Imago Pietatis - Catalogo - Studio Cenacchi...architetto, fotografa, rabdomante pag. 15 Luca Panaro...

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A cura di Elena Franco IMAGO PIETATIS

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  • A cura di Elena Franco

    IMAGO PIETATIS

  • IMAGO PIETATIS

  • IMAGO PIETATIS

    L’immagine dell’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna

    A cura di Elena Franco

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    INDICE

    Giusella FinocchiaroIntroduzione

    L’importanza della memoria documentariapag. 9

    Jacopo CenacchiPremessa al lavoro di Elena Franco:

    architetto, fotografa, rabdomantepag. 15

    Luca PanaroFebbre d’archivio.

    Ricerca artistica e valorizzazione del patrimonionell’opera di Elena Franco

    pag. 17

    Elena FrancoL’immagine dell’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna.

    Note per l’interpretazione e ragioni di un progetto artisticopag. 23

    Operepag. 35

    Armando Antonelli

    «La scrittura ben regolata è la basedel buon governo di questo Sacro Monte»

    Le vicende dell’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna nei secc. XVI-XVIIIpag. 59

    Fabrizio LolliniConsiderazioni sparse sui tagli dipinti dei volumi custoditi

    all’Archivio Storico del Monte di pietà di Bolognapag. 99

    Luisel De GregoriisIl Monte di pietà e l’Imago Pietatis

    Contributi per una lettura iconografica e iconologicapag. 113

    Elisa BaldiniIl Monte di pietà di Bologna nell’anno 1906:

    una monografia all’Esposizione del Sempionepag. 123

    Note biografichepag. 133

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    È con grande piacere che introduco questa raccolta di contributi dedi-cati a illustrare un aspetto iconografico particolare del patrimonio docu-mentario che costituisce l’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna, conservato presso la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna.I saggi raccolti in questo catalogo sono, infatti, tutti incentrati sull’impor-tanza della memoria documentaria, sulla potenza rappresentativa delle immagini e sulla possibilità del loro riutilizzo e reimpiego attraverso lettu-re inconsuete, in grado di cogliere al contempo le ragioni storiche, che portarono per ragioni amministrative e gestionali all’allestimento di gran-di registri contabili, e le istanze di fruizione di un visitatore contempora-neo, interessato, come nel caso del presente catalogo, ad apprezzare la genesi e lo sviluppo di un’immagine, quella dell’Imago Pietatis, riprodot-ta per oltre duecento anni sulla parte visibile di quei registri d’archivio.

    Questi studi permettono di contestualizzare, nel tempo e nello spazio, quei grandi Libri Giornali e Libri Mastri, ma al contempo consentono di apprezzarne le tipicità iconografiche, che ci hanno tramandato quasi in-volontariamente, raffigurazioni di notevole pregio culturale e di non irrile-vante valore artistico: immagini del passato che consentono alla Fonda-zione del Monte, in questo progetto, di valorizzare il proprio patrimonio archivistico in maniera originale, attraverso un linguaggio inaspettato, come è quello dell’arte, in grado di reinterpretare segni e simboli fissati sulla documentazione, mediante la produzione di manufatti che, riela-borando il passato, ne offrono un significato originale, del tutto nuovo. Si tratta di una ri-lettura che risemantizza l’archivio antico, le sue ca-ratteristiche estetiche e le sue peculiarità visive, inserendolo all’interno dell’attuale panorama dell’arte contemporanea, che negli ultimi anni ha lavorato intensamente sull’impatto evocativo degli archivi. Credo che sia proprio questo il merito principale di questa operazione di valorizzazione, la rielaborazione, cioè, dell’iconografia dell’Imago Pietatis e del messag-gio di carità, solidarietà e amore che da essa promanava, divenendo,

    IntroduzioneL’importanza della memoria documentaria

    Giusella FinocchiaroPresidente Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna

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    durante i secoli XVI-XVIII, il “logo” del Monte di pietà di Bologna e l’icona del suo operare nella società cristiana a favore dei bisognosi. La comprensione storica di quell’immagine e lo studio delle tecniche degli artisti che elaborarono nel corso di oltre due secoli quel messag-gio attraverso le raffigurazioni del Cristo in Pietà, tratteggiate sui grandi volumi dell’archivio, permettono a chiunque di apprezzare fino in fon-do il nesso che vincola il documento e l’iconografia del Cristo in Pietà. La sinergia di competenze diverse, il taglio dell’archivista, dello storico dell’arte, dell’artista consentono pertanto una visione ampia e consape-vole del patrimonio di carte e di segni unico e ricchissimo trasmesso fino ai giorni nostri. Un’eredità che torna di attualità grazie alla mediazione dell’arte, che ri-vivifica, re-inventa, ri-propone in modo inconsueto e ori-ginale il passato, rielaborandolo con occhi diversi. La reinterpretazione contemporanea di manufatti antichi ha la forza di farli rivivere: essi tornano ad essere capaci di trasmettere a chi abbia de-siderio di osservarli emozioni e pensieri, che affondano le proprie radici in un legame antico, quello tra archivio e manifestazioni grafiche, che i nostri registri sono ancora oggi in grado di raccontare con intensità, pur a distanza di secoli.

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    Ho conosciuto Elena Franco diversi anni fa alla fiera di fotografia Milan Ima-ge Art Fair e sono stato immediatamente attratto dalla peculiarità e sensi-bilità del suo lavoro. Elena, alla maniera degli antichi rabdomanti, ha la ca-pacità di individuare realtà nascoste o poco conosciute dei territori e delle città che visita; che parrebbe non aspettino altro se non di essere portate in superficie dal suo lavoro di scavo e documentazione, per diventare, forse per la prima volta, visibili a tutti.

    La ricerca che viene qui presentata ha origine da una visita comune all’Ar-chivio Storico del Monte di pietà di Bologna, che conserva oltre un centinaio di volumi con la raffigurazione dell’Imago Pietatis dipinta sul taglio superiore di ogni tomo. Il lavoro della Franco ne reinterpreta l’immagine creandone di nuove, significanti, offrendoci così una rilettura originale e contemporanea di questi antichi volumi, che si rinnovano nelle opere create dall’artista.

    Il mistero della condizione umana, tema ultimo, di rara forza intrinseca, emerso durante questo lavoro sull’immagine della Pietà, ha generato le di-verse opere in esposizione: poster a tiratura limitata raffiguranti lettere che formano la parola “amore” in diverse lingue, fotografie e stoffe che ripro-ducono dettagli del fiore della passiflora, elemento ricorrente nei volumi e pianta simbolica che rimanda alla passione di Cristo. Infine, un libro d’ar-tista in tiratura di soli tre esemplari: creazione superba che compendia le immagini rappresentate su tutti i 138 volumi dell’archivio considerati. L’oggetto di questo lavoro, l’Imago Pietatis, ci rimanda esplicitamente al tema della solidarietà, così come era stato diversamente declinato, per il suo più importante lavoro precedente, Hospitalia (2012 - in corso). Si può senz’altro affermare che, oltre al tema, accennato, della rielaborazione in chiave artistica di particolari elementi della nostra contemporaneità, topos dell’arte della Franco sia proprio una peculiare attenzione a ciò che può portarla ad approfondire i rapporti tra esseri umani, l’attenzione verso l’al-tro, in ogni epoca.

    Anche il presente catalogo, voluto dall’autrice quale parte integrante del suo lavoro, contribuisce a fornire gli strumenti, in primo luogo scientifici ma anche di rilettura artistica, per riflettere sul messaggio contenuto nell’icona del Cristo in Pietà.

    Premessa al lavoro di Elena Franco:architetto, fotografa, rabdomante

    Jacopo Cenacchi

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    Ogni raccolta riporta nel presente la promessa utopica che conteneva al momento in cui fu pensata; l’archivio rimanda a un passato che resti-tuisce al nostro sguardo quella curiosità, capace di entrare in un nuovo rapporto estetico con i materiali raccolti. I vantaggi di questo guardare sono rintracciabili nella lunga distanza, più passa il tempo maggiore è il recupero delle potenzialità concettuali annunciate fin dall’origine. L’Archi-vio Storico del Monte di pietà di Bologna testimonia qualcosa di nuovo e singolare, capace di sopravvivere a coloro che lo hanno creato, al suo uti-lizzo e al costume del tempo, per giungere fino a noi con quella freschez-za e spontaneità che lo contraddistingue. Elena Franco sente il bisogno di cercare fra Giornali, Libri Mastri e Quaderni di cassa dell’archivio quella scintilla con cui la realtà ha folgorato il carattere della raccolta, «il bisogno di cercare il luogo invisibile in cui si annida ancora oggi il futuro»1.Gli insulti del tempo tendono a danneggiare certe opere d’arte, ma parte dell’interesse intrinseco degli archivi, e carattere rilevante del loro valore estetico, sono appunto le trasformazioni cui il tempo li sottopone, la loro capacità di sfuggire alle intenzioni di chi li ha messi insieme. La funzione di un archivio non è solo stabilire il valore dei documenti che custodisce, ma anche di contestualizzare la loro presenza. Parafrasando un saggio di Rosalind Krauss, possiamo dire che l’operazione condotta da Elena Franco corrisponde ad una sorta di re-invenzione dell’archivio2. È im-portante infatti inventare, nuovamente e ancora, l’archivio come insieme di regole e convenzioni derivate non solo dalla sua struttura interna, ma dall’utilizzo che se ne fa. Uno dei vantaggi dell’archivio sta proprio nel generare uno stimolo alla reinvenzione delle sue modalità di fruizione, dunque alla scoperta di potenzialità rimaste latenti. Potremmo quindi dire che il compito dell’artista consiste nel «permettere al muto passato di parlare con la propria voce, e con tutte le sue insolubili complessità»3. Negli ultimi decenni si è verificato un vero e proprio “impulso archivistico” come l’ha definito il critico d’arte Hal Foster4. La cultura contemporanea si è rivolta all’archivio come risorsa su cui edificare una nuova conoscen-za del visibile. Questi argomenti hanno trovato grande attenzione a livello internazionale, soprattutto in ambito artistico. Nel 2008 si è tenuta all’ICP

    Febbre d’archivio Ricerca artistica e valorizzazione del patrimonio nell’opera di Elena Franco

    Luca Panaro

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    La raffigurazione dell’Imago Pietatis viene ulteriormente rielaborata dall’artista, opportunamente decontestualizzata e ingrandita, icona per eccellenza, domina lo spazio espositivo presentandosi sotto forma di arazzo. Oltre all’immagine del Cristo in pietà, Elena Franco sottolinea la ricorrenza nell’archivio di raffigurazioni floreali, in modo particolare ri-leva la presenza costante della Passiflora, anche chiamato “fiore della passione” per la somiglianza di alcune parti della pianta con i simboli religiosi della passione di Gesù. Sul tema della passiflora nascono due serie d’immagini, che rendono ancora più evidente il taglio sperimentale dell’artista e l’utilizzo disinvolto della fotografia. Invece di rappresentare il fiore con una normale ripresa fotografica, Elena Franco decide di ripro-durre la passiflora utilizzando uno scanner, una modalità che ricorda la ricerca sul campo di ambito scientifico, la necessità dello studio metico-loso, il desiderio di indagare la pianta rispettandone le dimensioni reali, valorizzandone il dettaglio enfatizzato dalla vicinanza nella registrazione del frutto, del fiore, della foglia. In altre opere la passiflora muta forma per via di un eccesso di moltiplicazione della stessa fotografia, fino a forma-re un’immagine ibridata col disegno che assume caratteri psichedelici e trova nel tessuto il supporto ideale per l’esposizione.Nella comprensione della ricerca artistica di Elena Franco e delle opere generate dal “contatto” con l’Archivio Storico del Monte di pietà di Bo-logna, dobbiamo evidenziare l’abilità dell’autrice nell’utilizzo di linguaggi differenti. Il processo fotografico è senz’altro il comune denominatore delle varie produzioni, anche se il risultato non è mai una fotografia in senso classico; è piuttosto il mezzo per eliminare il livello iniziale dell’e-sperienza diretta con l’archivio e costruire uno scenario esclusivamente pensato per l’immagine. Qualcosa di più della semplice documentazione fotografica, essendo la testimonianza profonda e tangibile di un’espe-rienza non soltanto visiva. Lo dimostra il desiderio di Elena Franco nel concludere questo intervento sull’archivio con una pubblicazione, non solo quella su cui stiamo scrivendo, che ha necessariamente la struttura del catalogo, piuttosto un libro d’artista corredato da 414 immagini in edizione di soli tre esemplari. Un libro dedicato ai libri, proposto dall’au-trice mimando la fattura delle pubblicazioni antiche a cui si rivolge, nel contenere gli strumenti interpretativi dell’archivio attraverso una rilettura contemporanea. Il volume riporta oltre alle immagini le segnature archivi-

    di New York l’importante mostra Archive Fever. Uses of the Document in Contemporary Art, a cura di Okwui Enwezor, che ha fatto il punto della situazione sulla ricerca di molti artisti che hanno visto nell’archivio un riferimento irrinunciabile. I documenti del passato vengono intesi come depositi di senso da cui attingere per una nuova e approfondita com-prensione del presente5. È dunque in questo più ampio contesto che si colloca il lavoro di Elena Franco, dove l’approccio all’archivio non è di carattere soltanto scienti-fico, per la sua ricerca l’estetica ha un’importanza decisiva. I 138 volumi dell’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna sono indagati dall’arti-sta mettendo in evidenza la raffigurazione del Cristo morto ritto nel sepol-cro (Imago Pietatis), dipinto sul taglio dei libri assieme ad una o più lettere dell’alfabeto. Una rappresentazione iconografica che doveva far riflettere sulla condizione umana e suggerire la necessità di donare. Vedere l’uo-mo che soffre porta alla solidarietà, l’immagine era così utilizzata per far arrivare il messaggio più velocemente. I libri con l’illustrazione a vista, inoltre, se osservati tutti insieme nella stessa stanza (come si presen-tavano in origine), vanno a formare una sorta di mosaico, un’immagine nell’immagine, così da potenziare ulteriormente il messaggio desiderato.Elena Franco coglie puntualmente la grande intuizione comunicativa di questo archivio e la disposizione a modulo dei singoli libri. Nella sua rilet-tura contemporanea, infatti, questi volumi sono fotografati singolarmente in modo da ricomporre le lettere dipinte in ordine differente. Il singolo libro, isolato dal contesto originario, “incollato” su uno sfondo monocro-matico, diviene protagonista dell’immagine che l’artista formalizza mi-mando l’estetica del poster. Accostando più poster, e quindi più lettere dell’alfabeto, si può comporre la parola “love” in varie lingue. Il linguaggio della comunicazione tipografica, già insito nell’archivio delle origini, qui si manifesta attraverso l’escamotage pubblicitario, dove l’estetica del po-ster strizza l’occhio alla cultura pop e si dimostra capace di diffondere il messaggio di “amore” e carità fuori dai confini dell’archivio. Il gesto artistico di Elena Franco sembra quindi estendere al pubblico dell’arte l’azione intrinseca dell’archivio, nella misura in cui l’opera riesce a comu-nicare agli abituali frequentatori della galleria, e al più ampio pubblico che vive quotidianamente la città, ipotizzando l’affissione dei poster in modo disseminato nel contesto urbano.

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    stiche e gli anni a cui si riferiscono, in questo modo la poderosa pubblica-zione diventa mezzo di conoscenza per chi in futuro voglia fruire dell’ar-chivio. Il libro d’artista è un medium di tradizione novecentesca, che vede in questi primi decenni del Duemila una nuova vitalità di cui Elena Franco è consapevole, frequentando attivamente le realtà più interessanti che distribuiscono e valorizzano l’opera nei canali dell’editoria d’arte.Il libro così concepito è portatore di una modalità di fruizione che in fondo è di tutta l’arte, specie quella di matrice tecnologica, cioè non defraudare la nostra facoltà di giudizio, lasciando quindi al fruitore la possibilità di riflettere autonomamente. La pubblicazione d’artista è un’opera in cui ognuno può inventare la propria personale visione nonostante le indi-cazioni suggerite dall’artista. Affinché le immagini abbiano su di noi un certo effetto, è necessario che l’artista non frema per noi, non rifletta per noi, non giudichi per noi, il fotografo deve lasciare spazio alla personale elaborazione del fruitore, in caso contrario rimarrebbe un semplice in-teresse tecnico6. Lasciando il visitatore di fronte alle immagini di Elena Franco, privandolo inizialmente di una spiegazione dettagliata rispetto ai temi dell’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna, queste opere obbligano a una partecipazione attiva, indirizzano il fruitore sulla via della comprensione che egli stesso potrà elaborare in modo autonomo.

    1 - Walter Benjamin, Piccola storia della fotografia [1931], in L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1991, p. 62.

    2 - Rosalind Krauss, Reinventare il medium, Milano, Bruno Mondadori, 2005.

    3 - Susan Sontag, Sulla fotografia [1973], Torino, Einaudi, 1992, p. 68.

    4 - Hal Foster, An Archival Impulse, New York, «October» n. 110, 2004.

    5 - Okwui Enwezor, Archive Fever, New York-Göttingen, ICP-Steidl, 2008.

    6 - Roland Barthes, Fotografie-choc in Miti d’oggi [1957], Torino, Einaudi, 1994 p. 102.

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    L’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna custodisce 138 volumi - fra Giornali, Mastri e Quaderni di cassa - con la raffigurazione dell’Imago Pietatis dipinta sul taglio di testa, insieme alle segnature archivistiche. Questa particolare caratteristica, condivisa in Italia dagli archivi dei Monti di pietà di Udine e di Napoli, affonda le proprie radici nella seconda metà del Quattrocento, quando l’Imago Pietatis, ovvero la raffigurazione del Cristo morto, ritto nel sepolcro, iniziò a essere frequentemente associata ai Monti di pietà e ad altri istituti di tipo assistenziale1. La connessione è dovuta al fatto che il tema della compassione verso il prossimo, o Pietas, era spesso associata a questa rappresentazione iconografica. Anche la virtù morale della Misericordia e la collegata Caritas si legavano a questa particolare rappresentazione, con l’intento di incoraggiare l’atto del dono con finalità assistenziali. Tant’è che, spesso, l’Imago Pietatis era collega-ta anche agli ospedali, oltre che ai Monti di pietà2.Questo è l’aspetto che, maggiormente, mi ha spinto a interessarmi a questo archivio e ai documenti in esso conservati, seguendo il filone di ricerca artistica – e documentaria – che ho iniziato nel 2012, occupando-mi di antichi ospedali, con il progetto Hospitalia3, con cui ho voluto, tra le altre cose, evidenziare l’aspetto di responsabilità sociale e comunitaria della cura.Un primo elemento di interesse per il mio lavoro, dunque, riguarda il fatto che l’iconografia della Pietà dell’Archivio Storico del Monte di pietà di Bo-logna rimandi a quella della solidarietà e della cura, nel senso più ampio del termine. Per ciò che concerne l’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna, la tendenza a «parlare per immagini», così insita nella contemporaneità, è – sorprendentemente - anche la caratteristica portante della sua estetica originaria. I volumi qui conservati, infatti, in origine non venivano collocati in archivio all’interno di armadi e con il dorso in vista, come oggi, ma appoggiati su scaffalature aperte, con il taglio di testa illustrato in vista, a mostrare, in una sorta di mosaico, l’immagine della Pietà, che doveva far riflettere sulla condizione umana e suggerire la necessità di donare (pietà

    L’immagine dell’Archivio Storico del Monte di pietà di BolognaNote per l’interpretazione e ragioni di un progetto artistico

    Elena Franco

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    del sangue che fuoriesce dal costato e dalla fronte.In un solo caso sono presenti la lancia e la canna con la spugna imbevuta di aceto (Giornale e Mastro contrassegnati dalla lettera Y, entrambi rela-tivi agli anni 1637-1641) oppure il mantello rosso della derisione (volumi contrassegnati dalla lettera EE, relativi agli anni 1672-1676), mentre è sempre presente la corona di spine.Un altro elemento simbolico che ricorre in alcune delle raffigurazioni è il velo, tessuto o drappo prezioso retrostante, che viene solitamente inter-pretato come una glorificazione del Cristo sofferente e del suo sacrificio.Relativamente al sepolcro, ci si chiede se il Cristo sia rappresentato nell’atto della deposizione o in quello dell’ascensione e questa ambiguità si coglie maggiormente nella prima delle due tipologie di rappresentazio-ne (solo o con angeli).Il sepolcro, semplice o a due elementi sovrapposti, richiama spesso un altare tant’è che, almeno in un caso, sembra che il Cristo sia posizionato dietro la tomba e non uscire da essa (volumi contrassegnati con la lettera GG, anni 1682-1686).Ci troviamo, dunque, in presenza delle immagini dipinte sui tagli dei vo-lumi custoditi nell’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna in quel preciso momento che, a mio avviso, nella Via Crucis è rappresentato dal sabato, il «regno del già-e-non-ancora», nel momento successivo alla de-posizione dalla croce, ma quando ancora non si è compiuto il destino del Cristo, di fronte al quale ci interroghiamo sul senso della morte. Che nel caso di Gesù non è la morte tout-court ma è la morte ingiusta – frutto di dominio e ingiustizia - e, pertanto, inaccettabile. E che, nel mio percorso di riflessione, ha costituito quell’anticipazione necessaria di una realtà – l’accettazione completa della morte, fisiologica o ingiusta che sia - che trova la sua conciliazione solo nella creazione dell’opera d’arte8.Lo studio dell’iconografia dell’Imago Pietatis è stato parte integrante del lavoro di valorizzazione e creazione artistica ed è stato possibile, in primo luogo, attraverso l’osservazione di tutti i volumi in archivio, poi grazie alla ripresa fotografica che ha permesso di soffermarmi anche sui particolari di ciascuna rappresentazione e, infine, grazie al confronto e ai contributi degli studiosi raccolti nel presente volume.Riguardo all’oggetto-libro, va evidenziato come i volumi custoditi in ar-chivio siano, nella maggior parte dei casi, rilegati in cuoio con varie de-

    e compassione)4.Questa modalità di conservazione, orizzontale sugli scaffali di biblioteche e archivi, se da un lato era usuale nel primo periodo successivo all’intro-duzione della carta in Europa, a partire dal XIII secolo5, nel caso dell’ar-chivio bolognese porta con sé anche un elemento estetico e comunicati-vo sul quale ho voluto basare la mia riflessione artistica, esasperando la natura di tipo iconografico – o «logo» che dir si voglia - che ha assunto questa rappresentazione che, grazie allo «spettacolo della misericordia divina», doveva commuovere lo spettatore, invogliandolo alla compassio-ne verso il prossimo6.La raffigurazione del corpo morto di Cristo, estrapolato da qualsiasi am-bito narrativo, collegato alla definizione di «somma umiliazione», ha ori-gini nel contesto bizantino ma si ritrova anche, successivamente, in area occidentale, dove il Cristo in Pietà o Imago Pietatis supporta i movimenti quattrocenteschi basati sull’imitazione della vita del Cristo.Volendo considerare la definizione più allargata dell’Imago Pietatis7, si può evidenziare una «matrice iconografica» che delinea la raffigurazione del Cristo morto che si erge dal sepolcro: - solo; - con angeli (Engelpietà, soprattutto in area nord europea); - con i “dolenti” (Maria e Giovanni).

    A cui si associano i gesti ricorrenti: - delle braccia incrociate in avanti (con la variante dei polsi lega- ti) ovvero Cristo cadavere nel sepolcro (polsi incrociati, mani in pronazione); - delle braccia aperte e spalancate (ostensio vulnerum), in que- sto caso il Cristo vivo che mostra le ferite; - della mano destra sulla ferita del costato.

    In alcuni casi, l’Imago Pietatis è accompagnata dalla rappresentazione degli strumenti della Passione (Arma Christi).Nel caso dei volumi d’archivio conservati a Bologna, il Cristo si presenta solo o accompagnato dagli angeli. Nel primo caso, sui volumi più antichi, con le braccia incrociate davanti mentre, nel secondo caso, con le brac-cia aperte – sorrette dagli angeli - con la variante della presenza, o meno,

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    flora, probabilmente ad opera di Giovanni Luigi Valesio (Bologna 1583, Roma 1633), e, poi, nel 1609, pubblicò la raccolta di componimenti po-etici «Il fiore della Granadiglia ovvero della Passione di Nostro Signore Gesù Christo; spiegato e lodato con discorsi, e varie rime» pubblicato in Bologna presso Bartolomeo Cocchi. E poco dopo anche in seno all’Ar-chivio del Monte di pietà di Bologna la passiflora fa la sua comparsa sia nelle Imagines pietatis che nelle decorazioni a secco delle coperte in cuoio dei volumi. Il significato è da leggersi non solo come simbolico ma, con ogni probabilità, anche politico. E andrebbe approfondito con studi specifici.Ritornando sulla raffigurazione della passiflora, si nota che le decorazioni a secco che contraddistinguono i volumi a partire dal XVI secolo rap-presentano, nella maggior parte dei casi, una sorta di ghirlanda con, in sequenza, l’immagine della passiflora nelle varie fasi da fiore a frutto11.Concentrarmi su questa pianta e sulla sua simbologia è stato per me utile e ha rappresentato il compimento di un percorso nella gestione dell’ico-nografia – e dei collegati significati – che, grazie alla bellezza della pianta comparata alla crudezza delle immagini del Cristo, ha rappresentato quel momento di conciliazione fra consapevolezza e accettazione.Nel maneggiare i volumi per fotografarli, mi sono chiesta chi fossero gli autori delle Imagines pietatis.Dalle ricerche in corso è emerso che il Monte di pietà di Bologna si affi-dasse a un «cartaro» per le forniture inerenti l’archivio come carta e in-chiostri. In mancanza di riscontri differenti, possiamo supporre che fosse questo il soggetto economico che fornisse quanto necessario alla realiz-zazione dei volumi d’archivio, compresa anche la rilegatura.È cosa nota, infatti, che, a partire dal XVI secolo, spesso, i commercianti in carta associassero i generi nell’impresa di famiglia, per sopperire alla mancanza di dote per le figlie, affidando loro compiti di legatoria. Nel corso del Settecento, poi, il termine «cartaro» che ritroviamo spesso nei conti del Monte, sta a indicare sia il produttore che il rivenditore di carta12. In particolare, il rapporto fra il Monte di pietà di Bologna e la Carteria del Moro13 – una delle principali e più longeve di Bologna – quale fornitrice dell’ente fa supporre che sia l’acquisto della carta, sia quello dei registri da massaro sia quello delle mute di libri14 fossero trattati con un unico fornitore che, in mancanza di altre fonti e riscontri archivistici, potrebbe

    corazioni a secco, secondo una tipologia riconducibile, per analogia in mancanza di prove certe, alla legatura fiorentina, con le bandelle di rin-forzo (solitamente cinque) decorate con intrecci di pelle allumata bian-ca9. Alcuni volumi, relativi ai quaderni di cassa, sono rilegati, invece, in pergamena, con o senza bandelle di rinforzo e, in un caso, troviamo dipinta con inchiostro nero un’Imago Pietatis anche sul piatto (registro contrassegnato dalle lettere KK, relativo agli anni 1694-1696). Una sola coppia di quaderni di cassa, relativa agli anni compresi fra il 1795 e 1805, è ricoperta in tela.Proprio dall’osservazione diretta dei manufatti è emerso, quale elemento ricorrente, l’uso simbolico della passiflora.Ad accompagnare l’immagine di Cristo in Pietà vi è spesso, infatti, la raffigurazione di piante e fiori – come la passiflora - che, non sempre, paiono avere un mero ruolo decorativo e il cui significato andrebbe ap-profondito.A questo proposito pare utile alla riflessione citare il Salmo 53 di Isaia, a cui si fa risalire l’iconografia dell’Uomo dei Dolori, da alcuni associato, come anche la Sindone, all’Imago Pietatis, che riporta: È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere.

    In merito alla raffigurazione della passiflora o Fiore della Passione di Cri-sto, va evidenziato come, proprio a Bologna, grazie al libraio Simone Parlasca10, che aveva la sua bottega nei pressi del Monte di pietà di Bolo-gna, nel 1609 venisse lanciato un progetto editoriale relativo alla scoper-ta della passiflora da parte dei Gesuiti. La pianta, originaria dell’America centro-meridionale, è stata da subito legata ai simboli della passione di Cristo: i viticci alla frusta con cui venne flagellato, i tre stili ai chiodi, gli stami al martello, la raggiera corollina alla corona di spine.Simone Parlasca, di origine bergamasca ma attivo dal 1590 a Bologna, persona profondamente religiosa e legata alla Compagnia di Gesù, diede alle stampe, prima, un unico foglio con la xilografia raffigurante la passi-

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    stra la sequenza di Mastro, Campione e Quaderni di cassa contraddistin-ti dalle lettere AAA, relativi agli anni 1766-1770, insistendo sull’estetica dell’archivio, sui codici di conservazione e sulle modalità di archiviazione. Ancora, sono state realizzate alcune opere su tela che ci mostrano il Cristo in Pietà, prelevandone un’immagine di dettaglio da una delle più interessanti Imagines Pietatis conservate in archivio, mostrandolo quasi come un’icona rock-pop, grazie all’isolamento dal contesto. Allo stesso modo, con la scansione del fiore della passiflora, trasfor-mato in un pattern grafico-fotografico in scala di grigi, in analogia con i frottages utilizzati per meglio comprendere i volumi d’archivio, nella fase di studio preliminare al lavoro artistico, viene illustrata una stoffa – mo-strata ripiegata come un sudario - che diventa la base con cui, in futuro, potrebbero essere prodotte nuove opere, portando il messaggio insito nell’archivio in altri contesti e in altre situazioni.La passiflora è anche oggetto di alcune opere uniche dove la fotografia e il disegno si fondono e di una serie di piccole immagini che ne ripropon-gono la sequenza che decora e caratterizza i volumi conservati nell’Ar-chivio Storico del Monte di pietà di Bologna, illustrando il fiore, il frutto, la foglia. In contrasto con una fruizione, consumistica e anche ludica, del messag-gio, attraverso i poster e la stoffa, un’ulteriore opera rende conto, invece, della sua profondità, usando un diverso modo di fruizione - in contra-sto - lento, ripetitivo, che aiuta la meditazione. Quest’opera diviene essa stessa codice interpretativo del corpus dei volumi conservati in archivio, duplicando il proprio significato di opera d’arte e strumento scientifico. Grazie alla realizzazione di un libro d’artista in tre copie, ispirato nella fattura ai volumi d’archivio, sono proposte le 138 immagini dell’Imago Pietatis, isolate rispetto a qualsiasi altro riferimento di fondo in fase di ripresa, in ordine cronologico, accompagnate ciascuna da due particolari di dettaglio per un totale di 414 immagini, presentate ciascuna in una pa-gina dedicata, con una sequenza ripetitiva. Il volume, invece di riportare l’Imago Pietatis sul taglio, mostra una finitura simile a uno specchio, in cui è però impossibile ritrovare la propria immagine, quasi un memento mori, un invito a guardarci dentro e a riflettere sulla profondità e sul mi-stero che accompagna le nostre esistenze.

    essere stato anche il tramite per la realizzazione delle Imagines Pietatis. Un’altra supposizione potrebbe essere che, a realizzare le decorazioni, fosse qualcuna delle ragazze entrata in convento grazie alla dote garan-tita dal Monte di pietà15. Allo stato attuale delle ricerche sul contenuto dei registri del Monte di pietà di Bologna non è stato possibile individuare con certezza alcun riferimento a pittori o ad artigiani quali esecutori delle Imagines Pietatis sul taglio dei volumi. Un unico riferimento al miscono-sciuto pittore Giuseppe Lenzi è evidenziato in merito alla decorazione di candele per la festa della Purificazione della Beata Vergine con le imma-gini della Pietà, nel 176516.Questi sono gli esiti della ricerca condotta in via preliminare, prima di approcciare la realizzazione di una documentazione fotografica comple-ta dei 138 volumi riportanti le Imagines Pietatis e rappresentano gli ar-gomenti che sono stati chiesti di approfondire agli studiosi, che hanno contribuito alla scrittura del presente volume, dove convivono l’approccio artistico e quello scientifico, in un’ottica di conoscenza e valorizzazione.L’insieme delle ricerche e delle riflessioni condotte nella prima fase del lavoro costituisce la fonte d’ispirazione che ha accompagnato la fase creativa, culminata con la realizzazione di una serie di opere, che hanno, nel mio intento, il compito di ispirare riflessioni personali nel pubblico che verrà a contatto con esse, da un lato, e di valorizzare il patrimonio costituito dall’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna, dall’altro.Grazie alle riflessioni collegate all’approfondimento storico e iconografico e all’esame del materiale fotografico documentale realizzato mi è sta-to possibile orientare il lavoro artistico relativamente al tema principale emerso, ossia la condizione umana, che ci rende tutti identici, nel mo-mento della sofferenza e della morte.Questo tema è stato sviluppato in una serie di opere che, con un lin-guaggio contemporaneo, riprendono il tema e lo declinano attraverso un lessico mutuato da diversi ambiti, anche dalla pubblicità.E così sono nati una serie di poster in tiratura limitata che - ispirandosi all’estetica dell’archivio antico, che ci invitava, attraverso le immagini del-la Pietà mostrate sugli scaffali aperti, a riflettere sulla condizione umana - ripetono la parola “amore” in diverse lingue. O il poster che ci mostra il Cristo in Pietà su fondo oro, evidenziando la preziosità del messaggio. Un’altra serie di poster, invece, si concentra sul volume-oggetto e ci mo-

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    1 - Maria Giuseppina Muzzarelli (a cura di), L’iconografia della solidarietà La media-zione delle immagini (secoli XIII-XVIII), Venezia, Marsilio, 2011.

    2 - La prima Imago Pietatis che appare in connessione a un istituto caritativo potrebbe essere quella miniata in un manoscritto dell’Archiginnasio di Bologna, in cui è riportato l’inventario, redatto nel 1329, dei beni di una locale confraternita, la Compagnia delle Laudi, che venivano conservati presso l’ospedale da loro gestito. Corinna Tania Gallori, L’Imago Pietatis e gli istituti di carità: problemi di iconogra-fia, in «ACME. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano», LIX, 1, 2006, pp. 75-125.

    3 - «Hospitalia» è un progetto fotografico, in corso dal 2012, che indaga il tema dei luoghi della cura. Gli ospedali antichi intesi come monumenti sociali – vere e proprie città nella città – siti di accoglienza comunitaria. E’ un lavoro che parte dall’architettura, a scale diverse, fino al punto in cui diventa riflessione territoriale, per poi allargarsi a questioni economiche e sociali, senza voler nascondere il lato profondamente umano collegato alla cura. Ed esplora anche gli archivi degli enti ospedalieri, ricercando collegamenti con la società civile e con il paesaggio. Dopo essere stato esposto in sedi istituzionali in Italia e all’estero, è diventato un libro in edizione italiana e inglese. Elena Franco, Hospitalia. O sul significato della cura, Torino, ARTEMA, 2017; Elena Franco. Hospitalia. Or on the meaning of care, To-rino, ARTEMA, 2019.

    4 - Circa l’estetica dell’archivio si rimanda a contributi di Armando Antonelli «La scrittura ben regolata è la base del buon governo di questo Sacro Monte». Le vicende dell’archivio del Monte di pietà di Bologna nei secc. XVI-XVIII e di Fabrizio Lollini, Considerazioni sparse sui tagli dipinti dei volumi custoditi all’Archivio Sto-rico del Monte di pietà di Bologna in questa stessa sede.

    5 - Vestire le parole. Cenni di storia e arte della legatura, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2003; David Finkelstein, Alistair McCleery, Introduzione alla storia del libro, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2006; Michel Melot, Libro, Milano, Edi-zioni Sylvestre Bonnard, 2006.

    6 - Maria Giuseppina Muzzarelli, Da sentimento a istituzione: l’ideazione dei Monti di Pietà, in Maria Giuseppina Muzzarelli (a cura di), Uomini, denaro, istituzioni. L’invenzione del Monte di Pietà, Bologna, Costa Editore, 2000.

    7 - Erwin Panofsky, Imago Pietatis e altri scritti del periodo amburghese 1921-1933, Torino, Il segnalibro, 1998, pp. 262-308; Corinna Tania Gallori, L’Imago Pietatis e gli istituti di carità: problemi di iconografia, cit., pp. 75-125; Marco Bona Castellotti, Gli angeli della Pietà. Intorno a Giovanni Bellini, Torino, Alleman-di, 2012, Luisel De Gregoriis, Il Monte di Pietà e l’Imago Pietatis. Contributi per una lettura iconografica e iconologica in questa stessa sede.

    8 - Mimmo Paladino, Raffaele Mantegazza, Via Crucis, Bologna, EDB, 2018, pp. 220 e 229.

    9 - Federico e Livio Macchi, Atlante della legatura italiana, Milano, Edizioni Sylve-stre Bonnard, 2007; Franca Petrucci Nardelli, La legatura italiana. Storia, descri-zione, tecniche (XV-XIX secolo), Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989.

    10 - Andrea Lazzarini, Il Fiore della Granadiglia. Una raccolta poetica del primo Seicento bolognese e il suo contesto europeo, in «Annali della Scuola Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», serie V, 2017, pp. 101-126.

    11 - Sull’uso della passiflora nell’Archivio Storico del Monte di veda anche il contributo di Elisa Baldini, Il Monte di Pietà di Bologna nell’anno 1906: una monografia all’E-sposizione del Sempione, in questa stessa sede.

    12 - Pierangelo Bellettini, Cartiere e cartari in Produzione e circolazione libraria a Bologna nel Settecento: avvio di un’indagine, 22-23.05.1985, Atti del V colloquio Istituto per la storia di Bologna, pp. 17-89.

    13 - Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna, Verbali, Registro 1720, c. 65r,v, c. 66r.

    14 - AMPBo, Quaderno di cassa 37.37, Registro 1761-1765, c. 898r.

    15 - Per un approfondimento iconografico si rimanda al contributo di Fabrizio Lolli-ni, Considerazioni sparse sui tagli dipinti dei volumi custoditi all’archivio storico del Monte di Pietà di Bologna, in questa stessa sede.

    16 - AMPBo, Verbali, Registro 1740-1742, c. 46v; AMPBo, Quaderno di cassa 37.29, Registro 1740-1745, c. 702r.

    Ringrazio la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e la sua Presidente Giusella Finocchia-ro per aver accolto e promosso questo progetto artistico di valorizzazione dell’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna. Ringrazio Armando Antonelli per la sua competenza, passione e capacità di visione. Ringrazio Jacopo Cenacchi che, sempre, mi supporta nel mio percorso artistico e con il quale condivido affinità di intenti e sensibilità. A Luca Panaro devo molto: lo ringrazio in particolare per il contradditorio con cui maschera i suoi preziosi consigli. Un grazie speciale va a Luisel De Gregoriis, che ha condiviso con me le fatiche delle riprese fotografiche, mi ha coadiuvato nella ricerca bibliografica e iconografica e che, con il suo entusiasmo e la sua giovane età, è stata per me un prezioso aiuto in questo viaggio di scoperta. Ringrazio, altresì, Fabrizio Lollini, per aver pazientemente posto attenzione ai miei quesiti e dato loro risposta con la stesura del suo contributo ed Elisa Baldini, per la sua approfondita ricerca. Un ringraziamento va ad Adriano Padovani di Wow Studio che, con pazienza, veste graficamente testi e immagini, a Giorgio Dalle Nogare di White Sas che, con la sua competenza, mi segue in percorsi non sempre lineari, insieme a Cristina Colombi e tutto lo staff di Legatoria Bergamasca. Un grazie sentito va ad ARTEMA e a Walter Martiny. Grazie allo staff di The Colour Soup, a Monica Ami-goni e Alberto Aliverti di Whiterobot, a Maurizio Plassio, a Silvio Zamorani: innovatori, artigiani, artisti. Cultori del bello. Infine, io che di nonne non ne ho più, ringrazio nonna Gina, che ha cucito per me.

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    OPERE

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    Elena Franco, Imago Pietatis, poster su carta Fedrigoni XPER 220 gr, 40 cm x 60 cm,edizione di 7 oltre a 1 PDA, ripresa digitale e successiva elaborazione digitale, stampa digitale.

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    Elena Franco, Imago Pietatis, Serie 1, 4 poster (che compongono la scritta LOVE)su carta Fedrigoni XPER 220 gr, 40 cm x 60 cm cad., edizione di 7 oltre a 1 PDA,ripresa digitale e successiva elaborazione digitale, stampa digitale.

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    Elena Franco, Imago Pietatis, Serie 2, 5 poster (che compongono la scritta AMORE)su carta Fedrigoni XPER 220 gr, 40 cm x 60 cm cad., edizione di 7 oltre a 1 PDA,ripresa digitale e successiva elaborazione digitale, stampa digitale.

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    Elena Franco, Imago Pietatis, Serie 3, 4 poster su carta Fedrigoni XPER 220 gr, 40 cm x 60 cm cad.,edizione di 7 oltre a 1 PDA, ripresa digitale e successiva elaborazione digitale, stampa digitale.

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    Elena Franco, Imago Pietatis, Serie 4, poster su carta Fedrigoni XPER 220 gr, 40 cm x 60 cm cad.,edizione di 7 oltre a 1 PDA, ripresa digitale e successiva elaborazione digitale, stampa digitale.

    Elena Franco, Imago Pietatis, Serie 4, 2 poster su carta Fedrigoni XPER 220 gr, 40 cm x 60 cm cad.,edizione di 7 oltre a 1 PDA, ripresa digitale e successiva elaborazione digitale, stampa digitale.

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    Elena Franco, Imago Pietatis, Dittico, coppia di arazzi su poly spazzolato 300gr/mq,100 cm x 135 cm cad., edizione di 7 oltre a 1 PDA, ripresa digitale, stampa digitale.

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    Elena Franco, Imago Pietatis, Passiflora #1, serie di 4 fotografiesu carta Canson Platine Fibre Rag 310gr/mq, 22 cm x 22 cm, edizione di 7 oltre a 1 PDA,scansione e successiva elaborazione digitale, stampa ink jet.

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    Elena Franco, Imago Pietatis, Passiflora #2 (particolare) arazzo su tela di microfibra 85gr/mq, 300cm x 150 cm ripiegato 45 cm x 45 cm circa, edizione di 7 oltre a 1 PDA, scansione e successivaelaborazione digitale, stampa digitale, montaggio in cornice in legno a cassetta con vetro museale.

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    A sinistra:Elena Franco, Imago Pietatis, Passiflora #3, fotografia su carta Sihl Baryta 270gr/mq, 32,5 cm x 46,5 cm, opera unica, scansione, successiva elaborazione digitale ed elaborazione manuale finale, stampa ink jet, montaggio cornice in legno a cassetta con vetro museale.

    A destra:Elena Franco, Imago Pietatis, Passiflora #4, fotografia su carta Sihl Baryta 270gr/mq, 32,5 cm x 46,5 cm, opera unica, scansione, successiva elaborazione digitale ed elaborazione manuale finale, stampa ink jet, montaggio cornice in legno a cassetta con vetro museale.

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    Elena Franco, Imago Pietatis, Libro d’artista, carta “Gardapat” bianca mano 1,3 da gr 200 mq,23,5 cm x 34 cm, 840 pagine, edizione di 3 oltre a 1 PDA, ripresa digitale e successiva elaborazionedigitale, stampa digitale, interno cucito ad ottavi, capitello eseguito manualmente in corda leggera,copertina in cuoio toscano marrone anticato reso opaco con taglio al vivo, patella anteriore da 10 cmcon angoli retti, nastrino di chiusura mobile che parte dalla patella più larga, larghezza nastrinoottenuto dallo stesso cuoio di circa 4 mm, fori ad asola per nastrino, dorso liscio senza nervi,risguardi stessa carta del blocco libro, taglio finito manualmente a cera argento.

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    Premessa

    Questo contributo s’inserisce nel filone di ricerca degli studi di storia degli archivi e si ripromette di esaminare la storia dell’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna in età moderna, in un periodo compreso tra la seconda metà del Cinquecento e i primissimi anni del Settecento, facendo ricorso alle fonti documentarie, non abbondantissime, giunte sino ai nostri giorni. Pertanto il presente saggio si occupa di una fase cruciale della storia degli archivi come ebbe modo di chiarire in un suo intervento, tenuto a Madrid nel 1968, Robert-Henri Bautier che suggerì una periodizzazione della storia degli archivi in quattro fasi. Egli propo-se di fare succedere all’epoca degli archivi di palazzo, che corrisponde grosso modo all’Antichità, quella dei trésors des chartes (secc. XII-XVI), quella degli archivi arsenal de l’autorité (secc. XVI-XIX) e in fine quella degli archivi laboratori della ricerca storica (secc. XIX-XX). Egli riconobbe alla terza di queste periodizzazioni - quella di cui ci occupiamo in questo articolo - la qualificazione di phase cruciale de l’histoire des archives1, caratterizzata tale histoire philosophique des archives dalla nascita della dottrina archivistica in un periodo in cui «si precisa l’interesse degli stati moderni a disciplinare la produzione, la conservazione e l’uso delle carte d’archivio considerate come uno dei più efficaci strumenti a disposizione del potere2». L’agostiniano e storico bolognese Cherubino Ghirardacci (1519-1598) ebbe a praticare numerosi archivi per compilare la sua Historia di Bolo-gna, in un luogo della quale elogia la città per il proprio archivio pubblico cittadino: «Una preciosissima corona che rende Bologna da ogni parte gloriosa perché conserva in sé con bellissimo ordine tutte le attioni, che nella detta città e suo contado si fanno e per lo avanti si sono fatte, tanto criminali, come anche civili, consegli, decreti, ultime volontà, fabri-che nobili di castella, fortezze, ponti, chiese, torri, palagi, guerre, paci, conventioni, leghe con papi, re, imperatori et altri potentati, et in somma

    «La scrittura ben regolata è la basedel buon governo di questo Sacro Monte»

    Le vicende dell’Archivio Storico del Monte di pietà di Bologna nei secc. XVI-XVIII

    Armando Antonelli

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    potrano riconoscere gl’illustrissimo e reverendissimi signori presidenti mediante l’occular ispezione di detti libri, se così sarà di loro piacere»6. Tra le varie mansioni del segretario vi era quella non irrilevante della con-servazione della documentazione e di preservarla con la massima riserva-tezza. Tali carte segrete servivano a fini amministrativi e giuridici.

    Il primo segretario ad essere nominato dal Monte di pietà di Bologna fu il notaio bolognese Annibale Rusticelli, che venne incaricato di redigere, a partire dagli anni Sessanta del Cinquecento, gli Statuti e di aggiornali con la trascrizione fedele delle deliberazioni assunte dalla congregazione dei dodici presidenti del Monte di pietà.7 Inoltre, tra i doveri d’ufficio del cancelliere vi era quello di essere presente alle adunanze del consiglio e di redigerne i verbali, di conservarne i registri e di richiamarli tutte le volte fosse necessario. Il segretario aveva inoltre l’incarico particolare di leggere all’inizio di ogni anno di fronte al consiglio la bolla emanata da papa Giulio II nel 1506, recuperandola dall’archivio: tale documento rap-presentava il fondamento costitutivo dell’istituzione bolognese8. Annibale, nato da Nestore Rusticelli, fu nominato «notaro segretario» il 13 maggio 1561. Trascorso poco più di un anno la sua mano è presente sul-le carte dei Libri iurium. Infatti, Il 30 luglio 1562 inserisce sulle due copie degli Statuti un’addizione normativa inerente le modalità di elezione dei presidenti9. Il Rusticelli restò al servizio del Monte di pietà di Bologna sino al 1578, per oltre ventisette anni, segno del radicato rapporto di fiducia che il Monte di pietà riponeva nel proprio segretario, che ricopriva ruoli delicati e di un certo rilievo all’interno della struttura burocratica, formata da operari, ufficiali e ministri. La complessità dell’apparato necessitava di una gestione attenta, efficace ed efficiente. Non a caso alle dipendenze del Monte di Pietà operava nella seconda metà del Cinquecento, una struttura, molto cresciuta rispetto a quella prevista negli Statuti del 1514. L’articolazione che ricostruiamo dagli Statuti del 1576 restò valida per ol-tre due secoli, ma ciò non toglie che le mansioni dei funzionari andarono incontro ad una precisa regolamentazione che culminò, nel 1629, nella compilazione di un corpo normativo, in parte rivisto e aggiornato prima nel 1677 e poi nel 170510. Fin dalla metà del Cinquecento l’organizza-

    tutto quello che per il governo buono di una republica fare si può, ella ne conserva incorrotta memoria […]» 3. L’archivio del Monte di pietà di Bologna, se non nasce, certo si consoli-da nel corso del Cinquecento in seguito alla comparsa, nel 1561, di un nuova figura di funzionario dell’apparato burocratico centrale del Monte, il segretario o cancelliere. A questi si devono la scritture dei più antichi codici normativi dell’ente, gli Statuti esemplati nel 1576, la formazione della serie dei verbali contenenti in registro le deliberazioni assembleari assunte dalla congregazione dei dodici presidenti del Monte di pietà, la compilazione dei registri copialettere contenenti le lettere relative all’ac-quisto del notariato del Torrone, cioè del tribunale penale cittadino, che prendeva il nome dalla torre delle prigioni, posta nel Palazzo pubblico, dove si tenevano le udienze delle cause criminali, il cui archivio fu conser-vato dal Monte di pietà di Bologna, sino all’arrivo di Napoleone I4. Il segretario si trovava al vertice del sistema documentario e gestiva la cancelleria e l’archivio istituzionale del Monte di pietà,5 fatta eccezione per la documentazione contabile. Si esamini a questo proposito un do-cumento piuttosto interessante per osservare le operazioni e il metodo di lavoro sulle carte d’archivio da parte del segretario del Monte di pietà: «In esecuzione de’ riveritissimi comandamenti fatti dagli illustrissimi e reve-rendissimi signori presidenti al Sacro Monte di Pietà a Nicolò Melega loro secretario sotto li 13 ottobre 1729 di dover ponere in buon regolamento li libri di secretaria lasciati dal fu signor Paolo Alberti secretario anteces-sore, non senza qualche disordine, principiando l’anno 1703 inclusive e proseguendo per tutto l’anno 1722 inclusive, espone aver quelli regolati secondo il metodo sempre pratticato per invenire agevolmente le risso-luzioni dell’illustrissima presidenza e cioè averli tutti afogliati, estesa nella marginatura di ciaschedun libro compendiosamente la sostanza degl’atti e fatta a cadaun de’ medemi la rubricella coll’indicazione degl’atti e ris-soluzioni corrispondente alla marginatura et estensione de’ medemi atti et infine espone d’aver fatti tutti li memorialini mancanti per l’anno 1722 che si dano presso al signor economo in n° di 42 e per ultimo d’avere portato nel libro dell’anno 1722 quasi tutti gl’atti di proprio pungo e ca-rattere per essere registrati in carte volanti molto scompaginate. Il tutto

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    Sappiamo a riguardo del primo segretario del Monte di pietà che am-malatosi nel 1579 fu sostituito da Alberto Spontoni, posto a capo della cancelleria e da Giulio Belvisi, assunto con il compito di notaio instru-mentario. Annibale Rusticelli morì nel gennaio del 159913. A prenderne il posto, nel prestigioso ufficio di segretario, fu il figlio Giovanni Battista che fu eletto a tale incarico il 19 ottobre 1596, durando in carica sino al 13 marzo 160314. Di questo primo periodo resta un inventario redatto tra gli anni Sessanta e Ottanta del Cinquecento che ora esaminerò. Una deliberazione della congregazione dei dodici presidenti del 1599 dimostra la cura degli am-ministratori del Monte nei confronti dell’archivio, per il quale deliberarono la predisposizione di un inventario15.

    2. L’Inventario de le scritture del Monte di pietà

    Il manoscritto che trasmette l’Inventario de le scritture del Monte di pietà è introdotto da un indice che riporta in maniera schematica l’articolazione del fondo archivistico. Si tratta di una struttura totalmente perduta, che scomparirà già nell’ordinamento, per noi documentabile, dei primissimi anni del Settecento. Numerosi tra i pezzi descritti in questo primo inven-tario non sono giunti a noi, a seguito probabilmente di scarti volontari o di perdite involontarie16. Il fondo pare, seguendo l’indice iniziale, articolarsi in 14 serie17: 1. Libri del Sacro Monte di pietà,

    2. Testamenti,

    3. Codicilli,

    4. Legati,

    5. Donationi,

    6. Contratti principalmente fatti per il Sacro Monte con più persone,

    7. Scritture della Heredità di Cavallini spettante al Sacro Monte,

    8. Scritture della Heredità del Tossignano spettante al Monte,

    9. Scritture della Heredità di Madonna Isotta Fantuzzi,

    10. Scritture di Battista Settequattro,

    11. Scritture di Gieronimo dalla Bombace,

    zione del Monte di pietà era andata configurandosi su due livelli, quello centrale costituito dall’ufficio della depositaria che aveva sede nei locali attigui alla chiesa metropolitana di San Pietro e uno operativo e in gran parte decentrato costituito dalle singole sedi dei monti cittadini, dove avveniva l’erogazione del prestito su pegno. Se è vero che ogni filiale era stata rafforzata grazie alla immissione di 7 o 8 addetti, i maggiori sforzi del Monte di pietà si incanalarono nel potenziamento dell’apparato centrale in modo da garantire il funzionamento degli uffici direzionali e di controllo. Al vertice della struttura amministrativa vi erano il segretario e l’economo. il segretario aveva una ruolo chiave, di raccordo fra i pre-sidenti del Monte di pietà e l’articolata burocrazia. Il segretario doveva essere un cittadino bolognese, un notaio con esperienza, di buona na-scita e costumi: redigeva i verbali, scriveva tutte le lettere, i decreti e le relazioni. Tanto le carte quanto i segreti del Monte gli erano affidati. La delicatezza dell’incarico richiedeva: «fiducia integrale e segretezza glo-bale», come è riportato nella settecentesca Guida Priorale del Monte di pietà di Bologna. Il segretario fin dalla fine del Cinquecento fu affiancato da un secondo notaio, detto «instrumentario», che aveva il compito di redigere gli instrumenta, cioè gli atti notarili, ossia tutti i contratti stipulati per conto del Monte di pietà e di tenere un ordinato libro campione11.

    Uno schema può meglio chiarire la struttura e le scritture prodotte nella sede centrale del Monte12:

    Verbali

    Notaio instrumentario

    Aiuto Campioniere Giornalista Giornale

    MastroCampioniereMaggiore

    Segretario Economo Depositario Quaderno di cassa

    Congregazione deiPresidenti

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    ligati in asse coperti di cuoro con li suoi cantoni over guarde d’ottone. Un vecchio et un moderno, ambi scritti a pena, in carte pecorine».

    Il discreto metodo descrittivo del nostro segretario ci consente di indivi-duare anche le numerose perdite di documenti che formavano l’archivio cinquecentesco. Manca ad esempio il libro descritto nella seconda posta dell’inventario: «Un libro in forma di Abbicidario intitulato sulla coperta fuori in questo modo cioè: «Legati del Monte», commenza del’anno 1527. non affogliato».

    Ora tralascio l’esame puntuale di ciò che è andato perduto perché mi pare più interessante osservare il modus operandi del segretario nell’or-ganizzare le carte d’archivio descritti nell’inventario. A proposito delle serie dei «Testamenti» (da c. 6), dei «Codicilli» (da c. 10), dei «Legati» (da c. 19), delle «Donationi» (da c. 21), notiamo che esse sono organiz-zate al proprio interno in ordine alfabetico, mentre la serie dei «Contratti principalmente fatti per il Sacro Monte con diverse persone» (c. 34) è organizzata al proprio interno in ordine cronologico. Non vi è nessuna introduzione alle serie e la descrizione scende all’unità documentaria, al singolo documento.

    Il fatto che non si riscontri la descrizione della documentazione di natura contabile e di quella collegata alle attività del prestito su pegno, fa ipotiz-zare di essere di fronte all’inventario della documentazione giuridico-am-ministrativa. Nell’inventario segue la descrizione degli archivi delle eredità amministra-te dal Monte di pietà rispettando la provenienza dei fondi. In genere la descrizione procede dalle unità complesse, soprattutto regi-stri e volumi, alle unità documentarie, come può aiutare a esemplificare la descrizione dell’archivio dell’Eredità Cavallini (c. 35):

    12. Scritture di Domenico Baroni.

    13. Scritture Stravaganti,

    14. Privilegii, indulti, brevi, capitoli, confirmationi, gratie et concessioni

    del Sacro Monte.

    A questa embrionale organizzazione delle carte seguono alcune aggiunte realizzate in tempi successivi che arricchiscono il complesso archivistico di altre 9 serie:

    1. Scritture di Christoforo Siccardi,

    2. Diverse lettere et altre scritture,

    3. Scritture dell’Heredità del Pagliarini,

    4. Sachetto di tella con scritture,

    5. Un discorso instruttione fatto in materia di comprar la casa dî signori Lambertini,

    6. Scritture con li Mogli in una filza,

    7. Diversi processi,

    8. Mazzetti di scritture e filze,

    9. Diverse lettere, memoriali e filze.

    Tra le diverse tipologie documentarie distinguiamo testamenti, donazioni, legati, atti notarili, privilegi, tra cui bolle e brevi pontifici, statuti, processi, lettere, carteggi. I documenti sono raccolti in serie ma esistono carte sciolte, o conservate in filze, mazzi, sacchi, buste. Non mancano registri e volumi.

    L’inventario vero e proprio si apre a c. 4 con una breve testo informati-vo: «Repertorio di tutte le scritture del Sacro Monte di pietà raccolte et ordinate insieme come in quaderno si vedrà per chiuderle et salvarle ne l’Archivio novamente fatto, comenzando dai Libri».

    La descrizione archivistica delle serie procede dalle unità complesse, come i registri e i volumi, di cui pochi si sono salvati, tra questi gli Statuti descritti nella prima posta dell’inventario. Siamo in grado ancora oggi di riconoscerli grazie al confronto tra la descrizione codicologica e la forma del tutto identica alla descrizione cinquecentesca, che i codici hanno conservato: «Prima duoi volumi di Statuti et ordini del detto Sacro Monte,

    Un librazzo vecchio et antico da conti e da ricordi spettante a Nicolò vecchio figlolo et herede di Giacomo e Thomaso dalla Cavallina, coperto di coro rosso con cinque coreggie commenza del’anno 1452 et seguita al 1535.[…]

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    dei fondi di numerose eredità: «Scritture trovate nella Heredità di Don Marc’Antonio Tossignani spettanti al Sacro Monte per vigore del suo ultimo testamento» (c. 48), «Scritture trovate nella Heredità di madon-na Isotta Fantuzzi spettante al Sacro Monte» (c. 54), «Scritture trovate nella Heredità di Battista Sett’e Quattro spettante al Sacro Monte» (c. 55), «Scritture trovate nella Heredità di messer Gieronimo dalla Bombase spettante al Sacro Monte» (c. 56), «Scritture delle Heredità di Domenico Baroni spettante al Sacro Monte» (c. 59). Per tutta questa documentazio-ne valgono le osservazioni fatte intorno all’archivio dell’eredità Cavallini.

    Le eredità sono seguite da: «Scritture stravaganti trovate nel Sacro Monte delle quali molte spettano al Monte se non principalmente almeno media-tamente secondo si è visto in processo di tempo» (c. 60). In gran parte si tratta di descrizioni dettagliate di atti notarili. Il destino toccato in sorte a questa documentazione è lo stesso che abbiamo visto per quella parte della documentazione delle eredità che è confluita nella serie Instrumen-ti dell’ordinamento settecentesco. Se esaminiamo il primo documento della serie noteremo che esso è così descritto: «Locatione enfitheotica fatta per ser Peregrino Zambecchari ad Antonio dalla Peverata da Ferrara di tornature 40 di terra poste nel commune d’Altedo rogata ser Alberto Bonzoanni, 1397 17 giugno, in rotulo». Tale atto si trova nella busta nr. 2 degli Instrumenti, incamiciato e corredato dal seguente regesto che ne permette l’individuazione: «11. Libro 2°. 1397 17 giugno. Loccatione enfiteotica fatta dal signor Pellegrino Zambeccari ad Antonio Pevera di alcuni beni nel comune d’Altedo per annuo canone di L. 12. Rogito di Alberto Bonzanini. Autentico». Della serie miscellanea non resta alcuna traccia nell’ordinamento settecentesco e tanto meno nell’attuale.

    L’ultima serie presente nell’inventario è denominata «Privilegii, indulti, brevi, capitoli, confirmationi, gratie et concessioni del Sacro Monte di Pietà» (c. 66). La prima posta registra i «Capitoli del Sacro Monte fatti per il magnifico reggimento, l’anno 1504, rogati per messer Romulo Amaseo secretario delli signori XLta di Bologna». Questi antichissimi statuti dovet-tero scomparire già in epoca antica se una mano annota di fianco alla descrizione: «Non si sono trovati». Difficile credere che siano stati volon-tariamente selezionati per lo scarto, bisogna pertanto pensare ad un’altra

    La fisionomia di questo fondo è oggi del tutto assente, molta documen-tazione è stata scartata, mentre una parte, quella relativa ai singoli atti, è confluita nell’ordinamento settecentesco. L’integrità del fondo è sta-ta completamente manomessa. Si può notare confrontando l’inventario cinquecentesco con la serie degli Instrumenti; serie creata nel corso del Settecento, che alcuni degli atti dell’eredità Cavallini sono state frammi-schiate in tale raccolta di atti che a mo’ di diplomatico del Monte è stata creata nel sec. XVIII fondendo documenti provenienti da fondi diversi. Tra i documenti conservati si trova, ad esempio, un atto di divisione dell’ere-dità risalente al 1489 descritto in questo modo nell’inventario cinquecen-tesco: «Divisione tra il detto et madonna Lucia Cavalini, moglie di Matthia Magnani et compra fatta della parte di detta madonna Lucia, rogato ser Giacomo Budrioli, 1498 29 ottobre». Il documento nel corso del Set-tecento fu prelevato e spostato e si trova ancora oggi nella busta nr. 6 della serie Instrumenti. La busta conservava e conserva 48 documenti in ordine cronologico (dall’8 marzo 1484 all’11 novembre 1489). Il nostro documento occupa la posizione nr. 46 all’interno della busta. L’atto nel corso dell’ordinamento settecentesco fu fornito a sua protezione di una camicia cartacea su cui l’archivista stese un regesto ancora presente sul-la camicia, che ci consente l’identificazione con la descrizione presente nell’inventario cinquecentesco: «46. Libro 6. 1489 29 ottobre. Divisione di Nicolò Cavallina con Lucia Cavallini e Matteo Magnani iugali d’alcuni beni a Vedrana. Rogito di Giacomo Budrioli. Autentico». Resta per noi im-possibile sapere quando e come la documentazione pertinente all’eredità Cavallini sia andata smembrata, sia stata manomessa e poi riaggregata.L’inventario come abbiamo già osservato trasmette la descrizione

    Laudo, compromesso et assolutione fatti tra li Cavalini per tre testamenti ligati insieme rogati per ser Giovanni Sallaroli delli mesi respettivamente di febraro, giugno et settembre 1431.[…]Locatione emphiteotica fatta per messer Hieronimo Cavalini a Giovanni Bertulini d’una pezza di terra con una casa ad uso d’hostaria di tornadure dieci posta a Miserzano in loco detto la Ca’ Grande con patto di franchare per lire 300, rogato

    ser Frigerino Sanvenanzi del’anno 1436 14 aprile.

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    alli n.ri 46, 47, 48» (c. 149v).

    Si tratta di una pagina di storia dell’archivistica per noi preziosa perché testimonia un sistema di gestione della movimentazione dei pezzi archi-vistici e la presenza di un embrionale servizio di prelevamento e prestito all’interno dell’archivio del Monte di pietà di Bologna. La nostra lista ri-guarda un gruppo di 10 documenti, prelevati tra il 13 novembre 1570 e il 25 dicembre 159218. A Siena ad esempio si conserva un registro del XVI secolo, il più antico documento di questo tipo pervenutoci, in cui si rintracciano coloro che avevano frequentato gli archivi.

    Stando all’elaborazione teorica sul concetto d’archivio di matrice preva-lentemente giuridica sviluppatesi in questo periodo emergono due con-vinzioni fondamentali, cioè l’archivio come «locus publicus in quo instru-menta deponuntur». Il cardinale Cesare Baronio (1538-1607) sul finire del secolo XVI lo definiva nei suoi Annales ecclesiastici: «locus ubi scripturae publicae ad conservandam perpetuam memoria asservantur» e secondo il canonista della seconda metà del Cinquecento Giuseppe Mascardi: «Archivium dat robur scripturae non authenticae per supradicta»19. Dal carattere pubblico degli archivi derivava la loro funzione politica, in quan-to conservava la memoria documentaria del potere, e come tale l’archi-vio era intesto quale thesaurus e arsenals de l’autorité per affermare diritti e legittimare possessi. Anche la documentazione antica assumeva, in questa prospettiva, un valore di attualità, una capacità di produrre effetti giuridici. L’età moderna non concepisce pertanto una cesura concettuale tra archivio antico e archivio corrente. La natura dell’archivio-thesaurus è diversa da quella odierna che intende l’archivio quale complesso di docu-menti, pertanto i documenti venivano considerati singolarmente ciascu-no per la sua rilevanza giuridica e per ciò venivano custoditi. L’archivio viene così considerato un trésor des chartres conservate gelosamente per scopi giuridici, amministrativi, patrimoniali, politici. A livello europeo i secoli XVI-XVIII sono caratterizzati dalla costruzione degli apparati statali, dalla nascita della diplomazia e dall’affermazione della burocrazia, che determinarono l’aumento smisurato della documentazione: atti, privile-gi, lettere, dispacci, relazioni, circolari, editti, bandi, registri, filze, mazzi ecc. Di conseguenza crebbe l’esigenza concreta di organizzare, gestire

    motivazione, a una sottrazione dovuta a ragioni che oggi ci sfuggono.

    Possiamo realisticamente essere sicuri che l’inventario si concludesse con questa serie. Le carte bianche lasciate nel manoscritto furono im-piegate in tempi successivi per apportare alcune integrazioni. Così tra le cc. 64v e 65v e ancora a c. 74r furono descritti diversi pezzi archivistici: «Un mazzetto di scritture […]» (c. 64v), «Filza di diverse copie di partiti fatti dalli signori presidenti, copie di lettere, copie di bolle et di mandati di procura fatti dalli signori presidenti, informationi pertinenti il Monte di Pietà signato +», «Un volume legato insieme di diverse scritture, infor-mationi, lettere, copie di bolle et altre cose per interesse del Torrone», «Una filzetta di diverse lettere scritte alli signori presidenti che comincia-no l’anno 1603 all’anno 1608», «Un mazzetto [di] diversi memoriali alli signori presidenti per diverse cose» (c. 65r). Si tratta di pezzi d’archivio che malauguratamente non ci sono giunti.

    Tra c. 67v e c. 72r registriamo la trascrizione integrale di lettere inviate e ricevute dalla congregazione dei dodici presidenti del Monte di pietà di Bologna tra il 25 novembre 1576 e il 6 di maggio 1597. Il carteggio verte sull’appalto del notariato del Tribunale del Torrone. Alle cc. 75r-v sono descritti documenti papali come bolle, brevi, motu proprio, processi fulminatori, emanati tra il 1516 e il 1593. Tra c. 81 e c. 86 sono descritti «Instrumenti diversi spettanti alli signori presidenti» risalenti a un periodo compreso tra il 1531 e il 1613, e disposti in ordine cronologico. A c. 100 sono descritti tre sacchetti contenenti scritture e a c. 102 tre documenti. Alle cc. 104r-v si trova la descrizione di alcuni fascicoli, che formavano probabilmente una serie denominata «Processi». Le carte in questione sono relative agli anni 1585 e 1614. L’ultima carta del registro ci permette di osservare l’esistenza e il funzio-namento di un servizio di prelevamento d’archivio e di registrazione dei pezzi prelevati. La carta contiene infatti un elenco di prelievi di documenti dall’archivio. Le singole registrazioni sono affiancate dalla nota «Rese» per indicare la restituzione dei documenti prelevati. Per esemplificare si veda: «A dì 6 agosto 1579 si sono cavati di filza 3 instrumenti per conto dell’Hostaria della Scala per mostrarli al signor dottor Ioanetti e di suo ordine nella causa delli Pasolini, rogati per il Picinardo, registrati et posti

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    dei documenti dalle ingiurie del tempo, dal disordine e dai danni che ad essi possono arrecare gli insetti. Il Bonifacio ritiene necessaria la figura di un archivista, a cui affidare gli archivi, un incaricato competente, istruito e ben retribuito dal sovrano. A riguardo dell’ordinamento degli archivi il Bonifacio consiglia che i documenti siano conservati in armadi, che li difendano dalla polvere e dalle tarme e che consentono una ripartizione razionale, una suddivisione secondo criteri predeterminati. Il Bonifacio suggerisce di ripartire la documentazione per luoghi (ordine geografico), per natura degli affari trattati (ordine per materia) e al loro interno disporre i documenti in ordine cronologico. Il Bonifacio invita a fornire l’archivio di strumenti di corredo: inventari, cataloghi, indici e repertori che sono ne-cessari e indispensabili per ritrovare, nelle singole voci disposte in ordine alfabetico o nelle ripartizioni per materia, i documenti archivistici. Questi criteri costituiscono le norme che andavano affermandosi nella prassi e che trovavano per la prima volta una regolamentazione nell’inventario cinquecentesco del Monte di pietà. Sulla natura degli archivi il Bonifacio ribadisce la loro sacralità determinata, non dal fatto di essere conservati come nell’antichità nei templi, ma perché conservano in perpetuo la pu-blica fides. Si era ormai giunti a pensare che il fatto che un documento provenisse dall’archivio fornisse piena fede al documento23.

    3. Il Repertorium rogituum ad Sacrum Montem Pietatis attinentium.

    Uno strumento di corredo intitolato «Repertorium rogituum ad Sacrum Montem Pietatis attinentium», che risale al sec. XVII, ci permette di fare ulteriori considerazioni sulla storia dell’archivio del Monte di pietà di Bolo-gna in età moderna24. Il manoscritto ha la struttura di una rubrica. Gli atti si trovano in ordine alfabetico e la descrizione riporta la loro collocazione fisica (stante nell’unità di condizionamento e nella posizione occupata dal documento all’interno di essa). I testamenti ad esempio erano conservati tutti insieme raccolti in una cassa siglata con il signum crucis: «C. +». Nel corso dell’ordinamento del Settecento questo tipo di organizzazione delle carte fu completamente rivisto e andò perduto. Esaminiamo ad esempio sotto la prima rubrica dell’alfabeto la posta: «Alexandri Geringhelli Testamentum, C. +, n. 5»,

    e conservare gli archivi. La traduzione sul piano documentario e archi-vistico della teoria assolutistica del potere. Si assiste alla realizzazione di grandi archivi di concentrazione, che riunivano in un unico luogo di conservazione la documentazione prodotta dagli organi centrali dello stato unitamente alla documentazione prodotta nel periodo medievale. Se durante il medioevo i comuni avevano stabilito la consultabilità degli archivi, le istituzioni dell’età moderna ne decidevano al contrario la se-gretezza, limitando la pubblicità dei documenti. Comincia ad affacciarsi il principio dell’archivio segreto e ad affermarsi la potestà di chi governa sui documenti. Intorno al Seicento e al Settecento l’orizzonte culturale eu-ropeo favorisce la nascita della letteratura archivistica. In Italia nel 1632 veniva pubblicato a Venezia il De archivis liber singularis di Baldassare Bonifacio, nel periodo compreso tra il 1616 e il 1636 veniva composta il De archivis antiquorum commentarius da Albertino Barisone. L’opera rimasta inedita fu pubblicata nel 1737 dal Poleni. Ancora nel 1647 ve-niva composto il Direttorio et arte per intendere le pubbliche scritture da Fortunato Olmo, rimasto inedito. Infine nel 1684 veniva pubblicato a Milano il Methodus archivorum sive modus eadem texendi ac disponendi di Niccolò Giussani. Non meno rigogliosa appare la situazione europea rispetto a quella italiana a partire dalla probabilmente più antica ope-ra di archivistica scritta nel 1571 a Heildelberg dal tedesco Jakob von Rammingen, fondatore dell’Archivio di Stato di Stoccarda20. Il trattato del Bonifacio è di poche pagine e la materia si articola in 10 capitoli. Nel breve volgere di 12 pagine in ottavo, l’autore «sviluppò un discorso ben articolato sulla storia degli archivi e la teoria archivistica21: pren-dendo le mosse dal significato proprio della parola e del concetto di archivum (capitolo I) e dall’origine degli archivi nell’antichità mediorienta-le greco-romana (capitoli II-IV), attraverso una digressione sugli archivi delle civiltà non classiche o extra-europee (capitolo V), si giungeva fino all’attualità, comprendendo in essa i problemi posti dall’organizzazione e dal governo degli archivi (capitoli VI-X)»22. Nel definire l’archivio l’autore riprende le definizioni dei giuristi romani per i quali l’archivio era il luogo dove si conservavano gli atti pubblici. Alla storia degli archivi, segue una netta distinzione che si era andata facendo strada dopo molti secoli tra biblioteca e archivio, che in passato erano spesso riuniti. Il Bonifacio invita i sovrani avveduti a istituire gli archivi e a provvedere alla difesa

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    rium e l’ordinamento settecentesco ci ha consentito di seguire le vicende archivistiche cui andarono incontro le carte del Monte di pietà di Bologna, le numerose perdite e le manomissioni toccate in sorte ai documenti, nel corso di un secolo e mezzo. Inoltre ci raccontano indirettamente il modificarsi dei principi archivistici alla base dell’organizzazione e dell’or-dinamento dei documenti.

    4. L’inventario del 1702

    Se al Seicento risalgono alcune testimonianze d’archivio che mettono in luce l’attenzione degli amministrazioni per le scritture correnti25 e per gli archivi spettanti al Monte di pietà,26 i primi anni del Settecento sono particolarmente importanti per la storia dell’archivio del Monte di pietà. Agli interventi archivistici compiuti nel biennio 1704-1705 si deve l’attuale fisionomia di alcune serie del fondo. In quel biennio compare per la pri-ma volta una figura che possiamo definire avere funzioni di archivista. Si tratta di Vincenzo Ferraresi, che aveva dimostrato negli anni antecedenti di muoversi con disinvoltura e dimestichezza tra gli archivi del Monte di pietà. A lui viene affidato il coordinamento di un vasto intervento di ordi-namento e probabilmente di scarto della documentazione archivistica più antica, come parrebbe suggerire la descrizione di un elenco di pezzi d’ar-chivio del 1702, che per comodità trascrivo in appendice, in cui si elenca-no numerosi documenti che oggi non si trovano più conservati in archivio, e che invece si trovavano in archivio pochi anni prima dell’intervento del Ferraresi. Probabilmente furono scartati durante le fasi di ordinamento condotte da questi e dal suo aiutante Andrea Pepi. Prima di approfondire tale rilevante intervento di riorganizzazione delle carte d’archivio e prima di esaminare le fonti che ci consentono di seguire la carriera del Ferraresi all’interno degli uffici del Monte di pietà, mi pare opportuno soffermarmi su quello scarno elenco del 1702, che ci permette l’individuazione di nu-merose tipologie documentarie prodotte e conservate dal Monte di pietà prima del suo ordinamento (cfr. Appendice I).Nello specifico si tratta di uno strumento inventariale sciolto, conservato come allegato al registro dei verbali del 1706, e in cui sono descritti som-mariamente i libri contabili27. Il documento fu compilato e consegnato al massaro del Monte di San Pietro (la sede centrale del Monte di pietà di Bologna), luogo dell’accentramento archivistico e sede adatta ad acco-

    che sta a significare che il testamento è collocato fisicamente in quinta posizione. Nella serie Testamenti dell’inventario cinquecentesco il testa-mento occupava la posizione 32: «Testamento d’Alessandro Ghiringhello Milanese, rogato ser Felice Cathaneo del 1558 a dì 29 di luglio in forma auttentica». Da questa descrizione, maggiormente analitica rispetto a quella del Repertorio, siamo in grado di individuare la posizione a cui fu destinato il testamento durante gli spostamenti settecenteschi e la sua nuova collocazione all’interno della serie Instrumenti. Il regesto apposto sulla camicia all’interno della quale si conserva il testamento, pur essen-do più essenziale rispetto a quello del sec. XVI, consente d’identificare con una certa sicurezza il documento. La pergamena occupa la posizio-ne nr. 7 all’interno della busta nr. 19 della serie Instrumenti: «Testamento di Alesssandro Ghiringelli, millanese, nel quale instituisse suo erede la Margherita, sua moglie e Giovanni Angelo dalla camera milanese con l’obligo di sattisfare il sacro Monte di Pietà di Bologna di qualsivoglia danni datili como disse constare nel foro del Torrone di Bologna. Rogito di Felice Cattani. Autentico».

    Il Repertorium restituisce una fisionomia dell’archivio strutturalmente dif-ferente rispetto all’organizzazione data alle carte riflessa nell’Inventario cinquecentesco. Se nel Cinquecento l’Inventario lasciava prefigurare un sostanziale rispetto della provenienza del fondo, nel Seicento il Reperto-rium mostra accorpamenti per tipologia documentaria: ad esempio tutti i testamenti furono raccolti in un’unica cassa. Nel Settecento la creazione di un diplomatico in ordine cronologico scompaginò ulteriormente l’as-setto originario. Per restare sempre sui testamenti, nel Repertorium quelli riguardanti Niccolò Cavallini e Marc’Antonio Tossignani risultano occupa-re rispettivamente la posizione nr. 9 e nr. 4 all’interno della unità di con-servazione C. +, mentre nell’Inventario cinquecentesco erano descritti insieme alla documentazione riguardante rispettivamente l’Eredità Caval-lini e l’Eredità Tossignani. Nell’ordinamento del Settecento confluirono il primo nella posizione nr. 44 della busta nr. 17 (5 aprile 1552), il secondo nella posizione nr. 17 della busta nr. 19 (13 novembre 1560) della serie «Instrumenti», dove attualmente si possono recuperare.

    Questo lavoro ricostruttivo dato dal confronto tra l’Inventario, il Reperto-

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    carta e facci porle nell’acqua alla sua presenza acciò alcuno non possa leggerle, eccettuate però certe carte pecore quali dovrà procurare di vendere segretamente;

    e dette vendite procuri di farle con il maggior vantaggio possibile per il Monte28.

    Da questo partito emerge l’assoluta mancanza di sensibilità per il valore storico della documentazione più antica e la consuetudine di ricorrere al commercio di pergamene “usate”, come quelle selezionate per lo scarto per motivazioni di natura archivistica (creare spazio in archivio, inutilità della conservazione da parte dell’ente di atti che avevano esaurito la loro efficacia dal punto di vista amministrativo e giuridico)29. La membrana a differenza della carta veniva rivenduta per ragioni economiche, dal mo-mento che, come emerge dalla deliberazione in esame, tale operazione doveva essere redditizia.

    5. Vincenzo Ferraresi

    Vincenzo Ferraresi fu incaricato nel 1704 di riordinare l’archivio del Mon-te di pietà. Per la prima volta un archivista affiancò il lavoro di gestione dell’archivio sino a quel momento svolto dai segretari del Monte di pietà di Bologna30. Sino a quel momento si era ritenuto, come del resto anche nel trattato del sec. XVI di Charles Dumoulin, la gestione dell’archivio come momento centrale dell’attività di cancelleria31.

    Il Ferraresi era entrato a far parte dell’organico del Monte di pietà di Bologna il 26 agosto 1694, allorché fu assunto con la qualifica di sopra-numerario «stante la sua sperimentata abilità»32, in speciale modo nell’or-ganizzare e gestire gli archivi. Il Ferraresi fu infatti più volte impiegato per recuperare le carte che necessitavano per svolgere questioni legali, tra-endone copia dall’archivio. Sono documentate in particolar modo le sue ricognizioni in archivio per recuperare alcuni documenti provenienti dalla Eredità Ghisilieri e da quella Torfanini, tra il 1696 e il 170433.

    Il 27 gennaio 1695 Vincenzo Ferraresi fu eletto operarius34, il 16 novem-bre sottocassiere del Monte di San Petronio35 e, dopo il riordinamento dell’archivio del 1704, quattro anni più tardi fu eletto massaro del Monte Nuovo36, dove si trovava, tra l’altro, in deposito l’archivio del Tribunale del Torrone.

    gliere i versamenti dell’archivio del Monte. Le segnature e le descrizioni non corrispondono a quelle odierne e intere serie non paiono più essere conservate. La lista fa riferimento alla serie dei «Libri Campioni» costituita di 233 registri (dal 1529 al 1702), alla serie degli «Abecedari» costituita di 70 pezzi (dal 1651 al 1702), alla serie dei «Libri delle uscite del sottocas-siere» costituita di un numero imprecisato di registri (dal 1643 al 1702), alla serie dei «Libri delle entrate del sottocassiere» costituita di 94 registri (dal 1629 al 1702), alla serie dei «Libri delle entrate del massaro» costitu-ita di 33 registri (dal 1629 al 1702), alla serie dei «Campioncelli» costituita di 13 registri (dal 1536 al 1576) e inoltre si fa riferimento a 35 pezzi non meglio identificabili di tavole e di registri. Tutta questa documentazione è andata perduta. Non è possibile affermare con certezza che fosse do-vuto al riordinamento del 1704-1705 l’esclusiva selezione conservativa dei registri contabili di tipo sintetico ancora presenti (i Giornali, i Mastri e i Registri di cassa) e lo spurgo di tutti gli altri, certo è plausibile avanzare tale tesi almeno a livello ipotetico.

    Pare proprio che nel corso degli anni le carte del Monte di pietà subirono frequenti operazioni di spurgo e scarto che ne ridussero la consistenza alle serie attuali (quelle allestite nell’ordinamento del 1704-1705 e quelle che si aggiunsero nei due secoli seguenti), che ancora formano la strut-tura odierna.

    Oltre a quanto abbiamo potuto dedurre dall’esame degli strumenti in-ventariali sin qui esaminati a proposito della perdita cospicua della do-cumentazione prodotta dal Monte di pietà nel corso della sua esistenza (ad esempio non c’è giunto nulla delle carte prodotte e raccolte nelle sedi decentrate, cioè nei banchi distribuiti nei quattro quartieri urbani). Si tratta di perdite consistenti relative a centinaia di registri (basti scorrere rapidamente i registri elencati nella lista del 1702, in appendice). Mi pare vi siano testimonianze dirette che documentano l’abitudine di procedere alla scarto e alla vendita della documentazione d’archivio, come emerge ad esempio da una deliberazione della Congregazione dei dodici presi-denti del Monte di pietà di Bologna del 1675:

    Hanno poscia ordinato all’economo che venda certe carte manuscritte, che sono di poco anzi di alcuno momento per essere antichissime, a quelli che fabricano

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    come sopra si è detto ponga il suo voto affirmativo nel “Sì” ed a chi pare in

    contrario il ponga neagativo nel “no”39.

    Grazie alla documentazione pervenutaci è possibile quantificare con una certa precisione sia l’entità dell’investimento finanziario che il Monte di pietà dovette sostenere per condurre in porto l’operazione, sia gli esiti, grazie all’allestimento di strumenti di corredo efficaci per il controllo, la conservazione e il reperimento dei documenti riordinati e conservati in archivio. Tali strumenti di corredo sono il «Campione», il «Sommario» e il «Repertorio» in più tomi e sono relativi alle nuove serie create: «Bolle» e «Instrumenti». Si tratta del risultato di un’operazione che pregiava «so-prattutto la documentazione che si potrebbe definire “solenne”, in quanto formata da atti costitutivi di diritti, di obbligazioni, di situazioni politiche, economiche, patrimoniali, e lasciando molto spesso disperdere - se non addirittura eliminando - le testimonianze scritte del fare quotidiano, di situazioni contingenti, ritenute inutili, una volta che gli impegni erano stati assunti in modo formalmente definitivo e i diritti riconosciuti concreta-mente ed applicati»40.

    La fonte privilegiata per ricostruire i costi dell’intervento è il Mastro del 1705, grazie al quale siamo in grado di ricavare preziose informazioni sui costi41. La cifra complessiva sborsata nel 1705 per l’ordinamento assom-mava a lire 2.078, di cui 847 lire furono pagate a Vincenzo Ferraresi sot-tocassiere del Monte delle Scuole per la «regolatura dell’Archivio, Cam-pioni, Repertori e Sommari delle scritture», come stabilito dal decreto di incarico della Congregazione dei dodici presidenti del Monte di pietà del 16 aprile 1705, rogato dal Paolo Antonio Alberti segretario del Monte, cui fa direttamente riferimento la posta trascritta nel Mastro. Furono inoltre impiegate 32 lire per la legatura dei sommari, dei repertori in cinque tomi, pagate al libraio Giuseppe Rimondi, mentre 6 lire furono pagate a Battista Benzi per il materiale di condizionamento necessario alla conservazione delle serie create in tale occasione: «libri e cartone degl’instrumenti per esso fatti», ancora oggi esistenti. Infine furono pagate 400 lire ad Andrea Pepi operario al Monte di San Pietro per il suo affiancamento al Ferraresi. Ancora 20 lire furono pagate al maestro Antonio Ferrari fabbro per i serra-menti degli armadi dell’archivio e, infine, 10 lire per il falegname Giuseppe Maria Barbieri.

    Il rapporto di fiducia tra il Ferraresi e l’ente, nel quale aveva fatto una bril-lante carriera, è testimoniato da due suppliche del Ferraresi accolte dalla Congregazione dei dodici presidenti del Monte di pietà. La prima risale al 1708 e verte sul sostegno economico alla monacazione di una figlia, la seconda risale al 1710 e riguarda il sostegno a suo favore, date le de-bilitate condizioni di salute, accordatogli una tantum dagli amministratori del Monte di pietà di Bologna37.

    Le attività di riordinamento archivistico lo videro impegnato in prima per-sona in un impegnativo intervento che modificò profondamente la strut-tura dell’archivio. Fu affiancato da Andrea Pepi che era stato assunto come operaio presso il Monte di pietà, nel 169838.

    6. L’ordinamento settecentesco

    Il lavoro condotto dal Ferraresi e dal suo coadiutore Andrea Pepi durò per oltre un anno e fu terminato nel 1705 come emerge da una relazione, registrata nel Registro verbale dell’aprile del 1705, da parte di chi aveva avuto l’incarico tra i presidenti di svolgere un’azione di controllo sul can-tiere archivistico e di riferirne alla Congregazione:

    Indi hanno li signori Assonti all’Archivio riferito a sunominati signori congregati d’avere con tutta esattezza osservato e considerato la fatica fatta e grave diligenza pratticata da Vincenzo Ferraresi principale e da Andrea Pepi aiutante nella regolazione e buon ordine data e dato allo nostro Archivio del nostro Sacro Monte e nella compilazione di cischeduna scrittura … Archivio occorente ne’ proprii cartoni o sopracarta d’… d’una scrittura e ne’ Campioni in cui sono state replicate le stesse compil