Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

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PRIMO PIANO Studio Mediazione n. 3-2012/M Notaio Marco Krogh AMMISSIBILITÀ DI UN ACCORDO CONCILIATIVO, AI SENSI DEL D.LGS. 4 MARZO 2010 N. 28, AVENTE AD OGGETTO IL RICONOSCIMENTO DI UN ACQUISTO A TITOLO DI USUCAPIONE E SUA TRASCRIVIBILITÀ Approvato dalla Commissione Mediazione del 19 ottobre 2012 Procediamo alla pubblicazione del contributo di Marco Krogh “Ammissibilità di un accordo conciliativo, ai sensi del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, avente ad oggetto il riconoscimento di un acquisto a titolo di usucapione e sua trascrivibilità”. L’argomento, gi à di interesse generale per l’attività del notaio, ha mostrato la sua rilevanza pratica all’interno del procedimento di mediazione, anche evidenziando prassi non sempre virtuose. Lo studio, peraltro, è stato completato dall’estensore con il riferimento alla recentissima sentenza della Corte Costituzionale del 24 ottobre 2012, che ha dichiarato la illegittimità, per eccesso di delega legislativa, delle norme che hanno introdotto la media-conciliazione nelle controversie civili e commerciali, nella parte in cui si prevede il carattere obbligatorio della mediazione” Maria Luisa Cenni COORDINATORE DELLA COMMISSIONE MEDIAZIONE *** Sommario: 1. Impostazione del problema 2. Posizione della giurisprudenza 3. Il quadro normativo di riferimento. Autentica ed omologa dell’accordo conciliativo 4. La qualificazione giuridica dell’atto di accertamento. Presupposti dell’atto di accertamento. 5. Rapporti tra usucapente ed usucapiti. L’usucapione come titolo di acquisto originario. 6. Le problematiche in tema di trascrizione (e intavolazione) di un accordo di accertamento dell’usucapione. Cenni sul negozio configurativo. 7. Ammissibilità di un’autentica notarile delle sottoscrizioni di un accordo conciliativo di riconoscimento dell’usucapione.

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Illegittimo accertarre l'usucapione attraverso un accordo negoziale o conciliativo.

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PRIMO PIANO

Studio Mediazione n. 3-2012/M

Notaio Marco Krogh

AMMISSIBILITÀ DI UN ACCORDO CONCILIATIVO, AI SENSI DEL D.LGS. 4 MARZO

2010 N. 28, AVENTE AD OGGETTO IL RICONOSCIMENTO DI UN ACQUISTO A TITOLO

DI USUCAPIONE E SUA TRASCRIVIBILITÀ

Approvato dalla Commissione Mediazione del 19 ottobre 2012

Procediamo alla pubblicazione del contributo di Marco Krogh “Ammissibilità di un accordo

conciliativo, ai sensi del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, avente ad oggetto il riconoscimento di un

acquisto a titolo di usucapione e sua trascrivibilità”. L’argomento, già di interesse generale per

l’attività del notaio, ha mostrato la sua rilevanza pratica all’interno del procedimento di

mediazione, anche evidenziando prassi non sempre virtuose.

Lo studio, peraltro, è stato completato dall’estensore con il riferimento alla recentissima

sentenza della Corte Costituzionale del 24 ottobre 2012, che ha dichiarato la illegittimità, per

eccesso di delega legislativa, delle norme che hanno introdotto la media-conciliazione nelle

controversie civili e commerciali, nella parte in cui si prevede il carattere obbligatorio della

mediazione”

Maria Luisa Cenni

COORDINATORE DELLA COMMISSIONE MEDIAZIONE

***

Sommario: 1. Impostazione del problema 2. Posizione della giurisprudenza 3. Il quadro normativo di

riferimento. Autentica ed omologa dell’accordo conciliativo 4. La qualificazione giuridica dell’atto di

accertamento. Presupposti dell’atto di accertamento. 5. Rapporti tra usucapente ed usucapiti. L’usucapione

come titolo di acquisto originario. 6. Le problematiche in tema di trascrizione (e intavolazione) di un

accordo di accertamento dell’usucapione. Cenni sul negozio configurativo. 7. Ammissibilità di un’autentica

notarile delle sottoscrizioni di un accordo conciliativo di riconoscimento dell’usucapione.

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1. Impostazione del problema.

Il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (G.U. 5 marzo 2010, n. 53), in attuazione dell'articolo 60 della

legge 18 giugno 2009, n. 69, ha disciplinato la materia della mediazione finalizzata alla

conciliazione delle controversie civili e commerciali.

Come, peraltro, affermato nel 6° considerando della Direttiva 2008/52/CE del Parlamento

europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, con la mediazione si intende fornire una risoluzione

extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale attraverso

procedure concepite in base alle esigenze delle parti, tenuto conto che gli accordi risultanti dalla

mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più

facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti.

Presupposto fondamentale per l’accesso alla mediazione per la conciliazione di una

controversia civile e commerciale è che si verta su diritti disponibili. Ciò è espressamente

enunciato nell’art. 2 del cit. d.lgs. 28/2010 e costituisce applicazione diretta del principio generale

in tema di autonomia privata (art. 1322 cod. civ.), che consente alle parti contraenti di

determinare liberamente il contenuto dei propri accordi con i soli limiti imposti dalla legge.

Trattandosi di procedimento diretto ad eliminare, in forma abbreviata ed economica, contenzioso

tra le parti si dovrebbe presupporre, altresì, che le parti stesse possano attraverso l’accordo

conciliativo ottenere il medesimo risultato sperato che potrebbero ottenere all’esito della

procedura con la sentenza emessa dal giudice (1).

Il nuovo istituto per questo ed altri aspetti costituisce un microsistema normativo regolato

da propri principi generali che va coordinato in modo coerente con i principi generali che regolano

gli altri microsistemi normativi del nostro ordinamento in un bilanciamento di interessi che

privilegi quelle interpretazioni delle disposizioni che tengano presente l’ideale gerarchia di valori

esistente in un determinato contesto socio-economico.

Numerosi sono gli interrogativi che gli interpreti e gli operatori del diritto si sono posti

nell’applicazione delle nuove norme in materia di mediazione e la soluzione delle maggiori criticità

deve trovare la giusta risposta all’interno di quei principi sistematici diretti ad assicurare armonia e

coerenza tra vecchie e nuove norme.

Tra le problematiche derivanti dalla lettura delle suddette nuove norme merita particolare

attenzione, per le implicazioni che le diverse interpretazioni possono avere sulla circolazione degli

immobili e sull’attività notarile, quella riguardante l’ammissibilità di un accordo conciliativo avente

ad oggetto l’accertamento dell’intervenuta usucapione della proprietà (o di altro diritto reale) e la

sua trascrivibilità.

La soluzione positiva al primo interrogativo non necessariamente implica soluzione positiva

anche al secondo interrogativo in quanto, come si vedrà, la trascrizione degli accordi conciliativi è,

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per disposizione espressa, riservata esclusivamente agli accordi mediante i quali “le parti

concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile;

dacché, anche se si dovesse ritenere possibile per le parti addivenire ad un accertamento

negoziale dell’usucapione o di fatti e vicende che fungono da presupposto per l’usucapione, sarà

necessaria un’indagine ulteriore per verificare se il contenuto di un suddetto atto di autonomia

privata rientri nel paradigma di cui all’art. 2643 cod. civ. e, soprattutto, se la trascrizione di un

negozio di accertamento dell’intervenuta usucapione sia coerente con i principi generali che

sorreggono il sistema della pubblicità immobiliare (continuità per gli acquisti di tipo derivativo con

i correttivi posti dall’ordinamento per superare il rischio della cd. probatio diabolica, presunzioni

legali di conoscenza per determinati atti, pubblicità notizia per altri atti, etc.) e coincida, negli

effetti, con la trascrizione della sentenza di accertamento dell’usucapione.

Va sottolineato che la fattispecie riveste, peraltro, particolare interesse anche per il rischio

che, in caso di risposta affermativa agli interrogativi posti, la mediazione-conciliazione possa

essere utilizzata, in modo strumentale, per creare titoli di proprietà fittizi al di fuori sia delle regole

tassative che disciplinano gli acquisti a titolo originario, sia delle regole che governano l’autonomia

privata negli acquisti a titolo derivativo e, quindi, diventare una scorciatoia per creare dei titoli di

proprietà “ibridi” in cui si combinano requisiti previsti dalla legge per gli acquisti a titolo originario

(recte: per l’usucapione) e requisiti previsti per gli acquisti a titolo derivativo con il rischio di

sopperire la carenza di alcuni requisiti richiesti dalla legge per gli uni con la presenza di requisiti

previsti per gli atri e viceversa.

2. Posizione della giurisprudenza

Le questioni accennate sono emerse, con tutte le loro implicazioni, sin dalle prime

applicazioni delle nuove procedure dando luogo prevalentemente, almeno in questa prima fase,

ad un contenzioso tra i destinatari degli effetti del verbale di conciliazione e le Agenzie del

Territorio di volta in volta chiamate a trascrivere il verbale di conciliazione stesso.

La collocazione su piani diversi delle problematiche attinenti la possibilità di accordi negoziali

aventi ad oggetto l’accertamento dell’usucapione e la loro trascrivibilità risulta ben evidenziata nel

decreto emesso dal Tribunale di Roma (2) che decidendo su un ricorso ex art. 2674 bis cod. civ.

avverso una trascrizione con riserva di un verbale di conciliazione accertativo dell’usucapione ha

affermato che il verbale di conciliazione, ancorché omologato dal Tribunale, non perde la sua

qualifica negoziale che, in caso di accertamento dell’usucapione, non si risolve in uno degli accordi

elencati nell’art. 2643 cod. civ. in quanto non realizza un effetto modificativo, estintivo o

costitutivo, ma rappresenta, al contrario, mero negozio di accertamento non equiparabile, quanto

agli effetti, alla sentenza di accertamento dell’usucapione trascrivibile ai sensi dell’art. 2651 cod.

civ.

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In senso conforme, recentemente si è pronunciato anche il Tribunale di Massa (ordinanza

del 2 febbraio 2012) che ha posto l’accento sul differente ruolo svolto dai mediatori rispetto

all’Autorità Giudiziaria; i primi, si limitano a facilitare l’incontro delle volontà delle parti senza

prendere posizione sul merito della controversia, la seconda decide quale delle due parti in

conflitto ha ragione e merita l’accoglimento della propria domanda. Sotto altro aspetto il Tribunale

di Massa ha evidenziato che, comunque, l’utilità del tentativo di mediazione nelle controversie che

riguardano l’usucapione non verrebbe meno per il sol fatto della intrascrivibilità dell’accordo

conciliativo, in quanto l’accordo raggiunto in sede di conciliazione consentirebbe una più rapida

soluzione del giudizio successivo, la cui sentenza potrà essere trascritta ai sensi dell’art. 2651

cod.civ. (3)

Su posizioni diverse si collocano le pronunce del Tribunale di Palermo (sez. Bagheria,

ordinanza del 30 dicembre 2011) e del Tribunale di Como (sez. Cantù, ordinanza del 2 febbraio

2012) le quali pur riconoscendo che, in astratto, un accordo conciliativo avente ad oggetto

l’accertamento dell’usucapione non è trascrivibile ritengono che il verbale di conciliazione

intervenuto all’esito di un procedimento di mediazione diretto ad accertare l’acquisto di un bene a

titolo di usucapione potrebbe qualificarsi non mero negozio di accertamento (dichiarativo

dell’intervenuta usucapione) intrascrivibile, ma atto di disposizione posto in essere dalle parti

nell’esplicazione della loro autonomia privata (ex art. 1322 cod. civ.) che potrà assumere, di volta

in volta, le forme più varie per risolvere la lite (rinunzia al diritto di proprietà, rinunzia alla

domanda di usucapione a fronte del pagamento di una somma di denaro, etc.), senza coincidere

con il contenuto della pronuncia giudiziaria richiesta da parte attrice e, quindi quale espressione

del potere negoziale delle parti ex art. 1321 cod. civ. diretto a regolamentare la situazione

giuridica sostanziale (4). In buona sostanza, il verbale di conciliazione in materia di accertamento di

usucapione sarebbe trascrivibile in quanto le parti, nell’esercizio della loro autonomia privata, non

accerterebbero l’esistenza dei presupposti per il perfezionamento dell’usucapione ma porrebbero

in essere un diverso negozio di disposizione del diritto di proprietà che troverebbe la sua

giustificazione causale nella conciliazione della controversia.

Peraltro, sempre secondo questo orientamento giurisprudenziale, anche se in ipotesi il

procedimento di mediazione non potrebbe dar luogo ad un verbale di accertamento

dell’usucapione trascrivibile, il tentativo di mediazione sarebbe comunque obbligatorio sia perché

trattasi di “controversia in materia di diritti reali” ai sensi del primo comma dell’art. 5 del d.lgs.

28/2010 e sia perché la risoluzione extragiudiziale della lite (5), possibile anche in relazione alla

domanda di usucapione, avrebbe comunque effetti utili per le parti e deflattivi sui carichi di

giustizia, a prescindere dall’impossibilità di pubblicazione nei Registri immobiliari dell’accordo

transattivi.

Le due ultime ordinanze non sono convincenti in quanto pur partendo da una premessa

corretta (la non accertabilità dell’usucapione mediante un atto negoziale) non ne traggono tutte le

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conseguenze, giungendo arbitrariamente ad una riqualificazione della causa del negozio posto in

essere dalle parti da accertativo a transattivo o “transattivo in senso lato” in assenza, in concreto,

di una verifica dell’esistenza degli elementi a supporto della causa stessa. Detto orientamento

trascura che la giurisprudenza della Suprema Corte (6), per quanto riguarda il riconoscimento della

proprietà o di altri diritti reali è consolidata e ferma sul principio che qualunque attività ricognitiva

in materia di proprietà immobiliare (e relativi diritti reali) presuppone sempre e comunque

l’esistenza di un valido titolo di acquisto a monte, non potendo costituire l’atto di accertamento

esso stesso un valido titolo di acquisto. Come si legge in una delle tante sentenze sul punto: «il

negozio di accertamento di un diritto reale, la cui funzione è quella di rendere definitiva la

situazione giuridica derivante dal rapporto preesistente eliminando gli elementi di incertezza, non

ha alcun effetto traslativo, e, pertanto, per la regolamentazione della relativa situazione giuridica

controversa, deve farsi capo, in ogni caso, alla fonte precettiva originaria, che ne costituisce il

fondamento». In buona sostanza per disporre del diritto, anche sul piano della ricognizione del

diritto di proprietà, è pur sempre necessario avere un titolo giustificativo (originario o derivativo

della proprietà stessa). La necessità di un rapporto giuridico sottostante che giustifichi

determinate attribuzione, quale fondamento di un valido negozio di accertamento, è ben chiara

ed evidente in tutti i casi in cui si controverta in tema di proprietà immobiliare e diritti reali. La

particolare attenzione è data soprattutto dal fatto che i contratti che riguardano la proprietà di

beni immobili e degli altri diritti reali devono rivestire la forma scritta (art. 1350 cod. civ.) dacché

non possono darsi per presunti in sede di accertamento giudiziale.

Né può riconoscersi tout court valore transattivo all’accordo di mediazione; la transazione

non è mero negozio di accertamento: nel negozio di accertamento non ci sono concessioni tra le

parti (elemento essenziale della transazione), ma esclusivamente volontà di eliminare incertezze e

dubbi. La transazione, come mezzo assegnato all’autonomia privata per la composizione breve di

controversie attuali o potenziali, nulla accerta, anzi si disinteressa di quella che può essere stata la

realtà storica dei fatti, ma attraverso concessioni reciproche, assegna valore e tutela giuridica ai

nuovi rapporti così come voluti dalle parti e regolamentati all’interno della transazione

sovrapponendosi e rendendo inutile la verifica di quanto oggetto della transazione stessa (7).

3. Il quadro normativo di riferimento. Autentica ed omologa dell’accordo conciliativo.

Il cit. d.lgs. 28/2010, su questo tema, non ha introdotto alcuna disposizione specifica, ma con

due disposizioni “di rinvio” ha offerto lo spunto per nuove riflessioni o, comunque, per una messa

a punto di problematiche rientranti in un campo di indagine che, più in generale, riguarda i negozi

di accertamento, l’ammissibilità di un accertamento negoziale dell’usucapione ed eventualmente,

laddove ciò si ritenga possibile, la trascrivibilità di un siffatto atto negoziale ed i suoi effetti

rispetto ai terzi.

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Le principali norme del cit. d.lgs. 28/2010 che costituiscono il punto di riferimento della

nostra indagine sono:

l’art. 5 nella parte in cui dispone: «Condizione di procedibilità e rapporti con il processo - 1.

Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di (…)

diritti reali, (…) è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi

del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8

ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del

testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1°

settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento

del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilità della domanda giudiziale.» (8)

L’art. 11, comma 3° nella parte in cui dispone: «Se con l'accordo le parti concludono uno dei

contratti o compiono uno degli atti previsti dall'articolo 2643 del codice civile, per procedere

alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da

un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.»

L’art. 12 che dispone: «Efficacia esecutiva ed esecuzione 1. Il verbale di accordo, il cui

contenuto non è contrario all'ordine pubblico o a norme imperative, è omologato, su istanza

di parte e previo accertamento anche della regolarità formale, con decreto del presidente del

tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo. Nelle controversie transfrontaliere di cui

all'articolo 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21

maggio 2008, il verbale e' omologato dal presidente del tribunale nel cui circondario

l'accordo deve avere esecuzione. 2. Il verbale di cui al comma 1 costituisce titolo esecutivo

per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca

giudiziale;»

L’art. 2643 cod. civ. che enumera gli atti soggetti a trascrizione;

L’art. 2651 cod. civ. che disciplina la trascrizione della sentenza di usucapione e ne

determina gli effetti.

Si è ritenuto opportuno riportare anche l’art. 12 del cit. d.lgs. 28/2010 per sottolineare la

netta distinzione tra il procedimento previsto dal cit. art. 11 che prevede specifici requisiti per la

formazione di un documento idoneo per l’assolvimento di un onere/obbligo (la trascrizione)

all’interno di un sistema rigorosamente formale a garanzia delle presunzioni legali che sorreggono

il sistema stesso ed il procedimento di cui all’art. 12 diretto a realizzare - secondo una diversa

procedura ed utilizzando formalismi diversi e non sovrapponibili rispetto a quelli di cui all’art. 11 -,

un titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per

l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Si potrebbe, invero, ritenere che il riferimento contenuto nell’art. 12 relativo alla possibilità

di utilizzare il suddetto titolo ai fini dell’iscrizione dell’ipoteca giudiziale consenta alle parti di

utilizzare il titolo esecutivo, così formato per realizzare qualunque tipo di formalità nei pubblici

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registri e, quindi, in buona sostanza, di surrogare la procedura prevista dall’art. 11 con quella di cui

all’art. 12.

Al contrario, le due norme operano su piani ben distinti tra loro, l’autentica prevista dall’art.

11 rende il documento idoneo ai fini della trascrizione, coerentemente con il rigoroso principio

della tassatività dei documenti utilizzabili ai fini della trascrizione stessa; l’omologa, invece,

consiste in un provvedimento del giudice attestante la regolarità formale del verbale di accordo e

l’assenza di disposizioni contrarie all’ordine pubblico ed a norme imperative, il tutto finalizzato a

garantire l’adempimento, anche coattivo, degli obblighi assunti dalle parti in sede conciliativa.

L’espressa previsione dell’autentica delle sottoscrizioni dell’accordo conciliativo è allineata

con quanto già affermato nella circolare dell’Agenzia del Territorio del 20.12.2001, n. 11/T avente

ad oggetto: CONTENZIOSO CONCILIAZIONE NON CONTENZIOSA - VERBALI – ESCLUSIONE: (...)

laddove si ribadisce la tassatività dei titoli idonei alla trascrizione: «Ai sensi dell'art. 2657 del c.c., la

trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata

con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. In base a tale disposizione, il cui

carattere tassativo è stato più volte ribadito dalla Corte di Cassazione (per tutte vedasi Cass. Civile,

12 marzo 1996, n. 2033), soltanto gli atti aventi i predetti requisiti di forma costituiscono titoli

idonei per la trascrizione. La previsione normativa di un requisito minimo di forma per la

trascrivibilità degli atti nei registri immobiliari (scrittura privata autenticata o accertata

giudizialmente), risponde non solo allo scopo di stabilire, attraverso un criterio selettivo, i titoli

idonei a documentare il fatto giuridico che costituisce l'oggetto proprio della trascrizione, ma

anche all'esigenza di garantire che l'accertamento dell'autenticità della sottoscrizione venga svolto

da un soggetto "terzo" rispetto ai sottoscrittori e particolarmente qualificato (ufficiale fidefaciente

o giudice sentenziante). Nella scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata

giudizialmente, l'accertamento operato dall'ufficiale autenticante o dal giudice, ha efficacia erga

omnes; viceversa, l'efficacia del riconoscimento in giudizio di una scrittura privata, sia esso

espresso o tacito, viene normativamente limitata all'aspetto probatorio.

Gli effetti correlati al riconoscimento assumono, cioè, rilevanza esclusivamente nell'ambito

dei rapporti intercorrenti tra le parti del processo, per quanto attiene, in particolare, i profili

inerenti l'efficacia probatoria della scrittura medesima. In sostanza, la scrittura riconosciuta in

giudizio - fattispecie a cui è equiparato il verbale di conciliazione in parola - può senz'altro

generare pienezza di prova (fino a querela di falso), ma secondo la preclusione processuale, cioè

nei soli rapporti tra le parti del processo (ancorché al di là del processo medesimo). Sotto tale

profilo, pertanto, anche agli effetti di quanto previsto dall'art. 2657 del cod. civ., non può

riconoscersi l'equipollenza tra la scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata

giudizialmente - laddove l'accertamento della sottoscrizione avviene con l'adozione delle predette

garanzie obiettive - e la scrittura privata riconosciuta in giudizio, nella quale il riconoscimento

costituisce pur sempre un atto di parte. Da ciò consegue che il verbale di conciliazione in sede non

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contenziosa relativo a controversie non rientranti nella competenza del giudice di pace, non può

costituire titolo idoneo per la trascrizione ai sensi di quanto previsto dall'art. 2657 cod. civ.

Tale conclusione è stata condivisa dalla Direzione Generale degli Affari civili e delle Libere

Professioni del Ministero della Giustizia, la quale, interpellata sull'argomento dalla Scrivente, con

nota V/631/060-1 del 19 luglio 2001, ha osservato che non "..può ritenersi che possa valere come

autenticazione la circostanza che, in calce al verbale di conciliazione, accanto alla firma delle parti

vi sia anche quella del giudice e del cancelliere. Ad escludere ciò è sufficiente la considerazione che

la funzione certificativa ha ragion d'essere, per i vari tipi di pubblico ufficiale, non sulla base d'una

attribuzione generica (e virtualmente illimitata), ma nei confini segnati dalla stessa legge (cfr. art.

2699 cod. civ. "da un notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede", e

l'art. 2703 cod. civ. "dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato" per la scrittura

privata con sottoscrizione autenticata)».

Vanno, dunque, confermate le conclusioni dello studio 205/2010 del Consiglio Nazionale del

Notariato (9) secondo cui il verbale di conciliazione (non autenticato ma) omologato non costituisce

titolo per la trascrizione (ma solo per l’iscrizione di ipoteca):

- in quanto testualmente previsto dal decreto legislativo in esame, il quale, per un verso

riconosce espressamente alla sola autentica del pubblico ufficiale autorizzato il requisito di

condizione per la trascrivibilità nei registri immobiliari del verbale di conciliazione e, per altro

verso, relega espressamente l’omologa del verbale di conciliazione a condizione per l’iscrivibilità di

ipoteca giudiziale;

- tenuto conto dell’iter di formazione del medesimo decreto legislativo, essendosi introdotta

in corso d’opera l’autentica del pubblico ufficiale a ciò autorizzato proprio quale condizione per

poter accedere alla trascrizione nei registri immobiliari di taluni verbali di conciliazione.

Passando ad esaminare in modo più specifico gli aspetti relativi all’astratta ammissibilità

della mediazione vertente sull’accertamento dell’usucapione, per un ordinato svolgimento dei

passaggi che devono condurci ad una risposta agli interrogativi posti è necessario soffermarci sulla

disposizione contenuta nel cit. art. 5 relativo all’obbligo (rectius: condizione di procedibilità) di

esperire la procedura di mediazione per chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una

controversia in materia di diritti reali.

La genericità dell’espressione usata va integrata, per una sua lettura corretta, sia con il

disposto dell’art. 2 del medesimo d.lgs. 28/2010 nella parte in cui puntualizza che chiunque può'

accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su

diritti disponibili, sia con il principio generale strettamente legato alla citata disposizione che

perimetra i confini dell’autonomia privata e fa da sfondo all’intero sistema della mediazione che si

traduce nella possibilità per le parti di autoregolamentare liberamente il contenuto dei propri

accordi nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 cod. civ.). Nel nostro caso, l’indagine dovrà

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verificare se rientri o meno nella disponibilità delle parti accertare che un effetto legale si sia o

meno prodotto e, quindi, se determinati presupposti legali si sono verificati o meno (10).

Per evitare equivoci derivanti da semplificazioni lessicali, va subito puntualizzato che

l’attività accertativa, ove possibile, non potrà avere ad oggetto l’usucapione ma eventualmente i

fatti che possono dar luogo all’usucapione. L’usucapione, come modo di acquisto della proprietà o

di altro diritto reale è un effetto legale che deriva dal ricorrere di determinati presupposti che, di

volta in volta, possono essere il possesso continuato per venti anni (art. 1158 cod. civ.), l’acquisto

di un immobile in buona fede da chi non è proprietario, in forza di un titolo astrattamente idoneo

e trascritto ed il possesso continuato dello stesso per dieci anni (art. 1159 cod. civ.) ovvero altri

presupposti ancora che riguardano l’usucapione speciale per la piccola proprietà rurale, per le

universalità di mobili, per i beni mobili e per i beni mobili iscritti in pubblici registri.

Ammettere, quindi, la possibilità di un accordo accertativo dell’usucapione si tradurrebbe

nel riconoscimento di un potere alle parti contraenti di accertare i fatti che fungono da

presupposto essenziale per il perfezionamento dell’usucapione.

L’indagine sull’ammissibilità, quindi, dell’accordo accertativo nel senso indicato ha come suo

campo d’indagine non solo la qualificazione giuridica della dichiarazione resa dalle parti (negozio

giuridico o dichiarazione di scienza) ma anche la possibilità concreta delle parti a rendere la

dichiarazione stessa sotto il duplice profilo della conoscenza dei fatti e della disponibilità del

diritto, laddove per conoscenza dei fatti, deve intendersi la possibilità per il dichiarante di dare

certezza a determinati fatti o vicende perché rientranti nella sua sfera cognitiva e per disponibilità

del diritto la possibilità del soggetto dichiarante di disporre del proprio diritto non attraverso un

negozio con causa espressa ma attraverso un mero riconoscimento dell’altrui diritto non titolato.

4. La qualificazione giuridica dell’atto di accertamento. Presupposti dell’atto di

accertamento.

Nel linguaggio comune “accertare” ha il significato di “verificare qualcosa” e, quindi,

eliminare dubbi ed incertezze relativamente a qualcuno o a qualcosa, separando il falso dalla

verità. Nella sua accezione giuridica, il medesimo concetto va apprezzato nella misura in cui sia

utile a prevenire o a risolvere conflitti di interesse, attuali o potenziali, in relazione a beni

giuridicamente rilevanti.

In termini così generici, appare evidente che nel mondo giuridico l’accertamento costituisce

il fondamento stesso del diritto. Il separare il falso dal vero, dare certezza ad una relazione

intersoggettiva, risolvere un conflitto d’interessi potenziale o attuale in relazione ad una

determinato bene giuridico, sono aspetti essenziali al fine di assicurare pace sociale e, quindi,

assolvono uno degli scopi fondamentali del diritto.

Scendendo più nel concreto, l’attività di accertamento nel mondo del diritto presuppone la

ricostruzione di una “realtà giuridica” che sostituisce o si sovrappone alla “realtà storica”, e la

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ricerca della “realtà dei fatti” è tipica della giurisdizione che, come noto, consiste nell’interpretare

ed applicare le norme al caso concreto, così come risulta processualmente accertato, per risolvere

le controversie in posizione di terzietà, ossia di indipendenza rispetto alle parti e di indifferenza

riguardo all'esito della controversia.

Tuttavia, il ricorso alla funzione giurisdizionale non può che essere inteso come il rimedio

ultimo laddove le parti e gli altri strumenti messi a disposizione dall’ordinamento non siano stati in

grado di prevenire o risolvere il conflitto d’interessi relativamente ad un determinato bene

giuridico.

Qualunque strumento utilizzato dall’autonomia privata per assicurare “pace sociale”

prevenendo e risolvendo controversie è, sotto questo aspetto, meritevole di tutela, sempreché,

ovviamente, le parti abbiano la capacità di disporre dei diritti controversi.

In quest’ottica, il nostro ordinamento, ha tipizzato e disciplinato istituti giuridici che si

collocano in via strumentale quali mezzi per facilitare la soluzione di potenziali e/o attuali conflitti

d’interesse; alcuni con rilevanza meramente probatoria ed altri con rilevanza anche sostanziale. Si

pensi, ad esempio, all’arbitrato irrituale, al riconoscimento di debito, alla promessa di pagamento,

alla ricognizione di enfiteusi, alla transazione ovvero alle presunzioni legali che accompagnano

determinate dichiarazioni rese dalle parti (confessione giudiziale e stragiudiziale) o determinati

documenti che rivestono una forma particolare e che provengono da determinati soggetti (atto

pubblico o alla scrittura privata): tutti strumenti che partecipano, con efficacia diversa, all’attività

di prevenzione e risoluzione di conflitti d’interesse, diretti a garantire non solo una fedele

ricostruzione della realtà storica, ma anche ad assicurare strumenti privilegiati a difesa dei propri

diritti contro indebite pretese e contestazioni.

E’ evidente che la disciplina degli strumenti predisposti dal Legislatore in funzione probatoria

si colloca su un piano diverso rispetto ad eventuali atti posti in essere dall’autonomia privata per

dare certezza, sul piano degli effetti sostanziali, ad una determinata situazione giuridica.

La ricognizione di un debito o la promessa di pagamento dispensano colui a favore del quale

sono fatte dall’onere di provare il rapporto fondamentale; l’esistenza del debito si presume fino a

prova contraria (art. 1988 cod. civ.). La confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità

di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte. La confessione giudiziale forma piena prova

contro colui che l’ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili. La confessione

stragiudiziale fatta alla parte ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale, se resa ad un

terzo è liberamente apprezzata dal giudice (art. 2730 e segg. cod. civ. Sono questi alcuni esempi

del valore che il nostro ordinamento assegna a determinate dichiarazioni allo scopo di consentire

alle parti di dimostrare agevolmente i propri diritti nello svolgimento dei rapporti giuridici ed a

soddisfare in concreto i propri interessi ed aspettative eliminando difficoltà e lungaggini che

altrimenti potrebbero accompagnare l’onere di dimostrare il proprio buon diritto.

Page 11: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

L’ordinamento, quindi, mettendo a disposizione una serie di strumenti con forza probatoria

privilegiata, consente ad un soggetto che vanta un diritto di garantirsi la realizzazione delle proprie

pretese nei confronti degli altri soggetti eliminando o, comunque, limitando possibili

contestazioni.

Su un piano ulteriore, degli effetti sostanziali, l’ordinamento, laddove esista una lite in atto

ovvero sussista il rischio di una lite, consente alle parti di evitare la via contenziosa attraverso un

contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già

incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro (art. 1965, 1° comma, cod. civ.). Per

realizzare questo scopo, le parti possono creare, modificare o estinguere rapporti diversi da quello

che ha formato oggetto della pretesa o della contestazione delle parti (art. 1965, 2° comma, cod.

civ.); dacché, la causa transattiva è idonea a costituire titolo di validi rapporti giuridici, alla pari

delle altre cause traslative tipiche (compravendita, donazione, etc.) ed atipiche meritevoli di tutela

(art. 1322 cod. civ.).

Come già accennato, la transazione, quale mezzo assegnato all’autonomia privata per la

composizione breve di controversie attuali o potenziali, nulla accerta, anzi si disinteressa di quella

che può essere stata la realtà storica dei fatti, ma attraverso concessioni reciproche, assegna

valore e tutela giuridica ai nuovi rapporti così come voluti dalle parti e regolamentati all’interno

della transazione sovrapponendosi e rendendo inutile la verifica di quanto oggetto della

transazione stessa. I limiti al potere attribuito all’autonomia privata di dare soluzione o prevenire

conflitti di interessi mediante la transazione, sono costituiti dalla capacità di disporre dei diritti che

formano oggetto della controversia, dalla disponibilità dei diritti, dalla non temerarietà della

pretesa vantata, dall’impossibilità di transigere una controversia che si fonda su un contratto

illecito, su un titolo nullo, su documenti in seguito riconosciuti falsi, relativi ad una lite già decisa

con sentenza passata in giudicato ovvero, relativamente alle transazioni su affari determinati,

allorquando sono scoperti documenti che provano che una delle parti non aveva alcun diritto.

E’ di tutta evidenza che, in quest’ottica la transazione si distingue nettamente dal mero

negozio di accertamento in cui non ci sono concessioni tra le parti ma esclusivamente volontà di

eliminare incertezze e dubbi. Il negozio di accertamento non è disciplinato dal codice, è di

elaborazione dottrinale ed è ritenuto dalla giurisprudenza pacificamente ammissibile, in quanto

assolve, in linea astratta, una funzione meritevole di tutela per la sua idoneità a concorrere alla

risoluzione potenziale di conflitti d’interessi analogamente alla transazione sebbene con modalità

ed effetti diversi.

In dottrina si discute in ordine alla qualifica negoziale dell’accertamento effettuato

pattiziamente. Coloro che ritengono inammissibile un negozio di accertamento ritengono che

l’attività accertativa non può che produrre effetti meramente dichiarativi mentre la qualificazione

negoziale presuppone che ci sia un effetto (nuovo) costitutivo, modificativo o estintivo, secondo il

paradigma di cui all’art. 1321 cod. civ. (11). La dottrina e la giurisprudenza che ritengono

Page 12: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

ammissibile il negozio di accertamento negoziale ritengono, al contrario, che l’atto di autonomia

privata è qualificabile negozio giuridico in quanto destinato ad eliminare profili di incertezza

all’interno della fattispecie oggetto di accertamento ed in grado di produrre quel quid novi

costituito, secondo alcuni (12), dall’effetto preclusivo ben distinto sia dal mero effetto meramente

dichiarativo, sia dall’effetto costitutivo, secondo altri (13), da un effetto modificativo, all’interno di

un rapporto preesistente che presenta in un suo segmento motivi di incertezza che richiedono la

ripetizione del comando contenuto nel negozio stesso ovvero la previsione di un obbligo

d’intendere pattizio relativo ad una modalità dubbia di attuazione di un contratto.

Peraltro, anche per quella parte minoritaria della dottrina che non ammette la qualificazione

negoziale dell’atto di riconoscimento, la dichiarazione resa da una parte nei confronti dell’altra

avrebbe valore di dichiarazione di scienza e se riguarda fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli

all’altra parte avrebbe valore confessorio (artt. 2730 e segg. cod. civ.). La qualifica, dell’atto di

riconoscimento come mera dichiarazione di scienza o come negozio giuridico determina un

passaggio della fattispecie da una rilevanza degli effetti “meramente probatoria” ad una rilevanza

degli affetti “sostanziale” governata dalla volontà delle parti e, quindi idonea a creare un “quid

novi” nell’ordinamento.

Senza volerci addentrare all’interno delle molteplici questioni inerenti l’ammissibilità o meno

del negozio di accertamento, che non sembrano determinanti ai fini di una ragionevole risposta

agli interrogativi posti, può sinteticamente rilevarsi che il negozio di accertamento, comunque

inteso, è una fattispecie, per definizione di secondo grado, dacché presuppone sia la preesistenza

di un fatto o di una relazione giuridica sia che il fatto o la relazione giuridica presentino, in uno o

più dei loro segmenti o modalità, profili di incertezza.

L’inesistenza del rapporto giuridico da accertare ovvero l’assenza di incertezza

determinerebbero la nullità del negozio di accertamento per difetto di causa, non potendo il

negozio di accertamento considerarsi titolo autonomo di un’attribuzione patrimoniale. Ciò che il

negozio di accertamento è in grado di offrire all’autonomia privata è la certezza in ordine a

determinate modalità di attuazione di un rapporto giuridico ovvero relativamente a determinati

fatti che si sono svolti tra le parti. Le parti, in buona sostanza, non potrebbero accertare l’esistenza

di un rapporto giuridico che non è mai nato ovvero che un bene è di proprietà di un soggetto in

forza di una compravendita che non si è mai perfezionata, mentre sarà utile tra le parti accertare

la qualificazione giuridica di una determinata dazione di denaro, in termini di liberalità ovvero di

adempimento di un obbligo pregresso ovvero a titolo di mutuo, come potranno essere accertati le

modalità restitutorie di una somma di denaro e così via.

In giurisprudenza, come già detto, la necessità di un rapporto giuridico sottostante che

giustifichi determinate attribuzione, quale fondamento di un valido negozio di accertamento, è

ben chiara ed evidente in tutti i casi in cui si controverta in tema di proprietà immobiliare e diritti

reali. La particolare attenzione è data soprattutto dal fatto che i contratti che riguardano la

Page 13: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

proprietà di beni immobili e degli altri diritti reali devono rivestire la forma scritta (art. 1350 cod.

civ.) dacché non possono darsi per presunti in sede di accertamento giudiziale. La giurisprudenza

della Suprema Corte (14), per quanto riguarda il riconoscimento della proprietà o di altri diritti reali

può considerarsi consolidata e ferma sul seguente principio, di cui si è già fatto cenno in

precedenza: «il negozio di accertamento di un diritto reale, la cui funzione è quella di rendere

definitiva la situazione giuridica derivante dal rapporto preesistente eliminando gli elementi di

incertezza, non ha alcun effetto traslativo, e, pertanto, per la regolamentazione della relativa

situazione giuridica controversa, deve farsi capo, in ogni caso, alla fonte precettiva originaria, che

ne costituisce il fondamento».

In buona sostanza, la proprietà immobiliare (o altro diritto reale) non potrà avere come

titolo di acquisto il negozio di accertamento ma dovrà avere come titolo un contratto con una

valida causa ovvero una modalità di acquisto di cui all’art. 922 cod. civ.

Se ciò è vero, deve dedursi che la creazione di un titolo di proprietà non possa passare

attraverso scorciatoie di comodo come l’utilizzo di un negozio (o di un atto) di riconoscimento, ma

richieda un contratto traslativo dotato di valida causa ovvero un titolo di acquisto originario

secondo la tassativa enumerazione legale.

Un eventuale atto di riconoscimento (o negozio di accertamento) non potrà, dunque,

costituire titolo su cui fondare il diritto di proprietà (o altro diritto reale) ma, semmai, potrà dare

certezza, limitata alle parti dell’accordo, al contenuto del diritto o, per rimanere all’interno del

nostro tema, dell’esistenza di uno più presupposti previsti dalla legge ai fini del perfezionamento

dell’usucapione (15).

La giustificazione di questa affermazione e quindi dell’inammissibilità di un accordo pattizio

che riconosca che un bene è di proprietà altrui a titolo di usucapione, va confermata da

un’ulteriore indagine diretta a verificare se l’accertamento dei fatti che sono posti a base

dell’usucapione rientri, almeno in via astratta, nella sfera “cognitiva” o “dispositiva” delle parti, in

quanto, se così non fosse, la valenza negoziale o di mero atto giuridico delle dichiarazioni rese

dalle parti avrebbe poca importanza nell’indagine sull’ammissibilità dell’accordo stesso.

In buona sostanza, il riconoscimento del valore giuridico (recte: della meritevolezza) dell’atto

compiuto dalle parti, come espressione della loro autonomia privata, presuppone che l’oggetto

dell’atto rientri, almeno astrattamente, in un’area di pertinenza delle parti stesse che rendono la

dichiarazione. In difetto ci troveremmo di fronte all’espressione di una dichiarazione testimoniale

(diretta o de relato) resa da un soggetto piuttosto che da un altro ovvero ad un atto dispositivo

privo di qualificazione causale (quindi nullo) mascherato da atto di riconoscimento di un altrui

diritto.

Come efficacemente affermato dal Gabrielli (16), la dichiarazione da parte di un soggetto di

riconoscimento dell’esistenza in capo ad un altro soggetto di un titolo di acquisto originario, quale

l’usucapione, almeno per quanto riguarda il diritto di proprietà, sarebbe inammissibile in quanto

Page 14: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

non esiste un soggetto che abbia la possibilità di titolare erga omnes l’altrui acquisto a titolo

originario.

Giova, quindi per proseguire nella nostra indagine, soffermarci su quali siano i presupposti

dell’usucapione e su quali siano i rapporti tra soggetto usucapito ed usucapente, al fine di

confermare che i presupposti dell’usucapione siano al di fuori della sfera “cognitiva” e

“dispositiva” delle parti.

5. Rapporti tra usucapente ed usucapiti. L’usucapione come titolo di acquisto originario.

Di particolare rilevanza, nell’economia del presente scritto, è l’aspetto relativo ai rapporti tra

la situazione giuridica soggettiva dell’usucapito e la nuova situazione giuridica dell’usucapiente e,

più precisamente, se l’acquisto a titolo di usucapione sia da considerare originario, derivativo

ovvero un tertium genus con peculiarità proprie da collocarlo su un piano intermedio tra le due

categorie.

Si è osservato (17) che l’acquisto a titolo di usucapione può qualificarsi originario per spiegare

l’acquisto della proprietà e derivativo per spiegare la persistenza dei diritti limitati in capo

all’usucapiente (18).

Per la verità, non sembra esserci traccia nella disciplina positiva di norme che consentano di

affermare la natura derivativa del diritto acquistato dall’usucapiente e, di conseguenza, una

relazione necessitata tra la proprietà dell’usucapiente e quella dell’usucapito. Il diritto

dell’usucapiente nasce ex novo per la concorrenza dei presupposti qualificanti la fattispecie:

possesso, decorso del termine e, per l’usucapione decennale, la buona fede ed il titolo

astrattamente idoneo. Nessuno di questi presupposti può essere posto in relazione con il diritto

del soggetto usucapito: tutti hanno una loro autonomia.

Peraltro, se volessimo collegare la posizione giuridica dell’usucapiente con quella

dell’usucapito e, quindi, ragionare in termini di acquisto a titolo derivativo si avrebbero effetti

contrastanti con i principi sistematici che giustificano l’usucapione quale acquisto del diritto di

proprietà (e degli altri diritti reali) ad integrazione e correzione delle regole in tema di pubblicità

immobiliare in funzione di una corretta e sicura circolazione dei beni immobili.

Ciò per più di una ragione:

1. in primo luogo, perché una delle finalità storiche e pacificamente riconosciute

dell’usucapione è proprio quella di vincere la cd. probatio diabolica e, quindi, l’onere di

dover dimostrare la continuità dei titoli di proprietà all’infinito;

2. in secondo luogo, perché il principio della continuità delle trascrizioni, sancito dall’art. 2650

cod. civ. non si applica agli acquisti per usucapione per i quali la trascrizione della sentenza di

accertamento, ai sensi dell’art. 2651 cod.civ., ha valore di mera pubblicità notizia;

3. in terzo luogo, perché l’usucapiente acquista la proprietà dell’immobile in forza del possesso

(ed eventualmente con il concorso degli altri presupposti richiesti dalla legge) senza alcuna

Page 15: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

derivazione dalla posizione giuridica dell’usucapito, il cui diritto si estingue, non per

trasferimento da un soggetto ad un altro, ma come conseguenza logico-giuridica

dell’acquisto da parte dell’usucapiente (19).

Se ciò è vero non si comprende in un ipotetico accordo conciliativo quale ruolo possa avere

la volontà adesiva del presunto usucapito nei confronti dell’asserita usucapione dell’usucapiente.

Invero, tutti i presupposti richiesti dagli artt. 1158 e segg dai quali scaturisce, quale effetto legale,

l’usucapione sono del tutto estranei alla sfera giuridica e cognitiva del presunto usucapito il quale

non potrebbe riconoscere, con valenza probatoria significativa, ad esempio, che altro soggetto ha

esercitato il possesso su un determinato bene, la durata del possesso, ovvero l’eventuale buona

fede del possessore. Un’eventuale dichiarazione dell’usucapito eventualmente avrebbe qualche

significato di maggior peso probatorio se diretto a riconoscere un eventuale atto di interversione

del titolo a giustificazione del possesso vantato dall’altra parte ovvero a riconoscere che da parte

di esso dichiarante non sono stati compiuti atti interruttivi. E’ di tutta evidenza che tali circostanze,

se non accompagnate da ulteriori elementi probatori non sono in grado di provare, con valenza

assoluta, che si è perfezionato l’usucapione. A ciò si aggiunga che in un eventuale accordo

conciliativo sarà una parte a scegliersi la controparte nei cui confronti accertare l’usucapione, in

assenza di qualunque controllo giudiziale. Come ben sottolineato dal Tribunale di Roma nella

motivazione del decreto di rigetto del ricorso avverso la trascrizione con riserva dell’accordo

conciliativo accertativo dell’usucapione, sarebbe alto il rischio di un utilizzo di tale istituto “non per

la composizione di una lite effettiva ma per dissimulare operazioni negoziali a danno di terzi, con

seri pregiudizi alla circolazione dei beni. Si pensi al caso in cui il convenuto non sia l’effettivo

proprietario del bene per cui è controversia”.

Su quest’ultimo punto, è bene chiarire che se è vero che al giudice in sede di cognizione non

spettano poteri dispositivi ed il procedimento di accertamento è rimesso alla disponibilità delle

parti è altrettanto vero che al giudice spetterà, insindacabilmente, all’esito dell’istruttoria valutare

se l’attore è riuscito a provare l’assunto (l’avvenuta usucapione) e quindi emettere la sentenza

dichiarativa. Sarà compito del giudice di merito accertare la continuità, la pacificità e pubblicità del

possesso inequivocabilmente esercitato uti dominus per un periodo ultra ventennale. Peraltro la

domanda di usucapione, in caso di bene usucapito in comproprietà tra più soggetti, obbliga la

parte ad una integrazione del contradditorio nei confronti di tutti i comproprietari del bene in

danno dei quali l’usucapione si sarebbe verificata, essendo dedotto in giudizio un rapporto

plurisoggettivo unico e inscindibile (20).

Sono questi i motivi per i quali il passaggio per il giudizio di accertamento è obbligato sia per

chi ritenga che la sentenza di accertamento sia costitutiva (21), sia per chi ritenga che la sentenza

emessa sia di mero accertamento perfezionandosi l’usucapione ipso iure (22); in un accordo

Page 16: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

conciliativo mancherebbe il soggetto terzo in grado di decidere se i presupposti di legge si siano

verificati o meno e se tutti i soggetti interessati abbiano partecipato all’accordo.

Si afferma (23) che in alcuni Tribunali si sono affermate prassi virtuose dirette a fornire

indicazioni, in modo astratto e generale, su quali siano gli elementi che la parte interessata deve

produrre per dimostrare che ha usucapito un determinato bene. Ad esempio il Tribunale di

Varese, per citarne uno tra i tanti, dà queste indicazioni a coloro che intendono intraprendere il

giudizio per l’accertamento dell’usucapione:

«Con riguardo alle problematiche relative ai giudizi di usucapione dei beni immobili tra i

giudici addetti al settore é emerso il seguente orientamento condiviso.

Una prima questione riguarda l'individuazione del legittimato passivo, e quindi del soggetto

nei confronti del quale deve essere svolta la domanda e notificato l'atto di citazione (nei

procedimenti ordinari) ovvero del soggetto al quale va notificato il ricorso previsto dall'articolo 3

comma 1 della Legge 10/5/1976 numero 346.

Nel giudizio ordinario di usucapione legittimato passivo é il proprietario (o il possessore) del

bene (Cass. 26/4/2000 numero 5335; Cass. 4907/1990 e Cass. 2299/1976) e l'individuazione di tale

soggetto segue le regole generali.

Nel procedimento di usucapione speciale, il comma 3 della norma appena citata indica

espressamente, quali destinatari della notifica dell'istanza (rectius: del ricorso) -...coloro che nei

registri immobiliari figurano come titolari di diritti reali sull'immobile...- e -coloro che, nel

ventennio anteriore alla presentazione...- dell'istanza, -...abbiano trascritto contro l'istante o i suoi

danti causa domanda giudiziale non perenta diretta a rivendicare la proprietà o altri diritti reali di

godimento...-.

In tale ipotesi, quindi, il ricorrente, dovrà allegare al ricorso:

- la visura ipocatastale riferita al soggetto che risulta, in Catasto, proprietario del bene con

decorrenza dalla data dell'acquisto (ove indicato nel certificato catastale) ovvero dall'impianto dei

Registri Immobiliari;

- la visura ipocatastale dalla quale risultino le eventuali domande giudiziali dirette a

rivendicare la proprietà o altri diritti reali di godimento sul bene, proposte, nel ventennio anteriore

alla presentazione dell'istanza, nei confronti del ricorrente.

Entrambe le visure possono essere sostituite da una relazione notarile.

Una volta individuato il soggetto legittimato passivamente, potrebbe sorgere la necessità di

avviare la procedura di cui all'articolo 48 del Codice Civile.

Per le notificazioni non può ipotizzarsi alcuna deroga alle norme dettate dagli articoli 137 e

seguenti del Codice di Procedura Civile, con la precisazione che la notificazione per pubblici

proclami prevista dall'articolo 150 del Codice di rito, presuppone il rilevante numero dei

destinatari "ovvero" la difficoltà di identificarli tutti-.

Page 17: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

Resta ovviamente salva ogni diversa autonoma valutazione che il singolo giudice riterrà di

dover effettuare in relazione alla singola e specifica fattispecie sottoposta al suo esame.»

Le suddette prassi sono “virtuose” nella misura in cui facilitano l’istruttoria e sebbene non

abbiano valenza normativa rappresentano un’anticipazione dell’iter logico che compirà il giudice

nel decidere se accogliere o meno la domanda attorea. In quest’ottica, risulta evidente che

l’accertamento non si limita ad una mera verifica della legittimazione passiva del soggetto

convenuto, ma investe aspetti che attengono alla posizione giuridica dell’usucapiente ed alla sua

relazione con il bene oggetto di possesso; opportunamente, quindi, l’elencazione proposta dal

Tribunale di Varese si chiude con l’inciso: «Resta ovviamente salva ogni diversa autonoma

valutazione che il singolo giudice riterrà di dover effettuare in relazione alla singola e specifica

fattispecie sottoposta al suo esame», a sottolineare l’assenza di automatismi in una materia di

particolare importanza a garanzia dei principi che regolano la circolazione degli immobili.

Sono questi i motivi che rendono sostanzialmente e qualitativamente diversi un accordo

conciliativo avente ad oggetto l’usucapione ed un sentenza di accertamento dell’usucapione:

1. l’accordo conciliativo non può che contenere due dichiarazioni che non si incontrano tra

loro, quella di colui che asserisce di aver usucapito e quella del soggetto convenuto che può

riconoscere e rendere una dichiarazione esclusivamente su ciò che rientra nella sua sfera

cognitiva (si pensi al riconoscimento che è intervenuto un atto di interversione del titolo di

detenzione in possesso, ovvero il riconoscimento di non aver ricevuto atti interruttivi del

possesso) e, quindi, su elementi da valutare, in un quadro più complesso di elementi, ai fini

dell’accertamento dell’usucapione;

2. la sentenza di accertamento, al contrario, riconosce l’avvenuta usucapione, all’esito di

un’istruttoria compiuta da un soggetto terzo ed in contraddittorio con i soggetti contro

interessati diretta a verificare il possesso, lo stato soggettivo dell’usucapiente, la decorrenza

del tempo, l’assenza di atti interruttivi, l’eventuale buona fede, l’eventuale esistenza di un

titolo astrattamente idoneo, etc.

Va sottolineato che un eventuale riconoscimento del soggetto usucapito di non aver

posseduto il bene di cui si invoca l’usucapione, sarebbe del tutto ininfluente ai fini

del’accertamento dell’usucapione, in quanto se il riconoscimento riguarda la proprietà, come è

noto, il relativo diritto è imprescrittibile, mentre se riguarda un diritto reale limitato la perdita del

diritto per prescrizione non determinerebbe l’acquisto per usucapione del bene ma

esclusivamente la riespansione del diritto di proprietà per estinzione dello jus in re aliena.

6. Le problematiche in tema di trascrizione (e intavolazione) di un accordo di accertamento

dell’usucapione. Cenni sul negozio configurativo.

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Ancor più incomprensibile sarebbe poi la trascrizione di un accordo conciliativo del tipo

sopra descritto. Anche a voler, trascurare il principio della tassatività degli atti che possono essere

trascritti, non si comprende a quale fatto verrebbe data pubblicità:

alla pretesa di un soggetto nei confronti di un altro di aver maturato l’usucapione ?

ovvero alla dichiarazione dell’altra parte, discrezionalmente scelta dall’attore, di non aver

compiuto atti interruttivi dell’usucapione?

Appare di tutta evidenza che né l’una né l’altra dichiarazione costituiscono atti in grado di

fondare presunzioni in ordine al perfezionamento di vicende acquisitive o traslative della proprietà

o di altri diritti reali.

Spesso si invoca una causa “lato sensu” transattiva che sosterrebbe tali atti di accertamento

resi in contradditorio tra le parti (24); tuttavia, come già detto nei paragrafi precedenti, la

transazione, per definizione è il contratto mediante il quale le parti, facendosi reciproche

concessioni, pongono fine a una lite. Nel nostro caso mancherebbe il presupposto delle reciproche

concessioni sotto il duplice aspetto che una parte non può concedere all’altra un titolo di acquisto

originario (l’usucapione) che costituisce effetto legale e non negoziale e l’altra, poi, nulla

concederebbe al dichiarante che rende la dichiarazione, trattandosi di accertamento tout court di

un presunto effetto legale già perfezionatosi e non di atto a prestazioni corrispettive (25).

Il riferimento all’usucapione, quale effetto legale prodotto dalla ricorrenza di determinati

presupposti, invita ad un’ulteriore riflessione e, precisamente, se sia possibile all’autonomia

privata attrarre all’interno di autoregolamentazione volontaria anche effetti legali. La dottrina più

recente ha dato risposta positiva, soprattutto con riferimento alle liberalità indirette ricorrendo

alla figura del cd. negozio configurativo (26) mediante il quale alla fattispecie legale si sovrappone

una volontà umana che la indirizzi; si pensi, ad esempio, ai casi in cui un comportamento umano

contribuisce al perfezionamento dell’accessione, ovvero il comportamento di chi concorre ad

agevolare l’usucapione di un bene o la prescrizione di un diritto. In tutti questi casi per attrarre

l’effetto legale nell’area dell’autonomia privata è necessario individuare un legame,

giuridicamente rilevante, tra intento e risultato (27). Con il negozio configurativo le parti

attribuirebbero un significato ai loro futuri comportamenti e precisamente ai comportamenti

necessari per la produzione degli effetti incrementativi ex lege di cui si è detto. Tali comportamenti

vengono definiti come volontariamente tenuti in vista del raggiungimento di un risultato inteso

come arricchimento del beneficiario (28).

E’ evidente che nemmeno questa ricostruzione dogmatica può essere di sostegno ad

un’eventuale riconoscimento di un accordo conciliativo tendente all’accertamento

dell’usucapione, in quanto mentre con il negozio configurativo le parti si obbligano a mantenere

un determinato comportamento in vista della realizzazione di un risultato (effetto legale),

nell’accordo conciliativo le parti ex post andrebbero ad assegnare valore negoziale all’accadimento

di determinati fatti.

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Ciò appare rilevante anche al fine di eliminare ogni dubbio riguardo ai presunti effetti

traslativo-derivativi che una parte autorevole della dottrina (29) ravviserebbe negli accordi conciliati

di riconoscimento dell’usucapione.

Si afferma, invero che nei limiti dell’efficacia preclusiva, propria del negozio di accertamento,

l’atto di autonomia privata avrebbe effetti analoghi a qualunque atto dispositivo ed, in questa

prospettiva, sarebbe soggetto a trascrizione come qualunque acquisto a titolo derivativo, con

tutte le conseguenze che ne derivano, ivi comprese le finalità conseguenti alla continuità delle

trascrizioni ex art. 2650 cod. civ.

Al contrario, può osservarsi che l’effetto preclusivo, che certamente può costituire una

modalità di disposizione del proprio diritto, nella fattispecie che ci interessa tutt’al più

riguarderebbe i fatti che rientrano nella sfera cognitiva del dichiarante, dunque, non l’avvenuto

trasferimento del diritto, fatto non in discussione, ma eventualmente, il mancato esercizio di atti

interruttivi dell’altrui possesso e, quindi di uno degli elementi che fanno da presupposto

all’usucapione. Il diritto vantato dall’usucapiente, giova ribadire, non può per definizione derivare

dal precedente diritto del presunto soggetto usucapito ma esclusivamente dall’esercizio del

possesso con le modalità e per la durata previste dalla legge.

Ai fini della pubblicità immobiliare la distinzione tra fattispecie negoziali e fattispecie legali è

disegnata in modo preciso dal Legislatore e risponde a principi sistematici enunciati nelle

disposizioni che regolano le une e le altre.

Gli acquisti a titolo derivativo e gli acquisti a titolo originario, all’interno del sistema della

pubblicità immobiliare rispondono a regole diverse e le une integrano le altre in funzione

dell’efficienza del sistema stesso e di certezza nella circolazione dei beni immobili. Il soggetto

usucapente avrà interesse a dare pubblicità al suo acquisto non ai fini della continuità delle

trascrizioni o per vincere eventuali conflitti tra più aventi causa dal medesimo soggetto, in quanto

il suo acquisto non è soggetto alle regole di cui agli artt. 2644 e 2650 cod. civ., ma avrà interesse a

trascrivere il suo acquisto per consentire ai suoi futuri aventi causa, fissando l’anello di una nuova

catena, di avvantaggiarsi delle presunzioni legali proprie del sistema della pubblicità immobiliare

(30).

Un’applicazione, dunque, delle regole sugli acquisti a titolo derivativo ad un accordo

conciliativo finalizzato all’accertamento dell’usucapione si risolverebbe in un ibrido con effetti

inaccettabili tra le parti e rispetto ai terzi. Tra le parti, perché si farebbe derivare il diritto

dell’usucapiente dalla posizione soggettiva dell’usucapito e non più dal possesso (e dagli altri

presupposti di legge), rispetto ai terzi perché un soggetto (l’usucapiente) sarebbe investito, anche

rispetto ai terzi, di un diritto sulla base di un riconoscimento effettuato da un soggetto

(l’usucapito) che non ha alcun titolo per assegnare il diritto stesso. L’usucapiente trova il suo unico

titolo di proprietà nella legge e, quindi nella ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge stessa

(artt. 1158 cod. civ. e segg.). Un accordo volontario diretto ad attribuire un diritto da un soggetto

Page 20: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

ad un altro deve essere sorretto da una valida causa secondo lo schema di cui all’art. 1322 cod. civ.

non essendo sufficiente un mero atto di investitura da parte di un soggetto che o non ha più

alcuna relazione giuridicamente rilevante con il bene oggetto di usucapione, se è stato usucapito,

ovvero è ancora titolare del diritto de quo, e di conseguenza per poter disporre deve compiere un

atto negoziale sorretto da una giusta causa.

L’accertamento giudiziale dell’usucapione, mediante una procedura controllata dal giudice,

soggetto terzo per definizione, è la sola strada che può essere percorsa per dare visibilità

(mediante la prescritta pubblicità notizia) alla nuova situazione giuridica nata dall’usucapione. I

controlli in ordine alla ricorrenza dei presupposti di legge per il perfezionamento dell’usucapione

in contraddittorio con tutte le parti interessati costituiscono attività che può essere svolta

esclusivamente dall’Autorità Giudiziaria, non potendosi attribuire ad un accordo intercorso tra due

privati la medesima valenza di una sentenza emessa all’esito di una procedimento rivolto a

riconoscere ad un soggetto un diritto da valere non solo nei confronti di un soggetto scelto

discrezionalmente dall’attore ma nei confronti di qualunque soggetto possa vantare pretese nei

confronti di quel determinato bene secondo l’apprezzamento del giudice (31).

Non sembra che quanto fin qui emerso possa essere revocato in dubbio dai principi espressi

dalla Suprema Corte nella recente sentenza 5 febbraio 2007, n. 2485 secondo cui:

- non è nullo il contratto di compravendita con cui viene trasferito il diritto di proprietà di un

immobile sul quale il venditore dichiari di essere proprietario per usucapione benché difetti

l’accertamento giudiziale in contraddittorio con il precedente proprietario e, quindi,

- non incorre in responsabilità professionale il notaio il quale, in caso di vendita immobiliare

nella quale il venditore assuma di avere acquistato la proprietà per usucapione senza produrre

l’accertamento giudiziale, non abbia avvertito l'acquirente che l'acquisto poteva essere a rischio,

ove nell'atto venga espressamente inserita una clausola dalla quale possa desumersi che

l'acquirente era comunque consapevole di tale rischio (32).

Detti principi sono coerenti con la natura della sentenza (di accertamento e non costituiva)

emessa all’esito del procedimento di riconoscimento dell’usucapione e lungi dal riconoscere poteri

ai privati di riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 1158 e segg. cod. civ.; al contrario, la

Suprema Corte sottolinea che l’usucapione è effetto legale (né volontario, né giudiziale) che si

perfeziona nella ricorrenza di determinati presupposti spostando le problematiche relative alla

vendita di un bene usucapito (in assenza di una sentenza di usucapione) da un piano di

incommerciabilità del bene stesso ad un piano di garanzia tra le parti. In buona sostanza, la

sentenza si è limitata ad affermare che il notaio che riceva un atto con una provenienza solo

asserita ma non documentata da sentenza di accertamento dell’usucapione ha un dovere

professionale di informare l’acquirente del fatto restando poi l’acquirente libero di perfezionare o

meno la vendita e di assumersi i relativi rischi che ne possono derivare. Tutto ciò non si traduce

nell’assegnazione di una valenza legale alla dichiarazione del venditore concordata con

Page 21: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

l’acquirente in sostituzione della sentenza di usucapione ma sposta sul piano delle garanzie,

secondo le normali regole in tema di evizione e di esonero dalla garanzia evizione, la carenza di

documentazione del titolo di acquisto (33).

Relativamente alle problematiche relative al sistema tavolare esistente nelle province di

Trento e Bolzano (cd. intavolazione) va condivisa l’autorevole opinione di quella parte della

dottrina (34) che non ritiene possibile l’intavolazione di un riconoscimento dell’altrui usucapione in

quanto il sistema tavolare è improntato nei suoi principi alla massima congruenza possibile tra

situazione giuridica reale e risultanze dei libri fondiari, tant’è che è consentita l’intavolazione di

una sentenza di accertamento dell’usucapione solo se è passata in giudicato, a maggior ragione, di

conseguenza, non deve ammettersi l’intavolazione di un atto riconoscimento dell’altrui diritto,

contestabile per definizione da chiunque vi abbia interesse.

7. Ammissibilità di un’autentica notarile delle sottoscrizioni di un accordo conciliativo di

riconoscimento dell’usucapione.

Ulteriore nodo da sciogliere, a latere delle problematiche fin qui esposte, è quello relativo

alla astratta possibilità per il notaio di autenticare accordi conciliativi che tendono a sovrapporsi ad

attività cognitive proprie dell’Autorità giudiziaria.

I dubbi nascono, da un lato, perché - secondo una lettura restrittiva dell’art. 1 della legge 16

febbraio 1913 n. 89 – si ritiene che il notaio avrebbe una competenza generale per i soli atti

negoziali mentre, per gli atti non negoziali, avrebbe una competenza limitata a quelli a lui

tassativamente demandati e, da altro lato, perché si ritiene che al notaio sia precluso lo

svolgimento di attività istruttorie concorrenti con quelle demandate in via esclusiva all’Autorità

giudiziaria.

La dottrina (35) che in modo più approfondito ha esaminato le relative problematiche ritiene

che l’attività primaria del pubblico ufficiale chiamato a formare documenti dotati di fede

privilegiata è proprio quella di constatare fatti e circostanze e di farne menzione nel documento.

Se questo è il compito primario del notaio, pubblico ufficiale documentatore per eccellenza, è

giocoforza affermare che proprio il codice civile (artt. 2699 e 2700), letto in collegamento con la

legge notarile (art. 1), è fonte attributiva di una competenza generale del notaio a constatare fatti

e a riprodurne l’accadimento in un documento scritto. Va, peraltro, aggiunto che le “dichiarazioni

accertative”, come già detto, sono spesso qualificabili atti negoziali (di accertamento) e non mere

dichiarazioni di scienza.

Relativamente ad un’ipotizzabile “riserva di attività”, da parte dell’autorità giudiziaria, in

materia di assunzione di prove, va osservato che è evento normale, nello svolgimento dell’attività

notarile, ricevere ed autenticare documenti che hanno valore probatorio. L’attività notarile è

attività di documentazione e gli atti notarili sono anche finalizzati ad evitare successive

contestazioni e ad agevolare la dimostrazione dei fatti e delle dichiarazioni in essi riportati. Altro è

Page 22: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

il valore probatorio che l’ordinamento attribuisce ai fatti e dichiarazioni contenuti in atti notarili,

cosicché mentre l’atto pubblico, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., fa piena prova, fino a querela di

falso, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua

presenza o da lui compiuti, il contenuto delle dichiarazioni o, più precisamente, la verità del

contenuto delle dichiarazioni (di scienza) rese dalle parti avrà il valore di confessione

stragiudiziale, secondo il disposto dell’art. 2730 cod. civ.

L’attività istruttoria (preventiva) svolta dall’Autorità Giudiziaria e l’attività di

documentazione svolta dal notaio, in buona sostanza, operano su piani diversi e la forza

probatoria degli uni e degli altri è quella loro assegnata dall’ordinamento stesso; dacché in nessun

modo può considerarsi violata o limitata l’attività dell’Autorità Giudiziaria dall’acquisizione da

parte del notaio di dichiarazioni o atti ricognitivi:

l’ordinamento espressamente prevede che determinate dichiarazioni aventi valore

confessorio, possano essere rese al di fuori della sede processuale ed è il motivo per cui il

codice detta regole diverse per la confessione giudiziale e stragiudiziale;

il fatto che esse siano contenute in un atto notarile nulla aggiunge al loro valore probatorio,

fondando, l’atto notarile, certezza esclusivamente in ordine alla provenienza della

dichiarazione stessa (36).

Tuttavia, nella fattispecie in esame, non si tratta verificare se ci sia o meno un’invasione da

parte del notaio di poteri eventualmente spettanti all’autorità giudiziaria, ma, più limitatamente se

il documento che le parti intendono sottoporre al notaio integri o meno la fattispecie disciplinata

dal 3° comma dell’art. 11 del cit. d.lgs. 28/2010. La risposta è senza dubbio negativa:

in primo luogo, perché, alla luce di quanto fin qui detto, l’autonomia privata non può

realizzare, nemmeno transattivamente, un accordo diretto a determinare l’usucapione che

costituisce effetto legale di una fattispecie il cui accertamento dei presupposti non può

essere rimesso alle dichiarazioni rese, in modo incontrollato, dal soggetto che asserisce di

aver usucapito e da altro soggetto, scelto discrezionalmente dal primo, che presta

acquiescenza alla dichiarazione del primo. I presupposti per il perfezionamento

dell’usucapione richiedono accertamenti più complessi che solo il giudice di merito può

compiere;

in secondo luogo, perché eventuali dichiarazioni coincidenti rese dai due soggetti non

produrrebbero, in nessun caso, una fattispecie con effetti traslativi derivativi analoga alle

fattispecie enumerate nell’art. 2643 cod. civ. ma, tutt’al più, avrebbero effetti confessori che

potrebbero esser fatti valere in sede processuale;

in terzo luogo, e per mero tuziorismo, perché l’usucapione è titolo di acquisto originario e la

sentenza che l’accerta è regolata dall’art. 2651 cod. civ. in tema di pubblicità notizia e non

dall’art. 2643 cod. civ. che regola, invece, gli acquisti a titolo derivativo, non essendo idoneo

Page 23: Illegittimita' accertamento usucapione mediante accordo negoziale o conciliativo

il mero effetto preclusivo proprio dell’atto di riconoscimento a radicare una giusta causa di

trasferimento (37).

Marco Krogh

________________

1) Il Tribunale di Massa con ordinanza datata 2 febbraio 2012, di cui si farà cenno in seguito, ha ritenuto che la mediazione in materia di usucapione è ammissibile pur non facendo conseguire alle parti il medesimo risultato di una sentenza emessa dall’Autorità giudiziaria, in quanto l’accordo raggiunto in sede di conciliazione, comunque, consente un più rapida soluzione del giudizio successivo, la cui sentenza potrà essere trascritta ai sensi dell’art. 2651 cod. civ.

2) Ordinanza Tribunale Roma datata 22 luglio 2011 cron. 6563, ruolo generale 6188/2011, in Notariato, con nota di commento critica di C. Troisi, G. Satto, IPSOA, 2/2012, pag. 136 e segg. Cfr. anche il Tribunale di Terni con ordinanza dep. in cancelleria il 7 agosto 2012, cron. 1334, ha omologato un verbale di conciliazione contenente l’accertamento dell’usucapione, previa integrazione della documentazione al fine di verificare l’esistenza di soggetti terzi giuridicamente interessati alla situazione sostanziale dedotta in lite.

3) Sul punto è interessante anche la recente ordinanza del Tribunale di Genova del 18 novembre 2011 che ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010 e dell’art. 2653 n. 1 nella parte in cui non prevede la possibilità di trascrivere la domanda di mediazione e direttamente il verbale di conciliazione nelle controversie sull’accertamento dei diritti reali.

4) Testualmente Trib. Como, Sez. distaccata di Cantù, Ordinanza del 2 febbraio 2012.

5) Testualmente Trib. di Palermo, Sez. distaccata di Bagheria, Ordinanza del 30 dicembre 2011. La questione sull’obbligatorietà del tentativo di mediazione ha perso rilevanza a seguito delle sentenza della Corte Costituzionale del 24 ottobre 2012, in corso di pubblicazione, che ha dichiarato la illegittimità, per eccesso di delega legislativa, delle norme che hanno introdotto la media-conciliazione nelle controversie civili e commerciali, nella parte in cui si prevede il carattere obbligatorio della mediazione.

6) Ex multis: Cass. 20 febbraio 1992 n. 2088, Cass; 19 marzo 1999 n. 2526; Cass 24 agosto 1990 n. 8660.

7) Contra: D. DALFINO, Note in tema di negozio di accertamento e trascrivibilità dell’accordo di conciliazione sull’intervenuta usucapione, in Judicium, Il processo civile in Italia e in Europa – Civil Procedure in Italy and Europe, rivista telematica al sito: www.judicium.it, 18 maggio 2012, il quale ritiene che un atto di accertamento dell’usucapione anche se non riconducibile allo schema della transazione realizza un interesse meritevole di tutela eliminando incertezza e risolvendo una lite. Inoltre, la mancanza delle reciproche concessioni, essenziale nella transazione, potrebbe essere sopperita con una controprestazione simbolica. Tale impostazione non è condivisibile in quanto nel nostro ordinamento la circolazione dei beni immobili è soggetta a regole ben precise ed inderogabili; come pacificamente ritenuto dalla S.C. (vedi rif. Nota 6) il negozio di accertamento di un diritto reale, la cui funzione è quella di rendere definitiva la situazione giuridica derivante dal rapporto preesistente eliminando gli elementi di incertezza, non ha alcun effetto traslativo, e, pertanto, per la regolamentazione della relativa situazione giuridica controversa, deve farsi capo, in ogni caso, alla fonte precettiva originaria, che ne costituisce il fondamento. In presenza di norme inderogabili è evidente che eventuali usi strumentali di schemi negoziali (quale la transazione) per ottenere un risultato vietato dalla legge incorrerebbe nella nullità di cui all’art. 1344 cod.civ., come contratto in frode alla legge.

8) Con sentenza del 24 ottobre 2012, in corso di pubblicazione, la Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione.

9) Estensori: E. FABIANI E M. LEO; conf. C. CALDERONI, M. LEO, V. RUBERTELLI, Autentica notarile e Pubblicità, in MANUALE DELLA MEDIAZIONE CIVILE COMMERCIALE, Il contributo del Notariato alla luce del d.lgs. 28/2010, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2012, pag. 375. Il Tribunale di Reggio Calabria con ordinanza del 29 dicembre 2010 ha rigettato il ricorso contro il rifiuto del conservatore dei RR.II. di trascrivere un verbale di conciliazione sul presupposto che il verbale di conciliazione non costituisce titolo idoneo alla trascrizione , non essendo assolutamente assimilabile ad una sentenza.

10) Sulle questioni di carattere generale, MANUALE DELLA MEDIAZIONE CIVILE COMMERCIALE, Il contributo del Notariato alla luce del d.lgs. 28/2010, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2012 e bibliografia ivi citata ; C. CALDERONI – A.V. CAPASSO – V. SESSANO Il procedimento di mediazione in generale, studio approvato dalla

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Commissione Mediazione del CNN in data 4 marzo 2011, M. BOVE, La conciliazione nel sistema dei mezzi di risoluzione delle controversie civili, in http://www.judicium.it/admin/saggi/212/Bove.pdf (attivo al 25 settembre 2011). Sulla distinzione tra verbale di conciliazione ed accordo di conciliazione, cfr. C. TROISI, G. SATTO, IPSOA, 2/2012, pag. 136 e segg. in Notariato, cit.

11) SANTORO PASSARELLI, Dottrine, pag. 177, C. FURNO, Accertamento convenzionale e confessione stragiudiziale, Firenze 1948, pag. 55 e 152 e ss.

12) 1Sull’effetto preclusivo dell’accertamento, distinto dall’effetto costitutivo e meramente dichiarativo, A. FALZEA,

Accertamento a) Teoria generale, in Enciclopedia del diritto, UTET, pag. 209. In tema di confessione stragiudiziale, prevale in dottrina (V. ANDRIOLI, voce Confessione (diritto processuale civile), in Novissimo Digesto Italiano, 1959 p. 22; C. FURNO, voce Confessione, in Enciclopedia del diritto, 1961, p. 908, L. DAMBROSIO, Il negozio di accertamento, Giuffré, 1996, pag. 163 e segg e la giurisprudenza (ex multis: Cass. civ. 17 gennaio 2003 n. 607, cass. civ. 3 giugno 1998 n. 5459, cass. 11 luglio 1975 n. 2757, cass. 28 marzo 1974 n. 850, Cass. 20 marzo 1972 n. 862) l’indirizzo che assegna valore non negoziale alla confessione stragiudiziale stessa, non essendo rilevante il cd. intenti confidenti, e producendo la dichiarazione confessoria resa i suoi effetti al di là delle intenzioni e della volontà del dichiarante stesso. Contra: M. GIORGIANNI, Voce Accertamento (negozio di), in Enciclopedia del diritto, UTET pag. 241. Sul punto anche G.A.M. TRIMARCHI, Atti ricognitivi di liberalità non donative nella prassi notarile, in I Quaderni della Fondazione del Notariato, Liberalità non donative e attività notarile, ed. Il Sole 24 Ore, n. 1/2008, pag. 166 e 167. il quale si sofferma sulla distinzione tra atto ricognitivo e negozio di accertamento, sulla diversità dei presupposti per l’uno e per l’altro e sulla diversità degli effetti prodotti; secondo l’Autore se la dichiarazione proviene dal beneficiario la stessa non potrà che avere valore negoziale se ed in quanto diretta a precludere una futura contestazione su un dato incerto, il suo valore sarà oltre che processuale anche sostanziale e dovrà, pertanto, avere tra i suoi presupposti anche l’esistenza del fatto. Sul negozio di accertamento e la sua rilevanza notarile cfr. G. BARALIS, Negozi accertativi in materia immobiliare, tipologia, eventuali limiti all’autonomia privata. Problemi di pubblicità immobiliare specie per il negozio che accerti l’usucapione. Usucapione “dichiarata” dal cedente ed atti dispositivi, Studio n. 176-2008/C, approvato dalla Comm. Studi civilistici del C.N.N.

13) L. D’AMBROSIO, Il negozio di accertamento, Università degli Studi di Milano, Studi di diritto privato, Giuffré Editore, 1996, pag. 34 e segg.

14) Ex multis: Cass. 20 febbraio 1992 n. 2088, Cass; 19 marzo 1999 n. 2526; Cass 24 agosto 1990 n. 8660.

15) Peraltro, non si ritiene ammissibile nemmeno un ricorso all’art. 1988 cod. civ. in tema di ricognizione di debito per ammettere un potere generale di ricognizione di qualunque posizione giuridica, trovando giustificazione la disposizione richiamata esclusivamente all’interno dei diritti di credito; cfr.: C.M DIENER, Il contratto in generale, ed. Giuffre, 2002, pag. 112; G. GABRIELLI, Il riconoscimento dell’altrui usucapione nel sistema tavolare, Atti del Convegno di studio sui problemi del Libro Fondiario, Tento 15-16 ottobre 1971, Tipografia Alcione, Trento, 1972, pag. 99 e 100, in cui si afferma che la dichiarazione dell’intervenuta usucapione altrui costituisca un riconoscimento titolato del diritto reale ad altri spettante; che,cioè, tale dichiarazione riconosca l’esistenza del diritto e contemporaneamente ne confessi il fatto costitutivo.

16) G. GABRIELLI, op e loc ult. cit.

17) S. RUPERTO, Usucapione (dir. vig.), in Enciclopedia del Diritto, XLV, Giuffré Editore, Milano, 1992, pag.1044 e segg. Critico sul punto A. CICU, L’”usucapio libertatis” nel progetto del nuovo codice, in Scritti minori di Antonio Cicu, vol. 2°, successioni e donazione – studi vari, in Seminario Giuridico della Università di Bologna, XLII, Giuffré Editore, Milano,1965, pag. 369

18) M.KROGH, Usucapio libertatis e retroattività degli effetti dell’usucapione, studio n.859-2008/C, approvato dalla Commissione Studi Civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato in data 4 marzo 2009.

19) Amplius: G. BARALIS, Negozi accertativi in materia immobiliare, …cit. ; M.KROGH, Usucapio libertatis e retroattività degli effetti dell’usucapione cit.

20) P. POLA, L’usucapione, Nuova Enciclopedia, Collana diretta da Paolo Cendon, CEDAM 2011, pag. 183; conf. Cass 8 giugno 1994 n. 5559, Cass. 8 settembre 2009 n. 19385.

21) Cass 12 novembre 1996 n. 9884 in Rivista del Notariato, 1998, pag. 995

22) Ex multis, da ultima: Cass. Sez. II, sentenza del 5 febbraio 2007, n. 2485 (Diff.) – Pres. Elefante – Rel. Triola.

23) F. TIERNO "Il controllo di legalità ai fini della trascrizione", relazione sul Il Decreto Legislativo n° 28/2010 - Profili applicativi, organizzata dalla SCUOLA DI NOTARIATO DELLO STRETTO SALVATORE PUGLIATTI in data 27 maggio 2011, inedita, in cui si afferma “Una prassi giudiziale, senz’altro di pregio, instaurata da molti Tribunali (tra i quali quelli di Messina e di Barcellona Pozzo di Gotto dei quali ho esperienza diretta), tuttavia, sottopone ad una rigorosa verifica la legittimazione passiva dell’usucapito, richiedendo all’attore di fornire la prova, a mezzo certificazione della competente Agenzia del Territorio, servizio di conservatoria del Registri Immobiliari, (o

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certificazione sostitutiva notarile), della titolarità formale del diritto controverso in capo al convenuto. Si tratta di una prassi virtuosa perché se è innegabile che l’usucapione rappresenta un acquisto a titolo originario, è altrettanto vero che il proprietario deve essere messo in condizione di poter eccepire eventuali vizi del possesso o eventuali atti interruttivi.La suddetta verifica trova motivazioni di ordine non civilistico, bensì processuale (verifica della legittimazione passiva che compete ex officio al giudice), ed, in quanto tale potrebbe sembrare che esuli dal controllo del Notaio. In realtà, a ben vedere, il verbale di conciliazione previsto dalla L. n. 28/2010 ha, a mio avviso, la natura di conciliazione stragiudiziale, e, pertanto, il presunto usucapiente che “concilia” acquista a titolo derivativo ed il suo acquisto rientra nell’ambito applicativo dell’art. 2650 c.c., in materia di trascrizione.”

24) Cfr. in tal senso, Trib. Como, Sez. distaccata di Cantù, Ordinanza del 2 febbraio 2012., Trib. di Palermo, Sez. distaccata di Bagheria, Ordinanza del 30 dicembre 2011, riportate nel secondo paragrafo.

25) Sul punto anche M. BOVE, La conciliazione nel sistema dei mezzi di risoluzione delle controversie civili, in http://www.judicium.it/admin/saggi/212/Bove.pdf (attivo al 25 settembre 2011) il quale osserva: «Se la lite può essere risolta sia mediante un negozio sia mediante una sentenza, solo questa è propriamente un atto di giustizia, con cui si ripartiscono il torto e la ragione, essendo invece quello solo un atto con cui le parti superano la lite, senza fissare torti e ragioni, ponendo una norma concreta che, a prescindere da quali fossero quei torti e quelle ragioni, risulta comunque al momento conveniente ossia rispondente ai loro interessi economici. Il codice civile prevede tipi contrattuali ed inoltre nell’art. 1322, comma 2°, c.c., dispone che i privati possono utilizzare il contratto, anche al di là dei “tipi” previsti dalla legge, solo se essi perseguono interessi meritevoli di tutela. Solo un atto con cui le parti superano la lite, senza fissare torti e ragioni, ponendo una norma concreta che, a prescindere da quali fossero quei torti e quelle ragioni, risulta comunque al momento conveniente ossia rispondente ai loro interessi economici. Quanto detto non esclude che la lite possa essere risolta autonomamente dalle parti senza le reciproche concessioni, di cui è cenno nell’art. 1965 cod. civ. nel definire il concetto di transazione, perché, se la soluzione della controversia giuridica rappresenta una causa contrattuale possibile, evidentemente nulla esclude che i privati possano giungere al risultato sia passando per quelle reciproche concessione sia evitandole. Senza voler approfondire una discorso che in fondo qui non interessa, tutto dipende da quanto si ritenga essenziale alla transazione l’elemento strutturale delle reciproche concessioni. Se si nega quella essenzialità, evidentemente un contratto come quello ipotizzato rientra pur sempre nel “tipo” transazione. Se, invece, si parte dal presupposto contrario, esso è pur sempre ammissibile nel sistema, non come una transazione, ma certo come un contratto atipico ai sensi dell’art. 1322, comma 2°, c.c., esprimendo esso pur sempre una causa meritevole di tutela, qual è appunto la soluzione della lite. Ed allora, in questo secondo caso, si potrà anche parlare convenzionalmente di un contratto “di accertamento”, come pur è accaduto, ma con l’avvertenza, almeno a mio parere, che qui di accertamento in senso tecnico-giuridico non vi è nulla.»

26) Sulle liberalità non negoziali ed il negozio configurativo cfr. V. CAREDDA, Donazioni indirette, in “I contratti gratuiti a cura di A. Palazzo e S. Mazzarese, UTET, 2008, pag.220 e segg. ; G. AMADIO, la nozione di liberalità non donativa nel codice, in I Quaderni della Fondazione del Notariato, Liberalità non donative e attività notarile, Il Sole 24 Ore, n. 1/2008, pag. 20. Sul negozio configurativo che caratterizzerebbe tale fattispecie cfr. G. PALERMO, Il contratto preliminare, CEDAM, 1991, 101 secondo detto negozio non obbliga, ma giustifica le attribuzioni che le parti poi eventualmente realizzino mediante esecuzione delle prestazioni. In tema di fortma del negozio configurativo. Cfr. L. GATT, , La liberalità, I, Giappichelli Editore, 2002, pag. 139 e seg. e pag. 142, nota 158. B. BIONDI, Le donazioni, in Trattato diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, Torino, 1961, pag. 1010 per il quale non si può contestare che anche un atto non negoziale possa esser compiuto donationis causa e dar luogo ad una donazione indiretta, di fronte alla formulazione dell’art. 809 c.c. che parla genericamente di atti.

27) V. CAREDDA, Donazioni indirette, cit. pag. 222.

28) Testualmente V. CAREDDA, Donazioni indirette, cit. pag. 223.

29) G. PETRELLI, L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione immobiliare, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009, pag. 348 e segg.; In senso contrario , M. BOVE, La conciliazione nel sistema dei mezzi di risoluzione delle controversie civili, in http://www.judicium.it/admin/saggi/212/Bove.pdf (attivo al 25 settembre 2011) il quale osserva: “Né certo si potrebbe dire che un potere di accertamento possa essere compreso nel potere di disporre delle situazioni giuridiche sostanziali, perché tra i due poteri non vi è un rapporto di meno a più, essendo il potere di accertare un aliud e non un minus rispetto al potere di disporre.”

30) Cass., 2° sez. civ. 3 febbraio 2005 n. 2161; Cass. 26 novembre 1999 n. 13184, in Il Diritto Fallimentare e delle società commerciali, 2000, pag. 1125. F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, 2, Milano,1993, pag. 240; R.

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NICOLÒ, La Trascrizione, I, 1973. M. D’ORAZI, Alienazione d’immobili acquistati per usucapione non accertata giudizialmente, in Rivista del Notariato, 2006, pag. 81 e segg.

31) in senso conforme G.BARALIS, Negozi accertativi in materia immobiliare, tipologia, eventuali limiti all’autonomia privata. Problemi di pubblicità immobiliare specie per il negozio che accerti l’usucapione. Usucapione “dichiarata” dal cedente ed atti dispositivi, Studio n. 176-2008/C, approvato dalla Comm. Studi civilistici del C.N.N., il quale osserva che l’accordo conciliativo se pubblicizzato sarebbe sostanzialmente suscettibile di ingenerare l’ingannevole convinzione dell’equivalenza dell’accertamento giudiziario. F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, 2, Milano,1993, pag. 451 – 452. Conf. Tribunale di Roma in data 22 luglio 2011 cron. 6563, ruolo generale 6188/2011 …

32) G. GALOTTA, Usucapione, verbale di conciliazione giudiziale, trascrivibilità, in ALTALEX, quotidiano d’informazione giuridica, consultabile sul sito http://www.altalex.com/index.php?idnot=46590 (attivo al 21 settembre 2011).

33) Sul punto diffusamente: G. BARALIS, op. cit., M. D’ORAZI, Alienazione d’immobili acquistati per usucapione non accertata giudizialmente, cit. pag. 81 e segg.

34) G. GABRIELLI, op. cit., pag. 102.

35) Cfr. Dizionario Giuridico del Notariato, voce Verbale di constatazione (est. G. CASU), Milano, 2006, 1081 ss. e risposta al quesito 295-2007/C dell’Ufficio Studi del CNN, est. P. LONGO Verbale di constatazione notarile; S. MILILOTTI, Verbali di constatazione e funzioni notarili, in Rivista del Notariato, 1989, pag. 582

36) Concorde sul punto, G. IACCARINO, Donazioni indirette …cit, pag. 34. In giurisprudenza, conf. Cass. 11 luglio 1996 n. 6313: «L’atto con cui il notaio riceva le dichiarazioni dei legittimari dirette a confermare espressamente le disposizioni testamentarie rese in forma orale dal de cujus, sulle premesse - dai medesimi dichiarate - dell’inesistenza di un testamento formale e della ripetuta, dettagliata e mai revocata volontà del defunto, espressa oralmente, circa la destinazione dei propri beni, non invade i compiti di accertamento riservati all’autorità giudiziaria, in ordine (nella specie) all’esistenza ed alla nullità del testamento nuncupativo nonché alla intervenuta realizzazione della fattispecie sanante prevista dall’art. 590 c.c., e non è quindi suscettibile di esser disciplinarmente sanzionato, ai sensi degli art. 1 e 138 legge notarile, atteso che la convalida non presuppone alcuna preventiva attività di accertamento circa la nullità delle disposizioni convalidate (né, peraltro, preclude un tale accertamento, da parte dell’autorità giudiziaria in caso di successiva contestazione), e tenuto altresì conto che la fede privilegiata propria dell’atto notarile non si estende al contenuto della dichiarazione di convalida, rispetto al quale non è quindi configurabile alcuna attività di accertamento da parte del notaio» (conf., Trib. Modena 27 settembre 2002); contra, Trib. Bergamo 7 novembre 1994, in Notariato, 1996, 3, 247 e segg., con nota di G. CELESTE, relativamente ad un atto di conferma di un testamento numcupativo.

37) Cfr. la giurisprudenza cit. nel 2° paragrafo.

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