrivere lo stato deimorti da parte di Cristo solleva la questione delle sue implicazioni sullanatura della morte. Perché è stata usata questa metafora e quali inten-dimenti si possono legittimamente trarre in merito alla natura dellamorte? A questo proposito possono essere indicate tre ragioni fonda-mentali per l’uso della metafora del «sonno» nella Bibbia.

1. C’è una somiglianza tra il «sonno» dei morti e il «sonno» deiviventi. Sia l’uno sia l’altro sono caratterizzati da una condizione diinconsapevolezza e inattività, interrotte da un risveglio. La metaforadel «sonno» rappresenta adeguatamente lo stato inconscio dei morti eil loro risveglio al ritorno di Cristo.

2. Si tratta di un’immagine che parla della morte in termini di spe-ranza: implica un risveglio successivo. Come una persona va a dormi-re la sera nella speranza di risvegliarsi la mattina seguente, così il cre-dente si addormenta nel Signore nella certezza di essere risvegliato daCristo nel mattino della risurrezione. A. Barnes giustamente dice:«Nella Scrittura il sonno è utilizzato per affermare che la morte nonsarà definitiva; ci sarà un risveglio, la risurrezione. È un’espressionebellissima e tenera che cancella tutto ciò che c’è di terribile nella mortee riempie la mente con l’idea di un sereno riposo dopo una vita di lotte;fa, inoltre, riferimento a una risurrezione futura con la garanzia diricevere un maggior vigore e rinnovate energie».215

Quando si sente o si dice che una persona è morta, automatica-

215 A. BARNES, Notes on the New Testament. Luke and John, Grand Rapids, 1978, p. 297.

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mente si pensa al fatto che non ci sia più alcuna speranza per riportar-la in vita. Quando però si dice che una persona sta dormendo nelSignore, si esprime la speranza del suo ritorno alla vita, nel giornodella risurrezione. B. Reichenbach nota che la metafora del sonno nonsia soltanto un modo piacevole per parlare della morte, ma qualcosa diancora più importante: «Essa suggerisce con forza come la morte noncostituisca la fine dell’esistenza umana. Esattamente come una perso-na che sta dormendo può rialzarsi, così anche i morti, «addormentati»,hanno la possibilità di essere ricreati e di vivere di nuovo. Questo èforse il significato del difficile racconto in Matteo 9:24 dove Gesù affer-ma che la giovane in realtà non è morta, ma sta solo dormendo. Le per-sone la consideravano morta e non nutrivano alcuna speranza per lei.Gesù l’ha considerata come se stesse dormendo e ha visto che c’erasperanza perché poteva risuscitare a nuova vita. Ha visto in lei poten-zialità che gli altri, inconsapevoli della potenza di Dio, non potevanovedere. La metafora del «sonno», allora, non descrive lo stato ontologi-co dei morti [cioè, la condizione del dormire], ma piuttosto si riferiscealla possibilità dei defunti che, anche se non esistono più, mediante lapotenza di Dio possono essere ricreati per vivere di nuovo».216

Un sonno senza consapevolezza3. La terza ragione per l’uso della metafora del «sonno» è che duranteil sonno non esiste alcuna consapevolezza dello scorrere del tempo. Lametafora descrive adeguatamente lo stato di incoscienza dei defunti trala morte e la risurrezione perché non hanno alcuna consapevolezza delpassare del tempo. Lutero, nei suoi primi scritti, ha espresso grafica-mente questo pensiero: «Così come uno che si addormenta e raggiun-ge inaspettatamente il mattino quando si risveglia, senza sapere checosa gli sia successo, così ci alzeremo improvvisamente nell’ultimogiorno senza sapere come siamo entrati nella morte e come l’abbiamoattraversata».217

Lutero ha anche scritto: «Dormiremo finché egli venga e bussisulla piccola tomba e dica, dottor Martino, alzati! Allora mi alzerò in unistante e sarò per sempre felice con lui».218

Per amore di verità, si deve dire che più tardi nella sua vita, Luteroha rifiutato la nozione del sonno inconsapevole dei morti, apparente-

216 B.R. REICHENBACH, Is Man the Phoenix, Grand Rapids, 1978, p. 185.217 M. LUTHER, Werke, Weimar, 1910, XVII, 11, p. 235.218 Ibidem, XXXVII, p. 151.

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mente a motivo dei forti attacchi di Calvino contro questa dottrina. Nelsuo Commentario sulla Genesi, scritto nel 1537, Lutero osserva:«L’anima defunta non dorme in questa maniera [il sonno regolare];parlando correttamente, essa è sveglia e conversa con gli angeli e conDio».219 Il cambiamento di posizione di Lutero, che è passato dalla con-vinzione dello stato incosciente alla dottrina dello stato consapevoledei morti, serve a mostrare come persino i riformatori non abbianosaputo sottrarsi alle pressioni teologiche del loro tempo.

Come Lutero, oggi la maggior parte dei cristiani crede che lametafora del «sonno» sia usata nella Bibbia per insegnare, non lo statodi incoscienza dei morti, ma per dire che «c’è una risurrezione e unrisveglio».220

Certi studiosi sostengono che la morte sia paragonata a un sonno«non perché una persona sia incosciente, ma perché i morti non ritor-nino su questa terra e non sappiano che cosa sia successo e non sap-piano in quale posto abbiano una volta vissuto».221 In altre parole, imorti sono inconsapevoli per quanto riguarda ciò che accade sullaterra, mentre sono consapevoli per ciò che riguarda la loro vita in cieloo nell’inferno.

Questa conclusione non è basata sulla Scrittura, ma sull’uso dellametafora del «sonno» nella letteratura intertestamentaria. Per esempio,in 1 Enoc (circa 200 a.C.) si parla dei giusti che dormono un «lungosonno» (100:5), mentre le loro anime sono in cielo, consapevoli e atti-ve (cfr. 102:4,5; 2 Baruch 36:11; Esd 7:32). Dopo aver esaminato questidocumenti, John Cooper conclude: «La metafora del sonno e del ripo-so è usata per persone nello stato intermedio dove sono consapevoli eattive, ma non in maniera terrena e corporea».222

Il significato biblico della metafora del «sonno» non può esser deci-so sulla base dell’uso che ne fa la letteratura intertestamentaria, per-ché, durante quel periodo, i giudei ellenisti cercavano di armonizzaregli insegnamenti dell’Antico Testamento con la filosofia dualisticagreca del loro tempo. I risultati di questa operazione, hanno condottoall’accettazione dell’immortalità dell’anima, della ricompensa o della

219 E. PLASS, What Luther Says, St. Louis, 1959, vol. 1, par. 1132.220 H.W. TEPKER, Op. cit., p. 26.221 Ibidem222 J.W. COOPER, Body, Soul, and life Everlasting, Grand Rapids, 1989, p. 151. Lo stes-so punto di vista è espresso anche da K. HANHART, The Intermediate State of the Dead,Franeker, 1966, pp. 106-114; H. MURRAY, Raised Immortal, London, 1986, pp. 134-137.

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punizione immediatamente applicate dopo la morte, e delle preghiereper i morti. Questa posizione, però, è estranea alla Bibbia.

Lo studio della metafora del «sonno» nell’Antico e nel NuovoTestamento ha mostrato come essa implichi uno stato di inconsapevo-lezza che durerà fino al risveglio della risurrezione. Vale la pena nota-re come in 1 Corinzi 15, Paolo utilizzi il verbo egeiro per ben sedicivolte, col significato letterale di «risvegliarsi» dal sonno.223

Il contrasto ripetuto tra il sonno e il risveglio è impressionante. LaBibbia utilizza frequentemente il termine «sonno» volendo, con ciò sot-tolineare una verità fondamentale, cioè che i morti in Cristo sonoinconsapevoli a proposito di qualsiasi intervallo di tempo fino alla lororisurrezione. Il credente che muore in Cristo si addormenta e rimanein uno stato di incoscienza, fino a quando sarà risvegliato nel momen-to in cui Cristo lo richiamerà alla vita, alla sua venuta.

Il fondamento e il significato dell’immortalitàL’immortalità nella Bibbia non è una caratteristica innata dell’uomo,ma un attributo divino. Abbiamo già visto che il termine «immortalità»deriva dal greco athanasia, che significa «essere senza morire», quindi,esistenza senza fine. Questo termine si trova solo due volte; la prima,in relazione con Dio «il solo che possiede l’immortalità» (1 Tm 6:16), laseconda, in relazione alla mortalità umana che si deve rivestire conl’immortalità (1 Cor 15:53) al momento della risurrezione. L’ultimadichiarazione nega la nozione dell’immortalità naturale dell’anima, inquanto afferma che l’immortalità è un qualcosa di cui i santi risuscita-ti si rivestiranno. Non è qualcosa che già possiedono. «Il fondamentodell’immortalità», come dice Vern Hannah, «è soteriologico e nonantropologico».224

Questo significa che l’immortalità è un dono divino ai salvati e nonuna naturale proprietà umana. Come ha scritto P. T. Forsyth: «Una con-vinzione certa nell’immortalità non poggia su ciò che afferma la filoso-fia, ma sulla rivelazione. Non è basata sulla natura dell’organismo psi-chico, ma sulla relazione con l’Altro».225

Questo «altro» è Gesù Cristo, «il quale ha distrutto la morte e ha

223 «Egeiro», in A Greek-English Lexicon of the New Testament, ed. William F. Arndtand F. Wilbur Gingrich, Chicago, 1979, p. 214.224 V.A. HANNAH, «Death, Immortality and Resurrection: A Response to John Yates, TheOrigin of the Soul, in The Evangelical Quarterly n. 62/3, 1990, p. 245.225 S. MIKOLASKI, ed., The Creative Theology of P. T. Forsyth, Grand Rapids, 1969, p. 249.

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messo in luce la vita e l’immortalità mediante il vangelo» (2 Tm 1:10).La Bibbia non suggerisce da nessuna parte che l’immortalità sia

una qualità o un diritto naturale degli esseri umani. La presenza «del-l’albero della vita» nel giardino dell’Eden indica che l’immortalità eracondizionata al frutto di quell’albero.

La Scrittura insegna che «l’immortalità deve essere ricercata» (Rm2:7) e il credente ne sarà rivestito (1 Cor 15:53). La “vita eterna” è il do-no di Dio (Rm 6:23) che deve essere ereditato (Mt 19:29) e si ottieneconoscendo Dio e Gesù (Gv 17:3) mediante Cristo (cfr. Gv 14:19; 17:2;Rm 6:23). Nella visione paolina, l’immortalità è collegata soltanto allarisurrezione di Gesù (1 Cor 15) come fondamento e pegno della spe-ranza del credente».226

Quanti insistono nel trovare l’idea filosofica dell’immortalità del-l’anima nella Bibbia ignorano la rivelazione di Dio e inseriscono ideedualistiche greche nella fede biblica.

ConclusioneLa tradizione popolare considera che la morte riguardi solo il corpo enon l’anima che continuerebbe la propria esistenza.

Vern Hannah giustamente afferma: «Una tale, radicale ridefinizio-ne della morte, è infatti un rinnegamento della morte – una definizio-ne, senza dubbio, che l’astuto serpente antico di Genesi 3, troverebbemolto attraente».227

La Bibbia si accosta alla questione della morte in maniera decisa-mente più seria. La morte è l’ultimo nemico (1 Cor 15:26) e non il libe-ratore dell’anima immortale. Come dice Oscar Cullmann, «la morte èla distruzione di tutta la vita creata da Dio. Perciò è la morte e non ilcorpo che deve esser vinta nella risurrezione».228

H. Thielicke osserva che l’idea dell’immortalità dell’anima è unascappatoia che permette alla persona «reale» di evitare la morte. È un

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226 V.A. HANNAH, Op. cit., p. 245.227 Ibidem, p. 244.228 O. CULLMANN, Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti, Paideia, Brescia,1967 p. 26. «Quella vittoria, Gesù non può riportarla semplicemente continuando avivere come anima immortale, quindi in fondo senza morire. Egli non può vincere lamorte che morendo davvero, entrando nel regno stesso della morte, la grande distrut-trice della vita, nel regno del nulla, del distacco da Dio. Chi vuole vincere qualcuno,deve entrare nel suo territorio. Chi vuole vincere la morte, deve morire, ma, si badi:cessare davvero di vivere, non continuare a vivere come anima immortale; perdere ilbene più prezioso che Dio ci abbia dato, la vita stessa» (p. 25).

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La natura della morte

tentativo di «disarmare la morte». Continua spiegando che «possiamoaggrapparci in modo idealistico a qualche “regione inviolabile dell’e-go”, ma la morte non consiste in un “andar sopra” ma in un “andarsotto”, e non lascia nessuno spazio al romanticismo o all’idealismo.Non possiamo né svalutare né ottenebrare la realtà della tomba attra-verso l’idea dell’immortalità. La prospettiva cristiana si fonda sullarisurrezione e non già sull’immortalità dell’anima».229

L’unica salvaguardia contro il malinteso popolare della morte,poggia sulla comprensione chiara di ciò che la Bibbia insegna sulla suanatura. L’Antico e il Nuovo Testamento insegnano chiaramente che lamorte è la negazione della vita per l’uomo nella sua totalità. Non c’èmemoria o coscienza nella morte (cfr. Sal 8:5; 146:4; 30:9; 115:17; Ec9:5). Non c’è esistenza indipendente dello spirito o dell’anima separa-tamente dal corpo. La morte è la perdita di tutto l’essere e non soltan-to la perdita del benessere. La persona, intesa come un tutto indivisi-bile, riposa nella tomba in uno stato di totale incoscienza chiamato«sonno» nella Bibbia. Il «risveglio» avrà luogo alla venuta di Cristoquando richiamerà in vita i santi addormentati.

La metafora del «sonno» è veramente un’espressione bellissima etenera che toglie alla morte la parola finale per il destino dei credentiin quanto ci sarà il risveglio della risurrezione.

La maggiore obiezione che la morte nella Bibbia consista nell’e-stinzione della vita per l’intera persona viene da interpretazioni infon-date attribuite a cinque passi del Nuovo Testamento (cfr. Lc 16:19,31;23:42,43; Fil 1:23; 2 Cor 5:1,10; Ap 6:9,11) e alle due parole, sheol e ades,che nella Bibbia sono usate per descrivere il soggiorno dei morti. Molticristiani trovano in questi testi il supporto biblico per la loro fede nel-l’esistenza consapevole dell’anima dopo la morte. Nella quarta parteesamineremo «lo stato intermedio». Che cosa avviene nel periodo tra lamorte e la risurrezione?

229 H. THIELICKE, Tod und Leben, pp. 30,43, as cited by G.C. BERKOUWER, Man: TheImage of God, Grand Rapids, 1972, p. 253.

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IV PARTE

LO STATO INTERMEDIO

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Introduzione IV parte

Sete di eternità

La teoria di una vita dopo la morte sembra risorta. Ogni settimana neimezzi di comunicazione di massa ci sono notizie, commenti, esperien-ze relative alla sopravvivenza dell’anima. I libri più venduti Life AfterDeath di Moody e Kubler-Ross e Beyond Death’s Door di MauriceRawlings esaminano casi di esperienze extracorporee. Persino alcunisacerdoti hanno ripreso a predicarla.

Una volta considerata dalla comunità laica come residuo di unpassato superstizioso, e dai credenti, come qualcosa di troppo difficileda comprendere, la fede nella vita dopo la morte sta riacquistando ter-reno. Nonostante un declino significativo nelle dottrine religiose,secondo un recente sondaggio Gallup, il 71 per cento degli americanicrede in qualche forma di vita dopo la morte.230 «Persino molti di colo-ro che dichiarano di non possedere alcuna fede religiosa si aspettanoche la vita continui dopo la morte: il 46 per cento crede al cielo, il 34per cento nell’inferno».231

Le elaborate disposizioni funebri che dovrebbero preservare i resticorporei dei defunti riflettono la credenza consapevole o subconscia inuna vita oltre la morte. Nel mondo antico, si pensava ai morti provve-dendo per la loro vita futura con cibi, bevande, posate e vestiti. A volte,per provvedere alle comodità necessarie alla vita futura, venivano sep-pelliti con il cadavere persino servi e animali.

Oggi, i rituali funebri sono diversi, ma ancora rivelano una certaqual fede conscia o subconscia in una vita oltre la morte. Il cadavere,in taluni casi, viene imbalsamato e sigillato ermeticamente in unacassa metallica galvanizzata per ritardarne il disfacimento. Viene vesti-

230 Cfr. Tavola 2.1 Religious Belief, Europe and the USA, in T. WALTER, The Eclipse ofEternity, London, 1996, p. 32.231 «Heaven and Hell: Who Will Go Where and Why?», Christianity Today, 27 maggio1991, p. 29.

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Introduzione IV parte

to dei suoi più bei vestiti e posato su una fodera di raso e morbidicuscini. È come introdotto sulla «sua via» accompagnato da oggetti carialla sua vita, come anelli e ritratti di famiglia. Poi silenziosamente ocon fastosi cerimoniali viene sepolto in un cimitero, ben curato e bentenuto da mani esperte, circondato da fiori e prati. I morti vengonoconsegnati alla «cura perpetua» del Signore in un cimitero mantenutoe pianificato in modo professionale, in un bel paesaggio dove i bambi-ni non giocano e dove nessun visitatore possa disturbarli.

L’interesse delle persone di introdurre i loro cari nel mondo deidefunti con dignità ed eleganza rivela il desiderio di assicurare lorocomodità nella vita ultraterrena. Ma che tipo di vita può esserci dopo lamorte? I morti sono consapevoli o inconsapevoli? Se sono consapevoli,sono capaci di comunicare con i vivi? Possono già godere le beatitudi-ni del paradiso o subire i tormenti dell’inferno?

Si è già notato come la convinzione di una vita ultraterrena sia oggipromossa, da un lato, da medium e spiritisti, i quali pretendono, perfi-no sotto i riflettori dei mezzi di comunicazione, di mettere i vivi in con-tatto con gli spiriti dei loro cari; dall’altro, troviamo le sofisticate ricer-che «scientifiche» sulle esperienze ravvicinate con la morte e i «canali-sti» del New Age.

Nonostante i reiterati tentativi di provare un’esistenza consapevo-le nella vita ultraterrena, la Bibbia definisce chiaramente la mortecome la cessazione della vita per la persona tutt’intera, anima e corpo.

Obiettivi In questa parte ci concentreremo sulla condizione dei morti nel perio-do fra la morte e la risurrezione. Questo periodo è comunemente notocome «stato intermedio». La domanda fondamentale alla quale cerche-remo di rispondere è la seguente: i morti dormono in uno stato incon-scio fino al mattino della risurrezione? Oppure l’anima dei salvati spe-rimenta la beatitudine del paradiso mentre quella dei non salvati pati-sce il tormento dell’inferno?

Questa parte è divisa in due capitoli. Il capitolo 12 esamina l’inse-gnamento dell’Antico Testamento circa lo stato dei morti. Lo studio siconcentra specialmente sul significato e l’uso della parola sheol, comu-nemente usata nell’Antico Testamento per designare il luogo di riposodei morti. Vedremo che, contrariamente alle credenze prevalenti, nes-sun riferimento suggerisce che lo sheol sia il luogo della punizionedegli empi (l’inferno) o un luogo d’esistenza consapevole per le anime

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Sete di eternità

o gli spiriti dei morti. Nell’Antico Testamento, lo sheol è il deposito sot-terraneo dei morti. In esso non ci sono anime immateriali e immorta-li, semplicemente perché l’anima non sopravvive alla morte del corpo.

Il capitolo 13 esamina l’insegnamento del Nuovo Testamentoriguardo allo stato dei morti. Per prima cosa esamineremo gli undiciriferimenti all’ades, l’equivalente greco dell’ebraico sheol. L’uso del ter-mine ades è simile allo sheol dell’Antico Testamento e indica la tombao il regno dei morti, e non il luogo di punizione per gli empi.

Poi verranno presi in esame i cinque passi comunemente citati persostenere la dottrina dell’esistenza consapevole dell’anima dopo lamorte (cfr. Lc 16:19,31; 23:42,43; Fil 1:23; 2 Cor 5:1,10; Ap 6:9,11).Nessuno di questi testi contraddice l’insegnamento biblico generalecirca lo stato di incoscienza dei morti.

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Capitolo 12

Lo stato dei mortinell’Antico Testamento

La maggiore sfida al concetto biblico della morte della persona interaderiva dall’errata interpretazione dei due termini utilizzati per descri-vere il soggiorno dei morti: sheol e ades.

Questi termini sono stati spesso intesi come il luogo in cui le animesenza il corpo continuano a esistere dopo la morte, oppure il luogodelle pene per gli empi, cioè l’inferno. Diventa allora determinantecomprendere il significato biblico di questi due termini.

Traduzioni e interpretazioni dello sheolLa parola ebraica sheol (65 volte nell’Antico Testamento) è solitamen-te tradotta con «tomba», «inferno», «fossa» o «morte». Queste varie tra-duzioni rendono difficile per il lettore capirne il significato.

Per esempio, la versione della Bibbia King James (KJV) traducesheol 31 volte «tomba», 31 volte «inferno» e 3 volte «fossa». Ciò significache i lettori della KJV sono spesso indotti a credere che l’AnticoTestamento insegni l’esistenza dell’inferno dove gli empi sono tormen-tati per i loro peccati. Nel Salmo 16:10 è tradotto così: «Perché tu nonlascerai l’anima mia nell’inferno». Un lettore poco preparato darà perscontato che il testo significhi: «Poiché tu non lascerai l’anima miaesser tormentata nell’inferno». Una simile lettura è una falsa interpre-tazione del testo che dice semplicemente: «Poiché non mi consegneraiallo sheol», cioè alla tomba. Il salmista qui esprime fiducia che Dio nonlo abbandonerà nella tomba. Infatti, questo è il modo in cui il testo èapplicato in Atti 2:27 a Cristo, che non è stato lasciato nella tomba dalPadre. Per evitare queste insidiose interpretazioni, la Revised StandardVersion e la New American Standard Bible semplicemente trascrivonola parola ebraica sheol. La New International Version solitamente lo

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Capitolo 12

traduce con «tomba» (occasionalmente con «morte»), con una nota apiè di pagina sheol. Questa traduzione riflette accuratamente il signi-ficato di fondo di sheol inteso come tomba o, meglio, come il regnocollettivo dei morti. Di solito, le traduzioni riflettono le diverse con-vinzioni teologiche dei traduttori. Per esempio, i traduttori della KJVcredevano che alla morte i giusti andassero in cielo e gli empi all’in-ferno. Di conseguenza, hanno tradotto sheol, «tomba» quando si riferi-vano ai giusti che riposano nella tomba, e «inferno» quando si riferi-vano agli empi, le cui anime si presumeva fossero tormentate nell’in-ferno. Un simile approccio è stato adottato dallo studioso dell’AnticoTestamento Alexander Heidel,232 che però è stato criticato per averearbitrariamente manipolato i testi biblici.233

Diversi autori evangelici concordano con l’opinione dei traduttoridella KJV quando considerano lo sheol come dimora dell’anima, incontrasto con la tomba, vista come la dimora del corpo. Nel suo libroDeath and the After Life, R. Morey afferma esplicitamente: «La parolaebraica sheol si trova 65 volte nell’Antico Testamento. Mentre l’AnticoTestamento parla costantemente del corpo che scende nella tomba,nello stesso tempo fa sempre riferimento all’anima o allo spirito del-l’uomo nello sheol».234

Per sostenere questo punto di vista, Morey cita lo studioso diPrinceton B. B. Warfield che ha scritto: «Israele, sin dall’inizio dellasua storia documentata, ha nutrito delle convinzioni molto radicatesulla persistenza dell’anima dopo la morte… Il corpo è posto nellatomba e l’anima si avvia verso lo sheol».235

Un altro studioso citato da Morey è George Eldon Ladd che scrivenel New Bible Dictionary: «Nell’Antico Testamento, l’uomo non cessadi esistere alla morte, ma la sua anima discende nello sheol».236

La stessa opinione è espressa da J. Thomson che, in riferimentoalla morte nell’Antico Testamento, scrive: «Alla morte, il corpo rimane-va sulla terra, la nefesh (l’anima) passava allo sheol; ma il respiro, lo

232 A. HEIDEL, The Gilgamish Epic and the Old Testament Parallels, Chicago, 1949, pp.170-207.233 Cfr. D. ALEXANDER, «The Old Testament View of Life After Death», Themelios II, 2,1986, p. 44.234 R.A. MOREY, Death and the Afterlife, Minneapolis, 1984, p. 72.235 Selected Shorter Writings of B.B. Warfield, ed. J. Meeter, Trenton, New Jersey, 1970,pp. 339,345.236 G.E. LADD, «Death» The New Bible Dictionary, eds. F. F. Bruce and others, GrandRapids, 1962, p. 380.

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Lo stato dei morti nell’Antico Testamento

spirito, o ruach, ritornava a Dio, non allo sheol. Ma nello sheol, un luogodi tenebre, di silenzio e di oblio, la vita era già prevista e ombrosa».237

Sulla base di testimonianze come queste, Morey conclude: «La let-teratura moderna intende lo sheol come riferito al luogo dove l’animao lo spirito dell’uomo vanno alla morte. La letteratura lessicograficanon definisce lo sheol come tomba o momento del trapasso».238 Certistudiosi propongono un concetto modificato sostenendo che lo sheolsia esclusivamente il luogo di punizione degli empi e abbia «lo stessosignificato dell’inferno moderno».239

Queste interpretazioni che inducono a credere che lo sheol sia ladimora delle anime (piuttosto che luogo di riposo del corpo nellatomba) o il luogo di punizione per gli empi, noto come inferno, nonreggono alla luce dell’uso biblico di sheol. Questo fatto è riconosciutopersino da John W. Cooper che ha prodotto forse ciò che costituisce iltentativo più dotto per difendere il punto di vista dualistico tradizio-nale della natura umana dagli assalti della critica moderna. Cooperafferma: «È necessario, da parte dei cristiani tradizionali, prenderecoscienza che lo sheol sia il luogo di riposo dei morti indipendente-mente dalla religione professata durante la loro vita. Lo sheol non è“l’inferno” al quale gli empi sono condannati e dal quale i fedeli delSignore sono risparmiati in gloria. Benché l’Antico Testamento accen-ni al fatto che persino nella morte il Signore risparmi e comunichi coni suoi giusti, non c’è nessun dubbio, come vedremo, che i credenti e inon credenti tutti scendano nello sheol quando muoiono».240

Il liberale Interpreter’s Dictionary of the Bible afferma ancor piùenergicamente: «Da nessuna parte nell’Antico Testamento, la dimoradei morti è considerata come un posto di punizione o di tormento. Ilconcetto di un “inferno” è sviluppato in Israele solo durante il periodoellenistico».241

Il tentativo di Morey e altri di fare una differenza tra sheol, dimo-

237 J.G.S.S. THOMSON, Death and the State of the Soul after Death, in Basic ChristianDoctrines, ed. Carl F.H. Henry, New York, 1962, p. 271.238 R.A. MOREY, Op. cit., p. 73. 239 W.G.T. SHEDD, The Doctrine of endless Punishment, New York, 1886, p. 23. Cfr. L.BERKHOF, Systematic Theology, Grand Rapids, 1953, p. 685; J.E. BRAUN, WhateverHappened to Hell?, Nashville, 1979, pp. 130-142.240 J.W. COOPER, Body, Soul, and Life Everlasting: Biblical Anthropology and theMonism-Dualism Debate, Grand Rapids, 1989, p. 61.241 T.H. GASTER, «Above of the Dead», The Interpreter’s Dictionary of the Bible,Nashville, 1962, p. 788.

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Capitolo 12

ra dell’anima, e la tomba come luogo di riposo del corpo, è basato sulconcetto dualistico della natura umana, estraneo alla Bibbia. Nel suostudio su Israele: Its Life and Culture, Johannes Pedersen afferma chia-ramente: «Lo sheol è la totalità nella quale tutte le tombe sono unite…Dove c’è la tomba c’è lo sheol e dove c’è lo sheol lì c’è la tomba».242

Pedersen spiega molto chiaramente che lo sheol è il regno collettivo deimorti dove vanno tutti i defunti, coloro che sono sepolti e coloro chenon lo sono.

Nella sua tesi di laurea su Sheol nell’Antico Testamento, RalphWalter Doermann arriva alla stessa conclusione: «Nell’antico Israele sicomprendeva che i morti fossero allo stesso tempo nello sheol e nellatomba e non in due luoghi diversi. Tutti i defunti, sottoposti alle stessecondizioni, erano ritenuti presenti in un regno comune».243 Quando siconsiderano i diversi usi di sheol, allora questa conclusione risultaassolutamente chiara.

L’etimologia e l’ubicazione di sheolL’etimologia del termine sheol è incerta. Le derivazioni più frequente-mente menzionate sono quelle legate alla radice di un verbo che signi-fica «chiedere», «domandare» e «seppellire se stesso».244 Doermann nepropone la derivazione dalla radice shilah, il cui significato primario è«essere quieto», «a riposo». Egli conclude che «si può fare un collega-mento tra sheol e shilah e non sarebbe tanto collegato con la localizza-zione del regno dei morti, quanto piuttosto con il carattere dei suoi abi-tanti, che sono principalmente “a riposo”».245 La differenza fra le dueparole è relativa. La più importante è il fatto che lo sheol sia il postodove i morti riposano. Lo sheol è localizzato profondamente sotto lasuperficie della terra, perché è spesso menzionato in relazione con ilcielo per configurare così i limiti estremi dell’universo.

Lo sheol è il luogo più profondo nell’universo, esattamente come ilcielo è quello più in alto.

Amos descrive l’inevitabile ira di Dio in questi termini: «Anche sepenetrassero nel soggiorno dei morti (sheol), la mia mano li strappe-rebbe di là; anche se salissero in cielo, io li tirerei giù. Anche se si

242 J. PEDERSEN, Israel: Its life and Culture, Atlanta, 1991, vol. 1, p. 462.243 R.W. DOERMANN, Sheol in the Old Testament, Ph. D., dissertation, Duke University,1961, p. 191.244 T.H. GASTER, Op. cit., p. 787.245 R.W. DOERMANN, Op. cit., p. 37.

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nascondessero in vetta al Carmelo, io li scoverei lassù e li prenderei;anche se si nascondessero al mio sguardo in fondo al mare, laggiùordinerei al serpente di morderli» (Am 9:2,3). Anche il salmista escla-ma: «Dove potrei andarmene lontano dal tuo Spirito, dove fuggirò dallatua presenza? Se salgo in cielo tu vi sei; se scendo nel soggiorno deimorti, eccoti là» (Sal 139:7,8; cfr. Gb 11:7,9).

Essendo posto sotto la terra, i morti raggiungono lo sheol «andan-do giù», un eufemismo per indicare il seppellimento nella terra.Quando Giacobbe venne informato della morte di suo figlio Giuseppe,disse: «Io scenderò con cordoglio da mio figlio, nel soggiorno dei morti(sheol)» (Gn 37:35). Forse l’esempio più chiaro della localizzazionedello sheol sotto la terra è il racconto della punizione di Kore, Dathane Abiram, che si sono ribellati contro l’autorità di Mosè. «La terra spa-lancò la sua bocca e li ingoiò: essi e le loro famiglie, con tutta la genteche apparteneva a Core e tutta la loro roba. Scesero vivi nel soggiornodei morti; la terra si richiuse su di loro» (Nm 16:31,33). Quest’episodiomostra chiaramente come l’intera persona, e non solo l’anima, scendanello sheol, nel regno dei morti.

Le caratteristiche del «soggiorno dei morti»Le caratteristiche dello sheol sono essenzialmente quelle del regno deimorti, o la tomba. In numerosi passi lo sheol è posto in parallelo con laparola ebraica bor, cioè «fossa» o qualsiasi tipo di grotta sotterranea,usata come sinonimo di tomba. Per esempio, il salmista scrive: «Perchél’anima mia è sazia di mali e la mia vita è vicina al soggiorno dei morti(sheol). Io sono contato tra quelli che scendono nella tomba (bor); sonocome un uomo che non ha più forza» (Sal 88:3,4).246 Qui il parallelismoidentifica sheol con la fossa, cioè il luogo di sepoltura dei morti.

Svariate volte sheol appare insieme con abaddon, che significa«distruzione» o «rovina».247 Abaddon appare in parallelo con tomba:«La tua bontà sarà narrata nel sepolcro? O la tua fedeltà nel luogo delladistruzione (abaddon)?» (Sal 88:11); con lo sheol: “Davanti a lui il sog-giorno dei morti (sheol) è nudo, l’abisso (abaddon) è senza velo» (Gb26:6; cfr. Prv 15:11). «Il soggiorno dei morti (sheol) e l’abisso (abaddon)stanno davanti al SIGNORE; quanto più i cuori dei figli degli uomini!»(Prv 15:11; cfr. 27:20). Il fatto che lo sheol sia associato ad abaddon, il

246 Cfr. Sal 30:3; Prv 1:12; Is 14:15; 38:18; Ez 31:16.247 In Numeri 16:33 viene detto dei ribelli che «scomparvero nello sheol».

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Capitolo 12

luogo della distruzione, dimostra che il regno dei morti fosse vistocome luogo di annientamento e non come quello della sofferenza eter-na degli empi.

Lo sheol è anche caratterizzato come «terra delle tenebre e del-l’ombra di morte» (Gb 10:21), dove i morti non vedranno mai più laluce (Sal 49:19; 88:13). Esso è anche «il luogo del silenzio» (Sal 94:17;cfr. 115:17) e la terra senza ritorno: «La nuvola svanisce e si dilegua;così chi scende nel soggiorno dei morti (sheol) non ne risalirà; non tor-nerà più nella sua casa e il luogo dove stava non lo riconoscerà più»(Gb 7:9,10).

Lo sheol e il regno dei mortiTutte le caratteristiche sopra esaminate in merito allo sheol descrivonoaccuratamente il regno dei morti. La fossa, il luogo di distruzione, ditenebre, di silenzio, il viaggio senza ritorno, sono tutte descrizioni delregno dei morti. Si è visto inoltre, come in qualche caso, lo sheol siamesso in parallelo con la morte e la tomba: «Li sorprenda la morte!Scendano vivi nel soggiorno dei morti (sheol)! Poiché nelle loro case ein cuor loro non c’è che malvagità» (Sal 55:15). In virtù del paralleli-smo, lo sheol è identificato con la morte e la tomba.

Nel Salmo 141:7 troviamo un altro esempio in cui lo sheol è asso-ciato alla tomba: «Come quando si ara e si rompe la terra, le nostre ossasono sparse all’ingresso [alla bocca] del soggiorno dei morti (sheol)».La bocca dello sheol è l’apertura della tomba dove sono poste le ossa.

Le varie figure usate per descrivere lo sheol servono tutte amostrare come non sia il luogo degli spiriti eterei, ma il «regno deimorti». Anthony Hoekema, uno studioso calvinista, giunge alla stessaconclusione nel suo libro The Bible and the Future. Egli scrive: «Levarie figure applicate allo sheol possono essere capite come riferentesial regno dei morti: lo sheol ha le sbarre (Gb 17:16), è un posto buio etetro (Gb 17:13), è un mostro dall’appetito insaziabile (cfr. Prv 27:29;30:15,16; Is 5:14; Ab 2:5). Quando pensiamo allo sheol in questo modo,dobbiamo ricordarci che sia i giusti sia gli empi vanno nello sheolquando muoiono, perché entrambi entrano nel regno dei morti».248

Nel suo studio, Antropologia dell’Antico Testamento, Hans WalterWolff, fa notare che, contrariamente alle antiche religioni orientalidove i morti erano glorificati o persino deificati, «simili espressioni

248 A.A. HOEKEMA, The Bible and the Future, Grand Rapids, 1979, p. 96.

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Lo stato dei morti nell’Antico Testamento

sarebbero inconcepibili per il Vecchio Testamento. Per lo più quando siparla della discesa nello sheol come mondo dei morti non si vuole indi-care niente di più: la sepoltura nella tomba e la fine della vita (Gn 42:38;44:29,31; Is 38:10,17; Sal 9:16-18; 16:10; 49:10,16; 88:4-7,12; Prv 1:12)».249

Qualsiasi tentativo di trasformare lo sheol nel luogo di tormentoper gli empi o nella dimora degli spiriti/anime, contraddice la caratte-rizzazione dello sheol quale deposito sotterraneo dei morti.

La condizione dei morti nello sheolSiccome la morte è l’arresto biologico dell’esistenza, lo stato dei mortinello sheol è descritto in termini antitetici al concetto della vita sullaterra. Vita significa vitalità e attività; la morte significa debolezza e inat-tività. Questo è vero per i giusti e per gli empi. «Tutto succede ugual-mente a tutti; la medesima sorte attende il giusto e l’empio, il buono epuro e l’impuro» (Ec 9:2). Tutti vanno nello sheol, il regno dei morti.

Il saggio offre una descrizione della condizione dei morti nellosheol: «Nel soggiorno dei morti (sheol) dove vai, non c’è più né lavoro,né pensiero, né scienza, né saggezza» (Ec 9:10). È chiaro che lo sheol,il regno dei morti, è il luogo della non esistenza. «Infatti, i viventi sannoche moriranno; ma i morti non sanno nulla, e per essi non c’è più sala-rio; poiché la loro memoria è dimenticata. Il loro amore come il loroodio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno piùné avranno mai alcuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole» (Ec9:5,6). L’argomento principale qui è che la morte pone una fine bruscaa tutte le attività svolte «sotto il sole», e ciò che segue la morte è lo sheol,dove regna uno stato di inattività, senza conoscenza e senza consape-volezza. Questo stato è meglio descritto come «sonno».

La frase «si addormentò con i suoi padri» (1 Re 2:10; cfr. 1:21;11:43) riflette l’idea che i morti si uniscano ai loro antenati nello sheolin uno stato di totale incoscienza. L’idea del riposo o del sonno nellosheol è presente in Giobbe, che grida in mezzo alle sue sofferenze:«Perché non morii fin dal seno di mia madre? Perché non spirai appe-na uscito dal suo grembo?… Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avreicosì riposo… Là cessano gli empi di tormentare gli altri. Là riposano glistanchi» (Gb 3:11,13,17).

Il riposo nello sheol non è il riposo delle anime che godono dellabeatitudine del paradiso o subiscono i tormenti dell’inferno, ma il ripo-

249 H.W. WOLFF, Antropologia dell’Antico Testamento, Queriniana, Brescia, 1975, p. 137.

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Capitolo 12

so dei corpi morti che dormono nei sepolcri. «Se aspetto come casa miail soggiorno dei morti (sheol), se già mi sono fatto il letto nelle tenebreal sepolcro dico: “Tu sei mio padre”, e ai vermi: “Siete mia madre e miasorella”. Dov’è dunque la mia speranza? Questa speranza mia chi lapuò scorgere? Essa scenderà alle porte del soggiorno dei morti (sheol),quando nella polvere troveremo riposo assieme» (Gb 17:13-16).

I morti dormono nello sheol fino alla fine: «Così l’uomo giace, enon risorge più; finché non vi siano più cieli egli non si risveglierà nésarà più destato dal suo sonno» (Gb 14:12). «Finché non vi siano piùcieli» è possibilmente un accenno alla venuta del Signore alla fine deitempi per risuscitare i santi. In tutte le sue sofferenze, Giobbe non hamai rinunciato alla sua speranza di vedere il Signore persino dopo larovina del suo corpo. «Ma io so che il mio Redentore vive e che alla finesi alzerà sulla polvere. E quando, dopo la mia pelle, sarà distrutto que-sto corpo, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò a me favorevole;lo contempleranno i miei occhi, non quelli d’un altro; il cuore, dal desi-derio, mi si consuma!» (Gb 19:25-27).

Riassumendo, la condizione dei morti nello sheol, il regno deimorti, è la più completa incoscienza caratterizzata dall’inoperosità,sonno, riposo che dureranno fino al giorno della risurrezione. Nessunodei testi esaminati suggerisce che lo sheol sia il luogo di purificazioneper gli empi (l’inferno) o di sopravvivenza cosciente delle anime odegli spiriti dei defunti morti. Non ci sono anime nello sheol semplice-mente perché nell’Antico Testamento l’anima non sopravvive allamorte del corpo. Come chiaramente afferma N.H. Snaith: «Il cadaveredi un uomo, di un uccello o di qualsiasi altro animale è senza nefesh(anima). Nello sheol, la dimora dei morti, non c’è nessuna nefesh(anima)».250

Ode contro il re di BabiloniaLa conclusione cui siamo giunti riguardo allo sheol in quanto regno deidefunti è osteggiata da coloro che si rifanno a due testi che apparente-mente sostengono la nozione dell’esistenza consapevole dello sheol. Ilprimo passo si trova Isaia 14:4,11 e si tratta di un’ode contro il superbore di Babilonia. Il secondo si trova in Ezechiele 31 e 32, e racchiude icanti funebri per il faraone d’Egitto. Sulla base di questi passi, RobertA. Morey conclude: «Questi, nello sheol, sono descritti come capaci di

250 N.H. SNAITH, «Life after Death», Interpretation I, 1947, p. 322.

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conversare gli uni con gli altri e persino di emettere giudizi moralisullo stile di vita dei nuovi arrivati (cfr. Is 14:9, 20; 44:23; Ez 32:21).Sono quindi entità consapevoli mentre sono nello sheol».251

In vista dell’alto valore attribuito a questi passi in favore di unasopravvivenza cosciente nell’aldilà, sarà necessario esaminarli, anchese in modo conciso.

L’oracolo contenuto in Isaia 14 è un rimprovero contro l’altezzosore di Babilonia, dove le «ombre» dei morti, i re soggiogati dalle armivincenti di Nabucodonosor, sono personificate per esprimere la con-danna di Dio al re dispotico. Quando il re li raggiunge nello sheol, que-sti sovrani defunti sono ritratti come «ombre» refain (termine chevedremo più avanti), che si sollevano dai loro troni d’ombra per bef-farsi del tiranno decaduto, dicendo: «“Anche tu dunque sei diventatodebole come noi? Anche tu sei divenuto dunque simile a noi?” Il tuofasto e il suono dei tuoi saltèri sono stati fatti scendere nel soggiornodei morti (sheol); sotto di te sta un letto di vermi, e i vermi sono la tuacoperta» (Is 14:10,11).

Siamo in presenza della descrizione del cadavere del re nellatomba, corroso da grilli e vermi; non di un’anima che goda della beati-tudine del cielo o subisca i tormenti dell’inferno. Il linguaggio delbrano è adeguato non già per l’immagine degli «spiriti deceduti», maper descrivere i morti sepolti. È evidente che se i re fossero stati «spi-riti deceduti» nello sheol, non starebbero seduti sui troni. In questaimpressionante parabola, persino i cipressi e i cedri del Libano sonopersonificati (Is 14:8) e in grado di esprimere rimproveri beffardi con-tro il tiranno caduto.

È evidente che tutti i caratteri di questa parabola, alberi personifi-cati, sovrani caduti, sono finti. Servono non già per descrivere lasopravvivenza delle anime nello sheol, ma per preannunciare con unlinguaggio figurato che attira l’attenzione il giudizio di Dio circa l’op-pressore d’Israele da un lato, e il suo infamante destino ultimo, corro-so dai vermi in una tomba piena di polvere, dall’altro. Interpretarequesta parabola come una descrizione letterale della vita ultraterrenasignifica ignorare la natura altamente figurativa e metaforica delbrano, che è stato costruito così per descrivere la condanna di un tiran-no che esaltava se stesso. Ripetutamente, nel corso di questo studio, sirimane sorpresi dal fatto che persino studiosi di grande spessore spes-

251 R.A. MOREY, Op. cit., p. 79.

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so ignorino un principio ermeneutico di base: il linguaggio simbolico emetaforico non può e non dovrebbe essere, interpretato letteralmente.

Canto funebre sul faraone d’EgittoIn Ezechiele 31 e 32, si trova un canto funebre e metaforico sul farao-ne d’Egitto, molto simile a quello di Isaia sul re di Babilonia.

La stessa personificazione della natura è usata per descrivere lasconfitta del faraone dal re di Babilonia. «Il giorno che egli discese nelsoggiorno dei morti (sheol) io bandii un lutto; a motivo di lui velai l’a-bisso, ne arrestai i fiumi e le grandi acque furono fermate; a motivo dilui feci vestire a lutto il Libano, e tutti gli alberi dei campi venneromeno a motivo di lui» (Ez 31:15). Il ritratto è decisamente figurato. Ivari governatori che hanno causato grande terrore in questa vita oragiacciono nello sheol, «attorno a loro stanno i loro sepolcri» (32:26).«Non giacciono con i prodi che sono caduti fra gli incirconcisi, che sonoscesi nel soggiorno dei morti (sheol) con le loro armi da guerra, sotto ilcapo dei quali sono state poste le loro spade ma le loro iniquità stannosulle loro ossa, perché erano il terrore dei prodi sulla terra dei viventi»(v. 27). Mediante questo linguaggio figurato, i potenti sono ritratti comesepolti nello sheol con le spade come cuscino sotto la testa e gli scudicome coperta sulle loro ossa. Tutto ciò difficilmente può essere consi-derato una descrizione delle anime che godano della beatitudine delparadiso o subiscano il tormento dell’inferno. È piuttosto una rappre-sentazione figurata dell’umiliazione della tomba che attende quelli cheabusano del loro potere in questa vita.

Nel suo libro Hell on Trial: The Case for Eternal Punishment, RobertA. Peterson, studioso presbiteriano, riconosce che «Isaia 14 edEzechiele 31 e 32, capitoli tradizionalmente letti come facenti riferi-mento all’inferno, si possono comprendere meglio se invece vengonointerpretati come riferiti alla tomba. Le raffigurazioni del re diBabilonia coperto di grilli e di vermi (Is 14:11) e del faraone che giacefra i guerrieri caduti con le spade poste sotto le loro teste (Ez 32:27),parlano non già dell’inferno, ma dell’umiliazione della tomba».252

In conclusione, lo sheol non è il luogo della punizione per gli empio la dimora degli spiriti, ma il regno dei morti, costituito da silenzio,polvere e tenebre, nel quale Dio disse che Adamo e i suoi discendenti

252 R.A. PETERSON, Hell on Trial: The Case for Eternal Punishment, Phillipsburgh, NewJersey, 1995, p. 28.

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sarebbero stati condannati ad andare: «Poiché sei polvere, e in polvereritornerai» (Gn 3:19).

Gli abitanti dello sheolOtto testi nell’Antico Testamento si riferiscono agli abitanti dello sheolcome i refain,253 parola, questa, che è spesso tradotta con «ombre».Questa traduzione può trarre in inganno, perché dà l’impressione chegli abitanti dello sheol, il regno dei morti, siano fantasmi o spiriti senzacorpo. Infatti, i dualisti insistono su questa traduzione ingannevole perconvincersi di una sopravvivenza delle anime nello sheol. Per esempio,Robert A. Morey afferma: «Alla morte l’uomo diventa un refain, cioè un«fantasma«, «ombra», o uno «spirito senza corpo» secondo Giobbe 26:5;Salmo 88:10; Proverbi 2:18; 9:18; 21:16; Isaia 14:9; 26:14,19. Invece didescrivere l’uomo come se passasse all’inesistenza, l’Antico Testa-mento afferma che l’uomo diventa uno spirito senza il corpo. L’uso deltermine refain stabilisce irrefutabilmente questa verità».254 Una con-clusione così ardita si basa su supposizioni gratuite che difficilmentepossono esser sostenute dall’uso di refain nei testi biblici.

L’etimologia della parola è incerta; si pensa derivi dalla radice diun verbo che significa «affondare», «rilassarsi», essere «debole», «fiac-co». In un dotto articolo sull’origine e il significato di refain pubblicatosull’American Journal of Semitic Languages and Literature, Paul Hauptscrive: «Il termine ebraico refain indica coloro che sono “affossati”nella loro dimora invisibile e scendendo nell’ades così come il sole calaverso la sua infuocata morte a ponente; i refain sono coloro che sono“affossati”, svaniti, spariti, morti, defunti. La traduzione miglioresarebbe “i dipartiti”».255

La traduzione di refain proposta da Haupt come «i dipartiti» o «imorti» è adeguata all’uso del termine indicato negli otto testi dove que-sta parola appare. Si tratta, a questo punto, di considerare, anche sebrevemente, testo per testo.

In Isaia 14:9, è detto che la discesa nello sheol del re di Babiloniacausa agitazione: «Il soggiorno dei morti (sheol), laggiù, si agita per te,per venire a incontrarti al tuo arrivo; esso sveglia per te le ombre(refain), tutti i principi della terra; fa alzare dai loro troni tutti i re delle

253 Cfr. Gb 26:5; Ps 88:10; Prv 2:18; 9:18; 21:16; Is 14:9; 26:14,19.254 R.A. MOREY, Op. cit., p. 78.255 P. HAUPT, «Assyrian Rabu, “To Sink” - Hebrew “rapha”», American Journal ofSemitic Languages and Literature 33, 1916,1917, p. 48.

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nazioni». Qui refain può esser benissimo tradotto come «i defunti» o «imorti», dal momento che è detto che sono «risvegliati» per incontrareil re. L’implicazione è che stavano dormendo, un eufemismo comuneper indicare la morte nella Bibbia. Gli spiriti senza corpo non hannoalcun bisogno di essere «risvegliati» dal sonno. Il rimprovero: «Anchetu dunque sei diventato debole come noi? Anche tu sei divenuto dun-que simile a noi?» (Is 14:10) non significa necessariamente: «Anche tusei diventato uno spirito senza corpo come noi», quanto piuttosto:«Anche tu, sei morto come noi?».

Questo testo è generalmente usato per definire il significato direfain come deboli, «ombre» in quanto si ritiene che esse siano solospiriti disincarnati. La loro debolezza, tuttavia, deriva dal fatto chesono semplicemente morti. Nell’Antico Testamento, questi sono debo-li perché la loro anima o la loro vitalità è svanita. Come concisamen-te afferma Johannes Pedersen: «Il defunto è un’anima priva di forza.Per questo i morti sono chiamati “deboli” (refain) (cfr. Is 14:10)».256

Refain e i mortiLa relazione fra i morti e i refain è esplicita in Isaia 26:14, dove il pro-feta mette in contrapposizione il Signore Dio con i sovrani terreni,dicendo, di questi ultimi: «Quelli sono morti, e non rivivranno più;sono ombre (refain), e non risorgeranno più». Il parallelismo suggeri-sce che refain e i morti siano la stessa cosa. Inoltre, dice che i refain«non risorgeranno». L’implicazione è che questi refain, cioè i malvagisovrani morti, non verranno risuscitati. I refain sono menzionati dinuovo nel verso 19, dove il profeta parla della risurrezione del popolodi Dio: «I tuoi morti torneranno a vita, il mio corpo morto anch’esso, erisusciteranno. Risvegliatevi, e giubilate, voi che abitate nella polvere;perciocché, quale è la rugiada all’erbe, tal sarà la tua rugiada, e laterra gitterà fuori i trapassati (refain)» (Is 26:19 Diodati). John Cooperusa questo testo per affermare che i refain sono gli spiriti dei morti chesaranno riuniti con i loro corpi alla risurrezione.257

Cooper scrive: «È molto significativo per la nostra inchiesta che iltermine refain per i defunti, sia presente nel v. 14b e anche nel v. 19de che questa medesima parola venga usata in Isaia 14 come attraver-so tutto l’Antico Testamento per designare gli abitanti dello sheol. Così

256 J. PEDERSEN, Op. cit., p. 180.257 J.W. COOPER, Op. cit., pp. 71,72.

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qui abbiamo un legame inequivocabile fra la futura risurrezione cor-porea e gli abitanti del mondo sotterraneo dei morti. Nel grande gior-no del Signore, i refain saranno riuniti ai loro corpi, ricostituiti dallapolvere, e vivranno di nuovo come popolo del Signore».258

Con quest’interpretazione così categorica, sussistono almeno treordini di problemi.

1. Essa ignora che il testo ebraico presenti dei problemi come indi-cato dalle traduzioni contraddittorie. John Cooper usa la traduzione delNIV che dice: «La terra farà nascere i suoi morti (refain)».259 Inoltre altretraduzioni rendono diversamente il versetto. Per esempio, la KJV tradu-ce: «La terra getterà fuori i morti (refain)». Il gettare fuori dei morti dallaterra, difficilmente suggerisce la riunione degli spiriti disincarnati con iloro corpi risuscitati. La RSV dice: «Là farai posare sulla terra delleombre (refain)». La discesa della rugiada sui refain, difficilmente puòrappresentare gli spiriti riuniti con i loro corpi. La Nuova Riveduta tra-duce: «… e la terra ridarà alla vita le ombre».

2. Anche se il brano si riferisce alla risurrezione dei refain in virtùdel parallelismo con i morti che «risorgeranno», non ci sono indica-zioni in tutto il passo che i refain siano spiriti che verranno riuniti ailoro corpi al momento della risurrezione. Da nessuna parte, la Bibbiaparla della risurrezione come la riunione del corpo con lo spirito o conl’anima. Questo scenario deriva dal concetto dell’uomo basato suldualismo platonico e non su quello biblico unitario. Nella Bibbia, larisurrezione, come si vedrà più avanti, costituisce la restaurazionedell’intera persona, corpo e anima.

3. Il parallelismo strutturale del testo dove i «morti», gli «abitantidella polvere» e i refain sono usati come sinonimi, suggerisce che i tresiano essenzialmente nella stessa condizione, cioè, morti. Quindi, irefain sono i morti che dimorano nella polvere, non spiriti incorporeiche fluttuano nel mondo sotterraneo.

Lo stesso parallelismo tra la morte e i refain appare nel Salmo88:10: «Farai forse qualche miracolo per i morti? I defunti (refain)potranno risorgere a celebrarti?». Qui i refain sono paragonati ai mortie ritenuti incapaci di lodare Dio. Perché? Semplicemente perché «nonsono i morti che lodano il SIGNORE, né alcuno di quelli che scendono

258 Ibidem.259 Incidentalmente, «fare nascere» i refain difficilmente sostiene la nozione che que-sti sono spiriti viventi, consapevoli e disincarnati.

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nella tomba» (Sal 115:17). Il parallelismo fra la morte e i refain appa-re nuovamente in Proverbi 2:18 e 9:18. Parlando della prostituta, l’uo-mo saggio dice: «Infatti la sua casa pende verso la morte, e i suoi sen-tieri conducono ai defunti (refain)» (Prv 2:18). È evidente che la casadella prostituta non conduce al mondo degli spiriti, ma alla morte,come indicato dal parallelismo.

Giobbe (26:5) personifica i refain, dicendo che davanti a Dio «tre-mano le ombre (refain) disotto alle acque e ai loro abitanti». Qui si haa che fare con un linguaggio altamente metaforico dove sia i vivi sia imorti, tremano davanti a Dio. Questo è anche evidente nel verso suc-cessivo che dice: «Davanti a lui il soggiorno dei morti (sheol) è nudo,l’abisso (abbadon) è senza velo». Lo scopo di tutte queste immagini èsemplicemente quello di trasmettere l’idea che nessuna creaturavivente o morta possa nascondersi davanti all’onnipresenza e all’on-nipotenza di Dio. Alla luce dell’analisi precedente si può concluderecon Basil F.C. Atkinson che: «Non c’è niente che costringa a dare ilsignificato di “ombre” alla parola (refain), e sembra irragionevoleinsistere in questo senso vista la concorde e coerente testimonianzadella Scrittura».260

La maga di EndorLa precedente discussione in merito allo sheol fornisce un utile retro-scena per prendere in esame l’unica descrizione completa che si trovinella Bibbia intorno alla comunicazione con uno spirito nello sheol. Inbreve, questo è il racconto. Quando Saul ha rifiutato di ricevere unaguida per il suo futuro da parte di Dio attraverso i sogni, l’urim e i pro-feti (1 Sam 28:6), nella disperazione ha cercato una donna, la maga diEndor, affinché evocasse lo spirito del defunto Samuele (1 Sam 28:7).

Travestendosi per evitare d’essere riconosciuto, Saul si reca dalladonna di notte e le chiede di far risalire il profeta defunto e di solleci-tarne informazioni (1 Sam 28:8). Quando la donna, sapendo dell’inter-detto reale contro la negromanzia, esita, (v. 3), Saul le garantisce chenon le sarebbe successo niente e insiste perché faccia risalire Sa-muele (vv. 9,10). La donna ubbidisce e dice a Saul: «Io vedo un dio (elo-him) che sale dalla terra» (v. 13). Descrive a Saul ciò che vede: un vec-chio «avvolto in un mantello» (v. 14).

260 B.F.C. ATKINSON, Life and Immortality: An Examination of the Nature and meaning ofLife and Death as They Are Revealed in the Scriptures, Taunton, England, s.d., pp. 41,42.

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Dalla descrizione della medium, Saul conclude che è Samuele econtinua chiedendo che cosa avrebbe dovuto fare davanti all’immi-nente sconfitta nella guerra contro i filistei. Lo spirito, personificandoSamuele, rimprovera Saul perché l’ha disturbato, visto che Dio haabbandonato il re. Poi, profetizza contro Saul come se parlasse daparte del Signore.

Trucemente, lo spirito predice la condanna di Saul: «Domani tu etuoi figli sarete con me» (cfr. 1 Sam 28:19; 1 Cr 10:13,14). Poi, lo spiri-to ritorna da dove è venuto.

Importanza del raccontoI dualisti trovano in questo racconto una delle prove più chiare dellasopravvivenza dell’anima alla morte.

John Cooper, per esempio, trae da questo episodio quattro rile-vanti conclusioni circa il pensiero dell’Antico Testamento sullo statodei morti. Egli scrive: «1. È chiaro che c’è continuità d’identità perso-nale fra i viventi e i morti. In altre parole, il Samuele morto è ancoraSamuele, non qualcuno o qualcos’altro… 2. Benché questo sia unavvenimento molto insolito, Samuele è un residente tipico dello sheol,visto che aspetta che Saul e i suoi figli lo raggiungano… 3. Nonostantedica che stesse riposando, gli era possibile ancora “svegliarsi” e occu-parsi di vari aspetti di comunicazione consapevole… 4. Samuele è un“fantasma” o un’ombra, non un’anima platonica o una mente carte-siana… Il suo corpo era seppellito a Rama (1 Sam 28:3), eppure egliera nello sheol e appare a Endor in forma corporea».261

Nello stesso modo, Robert Morey sostiene che questo raccontomostri come «Israele credesse in una vita ultraterrena consapevole.Mentre era loro proibito partecipare a sedute spiritiche, non di meno,credevano che l’uomo con la morte, fosse estinto».262

Questi tentativi di utilizzare l’apparenza «spirituale» di «Samuele»agli ordini di un medium per provare l’esistenza consapevole delleanime disincarnate dopo la morte, ignorano cinque importanti aspetti.

1. Non si tiene conto dell’insegnamento della Scrittura circa lanatura dell’uomo e della morte come abbiamo già esaminato. L’uomobiblico considera la morte come la cessazione della vita dell’interapersona; ciò preclude l’esistenza conscia delle anime.

261 J.W. COOPER, Op. cit., pp. 65,66.262 R.A. MOREY, Op. cit., p. 49.

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2. Ignora l’ordine solenne di astenersi dal consultare gli «spiritifamiliari» (cfr. Lv 19:31; Is 8:19), trasgressione, questa, punita con lamorte (Lv 26:6,27). Saul stesso, infatti, morì «a causa dell’infedeltà cheegli aveva commessa contro il SIGNORE per non aver osservato la paro-la del SIGNORE, e anche perché aveva interrogato e consultato quelli cheevocano gli spiriti mentre non aveva consultato il SIGNORE » (1 Cr10:13,14). La ragione della condanna a morte prevista per chi consul-tasse gli «spiriti» è che questi erano «spiriti maligni» o angeli decaduti,che personificavano i morti. Questa pratica avrebbe finito per condur-re le persone ad adorare il diavolo anziché Dio. Il Signore difficilmen-te avrebbe potuto decretare la pena di morte per chi avesse comunica-to con gli spiriti dei cari defunti se questi fossero esistiti e se la comu-nicazione fosse stata possibile. Non c’è nessuna ragione morale daparte di Dio per infierire sul dolore della morte, opponendosi al desi-derio umano di comunicare con i cari defunti. Il problema è che talecomunicazione è impossibile, perché i morti sono in uno stato di inco-scienza e non possono comunicare con i viventi. Qualsiasi comunica-zione che possa intercorrere non è già con gli spiriti dei morti, ma congli spiriti maligni. Questo è suggerito anche dall’affermazione dellamedium: «Vedo un Dio (elohim) che sale dalla terra» (1 Sam 28:13). Ilplurale elohim è usato nella Bibbia non solo per Dio, ma anche per ifalsi dei (cfr. Gn 35:2; Es 12:12; 20:3). La medium ha visto un falso dio,o spirito maligno, che personificava Samuele.

3. Questa interpretazione deve supporre che il Signore potesseaccettare di parlare con Saul mediante una medium, dopo aver giàrifiutato di comunicare con lui attraverso mezzi legittimi. Una comuni-cazione con Samuele, quale profeta, sarebbe allora stata una comuni-cazione indiretta con Dio. La Bibbia afferma, però, che il Signore si erarifiutato di comunicare con Saul (1 Sam 28:6).

4. Esso ignora la straordinaria difficoltà di supporre che uno spiri-to morto potesse apparire come «un vecchio… avvolto in un mantello»(1 Sam 28:14). Se gli spiriti dei morti sono anime disincarnate, ovvia-mente non hanno bisogno di essere avvolti in vestiti.

5. Ignora le implicazioni della truce predizione: «Domani tu e i tuoifigli sarete con me» (1 Sam 28:19). Dove doveva avvenire quest’appun-tamento fra il re e l’imitatore di Samuele? Era nello sheol, come sug-gerisce Cooper? Se ciò fosse vero, significherebbe, allora, che i profetidi Dio e i re apostati condividono gli stessi spazi dopo la morte. Questoè contrario alla credenza popolare che vuole che alla morte i salvati

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ascendano al cielo e i reprobi scendano nello sheol, l’inferno. Inoltre,se Samuele fosse stato in cielo, lo spirito imitatore di Samuele avrebbedetto: «Perché mi hai fatto scendere?». Invece dice: «Perché mi hai di-sturbato facendomi salire?» (1 Sam 28:15). Era forse cambiato il luogodei salvati, dallo sheol sotto la terra, al cielo sopra la terra?

Riflessioni come queste autorizzano a credere che la seduta spiri-tica di Endor non sostenga in alcun modo la nozione dell’esistenza con-sapevole delle anime disincarnate dopo la morte. È evidente che nonera lo spirito di Samuele che comunicava con Saul. Molto probabil-mente, un demone personificava il defunto Samuele come ancora suc-cede in molte sedute spiritiche. Le Scritture rivelano che Satana e i suoiangeli hanno l’abilità di cambiare la loro sembianza e di comunicarecon gli esseri umani (cfr. Mt 4:1,11; 2 Cor 11:13,14). Il racconto dell’ap-parizione «spirituale» di Samuele a Endor dice molto poco in meritoall’esistenza dopo la morte, ma rivela molto circa gli inganni mirati diSatana. Mostrano come Satana abbia avuto successo nel promuovere lamenzogna, «non morirete», usando mezzi sofisticati come la personifi-cazione dei morti mediante gli spiriti maligni.

ConclusioneLo studio della parola ebraica che indica «il regno dei morti» (sheol)mostra che in nessuno dei testi esaminati, lo sheol sia il luogo di puni-zione per gli empi (l’inferno) o il luogo per anime e spiriti che hannouna vita cosciente dopo la morte. Il regno dei morti consiste in unostato di incoscienza, di inattività e di sonno, che continua fino al gior-no della risurrezione.

Anche il termine refain, tradotto generalmente con «debole» o«ombra», indica non spiriti disincarnati che galleggiano nel mondo sot-terraneo ma morti che abitano nella polvere. Si è anche trovato che imorti vengono definiti «i deboli» (refain), (Is 14:10) perché sono privi diforza. Il racconto dell’apparizione «dello spirito» di Samuele a Endordice molto poco circa l’esistenza cosciente dopo la morte, perché quel-lo che ha visto la medium era un falso dio (elohim, 1 Sam 28:13) o unospirito maligno che personificava Samuele, non l’anima del profeta.

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Capitolo 13

Lo stato dei mortinel Nuovo Testamento

Il Nuovo Testamento dice molto poco circa lo stato dei morti durante ilperiodo intermedio. Dobbiamo accettare ciò che dice G. C. Berkouwerquando afferma che quello che il Nuovo Testamento dice circa lo statointermedio non è più di un sussurro.263

L’interesse primario del Nuovo Testamento è negli eventi chesegnano la transizione da quest’era all’era futura: il ritorno di Cristo ela risurrezione dei morti. La nostra maggiore fonte di informazione inmerito allo stato dei morti sono i riferimenti all’ades (l’equivalentegreco dell’ebraico sheol) e cinque passi generalmente citati a sostegnodi un’esistenza cosciente dell’anima dopo la morte.

I cinque brani riguardano: la parabola del ricco e Lazzaro (Lc16:19-31), la conversazione tra Cristo e il ladrone in croce (Lc23:42,43), l’espressione paolina di «partire ed essere con Cristo» (Fil1:23), la similitudine della casa terrena e celeste e del vestire o esseresvestito (2 Cor 5:1,10) dove Paolo esprime il suo desiderio di «partiredal corpo e abitare con il Signore» (2 Cor 5:8) e le anime dei martiri chegridano a Dio perché vendichi il loro sangue (Ap 6:9,11).

Il significato e la natura di adesLa parola greca ades è stata introdotta dai traduttori della Septuagintanel tradurre l’ebraico sheol. Il problema è che ades era un termine uti-

263 G.C. BERKOUWER, The Return of Christ, Grand Rapids, 1972, p. 63. A.A. HOEKEMA sot-tolinea che la traduzione inglese della frase che si trova a p. 63 del libro The Returnof Christ non interpreta fedelmente la parola olandese «fluistering» (sussurrare), sce-gliendo la parola «proclamazione:», «Chi avrebbe la pretesa di sapere aggiungerealtro alla proclamazione del Nuovo Testamento?». A.A. HOEKEMA, The Bible and theFuture, Grand Rapids, 1979, p. 94.

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lizzato nel mondo greco in modo molto diverso da sheol. Mentre losheol nell’Antico Testamento è il regno dei morti, dove, come si è visto,i defunti sono in uno stato d’incoscienza, l’ades nella mitologia greca èil mondo sotterraneo, dove le anime dei defunti sono divise in duegruppi: quelle dei dannati e quelle dei beati.

Edward William Fudge offre questa descrizione della concezionegreca dell’ades: «Nella mitologia greca Ades era il dio del mondo sot-terraneo e allo stesso tempo il nome del mondo inferiore. Caronte tra-ghettava le anime dei morti attraverso il fiume Stige o Acheronte nellasua dimora, dove il cane da guardia, Cerbero, custodiva il cancelloaffinché nessuno potesse scappare. Il mito pagano conteneva tutti glielementi dell’escatologia medievale: c’erano da un lato i piacevoliCampi Elisi, dall’altro il miserabile e oscuro Tartaro, e persino le pra-terie degli Asfodeli, dove i fantasmi potevano vagare poiché non eranoadatti per nessuno dei due luoghi indicati. Accanto al dio che gover-nava, c’era la regina Proserpina (o Persefone), da lui rapita dal mondodi sopra».264

Questa concezione greca dell’ades ha influenzato i giudei ellenisti,durante il periodo intertestamentario, i quali adottarono l’immortalitàdell’anima e l’idea d’una separazione spaziale nel mondo sotterraneotra i giusti e gli empi. Le anime dei giusti alla morte ascendevanoimmediatamente verso la felicità celeste, in attesa della risurrezione,mentre le anime degli empi scendevano nel luogo del tormento, cioèl’ades.265 L’accettazione popolare di questo scenario è riflesso nellaparabola del ricco e Lazzaro.

Il concetto di ades come luogo di tormento per gli empi è entratovia via nella chiesa cristiana e ha influenzato perfino i traduttori dellaBibbia. È notevole che la parola ades, che si trova 11 volte nel NuovoTestamento venga tradotta nella King James Version dieci volte come«l’inferno»266 e una volta come «tomba».267

La Revised Standard Version trascrive semplicemente la parolacon ades. La traduzione di ades come «inferno» è inesatta e mistifican-

264 E.W. FUDGE, The Fire That Consumes. A Biblical and Historical Study of the FinalPunishment, Houston, 1989, p. 205.265 Per un’istruttiva discussione sull’adozione della concezione greca dell’ades duran-te il periodo dell’intertestamento, cfr. J. JEREMIAS, «Ades» art. In G. KITTEL, G. FREIDRICH,Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia, 1965 vol. 1, col. 395. 266 Cfr. Mt 11:23; 16:18; Lc 10:15; 16:23; At 2:27, 3 1; Ap 1:18, 6:8; 20:13; 20:14.267 Cfr. 1 Cor 15:55.

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te, perché, a eccezione di Luca 16:23, il termine si riferisce alla tombao al regno dei morti e non a un luogo di punizione.

Quest’ultimo è designato come gheenna, termine che è anche tra-dotto «inferno» 11 volte nel Nuovo Testamento,268 dal momento che siriferisce allo stagno di fuoco, il luogo della condanna per i perduti.L’ades, d’altra parte, è usato nel Nuovo Testamento come equivalentedi sheol, il regno dei morti o la tomba.

Gesù e l’adesNei vangeli, Gesù fa riferimento per ben tre volte all’ades. La prima sitrova in Matteo 11:23, dove Gesù lancia un rimprovero controCapernaum: «E tu, Capernaum, sarai innalzata fino al cielo? Saraiabbassata fino all’ades» (cfr. Lc 10:15). Qui l’ades, come lo sheolnell’Antico Testamento (cfr. Am 9:2,3; Gb 11:7,9), indica il posto piùbasso dell’universo esattamente come il cielo è il posto più elevato.Questo significa che Capernaum sarà umiliata fino al regno dei morti,il posto più basso.

La seconda occasione in cui Gesù utilizza il termine ades si trovanella parabola del ricco e di Lazzaro (Lc 16:23). Si ritornerà successi-vamente su questo episodio. La terza volta si trova in Matteo 16:18,dove Gesù esprime la propria fiducia affermando che «le porte dell’a-des non potranno vincere» la chiesa. Il significato della frase «Le portedell’ades» è illuminato dalla stessa espressione nell’Antico Testamentoe nella letteratura giudaica (cfr. 3 Maccabei 5:51; Sapienza di Salomone16:13) dove è utilizzato quale sinonimo per la morte. Per esempio,Giobbe pone una domanda retorica: «Ti sono state mostrate le portedella morte, o hai forse visto le porte delle tenebre profonde?» (Gb38:17; cfr. Is 38:18). Il mondo sotterraneo era ritratto come circondatoda scogliere, dove i morti erano rinchiusi. Quindi Gesù voleva dire con«le porte dell’ades» che la morte non avrebbe vinto la chiesa, perchélui, ovviamente, avrebbe ottenuto la vittoria sulla morte.

Come tutti i morti, Gesù è andato nell’ades, cioè, nella tomba, maa differenza degli altri, egli è stato vittorioso sulla morte. «Poiché tu nonlascerai l’anima mia nell’ades, e non permetterai che il tuo Santo vedala corruzione» (At 2:27; cfr. 2:31). Qui l’ades è la tomba dove il corpo diCristo ha riposato per soli tre giorni e, di conseguenza, non ha visto «lacorruzione», il processo di decomposizione che avviene a seguito di un

268 Cfr. Mt 5:22,29,30; 10:28; 18:9; 23:15,33; Mc 9:43,45,47; Lc 12:5; Gc 3:6.

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seppellimento prolungato. A motivo della sua vittoria sulla morte, l’a-des, la tomba, è un nemico sconfitto. Quindi, Paolo esclama: «O morte,dov’è il tuo dardo? O tomba (ades), dov’è la tua vittoria?» (1 Cor 15:55).Qui l’ades è tradotto correttamente «tomba» nella KJV dal momento cheè parallelo con la morte.

Cristo ora tiene le chiavi della «morte e dell’ades» (Ap 1:18), Egli hapotestà sulla morte e la tomba. Questo lo rende capace di aprire letombe e chiamare i santi a vita eterna alla sua venuta. In tutti questipassi, l’ades è conformemente associata con la morte, perché essa è illuogo di riposo dei morti, la tomba. Lo stesso è vero in Apocalisse 6:8,dove il cavallo giallastro ha un cavaliere il cui nome è «morte e dietroa essa veniva l’ades». Il motivo per cui «l’ades» segue «la morte» è ovvia-mente da ricercarsi nel fatto che l’ades riceve i morti.

Nell’Apocalisse, alla fine del millennio, «la morte e l’ades» restitui-ranno i loro morti (Ap 20:13) e «poi la morte e l’ades saranno gettatenello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda, lo stagno di fuoco» (Ap20:14). Questi sono due versetti significativi. Primo perché dicono chel’ades restituirà i suoi abitanti, indicando così di nuovo che l’ades è ilregno dei morti. Secondo, informano che alla fine, l’ades stesso sarà get-tato nello stagno di fuoco. Attraverso queste immagini, la Bibbia ci ras-sicura che alla fine, entrambe, la morte e la tomba, saranno eliminate.Questa sarà la morte della morte o, come dice l’Apocalisse, «la morteseconda». Questa breve indagine sul termine ades nel NuovoTestamento mostra chiaramente che il significato e l’uso sono conformia quello di sheol nell’Antico Testamento. Entrambi i termini parlano ditomba o del regno dei morti e non del posto di punizione per gli empi.269

Il ricco e LazzaroLa parola ades appare anche nella parabola dell’uomo ricco e Lazzaro,ma con un significato diverso. Mentre nei dieci testi appena esaminatil’ades si riferisce alla tomba o al regno dei morti, nella parabola delricco e Lazzaro indica il luogo di punizione per gli empi (Lc 16:23).

269 K. HANHART giunge sostanzialmente alla stessa conclusione nella sua tesi di laureapresentata all’Università di Amsterdam. Ella scrive: «Giungiamo alla conclusione chequesti passaggi non fanno piena luce sulla questione che stiamo trattando (lo statointermedio). Nel senso di potere della morte, regno degli abissi e luogo nel quale simanifestano un’umiliazione assoluta e il giudizio, il termine ades non va oltre il signi-ficato che ha Sheol nell’Antico Testamento» (K. Hanhart, The Intermediate State in theNew Testament, Doctoral dissertation, University of Amsterdam, 1966, p. 35).

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Il motivo per quest’uso eccezionale sarà spiegato tra poco.Ovviamente i dualisti si rifanno spesso a questa parabola per sostene-re la nozione dell’esistenza consapevole delle anime durante lo statointermedio (Lc 16:19,31). Data l’importanza di questa parabola, ènecessario esaminarla da vicino.

Per prima cosa, occorre considerare i punti principali dell’episo-dio. Lazzaro e l’uomo ricco muoiono entrambi. La loro situazione «divita» dopo la loro morte è ora rovesciata. Alla morte di Lazzaro, questi«fu portato dagli angeli nel seno di Abramo» (Lc 16:22), mentre l’uomoricco fu condotto nell’ades e tormentato dalle fiamme scottanti (Lc16:23). Benché un grande abisso li separasse, il ricco poteva vedereLazzaro nel seno di Abramo.

Il ricco prega Abramo di inviare Lazzaro a compiere due favori: ilprimo, «mandare Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito perrinfrescargli la lingua» (Lc 16:24) e il secondo mandare Lazzaro adavvisare i membri della sua famiglia di pentirsi affinché non abbianoa sperimentare la sua stessa punizione. Abramo nega entrambe lerichieste per due motivi. Il primo, perché c’era un grande vuoto cheera impossibile per Lazzaro attraversare e venirgli così, in aiuto (Lc16:26); il secondo, perché se questi suoi familiari non «ascoltano Mosèe i profeti, non saranno neppure convinti se uno risuscitasse daimorti» (Lc 16:31).

Prima di considerare la parabola, è necessario ricordare che, con-trariamente all’allegoria del Pilgrim’s Progress, dove ogni dettaglioconta, quelli di una parabola non hanno necessariamente un significa-to, se non come «sostegni» al racconto. Una parabola è proposta perinsegnare una verità fondamentale, e i dettagli non hanno un signifi-cato letterale, a meno che il contesto indichi diversamente. Da questoprincipio ne deriva un altro: solo l’insegnamento fondamentale di unaparabola, confermato dal tenore generale della Scrittura, può esserlegittimamente usato per definire una dottrina. Sfortunatamente que-sti due principi fondamentali sono ignorati da coloro che utilizzano idettagli di una parabola per sostenere le proprie posizioni.

Per esempio, Robert A. Petersen trae lezioni dalle caratteristichemaggiori della parabola. «1. Come Lazzaro, quelli che Dio aiuta saran-no portati dopo la morte alla presenza di Dio… 2. Come l’uomo ricco,gli impenitenti sperimenteranno il giudizio irrevocabile. Anche gliempi sopravvivono alla morte, solo per subire “tormento” e “agonia”…3. Tramite la Scrittura, Dio rivela se stesso e la sua volontà affinché

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nessuno di coloro che disubbidiscono possano legittimamente prote-stare per il loro destino».270

Il tentativo di Petersen di trarre tre lezioni dalla parabola ignora ilfatto che la lezione principale della parabola è data nell’ultima frase:«Se non ascoltano Mosè e i profeti, non crederanno neppure se unorisuscitasse dai morti» (Lc 16:31). Quindi, niente e nessuno può sop-piantare la potenza della rivelazione che Dio ha dato nella sua Parolaconvincente. Interpretare la parabola del ricco e Lazzaro come unadescrizione del destino futuro per i salvati e per i perduti, significa uti-lizzare la parabola per lezioni estranee al suo intento originale.

L’interpretazione letterale pone dei problemiColoro che interpretano la parabola come una rappresentazione lette-rale dello stato dei salvati e dei non salvati dopo la morte, si trovano adover risolvere problemi non indifferenti. Se il racconto costituisse lavera descrizione dello stato intermedio, allora deve essere vero nei fattie coerente nei dettagli. Se la parabola però è un semplice racconto,allora si tratta di cogliere la verità centrale che ne scaturisce.Un’interpretazione letterale della storia viene però a crollare sotto ilpeso delle sue stesse assurdità e contraddizioni.

I sostenitori del letteralismo sostengono che il ricco e Lazzarosiano spiriti senza corpo. Eppure il ricco è descritto come una personache ha «occhi» che vedono, una «lingua» che parla e che cerca sollievodal «dito» di Lazzaro: tutte parti concrete di un corpo. Essi vengonodescritti come individui esistenti fisicamente, malgrado il fatto che ilcorpo del ricco fosse come di regola seppellito nella tomba. Il suo corpoera forse stato portato nell’ades insieme alla sua anima per sbaglio?

Un abisso separa Lazzaro in cielo (seno di Abramo) dal ricco nel-l’ades. L’abisso è troppo largo per chiunque volesse attraversarlo maabbastanza stretto per permettere una conversazione. Preso letteral-mente significa che il cielo e l’inferno si troverebbero a una distanzageografica tale che permetterà di vedersi e parlarsi; così i santi e i pec-catori potranno vedersi e comunicare tra loro per l’eternità. A questopunto, possiamo immaginare le reazioni di quei genitori che dal cielovedrebbero i propri figli nel tormento dell’ades. Un simile spettacolonon distruggerebbe del tutto la gioia e la pace del cielo? Questa idea èinaccettabile.

270 R.A. PETERSON, Op. cit., p. 67.

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Contrasto con altre verità biblicheUn’interpretazione letterale della parabola contraddice alcune veritàbibliche fondamentali. Se la parabola va letta letteralmente, alloraLazzaro ha ricevuto il suo premio e l’uomo ricco la sua punizione,immediatamente dopo la morte e prima del giorno del giudizio. LaBibbia insegna chiaramente che le ricompense e le punizioni, e anchela separazione fra i santi e i reprobi, avverranno nel giorno della venu-ta di Cristo: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria… e tuttele genti saranno radunate davanti a lui, ed egli separerà gli uni daglialtri» (Mt 25:31,32). «Ecco, io vengo presto e il mio premio è con me,per rendere a ognuno secondo le opere che egli ha fatto» (Ap 22:12).Paolo si aspettava di ricevere «la corona di giustizia» nel giorno del-l’apparizione di Cristo (2 Tm 4:8).

Un’interpretazione letterale della parabola contraddice anche latestimonianza concorde dell’Antico e del Nuovo Testamento che imorti, giusti ed empi, giacciano nel silenzio e nell’incoscienza dellamorte fino al giorno della risurrezione (cfr. Ec 9:5,6; Gb 14:12,15,20,21;Sal 6:5; 115:17). Un’interpretazione letterale contrasta anche l’uso diades nel Nuovo Testamento che indica la tomba o il regno dei morti, enon già un luogo di tormento. Si è già precedentemente notato chedieci volte su undici l’ades sia esplicitamente collegato con la morte ela tomba. L’uso eccezionale di ades in questa parabola come luogo ditormento tra le fiamme (Lc 16:24) deriva non già dalla Scrittura, ma datradizioni popolari giudaiche influenzate dalla mitologia greca.

Concetti popolari giudaiciFortunatamente, sono giunti fino a noi, scritti giudaici che gettano lucesulla parabola dell’uomo ricco e Lazzaro. Rivelatore è il «discorso aigreci riguardo l’ades» scritto da Giuseppe Flavio, famoso storico giudeovissuto durante i tempi del Nuovo Testamento (morto intorno all’anno100). Il suo discorso sembra andare di pari passo con il racconto del-l’uomo ricco e Lazzaro. In esso, Giuseppe Flavio spiega che «l’ades èuna regione sotterranea dove la luce di questo mondo non splende…Questa regione è prevista come luogo di custodia per le anime e nellaquale gli angeli sono posti come guardiani per infligger loro punizionitemporanee, secondo la condotta e il modo di agire di ognuno».271

271 F. JOSEPHUS, Discourse to the Greeks Concerning Hades, in Complete Works, (trad.da W. Whiston) Grand Rapids, 1974, p. 637.

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Giuseppe Flavio sostiene inoltre che l’ades sia divisa in due sezio-ni. Una è «la regione della luce» dove le anime dei morti giusti sonoportate dagli angeli al «luogo che chiamiamo seno di Abramo».272 Laseconda regione è nelle «tenebre eterne» e le anime degli empi sonotrascinate con forza «dagli angeli loro assegnati per la punizione».273

Questi angeli trascinano gli empi «nel quartiere dell’inferno stesso»,così che possano vedere e sentire il calore delle fiamme.274 Ma nonvengono gettati nell’inferno medesimo fino a dopo il giudizio finale.«Un caos profondo e largo è posto fra di loro, a tal guisa che un uomogiusto, che avesse pietà di loro, non potrebbe varcarlo. Nemmeno uningiusto, se fosse sfacciato abbastanza da tentarvi».275

Le impressionanti similitudini fra la descrizione dell’ades diGiuseppe Flavio e la parabola del ricco Epulone e Lazzaro sono evi-denti: nei due racconti abbiamo due regioni che separano i giusti dagliempi, il seno d’Abramo è la dimora dei giusti, c’è un grande abisso chenon può essere attraversato e gli abitanti di una regione possono vede-re quelli dell’altra.

La descrizione di Giuseppe Flavio dell’ades non è unica. Si trova-no descrizioni simili in altri scritti giudaici.276 Questo significa cheGesù cita una tradizione popolare del suo tempo circa la condizione deimorti nell’ades e questo non per approvare queste vedute, ma per sot-tolineare l’importanza di dare ascolto oggi agli insegnamenti di Mosè edei profeti perché questo fatto può determinare la beatitudine o lamiseria nel mondo futuro.

L’uso delle convinzioni comuni da parte di GesùA questo punto, potrebbe essere giusto chiedersi: «Perché Gesù ha rac-contato una parabola basata su convinzioni che, anche se diffuse, nonrappresentavano la verità come viene espressa nella Scrittura?». Larisposta potrebbe essere che Gesù desiderava comunicare con la genteponendosi al loro stesso livello; egli parte da ciò che è per loro familia-re per insegnar loro delle verità esistenziali.

Molti suoi ascoltatori avevano accolto la dottrina di un’esistenza

272 Ibidem.273 Ibidem.274 Ibidem.275 Ibidem.276 Per un breve sunto della letteratura intertestamentaria sulla condizione deidefunti nell’ades cfr. K. HANHART, Op. cit., pp. 18-31.

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consapevole fra la morte e la risurrezione, benché tale credenza fosseestranea alla Scrittura. Questa convinzione, pur se erronea, era stataadottata durante il periodo intertestamentario nel processo di elleniz-zazione del giudaismo e al tempo di Gesù era già stabilmente accolta.

In questa parabola Gesù ha utilizzato un racconto popolare, noncerto per dargli la sua approvazione quanto piuttosto per imprimerenelle menti dei suoi ascoltatori un’importante lezione spirituale. Meritaqui sottolineare che anche nella parabola precedente del fattore infe-dele (Lc 16:1,12), Gesù si serve di un racconto che non rappresenta l’e-tica biblica. Da nessuna parte la Bibbia approva l’operato di un ammi-nistratore disonesto che dimezzi i debiti arretrati dei creditori per otte-nere un beneficio personale. La lezione della parabola può essere uninvito a farsi degli amici per se stessi (Lc 16:9) e non certamente aimbrogliare negli affari.

John W. Cooper riconosce che la parabola dell’uomo ricco e diLazzaro «non dice necessariamente ciò che Gesù o Luca credevanocirca la vita ultraterrena, né fornisce una base per la dottrina sullo statointermedio. Gesù ha usato un’immagine comune semplicemente percomunicare meglio il suo insegnamento etico. Non vuol dire che eglicondividesse questo racconto né che credesse nel suo contenuto».277

Cooper pone la domanda: «Che cosa dice questo episodio circa lostato intermedio?». Risponde nettamente e onestamente in questomodo: «La risposta è niente. La causa dualista non può appoggiarsi aquesto brano per sostenere la sua tesi».278

La ragione che adduce è questa: non si possono trarre conclusionidogmatiche da una parabola. Per esempio, Cooper si chiede: «Saremoesseri corporei (nello stato intermedio)? Saranno i beati e i condanna-ti capaci di vedersi?».279

Gesù e il ladrone sulla croceLa breve conversazione fra Gesù e il ladrone pentito sulla croce accan-to a lui (Lc 23:42,43), è usata dai dualisti come prova maggiore dell’e-sistenza consapevole dei morti fedeli in paradiso prima della risurre-zione. Quindi, è importante esaminare attentamente le parole di Gesù.A differenza dell’altro criminale e della maggior parte della folla, il

277 J.W. COOPER, Op. cit., p. 139.278 Ibidem.279 Ibidem.

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ladrone pentito credeva che Gesù fosse il Messia e gli chiese: «Gesù,ricordati di me quando verrai nel tuo regno» (Lc 23:42). Gesù gli rispo-se: «In verità ti dico oggi tu sarai con me in paradiso» (Lc 23:43).

Una questione fortemente dibattuta relativamente all’interpreta-zione di questo testo è data dalla posizione della virgola che nella mag-gior parte delle traduzioni è posta prima di «oggi». Così la maggiorparte dei lettori e dei commentatori ritengono che Gesù abbia detto:«Oggi sarai con me in paradiso». Questa lettura può significare che «inquel giorno»280 il ladrone sarebbe asceso al paradiso con Cristo.

Il testo originale greco, comunque, non ha nessuna punteggiaturae, tradotto letteralmente, dice: «In verità a te dico oggi con me sarai inparadiso». L’avverbio «oggi» (semeron) si trova fra il verbo «dico» (lego)e «sarai» (ese). Questo significa che grammaticalmente l’avverbio«oggi» può applicarsi a ciascuno dei due verbi. Se è riferito al primoverbo, allora è come se Gesù avesse detto: «In verità ti dico oggi, tusarai con me in paradiso».

I traduttori hanno posto la virgola prima dell’avverbio «oggi», nonper ragioni grammaticali, ma perché spinti dalla convinzione teologicache i morti ricevano alla morte la loro ricompensa. Sarebbe davveroopportuno che i traduttori si limitassero a tradurre il testo e lasciasse-ro al lettore il compito di interpretare.

Qual è la domanda che il testo ci pone? Gesù voleva dire: «In veri-tà, io ti dico oggi…» oppure «Oggi tu sarai con me in paradiso»? Coloroche sostengono che Gesù volesse dire: «Oggi tu sarai con me in para-diso» si appellano al fatto che l’avverbio «oggi» non appaia altrove conla frase frequentemente usata: «In verità ti dico».

Questa è un’osservazione valida, ma la ragione per quest’insolitaunione dell’avverbio «oggi» alla frase: «In verità io ti dico» potrebbeessere giustamente data dal contesto immediato. Il ladrone ha chiestoa Gesù di ricordarsi di lui in futuro quando avrebbe stabilito il suoregno messianico. Gesù risponde ricordando immediatamente al con-dannato pentito «oggi» rassicurandolo che sarebbe stato con lui inparadiso.

Quest’interpretazione poggia su tre considerazioni importanti: ilsignificato di paradiso nel Nuovo Testamento, il tempo in cui i salvatierederanno la loro ricompensa in paradiso e il tempo del ritorno diGesù in paradiso.

280 N. GELDENHUYS, Commentary on the Gospel of Luke, Grand Rapids, 1983, p. 611.

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Che cos’è il paradiso? La parola «paradiso» (paradeisos) appare solo due volte nel NuovoTestamento oltre a quest’uso in Luca 23:43. In 2 Corinzi 12:2,4 Paoloracconta un’esperienza estatica essendo «rapito in paradiso», che situa«nel terzo cielo» (2 Cor 12:2). È evidente che per Paolo il paradiso è nelcielo. In Apocalisse 2:7, il Signore fa questa promessa: «A chi vince iodarò da mangiare dall’albero della vita, che è in mezzo al paradiso diDio». Qui il paradiso è associato all’albero della vita che si trova anchenella nuova Gerusalemme: «… d’ambo i lati del fiume stava l’alberodella vita che dà dodici raccolti e porta il suo frutto ogni mese» (Ap22:2). Tutto questo suggerisce che il paradiso è l’abitazione eterna deiredenti nel «giardino dell’Eden» restaurato.

Perciò, quando Gesù rassicura il ladrone pentito di riservargli unposto con lui nel «paradiso», fa riferimento alle «molte dimore» nella«casa del Padre» suo, e allo stesso tempo al suo ritorno in gloria quan-do «tornerà per ricevere i suoi» (Gv 14:1,3). Durante tutto il suo mini-stero Gesù ha insegnato che i redenti sarebbero entrati nel regno disuo Padre alla sua venuta: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete ineredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione delmondo» (cfr. Mt 25:34; 16:27). Paolo ha insegnato la stessa verità. Allaseconda venuta di Gesù, i santi addormentati saranno risuscitati e isanti viventi trasformati, e tutti «verremo rapiti insieme…sulle nuvoleper incontrare il Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore»(1 Ts 4:17). È in quel momento, dopo la risurrezione dei giusti, che illadrone sarà con Gesù in paradiso.

Gesù quando è tornato in paradiso? Quelli che interpretano l’affermazione di Gesù come se in quel giornoil ladrone sarebbe asceso in paradiso per essere con Cristo, affermanoche entrambi, Gesù e il ladrone, sono saliti in cielo subito dopo la loromorte. Questa conclusione però non è sostenibile con la Scrittura.

La Bibbia insegna esplicitamente che nel giorno della sua crocifis-sione, Cristo è sceso nella tomba (ades). Alla Pentecoste, Pietro procla-mò che secondo la profezia di Davide (Sal 16:10), Cristo «non sarebbestato lasciato nell’ades, e che la sua carne non avrebbe veduto la cor-ruzione», ma sarebbe stato risuscitato da Dio (At 2:31,32).

L’ades, come già visto, è insistentemente associato nel NuovoTestamento con la tomba o il regno dei morti. L’unica eccezione è Luca16:23 dove l’ades indica un luogo di tormento e non il paradiso. Questo

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significato ha origine nella concezione popolare giudaica influenzata asua volta dalla mitologia greca e non dalla Scrittura. Questo significache Cristo difficilmente avrebbe potuto dire al ladrone che in quel gior-no stesso sarebbe stato con lui in paradiso, quando sapeva che in quelgiorno si sarebbe riposato nella tomba.

Coloro che affermano che solo il corpo di Cristo sia sceso nellatomba mentre la sua anima è ascesa al cielo, ignorano ciò che Gesù hadetto a Maria nel giorno della sua risurrezione: «Non toccarmi, perchénon sono ancora salito al Padre mio» (Gv 20:17). È evidente che Gesùnon era in cielo durante i tre giorni della sua sepoltura. Egli stava ripo-sando nella tomba, aspettando che il Padre lo chiamasse di nuovo allavita. Per questo, dunque, il ladrone difficilmente poteva essere andatocon Gesù in paradiso subito dopo la sua morte. Gesù stesso non eraasceso al Padre se non qualche tempo dopo la sua risurrezione. Permeglio comprendere il significato di «essere con Cristo in paradiso»conviene considerare l’uso che fa Paolo della frase «essere con Cristo».

«Partire ed essere con Cristo»Scrivendo ai Filippesi, Paolo dice: «Il mio desiderio è di partire e diessere con Cristo, il che è di gran lunga migliore. Ma il rimanere nellacarne è più necessario per voi» (1:23, 24). I dualisti considerano questotesto una delle prove più convincenti che alla morte l’anima dei salva-ti vada immediatamente alla presenza di Cristo. Per esempio, Robert A.Morey afferma: «Questo è il passo più chiaro del Nuovo Testamento cheparli della sorte del credente, il quale, dopo la morte, va nel cielo conCristo. Questo testo parla del desiderio di Paolo di partire da questa vitaterrena per una vita celeste con Cristo. Non c’è nessuna menzione oaccenno della risurrezione in questo passo».281

L’espressione di Paolo: «Ho il desiderio di partire e di essere conCristo, perché è molto meglio» non si pone su un piano antropologicoma su quello relazionale. Si tratta del riconoscimento di una relazioneesistente tra Cristo e il credente che la morte non può eliminare e nonriguarda invece lo stato dell’anima o del corpo dopo la morte.

Helmut Thielicke indica correttamente che il Nuovo Testamentonon è tanto interessato allo stato intermedio, quanto piuttosto alla rela-zione che esiste fra il credente e Cristo nonostante la morte. L’unionecon Cristo non è interrotta dalla morte perché il credente che dorme in

281 R.A. MOREY, Op. cit., pp. 211,212.

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lui non ha nessuna consapevolezza del tempo che passa. Come diceThielicke: «La rimozione del senso del tempo significa, per coloro chesi svegliano dalla lunga notte della morte, che essa è un semplice puntomatematico perché chiamati a una vita completa».282

I tentativi di cogliere in questa frase di Paolo un sostegno per lasopravvivenza dell’anima o la sua ascensione subito dopo la morte, nonsono fondati perché, come osserva giustamente Ray S. Anderson,«Paolo non pensava che la questione della condizione della persona frala morte e la risurrezione fosse una questione da considerare».283

La ragione per Paolo è che quanti «muoiono in Cristo» stanno «dor-mendo in Cristo» (cfr. 1 Cor 15:18; 1 Ts 4:14). La loro condizione conCristo è di immediatezza, perché non hanno nessuna consapevolezzadel passare del tempo fra la morte e la risurrezione, sperimentandoquello che può esser chiamato «tempo eterno». Per quanti continuanoa vivere nel tempo limitato, legato alla terra, c’è un intervallo fra lamorte e la risurrezione. La difficoltà è posta dal fatto che non è possi-bile sincronizzare l’orologio del tempo eterno con quello temporale.Questo è il tentativo che ha condotto a controverse e sfortunate specu-lazioni sul cosiddetto stato intermedio.

Con il suo desiderio di «essere con Cristo», Paolo non stava in alcunmodo esprimendo la certezza dottrinale di quello che succede dopo lamorte, ma stava semplicemente esprimendo il proprio desiderio divedere la fine della sua tormentata esistenza ed essere con Cristo.Attraverso i secoli i cristiani hanno sinceramente espresso lo stessodesiderio, senza necessariamente attendersi di essere introdotti allapresenza di Cristo al momento della loro morte. L’affermazione diPaolo deve essere interpretata sulla base dei suoi chiari insegnamentiin merito al momento in cui i credenti saranno uniti con Cristo.

Con Cristo alla sua venutaPaolo affronta questo problema nella lettera ai Tessalonicesi in cuispiega che tutti i credenti, addormentati e viventi, saranno uniti conCristo, non alla morte, ma alla sua venuta. «Prima risusciteranno imorti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapitiinsieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così

282 H. THIELICKE, Living with Death, (trad. da Geoffrey W. Bromiley), Grand Rapids,1983, p. 177.283 R.S. ANDERSON, On Being Human, Grand Rapids, 1982, p. 117.

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saremo sempre con il Signore» (1 Ts 4:16,17). Il «così» (houtos) si rife-risce alla maniera o al modo in cui i credenti saranno con Cristo, cioènon per la morte, ma per la risurrezione o la trasformazione alla suavenuta. Basil F.C. Atkinson nota che la parola «così», in greco houtos«significa “in questo modo”». Posto all’inizio della frase ne enfatizza ilsenso: «Questa è la maniera con cui saremo sempre con il Signore;quindi non esiste altro modo per stare con il Signore fino al giornodella risurrezione».284

Va notato che nel descrivere l’unione che i credenti sperimente-ranno alla venuta di Cristo, Paolo non parli mai di spiriti senza corpoche si riuniscano con corpi risuscitati. Piuttosto, parla di «morti inCristo» che vengono risuscitati (1 Ts 4:16). Ovviamente, ciò che risu-scita alla venuta di Cristo non saranno solo corpi morti, ma personemorte. È l’intera persona che sarà risuscitata e riunita con Cristo.Vaaltresì notato che i santi viventi incontreranno Cristo nello stessomomento «assieme con» i santi risuscitati (1 Ts 4:17). I santi addor-mentati e viventi incontrano Cristo «assieme» alla sua venuta, non allamorte. L’assenza totale di qualsiasi accenno di Paolo a una pretesariunione del corpo con l’anima al momento della risurrezione stabili-sce, secondo me, la sfida più concreta alla nozione della sopravviven-za dell’anima. Se Paolo avesse saputo qualcosa al riguardo, sicura-mente ne avrebbe fatto cenno, specialmente nella sua discussione det-tagliata su quello che accadrà ai credenti morti o viventi alla venuta diCristo (cfr. 1 Ts 4:13,18; 1 Cor 15:42,58). Il fatto che Paolo non abbia maiaccennato alla sopravvivenza dell’anima e al ricongiungimento con ilcorpo alla risurrezione, mostra chiaramente che questa nozione gli eratotalmente sconosciuta.

G.C. Berkouwer osserva correttamente che: «I credenti del NuovoTestamento non sono orientati verso una loro “beatitudine privata”così che dimentichino il regno futuro, ma si aspettano veramente diessere “con Cristo”, poiché in lui hanno ottenuto un nuovo futuro».285

La speranza escatologica dell’essere con Cristo non è una speranzaindividualistica che si realizza alla morte con anime senza corpo, mauna speranza generale che si concretizza alla venuta di Cristo attra-verso la risurrezione e la trasformazione della persona intera e di tuttii credenti.

284 B.F.C. ATKINSON, Op. cit., p. 67.285 G.C. BERKOUWER, Man: The Image of God, Grand Rapids, 1962, p. 265.

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Il desiderio di Paolo di «“partire ed essere con Cristo” non riflettela voglia di un intimo entre nous (fra di noi) nel cielo, perché la frase ètotalmente legata alla redenzione cosmica della fine dei tempi».286

La dimensione cosmica generale dell’esperienza «con Cristo» èevidente nella stessa epistola ai Filippesi, dove Paolo parla ripetuta-mente del compimento della speranza cristiana nel giorno della venu-ta di Cristo. Egli rassicura i filippesi e dice: «Colui che ha cominciato invoi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di CristoGesù» (Fil 1:6). Il completamento e il compimento della redenzione,dunque, avviene non andando a stare con Cristo dopo la morte, maincontrandolo nel giorno glorioso della sua venuta.

La preghiera di Paolo per i filippesi è che essi «siano limpidi e irre-prensibili per il giorno di Cristo» (v. 10). In quel giorno, Cristo: «tra-sformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme alcorpo della sua gloria, mediante il potere che egli ha di sottomettere asé ogni cosa» (3:21).

È questo cambiamento dalla mortalità all’immortalità che rendepossibile ai credenti di essere con Cristo. Nella stessa epistola, Paoloafferma che «non ritiene di aver già afferrato» il premio, ma corre versoquel giorno perché è certo che riceverà «il premio della celeste voca-zione di Dio in Cristo Gesù» (3:13,14), non alla morte, ma nel giornoglorioso della venuta di Cristo.

«A casa con il Signore»In 2 Corinzi 5:1-10, Paolo esprime di nuovo la speranza di essere conCristo usando diverse metafore. Questo passo è considerato giusta-mente il crux interpretum, fondamentalmente perché il linguaggiometaforico è nascosto e aperto a diverse interpretazioni. Sfortunata-mente, molti interpreti sono desiderosi di ricavare da questo passo,come da Filippesi 1:22,23, precise definizioni antropologiche, cronolo-giche o cosmologiche in merito alla vita dopo la morte.

Queste preoccupazioni, tuttavia, sono lontane dal pensiero paoli-no, il quale usa il linguaggio della fede per esprimere le sue speranzee le sue paure in merito alla vita presente e a quella futura e non già illinguaggio logico della scienza per spiegare la vita ultraterrena. Tuttoquesto dovrebbe mettere in guardia il lettore in modo da evitare di fardire a Paolo cose che non ha mai inteso esprimere.

286 K. HANHART, Op. cit., p. 184.

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Il passo inizia con la preposizione gar «infatti» e mostra che Paolocollega il suo discorso con il paragrafo precedente nel quale mette incontrasto la natura effimera e mortale della vita presente che si «va dis-facendo» (2 Cor 4:16), con la natura eterna e gloriosa della vita futurache produce uno «smisurato peso eterno di gloria» (v. 17). Paolo prose-gue il suo ragionamento nel capitolo 5 e sviluppa il contrasto tra le cosepasseggere e quelle durature ed eterne, usando l’immagine delle duedimore, simboli di queste caratteristiche.

«Sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora ter-rena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta damano d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò in questa tenda gemiamo, desi-derando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione cele-ste, se pure saremo trovati vestiti e non nudi. Poiché noi che siamo inquesta tenda, gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di esse-re spogliati, ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assor-bito dalla vita. Or colui che ci ha formati per questo è Dio, il quale ci hadato la caparra dello Spirito» (2 Cor 5:1-5).

Nella prima parte del testo, Paolo usa due serie di metafore con-trastanti. Nella prima, contrappone «la tenda terrena», soggetta alladistruzione, all’«edificio di Dio, un’abitazione non fatta da mano d’uo-mo», che è «eterna nei cieli». Poi, Paolo sottolinea questo contrasto, dif-ferenziando lo stato d’esser trovati vestiti con la dimora celeste e quel-lo d’esser trovati nudi.

Nella seconda parte, i versetti da 6 al 10, è più schietto e mette incontrasto l’essere nel corpo e perciò lontani dal Signore, con l’esserlontani dal corpo e a casa con il Signore. L’affermazione chiave apparenel versetto 8 dove Paolo dice: «Siamo pieni di fiducia e preferiamo par-tire dal corpo e abitare con il Signore».

L’enorme varietà di interpretazioni intorno a questo brano posso-no essere divise in tre maggiori raggruppamenti, ciascuno dei qualipoggia direttamente su precise presupposizioni. La storia dell’inter-pretazione di 2 Corinzi 5:1,10 mostra chiaramente quanto l’esegesi el’interpretazione siano influenzate da supposizioni preconcette. È utile,anche se in maniera succinta, presentare le tre scuole di pensiero perl’interpretazione di questo brano:

a. Lo stato intermedio;b. La risurrezione del corpo dopo la morte;c. La risurrezione del corpo alla venuta di Cristo.

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a. Lo stato intermedioLa maggior parte degli studiosi del passato e del presente ritengonoche in questo brano Paolo descriva l’esistenza del credente in cielo conCristo durante lo stato intermedio tra la morte e la risurrezione.287 Inaltre parole, questo pensiero potrebbe essere così riassunto: la tenda eil vestito presente sono l’esistenza terrena; l’essere spogliati significamorire, con il risultato d’esser in uno stato di nudità che significhereb-be l’esistenza dell’anima senza il corpo durante lo stato intermedio.L’edificio che abbiamo nel cielo rappresenta, per alcuni, il corpo chesarà riunito all’anima alla risurrezione, mentre per altri, è l’anima stes-sa che dimora nel cielo.

Robert Morey è di questo parere: «Dove nella Scrittura viene dettoche il nostro corpo risorto è già creato e ci sta aspettando nel cielo?L’unica risposta logica è che Paolo parla della dimora dell’anima nelcielo».288 Sulla base di questi versetti, Morey afferma che «la dimora(dell’anima) quando la persona è in vita è la terra, mentre il luogo delladimora dopo la morte è il cielo».289 Esistono tre grandi problemi nel-l’interpretazione dello stato intermedio a proposito di questo passo.

Primo, s’ignora che il contrasto tra l’edificio celeste e la tenda ter-rena è relativo allo spazio e non al tempo. Paolo mette in contrapposi-zione l’esistenza celeste con quella terrena. L’apostolo non vuole affat-to sapere qual è lo stato dell’anima tra la morte e la risurrezione. Ora,se l’apostolo si fosse aspettato d’essere con Cristo dopo la morte con lasua anima liberata dalla «prigione» del corpo, perché non l’ha detto piùchiaramente? Avrebbe potuto dire: «Sappiamo che se la tenda terrenadove abitiamo è distrutta… noi saremo con le nostre anime alla pre-senza di Dio nel cielo». Paolo, in tutti i suoi scritti, non allude mai allasopravvivenza e all’esistenza dell’anima alla presenza di Cristo.Perché? Semplicemente perché questa nozione è assente dai suoi pen-sieri ed estranea alla Scrittura.

Secondo, se lo stato di nudità fosse l’esistenza dell’anima alla pre-senza di Cristo durante lo stato intermedio, perché Paolo è così esitan-te davanti al pensiero di esser «trovato nudo»? (2 Cor 5:3). Dopo tutto,

287 Cfr, per esempio, G.C. BERKOUWER, The Return of Christ, Grand Rapids, 1972, pp.55-59; G. CALVINO, Second Epistle of Paul, the Apostle to the Corinthians, ad. loc.; R.V.G.TASKER, La seconda epistola di Paolo ai Corinzi, (Trad. M. Fanelli), GBU, Roma, 1978(cfr. Il commento al capitolo 5 vv. 1-10).288 R.A. MOREY, op.cit., p. 210.289 Ibidem.

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questo avrebbe adempiuto il suo desiderio sincero di essere «a casacon il Signore» (2 Cor 5:8)! Il fatto è che la nozione di nudità, comestato dell’anima priva di corpo, si trova negli scritti di Platone e diFilone,290 ma non in quelli di Paolo.

Terzo, se l’edificio celeste fosse "la dimora dell’anima nel cielo",allora i credenti dovrebbero avere due anime, una sulla terra e l’altra nelcielo perché Paolo dice che "abbiamo un edificio da Dio". Il tempo pre-sente indica un possesso presente. Come può l’anima del credente esse-re nel cielo con Cristo e sulla terra con il corpo allo stesso momento?

b. Il corpo risorto dopo la morteUn certo numero di studiosi ritiene che l’«edificio celeste» sia il corporisorto, che i credenti ricevono immediatamente dopo la morte.291

Paolo insegna che la vita umana è rappresentata dalla «tenda terrena»(2 Cor 5:1, 4), che viene immediatamente seguita dall’acquisizione delcorpo risorto, rappresentato dall’«edificio» che abbiamo da Dio, «unacasa eterna nei cieli» (2 Cor 5:1). In questo modo si ritiene che Paolorifiuti totalmente la condizione intermedia dell’«essere nudo» o «spo-gliato» (2 Cor 5:3,4). Questa opinione poggia sulla premessa chedurante l’intervallo fra la prima e la seconda lettera ai Corinzi, Paoloabbia avuto una sorta di incontro ravvicinato con la morte e che ciòl’abbia portato a rinunciare alla sua precedente speranza di risurre-zione alla parusia, per giungere a credere, invece, che i credenti rice-veranno i loro corpi risorti al momento della morte.292

Questa seconda interpretazione pone un problema fondamentale:si presume che Paolo negli anni successivi abbia abbandonato la spe-ranza nella risurrezione alla parusia in favore di una risurrezioneimmediata dopo la morte. Se questo fosse vero, i cristiani dovrebberosciogliere il complesso dilemma di dover scegliere a quale Paolo cre-dere: al primo Paolo o a quello successivo?

Fortunatamente un tale dilemma non ha ragione di esistere per-ché Paolo non ha mai modificato il proprio punto di vista intorno alla

290 Cfr. C.H. DODD, The Bible and the Greeks, New York, 1954, pp. 191-195; FILONE

Alessandrino, Le allegorie delle leggi, 2, 57,59 in La creazione del mondo e le allegoriedelle leggi, (a cura di G. Reale), Rusconi, Milano, 1978, pp. 229,230.291 Per una lista esauriente di tutti gli studiosi che sostengono questa posizione cfr.M.J. HARRIS, Raised Immortal: Resurrection and Immortality in the New Testament,London, 1986, p. 255 n. 2.292 Cfr. F.F. BRUCE, Paul: Apostle of the Heart Set Free, Grand Rapids, 1977, p. 310.

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speranza della risurrezione. Questo è indicato dal contesto immedia-to del passo in esame, che menziona specificatamente la risurrezioneal ritorno di Cristo: «Sapendo che colui che risuscitò il Signore Gesù,risusciterà anche noi con Gesù, e ci farà comparire con voi alla suapresenza» (2 Cor 4:14). Paolo difficilmente poteva affermare più chia-ramente che Cristo ci risusciterà e ci porterà alla sua presenza almomento della sua venuta e non alla morte.

Se Paolo avesse modificato le proprie opinioni circa la risurrezio-ne in un momento successivo alla stesura di 1 Corinzi 15, ci chiedia-mo perché abbia detto «sappiamo» (2 Cor 5:1), in quel «sappiamo» ècompreso un insegnamento noto a tutti. Inoltre, persino nelle sue ulti-me lettere, Paolo collega esplicitamente la risurrezione al ritorno glo-rioso di Cristo (cfr. Rm 8:22,25; Fil 3:20,21). Ci sembra molto difficile,se non impossibile, credere che Paolo possa aver alterato per ben duevolte la propria escatologia.

c. Il corpo risorto alla parousiaNegli anni recenti, un buon numero di studiosi ha difeso l’interpreta-zione secondo la quale l’edificio celeste sia il «corpo spirituale» dato aicredenti al momento della venuta di Cristo.293 Ci sono, in effetti, ele-menti in questo passo che appoggiano questo modo di comprendere.è l’affermazione che quando si è rivestiti il mortale sarà assorbitodalla vita (2 Cor 5:4).

Queste affermazioni sono singolarmente simili all’immagine chesi trova in 1 Corinzi 15:53, dove Paolo parla del cambiamento che icredenti sperimenteranno alla venuta di Cristo: «Infatti bisogna chequesto corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivestaimmortalità». Quanti sostengono quest’opinione protestano controun’escatologia del cielo che si concentri sulla beatitudine individualeottenuta immediatamente dopo la morte. La loro argomentazionepoggia su questo: «Se Paolo si aspettava di ricevere un corpo spiritua-le subito (alla morte) allora una risurrezione nell’ultimo giorno nonsarebbe più necessaria».294

293 Cfr. J. DENNEY, Second Epistle to the Corinthians, New York, 1903, ad loc.; F. V.FILSON, The Second Epistle to the Corinthians, in The Interpreter’s Bible, New York,1952, vol. 10, ad loc.; P.E. HUGHES, Paul’s Second Epistle to the Corinthians, GrandRapids, 1976, ad loc.; B.F.C. ATKINSON, Op. cit., pp. 64-65; The Seventh-day AdventistCommentary, Washington, DC, 1957, vol. 6, pp. 861-863.294 K. HANHART, Op.cit., p. 156.

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In modo più diretto possiamo dire che coloro che propongono que-sta opinione interpretano le metafore di Paolo in questo modo: mentrel’uomo vive sulla terra è rivestito con la «tenda terrena» del corpo mor-tale; alla morte viene «spogliato» e i corpi sono «distrutti» nella tomba.Alla venuta di Cristo, ci «vestiremo con la dimora celeste» scambiandoil nostro corpo mortale con un corpo glorioso immortale.

Quest’interpretazione è in armonia con il messaggio biblico, eppu-re anch’essa presenta un punto debole. I commentatori si concentranoprincipalmente sul corpo, sia che si intenda il «corpo spirituale» datoindividualmente ai credenti alla morte o a tutti i credenti insieme allavenuta di Cristo. Paolo, invece, non cerca di definire lo stato del corpoprima della morte, dopo la morte o alla venuta di Cristo, ma di infor-mare intorno a due modi diversi di esistere.

Vita terrena e vita celesteDopo aver letto e riletto questo brano innumerevoli volte, mi sembrache l’interesse principale di Paolo non consista nel definire lo stato delcorpo prima o dopo la morte, ma piuttosto nel contrastare due diversimodi di vivere. Uno è quello celeste: «abbiamo da Dio un edificio, unacasa non fatta da mano d’uomo, eterna, nei cieli» (2 Cor 5:1). L’altro, èil modo terreno rappresentato dalla «tenda terrena» che viene «distrut-ta» alla morte.

Il significato delle immagini del «vestirsi» o «esser rivestiti» con «lanostra dimora celeste» può aver a che fare più con l’accettazione delprovvedimento della salvezza di Cristo, piuttosto che con «il corpo spi-rituale» dato ai credenti alla parousia. È possibile giungere a questaconclusione se si accetta simbolicamente che la «dimora celeste» siriferisca a Dio e l’«essere rivestiti» si riferisca all’accettazione di Cristoda parte del credente.

L’assicurazione di Paolo che «abbiamo da Dio un edificio » (2 Cor5:1) ricorda altri testi, come: «Dio è per noi un rifugio e una forza» (Sal46:1), oppure «Signore, tu sei stato per noi un rifugio» (Sal 90:1).

Cristo ha proposto se stesso come tempio in maniera singolar-mente simile all’immagine di Paolo della dimora celeste «non fatta damano d’uomo». Gesù ha detto: «Io distruggerò questo tempio fatto damani d’uomo e in tre giorni ne ricostruirò un altro, non fatto da manid’uomo» (Mc 14:58). Se Paolo avesse pensato in questo modo, allora ladimora celeste è Cristo stesso che offre il dono della vita eterna a tuttii credenti.

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Come può un credente rivestirsi con «la dimora celeste»? L’usopaolino della metafora del «vestire» può fornire una risposta. «Voi tuttiche siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3:27).In questo testo, il vestirsi è associato con l’accettazione di Cristo al bat-tesimo. Paolo dice anche: «Bisogna che questo corruttibile rivestaincorruttibilità e questo mortale rivesta immortalità» (1 Cor 15:53). Quiil vestirsi si riferisce al ricevimento dell’immortalità alla venuta diCristo. Questi due riferimenti suggeriscono che il «vestirsi» possa indi-care la nuova vita in Cristo, accettata al battesimo, rinnovata ogni gior-no e compiuta alla parusia. Quanto, poi, all’abbigliamento ultimo,verrà posto mediante il cambiamento dalla mortalità all’immortalità.

Alla luce di questa interpretazione, «essere trovati nudi» o «spo-gliati» (2 Cor 5:3,4), può contrastare con l’essere vestiti con Cristo e conil suo Spirito. Molto probabilmente l’essere «nudi» per Paolo non rap-presenta tanto l’anima spogliata dal corpo, quanto la colpa e il peccatoche conduce alla morte. Quando Adamo ha peccato, ha scoperto d’es-ser «nudo» (Gn 3:10). Ezechiele allegoricamente descrive il modo incui Dio ha vestito Israele con vesti ricamate, ma poi ha esposto la suanudità a motivo della sua disubbidienza (Ez 16:8,14). Si potrebbe anco-ra pensare all’uomo senza «l’abito» alla festa delle nozze (Mt 22:11). Èpossibile allora pensare che essere «nudi», per Paolo, significhi esser inuna condizione mortale, peccaminosa e priva della giustizia di Cristo.

Paolo chiarisce quanto vuole dire con l’essere «spogliati» o «nudi»in contrasto con l’essere vestiti, quando dice: «Affinché ciò che è mor-tale sia assorbito dalla vita» (2 Cor 5:4). Quest’affermazione, interpre-tata alla luce di 1 Corinzi 15:53 permette di comprendere come i nostricorpi mortali saranno trasformati in corpi spirituali. Nella prima lette-ra ai Corinzi, Paolo è interessato principalmente al corpo in quantotale? Una cauta lettura di 1 Corinzi 15, suggerisce che l’apostolo affron-ti solo incidentalmente la questione del corpo, per poter risponderealla domanda: «Come risuscitano i morti? E con quale corpo ritorna-no?» (1 Cor 15:35). Dopo aver mostrato la continuità fra il corpo pre-sente e quello futuro, Paolo passa alla questione più grande della tra-sformazione che l’intera natura umana sperimenterà alla venuta diCristo: «Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità eche questo mortale rivesta immortalità» (1 Cor 15:53).

Lo stesso discorso si può applicare al brano della seconda letteraai Corinzi al capitolo 5. Paolo non è interessato allo stato del corpo odell’anima in quanto tali, prima o dopo la morte. Egli non parla mai,

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per esempio, dell’anima o del «corpo spirituale» in 2 Corinzi 5, perchéil suo interesse è di mostrare il contrasto tra il modo terreno dell’esi-stenza rappresentato dalla «dimora terrena» e il modo celeste rappre-sentato dalla «dimora celeste». Il primo è mortale e l’ultimo immortale(«assorbito dalla vita;» 2 Cor 5:4). Il primo è vissuto «dimorando nelcorpo» e «lontani dal Signore» (2 Cor 5:6). L’ultimo è sperimentato «lon-tani dal corpo» e «abitando con il Signore» (2 Cor 5:8).

Non riconoscere che Paolo stia parlando di due modi diversi del-l’esistenza e non dello stato del corpo o dell’anima dopo la morte, hacondotto a speculazioni erronee e inutili circa la vita ultraterrena. Unvalido esempio è l’affermazione di Robert Petersen: «Paolo confermal’insegnamento di Gesù quando contrappone “abitare nel corpo” edessere “assenti dal Signore” con “partire dal corpo e abitare con ilSignore” (2 Cor 5:6,8). Egli presuppone che la natura umana sia com-posta da elementi materiali e spirituali».295

Quest’interpretazione è del tutto gratuita, perché né Gesù né Paolosono interessati a definire ontologicamente la natura umana, e cioè,relativamente ai suoi diversi componenti materiali o immateriali.Invece, il loro interesse è definire la natura umana su base etica e sullarelazione in termini di disubbidienza e ubbidienza, di peccato e giusti-zia, di mortalità e immortalità.

In 2 Corinzi 5:1-10, Paolo parla di un modo di vivere terreno para-gonato a quello celeste, in cui l’uomo cerca una relazione con Dio enon si preoccupa di sapere quali sono gli elementi che compongono lasua natura umana prima e dopo la morte. Passiamo adesso all’ultimobrano problematico del Nuovo Testamento: le anime sotto l’altare.

Le anime sotto l’altare«Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime diquelli che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianzache gli avevano resa. Essi gridarono a gran voce: “Fino a quando aspet-terai, o Signore santo e veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostrosangue su quelli che abitano sopra la terra?” E a ciascuno di essi fu datauna veste bianca e fu loro detto che si riposassero ancora un po’ ditempo, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio edei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro» (Ap 6:9-11).

Questo testo è spesso citato per sostenere che le «anime» dei santi

295 R.A. PETERSON, Op.cit., p. 185.

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Lo stato dei morti nel Nuovo Testamento

vivono nel cielo, dopo la morte, come spiriti coscienti. Per esempio,Robert Morey con convinzione afferma: «Le anime sono gli spiriti di-sincarnati dei martiri che gridano a Dio per ottenere la vendetta suiloro nemici… Questo passo ha da sempre creato grande difficoltà acoloro che negano che i credenti ascendano al cielo dopo la morte. Nellinguaggio di Giovanni, è chiaro che queste anime sono consapevoli eattive nel cielo».296

Quest’interpretazione, però, ignora che i ritratti apocalittici nonsono stati intesi come fotografie di realtà concrete, ma rappresentazio-ni simboliche di realtà spirituali quasi inimmaginabili. A Giovanni nonè stata data una visione di come in effetti realmente sia il cielo. È evi-dente che non possano esservi nel cielo cavalli bianchi, rossi, neri o pal-lidi con cavalieri marziali. Non è pensabile che Cristo possa apparire incielo nella forma di un agnello con una ferita sanguinante (Ap 5:6).

Allo stesso modo, nel cielo non esistono «anime» di martiri pigiatealla base dell’altare. L’intera scena è semplicemente una rappresenta-zione simbolica volta a rassicurare coloro che affrontano il martirio ela morte perché alla fine sarà fatta loro giustizia. Una tale rassicura-zione è particolarmente incoraggiante per coloro che, come Giovanni,dovevano affrontare terribili persecuzioni visto che si rifiutavano dipartecipare al culto imperiale.

L’uso della parola «anima» (psychas), in questo passo, è unica peril Nuovo Testamento e non viene mai usata in riferimento agli esseriumani nello stato intermedio. La ragione di questo uso è suggeritadalla morte innaturale dei martiri il cui sangue è stato versato per lacausa di Cristo. Nel sistema espiatorio dell’Antico Testamento, il san-gue dei sacrifici veniva versato alla base dell’altare degli olocausti (Lev4:7,18,25,30). Il sangue conteneva l’anima (17:11) della vittima inno-cente che veniva offerta da parte dei peccatori penitenti come sacrifi-cio espiatorio a Dio.

Il linguaggio della morte espiatoria è usato altrove nel NuovoTestamento per designare il martirio. Nel suo testamento spirituale esentendo prossima la morte, Paolo scrive: «Quanto a me, io sto per esse-re offerto in libazione, e il tempo della mia partenza è giunto» (2 Tm 4:6).Ai filippesi scrive: «Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificioe sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi»(Fil 2:17). Così i martiri cristiani sono considerati sacrifici offerti a Dio.

296 R.A. MOREY, Op. cit., p. 214.

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Capitolo 13

Il loro sangue, versato sulla terra, viene simbolicamente sparso sull’al-tare celeste. Per questo le anime sono viste sotto l’altare perché è lì chesimbolicamente scorre il sangue dei martiri.

Nessuna rappresentazione dello stato intermedioLa rappresentazione simbolica dei martiri come sacrifici offerti sull’al-tare del cielo può difficilmente essere utilizzata per discutere della loroesistenza cosciente e disincarnata nel cielo. George Eldon Ladd, unostudioso evangelico di rispetto, giustamente afferma: «Il fatto cheGiovanni abbia visto le anime dei martiri sotto l’altare non ha nulla ache vedere con lo stato dei morti o la loro situazione nello stato inter-medio; si tratta semplicemente di un modo brillante per raffigurare ilfatto che sono stati martirizzati nel nome di Dio».297

Alcuni studiosi pensano che la «veste bianca» data ai martiri sia ilcorpo intermedio dato loro alla morte.298 In Apocalisse, la «veste bian-ca» rappresenta non il corpo intermedio, ma la purezza e la vittoria deisalvati mediante il sacrificio di Cristo. I santi vengono dalla grande tri-bolazione e «hanno lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel san-gue dell’Agnello» (Ap 7:14). «Alla chiesa di Laodicea viene consigliatodi comprare oro, vesti bianche, e collirio (Ap 3:18), un suggerimentodavvero strano se le vesti bianche fossero i corpi glorificati».299

Le vesti bianche che rivestono le «anime», molto probabilmente,rappresentano il riconoscimento di Dio della purezza e della vittoriache i santi hanno ottenuto mediante «il sangue dell’Agnello» nono-stan-te la loro morte ignominiosa.

Le anime dei martiri sono viste come se si riposassero sotto l’alta-re, non perché siano in uno stato di beatitudine senza corpo, ma per-ché aspettano il compimento della redenzione e della loro risurrezionealla venuta di Cristo «finché fosse completo il numero dei loro compa-gni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro»(Ap 6:11). Giovanni descrive questo evento più tardi, dicendo: «Vidi leanime di quelli che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù

297 G.E. LADD, A Commentary on the Revelation of John, Grand Rapids, 1979, p. 103.298 Per esempio, Anthony A. Hoekema scrive: «Le vesti bianche ai martiri suggerisco-no l’idea che questi stanno godendo di un tipo di benedizione provvisoria che si proiet-ta nel futuro fino alla risurrezione finale» (op. cit., p. 235). Cfr anche M.J. HARRIS, Op.cit., p. 138; G.B.A. CAIRD, A Commentary on the Revelation of St. John the Divine, NewYork, 1966, p. 86; R.H. PRESTON e A.T. HANSON, The Revelation of Saint John the Divine,London, 1949, p. 81.299 R.H. MOUNCE, The Book of Revelation, Grand Rapids, 1977, p. 160.

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Lo stato dei morti nel Nuovo Testamento

e per la parola di Dio, e di quelli che non avevano adorato la bestia néla sua immagine e non avevano ricevuto il suo marchio sulla loro fron-te e sulla loro mano. Essi tornarono in vita e regnarono con Cristo permille anni… Questa è la prima risurrezione» (Ap 20:4).

Questa descrizione dei martiri «decapitati per la testimonianza diGesù e per la parola di Dio» è molto simile a quella di Apocalisse 6:9.L’unica differenza è che nel sesto capitolo ai martiri deceduti vieneordinato di riposare, mentre nel ventesimo capitolo sono risuscitati. Èevidente che, se i martiri sono risuscitati all’inizio del millennio, allavenuta di Cristo, difficilmente possono abitare in cielo e in uno statodisincarnato mentre riposano nella tomba.

Per riassumere, la funzione della visione dei martiri sotto l’altareceleste non è quella di informare sullo stato intermedio dei morti, madi rassicurare i credenti che Dio, alla fine, renderà giustizia ai martiriche al tempo di Giovanni e nei secoli successivi, avrebbero dato la lorovita per la causa di Cristo.

ConclusioneIl presente studio sullo stato dei morti durante il periodo intermedio frala morte e la risurrezione ha mostrato come sia l’Antico sia il NuovoTestamento unanimemente insegnino che la morte rappresenta la ces-sazione dell’intera persona. Lo stato dei morti è, quindi, uno stato diinconsapevolezza, di inattività e di sonno che continuerà fino al giornodella risurrezione. L’analisi dell’uso della parola sheol nell’AnticoTestamento e ades nel Nuovo hanno mostrato che entrambi i terminiindicano la tomba o il regno dei morti e non il luogo di punizione pergli empi. Non c’è nessuna beatitudine o punizione subito dopo lamorte, ma un riposo nella completa incoscienza fino al giorno dellarisurrezione.

La nozione di ades come luogo di tormento per gli empi derivadalla mitologia greca non dalla Scrittura. Nella mitologia l’ades era ilmondo sotterraneo dove le anime coscienti dei morti venivano riparti-te in due luoghi principali: i dannati nel luogo di tormento e i buoni inquello della beatitudine. Questa concezione greca ha influenzato alcu-ni intellettuali ebrei durante il periodo intertestamentario i quali adot-tarono l’idea che subito dopo la morte le anime dei giusti sarebberoascese alla felicità celeste, mentre le anime dei reprobi sarebberoscese nel luogo di tormento, cioè l’ades. Questo scenario popolare èrintracciabile nella parabola del ricco e Lazzaro.

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Capitolo 13

È spiacevole rilevare che la storia del cristianesimo sia stata più omeno influenzata dalla visione dualistica greca sulla natura umana,secondo la quale il corpo è mortale e l’anima immortale.300

L’accettazione dell’eresia sulla morte ha condizionato l’interpreta-zione della Scrittura e ha generato un nutrito numero di altri erroricome il purgatorio, il tormento eterno nell’inferno, la preghiera per imorti, l’intercessione dei santi, le indulgenze e il concetto etereo diparadiso. È incoraggiante vedere come molti studiosi appartenenti aogni denominazione religiosa critichino sempre di più la posizionedualistica tradizionale e gli errori a essa collegata. C’è da sperare chequesti sforzi contribuiscano a recuperare l’opinione biblica unitariaintorno alla natura umana e al suo destino, così da dissipare le tenebrespirituali che per molti secoli hanno avvolto il mondo con credenzesuperstiziose.

300 Nel Nuovo Testamento non c’è una precisa descrizione dell’aldilà. Il cattolico HansBIETENHARD ammette che nel tardo giudaismo o nel cristianesimo medievale vi sia statala tendenza a voler dire una parola complementare. «Forse è stato proprio il silenziodel Nuovo Testamento sui particolari dell’aldilà e sulla situazione intermedia fino allaparusia che ha provocato la curiosità pseudodevozionale e ha fatto sì che non ci siaccontentasse di porre la propria speranza in Cristo, ma ha condotto a pensare didover completare le affermazioni della Scrittura con fantasie umane: il che, in defini-tiva, sta a dimostrare una mancanza di fede. A questo movimento ha contribuito ancheil fatto che al posto della fede neotestamentaria nella risurrezione dei morti (1 Cor 15)sia subentrata in un certo senso la dottrina greca dell’immortalità dell’anima, cherimane tuttora l’opinione prevalente anche fra i cristiani, senza che si rendano contoveramente della profonda originalità della speranza cristiana». Dizionario dei concettibiblici del Nuovo Testamento, Dehoniane, Bologna, 1976, p. 855 (ndr).

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V PARTE

L’INFERNO: TORMENTO ETERNO

O

IL NULLA?

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Introduzione V parte

Esiste l’inferno?

Attraverso i secoli, pochi insegnamenti hanno turbato la coscienzaumana quanto quello dell’inferno che secondo la tradizione sarebbe illuogo dove i perduti, in uno stato cosciente con corpo e anima, soffro-no un’eterna punizione. La prospettiva che un giorno molte personeverranno date al tormento eterno dell’inferno disturba e affligge molticredenti. Dopo tutto, quasi tutti hanno amici o membri di famiglia chesono morti senza aver preso una decisione per Cristo. Il pensiero disapere che soffriranno per tutta l’eternità può facilmente indurre adire: «No, grazie! Il paradiso non m’interessa!».

Non sorprende il fatto che il concetto dell’inferno come luogo ditormento sia una pietra d’inciampo per i credenti e un’efficace armausata dagli scettici per denigrare la credibilità del messaggio cristiano.Per esempio, Bertrand Russell (1872-1970), filosofo britannico e rifor-matore sociale, ha criticato Cristo per aver insegnato, secondo lui, ladottrina del fuoco dell’inferno generando così molteplici crudeltà eincalcolabili danni nella storia cristiana.

Russell scrive: «C’è un grave difetto nella morale di Cristo: Eglipredicava l’inferno. A mio giudizio, chiunque abbia in sé un poco diumanità non può credere nel castigo eterno. Egli, invece, credeva nelfuoco infernale e, stando ai vangeli, scagliava le sue invettive controcoloro che non lo ascoltavano. Atteggiamento, questo, comune a moltipredicatori, ma non certo saggio e lodevole… Frasi di questo generehanno recato paura e terrore all’umanità, e non mi sento di riconosce-re un’eccezionale bontà in chi le pronunciò… Questa del fuoco infer-nale, come punizione al peccato, è una dottrina che ha attizzato la cru-deltà. E se il Cristo dei vangeli fu veramente come ci è descritto daisuoi biografi, ne è parte responsabile».301

301 B. RUSSELL, Perché non sono cristiano, Longanesi, Milano, 1960, pp. 23-25.

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Introduzione V parte

L’accusa di Russel che Cristo sia in «parte responsabile» per la dot-trina della punizione eterna che «ha attizzato la crudeltà», non puòesser liquidata con sufficienza, come frutto di una mente agnostica. SeCristo avesse veramente insegnato che i salvati godrebbero dell’eternabeatitudine mentre i non salvati soffrirebbero l’eterno tormento nelfuoco infernale, allora vi sarebbe motivo di dubitare dell’integritàmorale del suo carattere. È difficile immaginare che il Dio che è statorivelato in Gesù Cristo come il misericordioso «Abba, Padre», possavendicarsi dei suoi figli disubbidienti torturandoli per tutta l’eternità!

Oggi, raramente si odono sermoni circa il fuoco infernale persinodai pulpiti di predicatori fondamentalisti, che ancora difendono questadottrina. Il fondamentalista John Walvoord suggerisce che la riluttan-za nel predicare sul fuoco infernale sia dovuta principalmente al timo-re di proclamare una dottrina impopolare.302

Clark Pinnock osserva: «La loro reticenza (di predicare sull’infer-no) non è tanto dovuta alla mancanza di integrità nel proclamare laverità, quanto piuttosto al non avere il coraggio di predicare una dot-trina che si riduce a sadismo innalzato a nuovi livelli di raffinatezza.Qualcosa dentro di loro dice, forse a livello istintivo, che Dio, Padre dinostro Signore Gesù Cristo, non sia il tipo di divinità che torturi lagente (persino i peggiori peccatori) in questo modo. Credo che il silen-zio dei predicatori fondamentalisti sia la prova del loro desiderio dirivedere la dottrina sulla natura dell’inferno».303

Questo stesso auspicio incoraggia i teologi contemporanei a rive-dere la loro posizione tradizionale sull’inferno e a proporre interpreta-zioni alternative basandosi su nuove ricerche bibliche.

302 J.F WALVOORD, «The Literal View», in Four Views on Hell, W. Crockett ed., GrandRapids, 1992, p. 12. 303 C.H. PINNOCK, «Response to John F. Walvoord» in Four Views on Hell, W. Crocketted., Grand Rapids, 1992, p. 39.

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Capitolo 14

Le pene eternenell’Antico Testamento

Con poche eccezioni, l’opinione tradizionale dell’inferno ha dominatoil pensiero cristiano dal tempo di Agostino fino al diciannovesimo seco-lo. In parole semplici la cristianità ha insegnato: che subito dopo lamorte le anime senza corpo dei peccatori impenitenti scendono all’in-ferno dove soffrono la punizione di un fuoco eterno. Alla risurrezione,il corpo è riunito all’anima, così da intensificare il dolore dell’infernoper i perduti e il piacere del cielo per i salvati. Prima di esaminare itesti dell’Antico Testamento che parlano delle pene eterne, diamo unorapido sguardo alle immagini tradizionali sull’inferno.

Immagini dell’inferno secondo la tradizioneNon soddisfatti delle immagini del fuoco e del fumo del NuovoTestamento, alcune delle menti medievali più creative hanno ritrattol’inferno come una stanza bizzarra dell’orrore dove la punizione èbasata sul principio del contrappasso.304 Questo significa che qualun-que membro del corpo abbia peccato, all’inferno verrebbe punito piùdi qualsiasi altro membro.

«Nella letteratura cristiana», scrive William Crockett, «troviamo ibestemmiatori sospesi alle loro lingue. Donne adultere che intreccia-vano i capelli per adescare le loro vittime, ciondolano su fango bollen-te dal collo o dai capelli. I maldicenti masticano le loro lingue, ferriroventi bruciano i loro occhi. Altri malfattori soffrono in modi ugual-mente pittoreschi. Gli assassini sono gettati nelle fosse piene di rettili

304 Per una breve ma interessante presentazione della visione metaforica dell’inferno,si consiglia W.V. CROCKETT, «The Metaphorical View», in Four Views of Hell, ed.WilliamCrockett, Grand Rapids, 1992, pp. 43-81. Il principio del contrappasso è la rigorosa cor-rispondenza della pena alla colpa: contra-passum (passum da pati cioè «soffrire»).

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Capitolo 14

velenosi e i vermi riempiono i loro corpi. Le donne che hanno aborti-to, stanno sedute fino al collo negli escrementi dei dannati. Coloro checonversavano oziosamente durante il sermone stanno in uno stagnoardente di zolfo e di pece. Gli idolatri sono spinti dai demoni sulle sco-gliere dove precipitano sulle rocce sottostanti, solo per essere spinti sudi nuovo. Quelli che hanno girato le spalle a Dio, sono girati e cucina-ti lentamente sulle fornaci infernali».305

Queste prime, raffinate, immagini dell’inferno, sono state immor-talate da Dante Alighieri, poeta italiano del quattordicesimo secolo,nella Divina Commedia. Dante descrive l’inferno come un luogo di ter-rore assoluto, dove i condannati si contorcono e gridano, mentre i santisi beano nella gloria del paradiso. Nell’inferno di Dante, alcuni pecca-tori gemono fortemente nel sangue bollente, mentre altri soffrono nelfumo ardente che carbonizza le loro narici e altri ancora scappano nudiinseguiti da serpenti mordenti.

Più tardi, l’approccio più cauto di Lutero e Calvino non ha impedi-to, a eminenti predicatori e teologi, di ritrarre l’inferno come un maredi fuoco, nel quale gli empi bruciano per tutta l’eternità.

Il famoso teologo americano del diciottesimo secolo JonathanEdwards, raffigurava l’inferno come una fornace ardente di magmaliquido che riempie il corpo e l’anima degli empi: «Il corpo sarà pienodi tormento per quanto può contenere e ogni parte di esso sarà pienodi tormento. Saranno nel dolore estremo, ogni loro giuntura, ogninervo sarà pieno di tormento inesprimibile. Saranno tormentati finoalla punta delle dita. Tutto il corpo sarà pieno dell’ira di Dio. I lorocuori, le budella e le teste, gli occhi e la lingua, le mani e i piedi, saran-no riempiti dalla furia dell’ira di Dio. Questo è insegnato nelleScritture…».306

Una simile descrizione sulla sorte degli empi è difesa anche dalpredicatore britannico del diciannovesimo secolo Charles Spurgeon. «Illoro corpo giacerà nel fuoco, esattamente come quello che abbiamosulla terra, ma di amianto che non si consuma mai e tutte le loro venesaranno strade percorse dal dolore, ogni nervo sarà una corda tesa sullaquale il diavolo suonerà per sempre la sua melodia diabolica del lamen-to inesprimibile dell’inferno».307

305 W.V. CROCKETT, Op. cit., pp. 46-47. 306 J. EDWARDS, in J.G.J. EDWARDSON Heaven and Hell, Grand Rapids, 1980, p. 56. 307 Citato da F.C. KUEHNER, «Heaven or Hell?» in Fundamentals of the Faith, ed. Carl F.H. Henry, Grand Rapids, 1975, p. 239.

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Le pene eterne nell’Antico Testamento

È difficile comprendere come il diavolo possa tormentare i malfat-tori nel luogo della sua stessa punizione.

Oggi, coloro che credono letteralmente in un eterno fuoco, sonopiù prudenti nel descrivere la sofferenza degli empi. Per esempio,Robert A. Petersen conclude il suo libro Hell on Trial: The Case forEternal Punishment, dicendo: «Il giudice e governatore dell’inferno èDio stesso. Egli è presente nell’inferno, non nella benedizione, ma nel-l’ira. L’inferno implica punizione eterna, perdita assoluta, lontananzada Dio, sofferenza terribile, ineffabile tristezza e dolore. La durata del-l’inferno è senza fine. Benché ci siano gradi di punizione, l’inferno èterribile per tutti i condannati. I suoi abitanti sono il diavolo, gli angelimalvagi e gli esseri umani perduti».308

Nel sostenere la sua causa per l’inferno come luogo di punizioneeterna, Petersen chiama idealmente a deporre i seguenti testimoni:l’Antico Testamento, Cristo, gli apostoli e la storia della chiesa (la chie-sa primitiva, la Riforma e il periodo moderno) e dedica a ognuno di lorodei capitoli. Un simile espediente è usato da altri studiosi che sosten-gono il punto di vista tradizionale sul fuoco dell’inferno.309

Tentare di fornire una risposta completa a tutti questi cosiddettitestimoni della punizione eterna porterebbe oltre lo scopo di questostudio. I lettori interessati potranno trovare risposte dettagliate nellibro The Fire that Consumes (1982) di Edward William Fudge. Questosaggio, con la prefazione di F.F. Bruce, è tenuto in grande stima damolti studiosi per il modo equilibrato e giusto in cui esamina i datibiblici e storici. La risposta che qui viene data si limita a poche osser-vazioni di fondo, alcune delle quali verranno ampliate nella secondaparte di questo capitolo.

La testimonianza dell’Antico TestamentoPer la punizione eterna l’Antico Testamento si basa sull’uso di sheol esui due brani più importanti: Isaia 66:22,24 e Daniele 12:1,2.

a. Lo sheolJohn F. Walvoord dice: «Lo sheol era un luogo di punizione e di retri-buzione. In Isaia 14:9,10 i babilonesi uccisi nel giudizio divino sono raf-

308 R.A. PETERSEN, Hell on Trial! The Case for Eternal Punishment, Phillipsburg, NewJersey, 1995, pp. 200-201. 309 Cfr. J.F. WALVOORD, Op. cit., pp. II-31; R.A. MOREY, Death and the Afterlife, Minneapolis,1984, pp. 100-172; E.B. PUSEY, What Is the Faith as to Eternal Punishment?, Oxford, 1880.

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Capitolo 14

figurati come salutati nello sheol da quelli che sono morti prima».310

Sullo sheol, il nostro studio della parola, nel capitolo 13, mostra chenessuno dei testi incoraggi l’uso dello sheol come luogo di punizioneper gli empi. Il termine descrive il regno dei morti dove esiste inco-scienza, inattività e sonno. Anche il canto di rimprovero di Isaia control’arrogante re di Babilonia è una parabola dove i caratteri, gli alberipersonificati e i sovrani decaduti sono fittizi. Servono non già per rive-lare la punizione degli empi nello sheol, ma a predire, con un linguag-gio grafico e pittoresco, il giudizio di Dio sull’oppressore d’Israele e ilsuo infamante destino finale in una tomba polverosa dove è corroso daivermi. Interpretare questa parabola come una descrizione letteraledell’inferno, significa ignorare la natura altamente figurata, metaforicadel brano, la cui intenzione invece è di descrivere la condanna deltiranno che ha esaltato se stesso.

b. La sorte degli empiLa descrizione della sorte degli empi che si trova in Isaia 66:24 è con-siderata da alcuni tradizionalisti come la testimonianza più chiarariguardo alla punizione eterna nell’Antico Testamento. La struttura deltesto mette in contrapposizione il giudizio di Dio sugli empi e le suebenedizioni sui giusti. Questi ultimi godranno prosperità e pace e ado-reranno Dio regolarmente di sabato in sabato (Is 66:12-14,23). Ma gliempi saranno puniti nel «fuoco» (Is 66:15) e incontreranno la loro «fineinsieme» (Is 66:17). La struttura di questo versetto cruciale (v. 24) dice:«Quando essi usciranno vedranno i cadaveri degli uomini che si sonoribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà e il loro fuoconon si estinguerà, e saranno in orrore a ogni carne».

R.N. Whybray vede in questo testo «una prima descrizione dellapunizione eterna: benché morti, i ribelli vivranno per sempre». Inmodo simile, Robert A. Petersen interpreta la frase «il loro verme nonmorirà, il loro fuoco non si estinguerà» con: «la punizione e la vergo-gna degli empi non ha fine; la loro sorte è eterna. Non c’è da stupirsiche saranno disgustosi a tutta l’umanità».311

La descrizione di Isaia sulla sorte degli empi probabilmente eraispirata dall’uccisione dei centottantacinquemila uomini dell’esercitodegli assiri durante il regno di Ezechia. È detto che «quando la gente si

310 R.N. WHYBRAY, Isaiah 40-66, New Century Bible Commentary, Grand Rapids, 1975, p. 293. 311 R.A. PETERSON, Op. cit., p. 32. See also H. BUIS, The Doctrine of Eternal Punishment,Philadelphia, 1957, p. 13.

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Le pene eterne nell’Antico Testamento

alzò al mattino, ecco, erano tutti cadaveri» (Is 37:36). Quest’evento sto-rico potrebbe esser servito a prefigurare la sorte degli empi. Va notatoche i giusti guardano ai «corpi morti» (ebraico: pegerim), non a perso-ne viventi. Quello che vedono è distruzione e non tormento eterno.

I «vermi» sono menzionati in collegamento con i corpi morti, per-ché accelerano la decomposizione e rappresentano l’ignominia deicadaveri privi di sepoltura (Ger 25:33; Is 14:11; Gb 7:5; 17:14; At 12:23).La figura del fuoco che non si estingue è spesso usata nella Scritturaper significare un fuoco che consuma (Ez 20:47,48) e riduce a niente(Am 5:5,6; Mt 3:12). Edward W. Fudge giustamente spiega: «Entrambi,i vermi e il fuoco, parlano di una distruzione totale e finale. Ambeduei termini rendono questa, una scena “disgustosa”».312

Per capire il significato della frase «il fuoco non si estinguerà» èimportante ricordare che mantenere un fuoco vivo per bruciare cada-veri, richiedeva in Palestina uno sforzo considerevole. I cadaveri nonbruciano facilmente e la legna da fuoco che serviva per consumarli erascarsa. Nei miei viaggi nel Medio Oriente e in Africa, ho visto spessodelle carcasse parzialmente bruciate perché il fuoco si era spentoprima di aver consumato i resti di una bestia.

L’immagine di un fuoco inestinguibile è presentato semplicemen-te per esprimere il pensiero di una consumazione completa. Non haniente a che vedere con la punizione eterna delle anime immortali. Ilpasso parla chiaramente di «corpi morti» consumati e non di animeimmortali eternamente tormentate. È spiacevole che i tradizionalistiinterpretino questo testo, e affermazioni simili di Gesù, alla luce delproprio concetto di punizione finale, piuttosto che sulla base di quelloche possa realmente significare.

c. «Eterna infamia»Il secondo testo importante dell’Antico Testamento utilizzato dai tradi-zionalisti per sostenere la punizione eterna è Daniele 12:2: «Molti diquelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno; gli uniper la vita eterna, gli altri per la vergogna e per una eterna infamia».Peterson conclude la sua analisi del testo dicendo: «Daniele insegnache mentre i devoti saranno risuscitati a una vita senza fine, gli empisaranno risuscitati a una disgrazia senza fine (Dn 12:2)».313

312 E.W. FUDGE, The Fire That Consumes. A Biblical and Historical Study of the finalPunishment, Houston, 1982, p. 112.

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Capitolo 14

Il termine ebraico deraon tradotto «infamia» appare anche in Isaia66:24 dove è tradotto «disgustoso» e descrive i cadaveri insepolti. Nelsuo commentario sul libro di Daniele, André Lacocque nota che ilsignificato di deraon «in Daniele 12:2b e in Isaia 66:24 indica l’univer-so che sta per annientarsi».314 Questo significa che «l’infamia» è causa-ta dal disgusto della decomposizione dei loro corpi, e non dalla soffe-renza senza fine inflitta agli empi. Così si esprime Emmanuel Petavel:«Il sentimento dei sopravvissuti è disgusto, non pietà».315

Per riassumere la testimonianza dell’Antico Testamento intornoalla punizione eterna degli empi, va detto che essa è trascurabile senon inesistente. Al contrario, l’evidenza per la distruzione totale degliempi nel giorno escatologico del Signore, è chiara e risonante. Gli empi«periranno» come pula (Sal 1:4,6), saranno frantumati a pezzi comeargilla (Sal 2: 9,12), saranno uccisi dal soffio di Dio (Is 11:4), comemoscerini (Is 51:6).

ConclusioneForse la descrizione più chiara della distruzione totale degli empi sitrova nell’ultima pagina dell’Antico Testamento nella Bibbia (italiana,non ebraica): «Poiché, ecco, il giorno viene, ardente come una fornace;allora tutti i superbi e tutti i malfattori saranno come stoppia. Il giornoche viene li incendierà, dice il SIGNORE degli eserciti, e non lascerà loroné radice né ramo» (Mal 4:1).

Qui, l’immagine del fuoco che consuma tutto, che non lascia «néradice né ramo», suggerisce assoluta consumazione e distruzione, nonun tormento perpetuo. La stessa verità è espressa dall’ultimo profetadell’Antico Testamento, Giovanni il battista, che gridava nel desertochiamando la gente a ravvedimento in vista dell’approssimarsi delfuoco del giudizio di Dio (Mt 3:7,12).

314 A. LACOCQUE, Daniel et son temps, Labor et Fides, Genève, 1983, p. 214. 315 E. PETAVEL, The Problem of Immortality, London, 1892, p. 323.

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Capitolo 15

L’inferno negli scrittiintertestamentari

La letteratura prodotta durante i quattrocento anni tra Malachia eMatteo è lontana dall’essere unanime sulla sorte degli empi. Alcunitesti descrivono i tormenti senza fine delle anime dei perduti, altririflettono l’insegnamento dell’Antico Testamento secondo il quale ildestino degli empi si conclude con la non esistenza. Le spiegazioni perqueste vedute contrastanti sono probabilmente da ricercarsi nellapressione culturale ellenistica che i giudei sperimentarono in queltempo, visto che erano largamente dispersi attraverso tutto il MedioOriente antico.

L’enorme produzione letteraria definita oggi Letteratura intertesta-mentaria, che è una definizione puramente convenzionale, è ricca diinformazioni utilissime per capire il contesto in cui si è sviluppata lachiesa e gli scritti neotestamentari. Il mondo protestante non accetta ilibri scritti dopo Malachia e li considera «apocrifi» o «extra-canonici»,mentre la chiesa cattolica con una decisione conciliare li ha accolti nelcanone biblico e li definisce «deuterocanonici», libri considerati cano-nici in un secondo momento.

Sfortunatamente, coloro che difendono le posizioni tradizionalicirca la sorte degli empi generalmente accettano come un patrimoniogiudaico uniforme quella della punizione finale e del tormento eterno.Anche se Gesù e gli apostoli non hanno sostenuto questa posizione, sidà per scontato che l’approvassero. Questa supposizione è basata piùsu elementi immaginari che su fatti.

Tormento eternoIl secondo libro di Esdra si chiede se l’anima dei perduti sarà torturatasubito alla morte o dopo il rinnovamento della creazione (2 Esd 7:15).

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Capitolo 15

Dio risponde: «Come lo spirito lascia il corpo… se è uno di quelli chehanno mostrato sdegno e non hanno mantenuto la via dell’Altissimo…un tale spirito… girerà nel tormento, sempre affliggendosi e triste…considereranno il tormento preparato per se stessi negli ultimi giorni»(2 Esdra 7:78,82).316

Lo stesso concetto è espresso in Giuditta (150-125 a.C.).Concludendo il suo cantico di vittoria, l’eroina dà questo avvertimento:«Guai alle genti che insorgono contro il mio popolo; il Signore onnipo-tente li punirà nel giorno del giudizio, immettendo fuoco e vermi nelleloro carni; e piangeranno nel tormento per sempre» (Giuditta 16:17).

Il riferimento al fuoco e ai vermi probabilmente viene da Isaia66:24, ma, mentre Isaia vede i corpi morti consumati dal fuoco e daivermi, Giuditta parla invece del «fuoco e dei vermi» che causano inter-minabili agonie interiori, dentro la carne. Qui siamo di fronte a unavivida descrizione dell’inferno secondo la tradizione.

Una descrizione simile per la sorte degli empi si trova in 4 Mac-cabei, scritto da un giudeo con inclinazioni stoiche. L’autore descrive igiusti che alla morte ascendono alla beatitudine consapevole (cfr.10:15; 13:17; 17:18; 18:23) e gli empi che scendono nel tormento consa-pevole (cfr. 9:8, 32; 10:11,15; 12:19; 13:15; 18:5,22). Nel nono capitoloracconta la storia della madre fedele e dei suoi sette figli, tutti martiriz-zati sotto la tirannia di Antioco Epifanio (cfr. 2 Maccabei 7:1,42). I settefigli avvisano ripetutamente il loro malvagio torturatore dell’eterno tor-mento che lo aspetta: «Vendetta divina è riservata per te, tormenti efuoco eterno, che si attaccheranno a te per sempre» (4 Maccabei 12:12cfr. 9:9; 10:12,15). «Il pericolo dell’eterno tormento è preparato per colo-ro che trasgrediscono i comandamenti di Dio» (4 Maccabei 13:15).

Annientamento totaleIn altri libri extra-canonici, comunque, i peccatori sono consumaticome nell’Antico Testamento. Tobia (circa 200 a.C), per esempio,descrive il tempo della fine, dicendo: «Tutti gli Israeliti che sarannoscampati in quei giorni e si ricorderanno di Dio con sincerità, si radu-neranno e verranno a Gerusalemme e per sempre abiteranno tran-quilli il paese di Abramo… coloro che commettono il peccato e l’ingiu-stizia spariranno da tutta la terra» (Tobia 14:7,8). La stessa opinione è

316 Le citazioni dagli apocrifi sono tratte da R.H. CHARLES, The Apocrypha andPseudepigrapha of the Old Testament in English, Oxford, 1913, vol. 1.

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espressa in Siracide, chiamato anche Ecclesiastico (circa 195-171 a.C.)che parla «dell’ira del fuoco» dove gli empi saranno «divorati» e«andranno in perdizione» (Siracide 36:8).

Gli Oracoli Sibillini, opera composita, il cui contenuto principale èattribuito a un autore giudaico forse del secondo secolo a.C., descrivein che modo Dio compirà la distruzione totale degli empi: «Ed egli bru-cerà tutta la terra e consumerà tutta la razza umana… e ci sarà polve-re ferruginosa» (Oracoli Sibillini 4:76). I Salmi di Salomone, molto pro-babilmente composto da giudei assidici verso la metà del primo secoloa.C., anticipa il tempo in cui gli empi svaniranno dalla terra, per nonessere mai più ricordati: «La distruzione del peccatore è per sempre,non sarà ricordato, quando il giusto è visitato. Questa è la punizione deipeccatori per sempre» (Salmi di Salomone 3:11,12).

Giuseppe Flavio e i rotoli del mar MortoI tradizionalisti citano spesso la descrizione che Giuseppe Flavio fadella dottrina degli esseni circa l’immortalità dell’anima e la punizioneeterna degli empi, per sostenere che la loro opinione fosse ampiamen-te accettata ai tempi del Nuovo Testamento. Prima di fare alcun com-mento, merita considerare attentamente il testo. Giuseppe Flavio rac-conta che gli esseni avevano adottato dai greci non solo la nozione che«le anime immortali vivono in eterno», ma anche quella della retribu-zione, «alle anime buone è riservato di vivere al di là dell’oceano», inuna regione dove il tempo è perfetto, mentre «alle anime cattive èriservato un antro buio e tempestoso, pieno di supplizi senza fine».317

Giuseppe spiega che questa certezza deriva dalle fiabe (greche) ed ècostruita sulla supposizione che le anime siano immortali e che «gliuomini cattivi… soffrono una punizione eterna dopo la morte».318 Eglichiama queste dottrine «un’attrazione irresistibile per tutti quelli cheuna volta abbiano assaporato la loro dottrina (greca)».319

È significativo che Giuseppe Flavio attribuisca l’immortalità dell’a-nima e la punizione senza fine, non già agli insegnamenti dell’AnticoTestamento, quanto alle «fiabe» greche che i giudei settari, come gliesseni, hanno trovato irresistibili. Il suo commento presuppone chenon tutti i giudei abbiano accettato queste opinioni. Infatti, le indica-

317 F. JOSEPHUS, La guerra giudaica, 2, 8,11, (a cura di G. Vitucci), Fondazione LorenzoValla, 1974, p. 317. 318 Ibidem.319 Ibidem.

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zioni sono che persino fra gli esseni vi fossero coloro che non le condi-videvano. Per esempio, i rotoli del mar Morto, comunemente associatialla comunità essena, parlano chiaramente dell’annichilimento totaledei peccatori. Il Documento di Damasco, un’importante rotolo del marMorto, descrive la fine dei peccatori paragonando la loro sorte a quel-la degli antidiluviani che perirono nel diluvio e a quella degli israelitiincreduli che morirono nel deserto. La punizione di Dio sui peccatorinon lascia «nessun restante rimasuglio di loro o nessun sopravvissuto»(Documento di Damasco 2,6,7). Saranno «come se non fossero mai esi-stiti» (Documento di Damasco 2,20). La stessa opinione è espressa daun altro rotolo, il Manuale di disciplina che parla dello «sterminio»degli uomini di Belial (Satana) attraverso il «fuoco eterno» (Manuale didisciplina 2:4-8).320

È notevole che il Manuale di Disciplina descriva la punizione diquanti seguono lo spirito di perversione invece dello spirito di verità, inun modo apparentemente contradittorio, cioè, come una punizionesenza fine che si conclude con la distruzione totale. Il testo afferma:«Per quanto riguarda la visitazione di tutti coloro che camminano inquesto (spirito di perversione), essa consiste di un’abbondanza di colpisomministrati da tutti gli angeli della distruzione nella fossa eterna dal-l’ira furiosa della vendetta di Dio, di terrore e vergogna senza fine edella disgrazia di distruzione di fuoco della regione delle tenebre. Etutto il loro tempo di età in età è di triste malumore e la sfortuna piùamara è una calamità tenebrosa finchè saranno distrutti senza che nes-suno scampi o sopravviva» (Manuale di disciplina 4:11,14).321

Il fatto che il «terrore e la vergogna senza fine» non siano eterni madurino solo finchè «saranno distrutti», mostra che ai tempi del NuovoTestamento, le persone utilizzavano termini come «interminabile»,«senza fine» o «eterno» con un significato diverso da quello che si dàoggi. Per noi, la punizione «interminabile» significa «senza fine», e nonfino a quando gli empi vengano distrutti. Il riconoscimento di questofatto è essenziale per interpretare più tardi le parole di Gesù circa ilfuoco eterno e risolvere l’apparente contraddizione che si trova nelNuovo Testamento fra la «punizione eterna» (Mt 25:46) e la «distruzio-ne eterna» (2 Ts 1:9). Per quanto riguarda la punizione degli empi,«interminabile» significa semplicemente «finchè siano distrutti».

320 L. MORALDI, I manoscritti di Qumram, UTET, Torino, 1971, 1QS 2,4-8, p. 137.321 Ibidem, Manuale di disciplina 4,11-14, p. 144.

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ConclusioneQuesti esempi, tratti dalle testimonianze dalla letteratura intertesta-mentaria, indicano che in quel periodo non c’era nessuna «opinionegiudaica» uniforme sulla sorte degli empi. Nonostante la maggior partedei documenti riflettano l’opinione dell’Antico Testamento della distru-zione totale dei peccatori, alcuni parlano chiaramente del tormentointerminabile degli empi. Questo significa che non si possano leggerele parole di Gesù o degli scrittori del Nuovo Testamento pensando cheriflettano una credenza uniforme all’eterno tormento mantenuto daigiudei di quel tempo.

Gli insegnamenti del Nuovo Testamento devono essere esaminatisulla base della loro testimonianza interna.

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1. La testimonianza di GesùGesù ha insegnato il tormento eterno? I tradizionalisti credono che Gesù fornisca loro il sostegno maggioreper la loro fede nell’eterna punizione degli empi. Kenneth Kantzer, unodei leader evangelici più rispettati del nostro tempo, dice: «Coloro chericonoscono Gesù Cristo come Signore, non possono prescindere dallinguaggio chiaro ed inequivocabile con il quale parla della terribileverità della punizione eterna».322

Il teologo australiano Leon Morris concorda con Kantzer e affermacon convinzione: «Perché si dovrebbe credere all’inferno in questi gior-ni di così gran sapere? Semplicemente perché Gesù lo ha insegnato.Gesù ha parlato più frequentemente dell’inferno che del cielo. Nonpossiamo fare a meno di questo fatto.

Possiamo capire che ci siano quelli a cui non piace l’idea dell’in-ferno, neanche a me piace. Ma se siamo seri nella nostra comprensio-ne di Gesù come il Figlio di Dio incarnato, dobbiamo mettere in contoche egli stesso ha dichiarato che alcune persone trascorreranno l’eter-nità all’inferno».323

322 K. KANTZER, «Troublesome Questions», Christianity Today, 20 marzo, 1987, p. 45Analogamente, W.T.G. SHEDD scrive: «Il sostegno più evidente alla dottrina dellapunizione eterna è dato dall’insegnamento del Cristo, il Redentore dell’uomo.Nonostante sia chiaramente insegnata nelle epistole paoline e in altre parti delleScritture, senza le esplicite e ripetute affermazioni del Dio incarnato, una dottrina cosìsolenne forse non avrebbe avuto un ruolo primario come quello che ha da sempre nelmondo… Cristo non avrebbe potuto mettere in guardia gli uomini così frequente-mente e in modo pressante come fece dicendo che “il fuoco non si estinguerà mai” senon avesse saputo che nessun pericolo futuro sarebbe mai stato paragonabile a quan-to avrebbero sofferto». (Dogmatic Theology, New York, 1888, pp. 665,666). 323 L. MORRIS, «The Dreadful Harvest», in Christianity Today, 27 maggio 1991, p. 34.

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Morris ritiene che Gesù abbia insegnato l’esistenza dell’inferno.Infatti, Gesù usa il termine geenna (tradotto «inferno» nelle versioniinglesi), sette volte sulle otto che compare nel Nuovo Testamento.L’unico altro riferimento si trova in Giacomo 3:6. Ma la questione nonverte sulla realtà dell’inferno come luogo di punizione finale dei pec-catori impenitenti (su questo punto, la maggior parte dei cristiani con-corda), quanto piuttosto sulla natura dell’inferno. Gesù ha veramenteinsegnato che l’inferno (geenna) sarà il luogo dove i peccatori patiran-no una pena eterna oppure ha insegnato che la loro distruzione saràper sempre? Per rispondere a questa domanda è necessario esaminareciò che Gesù ha realmente detto.

Che cos’è la geenna?Prima di considerare i riferimenti di Gesù sulla geenna, potrebbe esse-re utile considerare la radice della parola stessa. La parola greca geen-na è una trascrizione dell’ebraico «Valle dei (figli di) Innom»,324 situa-ta a sud di Gerusalemme. Nei tempi antichi, era collegata alla praticadi sacrificare i bambini al dio Moloc (2 Re 16:3; 21:6; 23:10). Così otten-ne il nome di «Tofet», un posto su cui sputare o luogo d’orrore. Questavalle chiaramente è diventata una gigantesca pira per bruciare i185.000 cadaveri dei soldati assiri che Dio colpì ai giorni di Ezechia(cfr. Is 30:31-33; 37:36).

Geremia, dal canto suo, profetizza che il luogo sarebbe stato chia-mato «valle del massacro» perché si sarebbe riempita dei cadaveridegli israeliti quando Dio li avrebbe giudicati per i loro peccati. «Perciò,ecco, i giorni vengono, dice il SIGNORE, che non si dirà più Tofet né lavalle del figlio di Innom, ma la valle del massacro; e, per mancanza dispazio, si seppelliranno i morti a Tofet. I cadaveri di questo popolo ser-viranno di pasto agli uccelli del cielo e alle bestie della terra; e non cisarà nessuno che li scacci» (Ger 7:32,33).

Giuseppe Flavio informa che nella stessa valle sono stati ammuc-chiati i cadaveri degli ebrei dopo l’assedio di Gerusalemme nel 70d.C.325 Abbiamo già visto che anche Isaia osserva la stessa scena dopoche il Signore avrà sterminato i peccatori alla fine del mondo (Is 66:24).Durante il periodo intertestamentario, la valle è diventata il luogo della

324 «Hell» in Protestant Dictionary, C. SYDNEY and G.E. ALISON Weeks ed., London,1933, p. 287. 325 F. JOSEPHUS, La guerra giudaica , vol. II, 6,8,5; 5,12,7.

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punizione finale ed è chiamata la «valle maledetta» (1 Enoc 27:2,3), la«stazione di vendetta» e il «futuro tormento» (2 Baruc 59:10,11), la «for-nace della geenna» e la «fossa del tormento» (4 Esdra 7:36).

Benché l’immagine della geenna sia comune nella letteratura giu-daica di quel periodo, la descrizione di ciò che accadde è contradditto-ria. Edward William Fudge conclude la sua indagine su questi docu-menti, dicendo: «Abbiamo visto che i pochi passi degli scritti pseudoe-pigrafici sono un’anticipazione del tormento eterno dei corpi e delleanime coscienti, mentre c’è un solo passo negli apocrifi. Molti altribrani della letteratura intertestamentaria descrivono gli empi consu-mati dal fuoco, ma il fuoco consumante, inestinguibile è quello descrit-to nell’Antico Testamento che distrugge totalmente e per sempre,lasciando come traccia soltanto il fumo. È giusto dire che, per coloroche in primo luogo hanno ascoltato il Signore, la geenna doveva espri-mere un senso di totale orrore e disgusto. Detto questo, comunque, sene deve parlare con estrema cautela».326

Gesù e il fuoco dell’infernoCon questa nota di avvertimento, si tratta di esaminare i sette riferi-menti alla geenna, fuoco infernale, che si trovano nei vangeli. Nel ser-mone sul monte, Gesù dice che chiunque dica al proprio fratello«“pazzo” sarà sottoposto alla geenna di fuoco» (Mt 5:22). Più avanti diceche è meglio cavare l’occhio o mozzare la mano «piuttosto che vadanella geenna tutto il tuo corpo» (Mt 5:29,30). Lo stesso pensiero èespresso più avanti: è meglio mozzare un piede o una mano o cavareun occhio che «essere gettato nel fuoco eterno… e essere gettato nellageenna del fuoco» (Mt 18:8,9). Qui il fuoco della geenna è descrittocome «eterno».

Le stesse parole si trovano in Marco, dove Gesù dice per tre volteche è meglio amputarsi un arto o cavarsi un occhio piuttosto che «esse-re gettato nella geenna dove il verme loro non muore e il fuoco non sispegne» (cfr. Mc 9:44-48). Altrove, Gesù rimprovera i farisei di attra-versare il mare e la terra per fare un proselito e poi renderlo «figliodella geenna» il doppio di loro (Mt 23:15). Infine Gesù avverte i farisei:«Come scamperete il giudizio della geenna?» (Mt 23:33).

Riesaminando gli accenni di Cristo alla geenna, si dovrà notare, inprimo luogo, che in nessuna parte è descritta come luogo di un eterno

326 E.W. FUDGE, Op. cit., p. 161.

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tormento. Ciò che è eterno e inestinguibile non è la punizione ma ilfuoco. Abbiamo già visto che nell’Antico Testamento il fuoco è eterno oinestinguibile fino a che non consuma totalmente i cadaveri. Questaconclusione è convalidata dall’indicazione di Cristo a non temere gliesseri umani che possono danneggiare il corpo, ma colui «che può farperire l’anima e il corpo nella geenna» (Mt 10:28). L’implicazione èchiara. L’inferno è il luogo della punizione finale, che convoglia nelladistruzione totale dell’intero essere, anima e corpo.

Robert A. Peterson ritiene che «Gesù non stia parlando dell’anni-chilimento letterale», perché nel passo parallelo di Luca 12:5 il verbo«distruggere» non è usato. Invece, dice: «Temete colui che, dopo averucciso, ha il potere di gettare nella geenna» (Lc 12:5). Peterson conclu-de: «La distruzione menzionata in Matteo 10:28, perciò, è equivalente aessere gettati nella geenna»,327 cioè, nel tormento eterno. Il problemafondamentale con questo ragionamento consiste nel fatto che egli pre-suma che «esser gettati nella geenna» significhi subire il tormento eter-no. In seconda istanza fa leva su questa sua supposizione soggettivaper negare l’evidente significato del verbo distruggere (apollumi).Peterson, qui ignora un principio basilare dell’interpretazione biblicache richiede che i testi non chiari vengano spiegati sulla base di quellichiari, e non il contrario. Il fatto che Gesù chiaramente parli di Dio cheè in grado di distruggere sia l’anima che il corpo nell’inferno, mostracome l’inferno sia il luogo dove i peccatori sono definitivamentedistrutti e non tormentati eternamente.

«Il fuoco eterno»I tradizionalisti sono pronti a contraddire questa conclusione perchéaltrove Cristo utilizza l’espressione «fuoco eterno» e «punizione eter-na». Per esempio, in Matteo 18:8,9 Gesù ripete quanto già detto prima(Mt 5:29,30), circa l’amputarsi di una parte del corpo per sfuggire al«fuoco eterno» della geenna. Un riferimento persino più chiaro al«fuoco eterno» si trova nella parabola delle pecore e dei capri doveCristo parla della separazione che avrà luogo alla sua venuta fra i sal-vati e i perduti. Egli accoglierà i fedeli nel suo regno, ma rigetterà gliempi, dicendo: «Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, prepa-rato per il diavolo e per i suoi angeli;… E questi se ne andranno a puni-zione eterna ma i giusti a vita eterna» (Mt 25:41,46).

327 R.A. PETERSON, Op. cit., p. 44.

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I tradizionalisti attribuiscono un’importanza fondamentale a que-st’ultimo passo perché unisce i due concetti di «fuoco eterno» e «puni-zione eterna». La combinazione dei due concetti significa, per i difen-sori dell’inferno, che la punizione è eterna in quanto il fuoco dell’in-ferno che la causa è anch’esso eterno. Peterson addirittura affermache: «Se Matteo 25:41 e 46 fossero i soli due versetti che descrivono lasorte degli empi, la Bibbia chiaramente insegnerebbe la condannaeterna, e saremmo obbligati a credere e a insegnare questa veritàbasandoci sull’autorità del Figlio di Dio».328

L’interpretazione di Peterson riguardo questi due testi difficili nontiene conto di quattro importanti considerazioni.

1. L’interesse di Cristo in questa parabola non è definire la naturae cosa sia la vita eterna o la morte eterna, ma semplicemente afferma-re che ci sono due destini. La natura di ciascun destino non è discussain questo passo.

2. Come giustamente indica John Stott: «Il fuoco stesso è definito“eterno” e “inestinguibile”, ma sarebbe davvero strano se ciò che vienein esso gettato risultasse indistruttibile. La nostra aspettativa sarebbel’opposto: sarebbe consumato per sempre, non tormentato per sempre.Perciò è il fumo (l’evidenza che il fuoco ha portato a termine il propriolavoro), che “salirà nei secoli dei secoli” (Ap 14:11; cfr. 19:3)».329

3. Il fuoco è «eterno» (aionios), non a motivo della sua durata infi-nita, ma a motivo della completa consumazione e annullamento degliempi. Questo è chiaramente indicato dal fatto che il lago di fuoco, nelquale gli empi sono gettati, è esplicitamente chiamato «la morte secon-da» (Ap 20:14; 21:8), perché essa causa l’estinzione finale, radicale eirrevocabile del male.

Distruzione eternaIl termine «eterno» il più delle volte si riferisce alla conseguenza dell’a-zione del fuoco e non a un processo continuo. Per esempio, Giuda 7 diceche Sodoma e Gomorra hanno subìto «la pena di un fuoco eterno (aio-nios)». È evidente che il fuoco che ha distrutto le due città è eterno, nona motivo della sua durata ma a motivo dei suoi risultati permanenti.

Esempi simili a questi si possono trovare nella letteratura interte-

328 R.A. PETERSON, Op.cit., p. 47. 329 J. STOTT and D.L. EDWARDS, Essentials: A Liberal-Evangelical Dialogue, London,1988, p. 316.

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stamentaria giudaica. In precedenza abbiamo notato che nel Manualedi Disciplina dei rotoli del mar Morto, Dio grida «sterminio» sugli empiattraverso un «fuoco eterno» (1QS 2:4-8). Gli «angeli della distruzione»causano «interminabile terrore e vergogna senza fine, e la disgraziadella distruzione dal fuoco della regione di tenebre… finchè sono tuttidistrutti e nessuno di loro sopravvive o sfugge» (1QS 4:11-14). Qui, ilfuoco obbrobrioso e consumatore è «inestinguibile… senza fine», eppu-re durerà solo «fino a quando saranno distrutti». Per le menti critichedel terzo millennio, una simile affermazione risulta contraddittoria, manon per la mentalità dei tempi biblici. Per interpretare un testo corret-tamente, è vitale stabilire come potesse essere compreso dai lettori deltempo a cui esso è stato scritto.

Gli esempi citati bastano per mostrare come il fuoco della puni-zione finale sia «eterno» non perché duri per sempre ma perché, comenel caso di Sodoma e Gomorra, esso causi distruzione completa e per-manente degli empi, una condizione che dura per sempre. Nel suocommentario The Gospel according to St. Matthew, R.V.G. Tasker espri-me la stessa opinione: «Non c’è nessuna indicazione quanto alla dura-ta della punizione. La metafora del “fuoco eterno” erroneamente inter-pretata come un fuoco che duri per sempre nel versetto 41, va ragio-nevolmente intesa come indicante la distruzione finale».330

4. Gesù presenta una scelta fra la distruzione e la vita quando dice:«Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via checonduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa.Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochisono coloro che la trovano» (Mt 7:13,14).

Qui Gesù contrappone la via confortevole che conduce alla distru-zione, con la via angusta piena di prove e di persecuzioni, che condu-ce alla vita eterna nel regno dei cieli. Il contrasto fra la distruzione e lavita suggerisce che il «fuoco eterno» causi la distruzione eterna dei per-duti, non il loro tormento eterno.

«Punizione eterna»La solenne dichiarazione di Cristo: «Questi se ne andranno a punizio-ne eterna ma i giusti a vita eterna» (Mt 25:46) è generalmente conside-rata come la prova più lampante della sofferenza consapevole che i

330 R.V.G. TASKER, The Gospel According St. Matthew. An Introduction andCommentary, Grand Rapids, 1963, p. 240.

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perduti subiranno per tutta l’eternità. È questa l’unica interpretazionelegittima del testo?

John Stott giustamente risponde: «No! Si vuole leggere nel testoquello che non è presente. Quello che Gesù ha detto è che entrambe,la vita e la punizione, saranno eterne, ma in questo passo non ha defi-nito la loro natura. Poichè altrove parla della vita eterna come di unabeatitudine consapevole donata da Dio (Gv 17:3), questo ci autorizza aconcludere che la punizione eterna sarà un’esperienza consapevole didolore per mano di Dio? Al contrario, benchè li dichiari entrambi eter-ni, Gesù sta contrastando i due destini: più sono diversi, meglio è».331

I tradizionalisti leggono «punizione eterna» come se fosse scritto«punendo eternamente», ma questo non è il significato della frase.Basil F. C. Atkinson acutamente osserva: «Quando l’aggettivo aioniosche significa “ eterno”, “incessante”, è usato nel greco con sostantivi diazione, si riferisce al risultato dell’azione, non al processo. Così la frase“punizione eterna” è paragonabile a “redenzione” e “salvezza eterna”,anch’esse espressioni bibliche.

Nessuno ritiene di far parte di un processo di redenzione continua.Siamo stati salvati una volta per tutte da Cristo con risultati eterni.Nello stesso modo i perduti non passeranno attraverso un processo dipunizione perenne, ma saranno puniti una volta per tutte con risultatieterni. D’altra parte, il sostantivo “vita” non è un sostantivo d’azione,ma un sostantivo che esprime stato. Quindi la vita stessa è eterna».332

Un esempio adeguato per sostenere questa conclusione si trova in2 Tessalonicesi 1:9, dove Paolo, parlando di coloro che rifiutano ilVangelo, dice: «Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla pre-senza del Signore e dalla gloria della sua potenza».

È evidente che la distruzione degli empi non può essere eternanella sua durata, perché è difficile immaginare un processo eterno chepreveda la distruzione.

Questa presuppone annientamento. La distruzione degli empi èeterna (aionios), non perché il processo della distruzione dura persempre, ma perché i risultati saranno permanenti. Nello stesso modo,«la punizione eterna» di Matteo 25:46, è eterna perché i suoi risultatisono per sempre.

331 J. STOTT, Op.cit., p. 317. 332 B.F.C. ATKINSON, Life and Immortality. An Examination of the Nature and Meaningof Life and Death as They Are Revealed in the Scriptures, Taunton, England, n.d., p. 101.

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Capitolo 16

Il significato di «eterno»Alcuni ritengono che «se la parola “eterna” significhi senza fine, quan-do è applicata alla beatitudine futura dei credenti, bisogna concluderealmeno, che non esiste l’evidenza chiara del contrario, e cioè che que-sta parola non significhi pure senza fine quando è usata per descrive-re la punizione futura dei perduti».333

Harry Buis sostiene questa idea con molto vigore: «Se aioniosdescrive la vita che è senza fine, così aionios deve descrivere la puni-zione eterna. Qui la dottrina del cielo e la dottrina dell’inferno si reg-gono o cadono insieme».334

Questo ragionamento non tiene conto che quello che determina ilsignificato di «eterno» è l’oggetto qualificato. Se l’oggetto è la vita dona-ta da Dio ai credenti (Gv 3:16), allora la parola «eterna» ovviamentesignifica «senza fine, eterna», perché la Scrittura dice che la «naturamortale» dei credenti sarà resa «immortale» da Cristo alla sua venuta(1 Cor 15:53).

D’altra parte, se l’oggetto qualificato è la «punizione» o la «distru-zione» dei perduti, allora «eterna» può solo significare «permanente,totale, finale», perché da nessuna parte la Scrittura insegna che gliempi risusciteranno immortali per poter soffrire per sempre. La puni-zione eterna richiede anche il possesso naturale d’una natura immor-tale o il dono divino d’una natura immortale nel momento in cui lapunizione viene inflitta. La Scrittura non insegna da nessuna parte cheo l’una o l’altra di queste condizioni esistano.

La punizione degli empi è eterna in qualità e in quantità. In quali-tà, perché appartiene all’età futura, in quantità, perché i suoi risultatinon finiranno mai. Come il «giudizio» (Eb 6:2), la «redenzione» (Eb9:12) e la «salvezza» (Eb 5:9) sono tutti eterni in quanto sono il risulta-to di azioni compiute, così la «punizione» sarà eterna nei suoi risultati:la distruzione completa e irrevocabile degli empi.

È importante notare che la parola greca aionios, tradotta «eterna»o «incessante» significa letteralmente «durare per un’epoca». Antichipapiri greci contengono numerosi esempi di imperatori romani defini-ti come aionios. Ciò che stanno ad indicare è che hanno mantenuto laloro carica per tutta la vita. Sfortunatamente, le parole italiane «eterno»o «incessante» non interpretano accuratamente il significato di aionios.

333 A.A. HOEKEMA, The Bible and the Future, Grand Rapids, 1979, p. 270. 334 H. BUIS, The Doctrine of Eternal Punishment, Philadelphia, 1957, p. 49.

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In altre parole, mentre il greco aionios esprime la perpetuità entro certilimiti, l’italiano «eterno» o «incessante» indica una durata senza limiti.

Il significato di «punizione»Bisogna anche prendere nota della parola «punizione» usata per tra-durre la parola greca kolasis. Uno sguardo al Vocabulary of the GreekTestament di Moulton e Milligan mostra che la parola era usata in queltempo con il significato di «potare» o «tagliare» del legno morto. Se que-sto è il suo significato, esso riflette la frase frequentemente usatanell’Antico Testamento: «sarà tagliato fuori dal suo popolo» (cfr. Gn17:14; Es 30:33,38; Lev 7:20,21,25,27; Nm 9:13). Questo significherebbeche la «punizione eterna» degli empi consista nel fatto che sono taglia-ti fuori permanentemente dall’umanità.

Come osservazione finale, è importante ricordare che l’unicomodo per cui una punizione eterna degli empi possa essere inflitta,richiederebbe da parte di Dio che li risuscitasse con vita immortale alfine di essere indistruttibili. Ma, secondo la Scrittura, solo Dio possiedel’immortalità in se stesso (1 Tm 1:17; 6:16). Egli offre l’immortalitàcome dono (2 Tm 1:10). Nel testo più conosciuto della Bibbia, vienedetto che coloro che non «credono in Lui» «periranno (apoletai)», inve-ce di ricevere la «vita eterna» (Gv 3:16). La sorte finale degli empi è ladistruzione non la punizione per mezzo del tormento eterno. La nozio-ne dell’eterno tormento degli empi può solo essere difesa accettandol’opinione greca dell’immortalità e dell’indistruttibilità dell’anima, unconcetto questo, estraneo alla Scrittura.

«Pianto e stridor di denti»Nel vangelo di Matteo per quattro volte si dice che nel giorno del giu-dizio «ci sarà pianto e stridore di denti» (cfr. Mt 8:12; 22:13; 24:51;25:30). Quanti credono nel fuoco infernale letterale ed eterno general-mente sostengono che il «pianto e lo stridore di denti» descriva l’agoniaconsapevole sperimentata dai perduti per tutta l’eternità.

Uno sguardo al contesto di ogni testo suggerisce che il «pianto e lostridore di denti» sia da ricercarsi nella separazione o espulsione cheavviene al giudizio finale. Le due frasi derivano molto probabilmentedal pianto e lo stridore dei denti associato con il giorno del Signorenell’Antico Testamento. Per esempio, Sofonia descrive il giorno delSignore con le seguenti parole: «Il gran giorno del SIGNORE è vicino; èvicino e viene in gran fretta; si sente venire il giorno del SIGNORE e il più

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valoroso grida amaramente» (Sof 1:14). Nello stesso modo il salmistadice: «L’empio lo vede e si irrita; digrigna i denti e si consuma; il desi-derio degli empi non potrà mai avverarsi» (Sal 112:10). Qui il salmistaindica chiaramente che lo stridore dei denti sarà la conseguenza delgiudizio degli empi come risultato della loro perdizione.

Edward William Fudge osserva: «L’espressione “pianto e stridor didenti” sembra indicare due attività separate. La prima, riflette il terro-re dei condannati quando iniziano a rendersi veramente conto che Dioli ha buttati fuori come inutili mentre attendono l’esecuzione della suasentenza. La seconda, sembra esprimere rabbia struggente e asprezzaverso quel Dio che li ha condannati. Gli stessi sentimenti vengonoriversati sui redenti che, invece, saranno per sempre benedetti».335

2. La testimonianza di PaoloLa parola «inferno» (geenna) non appare negli scritti di Paolo. In qual-che caso troviamo un accenno al giudizio di Dio nei confronti degliempi al momento della venuta di Cristo. I tradizionalisti citano alcunidi questi testi per sostenere la loro posizione in merito alla punizioneeterna dei perduti.

Abbiamo già esaminato il testo di 2 Tessalonicesi 1:9, dove Paolodice che coloro che non conoscono Dio o non ubbidiscono al vangelodi Gesù saranno «puniti di eterna rovina» e che gli empi soffriranno allavenuta di Cristo. Ancora una volta si è notato che la distruzione degliempi è eterna (aionios), non perché il processo della distruzione duriper sempre, ma perché i risultati sono permanenti.

Il «giorno dell’ira»Un altro passo significativo di Paolo spesso citato per sostenere il con-cetto del fuoco dell’inferno letterale e perenne, è quello relativo al«giorno dell’ira» quando sarà rivelato il giusto giudizio di Dio. Poichéegli renderà a ciascuno secondo le sue opere, a coloro che non ubbidi-scono alla verità ma ubbidiscono all’ingiustizia, spetta indignazione eira. «Tu, invece, con la tua ostinazione e con l’impenitenza del tuocuore, ti accumuli un tesoro d’ira per il giorno dell’ira e della rivela-zione del giusto giudizio di Dio» (Rm 2:5). «Ira e indignazione a quelliche, per spirito di contesa, invece di ubbidire alla verità ubbidisconoall’ingiustizia» (Rm 2:9). «L’indignazione, l’ira, la tribolazione e l’ango-

335 E.W. FUDGE, Op. cit., p. 172.

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scia» sono visti dai tradizionalisti come descrittivi del tormento consa-pevole dell’inferno.336

Il quadro che Paolo tratteggia per il «giorno dell’ira», quando cioègli empi sperimenteranno indignazione, ira, tribolazione e angoscia,molto probabilmente è tratto dal profeta Sofonia, il quale presenta ilgiorno escatologico del Signore in questo modo: «Quel giorno è ungiorno d’ira, un giorno di sventura e d’angoscia, un giorno di rovina edi desolazione, un giorno di tenebre e caligine, un giorno di nuvole edi fitta oscurità» (Sof 1:15). Poi il profeta aggiunge: «Tutto il paese saràdivorato dal fuoco della sua gelosia; poiché egli farà una distruzioneimprovvisa e totale di tutti gli abitanti del paese» (Sof 1:18).

Si ha ragione di credere che Paolo esprima la stessa verità: il gior-no del Signore porterà una fine improvvisa ai malfattori. Paolo nonaccenna mai al tormento incessante dei perduti. Perché?Semplicemente perché, per lui, l’immortalità è dono di Dio ai salvatialla venuta di Cristo (1 Cor 15:53-54) e non un elemento naturale diogni persona.

Quando Paolo presenta la visione del giorno del Signore, attinge apiene mani dal vocabolario profetico dell’Antico Testamento, che peròillumina con la fulgida luce del Vangelo. Non accenna ai terribili det-tagli del tormento eterno.

336 R.A. PETERSON, Op. cit., pp. 78,79.

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Il destino dell’uomonell’Apocalisse

Il tema del giudizio finale nel libro dell’Apocalisse riveste un ruoloimportante perché rappresenta il modo in cui Dio risolve l’opposizionedel male contro di sé e contro il suo popolo. Non sorprende che quan-ti accettano l’idea del «fuoco eterno» trovino sostegno per la loro posi-zione nelle drammatiche immagini del giudizio finale di questo libro.

Le parti citate per sostenere la punizione eterna nell’inferno sonodue: la visione dell’ira di Dio di Apocalisse 14:9-11, e la visione del lagodi fuoco e della morte seconda di Apocalisse 20:10,14,15.

La visione dell’ira di DioIn Apocalisse 14, Giovanni vede tre angeli che annunciano il giudiziofinale di Dio in un linguaggio progressivamente più forte.

Il terzo angelo grida con gran voce: «Chiunque adora la bestia e lasua immagine, e ne prende il marchio sulla fronte o sulla mano, eglipure berrà il vino dell’ira di Dio versato puro nel calice della sua ira; esarà tormentato con fuoco e zolfo davanti ai santi angeli e davantiall’Agnello. Il fumo del loro tormento sale nei secoli dei secoli. Chiun-que adora la bestia e la sua immagine e prende il marchio del suonome, non ha riposo né giorno né notte» (Ap 14:9-11).

I tradizionalisti considerano questo passo e quello di Matteo 25:46,i più importanti dove si afferma la dottrina dell’inferno.

Robert A. Peterson termina l’analisi di questo passo dicendo:«Con-cludo, perciò, che nonostante i tentativi da parte di alcuni dispiegare diversamente le cose, Apocalisse 14:9-11 insegna, irrevoca-bilmente, che l’inferno implichi un eterno tormento cosciente dei dan-nati. Infatti, se avessimo solo questo passo, saremmo obbligati a inse-gnare la dottrina tradizionale dell’inferno sull’autorità della Parola di

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Dio».337 Robert Morey categoricamente sostiene la medesima opinio-ne: «Per ogni regola di ermeneutica ed esegetica, l’unica interpretazio-ne legittima di Apocalisse 14:10,11 è quella che vede chiaramente iltormento eterno cosciente per gli empi».338

Queste interpretazioni dogmatiche di Apocalisse 14:9-11, comeprova di un tormento letterale ed eterno, non tengono conto del lin-guaggio altamente metaforico del brano.

Nel suo commentario sull’Apocalisse, J.P.M. Sweet, studioso bri-tannico del Nuovo Testa-mento, fa un commento molto equilibrato:«Nel chiedersi che cosa insegni l’Apocalisse, sul tormento eterno o ladistruzione eterna, significa usare il libro come fonte «dottrinale» checontiene informazioni circa il futuro. Giovanni usa le immagini, comeGesù usava le parabole (cfr. Mt 18:32-34; 25:41-46), per far capire il dis-astro inimmaginabile che deriva dal rifiuto di Dio, e l’impensabile bea-titudine dell’unione con lui, mentre c’è ancora tempo per compiereuna scelta in questo senso».339

È spiacevole che questo avviso venga ignorato da quanti scelgonodi interpretare letteralmente un brano così ricco di metafore.

Quattro elementi del giudizioA questo punto, si tratta di esaminare i quattro elementi maggiori nel-l’annuncio del giudizio di Dio circa coloro che adorano la bestia:

a. Il versare e il bere dal calice dell’ira di Dio;b. Il tormento con fuoco e zolfo davanti agli angeli e all’Agnello;c. Il fumo del loro tormento che sale per sempre; d. Il fatto che non hanno requie né giorno, né notte.

a. Calice dell’ira di DioLa mescita del calice dell’ira di Dio è un simbolo già presente nei passidell’Antico Testamento in relazione al giudizio di Dio (cfr. Is 51:17,22;

337 R.A. PETERSON, Op. cit., p. 88. 338 R.A. MOREY, Death and the Afterlife, Minneapolis, 1984, p.14. Lo stesso punto divista viene espresso da Harry Buis, il quale scrive: «Questi passi tratti dalle epistole edall’Apocalisse testimoniano che gli apostoli seguono il loro Maestro nell’insegna-mento delle importanti alternative della vita. Essi parlano chiaramente del giudizioche porta alla vita o alla morte eterna, che non si realizza in una cessazione dell’e-sistenza, ma piuttosto un’esistenza nella quale i perduti sperimentano le terribili con-seguenze del peccato. Insegnano che quest’esistenza è infinita » (Op. cit., p. 48). 339 J.P.M. SWEET, Revelation, Philadelphia, 1979, p. 228.

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Ger 25:15-38; Sal 60:3; 75:8). Dio versa il calice «puro», cioè non dilui-to, per garantirne gli effetti mortali. I profeti hanno usato un linguag-gio simile: «Risvegliati, risvegliati, alzati, Gerusalemme, che hai bevu-to il calice, la coppa di stordimento, e l’hai succhiata sino in fondo!» (Is51:17; cfr. Ger 25:18,27,33). Lo stesso calice dell’ira di Dio è offerto aBabilonia, la città che corrompe il popolo. «Nel calice in cui ha versatoad altri, versatele il doppio» e il risultato è «morte, lutto e fame» edistruzione (Ap 18:6,8). La fine di Babilonia, distrutta dal fuoco, simbo-leggia anche la fine degli empi che bevono il calice puro di Dio.

b. Fuoco e zolfoLa sorte degli empi è descritta attraverso le immagini del giudizio piùterribile che si sia abbattuto su questa terra, la distruzione mediantefuoco e zolfo di Sodoma e Gomorra. «Sarà tormentato con fuoco e zolfodavanti ai santi angeli e davanti all’Agnello» (Ap 14:10). Le immaginidel fuoco e dello zolfo che hanno distrutto queste due città sono fre-quentemente usate nella Bibbia per indicare l’annientamento totale(cfr. Gb 18:15,17; Is 30:33; Ez 38:22).

c. Il fumo del loro tormento Isaia descrive la sorte di Edom con un linguaggio singolarmente simi-le a quello di Apocalisse 14:10: «I torrenti di Edom saranno mutati inpece, la sua polvere in zolfo, la sua terra diventerà pece ardente. Nonsi spegnerà né notte né giorno» (Is 34:9,10).

Come in Apocalisse 14:10, siamo in presenza del fuoco inestingui-bile, dello zolfo e del fumo che sale per sempre, notte e giorno. Questosignifica che Edom doveva bruciare per sempre? Non dobbiamo andarlontano per trovare la risposta perché il versetto continua: «Rimarràdeserta, nessuno vi passerà più» (Is 34:10). È evidente che il fuoco ine-stinguibile e il fumo che sale perennemente non siano altro che sim-boli metaforici della completa distruzione, dello sterminio e dell’anni-chilimento. Se questo è il significato dell’immagine nell’Antico Testa-mento, si può ragionevolmente credere che lo stesso significato sipossa applicare al testo in esame.

Questa conclusione è sostenuta da Giovanni che usa le immaginidel fuoco e del fumo per descrivere la sorte di Babilonia responsabiledella seduzione del popolo di Dio all’apostasia. La città «sarà consu-mata dal fuoco» (Ap 18:8) e «il suo fumo sale per i secoli dei secoli» (Ap19:3). Questo significa che Babilonia brucerà per tutta l’eternità?

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Ovviamente no, perché i mercanti e i re piangeranno per il «tormento»che vedono, e diranno: «Ahi! ahi! Babilonia, la gran città… è statadistrutta… In un attimo è stata ridotta a un deserto… e non sarà piùritrovata» (Ap 18:10,16,19,21). È evidente che il fumo del tormento diBabilonia che «sale nei secoli dei secoli» rappresenta la completadistruzione perché la città «non sarà più ritrovata» (Ap 18:21). La sin-golare somiglianza fra la sorte degli empi e quella di Babilonia,entrambe dovute al fuoco il cui fumo «sale nei secoli dei secoli» (Ap14:10,11; cfr. 18:8; 19:3), autorizza a credere che il destino di Babiloniarappresenti anche quello di quanti abbiano partecipato ai suoi peccati.La città e gli apostati sperimenteranno la stessa distruzione e lo stessoannichilimento.

d. «Non ha riposo né giorno né notte»La frase «non ha riposo né giorno né notte» (Ap 14:11) è interpretata daitradizionalisti come descrittiva del tormento eterno dell’inferno. Lafrase, comunque, indica la continuità e non la durata eterna di un’a-zione. Giovanni usa la stessa frase «giorno e notte» per descrivere lecreature viventi che lodano Dio (Ap 4:8), i martiri che servono Dio (Ap7:15), Satana che accusa i fratelli (Ap 12:10) e l’empia trinità che è tor-mentata nel lago di fuoco (Ap 20:10). In ogni caso, il pensiero è lo stes-so: l’azione è continua finché dura. Harold Guillebaud spiega corretta-mente che la frase «non ha riposo né giorno né notte» (Ap 14:11) «cer-tamente dice che non vi sarà nessuna pausa o intervallo nella soffe-renza dei seguaci della bestia, mentre continua; ma non dice che con-tinuerà per sempre».340

Questa conclusione poggia sull’uso della frase «giorno e notte» inIsaia 34:10, dove, come si è già visto, il fuoco di Edom è acceso «nottee giorno» e «il fumo ne salirà per sempre» (Is 34:10). Le immagini sonoposte lì per comunicare che il fuoco di Edom continuerà fino a consu-mare tutto e poi si spegnerà. Il risultato è la totale distruzione e non ilbruciare eternamente. «Di età in età rimarrà deserta» (Is 34:10).

Quindi, le quattro rappresentazioni nella scena di Apocalisse 14:9-11sono complementari alla descrizione della distruzione finale degliempi. Il vino «puro» dell’ira di Dio versato suggerisce un giudizio chetermina con l’estinzione. Lo zolfo e il fuoco indicherebbero un livello

340 H.E. GUILLEBAUD, The Righteous Judge: A Study of the Biblical Doctrine of everlast-ing Punishment, Taunton, England, s.d., p. 24.

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di punizione cosciente che precede la fine. Il fumo che sale è il ricordocontinuo del giusto giudizio di Dio. La sofferenza continuerà giorno enotte fino a quando gli empi saranno completamente distrutti.

Lo stagno di fuoco e la morte «seconda»L’ultima descrizione nella Bibbia della punizione finale contiene dueespressioni metaforiche altamente significative: lo stagno di fuoco e lamorte seconda (cfr. Ap 19:20; 20:10,15; 21:8). I tradizionalisti attribui-scono una fondamentale importanza allo «stagno di fuoco» perché perloro, come afferma John F. Walvoord, «lo stagno di fuoco è, e servecome sinonimo per il luogo del tormento eterno».341

a. Lo stagno di fuocoPer determinare il significato dello «stagno di fuoco», bisogna esami-nare le quattro volte in cui è presente nell’Apocalisse, unico libro nellaBibbia dove si trova questa espressione. Il primo riferimento si trova inApocalisse 19:20, dove viene detto che la bestia e il falso profeta «furo-no gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo». Il secondo rife-rimento si trova in Apocalisse 20:10, dove Giovanni descrive la conse-guenza dell’ultimo grande assalto di Satana contro Dio: «E il diavoloche le aveva sedotte fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dovesono anche la bestia e il falso profeta; e saranno tormentati giorno enotte, nei secoli dei secoli». Quando Dio getta il diavolo nello stagno difuoco, viene così ad aumentare i suoi abitanti da due a tre.

Il terzo e il quarto riferimento si trovano in Apocalisse 20:15 e 21:8,dove tutti gli empi sono anch’essi gettati nello stagno di fuoco. È evi-dente che si assiste a un crescendo: tutte le potenze malefiche insiemeagli esseri umani ribelli, sperimenteranno la punizione finale nello sta-gno di fuoco.

La domanda fondamentale rimane questa: lo stagno di fuoco, rap-presenta un’inferno che brucia sempre e dove gli empi dovrebberoessere tormentati per tutta l’eternità, oppure simboleggia la distruzio-ne permanente del peccato e dei peccatori? Quattro maggiori conside-razioni portano a credere che lo stagno di fuoco rappresenti l’annichi-limento finale e completo del male e dei malfattori.

- La bestia e il falso profeta, che sono gettati vivi nello stagno difuoco, sono due personaggi simbolici, non persone fisiche ma autori-

341 J.F. WALVOORD, op.cit., p. 23.

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tà politiche e religiose, responsabili delle persecuzioni e la mistifica-zione della religione. I sistemi politici e religiosi non possono soffrireun tormento perenne. Quindi, per loro, lo stagno di fuoco rappresen-ta la distruzione completa e irrevocabile.

- Le immagini del diavolo e del suo esercito, che sono distrutti dafuoco dal cielo e poi gettati nello stagno di fuoco e di zolfo, sono presein prestito dal libro del profeta Ezechiele (cfr. 38:39) dove si trovanopersino i nomi in codice «Gog» e «Magog». Mentre in 2 Re 1:10 si parladi un fuoco che scende dal cielo per consumare il capitano e i cin-quanta soldati mandati contro Elia. In ambedue i casi, il fuoco causal’annichilimento (cfr. Ez 38:22; 39:6,16). La similitudine delle immagi-ni suggerisce che lo stesso significato e funzione del fuoco, come asso-luta distruzione, si applica alla sorte del diavolo in Apocalisse 20:10.

- È impossibile immaginare in che modo il diavolo e i suoi ange-li, che sono spiriti, possano essere «tormentati (con il fuoco) giorno enotte per sempre» (Ap 20:10). Dopo tutto, il fuoco appartiene al mondomateriale, fisico, mentre il diavolo e i suoi angeli non sono esseri fisi-ci. George Eldon Ladd giustamente dice: «È impossibile immaginarecome uno stagno di fuoco letterale possa causare eterna tortura aesseri non fisici. È ovvio che siamo in presenza di un linguaggio pitto-resco che descrive un fatto reale all’interno di un mondo spirituale: ladistruzione finale ed eterna delle potenze del male che hanno tor-mentato l’umanità sin dal giardino d’Eden».342

- Il fatto che la «morte e l’ades vengono gettati nello stagno difuoco» (Ap 20:14), vuol dire che il significato dello stagno di fuoco èsimbolico, perché la morte e l’ades (la tomba) sono realtà astratte chenon possono essere gettate nel fuoco o da esso consumate. Attraversol’immagine della morte e dell’ades che sono gettati nello stagno difuoco, Giovanni semplicemente afferma la distruzione finale e com-pleta della morte e dello sheol ebraico. Ora, mediante la morte e larisurrezione, Gesù ha vinto la potenza della morte, ma la vita eternanon può esser sperimentata finchè la morte non sia simbolicamentedistrutta nello stagno di fuoco e bandita dall’universo.

b. «La morte seconda»Prima di riflettere su quest’ultima considerazione, è importante insisteresul fatto che Giovanni identifica lo stagno di fuoco con la morte seconda.

342 G.E. LADD, A Commentary on the Revelation of John, Grand Rapids, 1979, p. 270.

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«Questa è la morte seconda, cioè lo stagno di fuoco» (Ap 20:14; cfr. 21:8).Alcuni tradizionalisti interpretano «la morte seconda», non come

la morte definitiva, ma come la separazione definitiva dei peccatori daDio. Per esempio, Robert A. Peterson afferma: «Quando Giovanni diceche “la morte e l’ades furono gettati nello stagno di fuoco” (Ap 20:14),indica che lo stato intermedio lascia il posto allo stato finale. Dice que-sto, rivelando che lo “stagno di fuoco è la morte seconda” (Ap 20:14).Siccome la morte significa separazione dell’anima dal corpo, così lamorte seconda indica la separazione definitiva degli empi dall’amoredel loro Creatore. Di conseguenza, Dio riunisce le anime dei mortinon salvati ai loro corpi, per preparare i perduti a subire la punizioneeterna. Se la vita eterna significa conoscere per sempre il Padre e ilFiglio (Gv 17:3), la sua antitesi, la morte seconda, significa esser pri-vati della comunione con Dio per tutta l’eternità».343

È difficile capire come Peterson possa interpretare «la morteseconda» come separazione cosciente ed eterna da Dio quando, comeabbiamo visto in precedenza, la Bibbia indica molto chiaramente chenon c’è nessuna consapevolezza nella morte. La «morte seconda» èl’antitesi della «vita eterna», ma l’antitesi della vita eterna è la «morteeterna» e non l’eterna separazione consapevole da Dio. Inoltre, lanozione delle anime dei perduti, che sono riunite con i loro corpi dopolo stato intermedio, per prepararli alla punizione eterna, può soloessere sostenuta sulla base di una comprensione dualistica della natu-ra umana. Secondo la prospettiva biblica, la morte costituisce la ces-sazione della vita e non la separazione del corpo dall’anima. Il sensodella frase «morte seconda», dev’essere determinato sulla base dellatestimonianza interna del libro dell’Apocalisse e della letteraturaebraica contemporanea, piuttosto che sulla base del dualismo greco,estraneo alla Bibbia.

Attraverso tutto il libro dell’Apocalisse, Giovanni spiega il signifi-cato di un primo termine mediante l’uso di un secondo. Per esempio,spiega che le coppe di incenso sono le preghiere dei santi (Ap 5:8). «Illino fino sono le opere giuste dei santi» (Ap 19:8). La vita futura deisanti e il loro regno con Cristo per mille anni «è la prima risurrezio-ne» (Ap 20:5). Allo stesso modo spiega esplicitamente che «lo stagno difuoco è la morte seconda» (Ap 20:14; cfr. 21:8).

Alcuni tradizionalisti definiscono la morte seconda come lo stagno

343 R.A. PETERSON, Op.cit., p. 90.

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di fuoco sostenendo che essa non costituisca la morte finale, ma l’eter-no tormento. È necessaria una lettura veloce di Apoca-lisse 20:14 e 21:8per dimostrare che è vero l’opposto. Giovanni chiaramente afferma:«Lo stagno di fuoco è la morte seconda» e non il contrario. Il significa-to della morte seconda deriva e dipende dal significato della primamorte sperimentata da ogni essere umano alla cessazione della vita. Lamorte seconda è diversa dalla prima morte, non in natura ma nel risul-tato. La prima morte è un sonno temporaneo perché è seguita dallarisurrezione. La morte seconda è la fine irrevocabile che non è segui-ta da nessun risveglio.

Riferimenti alla «morte seconda»Dal momento che Giovanni chiaramente definisce lo stagno di fuococome la morte seconda, è importante che si capisca il suo significato.Questa frase appare quattro volte in Apocalisse, mentre non appare innessun altra parte del Nuovo Testamento.

Il primo riferimento si trova in Apocalisse 2:11: «Chi vince non saràcolpito dalla morte seconda». Qui «la morte seconda» è differenziatadalla morte fisica che ogni essere umano sperimenta. L’implicazione èquesta: i salvati riceveranno la vita eterna e non sperimenteranno lamorte eterna.

Il secondo, lo troviamo in Apocalisse 20:6, nel contesto della primarisurrezione dei santi all’inizio del millennio: «Su di loro non ha poterela morte seconda». Di nuovo, l’implicazione è che i santi risuscitati nonsperimenteranno la morte seconda, cioè quella definitiva, ovviamente,perché risusciteranno a vita eterna.

Il terzo e il quarto sono in Apocalisse 20:14 e 21:8, dove la morteseconda è identificata con lo stagno di fuoco nel quale il diavolo, labestia, il falso profeta, la morte, l’ades, e tutti i malfattori sono gettati. Inquesti casi, lo stagno di fuoco è la morte seconda nel senso che adem-pie la morte e la distruzione eterna del peccato e dei peccatori.

La morte seconda nel TargumIl significato della frase «morte seconda» è meglio chiarito dall’uso cheviene fatto nel Targum, che è la traduzione e l’interpretazione aramai-ca dell’Antico Testamento. Nel Targum la frase è usata varie volte conriferimento alla morte finale e irrevocabile degli empi.

Secondo Strack Billerbeck, il Targum su Geremia 51:39,57 contie-ne un oracolo contro Babilonia e dice: «Moriranno alla morte seconda

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e non vivranno nel mondo futuro».344 Qui la morte seconda è chiara-mente la morte che risulta dal giudizio finale che impedisce ai malfat-tori di vivere nel mondo futuro.

Nel suo studio The Testament and the Palestinian Targum to thePentateuch, M. McNamara cita il Targum su Deuteronomio 33:6, Isaia22:14 e 65:6,15, dove la frase «morte seconda» è usata per descrivere lamorte definitiva, irrevocabile. Il Targum su Deuteronomio 33:6 dice:«Lascia vivere Ruben in questo mondo e non farlo morire nella morteseconda nella quale gli empi muoiono nel mondo futuro».345 NelTargum su Isaia 22:14, il profeta dice: «“No, questa iniquità non lapotrete espiare che con la vostra morte” dice il Signore, DIO degli eser-citi».346 In entrambi i casi, «la morte seconda» è la distruzione definiti-va che gli empi sperimentano al giudizio finale.

Il Targum su Isaia 65:6 è molto simile in Apocalisse 20:14 e 21:8:«La loro punizione sarà nella geenna dove il fuoco brucia tutto il gior-no. Ecco, è scritto davanti a me: “Non darò loro sollievo durante (laloro) vita ma renderò loro la punizione delle loro trasgressioni e darò iloro corpi alla morte seconda”».347 Di nuovo, il Targum su Isaia 65:15dice: «E abbandonerete il vostro nome per un flagello ai miei eletti e ilSignore Dio vi ucciderà con la morte seconda ma i suoi servi, i giusti,li chiamerà con un nome diverso».348 Qui, la morte seconda, è esplici-tamente eguagliata all’uccisione degli empi dal Signore, un’immaginechiara della distruzione finale e non del tormento eterno.

Alla luce delle considerazioni precedenti si può concludere che lafrase «la morte seconda» sia usata da Giovanni per definire la naturadella punizione nello stagno di fuoco, cioè, una punizione che alla finerisulta nella morte eterna, irrevocabile.

Come indica Robert Mounce: «Lo stagno di fuoco indica non solola punizione severa che spetta ai nemici della giustizia, ma anche laloro sconfitta completa e finale. È la morte seconda, cioè il destino dicoloro la cui risurrezione temporanea risulta solo in un ritorno allamorte e alla sua punizione».349

344 Citato da J.M. FORD, A Revelation, Introduction, Translation and Commentary, TheAnchor Bible, New York, 1975, p. 393. 345 M. MCNAMARA, I targum e il Nuovo Testamento, (Trad. R. Impera), Dehoniane,Bologna, 1978, pp. 147;174. 346 Idem. 347 lbidem, p. 123. 348 Idem.349 R.H. MOUNCE, The Book of Revelation, Grand Rapids, 1977, p. 367.

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La stessa opinione è condivisa anche da Henry Alford che scrive:«Nel modo che c’è una seconda vita più alta, così c’è anche una morteseconda e più profonda. E così come dopo quella vita non c’è più morte(Ap 21:4), così dopo quella morte non c’è più vita».350

Questa della «morte seconda», come morte finale e irrevocabile, èuna definizione che merita di essere considerata. Interpretare inmaniera diversa questa frase, come eterno tormento cosciente o sepa-razione da Dio, significa negare il significato biblico della «morte»come cessazione della vita.

ConclusioneVolendo concludere quest’indagine sull’opinione tradizionale dell’in-ferno come luogo di punizione eterna e letterale degli empi, si posso-no fare tre considerazioni:

- Il concetto di inferno è fortemente dipendente dalla visione dua-listica della natura umana che ammette la sopravvivenza eterna dell’a-nima sia nella beatitudine celeste sia nel tormento. È già stato posto inevidenza come questo dogma sia estraneo all’uomo biblico che è indi-visibile e completo, dove la morte indica la cessazione di vita per lapersona nel suo insieme.

- L’inferno secondo la tradizione si basa su un’interpretazione let-terale delle immagini simboliche come la geenna, lo stagno di fuoco ela morte seconda. Tali immagini non possono essere interpretate lette-ralmente perché, lo ripetiamo, sono descrizioni metaforiche della di-struzione totale del male e degli empi. Incidentalmente, gli stagni sonopieni d’acqua e non di fuoco.

- Il pensiero che il Dio della Bibbia, che è misericordia e giustizia,possa infliggere un castigo eterno per i peccati commessi nello spaziodi una vita che per quanto lunga è comunque brevissima rispetto all’e-ternità, è un pensiero che non offre una spiegazione ragionevole. Ladottrina del tormento eterno in uno stato di coscienza è decisamenteincompatibile con la rivelazione biblica dell’amore e della giustiziadivini. Questo punto, tuttavia, costituirà oggetto d’analisi quando ver-ranno considerate le implicazioni morali del tormento eterno.

In conclusione, possiamo dire che forse era più facile accettare l’i-dea dell’inferno durante il medioevo, quando la maggior parte della

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Capitolo 17

350 H. ALFORD, Apocalypse of John in The Greek Testament, Chicago, 1958, vol. 4, pp.735,736.

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gente viveva sotto regimi autocratici e dispotici che potevano torturaree sopprimere impunemente esseri umani. In simili condizioni sociali, iteologi, in tutta buona coscienza, potevano attribuire a Dio un caratte-re vendicativo e una crudeltà insaziabile, che oggi potrebbero essereconsiderati soltanto attribuibili ai demoni. Ai nostri giorni, le idee teo-logiche sono soggette a una censura etica e razionale che respingequalsiasi perversione morale che possa essere stata attribuita, nel pas-sato, a Dio. Il nostro senso di giustizia richiede che la condanna inflit-ta debba essere proporzionata al male commesso.

Questa importante verità viene però ignorata dall’idea dell’infernosecondo la tradizione che richiede una punizione eterna per i peccaticommessi durante una vita breve.

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Le metafore dell’inferno

Le difficoltà poste dal concetto tradizionale di inferno, hanno indottoalcuni studiosi a cercare interpretazioni alternative. Qui di seguito,prenderemo in esame due recenti tentativi volti a capire i dati bibliciper una ridefinizione della natura dell’inferno.

1. L’interpretazione metaforica dell’infernoLa revisione più modesta del concetto tradizionale di inferno implical’interpretazione metaforica della natura del tormento perpetuo.Secondo questo modo di vedere, l’inferno è ancora considerato unapunizione eterna, ma con meno sofferenza perché il fuoco fisico nontortura o non brucia la carne degli empi, ma indica il dolore causatodella separazione da Dio. Billy Graham si esprime in questi termini:«Mi sono spesso domandato se l’inferno non fosse un’arsura terribilenei nostri cuori per Dio, per la comunione con Dio, un fuoco che nonpossiamo mai spegnere».351 L’interpretazione di Graham del fuocoinfernale come «un’arsura terribile nei nostri cuori per Dio» è moltoingegnosa. Sfortunatamente, essa ignora che «l’ardere» succede nondentro il cuore, ma fuori, dove gli empi sono consumati. Se gli empiprovassero arsura nei loro cuori per Dio, non sperimenterebbero, poi,la sofferenza per la punizione finale.

Le metaforeNella sua singolare metafora dell’inferno, William Crockett sostiene

351 B. GRAHAM, «There is a Real Hell», in Decision n. 25, July-August 1984, p. 2. AltroveGraham si chiede: «Può essere che il fuoco di cui parla Gesù indichi una ricerca eter-na di Dio che non si estingue mai? In caso contrario non può trattarsi che dell’infer-no. Essere separati per sempre da Dio, allontanati dalla sua presenza». (in TheChallenge: Sermons from Madison Square Garden, Garden City, New York, 1969, p. 75).

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che i credenti non dovrebbero avere difficoltà a credere che «una partedella creazione trovi riposo nel cielo, mentre l’altra parte patisca nel-l’inferno».352 La sua soluzione consiste nel riconoscere che «il fuoco elo zolfo dell’inferno non siano descrizioni letterali, ma espressionimetaforiche che comunicano agli empi l’imminente condanna».353

Crockett cita Calvino, Lutero e una moltitudine di studiosi contempo-ranei, i quali «interpretano metaforicamente il fuoco dell’inferno oalmeno ammettono la possibilità che l’inferno possa essere qualcos’al-tro rispetto al fuoco letterale».354

Crockett sostiene che «la ragione più forte per interpretarle (leimmagini dell’inferno) come metafore, sia data dal linguaggio con-traddittorio usato nel Nuovo Testamento per descrivere l’inferno.Come può l’inferno essere un fuoco letterale quando è anche descrittocome tenebre? (cfr. Mt 8:12; 22:13; 25:30; 2 Pt 2:17; Gd 13)».355

Continua, ponendo questa domanda: «Gli scrittori del Nuovo Testa-mento si aspettavano che interpretassimo letteralmente le loro parole?Certamente, Giuda no! Egli descrive l’inferno come «fuoco eterno» nelversetto 7, e più avanti lo descrive come «l’oscurità delle tenebre ineterno» nel versetto 13. Fuoco e tenebre, naturalmente, non sono leuniche immagini che siano date dell’inferno nel Nuovo Testamento. Èdetto degli empi che piangono e digrignano i denti (Matteo 8:12; 13:42;22:13; 24:51; 25:30; Lc 13:28), il loro verme non muore mai (Mc 9:48),e sono colpiti da molte battiture (Lc 12:47). Nessuno pensa che l’infer-no implichi ricevere battiture o che sia un luogo dove i vermi dei mortidiventano eterni. Similmente, nessuno pensa che lo stridore dei dentisia qualcos’altro dell’immagine della realtà orribile dell’inferno. Nelpassato, alcuni si preoccupavano per quanti fossero entrati nell’infer-no senza denti. Come avrebbero potuto digrignare i loro denti?356 Larisposta che alcuni hanno dato è questa: “Delle dentiere saranno forni-te nel mondo avvenire, affinché i condannati possano piangere e digri-gnare i denti”».357

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352 W.V. CROCKETT, Op. cit., p. 43.353 Ibidem, p. 44.354 Idem.355 Ibidem, p. 59.356 Ibidem, p. 60.357 La frase è del Professor Coleman Norton della Princeton University ed è citata daB.M. METZGER, «Literary and Canonical Pseudepigrapha», in Journal of BiblicalLiterature 91 (1972), p. 3.

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Le metafore dell’inferno

In base alla sua interpretazione metaforica sul fuoco infernale,Crockett conclude: «L’inferno, allora, non deve esser immaginato comequalcosa che erutta fiamme come la fornace ardente di Nabucodono-sor. Tutto quello che possiamo dire è che i ribelli saranno allontanatidalla presenza di Dio, senza speranza di restaurazione. Come Adamoed Eva, saranno scacciati, ma stavolta nella “notte eterna”, dove gioiae speranza sono perduti per sempre».358

Valutazione dell’interpretazione metaforicaBisogna riconoscere che i sostenitori di questa interpretazione sono nelgiusto quando indicano che le immagini usate nella Bibbia per descri-vere l’inferno, come fuoco, tenebre, vermi voraci, zolfo e stridore deidenti, siano metaforiche e non descrizioni reali. Quando si interpretaun testo è importante distinguere tra la forma e il contenuto. Le meta-fore sono date per comunicare un contenuto particolare, ma non sonoil contenuto in sé. Questo significa che quando si interpretano delleimmagini simboliche, si deve capire il messaggio comunicato e nonsoffermarsi tanto sulle immagini che sono descrizioni letterali dellarealtà.

I sostenitori della visione metaforica sono nel giusto quando dico-no che il problema fondamentale dell’insegnamento tradizionale del-l’inferno poggi sul letteralismo e finisca, poi, per ignorare la naturaaltamente simbolica del linguaggio. Il problema però consiste nel fattoche essa sostituisca il tormento fisico con un tormento mentale consi-derandolo più sopportabile. Comunque, abbassando il quoziente deldolore in un inferno non letterale, sostanzialmente non viene cambia-ta la sua natura dal momento che rimane ancora un luogo di perennetormento.

Alcuni potrebbero persino dire che la nozione dell’eterno tormen-to mentale sia più «umana» del tormento fisico. L’angoscia mentale,però, può essere tanto dolorosa quanto il tormento fisico. Rendendol’inferno più umano, l’interpetazione metaforica non ha fatto un passoavanti perché è ancora gravata dagli stessi problemi dell’inferno tradi-zionale. Alla gente viene chiesto ancora di credere che esiste un Dioche tormenta per sempre gli empi, anche se si presume in modo menosevero. Ritengo che si debba trovare una soluzione non tanto «nell’u-manizzazione» o «nell’igienizzazione» dell’inferno così da provare defi-

358 W.V. CROCKETT, Op. cit., p. 61.

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Capitolo 18

nitivamente che esso è un luogo più tollerabile per gli empi, dove pos-sano trascorrere l’eternità, quanto nel capire la natura della punizionefinale che, come vedremo, consiste nella distruzione totale e non neltormento eterno.

2. Gli universalisti e l’infernoUna seconda e più radicale posizione sull’inferno è offerta dagli uni-versalisti i quali riducono l’inferno a una condizione temporanea dipunizioni graduali che, alla fine, permetteranno di accedere al cielo.Gli universalisti credono che alla fine Dio riuscirà a portare ogni esse-re umano alla salvezza e alla vita eterna così che nessuno sarà con-dannato al giudizio dell’eterno tormento finale o annichilimento.Questa idea era già stata suggerita da Origene nel terzo secolo, e haottenuto un costante sostegno nei tempi moderni, specialmente attra-verso gli scritti di teologi come Friedrich Schleiermacher, C.F.D.Moule, J.A.T. Robinson, Micheal Paternoster, Micheal Perry e JohnHick. Gli argomenti presentati da questi, come da altri autori a soste-gno dell’universalismo, sono teologici e filosofici.

Argomenti teologici e filosoficiLa teologia ricorre ai «brani universalisti» (cfr. 1 Tm 2:4; 4:10; Col 1:20;Rm 5:18; 11:32; Ef 1:10; 1 Cor 15:22) per accettare l’idea della speranzadi una salvezza universale. Sulla base di questi testi, essi ritengono chese alla fine tutti gli esseri umani non saranno salvati, allora la volontàdi Dio, cioè che «tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscen-za della verità» (1 Tm 2:4) verrebbe a essere frustrata e sconfitta. Soloattraverso la salvezza di tutti gli esseri umani, Dio può dimostrare iltrionfo del proprio infinito e paziente amore.

Sul piano filosofico, gli universalisti trovano intollerabile che unDio amorevole possa permettere che milioni di persone soffrano l’e-terno tormento per i peccati commessi in un breve periodo di anni.

Jacques Ellul articola ammirevolmente questa interpretazione,ponendosi le seguenti domande: «Non abbiamo visto l’impossibilità diconsiderare come la nuova creazione, quella mirabile sinfonia d’amo-re, possa coesistere “vicino” al mondo dell’ira? Dio è forse bifronte? Haforse un volto d’amore rivolto verso la sua Gerusalemme celeste e unvolto d’ira rivolto verso questo “inferno”? La pace e la gioia di Dio sonocomplete, dal momento che continua a essere un Dio d’ira e di folgori?Può il paradiso essere così come Romain Gary lo ha meravigliosamen-

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te descritto in Tulipe, quando afferma che il guaio non è tanto il campodi concentramento ma “il piccolo villaggio tranquillo e felice vicino alcampo”. Il piccolo villaggio “accanto”, dove la gente viveva indisturba-ta mentre milioni morivano atrocemente nel campo».359

Una trasformazione gradualeGli universalisti ritengono che sia impensabile che alla fine Dio con-danni all’eterno tormento gli innumerevoli milioni di non cristiani chenon hanno risposto a Cristo visto che non hanno mai potuto sentire ilmessaggio cristiano. La soluzione proposta da alcuni di loro è che Diosalverà tutti gli infedeli rendendoli capaci d’esser gradualmente tra-sformati dopo la morte.

Quest’interpretazione rappresenta una revisione della dottrinacattolica romana del purgatorio, che limita questo processo riparatoresolo alle anime dei fedeli. Gli universalisti allargano questo privilegioanche alle anime degli infedeli. In questo modo, Dio continuerebbe arichiamare a sé dopo la morte i non salvati, finché, finalmente, tuttirisponderanno al suo amore e gioiranno per tutta l’eternità alla suapresenza.

Attraente, ma non biblicaNessuno può negare che gli argomenti teologici e filosofici dell’univer-salismo siano congeniali alla coscienza cristiana. Chiunque abbia pro-fondamente sentito l’amore di Dio desidera che operi salvando ognipersona e, allo stesso tempo, respinge il pensiero che possa essere cosìvendicativo da punire milioni di persone - specialmente nei confrontidi quanti sono vissuti nell’ignoranza - con tormenti eterni. La stima el’interesse degli universalisti a inneggiare il trionfo dell’amore di Dio ea rifiutare, nello stesso tempo, il concetto non biblico della sofferenzaeterna, non deve far dimenticare il fatto che questa dottrina contienein sé una distorsione preoccupante dell’insegnamento biblico.

1. I «passi universalisti» dichiarano lo scopo del disegno universa-le della salvezza di Dio, ma non parlano della salvezza universale perogni essere umano. Per esempio, in Colossesi 1:20,23 il piano di Dio è«di riconciliare con sé tutte le cose» ivi inclusi gli stessi colossesi, «seappunto perseverate nella fede». Lo stesso troviamo in 1 Timoteo 2:4,dove il desiderio di Dio che «tutti gli uomini siano salvati» è espresso

359 J. ELLUL, Apocalypse, The Book of Revelation, New York, 1977, p. 212.

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unitamente al fatto che un giudizio finale porterà «rovina e distruzio-ne» agli infedeli (1 Tm 6:9, 10; cfr. 5:24; 4:8). Dio estende a tutti la sal-vezza, ma allo stesso tempo rispetta la libertà di quanti rigettano la suaofferta benché questo gli procuri tristezza.

2. L’idea che Dio alla fine salverà tutti, solo perché è impossibileaccettare la dottrina del tormento eterno dei non salvati da un lato, eperché questo nega ogni senso di giustizia divina di pace e di gioiaceleste dall’altro, è un argomento valido. Comunque, come abbiamogià dimostrato in precedenza, la salvezza universale poggia su un’in-terpretazione erronea dell’insegnamento biblico a proposito dellanatura della punizione finale degli empi. La salvezza universale nonpuò esser giusta soltanto perché la sofferenza eterna è sbagliata.

3. La nozione di una punizione riparatrice o di una trasformazionegraduale dopo la morte, è totalmente estranea alla Scrittura. Il destinodi ogni persona è determinato alla morte. Questo principio è espressoesplicitamente da Cristo nella parabola del ricco e Lazzaro (Lc 16:9,21). In Ebrei 9:27, è anche chiaramente affermato che «è stabilito chegli uomini muoiono una volta sola, dopo di che viene il giudizio». Per ipeccatori impenitenti, «la prospettiva del giudizio» è «paurosa», perchésperimenteranno non la salvezza universale «ma una terribile attesadel giudizio e l’ardore di un fuoco che divorerà i ribelli» (Eb 10:26,27).

4. Riguardo alla sfida nei confronti di coloro che non hanno avutonessuna opportunità di apprendere o rispondere al messaggio diCristo, non è necessario per questo giungere ad abbandonare la fedenella salvezza in Gesù Cristo e consegniare tutti i non cristiani al tor-mento eterno. I meno privilegiati possono trovare salvezza sulla basedella loro risposta in merito a ciò che hanno conosciuto di Dio. Paoloafferma che i pagani che non conoscono la legge saranno giudicatisecondo la legge «scritta nei loro cuori» (Rm 2:14,16).

L’universalismo, benché a prima vista risulti attraente, è fuorvian-te perché non riconosce che l’amore di Dio per l’umanità è manifesta-to non tanto nel cercare di scusare i peccati, né limitando la libertàumana, ma piuttosto nell’offrire la salvezza a esseri umani dotati dilibero arbitrio.

Questa verità è espressa in modo chiaro nel testo più noto a pro-posito dell’amore di Dio e il pericolo che può seguirne se esso vienerifiutato: «Poiché Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo uni-genito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia vitaeterna» (Gv 3:16).

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ConclusioneL’interpretazione metaforica e quella universale dell’inferno rappre-sentano due tentativi tesi a «togliere l’inferno dall’inferno».Sfortunatamente, non rendono giustizia ai dati biblici e così, alla fine,travisano la dottrina biblica della punizione finale dei non salvati.

La saggia soluzione ai problemi dell’opinione tradizionale si devetrovare, non abbassando o eliminando il quoziente di dolore da uninferno letterale ma, accettando l’inferno per ciò che è, la punizione fi-nale e l’annichilimento totale degli empi. Come dice la Bibbia: «Ancoraun po’ e l’empio scomparirà» (Sal 37:10) perché «la fine dei quali è ladistruzione» (Fil 3:19).

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IntroduzioneLa distruzione eterna degli empi è stata associata principalmente alleposizioni di alcune chiese come gli avventisti, i testimoni di Geova ealcuni gruppi minori (per esempio la chiesa di Dio, la chiesa universa-le di Dio, la chiesa unita di Dio, la chiesa globale di Dio e la chiesainternazionale di Dio).

Questo fatto ha indotto molti evangelici e cattolici a rigettare apriori la dottrina dell’annichilimento semplicemente perché si tratta diuna posizione «settaria» e non di una dottrina che fa parte del patrimo-nio protestante o cattolico. Questa dottrina è considerata «un’assurdi-tà»360 e sarebbe il prodotto di un sentimentalismo laico.361

In gran parte, tutti noi siamo figli delle tradizioni. La fede cheabbiamo ricevuta ci è stata trasmessa dai sermoni, dai libri, dall’edu-cazione ricevuta a casa, a scuola o in chiesa. Leggiamo la Bibbia allaluce di ciò che abbiamo imparato da queste varie fonti. Quindi, è diffi-cile quantificare quanto la tradizione abbia potuto modificare nel pro-fondo la nostra interpretazione della Scrittura. Ma come cristiani, nonpossiamo permetterci di essere schiavi di tradizioni umane, siano esse«cattoliche», «evangeliche» o «denominazionali». Non si può mai dareper scontato l’assoluta correttezza delle nostre dottrine semplicementeperché sono state santificate dalla tradizione. È importante che sidifenda, quando è necessario, il diritto-dovere di provare i nostri inse-gnamenti e, se necessario, cambiarli con l’aiuto della Scrittura.

360 Cfr. A.W. PINK, Eternal Punishment, Swengel, Pennsylvania, s.d., p. 2; W. HENDRICKSEN, The Bible on the Life Hereafter, Grand Rapids, 1963, p. 188.361 J. PACKER, «Evangelicals and the Way of Salvation: New Challenges to the Gospel-Universalism and Justification by Faith», in Evangelical Affirmations, ed. K.S. Kantzerand Carl F.H. Henry, Grand Rapids, 1990, p. 126.

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Capitolo 19

Strategie aprioristiche La tattica di rigettare una dottrina a priori a motivo del fatto che essaviene insegnata presso minoranze cristiane, è resa visibile attraversoquelli che possono essere definiti atteggiamenti scorretti adottati con-tro studiosi evangelici che ultimamente hanno abbandonato l’interpre-tazione tradizionale dell’inferno, intesa come tormento eterno coscien-te, e hanno adottato la posizione della distruzione eterna. Le tattiche,come abbiamo già notato nell’introduzione, consistono nel diffamarequesti studiosi associandoli ora con i liberali ora con gli avventisti. Ilteologo canadese Clark Pinnock scrive: «Sembra che sia stato scopertoun nuovo criterio per definire la verità, secondo il quale se gli avventi-sti o i liberali difendono una determinata posizione, allora deve esseresicuramente sbagliata. Chiaramente si può vedere che una verità puòessere stabilita in base a un’adesione, e non ha bisogno di essere pro-vata dall’opinione pubblica attraverso un dibattito aperto e franco. Untale argomento, inutile in una discussione intelligente, potrebbe avereun qualche effetto sulle persone meno preparate perché sedotte dallaretorica».362

Malgrado queste tattiche di maltrattamento, l’opinione dell’anni-chilimento infernale sta guadagnando terreno tra gli evangelici. Lapubblica approvazione di quest’opinione da parte di John R. W. Stott,teologo e predicatore britannico, sta sicuramente incoraggiando que-sta tendenza. «In un piacevole brano, pieno di ironia», scrive Pinnock,«sta creando una linea di credito per adesione, offrendo le stesse tatti-che usate contro di esse. È diventato impossibile pretendere che sologli eretici o quanti a essi vicini (come gli avventisti), mantengano que-sta posizione, anche se, sono sicuro, qualcuno rigetterà l’ortodossia diStott precisamente su questo terreno».363

John Stott esprime ansietà sulle conseguenze dirompenti delle suenuove opinioni all’interno della comunità evangelica di cui è sicura-mente un dirigente in prima linea. Egli scrive: «Sono esitante in meri-to alle cose scritte, perché da una parte ho un grande rispetto per la tra-dizione di vecchia data, particolarmente quando afferma come veritàun’interpretazione della Scrittura, e non l’accantono a cuor leggero.Inoltre, l’unità della comunità mondiale evangelica ha sempre avutoun gran significato per me. Ma la questione è troppo importante per

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362 C.H. PINNOCK, Op.cit., p. 161.363 Ibidem, p. 162.

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Distruzione o punizione?

essere soppressa, e le sono grato (scrive a David Edwards) del suo invi-to a rendere noto il mio attuale pensiero. Non credo che la posizione acui sono giunto sia assoluta, ma per il momento la tengo ferma; alzo lamia voce affinché un dialogo schietto, basato sulla Scrittura, possaavvenire tra noi evangelici».364

Ragioni emotive e bibliche hanno portato John Stott ad abbando-nare l’opinione tradizionale dell’inferno e ad adottare l’opinione del-l’annichilimento. Stott scrive: «Emotivamente, io trovo il concetto (del-l’eterno tormento) intollerabile e non capisco come le persone possa-no conviverci senza cautelare i loro sentimenti o soccombere sotto losforzo. Ma le nostre emozioni sono una guida incostante, inattendibiliquanto alla verità e non devono essere esaltate al posto della supremaautorità nel determinarla. Come evangelico impegnato, la mia doman-da deve essere - ed è - non ciò che il mio cuore mi dice, ma, che cosaafferma la parola di Dio? E per rispondere a questa domanda, abbiamobisogno di investigare nuovamente il materiale biblico e di aprire lenostre menti (non solo i nostri cuori) alla possibilità che la Scrittura ciindichi la direzione dell’annichilimento e che l’eterno tormento con-sciente sia una tradizione che debba cedere il passo alla suprema auto-rità della Scrittura».365

Rispondendo alla supplica di Stott di riconsiderare con rinnovatoimpegno l’insegnamento biblico della punizione finale, merita che siriesaminino brevemente la testimonianza dell’Antico e del NuovoTestamento considerando i seguenti punti:

1. La morte è una punizione del peccato?2. Qual è il linguaggio della distruzione? 3. Quali sono le implicazioni morali del tormento eterno? 4. Quali sono le implicazioni giuridiche del tormento eterno? 5. Quali sono le implicazioni cosmologiche del tormento eterno?.

1. La morte è una punizione del peccato? «Il salario del peccato è la morte»L’inizio logico è quello di partire dal principio stabilito nei dueTestamenti: «Chi pecca morirà… la persona che pecca è quella chemorirà» (Ez 18:4,20); «Il salario del peccato è la morte» (Rm 6:23).

La punizione del peccato, naturalmente, comprende non solo la

364 J. STOTT, Op.cit., pp. 319,320.365 Ibidem, pp. 314,315.

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Capitolo 19

prima morte che tutti sperimentano quale risultato del peccatod’Adamo, ma anche quella che la Bibbia chiama «morte seconda» (cfr.Ap 20:14; 21:8). Essa è, come abbiamo già visto al capitolo 17, la mortefinale, irrevocabile, che subiranno i peccatori impenitenti. Questoprincipio di fondo stabilisce la natura della punizione finale visto chefin dall’inizio è dichiarato che il salario del peccato non è il tormentoma la morte eterna.

La morte nella Bibbia, già trattata nei capitoli 11 e 12, è la cessa-zione della vita e non la separazione dell’anima dal corpo. Così la puni-zione del peccato è la cessazione della vita. La morte sarebbe vera-mente la cessazione dell’esistenza se non vi fosse la risurrezione (1 Cor15:18). È la risurrezione che trasforma la morte in un sonno, dall’esse-re la cessazione finale della vita al divenire un sonno temporaneo. Mala morte seconda non sarà seguita da alcuna risurrezione. Essa costi-tuisce la cessazione ultima della vita.

Questa verità fondamentale era chiaramente insegnata nell’An-tico Testamento con il sistema dei sacrifici. La pena per il peccato erasempre e solo la morte di una vittima sostitutiva e mai una tortura pro-lungata o una prigionia a vita della vittima. James D.G. Dunn osserva:«Il modo in cui il peccato veniva affrontato era mediante la morte.L’animale sacrificale, identificato con colui che lo offriva per il propriopeccato, doveva esser distrutto al fine di distruggere il peccato che rap-presentava. Lo spargimento del sangue sacrificale alla presenza di Dioindicava che la vita era interamente distrutta e con essa il peccato e ilpeccatore».366 In altre parole, la consumazione del sacrificio per il pec-cato simboleggiava in modo drammatico la distruzione finale del pec-cato e dei peccatori.

L’eliminazione del peccato e la distruzione dei peccatori eranorivelate attraverso il rituale del giorno dell’espiazione, che simboleg-giava l’esecuzione del giudizio di Dio sui credenti e sui non credenti.

I credenti sinceri erano gli israeliti che, durante l’anno, si eranopentiti dei loro peccati e portavano nel santuario i sacrifici adeguati perla remissione dei peccati; erano coloro che nel giorno dell’espiazionesi riposavano, digiunavano, pregavano, si pentivano e umiliavano i lorocuori davanti a Dio. Al compimento del rito dell’espiazione gli israeliti

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366 J.D.G. DUNN, Paul’s Understanding of the Death of Jesus, in Reconciliation andHope: New Testament Essays on Atonement and Eschatology, Robert Banks ed.,Grand Rapids, 1974, p. 136.

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venivano considerati «purificati da tutti i vostri peccati, davanti alSIGNORE» (Lev 16:30).

I falsi credenti erano quegli israeliti che, durante l’anno, sceglie-vano di peccare apertamente contro Dio (cfr. Lev 20:1,6), non si penti-vano e non portavano al santuario i sacrifici per l’espiazione. Nel gior-no solenne (yom kippur) non smettevano di lavorare, non digiunavano,non pregavano e non esaminavano il loro cuore (cfr. Nm 19:20). Amotivo del loro atteggiamento provocatorio, nel giorno dell’espiazione,venivano «tolti via» dal popolo di Dio. «Poiché ogni persona che non siumilierà in quel giorno sarà tolta via dalla sua gente. E ogni personache in quel giorno farà un lavoro qualsiasi, io la distruggerò dal mezzodel suo popolo» (Lev 23:29,30).367

La «separazione» che avveniva nel giorno dell’espiazione fra gliisraeliti sinceri e quelli falsi, è il simbolo della separazione che avràluogo al secondo avvento. Gesù ha paragonato questa separazione aciò che avviene alla mietitura fra il grano e la zizzania. La zizzania èseminata fra il buon grano, che rappresenta «i figli del regno» (Mt13:38), ed è evidente che Gesù intendeva la sua chiesa. Il grano e la ziz-zania, i credenti sinceri e falsi, coesisteranno nella chiesa fino alla suavenuta. In quel giorno, accadrà la drastica separazione simboleggiatadal giorno dell’espiazione. I malfattori saranno gettati «nella fornaceardente» e i «giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padreloro» (Mt 13:42,43).

Le parabole di Gesù e il rituale del giorno del Signore insegnanola stessa importante verità: i falsi cristiani e quelli sinceri coesisteran-no fino alla sua venuta. Ma, al giudizio dell’avvento, simboleggiato dalgiorno dell’espiazione, quando il peccato e i peccatori saranno persempre sradicati e un nuovo mondo sarà stabilito, avverrà una separa-zione permanente. Come nel rituale tipico del giorno dell’espiazione ipeccatori impenitenti saranno «tolti via» e «distrutti», così, al giudiziofinale, i peccatori «saranno puniti di eterna rovina» (2 Ts 1:9).

La morte di Gesù e la punizione dei peccatoriIn molti modi, la morte di Gesù sulla croce rivela come Dio finalmen-te affronterà il peccato e i peccatori. La morte di Cristo sulla croce

367 Per uno studio sulla tipologia del giorno dell’espiazione e del suo adempimento,cfr. S. BACCHIOCCHI, God’s Festivals. Part 2: The Fall Festivals, Berrien Springs, 1996,pp. 127-205.

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costituisce la suprema manifestazione visibile dell’ira di Dio controtutta l’empietà e l’ingiustizia umana (cfr. Rm 1:8; 2 Cor 5:21; Mc 15:34).Quello che Gesù, il nostro Salvatore senza peccato ha sperimentatosulla croce, non è stata solo la morte fisica comune all’umanità, ma lamorte che i peccatori sperimenteranno al giudizio finale. Ecco perché«cominciò a essere spaventato e angosciato… l’anima mia è oppressada tristezza mortale» (Mc 14:33,34).

Leon Morris sostiene che «non è della morte in quanto tale che egliaveva paura, ma il tipo di morte particolare che stava subendo, quellamorte che è “il salario del peccato” come la descrive Paolo (Rm 6:23),la morte nella quale diveniva uno con i peccatori, condividendo la lorosorte, portando i loro peccati, morendo la loro morte».368

Non c’è da meravigliarsi che Gesù si sentisse abbandonato dalPadre, perché egli sperimentò la morte che spetta ai peccatori al giu-dizio finale. Al momento della sua passione, Gesù ha attraversato unperiodo di atroce agonia culminata nella morte. La sofferenza è dura-ta diverse ore.

«Non c’è nessuna ragione per non prendere questo (la morte diCristo) come modello ed esempio della punizione finale del peccato.Non sbaglieremmo di molto se concludessimo che la sua sofferenza siastata la più dolorosa subita da un peccatore provocatore e responsabi-le (Giuda Iscariota) e che in se stessa sperimentava ogni livello diabbandono. Quando il Signore Gesù è finalmente spirato, è stata resapiena soddisfazione per i peccati di tutto il mondo (1 Gv 2:2), la santalegge di Dio è stata così difesa e tutti i peccati sono stati potenzialmen-te e definitivamente espiati. Se avesse portato la punizione per i nostripeccati, quella punizione non poteva in nessun modo essere la soffe-renza o una miseria eterna e consapevole, visto che non l’ha mai sof-ferta ed è impossibile che potesse sopportarla. I fatti della sofferenza edella morte di Cristo Gesù, quindi, provano una volta per tutte, che lapunizione del peccato, nel suo senso naturale, costituisce la privazionedella vita».369

Alcuni sostengono che la morte di Cristo non possa essere parago-nata con la punizione finale dei peccatori nell’inferno perché Cristocome persona infinita, poteva assorbire la punizione in un solo istante.Al contrario, i peccatori devono patire un tormento eterno perché sono

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368 L. MORRIS, The Cross in the New Testament, Grand Rapids, 1965, p. 47.369 B.F.C. ATKINSON, Op.cit., p. 103.

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esseri finiti. Questa distinzione artificiale tra punizione e vittime «finite»e «infinite» non deriva dalla Scrittura, ma dalle speculazioni medievalibasate sui concetti feudali dell’onore e della giustizia.370 Questa distin-zione che prevede il sommare, il sottrarre, il moltiplicare e il dividere leinfinità, non è altro, matematicamente parlando, che un’assurdità.

Sulla morte di Cristo non ci sono indicazioni bibliche secondo lequali Dio avrebbe sostituito il tormento eterno con una morte lettera-le. Edward White giustamente afferma: «Se si dovesse ammettere cheè a motivo della presenza della divinità che è stata inflitta una punizio-ne con dolori infiniti tramite la sostituzione della maestà infinita con lapovertà di un essere finito, questo non potrebbe essere che “uno svi-luppo teologico ulteriore”, che non trova alcun riscontro nel raccontoautorevole».371

La croce rivela la natura dell’inferno in quanto manifestazione del-l’ira di Dio che si conclude con la morte. Se Gesù non fosse risuscitato,egli stesso - come coloro che si sono addormentati in lui - sarebbe sem-plicemente perito (1 Cor 15:18), e non avrebbe sperimentato il tor-mento dell’inferno. La sua risurrezione assicura che i credenti nondevono temere la morte eterna, perché la morte di Cristo ha suggella-to la morte della morte (cfr. 2 Tm 1:10; Eb 2:14; Ap 20:14).

2. Il linguaggio di distruzione nella Bibbia Nell’Antico TestamentoLa ragione per giungere a credere nell’annichilimento dei perduti algiudizio finale, è data dal vocabolario e dalle immagini di «distruzione»spesso usate sia nell’Antico Testamento sia nel Nuovo per descrivere lasorte degli empi.

Sembra che gli scrittori dell’Antico Testamento abbiano esaurito lerisorse della lingua ebraica per giungere ad affermare la distruzionecompleta dei peccatori impenitenti.

Secondo Basil F.C. Atkinson, 28 sostantivi ebraici e 23 verbi sonogeneralmente tradotti nella Bibbia inglese con «distruzione» o «distrug-gere». Circa la metà di queste parole sono usate per descrivere ladistruzione finale degli empi.372

370 Per un’analisi di questo argomento, vedere E.W. FUDGE, Op.cit., pp. 232-233. 371 E. WHITE, Life of Christ: A Study of the Scripture Doctrine on the Nature of Man, theObject of the Divine Incarnation, and the Condition of Human Immortality, London,1878, p. 241.372 B.F.C. ATKINSON, Op.cit., pp. 85-86.

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Un elenco dettagliato di tutti questi usi porterebbe ben oltre loscopo limitato di questo capitolo, per non dire, poi, che molti lettoripotrebbero trovarlo molto pesante. I lettori interessati possono trovareun’ampio studio di questi passi nei libri di Basil F.C. Atkinson edEdward William Fudge. Merita, tuttavia, che qui se ne considerino i piùsignificativi.

Diversi salmi descrivono la distruzione finale degli empi conimmagini drammatiche (cfr. Sal 1:3,6; 2:9,12; 11:1,7; 34:8,22; 58:6,10;69:22,28; 145:17,20). Nel Salmo 37, per esempio, si legge che gli empi«saranno falciati come il fieno e appassiranno come l’erba verde» (v. 2),«saranno sterminati… l’empio scomparirà; tu osserverai il luogo dovesi trovava ed egli non ci sarà più» (vv. 9, 10), «periranno… saranno con-sumati e andranno in fumo» (v. 20), «ma tutti i malvagi saranno distrut-ti» (v. 38). Il Salmo 1, conosciuto e imparato a memoria da molti, mettein contrasto la via dei giusti con quella degli empi. Di questi ultimi diceche «gli empi non reggeranno davanti al giudizio» (v. 5). Saranno«come pula che il vento disperde» (v. 4); «la via degli empi conduce allarovina» (v. 6). Di nuovo, nel Salmo 145, Davide afferma: «Il SIGNORE pro-tegge tutti quelli che l’amano; ma distruggerà tutti gli empi» (v. 20).Questi riferimenti in merito alla distruzione degli empi, sono in com-pleta armonia con l’insegnamento del resto della Scrittura.

Il giorno del SignoreI profeti annunciano frequentemente la distruzione definitiva degliempi insieme al giorno escatologico del Signore. Nel suo capitolo diapertura, Isaia proclama che «i ribelli e i peccatori andranno in rovinaassieme, e quelli che abbandonano il SIGNORE saranno distrutti» (Is1:28). Il quadro presenta una distruzione totale, ampliata dalle imma-gini di persone che bruciano senza che nessuno possa spegnere ilfuoco: «L’uomo forte sarà come stoppa, e l’opera sua come scintilla;entrambe bruceranno assieme, e non vi sarà chi spenga» (Is 1:31).

Sofonia accumula immagini su immagini per descrivere la distru-zione del giorno del Signore. «Il gran giorno del SIGNORE è vicino; è vici-no e viene in gran fretta; si sente venire il giorno del SIGNORE e il piùvaloroso grida amaramente. Quel giorno è un giorno d’ira, un giornodi sventura e d’angoscia, un giorno di rovina e di desolazione, un gior-no di tenebre e caligine, un giorno di nuvole e di fitta oscurità» (Sof1:14,15,18). Qui il profeta descrive la distruzione del giorno del Signorenel contesto del giudizio storico contro Gerusalemme. Attraverso la

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prospettiva profetica, gli uomini di Dio spesso vedono la punizionefinale come attraverso la trasparenza degli eventi storici imminenti.

Osea, come Sofonia, usa una varietà di immagini per descrivere lafine ultima dei peccatori. «Perciò saranno come la nuvola del mattino,come la rugiada del mattino, che presto scompare, come la pula che ilvento porta via dall’aia, come il fumo che esce dalla finestra» (Os 13:3).Questi paragoni possono difficilmente essere usati per suggerire che ipeccatori soffriranno per sempre. Al contrario, queste immagini sug-geriscono che i peccatori spariranno definitivamente dalla creazione diDio nello stesso modo che la nuvola, la rugiada, la pula e il fumo si dis-perdono sulla faccia della terra.

Nell’ultima pagina dell’Antico Testamento (non della Bibbia ebrai-ca), si trova una descrizione molto vivida del contrasto tra il destinofinale dei credenti e quello dei non credenti. Per i credenti «spunterà ilsole della giustizia, la guarigione sarà nelle sue ali» (Mal 4:2). Ma per inon credenti «il giorno viene, ardente come una fornace; allora tutti isuperbi e tutti i malfattori saranno come stoppia. Il giorno che viene liincendierà, dice il SIGNORE degli eserciti, e non lascerà loro né radicené ramo» (Mal 4:1). Il giorno della punizione finale dei perduti saràanche un giorno di vendetta del popolo di Dio, poiché «voi calpestere-te gli empi, che saranno come cenere sotto la pianta dei vostri piedi,nel giorno che io preparo, dice il SIGNORE degli eserciti» (Mal 4:3).

Non si tratta qui d’interpretare letteralmente questa profezia, inquanto siamo di fronte a simboli, tuttavia il messaggio espresso da que-ste immagini simboliche è chiaro. Mentre i giusti gioiranno nella sal-vezza di Dio, gli empi saranno consumati come «stoppia», non rimarrà«né radice né ramo». Questa è chiaramente un’enunciazione di consu-mazione totale mediante il fuoco, e non un tormento eterno.

Gesù e il linguaggio della distruzioneIl Nuovo Testamento segue da vicino l’Antico nel descrivere la sortedegli empi con parole e immagini che indicano distruzione.

Le parole greche più comuni sono il verbo apollumi (distruggere)e il sostantivo apoleia (distruzione). In più, numerose illustrazioniprese in prestito dalla vita vegetale sono usate per ritrarre la distruzio-ne totale degli empi. Anche Gesù ha fatto uso di diverse figure dellavita inanimata per ritrarre la distruzione totale degli empi.

Egli le ha così accostate: la zizzania, legata in fasci da bruciare(Mt 13:30,40); le piante dannose, sradicate (Mt 15:13); gli alberi che

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non portano frutto, tagliati (Lc 13:7); i tralci secchi bruciati (Gv 15:6). Anche per descrivere la condanna degli empi Gesù ha utilizzato

illustrazioni dalla vita umana: i vignaioli infedeli, distrutti (Lc 20:16); ilservo malvagio, tagliato (Mt 24:51); i galilei che perirono (Lc 13:2, 3);le diciotto persone schiacciate dalla torre di Siloe (Lc 13:4, 5); gli anti-diluviani distrutti dal diluvio (Lc 17:27); gli abitanti di Sodoma eGomorra distrutti dal fuoco (Lc 17:29); i servitori ribelli che furonouccisi al ritorno del loro padrone (Lc 19:14,27).

Tutte queste figure sono lì a indicare la punizione capitale, sia pergli individui sia per la collettività. Tutte significano una morte prece-duta da sofferenze più o meno grandi. Le illustrazioni usate dalSalvatore descrivono in maniera visiva la distruzione finale o la disso-luzione degli empi. Gesù chiese: «Quando verrà il padrone della vigna,che farà a quei vignaiuoli?» (Mt 21:40). E la gente rispose: «Li farà peri-re (apollumi) malamente, quei malvagi» (Mt 21:41).

Gesù ha insegnato la distruzione finale degli empi non solo attra-verso illustrazioni, ma anche attraverso dichiarazioni esplicite. Hadetto: «E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possonouccidere l’anima; temete piuttosto colui (Dio) che può far perire l’ani-ma e il corpo nella geenna» (Mt 10:28).

John Stott afferma giustamente: «Se uccidere significa privare ilcorpo della vita, l’inferno sembrerebbe suggerire la privazione dellavita sia fisica sia spirituale, cioè, l’estinzione dell’essere».373

Nello studio di questo testo nel terzo capitolo, si è notato comeCristo non consideri l’inferno come un luogo di eterno tormento, macome la distruzione permanente dell’intero essere, anima e corpo.Gesù ha spesso contrastato la vita eterna con la morte o la distruzione.«Io do loro la vita eterna, e non periranno mai» (Gv 10:28).

«Entrate per la porta stretta; poiché larga è la porta e spaziosa lavia che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano peressa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, epochi sono quelli che la trovano» (Mt 7:13,14). Qui abbiamo un sempli-ce contrasto fra la vita e la morte. Non c’è nessun motivo scritturale pertorcere la parola «perire» o «distruzione» in modo da significare un tor-mento interminabile.

Abbiamo già visto che Cristo utilizza sette volte l’immagine dellageenna per descrivere la distruzione degli empi nell’ades.

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373 J. STOTT, Op.cit., p. 315.

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Considerando le allusioni di Cristo alla geenna, siamo giunti alla con-clusione che nessuna di esse indichi che l’inferno sia un luogo di tor-mento interminabile. Quello che è eterno o inestinguibile non è lapunizione ma il fuoco che, come nel caso di Sodoma e Gomorra, causala distruzione completa e permanente degli empi, condizione che duraper sempre. Il fuoco è inestinguibile perché non può essere spento fin-ché non ha consumato ogni cosa.

Paolo e il linguaggio di distruzioneIl linguaggio della distruzione è anche usato frequentemente dagliscrittori del Nuovo Testamento per descrivere la condanna degli empi.Parlando dei «nemici della croce», Paolo dice che «la fine dei quali è laperdizione (apoleia)» (Fil 3:19).

Concludendo la sua lettera ai Galati, Paolo dice che: «Chi seminaper la sua carne, mieterà corruzione (phthora) della carne; ma chisemina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna» (Gal 6:8). Ilgiorno del Signore verrà inaspettatamente, «come viene un ladro nellanotte… e allora una rovina improvvisa (olethros) verrà loro (agli empi)addosso» (1 Ts 5:2,3). Alla venuta di Cristo, gli empi «saranno puniti dieterna rovina (olethron)» (2 Ts 1:9).

John Stott dal canto suo afferma: «Sembrerebbe strano che quan-ti stiano soffrendo la distruzione, in realtà non siano distrutti… è diffi-cile immaginare un processo perpetuo di una rovina che non terminamai. Non può essere sostenuto, ritengo, che sia impossibile distrugge-re gli esseri umani perché immortali, in quanto l’immortalità dell’ani-ma - e perciò l’indistruttibilità - è un concetto greco e non biblico.Secondo la Scrittura, soltanto Dio possiede l’immortalità in se stesso(cfr. 1 Tm 1:17; 6:16); egli la garantisce e l’offre attraverso il vangelo(2 Tm 1:10)».374

In Romani 2:6,12 Paolo fornisce una delle descrizioni più chiaredel destino finale dei credenti e dei non credenti. Inizia affermando ilprincipio che Dio «renderà a ciascuno secondo le sue opere» (Rm 2:6).Poi spiega che riceveranno vita eterna «quelli che con perseveranzanel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità; ma ira e indigna-zione a quelli che, per spirito di contesa, invece di ubbidire alla veritàubbidiscono all’ingiustizia. Tribolazione e angoscia sopra ogni uomoche fa il male; sul giudeo prima e poi sul greco» (Rm 2:7,9).

374 Ibidem, p. 316.

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Si noti che «l’immortalità» è il dono di Dio ai fedeli, assegnato allarisurrezione, e non una qualità umana innata. Gli empi non ricevonol’immortalità, ma «indignazione e ira», due parole associate con il giu-dizio finale (cfr. 1 Ts 1:10; Ap 14:10; 16:19; 19:15). Paolo ripete le paro-le e le frasi che si trovano nella descrizione classica di Sofonia del grangiorno del Signore, come «un giorno d’ira… di sventura e d’angoscia»(Sof 1:15). Dio consumerà tutto il mondo con «il fuoco della sua gelo-sia» e «farà una distruzione improvvisa e totale di tutti gli abitanti delpaese» (Sof 1:18).

Questo è molto probabilmente il quadro che Paolo aveva in mentequando parlava della manifestazione «dell’indignazione e ira» di Diosugli empi. Questo è indicato dal versetto seguente dove dice: «Tutticoloro che hanno peccato senza la legge periranno (apolountai) puresenza legge» (Rm 2:12). Paolo contrappone coloro che «periscono» ecoloro che ricevono «l’immortalità». In tutto questo brano, non c’èaccenno all’eterno tormento. L’immortalità è il dono di Dio ai salvati,mentre la corruzione, la distruzione, la morte e il deperimento sono ilsalario del peccato e dei peccatori.

In vista del destino finale che spetta tanto ai credenti quanto ai noncredenti, Paolo spesso parla del primo gruppo come di «coloro che sistanno salvando (hoi sozomenai)» e, del secondo, come di «coloro cheperiscono (hoi apollumenoi)» (cfr. 1 Cor 1:18; 2 Cor 2:15; 4:3;2 Ts 2:10).Anche per Paolo il destino dei non credenti si riassume nella distruzio-ne totale e non nel tormento eterno.

Pietro e il linguaggio di distruzionePietro, come Paolo, utilizza un linguaggio che evoca distruzione perdescrivere la sorte dei non salvati. Egli parla dei falsi dottori che intro-ducono eresie di nascosto e si attirano addosso una «rovina immedia-ta» (2 Pt 2:1). Pietro paragona la loro distruzione a quella del diluvio edelle città di Sodoma e Gomorra che furono ridotte in cenere (2:5,6).Qui, Pietro, afferma che l’estinzione mediante il fuoco di Sodoma eGomorra serve come esempio per la sorte dei perduti.

Pietro ripropone l’esempio della distruzione del mondo al diluvio,affrontando gli schernitori che si beffano della promessa della venutadi Cristo (3:3,7). Ricorda ai lettori che il mondo «di allora, sommersodall’acqua, perì; mentre i cieli e la terra attuali sono conservati dallamedesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e dellaperdizione degli empi» (3:7).

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Il quadro è chiaro: il fuoco che scioglierà gli elementi compiràanche la distruzione degli empi. Questo ricorda la zizzania della para-bola di Cristo che viene arsa nel campo là dove è cresciuta. Pietro allu-de di nuovo alla sorte dei perduti quando dice che Dio «è paziente versodi voi, non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al rav-vedimento» (3:9). Le alternative di Pietro fra ravvedimento e perdizio-ne riconducono all’avviso di Cristo: «Se non vi ravvedete perirete tuttiallo stesso modo» (Lc 13:3). Questo succederà alla venuta del Signorequando «gli elementi si dissolveranno nel fuoco, e la terra e le opereche sono in essa saranno arse» (2 Pt 3:10). Questa descrizione delladistruzione della terra e dei malfattori mediante il fuoco, difficilmentepuò prevedere un tormento senza fine nell’inferno.

Altre allusioni alla distruzione finale degli empiDiverse altre allusioni nel Nuovo Testamento parlano della distruzionefinale dei perduti. Brevemente, ne considereremo alcune.

L’autore dell’epistola agli Ebrei parla ripetutamente contro l’apo-stasia e l’incredulità. Chiunque continua deliberatamente a peccare«dopo aver ricevuto la conoscenza della verità» (Eb 10:26), si troverà difronte a «una terribile attesa del giudizio e l’ardore di un fuoco chedivorerà i ribelli» (v. 27).

L’autore afferma esplicitamente che quanti persistono nel peccarecontro Dio, alla fine sperimenteranno il giudizio di un fuoco ardenteche li «divorerà». Si noti ancora, che la funzione del fuoco è di consu-mare i peccatori, non di tormentarli per tutta l’eternità. Questa verità èricordata in tutta la Bibbia.

Nella sua epistola, Giacomo ammonisce quanti non praticano lafede che professano. Chiede ai credenti di non permettere ai desideripeccaminosi di prendere radici nel cuore, perché «il peccato quando ècompiuto produce la morte» (Gc 1:15). Come Paolo, Giacomo spiegache il salario del peccato è la morte, la cessazione della vita e non l’e-terno tormento. Giacomo parla anche di Dio «che può salvare e perde-re» (4:12). Il contrasto è fra la salvezza e la distruzione. Egli chiude lasua lettera supplicando i credenti di incoraggiarsi reciprocamente,perché «chi avrà riportato indietro un peccatore dall’errore della suavia salverà l’anima del peccatore dalla morte e coprirà una gran quan-tità di peccati» (5:20).

Di nuovo, la salvezza è dalla morte e non dal tormento eterno.Giacomo si riferisce costantemente al risultato del peccato come

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«morte» o «distruzione». Incidentalmente Giacomo parla del salvare«l’anima dalla morte»; vuole significare con questo che l’anima puòmorire in quanto parte dell’intera persona.

Giuda è molto simile a 2 Pietro nella descrizione della sorte deinon credenti. Come Pietro, Giuda indica la distruzione di Sodoma eGomorra «come esempio, portando la pena di un fuoco eterno» (Gd 7).Si è già precendemente notato come il fuoco che ha distrutto le duecittà sia eterno, non a motivo della sua durata, ma per i suoi risultatipermanenti. Giuda chiude l’epistola esortando i lettori a edificarsi nellafede, avendo cura gli uni degli altri. «Abbiate pietà di quelli che sononel dubbio; salvateli, strappandoli dal fuoco» (Gd 22,23).

l fuoco a cui si riferisce è, ovviamente, dello stesso tipo di quelloche ha consumato Sodoma e Gomorra. Il fuoco, dunque, porta gli empialla distruzione totale, come dichiarato da Gesù, Paolo, Pietro,Giacomo, nella lettera agli Ebrei e in tutto l’Antico Testamento.

Il linguaggio della distruzione è presente, specialmente nel librodell’Apocalisse, perché rappresenta il modo di Dio per risolvere l’op-posizione del male contro di sé e contro il suo popolo. Nel capitolo 17abbiamo visto che Giovanni descrive, con vivide immagini la consegnadel diavolo, della bestia, del falso profeta, della morte, dell’ades e ditutti gli empi nello stagno di fuoco. Egli parla di questo come della«morte seconda».

L’espressione «morte seconda», va qui ricordato, era comunemen-te usata per descrivere la morte finale, irrevocabile. Un testo non men-zionato prima è Apocalisse 11:18, dove al suono della settima trombaGiovanni sente i ventiquattro anziani dire: «È arrivato il tempo di giu-dicare i morti… e di distruggere quelli che distruggono la terra». Qui,di nuovo, il risultato del giudizio finale non è la condanna all’eternotormento, ma alla distruzione e all’annichilimento. Dio è severo magiusto e non prende piacere nella morte degli empi, torturandoli pertutta l’eternità. Per questo, punirà ogni malfattore, ma la punizione ter-minerà nell’estinzione eterna e non nell’eterno tormento.

Questa è la differenza fondamentale fra l’insegnamento biblicocirca la punizione finale e la tradizione dell’inferno come luogo di tor-mento e di tortura senza fine; questo concetto è presente in molte reli-gioni pagane.

Il linguaggio di distruzione e l’immagine del fuoco che troviamo intutta la Scrittura, suggerisce che la punizione finale degli empi sarà laloro non esistenza per sempre. Alla luce di questa copiosa testimo-

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nianza biblica, non posso che unirmi a Clark Pinnock quando afferma:«Spero sinceramente che i tradizionalisti la smettano di dire che nonesiste nessun fondamento biblico per sostenere l’annichilimento quan-do, in realtà, è tanto solido quanto convincente».375

Il linguaggio della distruzione è metaforicoI tradizionalisti si oppongono all’interpretazione del linguaggio didistruzione appena presentata, perché sostengono che le parole «peri-re», «distruggere», «consumare», «morte», «ardere», «stagno di fuoco»,«fumo che sale» e «morte seconda», siano spesso usate metaforicamen-te. È vero, ma i loro significati metaforici derivano dai loro significatiletterali, primari. È un principio accettato dall’interpretazione biblicache le parole che appaiono in prosa non allegorica debbano essereinterpretate secondo il loro significato primario, a meno che non vi siaqualche motivo per attribuire loro un significato diverso.

La Scrittura non indica mai che queste parole non debbano essereinterpretate secondo il loro significato ordinario quando vengonoapplicate alla sorte degli empi. Il nostro studio dell’uso di queste paro-le nella Scrittura e nella letteratura extra biblica ha mostrato che essedescrivono una distruzione letterale, permanente degli empi. La visio-ne di Giovanni circa «il fumo del loro tormento» che «sale nei secoli deisecoli» (Ap 14:11) appare nell’Antico Testamento per descrivere ladistruzione completa (Is 34:10) e non il tormento eterno.

Anche lo «stagno di fuoco» è chiaramente definito come la «morteseconda», una frase usata dai giudei per presentare la morte finale,irrevocabile. Incidentalmente, se lo «stagno di fuoco» annulla la mortee l’ades, c’è ragione di credere che difficilmente esso possa conservarei perduti in un tormento cosciente per tutta l’eternità. C’è da augurarsiche i tradizionalisti possano trovare il coraggio di volgersi con maggio-re serenità allo studio dei testi biblici così da vedere come l’infernocomporti la distruzione permanente dei reprobi.

3. Le implicazioni morali del tormento eternoL’opinione tradizionale dell’inferno oggi è criticata non solo sulla basedel linguaggio di distruzione e le immagini del fuoco consumante chesi trovano nella Bibbia, ma anche per considerazioni morali, giuridi-che e cosmiche. A queste dobbiamo ora volgere la nostra attenzione.

375 C.H. PINNOCK, Op. cit., p. 147.

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Capitolo 19

Si tratta di considerare in primo luogo, le implicazioni morali dell’in-terpretazione tradizionale dell’inferno, che trasforma il Signore in untorturatore crudele capace di tormentare gli empi per tutta l’eternità.

Un Dio con due facce? Come può l’opinione tradizionale dell’inferno immaginare Dio comeun eterno, crudele, sadico, torturatore e conciliare questa immaginecon quella rivelata attraverso Gesù Cristo? Dio avrebbe così due facce?È, forse, infinitamente misericordioso da una parte e insaziabilmentecrudele dall’altra? Può Dio amare così tanto i peccatori da dare il suoamato Figlio per salvarli e allo stesso tempo odiare i peccatori impeni-tenti da sottoporli al tormento perenne e crudele? Si può legittima-mente lodare il Signore per la sua bontà, se poi tormentare o fa tor-mentare i peccatori nei secoli dei secoli? Naturalmente, non è affarenostro criticare Dio, ma Dio ha posto in noi una coscienza capace diformulare giudizi morali. Può l’intuito morale che Dio ha messo nellenostre coscienze giustificare la crudeltà insaziabile di una divinità cheesponga i reprobi al tormento senza fine?

Clark Pinnock risponde a questa domanda in maniera molto elo-quente: «C’è un’elevata ripugnanza morale contro la dottrina tradizio-nale della natura dell’inferno. La tortura eterna è intollerabile da unpunto di vista morale perché descrive Dio come un essere che opericome un mostro assetato di sangue, che pianifica un eterno Auschwitzper i suoi nemici ai quali, alla fine, non permette di morire. Com’è pos-sibile amare un Dio così? Suppongo che potremmo esserne intimiditi,ma potremmo amarlo e rispettarlo? Cercheremmo di essere come luiin questa mancanza di misericordia? Sicuramente, l’idea di un eternotormento eleva la questione della malvagità ad altezze impossibili.

Antony Flew aveva ragione nell’obiettare che se i cristiani credes-sero veramente che Dio possa aver creato l’umanità nella piena consa-pevolezza di torturarne poi perennemente alcuni nell’inferno, potreb-bero anche rinunciare a difendere il cristianesimo».376

Pinnock chiede: «Com’è possibile che i cristiani possano immagi-nare una divinità con una simile crudeltà e con un carattere vendicati-vo le cui prospettive includano l’eterna tortura su sue creature, perquanto peccaminose possano essere? Un Dio che agisse in questamaniera sarebbe più simile a Satana che al Dio della Bibbia, almeno

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376 Ibidem, pp. 149-150.

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per qualsiasi norma morale ordinaria e anche per lo stesso vangelo».377

John Hick si esprime così: «L’idea di corpi che brucino per sempree soffrano continuamente l’intenso dolore di bruciature di terzo gradosenza esser consumati e senza perdere coscienza, è tanto fantasiosascientificamente quanto moralmente ripugnante… Il pensiero di untormento deliberatamente inflitto mediante l’ordinanza divina è total-mente incompatibile con l’idea di Dio quale amore infinito».378

L’inferno e l’inquisizioneViene seriamente da chiedersi se il dogma dell’inferno come luogodove Dio brucerà eternamente i peccatori con fuoco e zolfo non possaaver ispirato l’Inquisizione a imprigionare, torturare ed eventualmen-te bruciare al rogo i cosiddetti «eretici» che rifiutavano d’accettare gliinsegnamenti tradizionali della chiesa. I libri di storia della chiesa, ingenere, non stabiliscono un legame tra i due, evidentemente perché gliinquisitori non giustificavano la loro azione sulla base della loro fedenel fuoco infernale per gli empi.

Mi chiedo: che cosa ha spinto papi, vescovi, consigli delle chiese,monaci domenicani e francescani, re e principi cristiani a torturare e aestirpare i cristiani dissidenti come gli albigesi, i valdesi e gli ugonotti?Che cosa ha spinto, per esempio, Calvino e il Consiglio della Città diGinevra a bruciare Serveto sul rogo visto che ha continuato a persiste-re nelle sue credenze anti trinitarie? Una lettura della condanna diServeto, pubblicata il 26 ottobre 1553 dal Consiglio della Città diGinevra, mi fa pensare che quei fanatici calvinisti credevano, come gliinquisitori cattolici, di avere il diritto di bruciare gli eretici allo stessomodo in cui Dio li avrebbe poi bruciati nell’inferno. La sentenza dice:«Noi ti condanniamo, Michele Serveto, a esser legato e condotto alluogo di Champel, lì, poi, a esser legato al rogo ed esser bruciato vivo,unitamente al tuo libro… finché il tuo corpo sia ridotto in cenere. Inquesto modo finirai i tuoi giorni e servirai d’esempio ad altri che desi-derassero commettere la stessa cosa».379

Il giorno seguente, dopo che Serveto ha confutato la condanna pereresia, «il carnefice lo ha legato con catene di ferro al rogo in mezzo afascine, ha messo una corona di foglie coperte di zolfo sul suo capo e

377 C.H. PINNOCK, «The Destruction of the Finally Impenitent», Criswell TheologicalReview 4, n. 2, 1990, p. 247.378 J. HICK, Death and Eternal Life, New York, 1976, pp. 199,201. 379 Citato da P. SCHAFF, History of the Christian Church, Grand Rapids, 1958, vol. 8, p. 782.

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ha legato il suo libro al fianco. La visione della fiammeggiante torciaha fatto sì che da lui uscisse un penetrante grido di “misericordia” nellasua lingua materna. Gli spettatori si sono ritratti con un brivido. Lefiamme presto lo hanno raggiunto e hanno consumato la sua formamortale nel quarantaquattresimo anno della sua spasmodica vita».380

Philip Schaff, esperto di storia della chiesa, conclude il raccontodell’esecuzione di Serveto dicendo: «La coscienza e la pietà di quell’e-poca approvavano l’esecuzione e lasciavano poco spazio per i senti-menti di compassione».381

È difficile credere che non solo i cattolici, ma persino i pii calvini-sti potessero approvare e guardare senza emozione la distruzione conle fiamme di quel medico spagnolo che pure aveva apportato contribu-ti significativi alla scienza medica e tutto questo semplicemente perchénon poteva accettare la divinità di Cristo.

La spiegazione migliore che posso trovare per la cauterizzazionedella coscienza morale cristiana di quel tempo sono i ritratti e gliorrendi racconti del fuoco dell’inferno al quale i cristiani erano costan-temente esposti. Una simile visione dell’inferno forniva la giustifica-zione morale a imitare Dio bruciando gli eretici con il fuoco tempora-neo in vista di quello eterno. È impossibile calcolare l’impatto che ladottrina dell’inferno possa aver avuto attraverso i secoli nella giustifi-cazione dell’intolleranza religiosa, della tortura e dei roghi per gli «ere-tici». La ragione è semplice: se Dio brucerà gli eretici nell’inferno pertutta l’eternità, perché la chiesa non può già bruciarli adesso? Le impli-cazioni e le applicazioni pratiche della dottrina del fuoco letterale sonospaventose. I tradizionalisti devono ponderare questi fatti agghiaccian-ti. Dopo tutto, Gesù ha detto: «Li riconoscerete dai loro frutti» (Mt 7:20).E i frutti della dottrina dell’inferno sono tutt’altro che buoni.

Un collega che ha letto questo manoscritto ha sollevato obiezionicirca il mio tentativo di stabilire una relazione causale fra la fede nel-l’eterno tormento dell’inferno e il sistema posto in essere dall’Inqui-sizione con torture condannando gli «eretici» che si rifiutavano di abiu-rare. A parere di questo collega, l’annichilimento finale degli empimediante il fuoco, non è meno crudele della punizione tramite il fuocoperenne. Il problema con questo ragionamento risiede nel non ricono-scere che una punizione capitale non indurisce o cauterizza la coscien-

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380 Ibidem, p. 785.381 Ibidem, p. 786.

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za cristiana quanto una punizione capitale che causa una sofferenzainfinita. La differenza fra le due può essere così paragonata: una cosaè assistere all’esecuzione istantanea di un criminale sulla sedia elettri-ca, altra cosa è essere testimoni di una operazione dove il criminale inquestione sia soggetto a ricevere scariche elettriche in piena consape-volezza e per tutta l’eternità.

È evidente che nell’assistere a un evento simile per un periodo ditempo indeterminato, una persona verrebbe portata alla pazzia o,quanto meno, verrebbe a cauterizzare la propria coscienza morale. Inmaniera simile, la costante esposizione della gente medievale alladescrizione artistica e letteraria dell’inferno come luogo di assolutoterrore e tormento eterno, può aver incoraggiato anche personalità dispicco ad accettare l’assurda tortura degli «eretici» per mano delleautorità religiose o del braccio secolare che pretendevano di agirequali rappresentanti di Dio su questa terra.

Tentativi di rendere l’inferno più tollerabileNon è sorprendente che durante il corso della storia vi siano stati sva-riati tentativi per rendere l’inferno meno inferno. Agostino, ha sugge-rito l’idea del purgatorio.

Più recentemente, Charles Hodge e Princeton B.B. Warfield, hannotentato di «diminuire» la popolazione dell’inferno proponendo un’esca-tologia post-millenaria che permetta la salvezza automatica dei bam-bini che muoiono in tenera età. Il ragionamento dietro questi tentativisembrerebbe essere questo: se il numero totale di quanti potrebberoessere tormentati risultasse relativamente basso, non vi sarebbe ragio-ne per essere eccessivamente preoccupati. Questo però non risolve ilproblema di ciò che potremmo chiamare la moralità di Dio. Che Dioinfligga tormenti interminabili a un milione o a dieci miliardi di pec-catori, il fatto non cambia: Dio tormenterebbe comunque perenne-mente delle sue creature ribelli.

Altri hanno provato a togliere l’inferno dall’inferno sostituendo iltormento fisico con uno mentale, più sopportabile. Ma, come si è giàdetto sopra, abbassando il quoziente del dolore in un inferno non let-terale la cosa non cambia. L’interpretazione metaforica dell’infernonon ne muta sostanzialmente la natura, dal momento che rimane unluogo di castigo infinito.

In ultima istanza, qualsiasi dottrina dell’inferno deve superare l’e-same morale della coscienza umana, e la dottrina della pena eterna

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Capitolo 19

non può passare la prova. L’annichilimento, d’altra parte, può supera-re la prova per due ragioni. Primo, non vede l’inferno come castigoeterno, ma come estinzione permanente degli empi. Secondo, ricono-sce il fatto che Dio rispetti la libertà di quanti hanno scelto di non esse-re salvati. Dio è moralmente giustificato quando elimina gli empi per-ché rispetta la loro scelta. Dio desidera la salvezza di tutte le persone(cfr. 2 Pt 3:9), ma rispetta la libertà di chi rifiuta la sua offerta di sal-vezza. La punizione finale di Dio degli empi non è un atto di vendettache richieda un tormento eterno, ma razionale, che risulti dal loroannichilimento totale.

Il tempo in cui si vive ha disperatamente bisogno di riscoprire iltimore di Dio, e questa è una ragione sufficiente per predicare il giudi-zio e la punizione finale. È imperativo che le persone vengano messeal corrente che quanti rifiutano i principi di vita di Cristo e la salvezza,alla fine sperimenteranno un giudizio terribile e «saranno puniti dieterna rovina» (2 Ts 1:9).

Un recupero dell’insegnamento biblico della punizione finale scio-glierà le lingue dei predicatori, dal momento che potranno proclama-re la grande alternativa fra la vita eterna e la distruzione permanentesenza il timore di dover presentare Dio come un mostro.

4. Le implicazioni giuridiche del tormento eternoContro la giustiziaL’opinione tradizionale dell’inferno è posta in dubbio anche sulla basedell’opinione biblica della giustizia.

John Stott dice: «Fondamentalmente il principio di giustizia è que-sto: Dio giudicherà le persone “ciascuno secondo le loro opere” (Ap20:12), il che implica che la pena sarà proporzionata al male commes-so. Questo principio è stato applicato nei tribunali giudaici dove le peneerano limitate a una retribuzione esatta, “occhio per occhio, dente perdente, mano per mano, piede per piede” (Es 21:23,25). Non ci sarebbe,allora, una seria sproporzione fra i peccati consciamente commessi neltempo e il tormento consciamente sperimentato attraverso l’eternità?Non attenuo la gravità del peccato quale ribellione contro il nostro Dioe Creatore, mi chiedo se l’eterno tormento consapevole sia compatibi-le con la rivelazione biblica della giustizia divina».382

È difficile immaginare quale tipo di vita, di ribellione possa meri-

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382 J. STOTT, Op.cit., pp. 318-319.

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tare la punizione totale del tormento interminabile e cosciente nell’in-ferno. Come dice John Hicks «la giustizia non può mai chiedere che perpeccati finiti sia inflitta una pena infinita di dolore eterno; un tormen-to interminabile non può avere nessuno scopo positivo o educativo,precisamente perché non finisce mai e rende ogni teodicea cristiana[cioè, la difesa della bontà di Dio in vista della presenza del male],impossibile stabilendo così alla malvagità del peccato e della sofferen-za una dimora eterna all’interno della creazione di Dio».383

La nozione della vendetta senza limiti è estranea alla Bibbia. Lalegislazione mosaica poneva un limite alla punizione che poteva esse-re inflitta per vari tipi di danni ricevuti. Gesù ha posto un limite anco-ra più grande: «Avete sentito che fu detto… ma io vi dico» (Mt 5:38,39).Stando all’etica del Vangelo, è impossibile giustificare l’opinione tradi-zionale del tormento eterno e consapevole, perché una simile penacreerebbe una sproporzione tra i peccati commessi durante una vita ela conseguente punizione che dura per tutta l’eternità.

Un aspetto del problema è questo: in quanto esseri umani, nonpossiamo quantificare la durata dell’eternità. Per noi risulta impossibi-le immaginare cosa significhi veramente l’eterna condanna. Misu-riamo la durata di una vita umana in termini di 60, 70 e in pochi casi80 anni. Ma il tormento eterno significa che, dopo che i peccatoriavranno sofferto nell’inferno per un milione di anni, la loro punizionesarà ancora solo all’inizio. Questo concetto è al di là di ogni compren-sione umana. Alcuni ritengono che se gli empi dovessero essere puni-ti mediante l’annichilimento, risulterebbe «un felice sollievo dallapunizione e per questo non vi sarebbe nemmeno punizione».384

Questo ragionamento è, a dir poco, spaventoso. Esso implica chel’unica giusta punizione che Dio possa infliggere agli ingiusti è quelladi tormentarli eternamente. È difficile credere che la giustizia divinapossa essere soddisfatta solo attraverso l’applicazione della punizionedel castigo eterno.

Il senso della giustizia umana considera la pena di morte come laforma più severa di punizione che possa essere imposta per le offesecapitali, ma sono sempre meno i paesi civili che ricorrono a questa pra-tica barbarica.

383 J. HICK, Op. cit., p. 201.384 H. BUIS, «Everlasting Punishment», The Zondervan Pictorial Encyclopedia of theBible, Grand Rapids, 1978, vol. 4, p. 956.

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Contro il senso della giustizia umanaMaestri della scolastica, come Anselmo, hanno cercato di giustificare lanozione di punizione infinita ritenendo che i peccati commessi control’infinita maestà di Dio meritino una punizione eterna.

Questi ragionamenti potevano essere giustificati solo da una visio-ne verticistica della società (come quella medievale), dove il valoreumano dei servi, relegati alla base della piramide sociale, svaniva aparagone del valore del re, che viveva in cima. Oggi, come indicaPinnock, «non accettiamo ineguaglianze nel giudizio sulla base dell’o-nore della vittima, come se derubare un dottore fosse peggio che deru-bare un mendicante. Il fatto che si pecchi contro un Dio infinito nongiustifica una pena infinita. Nessun giudice ai nostri giorni infliggereb-be una condanna partendo da una scala di onore di coloro che abbia-no subito il torto. I vecchi argomenti per l’inferno come punizione eter-na non funzionano».385

Inoltre, la pena dei dannati non prevede nessun obiettivo positivoed educativo, semplicemente perché punisce i peccatori senza trasfor-marli. Una simile soluzione manifesterebbe soltanto il carattere vendi-cativo di Dio, in contrasto, però con quanto dichiaratamente rivelato daGesù a proposito dell’amore del Padre per i perduti.

Hans Küng coglie nel segno, quando sostiene che i nostri sistemipenali ed educativi siano in fase di graduale abbandono della nozionedi pene che non prevedano l’opportunità di riprova o di riabilitazione:«L’idea non solo di una punizione del corpo e dell’anima che duri unavita, ma che duri addirittura per sempre, sembra per molti esseremostruosa».386 L’opinione tradizionale dell’inferno è basata sul concet-to del contrappasso che richiede ai peccatori di ripagare a Dio tutto ciòche devono e anche di più. Questo modo di vedere descrive Dio comeun giudice severo, sempre esigente e impossibile da soddisfare.L’annichilimento, d’altra parte, descrive Dio come ragionevole e giu-sto. Le persone che rifiutano di ubbidirgli e di accettarne la salvezza, siautocondannano alla distruzione.

Gradazioni di punizioneL’estinzione non esclude la possibilità di livelli di punizione. Il princi-pio dei livelli di responsabilità basati sulla luce ricevuta è insegnato da

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385 C.H. PINNOCK, Op. cit., pp. 152-153.386 H. KÜNG, Eternal Life, Life after Death as a Medical, Philosophical, and TheologicalProblem, New York, 1984, p. 137.

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Cristo in vari luoghi. In Matteo 11:21,22, Cristo dice: «Guai a te,Corazin! Guai a te, Betsaida! Perché se in Tiro e Sidone fossero statefatte le opere potenti compiute tra di voi, già da molto tempo si sareb-bero pentite, con cilicio e cenere. Perciò vi dichiaro che nel giorno delgiudizio la sorte di Tiro e di Sidone sarà più tollerabile della vostra»(cfr. Lc 12:47,48). Gli abitanti di Tiro e Sidone saranno trattati con piùindulgenza nel giudizio finale di quelli di Betsaida, perché hanno avutomeno opportunità di capire la volontà di Dio e cambiare la loro vita.

Cristo allude allo stesso principio nella parabola dei servi fedeli edei servi infedeli: «Ora quel servo che ha conosciuto la volontà del suopadrone e non ha preparato né fatto nulla per compiere la sua volontà,riceverà molte percosse; ma colui che non l’ha conosciuta e ha fattocose degne di castigo, ne riceverà poche. A chi molto è stato dato, moltosarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà» (Lc12:47,48). Nel giudizio finale, ogni persona sarà misurata, non controla stessa norma, ma contro la propria risposta alla luce ricevuta (cfr. Ez3:18,21; 18:2,32; Lc 23:34; Gv 15:22; 1 Tm 1:13; Gc 4:17).

Milioni di persone sono vissute e vivono senza la conoscenza diCristo quale rivelazione suprema e mezzo di salvezza di Dio. Questepersone possono trovare salvezza sulla base della loro risposta a quan-to sanno di Dio. Dio solo può determinare quanto della sua volontà siastata rivelata a ogni persona appartenente a qualsiasi religione.

Nel secondo capitolo della lettera ai Romani, Paolo spiega che«infatti quando gli stranieri, che non hanno legge, adempiono per natu-ra le cose richieste dalla legge, essi, che non hanno legge, sono leggea se stessi; essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto neiloro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loropensieri si accusano o anche si scusano a vicenda. Tutto ciò si vedrà nelgiorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di CristoGesù, secondo il mio vangelo» (vv. 14-16).

È grazie al fatto che Dio ha scritto dei principi morali in ognicoscienza umana, che ogni persona può esser ritenuta responsabile e«non scusabile» (Rm 1:20) nel giudizio finale. Sarà una piacevole sor-presa incontrare fra i redenti dei «pagani» che non hanno mai appresoil messaggio della salvezza attraverso agenti umani. Ellen G. Whiteeloquentemente afferma: «Vi sono dei pagani che nella loro ignoranzaadorano il Signore sebbene degli strumenti umani non abbiano maitrasmesso loro la conoscenza del suo messaggio e saranno salvati. Senon conoscono la legge scritta di Dio, hanno udito la sua voce nella

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natura e l’hanno seguita. La loro condotta attesta che lo Spirito Santoha toccato i loro cuori e testimonia che sono figli di Dio».387

5. Le implicazioni cosmiche del tormento eternoL’obiezione finale alla posizione dell’inferno secondo la tradizione sibasa sul fatto che il castigo eterno non possa prescindere dall’esisten-za eterna di un dualismo cosmico. Il cielo e l’inferno, la felicità e ildolore, il bene e il male, continuerebbero a esistere per sempre l’unoaccanto all’altro. È impossibile riconciliare questo scenario con lavisione profetica di un nuovo mondo in cui non vi sarà più «la morte,né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passa-te» (Ap 21:4). Come si possono dimenticare il grido e il dolore se l’a-gonia e l’angoscia dei perduti sono a vista d’occhio, come nella para-bola del ricco e di Lazzaro? (Lc 16:19,31).

La presenza di milioni di persone che soffrono per sempre in untormento atroce, può solo servire a distruggere la pace e la felicità delnuovo mondo. La nuova creazione finirebbe per essere difettosa dalprimo giorno, dal momento che i peccatori continuerebbero a essereuna realtà eterna nell’universo di Dio in quanto non sarebbe mai«tutto in tutti» (1 Cor 15:28).

John Stott si chiede: «Come può Dio essere pienamente chiamato“tutto in tutti” mentre un numero non specificato di persone continuaancora a ribellarsi contro di lui e contro il suo giudizio? Sarebbe piùfacile mantenere congiunti la terribile realtà dell’inferno e il regnouniversale di Dio, se l’inferno significasse distruzione e gli impeniten-ti non ci fossero più».388

Lo scopo del piano della salvezza è di sradicare completamente lapresenza del peccato e dei peccatori da questo mondo. Solo quando ipeccatori, Satana con i suoi demoni saranno completamente distruttinello stagno di fuoco e sperimenteranno l’estinzione della morteseconda, si potrà veramente dire che la missione di redenzione diCristo ha conseguito la vittoria assoluta. «La vittoria significa che ilmale è tolto via, e non rimane altro che luce e amore. La teoria tradi-zionale del castigo eterno significa che l’ombra delle tenebre pendeper sempre sopra la nuova creazione».389

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387 E.G.WHITE, La speranza dell’uomo, Edizioni ADV, Impruneta, FI, 1998, p. 489.388 J. STOTT , Op. cit., p. 319.389 Idem.

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Volendo riassumere, è possibile affermare che, partendo da unaprospettiva cosmica, l’inferno non fa che ammettere un dualismo eter-no che contraddice la visione profetica del nuovo mondo dove invece,la presenza del peccato e dei peccatori non sono più (Ap 21:1-4).

ConclusioneConcludendo questo studio sulle diverse interpretazioni dell’inferno,è importante ricordare che la dottrina della punizione non è ilVangelo, ma è il risultato del rifiuto del Vangelo. Essa non è assoluta-mente la dottrina più importante della Scrittura, ma sicuramente puòdeterminare un modo di comprendere ciò che la Bibbia insegna inaltre aree vitali come la natura umana, la morte, la salvezza, il carat-tere di Dio, il destino dell’uomo e il mondo futuro.

La definizione tradizionale dell’inferno come tormento eternoimpone che la risposta venga cercata all’interno della Parola di Dio. Sitratta di prendere atto di questo: non è possibile trovare alcun soste-gno biblico. Quello che si è trovato è che i tradizionalisti hanno ten-tato di interpretare il linguaggio e le ricche immagini della distruzio-ne degli empi sulla base delle visioni ellenistiche della natura umanae del dogma ecclesiastico.

Oggi, l’opinione tradizionale dell’inferno è messa in discussionee sempre più abbandonata dagli studiosi appartenenti a diverse deno-minazioni religiose, sulla base di considerazioni bibliche, morali, giu-ridiche e cosmiche. Biblicamente, la pena eterna dei reprobi nega ilprincipio fondamentale che il salario del peccato è la morte, la cessa-zione della vita e non il tormento eterno. Inoltre, le immagini e il riccolinguaggio della distruzione che troviamo in tutta la Bibbia indicanochiaramente che la punizione finale termina nella distruzione e nonnel castigo infinito.

Moralmente, la dottrina dell’eterna tortura è incompatibile con larivelazione biblica dell’amore e della giustizia divina. L’intuizionemorale che Dio ha posto nelle nostre coscienze non potrebbe giustifi-care un’insaziabile crudeltà da parte di un Dio che sottoponga i pec-catori a una punizione interminabile. Un Dio così, appare più comeun mostro assetato di sangue che non come il Padre amorevole rive-latoci da Gesù Cristo.

Giuridicamente, la dottrina del castigo eterno risulta in contrastocon l’insegnamento biblico della giustizia, che richiede una pena pro-porzionata al male commesso. La nozione di vendetta illimitata è

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estranea alla Bibbia. La giustizia non può mai esigere che venga inflit-ta una pena di eterno dolore per i peccati commessi durante il tempodella vita umana, specialmente dal momento che una tale punizionenon consegue alcun risultato pedagogico.

Infine la dottrina dell’eterno tormento ammette e riconosce undualismo cosmico che contraddice la visione profetica di nuovo mondodal quale il peccato e i peccatori sono passati per sempre. Se i pecca-tori sofferenti dovessero rimanere una realtà eterna nel nuovo univer-so di Dio, allora, difficilmente si potrebbe dire che non vi sarà più «morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sonpassate» (Ap 21:4).

La definizione dell’inferno come tormento cosciente è oggi in seriedifficoltà. Le obiezioni a tale opinione sono così forti e il sostegno cosìdebole che sempre più persone la stanno abbandonando, adottandoinvece la nozione della salvezza universale al fine di evitare l’orroresadico dell’inferno. Per recuperare la dottrina biblica del giudizio edella punizione finale degli empi, è importante che i cristiani riesami-nino quello che la Bibbia realmente insegna in merito alla sorte deiperduti.

L’indagine dei dati biblici su questo argomento ha mostrato che gliempi saranno risuscitati per subire il giudizio divino. Questo impliche-rà un’espulsione permanente dalla presenza di Dio in un luogo dovesarà il pianto e lo stridor di denti. Dopo un periodo di sofferenza gliempi saranno consumati senza alcuna speranza di restaurazione o direcupero. La restaurazione finale dei credenti e l’estinzione dei pecca-tori da questo mondo proveranno, allora, che la missione della reden-zione di Cristo è stata vittoriosa. La vittoria di Cristo significa «che lecose di prima sono passate» (Ap 21:4), e solo luce, amore, pace e armo-nia prevarranno di secolo in secolo.

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VI PARTE

IL COMPIMENTO DELLA REDENZIONE

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Introduzione VI parte

Un destino glorioso

Dante Alighieri (1265-1321) è famoso per la sua trilogia su Inferno,Purgatorio e Paradiso nella Divina Commedia. Introducendo la terzacantica, il Paradiso, supplica Apollo, protettore delle Muse, di conce-dere ali al suo spirito poetico affinché guidino la sua immaginazionesui giusti sentieri. Dante sentiva di aver bisogno di un aiuto particola-re per descrivere il paradiso. Dopo tutto, non era molto difficile scri-vere sull’inferno e sul purgatorio perché l’esperienza umana non èlontana dal provare le pene dell’inferno o i tormenti del purgatorio,ma la gioia, il piacere e la beatitudine del paradiso sono, invece, diffi-cili da immaginare.

È con lo stesso senso di insufficienza che ho iniziato a scriverequesta ultima parte. Sono consapevole delle limitate informazionibibliche circa il futuro glorioso che attende il popolo di Dio. Paolo halasciato scritto queste parole: «Le cose che occhio non vide e che orec-chio non udì, e che mai salirono nel cuore dell’uomo, sono quelle cheDio ha preparate per coloro che lo amano» (1 Cor 2:9). Quando i datibiblici sono limitati, è facile cedere alla tentazione di abbandonarsi aspeculazioni senza limiti. Teniamo bene a mente questo pericolomentre esaminiamo alcuni eventi che portano la redenzione al com-pimento finale.

In questa ultima parte prenderemo in esame i quattro eventi dellafine: la seconda venuta in gloria, la risurrezione dei credenti, il giudi-zio e il mondo futuro. L’intento è duplice: definire l’immagine biblicadel compimento della redenzione ed esaminare come questa sia stataoscurata dalla comprensione dualistica della natura umana.

Nella prima parte abbiamo già chiarito il concetto che quello chesi crede a proposito della natura umana serve, in gran parte, a defini-re qual è il destino ultimo dell’uomo. In questa sezione vedremo in

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Introduzione VI parte

che modo il compimento della redenzione sia stato frainteso dallavisione dualistica dell’uomo.

Il dualismo, infatti, ha contribuito alla formazione di malintesi chetuttora sussistono a proposito del secondo avvento, della risurrezione,del giudizio e del mondo futuro. Lo scopo di questo studio non è tantoquello di esporre gli errori del dualismo quanto quello di affermare ilpensiero biblico sugli eventi che conducono al destino glorioso cheattende il popolo di Dio.

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Capitolo 20

Il ritorno di Cristo

Il glorioso ritorno di Cristo rappresenta il compimento della speranzacristiana. Mentre nelle religioni pagane la salvezza è spesso concepitacome un’ascensione umana verso Dio, nella fede biblica, la salvezza sirealizza attraverso la discesa di Dio verso l’umanità. In altre parole, lasperanza cristiana non si fonda su una capacità innata delle animesenza corpo che ascendono a Dio, ma sulla rivelazione di Dio e del suovoler scendere sul nostro pianeta per restaurare il mondo alla sua per-fezione originale. In qualche modo, la Bibbia è la storia dell’avvento, lastoria di Dio sceso per creare, redimere e finalmente, restaurare lacreazione umana e il pianeta.

1. Dualismo contro la speranza cristianaLa fede nella traslazione immediata delle anime individuali dopo lamorte verso uno stato di perfetta beatitudine (il cielo), verso quello diuna punizione perpetua (l’inferno) o verso uno intermedio di purifica-zione (il purgatorio), ha fortemente indebolito l’attesa della venuta diCristo. Non è difficile capire come questa dottrina possa oscurare edeclissare l’attesa del secondo avvento. Se, alla morte, l’anima del cre-dente immediatamente ascende verso il cielo per incontrare il Signoree godere la beatitudine perfetta della comunione con Dio, difficilmentevi può essere un senso di attesa per la venuta del Signore che verrà perrisuscitare i credenti. Per lo più, la parousia può essere consideratacome un’intensificazione della beatitudine celeste per i salvati e dellapena dell’inferno per i non salvati, restituendo un corpo alle anime.

Incontrare Cristo alla morteNel suo libro Christ Among Us, un best seller che presenta il punto divista della fede cattolica, Anthony Wilhelm non dedica alcun capitolo al

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Capitolo 20

secondo avvento. Perché? Semplicemente perché crede che le animedei salvati già alla morte incontrino Cristo. Egli scrive: «È Cristo coluiche incontriamo subito dopo la morte e lo vedremo faccia a faccia, nelmodo più chiaro e più intimo possibile. Colui verso il quale ci siamosforzati di giungere con le nostre preghiere, che abbiamo incontratonei sacramenti, è ora davanti a noi nella pienezza della sua luce, delsuo amore e della sua potenza».390

Questo significa che per il credente, è la morte il momento piùimportante e non il secondo avvento. Wilhelm prosegue: «La mortecostituisce l’apice dell’esperienza della vita. È molto più che una fra-zione di secondo: è un’esperienza. Ci si risveglia nella piena consape-volezza e nella libertà più autentica; si incontra Dio stesso. Tutta lanostra vita è stata spesa solo in vista di questo incontro».391

Questa dottrina contraddice chiaramente l’insegnamento dellaBibbia secondo il quale la speranza cristiana trova il suo adempimen-to nell’incontro con Cristo alla sua gloriosa venuta e non alla morte. Lamorte non è mai presentata nella Bibbia come «l’apice dell’esperienzadella nostra vita». Non sorprende più di tanto che per i cattolici e permolti protestanti, la seconda venuta di Cristo non sia veramente piùnecessaria, perché essi credono di incontrare Cristo alla morte comeanime immortali.

Oscar Cullmann trova un esempio di questo sviluppo dottrinalenella «decisione della Congregazione del Santo Uffizio (29 luglio 1944),secondo la quale la fede nel ritorno visibile di Cristo non è più consi-derata obbligatoria (può essere “non insegnata come certa”)».392

Oltre che essere estraneo alla Scrittura, questo insegnamentoincoraggia i cristiani ad aspirare alla beatitudine individuale e imme-diata dopo la morte e, di conseguenza mette in secondo piano la spe-ranza di una redenzione universale, cosmica e corporativa che si com-pirà alla venuta del Signore. Il risultato finale di questa credenza, comedice Abraham Kuyper, è che «la maggioranza dei cristiani non pensa-no molto oltre la loro propria morte».393

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390 A.J. WILHELM, Christ among Us. A Modern Presentation of the Catholic Faith, NewYork, 1985, p. 417.391 Ibidem, p. 416, 392 O. CULLMANN, Cristo e il Tempo, (trad. B. Ulianich), Il Mulino, Bologna, 1963, p. 178,nota 3.393 Citato da G.C. BERKOUWER, The Return of Christ, Grand Rapids, 1972, p. 34. La stessavisione è espressa da R. F. ALDWINCINCKLE, Death in the Secular City, London, 1972, p. 82.

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Il ritorno di Cristo

L’interesse primario di quanti credono nella sopravvivenza delleloro anime dopo la morte, è quello di raggiungere immediatamente ilparadiso nella forma incorporea. Ciò non lascia tempo né interesse peril secondo avvento del Signore e per la risurrezione del corpo.

Immortalità o risurrezione?La speranza in un’immortalità individuale e immediata scavalca lasperanza biblica della restaurazione finale di questa creazione e dellesue creature (cfr. Rm 8:19,23; 1 Cor 15:24-38). Quando il solo futuroche veramente conti sia la sopravvivenza individuale dopo la morte,l’angoscia dell’umanità può avere solo un interesse periferico e ilvalore della redenzione di Dio per questo mondo intero viene a esse-re fortemente sminuito.

Il concetto della sopravvivenza dell’anima è radicato nella filoso-fia greca. Si è già sottolineato il fatto che per i greci la risurrezione delcorpo era impensabile, in quanto il corpo, cioè materia composta, eradi minor valore quindi indegno di sopravvivere rispetto all’anima, pernatura semplice quindi indivisibile. Nel pensiero biblico, tuttavia, ilcorpo non è la tomba dell’anima, ma il tempio dello Spirito Santo,quindi, degno di essere creato e risuscitato.

«Dalla concezione greca della morte», scrive Oscar Cullmann,«non si poteva che approdare alla dottrina “dell’immortalità dell’ani-ma”. Al contrario, la fede nella risurrezione è possibile solo sulle basibibliche dove… la morte e la vita dopo la morte non costituiscono unprocesso organico, naturale, ma un combattimento fra potenze straor-dinarie. Nella Bibbia, perché la vita risorga dalla morte, è necessarioun miracolo… La speranza nella risurrezione presuppone la fedenella creazione. Siccome Dio è il creatore dei corpi, per questo, nelpensiero biblico, contrariamente al pensiero greco, la risurrezionedeve essere una risurrezione dei corpi».394

Credere nell’immortalità dell’anima significa credere che almenouna parte di sé sia immortale. Una simile fede incoraggia la fiducia inse stessi e nella possibilità che la propria anima ascenda al Signore.Come dice Stephen Travis: «Si pensa tendenzialmente che l’immorta-lità sia una dote naturale dell’uomo, una parte indispensabile del pro-prio essere, piuttosto che un dono della grazia di Dio».395

394 O. CULLMANN, Op. cit. p. 272.395 S.H. TRAVIS, I Believe in the Second Coming of Jesus, Grand Rapids, 1982, p. 171.

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Capitolo 20

D’altra parte, credere nella risurrezione del corpo, significa crede-re non tanto in noi stessi, quanto, piuttosto, credere in Cristo che verràa risuscitare i morti e a trasformare i vivi. La parousia insiste sul com-pimento finale realizzato da un movimento di Cristo che scende versol’umanità piuttosto che delle anime di singoli ascendano verso il nostroSalvatore.

La speranza cristiana non è «bengodi quando muori», ma unincontro reale su questa terra fra i credenti e il Cristo nel giorno glo-rioso della sua apparizione. Il concetto dualistico della natura umanaeclissa e cancella questa grande attesa.

2. Cristo come ritornerà? «Nella medesima maniera...»Il Nuovo Testamento suggerisce che il ritorno di Cristo sarà personale,visibile, improvviso, glorioso e trionfante. Il ritorno di Cristo sarà deci-samente una venuta personale. I discepoli, guardando al Signore men-tre ascendeva al cielo, furono rassicurati da due angeli: «Uomini diGalilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi èstato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima manie-ra in cui lo avete visto andare in cielo» (At 1:11).

Questo passo mostra il Signore risuscitato che è asceso al cielo eche tornerà nella medesima maniera. Il suo ritorno sarà personalecome la sua ascensione. Questo chiaro insegnamento è contestato damolti teologi liberali che interpretano spiritualmente sia l’ascensionesia il secondo avvento. Nel loro modo di vedere, l’ascensione è soltan-to una rappresentazione visionaria del livello più alto dell’esistenza diCristo. Mentre i riferimenti al ritorno di Cristo sono interpretati comeuna manifestazione più grande della sua potenza spirituale in questomondo. Essi sono convinti che Cristo non abbia bisogno di tornare per-sonalmente perché eserciterà un influsso spirituale sempre maggioresu tutta l’umanità. La spiritualizzazione del secondo avvento, smenti-sce le numerose ed esplicite descrizioni del suo ritorno personale.

Paolo dice in Filippesi 3:20,21: «Quanto a noi, la nostra cittadinan-za è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, ilSignore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendoloconforme al corpo della sua gloria». Di nuovo, in 1 Tessalonicesi 4:16,l’apostolo dice: «Perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’ar-cangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo» (cfr. Col 3:4; 1 Cor15:52; Tt 2:13). Passi come questi negano chiaramente l’interpretazio-

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Il ritorno di Cristo

ne spiritualizzata del ritorno di Cristo. È «il Signore stesso» che «discen-derà dal cielo», non la sua potenza.

«Ogni occhio lo vedrà»Il carattere visibile è intimamente legato agli aspetti personali e fisicidella venuta di Cristo. Questo è insito nelle due parole usate per descri-verla, cioè, parousia - venuta, ed epiphaneia - apparizione. Questi ter-mini descrivono non un’esperienza spirituale interiore, invisibile, mapiuttosto un incontro reale con una persona visibile.

In Ebrei è scritto che Cristo «è stato manifestato per annullare ilpeccato con il suo sacrificio… così anche Cristo… apparirà una secon-da volta, senza peccato, a coloro che lo aspettano per la loro salvezza»(Eb 9:26,28). Il confronto suggerisce che la seconda apparizione saràvisibile come la prima.

Gesù stesso non ha nutrito alcun dubbio per quanto riguarda lavisibilità del suo ritorno. Ha messo in guardia i suoi discepoli control’inganno di una venuta segreta paragonandola alla visibilità di unlampo, che «esce da levante e si vede fino a ponente» (Mt 24:26,27).Cristo ha aggiunto: «Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio del-l’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedrannoil Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e glo-ria» (Mt 24:30).

La stessa verità è vivamente espressa con un linguaggio maestosoin Apocalisse 1:7: «Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà;lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terrafaranno lamenti per lui». La nozione di una venuta invisibile di Cristo,percepita solo attraverso l’occhio della fede, e l’idea di una venutasegreta di Cristo per rapire la chiesa dalla terra, come molti credono, èestranea al pensiero biblico.

Giovanni indica la visibilità del ritorno di Cristo quale assicurazionedella nostra trasformazione finale: «Sappiamo che quand’egli sarà mani-festato saremo simili a lui, perché lo vedremo com’egli è» (1 Gv 3:2).

«Verrà come un ladro»Il ritorno di Cristo sarà improvviso e inatteso. Arriverà in modo istan-taneo, come una distruzione imprevista, anzi Gesù lo ha paragonatoalla catastrofe del diluvio: «Come nei giorni prima del diluvio si man-giava e si beveva, si prendeva moglie e s’andava a marito, fino al gior-no in cui Noè entrò nell’arca… così avverrà alla venuta del Figlio del-

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l’uomo» (Mt 24:38,39). Verrà in modo imprevisto come quando un ladroentra in casa: «Ma sappiate questo, che se il padrone di casa sapesse aquale ora della notte il ladro deve venire, veglierebbe e non lascereb-be scassinare la sua casa» (Mt 24:43). A motivo della maniera istanta-nea e inaspettata del ritorno di Cristo, i credenti sono esortati a esserecostantemente pronti: «Perciò, anche voi siate pronti; perché, nell’orache non pensate, il Figlio dell’uomo verrà» (Mt 24:44; cfr. 1 Ts 5:6).

L’evento coglierà di sorpresa il genere umano anche se è statopreannunciato dei segni dei tempi della fine. Come ne ho già discussoaltrove,396 la funzione del segni dei tempi non è di fornire dei prono-stici sensazionali, ma di incoraggiare e di preparare il popolo di Dio. Isegni dei tempi presentati da Cristo e convalidati dagli autori delNuovo Testamento, sono di natura generica perché hanno lo scopo dialimentare la fede e fortificare la speranza dei credenti con l’ausiliodella storia.

«Nella gloria del Padre suo»Il contrasto tra la sua prima venuta, quando Gesù è venuto nel nostromondo come un bambino indifeso in un villaggio di poveri contadini eartigiani, e la seconda venuta, quando ritornerà da vincitore accompa-gnato dalla potenza e dalla gloria di Dio, è stridente. Gesù stessodescrive la sua seconda venuta come una manifestazione visibile euniversale della sua potenza e gloria: «Perché il Figlio dell’uomo verrànella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascu-no secondo l’opera sua» (Mt 16:27).

Paolo, in parte ripete le parole di Cristo nella sua descrizione delsecondo avvento: «Perché il Signore stesso, con un ordine, con voced’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risu-sciteranno i morti in Cristo» (1 Ts 4:16; cfr. Col 3:4; Tt 2:13).

Giovanni, autore dell’Apocalisse, paragona la venuta di Cristo aquella di un cavaliere che cavalca un cavallo bianco abbagliante digloria, seguito dagli eserciti del cielo «vestiti di lino finissimo, bianco epuro», e con il nome «Re dei re e Signore dei signori» scritto «sullaveste e sulla coscia» (Ap 19:11-16).

Forse l’immagine più efficace usata nella Bibbia è quella del suo«venire sulle nuvole». Gesù stesso ha usato quest’immagine quando

396 Cfr. S. BACCHIOCCHI, La speranza dell’avvento, (cap. 7) «La natura e la funzione deisegni dell’avvento», Edizioni ADV, Falciani, 1987, pp. 87-94.

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Il ritorno di Cristo

ha parlato del suo ritorno. Ai discepoli che gli ponevano domande sulmodo della sua venuta, ha risposto: «Allora apparirà nel cielo il segnodel Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordo-glio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo congran potenza e gloria» (Mt 24:30). Durante l’interrogatorio da parte delsommo sacerdote, Cristo ha ammesso: «Anzi vi dico che da ora in poivedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza, e veniresulle nuvole del cielo» (Mt 26:64). Lo stesso linguaggio è usato nellibro dell’Apocalisse: «Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lovedrà» (Ap 1:7).

L’origine di questa descrizione può essere rintracciata già presso iprofeti dell’Antico Testamento, specialmente in Daniele: «Io guardavonelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno similea un figlio dell’uomo… gli furono dati dominio, gloria e regno» (Dn7:13,14; cfr. Gl 2:2; Sof 1:14,18). Perché il ritorno di Cristo è associatocon le nuvole? Il ricco significato delle «nuvole» nella storia biblica sug-gerisce tre possibili ragioni.

a. La venuta di Cristo sulle nuvole suggerisce, prima di tutto, chesarà una manifestazione unica e visibile della potenza e della gloriadivina. Dal momento che le nuvole sono «i carri della gloria di Dio» (Sal104:3) e sono utilizzate da Dio per diffondere la sua gloriosa presenza(Es 24:14,15), esprimono adeguatamente la maestà e lo splendore cheaccompagnerà il ritorno di Cristo.

b. La venuta di Cristo sulle nuvole suggerisce anche l’adempi-mento del patto di Dio nel ricompensare i fedeli e nel punire gli infe-deli. Il patto che Dio ha stabilito con Noè dopo il diluvio mettendo unarcobaleno «nella nuvola» (Gn 9:13), e la guida che Dio ha promessoattraverso la nuvola al popolo che viaggiava attraverso il deserto, saràfinalmente adempiuto quando le nuvole dell’avvento appariranno e icredenti termineranno il loro pellegrinaggio, quando il Salvatore liaccoglierà nella terra promessa del riposo permanente.

c. Le nuvole dell’avvento sono anche minacce di punizione e dimorte per gli increduli. I profeti descrivono la retribuzione del grandegiorno del Signore come «un giorno di nuvole e di fitta oscurità» (cfr.Sof 1:15; Gl 2:2).

Dal primo all’ultimo esodo, le nuvole, nella Bibbia, contengono pro-messe di protezione per i fedeli e un avviso di punizione per gli infede-li. La venuta del Signore sulle nuvole indica, inoltre, la riunione gioiosadi Cristo con i credenti di tutti i secoli. Paolo spiega che i santi risusci-

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tati e trasformati saranno rapiti insieme «sulle nuvole a incontrare ilSignore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore» (1 Ts 4:17).

Qui le nuvole sono viste come l’appuntamento tra il Signore e i cre-denti di tutti i secoli. Esattamente come gli israeliti hanno sperimenta-to la presenza e la potenza divina vivendo «sotto la nuvola» ed essendobattezzati «nella nuvola» (1 Cor 10:1-5), così i redenti sperimenterannola potenza e la presenza di Cristo nel momento del grande appunta-mento sulle nuvole al ritorno glorioso di Cristo. Qui, le nuvole dell’av-vento rappresentano il luogo della trasfigurazione per tutti i credentidove inizia la loro comunione eterna.

Queste caratterizzazioni della venuta di Cristo come personale,visibile, improvvisa, gloriosa e trionfante, devono esser consideratecome fievoli tentativi per descrivere l’evento più sorprendente che gliesseri umani possano immaginare.

3. Lo scopo della venuta di CristoCompletamento della redenzionePerché è necessario che Cristo ritorni? Secondo la Scrittura con la suavenuta giunge a compimento tutto quello che ha avuto inizio con l’in-carnazione di Gesù. La vittoria di Dio sulle potenze del male è effet-tuata mediante due grandi eventi: l’incarnazione e la parousia.

Oscar Cullmann illustra questa doppia vittoria con l’analogia dellavittoria degli alleati sulla Germania nazista.397 I due passi di quella vit-toria sono noti come il D-day e il V-day. Il D-day è stato caratterizzatodallo sbarco in Normandia; gli alleati hanno gettato le teste di ponteche hanno permesso di capovolgere le sorti della guerra. Benché ci fos-sero ancora molti duri combattimenti da affrontare prima della capito-lazione dell’esercito tedesco, nondimeno era stato inflitto il colpo deci-sivo che avrebbe cambiato le sorti della guerra. Il V-day ha rappresen-tato la resa formale dell’esercito tedesco e le celebrazioni che accom-pagnarono la vittoria.

Mediante la sua vita, morte e risurrezione vittoriosa, Cristo hainflitto un colpo decisivo al regno di Satana (D-day). Come dice Paolo,«ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spetta-colo, trionfando su di loro per mezzo della croce» (Col 2:15).

A partire dalla Pentecoste, il vangelo di Dio è stato predicato in tutto

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397 O. CULLMANN, Il mistero della redenzione nella storia, (trad. G. Conte), Il Mulino,Bologna, 1966, p. 52.

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Il ritorno di Cristo

il mondo e un numero sempre crescente di persone è stato liberato daldominio di Satana ed è diventato partecipe del regno di Cristo. BenchéSatana abbia già subito la sconfitta decisiva (alla croce), non è affattodistrutto. Le sue potenze malefiche sono ancora in mezzo a noi. L’odio,la violenza, il crimine, la persecuzione e le guerre, sono ancora unarealtà dolorosa e quotidiana. Per questo è necessario che Cristo ritornie regni «finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi (V-day).L’ultimo nemico che sarà distrutto, sarà la morte» (1 Cor 15:25,26).

I nemici del regno di Dio sono nemici spirituali che influenzano lementi e le azioni umane. La vittoria finale contro queste potenze demo-niache può esser raggiunta solo grazie all’intervento diretto di Dio. Loscopo del ritorno di Cristo è quello di rivelare la sua potenza nascostae di distruggere tutte le forme del male e dei malvagi, per stabilire cosìil suo regno eterno di pace e di giustizia.

Riunione dei credentiIn molte occasioni durante il suo ministero, Cristo ha annunciato chelo scopo primario del suo ritorno sarebbe stato quello di raccoglieretutti i suoi figli redenti (cfr. Mt 24:31; 25:32,34), come il Maestro hadetto «dove sono io siete anche voi» (Gv 14:3). Il fatto che Cristo tengacosì tanto alla nostra compagnia da desiderare di tornare, dovrebbe farsì che i nostri cuori esultino di gioia al pensiero di essere con lui. Ilritorno di Cristo è collegato alla riunione dei credenti, che Paolo puòannunciare «circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostroincontro con lui» (2 Ts 2:1).

È impossibile immaginare quanto possa essere grande l’assembleadei riscattati, quando i salvati di tutti i secoli saranno radunati intornoal Salvatore. Come Cristo ha mandato i suoi seguaci a testimoniare«fino all’estremità della terra» (At 1:8), così manderà i suoi angeli a«raccogliere i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremo della terra all’e-stremo del cielo» (Mc 13:27). Nessun credente sarà lasciato. In occa-sione della visita di un capo di stato, solo poche persone possono farparte del comitato di ricevimento. Alla venuta di Cristo, ogni credente,giovane o vecchio, colto o semplice, ricco o povero, nero o bianco, par-teciperà alla grande celebrazione dell’avvento.

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Capitolo 21

La risurrezione dei credenti

L’assemblea universale di tutti i credenti sarà resa possibile al ritornodi Cristo da due eventi principali: la risurrezione dei santi e la trasfor-mazione dei viventi. Quest’ultima è generalmente nota come la «tras-lazione». L’uso del vocabolo «traslazione» non è corretto, visto che tantoi credenti morti quanto quelli viventi saranno traslati, cioè trasportatidalla terra al cielo. Nondimeno, qui il termine «traslazione» viene uti-lizzato secondo l’accezione teologica accettata: la trasformazione deisanti viventi. La risurrezione dei credenti avverrà al momento delritorno di Cristo, chiamato anche «l’ultimo giorno» (Gv 6:39,40,44,54).Paolo spiega: «Come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristosaranno tutti vivificati ma ciascuno al suo turno: Cristo, la primizia; poiquelli che sono di Cristo, alla sua venuta» (1 Cor 15:22,23; cfr. Fil 3:20,21;1 Ts 4:16).

Paolo insiste dicendo che tanto la risurrezione di tutti i santi«addormentati» quanto la traslazione di tutti i credenti viventi, avrannoluogo congiuntamente allo stesso momento, alla venuta di Cristo:«Perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo e con latromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti inCristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme conloro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sem-pre con il Signore» (1 Ts 4:16,17).

1. La risurrezione dei non credentiChe cosa accadrà ai non credenti? Saranno anche loro risuscitati?Quando? Paolo, nelle sue epistole, non fa nessun riferimento alla risur-rezione dei non credenti, benché Luca riporti il suo insegnamento inAtti 24:15, «ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti». La ragio-ne del silenzio di Paolo è semplicemente dovuta al fatto che la risurre-

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Capitolo 21

zione dei non credenti non era un problema sollevato dai suoi interlo-cutori. Comunque, la Bibbia non tace su questo punto. Il riferimentopiù esplicito nell’Antico Testamento alla risurrezione di credenti e noncredenti, si trova in Daniele 12:2: «Molti di quelli che dormono nellapolvere della terra si risveglieranno; gli uni per la vita eterna, gli altriper la vergogna e per una eterna infamia».

Nel Nuovo Testamento, la risurrezione è rappresentata in alcuneparabole dove si parla di una separazione finale dei malfattori dai giu-sti (cfr. Mt 13:41,43,49,50; 25:31,46). L’affermazione più esplicita sitrova nel vangelo di Giovanni, dove Gesù dice: «Non vi meravigliate diquesto; perché l’ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombeudranno la sua voce e ne verranno fuori; quelli che hanno operatobene, in risurrezione di vita; quelli che hanno operato male, in risur-rezione di giudizio» (Gv 5:28,29).

I tre testi citati (At 24:15; Dn 12:2; Gv 5:28,29) sembrano suggerireche la risurrezione dei giusti e degli ingiusti avrà luogo contempora-neamente; Apocalisse 20 suggerisce che vi saranno due risurrezioniseparate. La risurrezione dei credenti avviene prima, alla secondavenuta di Cristo e il risultato sarà la vita: «Beato e santo è colui che par-tecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morte secon-da, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui queimille anni» (Ap 20:6). La seconda risurrezione, quella dei non credenti,avviene alla fine del millennio e ne consegue la condanna e la secondamorte: «E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu get-tato nello stagno di fuoco… Questa è la morte seconda» (Ap 20:15,14).

Le due fasiPer uno studioso, i brani che parlano della risurrezione dei credenti edei non credenti, e il riferimento dell’Apocalisse alle due risurrezioniseparate da mille anni, sembrano una palese contraddizione. Questaapparente contraddizione non ha però disturbato gli scrittori dellaBibbia, in quanto per essi la realtà della risurrezione era più impor-tante della sua modalità. Questo perché la maggior parte dei richiamialla risurrezione fa riferimento al fatto piuttosto che alle sue fasi.

Due risurrezioni L’insegnamento di due distinte risurrezioni costituisce un aspetto piut-tosto singolare del premillenarismo, cioè la risurrezione dei credentiche avviene prima del millennio. Gli avventisti, infatti, con altre deno-

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minazioni, credono che la risurrezione dei giusti e la traslazione deicredenti viventi, avvengano in un medesimo momento, all’inizio delmillennio, quando Cristo ritornerà in modo personale, visibile e glo-rioso. I non credenti in quel momento viventi verranno distrutti, men-tre gli empi già deceduti rimarranno nelle tombe fino alla secondarisurrezione che avverrà alla fine del millennio.

Durante il millennio i redenti saranno in cielo, mentre Satana saràisolato su questa terra rimasta desolata. Alla fine dei mille anni, gliempi risusciteranno. Questo evento permetterà a Satana di compierel’ultimo tentativo per ottenere il controllo di questo mondo nel momen-to in cui i redenti discenderanno su questa terra. Dio, comunque, met-terà a effetto il giudizio sugli empi, distruggendoli per sempre, questaè la morte seconda (Ap 20:13,15). Dopo tutto questo, Dio ricreerà que-sta terra, e i redenti l’abiteranno per sempre.

Confrontata con altre posizioni, l’interpretazione avventista risultapiù aderente alla Scrittura. Non vi sono tre o quattro risurrezioni, comesostengono alcuni dispensazionalisti, ma solo due: una per i credenti euna per i non credenti. Questo significa che i giusti risuscitano e rice-vono la ricompensa nello stesso momento, così tutti gli empi risuscita-no e ricevono la condanna nello stesso momento.398

Non c’è confusione tra chi vive sulla terra e chi vive nel cielodurante il millennio. Non c’è divisione tra un regno millenario giudai-co sulla terra e un regno cristiano nel cielo. C’è un solo regno di Dioche ingloba i credenti di tutti i secoli.

2. La risurrezione del corpoQuale tipo di corpo riceveranno i credenti alla risurrezione? Sarà ilcorpo risuscitato ricongiunto con le anime di coloro che sono morti?Sarà un corpo fisico o spirituale? Sarà simile o radicalmente diverso daquello presente? Come sarà conservata la nostra identità personale?Quanti anni avranno i miei genitori? Prima ditentare di rispondere aqueste domande, si devono considerare, anche se brevemente, le duemaggiori obiezioni mosse contro la dottrina della risurrezione delcorpo. Queste provengono, da una parte, dal dualismo filosofico, dal-l’altra, dal materialismo «scientifico».

398 Gli avventisti credono che alla venuta di Cristo avrà luogo anche una «risurrezio-ne speciale» di alcuni oppositori dell’opera di Dio. Questo insegnamento si fonda inprimo luogo su Apocalisse 1:7 che dice che «anche coloro che lo hanno crocifisso»vedranno la gloriosa venuta di Cristo (cfr. Dn 12:2).

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Obiezioni alla risurrezioneIl dualismo filosofico greco vedeva l’esistenza fisica come qualcosa dimalvagio in sé e, quindi, da sopprimere. La salvezza era vista come laliberazione dell’anima dalla prigionia del corpo. Apparentemente que-sto concetto dualistico della natura umana ha influenzato alcuni cri-stiani di Corinto a tal punto da giungere a scartare la dottrina dellarisurrezione. Questo lo si desume dalla domanda di Paolo: «Come maialcuni tra voi dicono che non c’è risurrezione dei morti?» (1 Cor 15:12).

«Possiamo solo supporre» scrive Antony Hoekema «che questofosse dovuto all’influsso del pensiero greco che insegnava l’immortali-tà dell’anima e negava la risurrezione del corpo. Paolo risponde a que-sto errore, indicando che chi accetta la risurrezione di Cristo, non puònegare la risurrezione dei credenti».399

Il dualismo filosofico ha pesantemente influenzato il pensiero cri-stiano. Nel primo cristianesimo, gli gnostici negavano la risurrezionedel corpo perché, come dice J.N.D. Kelly: «La materia è intrinseca-mente malvagia, non può partecipare alla salvezza, perché è privilegiodell’anima; e così, se di risurrezione si deve parlare, essa deve essereesclusivamente spirituale, consistente nell’illuminazione della menteda parte della verità».400

Nel nostro tempo, il dualismo ha condotto molti cristiani a rifiuta-re la nozione di una risurrezione fisica del corpo perché essa perpe-tuerebbe l’esistenza materiale presente che, in se stessa, è malvagia.Così, molti credono che alla risurrezione i redenti riceveranno corpinon fisici, ma spirituali.

La debolezza di questo ragionamento è basata sul presuppostodualistico che la materia in sé sia malvagia e debba essere distrutta.Questo insegnamento è screditato dai passi biblici che insegnano chela materia, incluso il corpo umano, è parte integrante della creazionedi Dio, definita «molto buona» (Gn 1:4,10,12,18,21,25,31). Il salmistadichiara: «Sei tu che hai formato le mie reni, che mi hai intessuto nelseno di mia madre. Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo stu-pendo. Meravigliose sono le tue opere, e l’anima mia lo sa molto bene.»(Sal 139:13, 14). Va qui notato che alla risurrezione, il corpo è definitoda Paolo «spirituale», non perché sarà etereo, ma perché sarà guidatodallo Spirito Santo.

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399 A.A. HOEKEMA, The Bible and the Future, Grand Rapids, 1979, p. 247.400 J.N. D. KELLY, Early Christian Doctrines, New York, 1960, p. 467.

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Materialismo «scientifico»Il materialismo scientifico vede la materia come unica realtà finale.Siccome si vive in un corpo material, prodotto dal caso piuttosto che dauna scelta, quando giunge la morte, finisce ogni cosa. I credentiinfluenzati da questo postulato rifiutano qualsiasi nozione di risurre-zione del corpo.

Essi ritengono che l’immortalità sia costituita da un lato dall’in-flusso che si esercita sugli altri e, dall’altro, attraverso le caratteristicheereditarie che si è in grado di trasmettere ai posteri. Quest’opinionenega non solo l’insegnamento della Bibbia, ma anche il desiderio fon-damentale del cuore umano.

In un’epoca dove la scienza subatomica regna sovrana, non èimpossibile credere che lo stesso Dio che ha chiamato il mondo all’e-sistenza non continui a controllarne le particelle infinitesimali.Credere nella risurrezione del corpo significa credere che Dio esercitail proprio controllo su tutte le cose, incluso il nostro essere.

Il fatto della risurrezioneLa fede cristiana nella risurrezione del corpo non deriva da specula-zioni filosofiche o da pensieri fantasiosi come quello della nozione del-l’immortalità dell’anima, ma dal convincimento che un tale evento siarealmente già accaduto con la risurrezione di Cristo dai morti. Siccomeil Figlio dell’uomo è il rappresentante di tutta l’umanità, ciò che gli èavvenuto, non è altro che il paradigma di quello che accadrà a ognicredente. Siccome Cristo è risorto corporalmente dalla tomba, così, siha ragione di credere che anche noi risorgeremo nella medesimamaniera. Gesù è giustamente chiamato «il primogenito dai morti» (Col1:18), perché, come si esprime George Eldon Ladd: «Egli è a capo di unnuovo ordine d’esistenza – la vita della risurrezione».401

Il fatto della risurrezione di Cristo ha reso la risurrezione dei cre-denti una certezza perché Cristo ha riportato la vittoria sulla morte. Ilcarattere escatologico della risurrezione di Gesù è evidente nelladichiarazione di Paolo quando afferma che egli è «la primizia di quelliche sono morti» (1 Cor 15:20).

L’espressione «primizia» significa poco per i cittadini urbanizzatidei nostri giorni. Ai tempi biblici essa aveva un ricco significato inquanto si riferiva ai primi frutti della raccolta che venivano offerti a Dio

401 G.E. LADD, The Last Things, Grand Rapids,1979, p.79.

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per avere ancora una volta provveduto a un nuovo raccolto. Quindi, iprimi frutti che venivano portati al tempio, erano visti non solo come lasperanza in un nuovo raccolto, ma come il suo reale avvio. La risurre-zione di Cristo, allora, costituisce «i primi frutti», nel senso che ha resola risurrezione dei credenti non solo una possibilità, ma una certezza.

1 Corinzi 15 propone il discorso più completo intorno alla risurre-zione del corpo. Qui Paolo spiega a chiare lettere quanto la nostrarisurrezione dipenda da quella di Cristo. «Se Cristo non è risuscitatovana è dunque la nostra predicazione e vana è pure la vostra fede. Noisiamo anche trovati falsi testimoni di Dio… Se Cristo non è stato risu-scitato, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Anchequelli che sono morti in Cristo sono quindi periti» (1 Cor 15:14,17,18).

Questa è un’affermazione che colpisce. Negare la risurrezione diCristo significa distruggere la nostra fede in Dio e nella sua promessa dirisuscitarci al ritorno di Cristo. La ragione è semplice: mediante la suarisurrezione Cristo ha vinto la morte per tutti coloro che lo seguono.

3. Le caratteristiche del corpo della risurrezioneChe tipo di corpo riceveranno al ritorno di Cristo i credenti risorti o tra-sformati? Intorno al quesito posto dai corinzi, Paolo dice: «Ma qualcu-no dirà: “Come risuscitano i morti? E con quale corpo ritornano?”Insensato, quello che tu semini non è vivificato, se prima non muore; equanto a ciò che tu semini, non semini il corpo che deve nascere, maun granello nudo, di frumento per esempio, o di qualche altro seme; eDio gli dà un corpo come lo ha stabilito; a ogni seme, il proprio corpo»(1 Cor 15:35-38).

Attraverso l’analogia del seme, Paolo spiega la continuità e la di-scontinuità che esiste fra il nostro corpo fisico attuale e il futuro corpodella risurrezione. La continuità è stabilita dalla relazione tra il seme ela nuova pianta che da esso germoglia. La discontinuità è vista nellaloro differenza. Paolo sta dicendo: Dio dà un corpo a ogni tipo di semeche è seminato, così offrirà un corpo a ogni persona che è sepolta. Ilfatto che i corpi defunti siano sepolti come i semi nella terra, potrebbeaver suggerito a Paolo l’analogia del seme.

Paolo sviluppa ulteriormente l’analogia della semina e della mieti-tura per far sembrare la cosa più vicina a una descrizione del corpodella risurrezione: «Così è pure della risurrezione dei morti. Il corpo èseminato corruttibile e risuscita incorruttibile; è seminato ignobile erisuscita glorioso; è seminato debole e risuscita potente; è seminato

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corpo naturale e risuscita corpo spirituale. Se c’è un corpo naturale, c’èanche un corpo spirituale» (1 Cor 15:42-44).

Quattro contrastiIn 1 Corinzi 15:42,44, Paolo spiega la differenza fra il nostro corpo pre-sente e il corpo della risurrezione mediante quattro contrasti.

- I nostri corpi presenti sono deperibili (phtora) - soggetti allamalattia e alla morte - ma i nostri corpi risuscitati saranno indistrutti-bili (aphtharsia) - non più soggetti alla malattia e alla morte.

- I nostri corpi sperimentano il disonore d’essere abbassati in unatomba, ma i nostri corpi risuscitati sperimenteranno la gloria di unatrasformazione interiore ed esteriore.

- I nostri corpi sono deboli, si stancano facilmente e si esauriscono,ma i corpi risuscitati saranno pieni di forza, perché verrà loro conferi-ta un’energia illimitata che permetterà di raggiungere tutti gli obiettivi.

- I nostri corpi presenti sono fisici (sôma psychikon), ma i nostricorpi risuscitati saranno spirituali (sôma pneumatikon). Quest’ultimocontrasto ha condotto molti a credere che il corpo della risurrezionesarà «spirituale» nel senso che sarà privo di ogni sostanza fisica.«Spirituale» deve essere compreso come l’opposto di «fisico».

Il corpo «spirituale»Paolo credeva forse che i credenti, al secondo avvento, avrebbero rice-vuto un corpo immateriale, totalmente privo di sostanza fisica? Questaè l’interpretazione di alcuni studiosi. Essi definiscono il «corpo spiritua-le» (sôma pneumatikon) come se significasse «composto di spirito»,come se lo «spirito fosse una sostanza celeste ed eterea».402 Secondoquesto modo di vedere, lo «spirito» sarebbe la sostanza e il «corpo»sarebbe la forma del corpo risuscitato. Nel suo libro Raised Immortal:Resurrection and Immortality in the New Testament, Murray Harris defi-nisce il corpo spirituale così: «Il corpo spirituale è l’organo della comu-nicazione della persona risuscitata con il mondo celeste. È una formasomatica che corrisponde pienamente allo spirito perfezionato del cri-stiano e perfettamente adattata all’ambiente celeste».403

402 Cfr. W.D. DAVIES, Paul and Rabbinic Judaism, New York, 1955, pp. 183,308; R. KABISCH, Die Eschatologie des Paulus, Göttingen, 1893, pp. 113,188,206,269; R. BULTMANN, Theology of the New Testament, London, 1952, vol. 1, p. 198.403 M.J. HARRIS, Raised Immortal. Resurrection and Immortality in the New Testament,London, 1986, p. 121.

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La definizione di Harris del «corpo spirituale» quale organo adat-tato per «l’ambiente celeste», è basata sull’idea comune che i redentitrascorreranno l’eternità nel cielo e non sulla terra. Siccome si credeche il cielo sia un luogo «spirituale», i redenti devono avere un «corpospirituale» adatto all’ambiente del cielo.

Questa convinzione si basa sull’ipotesi che Dio condannerà questaterra alla desolazione eterna e creerà, invece, un nuovo mondo «cele-ste» per la dimora dei santi. Questa congettura fa sorgere seri quesitiintorno alla sapienza divina nell’aver creato questo pianeta per soste-nervi la vita umana e subumana. Dopo l’atto creativo, solo in un secon-do momento, Dio avrebbe compreso che questo pianeta non potevaessere considerato il soggiorno ideale ed eterno per i redenti. Per risol-vere il problema, Dio creerebbe un «pianeta celeste» e fornirebbe isanti risuscitati con «corpi spirituali» adatti per l’ambiente celeste.Questa visione si ispira più al dualismo greco che al realismo biblico.Bisogna riconoscere che il linguaggio di Paolo in questo brano, se nonè inserito nel contesto più ampio dei suoi scritti, può indurre il lettorea credere in un’esistenza non materiale del corpo risuscitato. Un’ideasimile viene a mancare di fondamento se si considera il confronto trala risurrezione di Cristo e quella dei credenti (Col 1:18; 1 Cor 15:20). SeCristo è la «primizia di coloro che si sono addormentati» (1 Cor 15:20),allora i credenti risuscitati avranno corpi simili a quello di Cristo. Ilparagone non è esagerato visto che alla sua risurrezione, Cristo si èriappropriato delle qualità divine che aveva messo da parte durante iltempo dell’incarnazione (Fil 2:7). Eppure rimane il fatto che il corporisuscitato di Cristo fosse certamente fisico, dal momento che è statotoccato (Gv 20:17,27) e che si è alimentato (Lc 24:41,43).

Guidati dallo SpiritoÈ interessante considerare l’uso che Paolo fa nella medesima epistoladelle due parole «naturale» (psychikos) e «spirituale» (pneumatikos):«Ma l’uomo naturale (psychikos) non riceve le cose dello Spirito diDio, perché esse sono pazzia per lui; e non le può conoscere, perchédevono essere giudicate spiritualmente. L’uomo spirituale (pneumati-kos), invece, giudica ogni cosa ed egli stesso non è giudicato da nes-suno» (1 Cor 2:14,15).

È ovvio che l’uomo spirituale in questo passo non sia una personanon fisica, ma qualcuno che è guidato dallo Spirito Santo, in contrastocon qualcuno che è guidato dagli impulsi naturali. Similmente, il corpo

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«naturale» descritto in 1 Corinzi 15:44 è quello soggetto alla legge delpeccato e della morte, mentre il corpo della risurrezione è quello chesarà guidato dallo Spirito Santo. Il corpo risuscitato è chiamato «spiri-tuale» perché non è governato da impulsi carnali, ma dallo SpiritoSanto. Questo non è un dualismo antropologico tra la «natura» e lo «spi-rito», ma una distinzione morale fra la vita condotta dallo Spirito Santoe quella, invece, controllata dai desideri peccaminosi.

Antony Hoekema così analizza questo punto: «Qui spirituale (pneu-matikos) non significa immateriale. Piuttosto, significa qualcuno che èguidato, almeno in linea di principio, dallo Spirito Santo, distinguendo-si così da qualcuno che è semplicemente guidato dagli impulsi natura-li. In modo analogo, il corpo naturale descritto in 1 Corinzi 15:44, èquello che partecipa all’esistenza presente, maledetta dal peccato; mail corpo spirituale della risurrezione è quello che sarà totalmente e nonsolo parzialmente guidato e diretto dallo Spirito Santo».404

Questa visione permette di comprendere l’affermazione paolinaespressa qualche versetto dopo: «Carne e sangue non possono eredita-re il regno di Dio, né i corpi che si decompongono possono ereditarel’incorruttibilità» (1 Cor 15:50). È evidente che Paolo non sta sostenen-do che il corpo risuscitato sarebbe non fisico, perché, scrivendo aiRomani, dice: «Ma non siete nella carne, siete nello Spirito, se lo Spiritodi Dio abita veramente in voi» (Rm 8:9).

Con l’espressione «non essere nella carne», Paolo non intende direche i credenti guidati dallo Spirito Santo abbiano già abbandonato ilproprio corpo. Ma vuole sottolineare che, già nella vita presente, essisono guidati da valori spirituali (cfr. Rm 8:4-8). Se Paolo, già nella vitapresente, considera i credenti come persone non «carnali», l’assenza di«carne e sangue» nel regno di Dio, non può significare assenza di uncorpo fisico, ma semplicemente assenza delle limitazioni naturali, car-nali e delle inclinazioni peccaminose della vita presente, perché iredenti saranno guidati completamente dallo Spirito.

G.C. Berkouwer espone così il proprio pensiero: «Il “corpo spiri-tuale” non ha nulla a che vedere con ciò che a volte chiamiamo “spiri-tualizzare”. “Spiritualizzare” presuppone sempre un dualismo, il qualeporta in sé una svalutazione del corpo e questo non si trova da nessu-na parte negli insegnamenti di Paolo. Egli parla del corpo “controllatodallo pneuma (spirito)”. Questo Spirito è già all’opera all’interno del

404 A.A. HOEKEMA, Op. cit., p. 250.

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corpo dell’uomo, ma solo alla risurrezione governerà completamentela sua vita… Questa transizione non squalifica il corpo, ma indica unarottura. Questa rottura non è fra l’essere perduto del corpo e la libera-zione dell’anima da esso, perché lo Spirito di Dio già vive nell’esisten-za concreta e terrena dell’uomo».405 Berkouwer continua dicendo chela divisione avverrà fra corpi corruttibili e incorruttibili.406

Il corpo non è malvagio in séSe, al secondo avvento, Dio dovesse mutare i nostri corpi attuali incorpi immateriali, allora, come dice Antony A. Hoekema, «il diavoloavrebbe ottenuto una grande vittoria, dal momento che Dio si vedreb-be costretto a cambiare gli esseri umani con un corpo che egli ha crea-to, in creature di tipo diverso, senza corpi fisici (come gli angeli).Allora, davvero, potrebbe sembrare che la materia diventi malvagia insé al punto da essere eliminata. E dunque, in un certo senso, i filosofigreci avrebbero ragione. La materia non è malvagia in sé, ma fa partedella creazione di Dio, definita “molto buona”».407

Nel racconto della creazione, Dio esprime per ben sette volte lapropria soddisfazione in merito alla perfezione della creazione mate-riale dicendo che «era buona» (Gn 1:4, 10, 12, 18, 21, 25, 31). Nel setti-mo giorno, poi, si è riposato per riconoscere il completamento dellacreazione perfetta (Gn 2:1-3). Per celebrare la buona notizia della per-fetta creazione, della completa redenzione e della restaurazione finaledel mondo, Dio ha istituito il sabato (Es 20:11; Dt 5:15; Lc 4:16:21;13:10-13; Eb 4:9). Il settimo giorno celebra queste notizie meravigliosee gioiose e trovo impossibile concepire che alla fine Dio possa cambia-re la struttura e la composizione del corpo umano.

Se il corpo della redenzione dovesse essere radicalmente diversodal corpo della creazione, allora Dio dovrebbe ammettere che il dise-gno originale del corpo umano era in qualche modo lacunoso, che ilmodello genesiaco, maschi e femmine, non rifletterebbe adeguata-mente l’immagine di Dio (cfr. Gn 1:27).

Per risolvere tutto questo, Dio si vedrebbe costretto a creare unnuovo tipo di esseri umani. Questo ragionamento sarebbe, a dir poco,assurdo, per chiunque creda nell’onniscienza e nell’immutabilità diDio. Cambiare modelli e strutture può essere normale per gli esseri

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405 G.C. BERKOUWER, The Return of Christ, Grand Rapids, 1963, p. 192. 406 Ibidem.407 A.A. HOEKEMA, Op. cit., p. 250.

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umani che procedono per tentativi, ma sarebbe anormale e inadegua-to per Dio che conosce la fine sin dall’inizio.

4. Il significato della risurrezione del corpoCosa significa «risurrezione del corpo»? Gli scrittori biblici sapevanobene quanto noi, che non può significare la riabilitazione dei nostricorpi fisici attuali. Primo, perché molti corpi sono malati o deformati;secondo, perché alla morte si decompongono e diventano polvere: «Turitiri il loro fiato e muoiono e ritornano nella loro polvere» (Sal 104:29;Ec 3:20; Gn 3:19). Nonostante questa testimonianza biblica, molti cri-stiani hanno creduto attraverso i secoli alla risurrezione delle stesseparticelle che formano il corpo morto. Questa fede è espressa nelleprime stesure del Credo apostolico che afferma: «Io credo… nella risur-rezione della carne, piuttosto che in quella del “corpo”».408

Tertulliano (160-225 circa), considerato il padre del cristianesimolatino, presenta ampiamente nel suo trattato Risurrezione della carne,l’idea che Dio risusciterà la stessa «carne che è stata consegnata allaterra». Egli si appella alle parole di Gesù: «Gli stessi capelli della nostratesta sono tutti contati», per provare che saranno tutti restaurati allarisurrezione. «Se si dovevano perdere», ragiona Tertulliano, «dovesarebbe l’utilità di avere una cura così numerale d’essi?».409

Il corpo indica la personaQuesto malinteso del significato della «risurrezione del corpo» potevaessere evitato riconoscendo la semplice verità che per gli scrittori bibli-ci, il termine «corpo» è semplicemente sinonimo di «persona». Peresempio, quando Paolo scrive: «Aspettando l’adozione, la redenzionedel nostro corpo» (Rm 8:23), egli semplicemente intende la redenzionedel nostro essere totale. Questo significato è evidente un po’ più avan-ti nella stessa epistola, dove Paolo invita a «presentare i vostri corpicome un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. Questo è il vostroculto spirituale» (Rm 12:1). Il presentare i nostri «corpi» a Dio è defini-to esplicitamente come offrire la nostra «adorazione spirituale» attra-verso tutto il nostro essere.

Quando Paolo parla della risurrezione del corpo, sta pensando al-

408 Uno studio comparativo riguardante le versioni del Credo apostolico si trova inPh. SCHAFF, History of the Christian Church, Grand Rapids, 1982, p. 181.409 TERTULLIANO, «On the Resurrection of the Flesh» in The Ante-Nicene Fathers, GrandRapids, 1973, vol. 3, p. 571.

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l’intera persona. Come Michael Perry giustamente indica: «Nel pen-siero di Paolo, il corpo non è qualcosa di esteriore all’uomo stesso,qualcosa che egli abbia. È ciò che egli è. Infatti sôma (la parola grecaper “corpo”), è l’equivalente più prossimo alla nostra parola “perso-nalità”».410

Tenendo allora conto di tutto questo, credere nella risurrezione delcorpo, significa credere che il mio «essere» umano, il mio «Io» saràrestaurato a nuova vita. Significa che non sarò diverso da colui sonoora. Sarò solamente me stesso. In breve, significa che Dio si impegna aconservare la mia individualità, la mia personalità e il mio carattere.

È importante notare come in questo intero capitolo Paolo parlidella risurrezione delle persone. Non c’è nessun riferimento al ricon-giungimento dei corpi risuscitati ad anime spirituali. Infatti, «l’anima –psyche» non è mai menzionata. Se la risurrezione avesse richiesto ilricongiungimento del corpo all’anima, non risulterebbe strano il silen-zio di Paolo nella sua discussione sulla natura della risurrezione? Dopotutto, un tale concetto è fondamentale per comprendere ciò che succe-de alla risurrezione sia per il corpo sia per l’anima. L’assenza di qual-siasi riferimento all’anima indica chiaramente come Paolo credessenella risurrezione dell’intera persona, corpo e anima.

Dovrebbe essere menzionato il fatto che in 1 Corinzi 15:44 Paolousa l’aggettivo psychikon, che deriva dal sostantivo psyche (anima) edè generalmente tradotto con «naturale» o «fisico». Ma egli lo utilizza perdescrivere il «corpo fisico» (sôma psychikon) che è sepolto, non l’animaspirituale che si ritiene sopravviva alla morte. Questo mostra come perPaolo l’aspetto «animato» (psychikon) del corpo umano venga sepoltoalla morte e attenda la risurrezione.

Per considerare seriamente la risurrezione, è necessario prendereseriamente in considerazione anche la morte.

Karl Barth ha affermato una profonda verità quando ha detto: «Chinon sa che cosa sia la morte, non sa neppure che cosa sia la risurre-zione».411 Entrambe, la morte e la risurrezione, influenzano la totalitàdella persona.

Helmut Thielicke afferma questo punto in modo personale edenfatico: «Non posso considerare la mia morte come qualcosa che noncolpisca il vero me stesso, pensando che sia immortale, e che, passan-

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410 M. PERRY, The Resurrection of Man, Oxford, 1975, p. 119. 411 K. BARTH, Dogmatica in sintesi, Roma, 1969, p. 227.

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domi accanto, vada oltre la mia anima. No, tutto di me scende nellamorte. Niente mi dà il diritto di rigettare la totalità dell’uomo - che leScritture proclamano come un tutto - che si muove verso la distruzio-ne della morte, in maniera da dividerlo improvvisamente in un corpoe un’anima, in una parte distruttibile e un’altra indistruttibile dell’io.Ma, come cristiano, scendo in questa morte con la completa fiducia chenon posso rimanervi confinato, dal momento che sono un essere cheDio ha chiamato per nome e che per questo sarò nuovamente richia-mato nel giorno di Dio. Sono sotto la protezione di colui che è risortoper primo. Non sono immortale, ma attendo la mia risurrezione».412

L’identità delle persone risuscitateIl centro della promessa biblica della risurrezione è dato dal fatto chele persone risuscitate saranno le stesse che precedentemente esisteva-no sulla terra. Dio non risusciterà un gruppo indefinito di persone ras-somiglianti, ma le stesse persone che sono morte. Questo suscita ladomanda: come possiamo spiegare la conservazione dell’identità per-sonale fra questa vita e la vita futura? Che cosa garantisce la continui-tà dell’identità personale d’una persona da questa vita alla prossima?

I dualisti dichiarano che non hanno assolutamente nessuna difficol-tà nel garantire la continuità dell’identità personale, perché «la stessapersona che muore continua senza interruzione a esistere (quale animadisincarnata) con Cristo fino a ricevere il corpo della risurrezione».413

La natura dei corpi risuscitati potrà essere diversa perché ognicorpo sarà radicalmente trasformato, ma l’identità personale dura, per-ché l’anima, che incorpora le caratteristiche essenziali d’ogni persona,sopravvive alla morte del corpo ed eventualmente è riunita con il corporisuscitato. I dualisti sostengono che sia un «errore fatale» quello pro-posto da quanti sostengono una natura umana unitaria, in quanto essonon possa garantire la continuità dell’identità personale. Dicono chel’opinione unitaria «non possa mostrare che le persone risuscitatesiano le stesse persone vissute sulla terra e che non siano delle sem-plici copie; che in questo modo non si possa preservare il principio del-l’identità personale».414

Questa critica è basata sulla supposizione che dal momento che

412 H. THIELICKE, Death and Life, Philadelphia, 1970, p. 198.413 J.W. COOPER, «The Identity of the Resurrected Persons: Fatal Flaw of MonisticAnthropology» Calvin Theological Journal 23, n. 1 aprile 1988, p. 26.414 Ibidem, p. 20.

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Capitolo 21

l’opinione unitaria non contempli alcuna continuità del corpo o dell’a-nima fra la morte e la risurrezione, i corpi risuscitati debbano essere«persone diverse malgrado possano rassomigliare o pensare allo stes-so modo».415

Questa critica al concetto unitario dell’uomo biblico non convinceper due motivi. Primo, la Bibbia non afferma mai che l’identità perso-nale di un individuo sia preservata dopo la morte dalla sopravvivenzadell’anima. Nella Bibbia, «l’anima» non è una componente immateria-le o razionale della natura umana che sopravviva alla morte del corpo.Piuttosto, l’anima costituisce la vita fisica e spirituale nella sua totalità,soggetta essa stessa alla legge del peccato e della morte. Secondo, lasopravvivenza dell’identità personale non dipende dalla continuitàdelle sostanze fisiche o spirituali, ma dalla conservazione che Diomette in atto in merito al carattere e alla personalità di ogni individuo.

La Bibbia rassicura sul mantenimento della nostra identità attra-verso la similitudine dei «nomi scritti nel libro della vita» (Fil 4:3; Ap3:5; 13:8; 17:8; 20:12). Il nome, nella Bibbia, rappresenta il carattere, lapersonalità, come lo dimostrano vari nomi usati per descrivere il carat-tere di Dio. Questo suggerisce che Dio conserva un quadro accuratodel carattere di ogni persona vissuta su questo pianeta. Il registro d’o-gni vita non trascura nessun particolare. Gesù dice: «Io vi dico che diogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nelgiorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e inbase alle tue parole sarai condannato» (Mt 12:36, 37).

La sfida della vita cristiana consiste nel «crescere in grazia e nellaconoscenza» (2 Pt 3:18) al fine di sviluppare un carattere che risultiadeguato per l’eternità. Il carattere e la personalità, sviluppati in que-sta vita, sono conservati nella memoria di Dio che, al ritorno di Cristo,unirà al corpo dei risuscitati. Questo spiega l’importanza della forma-zione di un carattere cristiano in questa vita presente, perché essocostituirà l’identità personale nel mondo futuro. Lo sviluppo del carat-tere del credente è un’opera che dura tutta la vita. Richiede la sotto-missione quotidiana di sé alla potenza dello Spirito Santo. Paolo diceche «l’afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza e l’esperien-za speranza» (Rm 5:3-4).

Ogni credente sviluppa il proprio carattere attraverso le proprietentazioni, le lotte, le sconfitte, le delusioni, le vittorie e la crescita in

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415 Ibidem, p. 27.

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grazia. Questo significa che ammettere la possibilità di «copie multiple»di persone alla risurrezione, tutte rassomiglianti fra loro, che agiscanoe pensino allo stesso modo, è inconcepibile. Il problema della nostraidentità è di tipo psicologico e non ontologico e si risolve affidandosi aDio che ha donato il suo unigenito Figlio per salvare ogni essereumano nella sua unicità e non per creare delle «copie». Come questoavvenga è lasciato alla saggezza e alla potenza divine. Ogni essereumano ha un carattere o personalità propria, che Dio ricorda e riuniràal corpo risuscitato.

C. Hartshorne sostiene che alla morte gli esseri umani «continuinoa vivere nella memoria completa e infallibile di Dio… La morte nonpuò essere la distruzione né tanto meno, lo svanire del libro della pro-pria vita; può solo determinarne la pagina conclusiva. La morte scrivela parola fine sull’ultima pagina; nulla viene più aggiunto al libro, siache si voglia addizionare, sia che si voglia sottrarre».416

Implicazioni praticheLe implicazioni pratiche della fede nella risurrezione dell’intera perso-na non sono difficili da notarsi. Riguardo al fatto che alla sua venutaCristo risusciti i credenti restituendo a ognuno la propria personalità ecarattere, Ellen G. White afferma: «I caratteri formati in questa vitadeterminano il destino futuro».417

Questo significa anche che «questo è il tempo per tutti di coltivarele facoltà che Dio ha offerto, affinché ogni credente possa formarsi uncarattere utile per questa vita e per quella più elevata dopo».418

Credere nella risurrezione significa avere anche rispetto del corpoin quanto dal modo in cui ci relazioniamo con esso determinerà lanostra identità nella risurrezione. Il richiamo al seme e al frutto usatoda Paolo, suggerisce che esiste un flusso di continuità fra il corpo attua-le e il corpo risuscitato. Questa continuità condanna l’ascetismo esa-sperato di coloro che disprezzano i loro corpi come qualcosa di terre-no o da scartare nel regno dei cieli. Essa condanna anche la licenza diquanti credono di poter soddisfare le passioni fisiche senza nessunfreno pensando erroneamente che ciò che avviene nel corpo non abbiaalcun influsso sulla mente e lo spirito.

416 C. HARTSHORNE, The Logic of Perfection, Lasalle, Illinois, 1962, pp. 177-178.417 E.G. WHITE, Child Guidance, Nashville, 1954, p. 229.418 Ibidem, pp. 164-165.

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Capitolo 21

Al momento della risurrezione i componenti della famigliapotranno riconoscersi, anche se il loro aspetto non sarà più lo stesso.La loro individualità e personalità sono state provvidenzialmentecustodite nella memoria di Dio e con la risurrezione saranno associatea un corpo nuovo.

Quando rivediamo i nostri compagni della scuola elementare osuperiore dopo venti o trent’anni, abbiamo, a volte, difficoltà a ricono-scerli perché la loro sembianza esteriore è cambiata negli anni, mabasta stare insieme alcuni momenti per rendersi conto che la loro per-sonalità non è cambiata. Sono ancora Maria, Giovanni e Roberto cheabbiamo conosciuto anni prima.

Lo stesso principio si applica al riconoscimento dei nostri cari risu-scitati. Li riconosceremo malgrado i miglioramenti notevoli della lorosembianza fisica, perché Dio risusciterà la loro individualità e perso-nalità, uniche per ogni individuo.

Riassumendo, è possibile dire che la fede nella risurrezione delcorpo imponga a ognuno di prendere sul serio il proprio essere totalecon i suoi componenti mentali, fisici e spirituali, perché siamo «il tem-pio dello Spirito Santo… che avete ricevuto da Dio» (1 Cor 6:19) e cheDio miracolosamente risusciterà al ritorno di Cristo.

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Capitolo 22

Il giudizio finale

La necessità e l’ampiezza del giudizio finaleLa risurrezione dei credenti e dei non credenti è strettamente legata algiudizio finale, dal momento che costituisce il precedente da cui que-st’ultimo dipende.

Il giudizio finale è presentato nella Scrittura come concomitantecon il secondo avvento. In un certo senso, la ragione del ritorno diCristo consiste nel portare a compimento il giudizio finale che dispor-rà del male in modo decisamente definitivo e permanente. Gesù stessoha affermato questa verità dicendo: «Quando il Figlio dell’uomo verrànella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glo-rioso. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gliuni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri» (Mt 25:31,32).A seguito di questa separazione, gli empi «andranno a punizione eter-na; ma i giusti a vita eterna» (Mt 25:46).

Paolo ribadisce la stessa verità quando fa riferimento al giudiziofinale afferma: «Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere: vita eter-na a quelli che con perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onoree immortalità; ma ira e indignazione a quelli che, per spirito di conte-sa, invece di ubbidire alla verità, ubbidiscono all’ingiustizia» (Rm 2:6-8). Affermazioni come queste mettono in luce un elemento fondamen-tale del ritorno di Cristo che è costituito dal giudizio finale che intro-durrà i salvati nel nuovo mondo.

La negazione del giudizio finaleMolti teologi hanno difficoltà ad accettare l’idea di un giudizio divinoper tutta l’umanità. Il solo fatto di pensare a un Dio giudice li turba.

Teologi ben noti come Karl Barth, Oscar Cullmann, Reinhold Nie-buhr, Charles H. Dodd e Rudolph Bultmann, difficilmente menzionano

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Capitolo 22

un giudizio ultimo, mentre sottolineano l’idea di un giudizio presente. Ilgiudizio finale è interpretato, non come un evento drammatico, cosmicoe culminante, ma come una decisione presente a favore o contro Cristoche sfocia o nel perdono divino o nella condanna degli individui.419

Anche per i dualisti è difficile riconoscere la necessità di un giudi-zio finale, perché essi credono che il destino di ogni persona sia deter-minato già al momento della morte. T. Francis Glasson convinto affer-ma: «Se gli uomini conoscono la loro sorte alla morte, qual è lo scopodi un giudizio finale collettivo che non può produrre nessuna trepida-zione o incertezza poiché tutto è già stato decretato?».420 L’implicazioneè chiara. Il dualismo nega definitivamente la necessità del secondoavvento e del giudizio finale insegnando, invece, che ogni personaincontra Cristo e il giudizio finale alla morte.

Questa idea poggia sul concetto dualistico della natura umana che,come abbiamo visto, è estraneo alle Scritture. La Bibbia non prevedeche esistano due fasi di ricompensa e di punizione; la prima, per l’ani-ma alla morte e la seconda, per il corpo e l’anima alla venuta di Cristo.La risurrezione per la vita eterna o per la condanna (Gv 5:29) sarà l’e-sperienza della persona intera alla venuta di Cristo e al giudizio finale.

Perché un giudizio finale?La Scrittura non discute la necessità del giudizio finale, semplicemen-te ne riconosce la sua realtà come una verità assiomatica, evidente. Ilmodo per entrare nel mondo futuro non è attraverso un’evoluzionegraduale, ma attraverso un giudizio finale messo in atto da Cristo allasua venuta. La realtà del giudizio finale è tanto inevitabile quanto lamorte: «… è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo diche viene il giudizio» (Eb 9:27).

Paolo, con un po’ di retorica, chiede: «Pensi tu, o uomo, che giudi-chi quelli che fanno tali cose e le fai tu stesso, di scampare al giudiziodi Dio?» (Rm 2:3). La risposta non ha ombra di dubbio. Il giudizio fina-le è una realtà talmente evidente e fondamentale che rende ogni attua-le giudizio della condotta dei credenti inadeguato (Rm 14:10) e ognigiudizio di un qualsiasi «tribunale umano» sui credenti, di valore rela-tivo (1 Cor 4:3,4).

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419 Per una sintesi riguardante i teologi che ignorano o rifiutano il giudizio cfr. L.MORRIS, The Biblical Doctrine of Judgment, Grand Rapids, 1960, pp. 54-58.420 T.F. GLASSON, «The Last Judgment in Rev. 20 and Related Writings», New TestamentStudies n. 28, 1982, p. 537.

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Il giudizio finale

La necessità di un giudizio finale si basa sulla natura morale di Dioe sull’ordine morale della propria creazione. Solo annullando la suanatura morale e l’ordine morale dell’universo, Dio potrebbe soprasse-dere al giudizio finale. Se Dio è un Dio morale, giusto, deve giudicarein modo finale e decisivo la condotta morale di tutte le creature razio-nali. La giustizia e la misericordia di Dio richiedono un giudizio finalee manifesto per la loro rivelazione e rivendicazione. Solo il giudiziofinale porterà a termine il conflitto fra il bene e il male mettendo fineal male in modo decisivo e permanente.

La necessità di un giudizio finale è anche determinata dalla liber-tà e dalla responsabilità umana. Gli esseri umani non sono program-mati da Dio per agire automaticamente. Dio rispetta pienamente lalibertà umana. Essere liberi di scegliere significa essere definitiva-mente responsabili della propria decisione e del proprio destino. Il giu-dizio è la conseguenza del rispetto di Dio per le nostre scelte. Le con-seguenze eterne saranno rivelate al giudizio finale.

Per serbare la speranza e l’ottimismo per il trionfo finale di Dio sulmale è necessario mantenere l’integrità della dottrina del giudizio fina-le. Abolirla significherebbe da un lato negare la finale responsabilitàumana, dall’altro smentire la futura rivelazione della giustizia e mise-ricordia di Dio, e, dall’altro lato ancora, considerare il male come unarealtà permanente del mondo.

L’ampiezza del giudizioIl giudizio finale è universale, e sarà per tutti, credenti e non credenti.Questa verità è insegnata nelle Scritture. Per esempio, Cristo ha dettoche: «Tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli unidagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri» (Mt 25:32).

Paolo scrive che Dio giudicherà il mondo (Rm 3:6) e che «tutti com-pariremo davanti al tribunale di Dio» (14:10; 2 Cor 5:10). Nella scenadel giudizio in Apocalisse 20, tutti i morti, grandi e piccoli, potenti edeboli sono visti in piedi davanti al trono del giudizio (vv. 12,13).

Il giudizio finale si estende anche agli angeli caduti. Pietro parlaspecificamente del giudizio degli angeli: «Dio infatti non risparmiò gliangeli che avevano peccato, ma li inabissò, confinandoli in antri tene-brosi (greco, tartaros), per esservi custoditi per il giudizio» (2 Pt 2:4; cfr.Gd 6;1 Cor 6:2,3). Benché limitati nelle loro attività, gli angeli cadutinon sono inattivi. Così, lo scopo del giudizio finale è veramente uni-versale e finale. Esso include sia gli esseri celesti che quelli umani e

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rappresenta l’eliminazione finale, decisiva e permanente del male edei malfattori da parte di Dio.

Tutto sarà giudicatoMolte persone potrebbero affrontare l’idea del giudizio finale più sere-namente se solo potessero essere sicure che certi peccati segreti rima-nessero tali. Ma non c’è atto, parola, o pensiero ora nascosto, che nonsarà rivelato nel giorno del giudizio. Questa verità è chiaramente inse-gnata nelle Scritture. Per esempio, Gesù ha detto che «di ogni parolaoziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno delgiudizio» (Mt 12:36).

L’esame del giudizio finale si estende anche ai pensieri segreti.Paolo ha scritto: «Perciò non giudicate nulla prima del tempo, finchésia venuto il Signore, il quale metterà in luce quello che è nascostonelle tenebre e manifesterà i pensieri dei cuori» (1 Cor 4:5; cfr. Rm 2:16;Lc 12:2; Mt 10:26; 1 Tm 5:24). Tutto ciò che si è fatto in questa vita, siaapertamente sia segretamente, sia in bene sia in male, sarà rivelato.

Riassumendo, il giudizio finale è universale per tutte le persone edè in rapporto alla loro condotta. Includerà ogni persona vissuta e ogniatto, parola e pensiero concepito o attuato. Tutte le distinzioni terrene- sociali, razziali, linguistiche, geografiche, economiche, culturali, poli-tiche - svaniranno al giudizio finale.

Rudyard Kipling esprime quest’universalità eloquentemente inThe Ballad of East and West dove dice: «L’Est è l’Est, e l’Ovest è l’Ovest,non s’incontreranno, finché la terra e il cielo staranno lì davanti algrande trono del giudizio di Dio».

La norma del giudizio finaleRivelazione ricevutaLa norma con la quale i santi e i peccatori sono giudicati nel giudiziofinale è la rivelazione che ogni persona ha ricevuto della volontà diDio. Fattori quali la professione, la reputazione, l’apparenza e i rapportisociali non influenzeranno il giudizio finale di Dio. Il criterio sarà sola-mente il carattere e la condotta di ogni persona in relazione alla lucericevuta. Paolo spiega che «tutti quelli che hanno peccato senza lalegge periranno pure senza la legge, e tutti quelli che hanno peccatosotto la legge saranno giudicati secondo la legge. Perché non coloroche odono la legge sono giusti presso Dio, ma coloro che mettono inpratica la legge saranno giustificati» (Rm 2:12,13).

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Il giudizio finale

Milioni di persone sono vissute e vivono senza la conoscenza diCristo quale suprema rivelazione di Dio e mezzo di salvezza. Questepersone possono trovare salvezza mediante la risposta fiduciosa a ciòche sanno di Dio. Sta a Dio determinare quanto della sua volontà siastata rivelata a ogni singola persona attraverso qualsiasi religione.

Paolo dice: «Quando degli stranieri, che non hanno legge, adem-piono per natura le cose richieste dalla legge, essi, che non hannolegge, sono legge e se stessi; essi dimostrano che quanto la leggecomanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rendetestimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicen-da. Tutto ciò si vedrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degliuomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo» (Rm 2:14,16).

Dio ha scritto certi principi morali di fondo in ogni coscienzaumana per questo ogni persona può essere ritenuta responsabile edessere «senza scuse» (Rm 1:20) al giudizio finale. Sarà una sorpresapiacevole incontrare fra i redenti dei «pagani» che non hanno cono-sciuto la buona novella della salvezza attraverso agenti umani.

Risposta a CristoUn fattore decisivo nel giudizio finale sarà determinato dalla rispostache una persona darà a Cristo. Il Salvatore ha detto: «Chi mi respingee non riceve le mie parole, ha chi lo giudica; la parola che ho annun-ziata sarà quella che lo giudicherà nell’ultimo giorno» (Gv 12:48).

Le stesse parole di Cristo che danno vita eterna a chi le accetta(cfr. Gv 13:8), portano la morte eterna a coloro che le rifiutano: «Inverità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che miha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dallamorte alla vita» (Gv 5:24; 3:36).

L’affermazione «non viene in giudizio» (krisis) non significa che ilcaso dei salvati non venga considerato nel giudizio finale, poiché «tuttidobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo» (2 Cor 5:10; Rm14:10). «Giudizio» significa l’opposto della «vita» eterna in Giovanni5:24. Così, il significato del testo deve essere questo: i credenti nonsaranno condannati nel giudizio finale a motivo del loro costante «sen-tire» e «credere» (tempo presente in greco) in Cristo.

Il sostantivo greco usato qui per giudizio (krisis) è spesso usatocon il significato di condanna (Gv 3:19; 5:29; 2 Ts 2:12). Paolo esprimela stessa opinione con una parola congiunta quando dice: «Non c’èdunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù»

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Capitolo 22

(Rm 8:1). Coloro che accettano Cristo non sono sotto alcuna condanna,né nella vita presente né nel giudizio finale, perché hanno ricevuto siail perdono dei loro peccati sia la grazia di adempiere nella loro vita il«comandamento della legge» (Rm 8:4).

Giudizio secondo le opere? L’Antico e il Nuovo Testamento insegnano che Dio giudicherà ogni per-sona «secondo le sue opere» (Sal 62:12; Ger 17:10). Cristo ha espressoquesta verità, dicendo: «Perché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria delPadre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l’o-pera sua» (Mt 16:27).

Anche Paolo ha scritto che Dio «renderà a ciascuno secondo le sueopere» (Rm 2:6). Pietro ricorda ai propri lettori che Dio «giudica senzafavoritismi, secondo l’opera di ciascuno» (1 Pt 1:17). L’Apocalisse chiu-de con questa promessa: «Ecco, sto per venire e con me avrò la ricom-pensa da dare a ciascuno secondo le sue opere» (Ap 22:12; 20:12).

Questo insegnamento del giudizio finale secondo le opere sembraessere in aperta contraddizione con l’insegnamento biblico della giu-stificazione per fede, senza le opere (cfr. Gal 2:16, 21; Rm 3:27). Se Diooffre il dono della vita eterna mediante la fede, come può giudicarcisecondo le nostre opere? Diversi tentativi sono stati fatti per concorda-re questi due insegnamenti apparentemente contraddittori. Nel nostromodo di vedere, la soluzione si trova nella dinamica della fede.

La salvezza del credente dipende dall’inizio alla fine, dalla giusti-ficazione iniziale al giudizio finale, non solo dalla fede e non solo dalleopere, ma piuttosto da una combinazione delle due, cioè da una fedeoperante. La fede che salva non è solamente un’accettazione passivadella salvezza divina, ma una risposta attiva manifestata nelle opere.Giovanni Calvino in una occasione ebbe a dire: «È solo la fede che giu-stifica, eppure la fede che giustifica non è sola».421 La fede soltantosalva, ma una fede che è sola, senza opere, non salva.

Giudizio e fedeIl giudizio finale «secondo le opere» sarà, in un certo senso, un giudi-zio sulla fede. Rivelerà se la fede professata sia stata davvero genuina.Se lo è stata, allora vi saranno le opere a evidenziarla. Se non vi sono

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421 In Tracts and Treatises in Defense of the Reformed Faith, (trad. di H. Beveridge),Grand Rapids, 1965, vol. 3, p. 152.

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Il giudizio finale

le opere, allora la fede non è stata vera. Giacomo esprime questa veri-tà molto profondamente: «Anzi uno piuttosto dirà: “Tu hai la fede, e ioho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mieopere ti mostrerò la mia fede”» (Gc 2:18).

Il giudizio finale non è un giudizio sui nostri meriti, ma sullanostra risposta di fede alla grazia di Dio, liberalmente donatacimediante Gesù Cristo. Dio non chiederà: Quali opere avete fatto permeritare la vita eterna? Ma chiederà: Quali sono i «frutti di giustizia chesi hanno per mezzo di Gesù Cristo»? (Fil 1:11), o diversamente, chie-derà la «prova» di una fede vivente e operante (Rm 5:4; 2 Cor 9:13)? Ilcredente non dovrebbe portare giornalmente a buon fine un numeropiù o meno soddisfacente di opere per poter superare il giudizio fina-le, ma assicurare che la sua fede sia vivente e «che operi per mezzo del-l’amore» (Gal 5:6).

Paolo parla in modo drammatico degli sforzi che compie per assi-curare la realtà della propria fede. Egli dice: «Tratto duramente il miocorpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver pre-dicato agli altri, io stesso sia squalificato» (1 Cor 9:27; cfr. Fil 3:13,14).

Ammonisce inoltre i credenti dicendo: «Adoperatevi al compimen-to della vostra salvezza con timore e tremore; infatti è Dio che produ-ce in voi il volere e l’agire, secondo il suo disegno benevolo» (Fil2:12,13). Dio stesso guida il volere e l’operare nel giudizio finale. Il cri-stiano verrà esaminato non in merito ai propri successi personali, main base alla risposta di fede alle opere di Dio nella propria vita.

Confusione fra metodo e normaL’apparente tensione fra la giustificazione per fede e il giudizio finalesecondo le opere è spesso manifestata a seguito di un malinteso nelrapporto fra norma del giudizio finale e il metodo attraverso il qualequella stessa norma debba essere applicata.

Impressionati dall’enfasi di Paolo sulla giustizia per fede senza leopere quale metodo di salvezza (cfr. Rm 3:27,28; Gal 2:16), alcunihanno concluso che la norma del giudizio finale non siano le opere delcristiano, ma la fede nelle opere di Cristo. Il problema di questa inter-pretazione è che per accentuare il metodo della salvezza, cioè, la giu-stificazione per fede, si ignora la norma del giudizio, cioè la giustifica-zione resa possibile attraverso la fede in Gesù Cristo. Portata al suoestremo, quest’opinione tende a promuovere la giustificazione dellapeccaminosità piuttosto che della giustificazione dei peccatori median-

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Capitolo 22

te la fede. Questa opinione si basa su una lettura unilaterale e arbi-traria di Paolo. Si concentra su ciò che l’apostolo insegna intorno almetodo della salvezza mentre ignora i suoi insegnamenti egualmenteimportanti sulla norma del giudizio.

Nella sua presentazione sulle dinamiche della salvezza, in dueepistole, ai Romani e ai Galati, Paolo prima discute del metodo e poidella norma della salvezza. Nei primi undici capitoli ai Romani eanche nei primi quattro ai Galati, Paolo spiega con gran varietà di illu-strazioni, che il metodo della salvezza è il dono di Dio della grazia enon il successo umano (cfr. Rm 3:21-28; 10:9,10; Gal 2:16; 3:10,11;4:28-30). Tuttavia, dopo la sua esposizione sulla salvezza quale donodi Dio (metodo), dedica i restanti capitoli in tutte e due le epistole, adiscutere la richiesta di Dio (norma) di conformità alla sua volontà eattraverso la grazia di Cristo.

Paolo riconosce la relazione indissolubile che esiste fra ciò cheDio offre attraverso Gesù e ciò che richiede da noi attraverso la poten-za del suo Spirito. La salvezza è un dono di grazia, ma l’accettazionedi questo dono richiede una risposta di ubbidienza, che mostri lagenuinità della nostra fede. La prova della trasformazione della natu-ra peccaminosa sono le nostre azioni, o ciò che Paolo chiama il «frut-to dello Spirito» (Gal 5:22). Questo spiega perché Dio nel giudizio fina-le «renderà a ciascuno secondo le sue opere» (Rm 2:6). Le «opere» o il«frutto» sono decisivi nel giudizio finale perché stabiliscono la provadell’accettazione per fede del dono della salvezza di Dio. Come diceEmil Brunner: «La questione non verte tanto nel decidere se compie-re del bene sia importante, ma se uno giunge a compiere il bene conla propria forza».422

La conclusione, allora, è che il metodo della salvezza per fede noncontraddice ma conferma la norma del giudizio finale secondo leopere, perché le opere richieste da Dio sono quelle che provengono dauna fede vivente.

Il giudizio finale è giusto e serioIl giudizio in base alle opere implica che il giudizio di Dio sarà perfet-tamente giusto, basato sui fatti e non sulle apparenze. I giudizi umanispesso si basano sulle apparenze o sulla conoscenza parziale dei fatti.La gente può apprezzare le azioni ma non le ragioni che le stimolano.

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422 E. BRUNNER, The Letter to the Romans, London, 1959, p. 20.

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Il giudizio finale

Al contrario: «Noi sappiamo che il giudizio di Dio… è conforme a veri-tà» (Rm 2:2), perché si basa sulla piena conoscenza dei motivi recon-diti e anche delle azioni manifeste, di ogni persona vissuta. Nel giudi-zio finale, il Signore «metterà in luce quello che è nascosto nelle tene-bre e manifesterà i pensieri dei cuori» (1 Cor 4:5; cfr. Rm 2:16).

Il giudizio secondo le opere, significa che sarà finale, serio, gravi-do di conseguenze eterne. Aver fatto il bene o il male determinerà o lapropria salvezza o la propria condanna, perché rifletterà l’accettazio-ne o il rifiuto del dono della salvezza. «L’ora viene» ha detto Gesù «incui tutti quelli che sono nelle tombe udranno la sua voce e ne verran-no fuori; quelli che hanno operato bene, in risurrezione di vita; quelliche hanno operato male, in risurrezione di giudizio» (Gv 5:28,29).

La serietà del giudizio finale è a volte espressa nella Bibbia in ter-mini «d’ira di Dio». Infatti, il giorno del giudizio è a volte chiamato«giorno dell’ira» (Rm 2:5) e «gran giorno della sua ira» (Ap 6:17; cfr.11:18; 14:19). L’ira di Dio è l’inevitabile manifestazione della suavolontà, giustizia e amore. Essendo un Dio santo, non chiude unocchio sul peccato, ma prende ogni trasgressione alla sua volontà conassoluta serietà (Es 34:7). La morte di Cristo sulla croce rappresentala singolare rivelazione del gran peso del giudizio di Dio e della suaira sul peccato (cfr. Rm 3:24,25; 1 Gv 4:10). Se Cristo ha portato un giu-dizio così pesante per i nostri peccati, «come scamperemo noi se tra-scuriamo una così grande salvezza?» (Eb 2:3; cfr. 10:26,27).

L’interpretazione avventista del giudizio finaleIl concetto del «gran conflitto»La comprensione avventista del giudizio finale è originale e unica per-ché vi si vede sia una fase valutativa sia una fase esecutiva. La pietraangolare della comprensione avventista del giudizio finale poggia sulconcetto del «gran conflitto».

Quest’idea abbraccia l’origine, lo sviluppo e la soluzione finaledella lotta tra il bene e il male. Nelle immagini di Apocalisse 12, tro-viamo una descrizione molto drammatica dell’origine di questa batta-glia che ha avuto origine «in cielo» e nella quale Satana e i suoi ange-li «furono sconfitti» ed espulsi (vv. 7-9). Questo conflitto iniziato incielo si è allargato a questa terra (vv. 13-17) dove continuerà finchéSatana sarà imprigionato per «mille anni» (Ap 20:1-3). Alla fine di que-sto periodo Satana sarà finalmente distrutto nello «stagno di fuoco ezolfo» (Ap 20:7-10).

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Capitolo 22

Il giudizio finale è visto nella teologia avventista come un aspettovitale, il culmine della soluzione divina di questa «grande controver-sia», che si allarga ben oltre il genere umano per includervi esseri cele-sti (cfr. Ef 3:10; 6:12; Col 1:16; 2:25; Rm 8:38). Attraverso il giudizio fina-le, Dio coglie almeno due obiettivi importanti. Da una parte, rivela eattua il suo «giusto giudizio» (Rm 2:5,6) che metterà fine alla ribellioneumana e celeste e introdurrà il suo regno eterno. Dall’altra, attraversoil giudizio finale, Dio offre l’opportunità alle sue creature di capire eaccettare la giustizia della sua offerta di vita eterna ad alcuni, e morteeterna ad altri (Ap 15:3,4).

Le fasi valutative ed esecutiveL’eterna sicurezza dell’universo morale è data dall’ampiezza e dallacomprensione che le creature razionali sanno cogliere in merito allacomprensione e all’accettazione della giustizia dei giudizi divini. Que-st’accettazione fiduciosa dell’equità dei giudizi di Dio difficilmente puòessere colta da un giudizio finale che consista esclusivamente in unatto esecutivo, unilaterale e inscrutabile di Cristo, che al suo avventorenda a ogni persona il premio o la retribuzione secondo le sue parole.

Così, i Cristiani Avventisti del 7° Giorno credono che il giudiziofinale di Dio racchiuda due fasi: una valutativa e una esecutiva.Quest’ultima è messa ad effetto da Cristo al suo ritorno, quando darà ildono della vita eterna ai credenti viventi e risuscitati, e la punizionedella morte agli empi viventi (cfr. 2 Ts 1:7-10; Mt 25:31,32; Rm 2:5-7).

La prima (la fase valutativa), avviene prima e dopo il secondoavvento; i due giudizi in questione vengono denominati: «pre-avvento»e «post-avvento». Scopo importante di questo processo d’indagine con-siste nel rendere gli esseri celesti e umani idonei a comprendere appie-no e ad accettare la correttezza del giudizio finale di Dio. La compren-sione avventista del giudizio finale consiste in una fase valutativa e inuna esecutiva mantenendo la singolarità, l’unità e la finalità che laScrittura attribuisce a quest’evento.

Le due fasi del giudizio finale non sono esplicitamente differenzia-te nelle Scritture, perché per gli autori della Bibbia il fatto del giudiziofinale di per sé era più importante delle sue fasi. Eppure, diversi passibiblici chiaramente suggeriscono che il giudizio finale racchiuda siauna fase valutativa sia una fase esecutiva. Non si può tentare, nell’am-bito limitato di questo capitolo, di procedere a un’analisi adeguata deitesti biblici che sostengano la nozione di una fase pre e post-avvento

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Il giudizio finale

del giudizio finale. Questi pochi commenti sono volti a offrire solo unavisione sommaria della questione. I lettori interessati possono trovareuno studio più completo del giudizio finale nei capitoli 13 e 14 del miolibro La speranza dell’Avvento.

Uno sguardo alla fase del pre-avvento nel giudizio finaleLa nozione di un giudizio valutativo pre-avvento è un dato fondamen-tale in molti insegnamenti di Gesù. Per esempio, egli parla spesso sucoloro che riceveranno il premio di Dio o la sua punizione (Mt 5:46;6:1,2,4,5,16,18; 10:41; Mc 9:41; Lc 6:23,25), e ciò presuppone un giudi-zio valutativo e decisionale precedente. Gesù ritorna per attuare il giu-dizio e non per istruirlo.

Gesù parla anche della responsabilità umana, e ciò per includervinon solo gli atti ma anche «ogni parola oziosa» (Mt 12:36). La respon-sabilità di ogni essere umano è ovviamente decisa prima che Cristovenga a chiamare «quelli che hanno operato bene, in risurrezione divita; quelli che hanno operato male, in risurrezione di giudizio» (Gv5:29). La risurrezione di vita rappresenta il giudizio esecutivo di Dio equindi la conclusione della fase valutativa. L’affermazione di Cristoindica che i credenti risusciteranno non per essere giudicati ma perchésono già stati giudicati. Se quanti sono risuscitati per la vita eterna oper la morte dovessero essere ancora giudicati, si verrebbe a instaura-re una situazione incongruente nella quale i risultati del giudiziosarebbero emessi ancora prima della convocazione del giudizio stesso.

Paolo descrive il giudizio finale come il momento «della rivelazio-ne del giusto giudizio di Dio» (Rm 2:5). Questa rivelazione del «giustogiudizio di Dio» presuppone un momento antecedente di indagine chedetermini chi debba ricevere il dono della vita eterna e chi sarà «puni-to di eterna rovina, respinto dalla presenza del Signore » (2 Ts 1:8,9). Larivelazione del giudizio di Dio al secondo avvento presuppone anche laconclusione del giudizio di Dio prima dell’avvento.

La stessa deduzione può essere tratta dai riferimenti di Cristo chesostengono «che deve giudicare i vivi e i morti» (2 Tm 4:1; 1 Pt 4:5). Sei morti sono giudicati mentre sono ancora morti, tale giudizio deve pre-cedere il giudizio dell’avvento, al momento della risurrezione a vitaeterna o alla morte eterna. Questo pensiero è inserito nell’esortazionedi Paolo a Timoteo che dice: «Ti scongiuro, davanti a Dio e a GesùCristo che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua apparizione e il suoregno: predica la parola …» (2 Tm 4:1,2).

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Capitolo 22

William Barclay ritiene che sia importante la sequenza dell’esorta-zione: giudizio, apparizione, regno. In questo ordine si riflette la pro-gressione logica che conduce al compimento della storia della salvez-za.423 Il giudizio di Cristo sui vivi e sui morti è seguito dalla sua appa-rizione, che poi introduce nel suo regno eterno.

Le descrizioni di Paolo del secondo avvento in 1 Tessalonicesi 4:13-18 escludono la possibilità di un giudizio universale investigativo for-mato e condotto alla venuta di Cristo. La risurrezione e la traslazionedei credenti è immediatamente seguita dal loro incontro con il Signoree non da un giudizio investigativo (1 Ts 4:16,17).

J. A. Seiss a questo riguardo osserva: «La verità è che la risurre-zione, e i cambiamenti che avvengono “in un batter d’occhio” ai viven-ti, sono in se stessi i frutti e le manifestazioni di un giudizio antece-dente. Sono conseguenze di sentenze già emesse».424

In Daniele 7, c’è una impressionante visione di tre parti, nellaquale il giudizio in cielo alla presenza dell’Antico di giorni circondatoda migliaia di angeli, precede la venuta del Figlio dell’uomo per rice-vere il regno eterno. Lo stesso è vero per Apocalisse 11, dove l’annun-cio del «tempo di giudicare i morti» (Ap 11:18) precede l’apertura delluogo santissimo del santuario in cielo nel quale è visibile l’arca delpatto (Ap 11:19).

Questa è una chiara allusione al giorno dell’espiazione che trova ilsuo adempimento antitipico nella venuta di Cristo come indicato dallemanifestazioni dei segni cosmici della fine (Ap 11:19).

L’esempio dei riferimenti citati mostra sufficientemente come lanozione di un giudizio che precede la venuta sia chiaramente indicato,anche se in modi diversi, in tutte le Scritture.

Questo concetto costituisce la base fondamentale per molti inse-gnamenti di Gesù e di Paolo. Descrizioni più esplicite del giudizio cheprecede l’avvento si trovano nelle visioni di Daniele (capitoli 7 e 8) eApocalisse (capitoli 5 e 14).

Indicazioni di gran valore nell’opera del giudizio preliminare diCristo, sono anche contenute nella lettera agli Ebrei in particolarenella corrispondenza tipologica del ministero del sommo sacerdote nelsantuario terreno nel giorno dell’espiazione e quello operato da Cristonel santuario celeste.

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423 W. BARCLAY, The Letters to Timothy, Titus, and Philemon, Philadelphia, 1960, pp.232-234.424 A.M. FARRAR, The Revelation of St. John the Divine, Oxford, 1964, p. 210.

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Il giudizio finale

Uno sguardo al giudizio finaleDiversi brani biblici attestano chiaramente che i credenti partecipe-ranno al giudizio dopo il ritorno di Cristo. Ai suoi discepoli Cristo hapromesso: «Io vi dico in verità che nella nuova creazione, quando ilFiglio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi, chemi avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribùd’Israele» (Mt 19:28).

Rimproverando i Corinzi che con troppa facilità trascinavano i loroconfratelli in tribunale, Paolo fa quest’affermazione sorprendente:«Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? Se dunque il mondo ègiudicato da voi, siete voi indegni di giudicare delle cose minime? Nonsapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più possiamo giudicare lecose di questa vita!» (1 Cor 6:2,3).

«Il mondo» che i santi giudicheranno deve essere il mondo deinon-salvati altrimenti i santi si giudicherebbero da soli. Il fatto che i«santi» giudichino, implica che essi stessi sono già stati giudicati nelgiudizio che precede l’avvento e ciò ha permesso il loro ingresso nelregno di Dio. Questi giudicheranno anche gli «angeli». Si tratta degliangeli decaduti i quali, secondo Pietro, sono stati «custoditi per il giu-dizio» (2 Pt 2:4; Giuda 6).

Riassumendo, secondo Paolo, i credenti risuscitati parteciperannoal giudizio finale nel quale saranno esaminati i casi degli esseri umaninon salvati così come quelli degli angeli decaduti.

Giovanni conferma ed elabora le testimonianze precedenti nellasua descrizione del regno millenario dei santi: «Poi vidi dei troni. Aquelli che vi si misero seduti fu dato di giudicare. E vidi le anime diquelli che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per laparola di Dio, e di quelli che non avevano adorato la bestia né la suaimmagine e non avevano ricevuto il suo marchio sulla loro fronte esulla loro mano. Essi tornarono in vita e regnarono con Cristo per milleanni. Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fosse-ro trascorsi. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo è colui chepartecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morteseconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con luiquei mille anni» (Ap 20:4-6).

Questo passo rende noto che un’opera di giudizio è affidata airedenti. Questi santi parteciperanno al giudizio dopo la prima risurre-zione. Quest’ultima è differenziata dalla risurrezione del «resto deimorti», che tornano in vita mille anni dopo, per essere distrutti nello

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Capitolo 22

stagno di fuoco. Il tempo della prima risurrezione avviene al secondoavvento di Cristo, ed è descritto simbolicamente nell’episodio prece-dente attraverso l’immagine di un cavaliere folgorante su un cavallobianco che viene con gli eserciti del cielo (Ap 19:11-16).

L’ampiezza del giudizio finaleIl giudizio finale comprenderà gli increduli e gli angeli decaduti.Quest’inclusione totale è espressa in vari modi. Si è già notato comeGesù abbia detto che il giudizio includerà «le dodici tribù d’Israele» (Mt19:28). Paolo, dal canto suo, parla dei santi che giudicano «il mondo» egli «angeli» (1 Cor 6:2,3).

Giovanni esprime quest’esperienza in modo davvero drammatico:«E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono. I libri furonoaperti… Il mare restituì i morti che erano in esso; la morte e il sog-giorno dei morti restituirono i loro morti; ed essi furono giudicati, cia-scuno secondo le sue opere» (Ap 20:12,13).

Il giudizio è condotto in base alle prove fornite dal registro conte-nuto nei libri delle opere e dal libro della vita. Questi due tipi di librisono menzionati in Apocalisse. Il primo di questi, apparentemente con-tiene il registro delle opere umane: «E i morti furono giudicati dallecose scritte nei libri, secondo le loro opere» (Ap 20:12).

Il parallelismo suggerisce che il contenuto dei libri non sia altroche il rendiconto di ciò che è stato fatto. Si è già preso atto, inoltre, chel’idea del giudizio basato sui registri delle opere delle persone, è comu-ne nelle Scritture. «Si tenne il giudizio» dice Daniele, «e i libri furonoaperti» (Dn 7:10).

Il concetto di una memoria delle opere di ogni persona conserva-ta da Dio, suggerisce che ogni persona stia scrivendo il proprio desti-no. Nel corso della nostra vita quotidiana, stiamo aggiornando un regi-stro che ci porterà vergogna oppure onore nel giudizio finale. In uncerto senso, non è tanto Dio che sta giudicando ogni persona, ma ognipersona sta scrivendo il proprio giudizio finale.

L’altro libro è chiamato «il libro della vita»: «I libri furono aperti, efu aperto anche un altro libro che è il libro della vita … E se qualcunonon fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno difuoco» (Ap 20:12,15). Questo è il libro che contiene i nomi di tutti quel-li che hanno creduto in Cristo. L’Antico e il Nuovo Testamento spessoparlano del libro che include tutti i nomi dei giusti (cfr. Es 32:32,33; Dn12:1; Lc 10:20; Fil 4:3; Ap 3:5; 13:8; 21:27).

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Il giudizio finale

La relazione fra il libro delle opere e il libro della vita non è chia-ra. Austin M. Farrar suggerisce che a coloro i cui nomi sono mancantidal libro della vita è data l’opportunità di capirne il motivo controllan-do i libri che contengono il registro delle loro vite.425

Sembra plausibile ritenere che questa verifica faccia anche partedel processo del giudizio verso i santi. Ci saranno delle sorprese nelregno di Dio quando alcuni dei «santi» rispettati saranno assenti e alcu-ni reputati «peccatori» saranno presenti. Il libro delle opere spiegheràperché alcuni nomi saranno presenti e altri saranno assenti dal librodella vita. Quindi una funzione importante del giudizio che precede lavenuta di Cristo e quello finale, è quella di rendere gli esseri umanipienamente edotti in merito all’accettazione del giudizio di Dio.

Paragone tra le due fasi del giudizioNel comparare le due fasi del giudizio, quella che precede la venuta equella che segue, troviamo delle similitudini e alcune differenze.Entrambi i giudizi sono un processo giudiziario che precede l’atto ese-cutivo di Dio di donare la ricompensa o di infliggere la punizione fina-le. Entrambi sono volti a rendere le intelligenze morali a valutare eaccettare la giustizia del giudizio di Dio che salva chi ha avuto fede econdanna gli altri. Entrambi decidono i destini eterni di esseri intelli-genti e moralmente dotati.

Ci sono anche alcune differenze. Il giudizio che precede la venutasi svolgerà in presenza degli esseri celesti rimasti fedeli a Dio; il giudi-zio finale sarà effettuato anche con la presenza degli esseri umani sal-vati. Se il primo rivela la giustizia di Dio nel salvare i credenti, il secon-do rivela la sua giustizia nel rispettare la libera scelta di coloro che sisono opposti a Dio. Dio non costringe l’uomo a subire il suo amore. Seil primo culmina con la venuta di Cristo che dà la vita eterna ai giusti,l’ultimo si conclude con la distruzione eterna degli empi.

Due risultatiLa differenza tra la fase valutativa e quella esecutiva del giudizio fina-le è da ricercarsi principalmente nei risultati. Il giudizio valutativo ètenuto alla presenza di esseri celesti non caduti e rivela la giustizia diDio con la venuta di Cristo per ricompensare i credenti risuscitati eviventi con il dono della vita eterna. Dall’altra parte, il giudizio finale è

425 A.M. FARRAR, Op. cit., p. 210.

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Capitolo 22

condotto davanti a esseri umani salvati e rivela la giustizia di Dio nellavenuta di Cristo su questa terra alla fine del millennio, per risolveredefinitivamente il problema del male.

Il risultato definitivo del giudizio finale eseguito da Cristo, primaal suo secondo avvento e poi alla fine del millennio, si traduce nellavita eterna per i giusti e nell’annichilimento degli empi. La compren-sione dei Cristiani Avventisti del 7° Giorno del giudizio finale, preser-va l’unità e la finalità che le Scritture attribuiscono a questo evento.Essa esalta l’apprezzamento della giustizia di Dio e rafforza l’aspetta-tiva del secondo avvento.

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Capitolo 23

La nuova terra

Il risultato definitivo del ritorno di Cristo consiste nella restaurazionedi questo mondo alla sua perfezione originale. La risurrezione e latraslazione dei credenti, il giudizio finale, la risurrezione e la distru-zione degli increduli, sono tutti eventi preparatori che conduconoall’atto finale della storia redentiva: la creazione di un «nuovo cielo euna nuova terra» (cfr. Ap 21:1; 2 Pt 3:13). Lo scopo della creazione edella redenzione sarà finalmente adempiuto quando gli effetti del pec-cato saranno sradicati dall’intera creazione e un nuovo, perfetto ordi-ne, sarà stabilito da Dio. Solo quando il paradiso perduto diventerà ilparadiso restaurato, lo scopo della prima e della seconda venuta diCristo in questo mondo sarà pienamente realizzato.

1. La nuova terra adempie le promesse dell’Antico TestamentoDio ha promesso all’umanità, alla fine dell’atto creativo, che questaterra sarebbe stata la nostra abitazione ed eredità umana (Gn 1:28). Aseguito del peccato, i nostri primi genitori sono stati allontanati dalgiardino dell’Eden e costretti a vivere su un suolo ora maledetto (3:17).La promessa della vittoria finale fatta da Dio subito dopo la caduta (v. 15),contiene l’implicita assicurazione di un paradiso restaurato su unanuova terra.

La stessa assicurazione è implicitamente presente nella promessadi Dio ad Abraamo: «A te e alla tua discendenza dopo di te darò il paesedove abiti come straniero: tutto il paese di Canaan, in possesso peren-ne; e sarò loro Dio» (17:8). Va notato che Dio ha promesso il paese diCanaan non solo ai discendenti di Abraamo ma ad Abraamo stesso.Ovviamente, questa promessa non si è mai adempiuta per il patriarcaperché l’unica proprietà che abbia acquistato in Canaan, è stata unagrotta utilizzata per la sepoltura di Sara (cap. 23).

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Capitolo 23

Adempimento esteso a tuttiL’epistola agli Ebrei informa che Abraamo aspettava l’adempimentofuturo dell’eredità del paese di Canaan promessale da Dio: «la città cheha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio» (Eb 11:10).La «città» che Abraamo aspettava altro non era che la nuovaGerusalemme, che sarebbe scesa sulla nuova terra. Così, la promessadi Dio ad Abraamo sarà adempiuta alla fine, non quando i giudei pos-sederanno tutta la terra di Palestina, come credono alcuni dispensa-zionalisti, ma quando Dio stabilirà un nuovo mondo quale eredità pertutti i figli spirituali di Abraamo.

Paolo accenna a questo adempimento ampliato del paese diCanaan quando dice che Dio ha promesso ad Abraamo e ai suoi discen-denti «di essere eredi del mondo» (Rm 4:13). Lo stesso concetto delpaese di Canaan quale simbolo della totalità del pianeta, può esserevisto nella beatitudine di Cristo: «Beati i mansueti, perché essi eredite-ranno la terra» (Mt 5:5), e questa è la parafrasi del Salmo 37:11: «Ma imansueti possederanno la terra». La promessa dell’entrata nel riposo enella pace del paese di Canaan, non è che un tipo del riposo e della pacedella nuova terra che attende il popolo di Dio (Eb 4:9). La nuova terrarappresenta l’adempimento finale delle promesse di Dio al suo popolo.

2. Annichilimento o rinnovamento della terra presente?Sia l’Antico che il Nuovo Testamento parlano del mondo futuro che Diostabilirà per i redenti come «un nuovo cielo e una nuova terra» (cfr. Is65:17; 2 Pt 3:13; Ap 21:1). Che cosa significa l’espressione «un nuovocielo e una nuova terra?».

Significa che il nostro pianeta sarà completamente annullato e cheDio creerà un pianeta totalmente nuovo diverso da quello presente? Osignifica che Dio purificherà e rinnoverà quello attuale?

G.C. Berkouwer elenca alcuni teologi luterani che privilegiano ilconcetto di annichilimento della terra presente e una completa discon-tinuità fra la vecchia e la nuova.426 Essi si appellano a passi biblicicome 2 Pietro 3:12, che dice: «I cieli infocati si dissolveranno, e gli ele-menti infiammati si scioglieranno!».

Non c’è nessun dubbio che la terra sarà radicalmente trasformatadagli eventi catastrofici che accompagneranno l’esecuzione del giudi-zio finale del Cristo sui peccatori e su questo mondo peccaminoso.

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426 G.C. BERKOUWER, The Return of Christ, Grand Rapids, 1963, p. 220.

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La nuova terra

Eppure, la Scrittura non sostiene il concetto dell’annichilimento totaledi questa terra ma piuttosto il suo rinnovamento e la sua restaurazio-ne. Possono essere date, per questo, quattro ragioni maggiori.

Nuova in qualità non in originePrimo, il termine usato in 2 Pietro 3:13 e in Apocalisse 21:1 per desi-gnare la novità di questo mondo («nuovo cielo e nuova terra»), in grecoè kainos e non neos. La differenza fra i due termini è significativa.Neos, spiega J. Behm, è ciò che «è nuovo in tempo e in origine» men-tre «kainos è ciò che è nuovo in natura, diverso dal solito, impressio-nante, migliore del vecchio, superiore in valore o attrattiva».427

Quindi l’espressione «un nuovo cielo e una nuova terra» significache la nuova terra non sarà totalmente diversa da quella presente, mapiuttosto migliore, perché gloriosamente rinnovata.

Un bell’esempio del significato di kainos si trova i 2 Corinzi 5:17dove Paolo scrive: «Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova (kaine)creatura; le cose vecchie sono passate, ecco, sono diventate nuove».Così come il credente diventa «una nuova creatura o creazione»(ambedue le letture sono possibili), perché rinnovato e trasformatodalla grazia divina, così questo mondo intero diventerà «un nuovo cieloe una nuova terra» essendo purificato, restaurato dalla potenza divina.In entrambi i casi, il «nuovo» è in continuità con il vecchio.

Libertà dalla rovinaUn secondo motivo che favorisce il rinnovamento di questo mondo, sitrova nell’affermazione paolina: «Nella speranza che anche la creazio-ne stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrarenella gloriosa libertà dei figli di Dio» (Rm 8:21).

Il fatto che Paolo descriva la restaurazione finale di questo mondocome la liberazione «dalla servitù della corruzione» suggerisce un rin-novamento della creazione presente e non una qualche creazione total-mente diversa, che non abbia nessuna relazione con questo mondo.

Un terzo motivo è la continuità suggerita dalla risurrezione delcorpo. Il fatto che la Scrittura parli della risurrezione del corpo, e nondella creazione di nuovi esseri umani, indica una chiara continuità frala nostra esistenza presente e quella della nuova terra. Se questo è vero

427 J. BEHM, «Kainos», Theological Dictionary of the New Testament, ed. Gerhard Kittel,Grand Rapids, 1974, vol. 3, p. 447.

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Capitolo 23

per la creazione umana, si deve poter credere che sia altrettanto veroper la creazione sub-umana.

Una quarta ragione per preferire il rinnovamento all’annichili-mento è da ricercarsi nel fatto che quest’ultimo rappresenterebbe unavittoria per Satana e non per Dio. Significherebbe, come spiega giusta-mente Anthony A. Hoekema, che «Satana avrebbe così avuto successonel corrompere, in modo da rovinare il presente cosmos e la terraattuale che Dio non possa fare niente con essa se non cancellarla total-mente dall’esistenza. Ma Satana non ha ottenuto questa vittoria, al con-trario, è stato decisamente sconfitto. Dio rivelerà le dimensioni totali diquella sconfitta quando rinnoverà questa stessa terra sulla qualeSatana ha ingannato l’umanità e, finalmente, bandirà da essa tutti irisultati delle macchinazioni malvagie di Satana».428

L’implicazione pratica del rinnovamento di questa terra è che noinon possiamo scartarla come una perdita totale e gioire nel suo peg-gioramento. Al contrario, si deve operare per il miglioramento delmondo in vista del piano di rinnovamento di Dio alla fine. Il compitoprimo e ultimo consiste nello sviluppare e promuovere uno stile di vitacristiano e distintivo che abbia valore non solo per questo mondo attua-le, ma anche per quello futuro.

3. Il pensiero biblico sulla nuova terraParadiso etereoLa maggior parte delle persone pensa che il mondo futuro sia come unritiro spirituale localizzato da qualche parte su nel cielo, dove le animeglorificate passeranno l’eternità in contemplazione e meditazione eter-na. Questa idea, per altro erronea, è riflessa nelle parole di inni comequesto: «Nei palazzi di gloria e delizia eterna, per sempre ti adorerò nelcielo luminoso».

Il pensiero di trascorrere l’eternità in un mondo spirituale da qual-che parte nello spazio, portando vesti bianche, suonando arpe, can-tando, meditando e contemplando, difficilmente può attrarre i cristia-ni del ventunesimo secolo innamorati delle visioni e dei suoni dellegrandi metropoli.

Nel suo saggio intitolato Paradiso, il poeta Laurie Lee nota quantosiano insoddisfacenti per le menti moderne le immagini tradizionalidel paradiso: «Troppo puro, troppo disinfettato, basato su un buon com-

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428 A.A. HOEKEMA (n. 13), p. 281.

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La nuova terra

portamento, riceve poco più di un doveroso cenno del capo da parte deifedeli. L’inferno, per contro, è un buon argomento per far aumentare lefolle; viene descritto come il luogo dell’azione al novanta per cento,colori vivaci, alte temperature, diavolerie intriganti e con una compa-gnia più interessante possibile».429

Questa visione di un vago paradiso etereo è stata ispirata dalla filo-sofia greca e non dagli insegnamenti biblici. Per i greci, la materia checompone questo mondo era malvagia e, di conseguenza, non degna disopravvivenza. Lo scopo della vita era quello di raggiungere il regnospirituale nel quale le anime liberate dalla prigionia del corpo poteva-no finalmente godere della beatitudine eterna.

Durante il corso di questo studio, si è già notato come la chiesa cri-stiana abbia più o meno adottato l’opinione dualistica greca della natu-ra umana e del destino. L’impatto del dualismo sul pensiero e la prati-ca cristiana è stato incalcolabile. Ha condotto non solo al disprezzo del-l’aspetto fisico della vita (vita activa) a favore dell’aspetto spirituale(vita contemplativa), ma anche alla svalutazione di questo mondomateriale, a favore di un regno spirituale sperduto da qualche parte sunel «cielo».

Oggi, la maggior parte dei cristiani vuole vivere l’eternità «su nelcielo» e non quaggiù su una terra rinnovata. Ho capito questa verità inmodo insolito mentre facevo ricerche per questo capitolo. Quando hoinserito la parola “nuova terra” nell’archivio del computer della biblio-teca dell’Andrews University, è apparso un solo titolo sul monitor. Erauno studio sul ristorante «La Nuova Terra» nell’Illinois. Ma quando hodigitato la parola «cielo» più di duecento titoli sono apparsi sul monitor.È evidente: il mondo futuro è associato, nel pensiero cristiano, con il«cielo» e non con la «nuova terra».

Realismo biblicoLa visione di un paradiso etereo, spirituale, da qualche parte «su nelcielo», è stata ispirata dal dualismo greco e non dal realismo biblico.L’Antico e il Nuovo Testamento parlano invece di un «nuovo cielo e diuna nuova terra» (cfr. Isaia 65:17; Apocalisse 21:1) non come un mondodiverso stabilito da qualche parte nello spazio, ma il cielo e la terra, rin-novati e trasformati alla loro perfezione originale.

In un altro studio, ho mostrato come la visione della pace, dell’ar-

429 Citato da S. TRAVIS, I Believe in the Second Coming of Jesus, Grand Rapids, 1982, p. 176.

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monia, della prosperità materiale e della delizia del sabato primordia-le - il primo giorno di Adamo dopo la sua creazione - operi durante itempi dell’Antico Testamento quale paradigma degli ultimi giorni;designazione, questa, accettata per il mondo futuro.430 La pace e l’ar-monia che esisteva fra Adamo e gli animali sarà restaurata nella nuovaterra quando «Il lupo abiterà con l’agnello e il leopardo si sdraieràaccanto al capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato sta-ranno insieme, e un bambino li condurrà» (Is 11:6).

Similmente, la prosperità e l’abbondanza che prevalevano allacreazione saranno restaurate nella nuova terra, dove «l’aratore s’in-contrerà con il mietitore, e chi pigia l’uva con chi getta il seme; quan-do i monti stilleranno mosto e tutti i colli si scioglieranno» (cfr. Am 9:13;Is 4:2; 30:23-25; Gl 3:18; Sof 3:13). Queste descrizioni comunicano l’im-magine di vita «terrena», reale e intensa nel nuovo mondo.

Santa cittàIl Nuovo Testamento sottolinea con uguale forza la continuità fra la vitanel mondo attuale e quella nel mondo futuro. Forse l’immagine che piùcolpisce nel comunicare il senso di continuità e di realismo del nuovomondo è quella della città. L’epistola agli Ebrei, per esempio, dice cheAbraamo «aspettava la città che ha le vere fondamenta, il cui architettoe costruttore è Dio» (Eb 11:10). L’esperienza di Abraamo è simile a quel-la di tutti i credenti, perché, come spiega lo stesso autore «non abbiamoquaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura» (Eb 13:14).

Il Nuovo Testamento termina con una descrizione molto vigorosadella santa città, Gerusalemme, nella quale sono accolti «soltanto quel-li che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello» (Ap 21:27).

Rimane l’incertezza nel credere che tutti i dettagli della città deb-bano essere presi letteralmente. Per esempio, perché la santa cittàdovrebbe avere un muro tanto alto da impedire agli abitanti di vedereil panorama meraviglioso oltre le mura? Ovviamente, la visione di unmuro così alto comunicava a Giovanni e ai suoi contemporanei, lagaranzia della completa tranquillità. In quei giorni, più alto era il muroe più pacificamente gli abitanti potevano dormire di notte.

Anche i riferimenti ai nomi delle dodici tribù scritti sulle dodiciporte (Ap 21:12) e ai nomi dei dodici apostoli scritti sui dodici fonda-

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430 Cfr. S. BACCHIOCCHI, The Sabbath in the New Testament, Berrien Springs, Michigan,1985, pp. 50-65; vedere anche Riposo Divino per l’Inquietudine Umana, Edizioni ADV,Impruneta, 1983, pp.118-128.

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menti (v. 14), suggeriscono che i cittadini della santa città sono cre-denti di ambedue le comunità, dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Qualunque sia il significato di tutti i dettagli, la visione della santacittà comunica l’immagine, non di una vita mistica, monastica, in unritiro celeste, ma di una vita urbana vissuta in intensa attività su que-sta terra rinnovata.

Vita ricca di emozioniLa visione biblica della santa città suggerisce che sulla nuova terra nonci sarà una vita di isolamento o di solitudine, ma di comunione, di emo-zione e di azione. La nuova terra sarà un luogo complesso, cosmopoli-ta dove tutti i tipi di persone di diverse razze, culture e lingue, vivran-no e lavoreranno insieme in pace. La vita non sarà statica e noiosa, madinamica e creativa.

«Nella nuova Gerusalemme» scrive Shirley C. Guthrie «ci saràcomunità senza uniformità, individualità senza irresponsabilità. Il pro-blema dei diritti individuali contro il benessere comune sarà risolto inmodo tale che la comunità servirà l’individuo, e l’individuo servirà lacomunità in uno stato di esseri liberi e responsabili uniti nell’amore».431

L’immagine dei redenti che vivono insieme nella città di Dio ininterazione e interdipendenza, rappresenta l’adempimento dell’intentodivino per la creazione e la redenzione. Alla creazione, Dio ha volutoche gli esseri umani potessero trovare la loro soddisfazione, non viven-do da soli, ma lavorando insieme per sottomettere e avere dominiosulla terra. Attraverso la redenzione, Cristo ci riconcilia con Dio e inostri simili, in modo tale che possiamo vivere insieme superando ognibarriera e ogni incomprensione.

Una società ordinata e organizzataLa visione biblica della santa città nella nuova terra dovrebbe aiutarcia rivedere la struttura della vita approvata da Dio. Per molti è difficileaccettare quest’opinione perché le nostre città attuali difficilmenteriflettono la città di Dio. Al contrario, sono luoghi dove prevalgono ilcrimine, l’odio, l’ostilità e l’indifferenza verso Dio e il prossimo.

La vita nelle città non dovrebbe essere vista per principio comeuna struttura sociale peccaminosa. Il fatto che la vita continuerà sullanuova terra ci dice che sarà possibile per le persone vivere insieme in

431 S.C. GUTHRIE, Christian Doctrine, Atlanta, 1968, p. 398.

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un sistema complesso di interdipendenza senza dare spazio ai proble-mi sociali, economici, ecologici, politici e razziali che sperimentiamonelle nostr città. Inoltre, questa visione del vivere insieme nella futuracittà di Dio dovrebbe sfidarci, quali cristiani, a non abbandonare lecittà in massa fuggendo verso la campagna, ma a lavorare per esseoffrendo il nostro contributo cristiano e aiutando a risolvere i loronumerosi e complessi problemi.

4. Anticipazioni sulla nuova terraI principali passi biblici che parlano della vita sulla nuova terra (cfr. Is65:17-25; 66:22-23; Ap 21:1-22:5) ci offrono solamente uno sprazzo dicome la vita sarà realmente. Quindi, ogni tentativo nel voler caratte-rizzare la vita, le condizioni e le occupazioni del mondo futuro, deveessere visto come uno sforzo molto limitato e imperfetto per descrive-re una realtà che «Le cose che occhio non vide, e che orecchio non udì,e che mai salirono nel cuore dell’uomo» (1 Cor 2:9).

La presenza di DioUn aspetto unico e straordinario della vita sulla nuova terra sarà datodall’esperienza senza precedenti della presenza di Dio fra il suo popo-lo. «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essisaranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio» (Ap21:3). Queste parole così incoraggianti costituiscono la promessa cen-trale del patto della grazia di Dio (cfr. Gn 17:7; Ger 31:33; Eb 8:10) chesarà pienamente realizzato sulla nuova terra.

Nelle sue parabole, Gesù ha parlato spesso del destino umano intermini di ammissione alla presenza di Dio. Ha paragonato il destinodei suoi seguaci a una festa di nozze dove egli stesso sarà lo sposo (Mt25:1-13) o il re (Mt 22:1-10); e anche a una casa, alla quale il padrone,Cristo stesso, torna per premiare i suoi servi fedeli, dicendo: «Entranella gioia del tuo signore» (Mt 25:21; Lc 12:35-38).

La presenza di Dio sulla nuova terra sarà così reale che «la cittànon ha bisogno di sole né di luna che la illumini perché la gloria di Diola illumina, e l’Agnello è la sua lampada» (Ap 21:23). Questo passo indi-ca che sulla nuova terra il cielo, il luogo dove Dio dimora, e la terra, l’a-bitazione umana, non saranno più separati ma uniti.

I credenti godranno sulla nuova terra della beata comunione cheAdamo ed Eva hanno sperimentato ogni sabato quando Dio veniva avisitarli. La caduta ha interrotto questa benedetta comunione ma il

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sabato è rimasto per ricordare ai credenti della restaurazione futura(Eb 4:9). La nostra celebrazione settimanale del sabato nutre la spe-ranza in vista della comunione futura con Dio sulla nuova terra. Quellosarà, come dice Agostino «il più grande dei Sabati» quando «ci ripose-remo e vedremo; vedremo e ameremo; ameremo e loderemo; questo èciò che sarà alla fine senza fine».432

Comunione con tutti i credentiLa comunione che si godrà con la trinità ci porterà alla fratellanza coni credenti di ogni secolo e di ogni parte del mondo. Oggi si vive incomunione solo con coloro che vivono nel nostro tempo e nel nostroambiente più vicino. Sulla nuova terra, la fratellanza si estenderà acoloro che sono vissuti in ogni età e in ogni paese: i patriarchi, i profe-ti, gli apostoli, i martiri, i missionari, i pionieri, i nostri antenati e idiscendenti, i pastori e i laici.

Il simbolo di questa grande fratellanza è il grande banchetto dellenozze dell’Agnello: «Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozzedell’Agnello» (Ap 19:9). Questa comunione includerà «una follaimmensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni,tribù, popoli e lingue» (Ap 7:9). È impossibile immaginare l’ispirazionee le informazioni che riceveremo conoscendo personalmente le perso-ne più preparate che siano vissute sulla terra.

L’assenza del maleUna differenza notevole tra la nostra vita presente e quella nella nuovaterra sarà data dall’assenza di tutte le cose che ora limitano o danneg-giano la nostra vita. Il diavolo, che è la fonte assoluta di tutte le formedel male, sarà distrutto nello stagno di fuoco (Ap 20:10). Di conse-guenza, non ci sarà alcuna manifestazione del male dentro di noi ointorno a noi. È difficile immaginare di vivere nel nuovo mondo senzapiù odio, gelosia, paura, ostilità, discriminazione, inganno, oppressio-ne, omicidio, competizioni violente, rivalità politiche, corsa agli arma-menti, recessioni economiche, tensioni razziali, fame, differenze traricchi e poveri, malattie, morte, ecc.

«Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più lamorte, né cordoglio né grido né dolore, perché le cose di prima sonopassate» (Ap 21:4). Queste pennellate suggeriscono molto più di quan-

432 AGOSTINO, City of God 22; 30.

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to indichino attualmente. Suggeriscono che non ci saranno più malat-tie incurabili, incidenti tragici, bambini deformi, servizi funebri, sepa-razioni permanenti; che ognuno sarà in grado di raggiungere le meteindicate da Dio, mentre ora, la malattia o la morte, spesso, mettono finead ambiziosi progetti. Sulla nuova terra, tutti avranno tempo illimitatoe risorse infinite per raggiungere le mete più straordinarie.

Assenza di pauraL’assenza del male si manifesterà specialmente nella mancanza dipaura, insicurezza e ansietà. La vita presente è costantemente espostaa pericoli, incertezze, e paure. Temiamo la perdita del lavoro, di esse-re derubati da un ladro in casa, dei danni all’automobile, dell’infedeltàdi nostro marito o di nostra moglie, del fallimento a scuola o del lavo-ro dei nostri figli, del deterioramento della nostra salute, del rifiuto deinostri coetanei. In altre parole, temiamo tutte le incertezze della vita.Tali paure riempiono di ansie la nostra vita, contraddicendo così loscopo di Dio e facendo diminuire il nostro potenziale umano.

La Scrittura usa varie immagini per rassicurarci che sulla nuovaterra non ci sarà né paura né incertezza. Essa parla di una città confondamenta stabili, costruita da Dio stesso (Eb 11:10), e di «un regnoche non può esser scosso» (Eb 12:28). Forse il quadro più indicativodella sicurezza per un cristiano del primo secolo era quello di una cittàcon «delle mura grandi e alte» (Ap 21:12). Quando le grandissime portedelle città antiche erano chiuse, gli abitanti potevano vivervi in relati-va sicurezza. Per sottolineare la completa sicurezza sulla nuova terra,viene mostrata a Giovanni la santa città che ha delle mura possenti lacui larghezza è della stessa misura dell’altezza (v. 16).

Un’altra immagine significativa volta a comunicare il senso di per-fetta sicurezza nella nuova terra, è data dalla scomparsa del mare («ilmare non c’era più» v. 1). Per Giovanni il mare significava l’isolamen-to a Patmos e la separazione dai credenti sul continente. Il mare eravisto anche come una minaccia alla sicurezza dell’universo (cfr. Ap13:1; 17:15), specialmente da parte degli ebrei, che, non essendo unaforza marittima, erano costantemente esposti al pericolo di improvvisiattacchi dal mare. Quindi, l’assenza del mare dalla nuova terra, signi-fica l’assenza di minacce alla sicurezza e all’armonia. Lo stesso sensodi sicurezza potrebbe essere comunicato nel modo migliore ai cristia-ni del ventunesimo secolo con altri tipi di immagini: nessun sistemad’allarme, nessuna porta blindata, nessuna serratura particolare, nes-

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suna assicurazione sulla proprietà, nessun controllo di sicurezza o nes-sun sistema strategico di difesa. Indipendentemente dalle immaginiusate, abbiamo la certezza che sulla nuova terra saremo liberati daglieffetti paralizzanti della paura e dell’ansietà.

Assenza di inquinamentoUno degli aspetti più piacevoli della vita sulla nuova terra sarà abitarein un ambiente pulito. «E nulla di impuro né chi commetta abomina-zioni o falsità vi entrerà» (Ap 21:27). La liberazione dall’inquinamentomorale del peccato sarà riflessa nella liberazione dall’inquinamentofisico dell’ambiente. La vita non sarà più minacciata da inquinamentoirresponsabile e dall’esaurimento di risorse naturali, perché i cittadinidella nuova terra saranno amministratori fedeli della nuova creazionedi Dio. Nella nuova terra non vi saranno «zone per fumatori», perchénessuno metterà a rischio la salute fumando. Che sollievo sarà quellodi respirare aria sempre fresca e pura, fuori e dentro casa; poter bereda qualsiasi fontana acqua limpida e sana; poter consumare alimentifreschi, salutari e non contaminati da insetticidi o conservanti!

Non sappiamo in che modo Dio procederà per purificare questaterra dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo. Pietro fa rife-rimento a una purificazione fatta con il fuoco quando scrive: «Cieliinfuocati si dissolveranno, e gli elementi infiammati si scioglieranno!»(2 Pt 3:12). Nel mondo antico, il fuoco rappresentava l’agente principa-le per la purificazione. È possibile, comunque, che Dio possa usarealtri mezzi oltre al fuoco per raggiungere le profondità della terra e pereliminare le scorie velenose depositate nel sottosuolo e scaricate nelmare. Qualunque metodo Dio utilizzi per eliminare rapidamente l’in-quinamento presente nell’aria, nell’acqua e nel suolo, ci viene dettoche la nuova terra sarà pulita sia moralmente sia fisicamente.

È rassicurante il fatto che i cittadini della nuova terra sarannoamministratori responsabili della nuova creazione di Dio e non la rovi-neranno un’altra volta. Presumibilmente produrranno pochi scarichi esapranno come disporne in modo tale che la natura possa assimilarli inun processo metabolico. Sarà conservato un perfetto equilibrio dell’e-cosistema che garantirà il benessere e l’armonia in tutto il creato.

Attività e creativitàLa vita sulla nuova terra non trascorrerà nell’ozio o nella meditazionepassiva, ma in attività creative e produttive. Quanti immaginano che i

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credenti vivranno come ospiti glorificati, nutriti, alloggiati e intratte-nuti da Dio, potrebbero essere totalmente in errore. La nuova terra nonsarà un grande parco giochi dove Dio garantirà a tutti percorsi gratui-ti e infiniti. Non vi sarà nessun «approfittatore» nel mondo futuro. Isaiascrive: «Costruiranno case e le abiteranno; pianteranno vigne e nemangeranno il frutto. Non costruiranno più perché un altro abiti; nonpianteranno più perché un altro mangi» (Is 65:21-22).

Il quadro biblico del mondo che verrà presenta delle persone realiche si impegnano in attività e creatività produttive. Non vi sarà man-canza di tempo o di risorse per completare ogni progetto. Oggi, nelcampo della conoscenza, si può soltanto scalfire la superficie di unaqualunque disciplina in cui si scelga di specializzarsi. Più impariamo,più ci si rende conto che c’è ancora tantissimo da apprendere. Sullanuova terra non ci sarà alcun limite alla crescita nella conoscenza enella grazia. «Ogni nostra facoltà potrà svilupparsi, ogni capacità accre-scersi. L’acquisizione della conoscenza non affaticherà la mente o con-sumerà le energie. Le più alte aspirazioni saranno appagate, le piùgrandi imprese saranno portate a termine, le più nobili ambizionisaranno soddisfatte. Eppure vi saranno sempre nuove mete da rag-giungere, nuove meraviglie da ammirare, nuove verità da scoprire,nuovi obiettivi che chiameranno in causa le facoltà della mente, dell’a-nima e del corpo».433

Continuità con la culturaLa vita nella nuova terra comporterà qualche continuità con quella chesi può chiamare la cultura attuale. Lo si può dedurre dal fatto che laBibbia parla della trasformazione di questo mondo piuttosto che delsuo annichilimento. La continuità è anche indicata dalla risurrezionedel corpo, il che richiede la conservazione e la continuazione dellenostre personalità dalla morte alla risurrezione.

Un’altra indicazione significativa di continuità si trova inApocalisse 21:24,26 dove leggiamo: «I re della terra porteranno la lorogloria e l’onore delle nazioni». Questo passo suggerisce, prima di tutto,che gli abitanti della nuova terra avranno fra loro delle persone chehanno ottenuto grande importanza e potere in questo mondo: re, pre-sidenti, scienziati e via dicendo. Secondo, il contributo unico che ogninazione ha apportato al miglioramento della vita presente, arricchirà

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433 E.G. WHITE, Il gran conflitto, Edizioni ADV, Impruneta, 2000, pp. 529,530.

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la vita sulla nuova terra. Questo permette di credere che le scopertetecnologiche del nostro tempo nell’informatica, nella comunicazione enei viaggi, non saranno perse ma grandemente intensificate, raffinatee perfezionate.

Stephen Travis scrive: «Dio, che conferma la bontà del mondo cheegli ha fatto, non lo scarterà facilmente con tutta la sua ricchezza d’ar-te, di bellezza e di inventiva umana. Nell’economia di Dio niente è inu-tile. Tutte le opere creative di uomini e di donne che riflettono l’abbon-dante creatività di Dio saranno trasportate nel mondo trasformato».434

Dio valorizza le realizzazioni creative, spesso prodotte con grandesacrificio personale. È bello pensare che il loro valore si estenderàoltre questa vita presente, nella nuova terra. La conservazione sullanuova terra delle realizzazioni uniche dell’umanità, suggerisce ancheche la vita non sarà oscura o incolore, ma eccitante e appagante.

Adorazione regolareAl centro della vita sulla nuova terra ci sarà l’adorazione regolare aDio. Isaia descrive la regolarità e la stabilità dell’adorazione sullanuova terra in termini familiari alla sua epoca: «Di novilunio in novi-lunio, di sabato in sabato, ogni carne verrà a prostrarsi davanti a me,dice il SIGNORE» (Is 66:23).

Il contrasto indica che questo appuntamento regolare per l’adora-zione si riferisce, prima di tutto, alla restaurazione politica di Geru-salemme e dei suoi servizi religiosi (v. 20) e, secondo, alla restaura-zione del tempio alla fine di questa terra, della quale la prima era untipo. I profeti spesso vedono le ultime realizzazioni divine attraversola trasparenza degli eventi storici imminenti.

Isaia menziona il «novilunio» insieme al sabato perché il primoaveva un ruolo importante nel determinare l’inizio di una nuovo anno,di ogni mese e anche la data per celebrare le feste annuali importan-ti quali la pasqua, la pentecoste e il giorno dell’espiazione. Siccome ladata del novilunio era determinata dall’osservanza da parte dei sacer-doti, la sua apparizione era fondamentale per la stabilità del calenda-rio civile e religioso. Questo perché Isaia (66:23) ed Ezechiele (46:3)parlano delle adunanze regolari del novilunio e del sabato nellaGerusalemme restaurata. Per essi, questo significava la regolarità e lastabilità dell’adorazione.

434 S. TRAVIS, I Believe in the Second Coming of Jesus, Grand Rapids, 1982.

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Non c’è alcuna ragione per credere che i redenti si radunerannoper l’adorazione nel giorno del novilunio in quanto la funzione prima-ria di quest’ultimo era quella di aiutare gli israeliti a calcolare le lorofeste annuali e a prepararle. Isaia menziona il novilunio come untempo di raduno per l’adorazione regolare della nuova terra in quantodescrive quest’ultimo nel contesto del raduno storico dei giudei «datutte le nazioni» (Is 66:20).

È necessario perciò distinguere fra gli elementi applicati al-l’Israele nazionale, come il novilunio, e quegli elementi che continue-ranno sulla nuova terra, come il sabato. Inoltre è più importante nota-re che l’interesse di Isaia è di sottolineare la stabilità e la regolaritàdella vita sociale e religiosa («la nuova terra… così dureranno la vostradiscendenza e il vostro nome» Is 66:22). Questa garanzia è valida siaper la restaurazione di Gerusalemme promessa nel passato, sia per lavita futura nella nuova terra.

Adorazione più riccaSulla nuova terra, l’adorazione personale e pubblica non sarà soltantoregolare ma anche più ricca nell’espressione e nel significato. Gli innicontenuti nel libro dell’Apocalisse offrono una visione fugace di comesarà questa adorazione. È detto che i 144.000 canteranno un «canticonuovo» che nessuno potrà imparare eccetto quelli «che sono statiriscattati dalla terra» (Ap 14:3).

Presumibilmente questo canto è nuovo e unico poiché è il cantodell’esperienza che esprime la gratitudine personale a Dio per la suameravigliosa redenzione. Coloro che hanno vinto l’inganno finale sonovisti da Giovanni come coloro che si ergono in piedi su ciò che sembraessere un «mare di vetro mescolato con il fuoco» mentre cantano «ilcantico dell’Agnello» che dice: «Grandi e meravigliose sono le tueopere, o Signore Dio Onnipotente! Giuste e veritiere sono le tue vie, oRe delle nazioni!…Tutte le nazioni verranno e adoreranno davanti a te,perché i tuoi giudizi sono stati manifestati» (Ap 15:2-4).

Gli inni del libro dell’Apocalisse suggeriscono l’idea che il fulcrodell’adorazione sulla nuova terra sarà costituito dalla lode a Dio per laperfetta creazione (4:11), per la meravigliosa redenzione (5:9,12), perla vendetta finale e la restaurazione del suo popolo (15:3-4; 19:1-3).Siccome l’essenza dell’adorazione è il riconoscimento del merito di Dioattraverso la lode e l’adorazione, il culto sulla nuova terra sarà piùricco di quanto non lo sia sulla terra perché i redenti apprezzeranno

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ampiamente il merito divino. In questa vita , adoriamo Dio anche senon sempre comprendiamo la ragione che permette agli empi di pro-sperare e agli innocenti di soffrire. Sulla nuova terra, questo misterosarà risolto, quando ai credenti sarà data l’opportunità di capire la giu-stizia dei giudizi di Dio. «Tutte le nazioni verranno e adorerannodavanti a te, perché i tuoi giudizi sono stati manifestati» (15:4).

Questa rivelazione della divina giustizia e misericordia ispirerà iredenti a lodare Dio, dicendo: «Alleluia! La salvezza, la gloria e lapotenza appartengono al nostro Dio, poiché veritieri e giusti sono i suoigiudizi » (19:1-2).

L’adorazione sarà più ricca sulla nuova terra, non solo a motivodell’apprezzamento più pieno della misericordia e della giustizia diDio, ma anche a motivo dell’opportunità di adorare visibilmente Dio.«Nella città vi sarà il trono di Dio e dell’Agnello; i suoi servi lo servi-ranno, vedranno la sua faccia, e porteranno il suo nome scritto sullafronte» (22:3-4).

Il testo suggerisce che l’adorazione di Dio nella nuova terra arric-chirà i credenti di una conoscenza più ampia e della gioia di Dio. In uncerto senso, questa è la funzione ultima dell’adorazione di Dio di spe-rimentare la sua presenza, la pace e la potenza nella nostra vita.Quest’esperienza sarà così reale sulla nuova terra che il luogo saràveramente un cielo.

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Conclusione

Nel capitolo introduttivo si è detto che ciò che si crede circa la consi-stenza della natura umana determina grandemente ciò che si credeintorno al nostro destino ultimo. Durante il corso di questo studio, si èparagonata e contrastata l’opinione dualistica della natura umana, chesottolinea la distinzione fra il corpo materiale, mortale, e l’anima spiri-tuale, immortale, e l’opinione unitaria che accentua l’unità del corpo,dell’anima e dello spirito, all’interno di un organismo indivisibile.

Lo studio ha mostrato come l’opinione dualistica della naturaumana derivi direttamente dai filosofi greci e abbia influenzato note-volmente le credenze e le pratiche cristiane. Per esempio, la credenzache il corpo sia mortale e l’anima immortale ha condotto alla stranadefinizione della morte come separazione dell’anima immortale dalcorpo mortale, piuttosto che la cessazione della vita come affermachiaramente la Scrittura.

Questa definizione non biblica ha nutrito la credenza comunenella transizione dell’anima al momento della morte, al paradiso,all’inferno o al purgatorio. A sua volta, quest’ultima credenza ha porta-to i cattolici a credere nell’intercessione dei santi da un lato e, dall’al-tro, nella certezza che la chiesa sulla terra abbia la giurisdizione nel-l’applicazione dei meriti dei santi nei confronti delle anime che soffro-no in purgatorio. Circa la punizione finale degli empi si è notato comela fede nell’immortalità dell’anima abbia influenzato l’interpretazionedell’inferno dove i perduti sono tormentati da Dio per tutta l’eternità.Questa opinione oggi è profondamente in crisi perché un numero sem-pre maggiore di cristiani la rifiuta per motivi biblici e morali. Le imma-gini e il ricco linguaggio della distruzione usati dalla Bibbia per descri-vere la sorte degli empi, indicano chiaramente che la loro punizionefinale sarà l’annichilimento e non il tormento eterno e consapevole.Moral-mente, la dottrina del tormento eterno è incompatibile con larivelazione biblica dell’amore e della giustizia divina.

Abbiamo già visto come il dualismo abbia indebolito l’aspettativadella venuta di Cristo portando le persone a credere che possono incon-

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Conclusione

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trare Cristo alla morte come anime disincarnate. Esso ha reso il giudi-zio finale praticamente superfluo insegnando che ogni persona è giu-dicata alla morte in quanto ascende al cielo, o è destinata all’inferno. Ildualismo ha inoltre spiritualizzato la risurrezione del corpo e delmondo futuro disprezzando l’aspetto fisico del corpo risuscitato e l’a-spetto materiale del mondo futuro. L’accettazione del dualismo da partedei cristiani attrae sempre meno in rapporto alla visione paradisiaca edeterea, dove si dovrà vivere per tutta l’eternità come anime glorificatee impegnate eternamente a cantare , meditare e contemplare.

È impossibile valutare il risvolto negativo del dualismo sui variaspetti della vita e del pensiero cristiano. Molti studiosi hanno ricono-sciuto che il dualismo corpo-anima ha alimentato altre dicotomie inaperto conflitto con la visione biblica della natura umana e dannoseper le persone. I teologi spesso hanno legato il dualismo corpo-animaa quello sacro-secolare, che differenzia gli aspetti sacri della vita daquelli secolari, separando così una parte della vita dai dettami delVangelo. I missionologi ammettono che il dualismo ha condotto a unatestimonianza tronca del Vangelo, focalizzata sulla salvezza delleanime senza comprendere l’intero essere umano.

Gli educatori riconoscono l’influsso negativo del dualismo nelcorso degli studi tradizionali, dove la sottolineatura è più sulla curadella mente a discapito della persona totale. I medici e gli psicologiriconoscono che il dualismo può essere responsabile del fallimento nelriconoscere le dinamiche psicosomatiche delle malattie fisiche edemotive. Siccome non è stato tentato in questo libro l’esame delle variearee toccate dal dualismo, in queste ultime pagine desidero alludere atre aspetti significativi di esso: 1. dualismo religioso; 2. dualismo mora-le; 3. dualismo sociale.

Dualismo religiosoIl dualismo corpo-anima ha prodotto una divisione illegittima della vitain due aree separate: la vita religiosa in opposizione alla vita secolare,la vita sacra contro quella profana o, per usare una distinzione medie-vale, vita contemplativa contro vita activa. Alcuni studiosi vedono que-sta dicotomia moderna sacro-secolare come il risultato diretto delladistinzione corpo-anima, natura-grazia della teologia medievale.435

435 Cfr. A. VOS, Aquinas, Calvin, and Contemporary Protestant Thought, Grand Rapids,1985, pp. 124-133.

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Analogamente alla natura umana in cui c’è un’anima spiritualeseparata dal corpo materiale, così nella vita umana, in generale, c’è unregno spirituale o sacro fatto di credenze teologiche, pietà personali emoralità. Il regno secolare può essere praticato con successo senzariferimenti ai principi della rivelazione divina. Così gli affari, la scien-za, la politica, l’arte, il divertimento e la cultura, sono visti come occu-pazioni secolari non direttamente influenzate dai valori religiosi. Lareligione e la fede devono stare fuori dal mondo secolare perché que-st’ultimo opera secondo un criterio diverso.

Questa mentalità dualistica crea una falsa dicotomia fra i regnireligiosi e secolari della vita. Essa ignora che i principi biblici e lapotenza trasformatrice del Vangelo possono e devono modellare tuttele attività umane. Essa trascura la visione biblica unitaria della vita edella natura umana, secondo la quale il corpo e l’anima, il fisico e lospirituale, la creazione umana e subumana, sono tutti oggetto dellabuona creazione di Dio e della sua restaurazione finale.

Dualismo moraleIl dualismo corpo-anima ha contribuito alla polarizzazione o gerarchiadi valori dentro la società. Questa tendenza può essere vista nell’incli-nazione storica di voler considerare l’anima superiore al corpo e, diconseguenza, considerare le occupazioni intellettuali più importantidel lavoro manuale.

«In certi ambienti», nota John Cooper, «i presidenti, i dottori e iprofessori, sono ancora stimati più degli idraulici e dei contadini sem-plicemente perché sono più istruiti e lavorano principalmente con leloro menti piuttosto che con le loro mani. Alcuni cristiani consideranoquesto mondo non solo come secolare, ma come “sporco” e non adat-to al coinvolgimento di una persona veramente spirituale».436

Un’altra distinzione significativa nutrita dal dualismo è presentefra il clero e il laicato. Storicamente, le persone che rispondono allasacra chiamata di una vita religiosa sono viste come più sante di quan-ti seguono una professione secolare. Il rango più elevato del clero èriconosciuto dall’uso degli abiti ecclesiastici e da titoli speciali come«Reverendo o Santo Padre». La chiamata del clero è considerata sacrain quanto chi vi si dedica è chiamato a salvare le anime mentre il lai-

436 J.W. COOPER, Body, Soul, and Life Everlasting: Biblical Anthropology and theMonism-Dualism Debate, Grand Rapids, 1989, p. 203.

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Conclusione

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cato si preoccupa di soddisfare le necessità fisiche. Questo tipo di dua-lismo morale ha concesso a certe professioni dimensioni di vita di unrango primario o superiore mentre altre sono state considerate secon-darie o inferiori.

Dualismo socialeIl dualismo corpo-anima è presente anche nella separazione illegittimae nella svalutazione di certi gruppi di persone. Gli esempi più clamo-rosi sono il classismo e il razzismo. Una norma razionale per la sogge-zione e lo sfruttamento di certi gruppi minoritari è quello di ritenerlicome mancanti di anime pienamente umane. Dei bianchi hanno dubi-tato che i neri africani e gli indiani americani potessero davvero esse-re dotati di anime razionali; per questo hanno ritenuto di poterli legit-timamente opprimere.

È impossibile valutare l’impatto totale del dualismo corpo-animasulle nostre strutture religiose, sociali e politiche. Dividendo gli esseriumani in corpo e anima, ha permesso la divisione in tanti tipi di falsedicotomie nella vita umana. Ha condotto alla resa di vaste aree dellavita, di valori morali e della conoscenza alle potestà del secolarismo edell’umanesimo.

Necessità di ricuperare l’unitarismo biblicoLe implicazioni di largo influsso dottrinale e pratico del dualismo chesi è considerato durante il corso di questo studio dovrebbero servire afar nascere nel lettore il desiderio di ricuperare la visione unitariabiblica della natura umana e del suo destino.

L’unitarismo biblico spinge a vedere positivamente sia gli aspettifisici sia quelli spirituali della vita, perché il corpo e l’anima costitui-scono un’unità indissolubile, creata e redenta da Dio. Il modo in cuitrattiamo il corpo riflette la condizione spirituale dell’anima perché ilnostro corpo è «il tempio dello Spirito Santo» (1 Cor 6:18). Se inquinia-mo i nostri corpi con il tabacco, l’alcol, le droghe e il cibo malsano, cau-siamo non soltanto l’inquinamento fisico del nostro corpo ma anchequello spirituale della nostra anima.

L’unitarismo biblico porta ad avere cura dell’intera persona cer-cando di mediare fra le necessità spirituali dell’anima e quelle fisichedel corpo. Nel suo ministero, la chiesa dovrebbe cercare di salvare le«anime» delle persone e di migliorare le loro condizioni di vita operan-do nel campo della salute, nel campo alimentare e in quello dell’istru-

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zione. Le scuole cristiane dovrebbero avere interesse per lo sviluppodell’intera persona. I programmi scolastici dovrebbero mirare allo svi-luppo degli aspetti mentali, fisici e spirituali della vita. I medici dovreb-bero trattare la malattia nel contesto dell’intera persona, ivi incluse lecondizioni fisiche, emotive, alimentari e spirituali.

L’opinione biblica unitaria della natura umana presuppone unavisione cosmica della redenzione che racchiude il corpo e l’anima, ilmondo materiale e quello spirituale. Essa immagina non un paradisoetereo abitato da anime glorificate, ma questo pianeta terra restauratoalla sua perfezione originale e abitato da persone reali che si impe-gneranno in attività di vita reale. Nel mondo futuro la vita non sarà sta-tica e noiosa, ma dinamica e creativa.

In questo momento, quando molti cristiani stanno perdendo l’inte-resse del cielo perché lo trovano troppo puro, troppo asettico, troppoirreale e troppo noioso, è imperativo ricuperare l’opinione biblica uni-taria e realistica della nuova terra. Essa sarà un luogo dove ogni facol-tà sarà sviluppata, dove le nostre aspirazioni più elevate saranno rea-lizzate, dove le imprese più grandi saranno intraprese e dove la comu-nione più dolce sarà goduta con Dio e con gli altri esseri.

Questo sarà il compimento della nostra redenzione: il tempo, comeeloquentemente scrive Ellen G. White: «Il peccato e i peccatori non esi-stono più. L’intero universo è purificato. Tutto il creato palpita di armo-nia e di gioia. Da colui che ha creato tutte le cose fluiscono la vita, laluce e la gioia che inondano lo spazio infinito. Dall’atomo più imper-cettibile al più grande dei mondi, tutte le cose, quelle animate e quelleinanimate, nella loro bellezza e perfezione, dichiarano con gioia cheDio è amore».437

437 E.G. WHITE, Il gran conflitto, Edizioni ADV, Impruneta, 2000, p. 530.

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374

Genesi1:2 761:3 421:4 41,324,3301:6,9 421:10 41,66,324,3301:12 41,66,324,3301:14 421:18 41,66,124,324,3301:20 42,48,491:21 41,48,66,124,

324,3301:24 42,48,491:25 41,66,124,324,3301:26 41,421:27 41,44,66,3301:28 44,3531:30 14,44,481:31 42,66,125,324,3302:1-3 3302:7 11,12,13,45,46,47

48,49,50,66,76,119122,136,166

2:17 14,1632:19 482:21,24 683:4 146,1583:5 67,1583:10 2273:15 3533:17 3533:19 167,199,3313:22,23 1635:1,3 426:17 68,69,856:19 68,697:21 52,857:22 52,77,858:1 768:17 689:6 429:10,12 489:13 3179:15,16 489:17 6812:5 47, 8614:21 4715:15 6117:7 36017:8 35317:14 25725:8 6127:41 7328:11 17029:14 6935:2 20435:18 61,62,87,166

37:21 59,16637:27 6937:35 19341:8 11742:28 7142:38 19544:29,31 19545:26 7146:26 9746:27 47,86,9747:18 68

Esodo1:5 47,974:19 566:9 828:9 5610:13 7612:12 20414:21 7618:4 6020:3 20420:11 33021:23,25 30024:14,15 31730:33,38 25731:3,4 8132:32,33 35034:7

Levitico4:2 584:7,18,25,30 2295:1 587:20,21 2577:25,27 25711:46 4816:29 5616:30 28517:11 50,22917:14 5019:17 7119:28 46,5319:31 20420:1,6 28521:1,11 46,53,6022:4 46,5323:29 28526:6 20426:27 20429:30 285

Numeri5:2 46,53,606:6,11 46,53,609:7,10 46,53,609:13 257

11:6 5615:30 5816:31,33 19319:11,13 46,5319:20 28523:10 59,16531:19 59,16632:7 7135:15 5935:30 59

Deuteronomio2:16 1672:30 1175:15 3308:14 7310:22 9712:1 3512:23 5013:3 7119:6 59,7119:11 6022:21 16630:14 7331:16 17033:6 167,269

Giosuè2:11 822:13 569:24 5610:28,30,32 5610:35,37,39 5620:3,9 59

Giudici6:15,34 808:3 828:32 619:2 6911:29,32 8015:19 7816:30 59,166

1 Samuele1:15 8216:7 7416:13,14 8023:15 5628:3 202,20328:5 7128:6 202,20428:7 15028:8 20228:9,10 20228:13 202,204,20528:14 202,204

Indice dei testi biblici

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375

28:15 20528:19 203,20428:25 15030:12 7831:10,12 68

2 Samuele1:9 1665:1 697:12 17017:10 7119:12 6920:19 167

1 Re1:21 1952:10 170,1953:9 73,748:61 7311:2 7311:43 19517:17 63,105,155,17317:21 61,62,63,87,16617:22 61,62,63,8717:24 155,17331:10,12 68

2 Re1:10 2664:18 1734:25 1554:27 574:32,36 1054:37 155,1736:11 717:7 5616:3 25021:6 25023:10 250

1 Cronache10:13,14 203,204

2 Cronache29:11 71

Esdra7:32 178

Neemia2:2 71

Giobbe3:11,13,17 1957:5 2417:9,10 1947:21 17010:8,10 4210:21 19411:7,9 193,20911:20 59

12:10 5112:24 7414:10,11,14 17114:12 171,196,21314:15,20-22 21314:22 6817:13 194,19617:14 196,24117:15 19617:16 194,19618:15,17 26319:25-27 19626:5 199,20226:6 19327:3 52,76, 8627:4 5232:8 7633:4 51,7634:14 52,69,76,8334:15 52,69,76,8336:14 16638:17 209

Salmi1:3 2881:4 242,2881:5 2881:6 242,2882:9,12 242,2884:4 736:3,4 576:5 168,2138:4 398:5 1819:16-18 19510:6 7311:1,7 28813:3 169,17116:7 7216:10 189,195,21717:13 5627:8 7328:7 7430:9 168,18131:5 8332:11 7333:6 78,8634:2 5734:8 28834:18 8234:22 28835:9 5737:2,9 28837:10 279,28837:11 35437:20,38 28838:10 7142:2 5742:5,11 5843:5 5846:1 226

49:10,16 19549:15 10049:19 19451:10 73,74,7951:11 7955:15 19456:4 6957:1 5758:6,10 28860:3 26362:1 5762:12 34263:1 57,6869:22,28 28873:13 7373:21 7275:8 26376:5 17178:8 8278:38,39 6978:50 16679:2 6884:2 57,68,7088:3 19388:4 193,19588:5-7 19588:10 19988:11 19388:12 19588:13 19490:1 22690:5 17192:4,5 3594:17 194104:3 317104:24 77104:29 77,83,86,331104:30 77,83,86107:5 57107:26 57112:10 258115:17 168,181,194

202, 213119:28 57119:80 73119:81 57130:5 57139:7,8 193139:13 324139:14 34,324141:7 194143:11 56145:17,20 288146:4 84,166,168,181147:18 79

Proverbi1:12 1952:18 199,2026:18 739:18 199,202

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Indice dei testi biblici

376

11:20 7313:12 7114:29 8215:11 193,19415:13 72,8215:14 7316:32 8217:22 7221:16 19923:16 7223:17 7125:28 82,11727:11 7127:20,29 19330:15,16 19431:11 71

Ecclesiaste3:19 85,1673:20 3313:21 857:8 82,1177:9 829:2 1959:5 168,181,195,2139:6 195,2139:10 19510:4 8212:7 141,16612:9 52,84,8716:9 73

Isaia1:28,31 2884:2 3585:14 1947:2 768:19 20411:4 24211:6 35814:4 19614:8 19714:9 197,199,201,23914:10 60,197,200

205,23914:11 196,197,198

241,29514:19 20114:20 19722:14 26926:9 11726:14,19 199,20030:23-25 35830:31,32 25030:33 250,26331:3 6934:9 26334:10 263,26435:4 7137:36 241,25038:10 195

38:16 7738:17 19538:18 20940:6 6942:5 52,76,8644:23 19745:11 4249:15 4451:6 24251:17,22 26253:12 6054:6 8257:15 42,8361:1 8165:6 26965:15 167,26965:17 35,354,357,36065:18-20 36065:21,22 360,36465:23-25 360,36566:2 8366:12-14,17 24066:20 365,36666:22 29,239,360,36666:23 240,360,365,36666:24 239,240,242,250

Geremia3:17 734:14 726:16 977:32,33 25010:14 7817:5 6917:10 34220:13 5625:15-32 26325:33 241,26325:34-38 26331:33 74,36040:14 5940:15 5951:39 171,26851:57 268

Lamentazioni1:11 56,622:11 724:20 78

Ezechiele1:11,23 682:2 81,1173:14 823:18,21 30311:19 69,73,7913:3 8213:19 16616:8,14 22718:2 30318:4 51,56,58,60,164,283

18:20 51,56,60,164,283

18:23 16918:31 73,7918:32 169,30320:47,48 24122:25,27 5931:15 19832:21 19732:26,27 19833:11 16936:26 73,74,7936:27 8037:5,6, 9,10 7837:11,14 11938:22 263,26638:39 26639:6,16 26646:3 365

Daniele2:44 1297:10 3507:13,14 3177:27 12910:6 6810:17 7812:1 239,35012:2 171,239,241

242,322

Osea2:3 1674:12 8213:1 16713:3 289

Gioele2:2 3172:28 813:18 358

Amos2:2 1675:5,6 2419:2 193,2099:3 193,2099:13 358

Michea6:7 58

Abacuc2:5 1942:19 78

Sofonia1:14 258,288,3171:15 259,288,292,3171:18 259,288,292,3173:13 358

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Page 377: Immortalità dell'anima o risurrezione?

377

Aggeo2:13 46,53Zaccaria7:12 73,81

Malachia4:1 242,2894:2,3 289

Matteo1:18,20 1162:20 983:7 2423:12 241,2424:1 116,2054:11 2055:3 1175:5 3545:8 1345:22 2515:28 1335:29,30 251,2525:38,39 3015:46 3476:1-5 3476:16,18 3476:25 98,1107:13,14 254,2907:20 2988:12 257,2748:22 1709:24 104,172,17710:26 34010:28 102,104,113

252,29010:39 9910:41 34711:21,22 30311:23 20911:28 9712:34 13312:36 334,340,34712:37 33413:30 28913:38 28513:40 28913:41 32213:42 274,28513:43 285,32213:49,50 32215:13 29016:18 20916:25 9916:27 217,316,34218:8,9 251,25218:32 26218:33,34 26218:35 13419:1,8 4119:28 349,35019:29 180

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255,262,322,33726:41 11726:64 31727:46 162, 24627:54 172

Marco1:10 1165:39 1727:21 1338:35 998:36 100,1049:41 3479:44 2519:45-48 2519:48 251,27412:18,23 17312:30 110,113,13412:31 13413:27 31914:33 161,28614:34 161,28614:36 16114:58 22615:34 162,286

Luca1:25 1164:1,2,14 1164:16 3304:18 1164:21 116,3306:23,25 3477:11,15 155,1738:41 155,1738:42,49 1738:52 1728:55 117

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215,216,21723:46 11924:32 13324:41 32824:43 32824:45 134

Giovanni1:3 128

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Atti degli Apostoli1:8 3191:11 3142:26 1332:27 189,2092:29 1732:31 209,2172:32 2172:34 1742:41 972:43 977:14 979:36 155,1739:41 155,17310:38 116

11:23 13312:23 24114:17 71,13314:22 11215:9 13415:24 11215:26 10016:14 13417:28 11,12,13,1420:9 155,17320:10 10520:11 15520:12 17320:24 100,11024:15 32227:10 9827:22 98

Romani1:8 2861:9 117,1181:20 303,3411:24 1332:2 3452:3 3382:5 258,345,346,3472:6 291,337,342,344,3462:7 180,292,337,3462:8 3372:9 106,258,2912:12 291,292,3402:13 3402:14 134,278,303,3412:15 134,3032:16 278,303,340,341,3453:6 3393:21 3443:22 3443:23 3443:24 344,3453:25 344,3453:26 3443:27 342,343,3443:28 343,3444:13 3545:3 3345:4 334,3435:5 74,122,1345:12 108,1645:14 955:18 2766:6 1316:12 127,1316:17 1346:23 164,180,283,2867:6 1167:24 131,1328:1 3428:2 116,120,121,1268:4 121,329,3428:5 118,121,123,329

8:6 123,3298:7 3298:8 3298:9 115,118,3298:10 1158:11 110,122,127,1318:13 1318:16 116,117,1188:19 29,35,3138:22 129,2258:23 29,129,313,3328:25 35,2258:27 1348:29 448:38 34610:1 13310:9 34410:10 34411:3 10611:32 27612:1 32,130,131,33112:2 8013:1 10614:10 338,339,34115:13 12215:30 122

1 Corinzi1:18 2921:23 922:3 412:9 309,3602:11 1192:12 412:14 106,118,3292:15 106,118,318,3294:3,4 3384:5 111,340,3456:2 339,349,3506:3 339,349,3506:11 1206:14 1226:15 1246:17 1176:18 3726:19 32,124,131,132,3366:20 124,1326:23 1809:27 130,131,34310:1-5 31811:27 12713:3 13014:32 11715:6 17415:12 32415:14 32615:17 128,175,32615:18 128,174,175,219

284,287,32615:20 174,325,32815:21 164

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2 Corinzi1:22 1342:4 1332:15 2923:2 1343:6 1223:17 1164:3 2924:6 1344:11 127,1314:14 2254:16 124,2224:17 2225:1 181,187,207,221,222

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224,227,2285:4 221,222,224

225,227,2285:5 221,222,2285:6 221,222,2285:7 221,222,2285:8 207,221,222,224,2285:9 221,222,2285:10 181,187,207,221

222,228,339,3415:14 168

5:17 119,120,3555:21 2866:6 1226:11 1337:1 947:2,3 1339:7 1339:13 34311:13 20511:14 20512:2 21712:4 217

Galati2:16 342,343,3442:21 3423:10 3443:11 3443:14 1223:27 120,2273:28 414:6 115,121,1344:7 1214:28 3444:30 3445:5 1225:6 3435:16 110,121,1235:17 1235:18 111,1235:19 110,121,1235:20 121,1235:21 1235:22 111,121,123,3445:23 121,1235:24 1235:25 1235:26 1236:8 116,122,1916:15 1206:18 117

Efesini1:10 2761:18 1331:23 1272:1 1703:10 3463:17 744:17 134,1704:18 1344:19 1704:23 117,119,1244:24 44,119,120,124,1705:14 1716:6 1066:12 346

Filippesi1:6 2211:7 133

1:10 2211:11 3431:20 1301:22 2211:23 181,187,207,218,2211:24 2181:27 1062:7 3282:12 3432:13 3432:17 2292:30 100,1063:13 221,3433:14 221,3433:19 279,2913:20 225,314,3213:21 221,225,314,3214:3 334,3504:7 134

Colossesi1:8 1221:16 3461:18 170,325,3281:20 276,2771:23 2771:24 1272:15 3182:18 942:25 3463:4 314,3163:10 443:15 74,1343:16,22 1343:23 106

1 Tessalonicesi1:10 2922:4 1342:8 1063:13 1344:13 174,220,3484:14 35,172,174,219,3484:15 174,175,175,3484:16 172,174,175,220

314,316,321,3484:17 35,175,217,220

318,321,3484:18 220,3485:2,3 2915:6 3165:23 11,12,13,14,109,110

2 Tessalonicesi1:7 3461:8 346,3471:9 246,255,258,285

291,300,346,3471:10 3462:1 3192:10 292

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Indice dei testi biblici

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2:12 3413:5 134

1 Timoteo1:13 3031:17 257,2912:4 276,2772:5 272:14 414:8 2784:10 2765:24 278,3406:9,10 2786:16 107,138,179

257,291

2 Timoteo1:10 170,180,257,

287,2914:1 347,3474:2 3474:6 2294:8 213

Tito2:13 314,316

Ebrei1:10 1622:3 3452:14 170,2874:9 330,354,3614:12 109,1115:7 1625:9 2566:2 2568:10 134,3609:12 2569:27 278,33810:5 12710:22 13410:26 278,293,34510:27 278,293,34510:39 10011:10 354,358,36212:28 36213:14 35813:17 100

Giacomo1:15 2931:21 1002:18 3432:26 1163:6 2503:14 1334:12 2934:17 3035:20 293

1 Pietro

1:3 1701:8 1021:9 100,1021:17 3421:22 100,102,1342:11 1013:20 974:5 3474:14 122

2 Pietro1:19 1532:1 2922:4 339,3492:5,6 2922:17 2743:3 2923:4 1713:7 2923:9 293,3003:10 2933:11 353:12 354,3633:13 35,353,354,3553:18 334

1 Giovanni2:2 2863:2 3153:21 1344:10 345

Giuda6 339,3497 274,29413 27422,23 294

Apocalisse1:7 315,317,3231:18 170,2102:7 2172:11 2683:5 334,3503:18 2304:8 2644:11 3665:6 2295:8 2675:9,12 3666:9 181,187,207,228,2316:10 2286:11 181,187,207

228,2306:17 3457:9 3617:14 2307:15 26411:11 11611:18 294,345,34811:19 348

12:7-9 34512:10 26412:13-17 34513:1 36213:8 334,35014:3 36614:9 261,262,26414:10 261,262,263

264,29214:11 253,261,262,264,29514:19 34515:2 36615:3 346,36615:4 346,366,36716:19 29217:8 33417:15 36217:17 13318:8 263,26418:10,16,19,21 26419:1,2 36619:3 253,263,26419:8 26619:9 36119:11-14 316,35019:15 292,316,35019:16 316,35019:20 26520:1-3 34520:4 35,231,34920:5 267,34920:6 170,268,322,34920:7-9 34520:10 261,264,265

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266,267,268,269284,287,322

20:15 261,265,322323,351

21:1 29,35,129,305,353354,355,357,362

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Bibliografia*

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*La bibliografia raccoglie alcune opere italiane per approfondire l’argomento.

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Indice

Prefazione Clark Pinnock 7Presentazione Giuseppe De Meo 9Introduzione 17

I Parte LA NATURA UMANA NELL’ANTICO TESTAMENTO 37Capitolo 1 La creazione dell’uomo 39Capitolo 2 Che cos’è l’anima? 55Capitolo 3 La realtà fisica della natura umana 65Capitolo 4 Il cuore, la parte non visibile 71Capitolo 5 Lo spirito, l’intelletto 75

II Parte LA NATURA UMANA NEL NUOVO TESTAMENTO 89Capitolo 6 Che cos’è la psyche? 97Capitolo 7 Pneuma, l’uomo in relazione con Dio 115Capitolo 8 La natura umana come corpo 127Capitolo 9 La natura umana come cuore 133

III Parte LA MORTE E IL MORIRE 143Capitolo 10 La sopravvivenza delle anime 145Capitolo 11 La natura della morte 161

IV Parte LO STATO INTERMEDIO 183Capitolo 12 Lo stato dei morti nell’Antico Testamento 189Capitolo 13 Lo stato dei morti nel Nuovo Testamento 207

V Parte L’INFERNO: TORMENTO ETERNO O IL NULLA? 233Capitolo 14 Le pene eterne nell’Antico Testamento 237Capitolo 15 L’inferno negli scritti intertestamentari 243Capitolo 16 L’inferno nei vangeli e in Paolo 249Capitolo 17 Il destino dell’uono nell’Apocalisse 261Capitolo 18 Le metafore dell’inferno 273Capitolo 19 Distruzione o punizione? 281

VI Parte IL COMPIMENTO DELLA REDENZIONE 307Capitolo 20 Il ritorno di Cristo 311Capitolo 21 La risurrezione dei credenti 321Capitolo 22 Il giudizio finale 337Capitolo 23 La nuova terra 353Conclusione 369

Indice dei testi biblici 374Bibliografia 381

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2003da Legoprint SpA - Lavis TN

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