Ilcinquantaduepercento. I vissuti della sessualità maschile

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Questa ricerca prende spunto dalle recenti campagne di sensibilizzazione in campo medico-sanitario che hanno evidenziato alcune problematiche peculiari del genere maschile. In particolare una ricerca dell’ISPO afferma che: “Il 52% degli uomini con più di 40 anni soffre di problemi di erezione: stress, stanchezza, ansia da prestazione…” Viviamo in un tempo in cui radicali cambiamenti nel processo procreativo iniziati nel secolo scorso, hanno modificato il rapporto tra sessualità e procreazione e di conseguenza hanno creato uno stravolgimento nei ruoli, sia nella donna, sia nell’uomo. L’autore ripercorre, attraverso dati statistici, antropologici e culturali, l’evoluzione del genere maschile, formulando ipotesi circa le cause di una indiscussa crisi di genere. Gli assunti teorici di riferimento che sostengono questa ricerca sono riconducibili alla Psicoanalisi freudiana, alla Psicologia Analitica junghiana, all’Analisi Mentale del Prof. Majore ed infine la Psichiatria Antropologica

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Giorgio Carnevale

IlcinquantaduepercentoI vissuti della sessualità maschile

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Prima Edizione: 2015

ISBN 9788898037957© 2015 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare

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INDICE

Prefazione (di Volfango Lusetti)

Introduzione

Maschi contro femmine o femmine contro maschi?Il CollettivoLa formazione dell’Identità e il CollettivoIl Collettivo, la procreazione e il cambiamentoL’evoluzione della sessualità nell’essere umanoLe certezze perdute del maschio modernoL’evaporazione della paternitàIl vuoto e la trappola del ViagraAlla ricerca di una nuova identità

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PREFAZIONE

Questo importante ed ambizioso lavoro di Giorgio Carnevale parte da un problema che già in sé sarebbe di assoluto rilievo: quello dei possibili “perché” della clamorosa crisi dell’identità maschile che indubbiamente oggi si registra, almeno nelle so-cietà occidentali contemporanee.

Esso però si allarga, subito dopo, a tematiche ancora più com-plesse e profonde, che una tale “crisi maschile” possono sicu-ramente aiutare ad inquadrare, ma che vanno ben oltre di essa: quale sia la direzione presa dall’evoluzione biologica e culturale della nostra specie, in particolare nell’ultimo secolo; quale sia il signifi cato e la peculiarità della sessualità umana in rapporto a tale evoluzione; quale sia il senso più generale della vita nel contesto del “dramma” che da sempre vede contrapporsi, ed allo stesso tempo giocare in sinergia (in tutte le specie, ma nell’uomo più che in qualunque altro animale!), l’individuo ed il collettivo; quale sia il ruolo giocato nella storia umana dalle attitudini pre-datorie e carnivore degli esseri viventi in rapporto a quelle fru-givore; quale sia il vero signifi cato dello straordinario sviluppo intellettivo della nostra specie; quale sia il senso e la necessità della monogamia e di quella che oggi conosciamo come “fami-glia patriarcale”; ecc. ecc.

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Insomma l’autore, in netta controtendenza con il chiacchie-riccio superfi ciale e banalmente semplifi catorio o “edifi cante” che su queste tematiche va oggi per la maggiore, sceglie di “ap-profondire” e lo fa in maniera addirittura drastica: riportando le coordinate culturali ed “individuali” del problema dell’“identità maschile”, essenzialmente, alla biologia, alla sua peculiare “sto-ria” ed alle sue ineludibili determinazioni collettive (concetto, quest’ultimo, bene espresso nelle dense pagine da lui appunto dedicate al tema d’origine junghiana del “collettivo”).

Molte delle tematiche sopra citate, com’è ovvio (specie in un lavoro magistralmente sintetico come questo), sono solo sfi orate e talora solo “richiamate”, ma nell’insieme appaiono delinea-te con una tale chiarezza da presentarsi come immediatamente comprensibili nel contesto di quella che ci pare essere (semplifi -cando un poco) la tesi di fondo dell’autore: si tratta dell’ipotesi che il mutamento dell’identità maschile (in sé contestuale al mu-tamento di quella femminile ed al cammino dell’intero genere umano, cosa che l’autore sottolinea ripetutamente e che molti tendono a dimenticare) sia dovuto, essenzialmente, al crollo del-la mortalità infantile nella nostra specie, ed al correlativo mutare ed alleggerirsi del ruolo di accudimento femminile della prole (la donna ha meno necessità di accudire i fi gli poiché essi sono divenuti meno vulnerabili), nonché di quello maschile, fi nora consacrato ad una protezione “esterna”, di durata medio-lunga, da esercitare nei confronti del proprio nucleo familiare.

Carnevale, insomma, sagacemente identifi ca la ragione prin-cipale dei mutamenti in atto nei costumi sessuali della nostra specie in un fenomeno ben conosciuto, ma largamente sottova-lutato, quale il crollo della mortalità infantile, ed apre un discor-so, anzi una vasta rifl essione, sulle “cause” e le conseguenze di esso.

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I mutamenti suddetti poi, secondo l’autore, a parte le loro al-tre molteplici implicazioni, incidono su due aspetti dell’identità maschile i quali proprio in ragione di essi sono particolarmente vulnerabili, almeno se posti a confronto con quelli appartenenti all’identità femminile:

1. l’auto-identifi cazione con la propria attività lavorativa, la quale in un contesto di minori necessità di protezione del nucleo familiare diviene per l’uomo molto più diffi cile e precaria, ed anche meno valorizzata socialmente;

2. l’auto-identifi cazione con la propria “virilità”, poiché è ovvio che una donna la quale necessiti di minore protezio-ne (e che ormai goda, per di più, dei potenti ausili bio-tec-nologici per la riproduzione oggi disponibili), è portata a vedere una tale virilità in termini assai meno drammatici di prima, ed anzi a considerarla quasi “interscambiabile” con quella di altri uomini (o, il che è lo stesso quanto agli effetti ultimi, con le potenzialità riproduttive offerte dalle tecnologie medesime!).

Questa tesi di fondo, cui si può certo aderire (parzialmente o “in toto”) oppure no, ha comunque il pregio di legare indissolu-bilmente le coordinate più superfi ciali ed immediatamente per-cepibili del problema “perdita dell’identità maschile” a quelle più nascoste, complesse e profonde, costringendoci in ogni caso a rifl ettere.

Essa, peraltro, ci induce a sospettare qualcosa cui per la verità l’autore non fa un esplicito riferimento, anche se vi allude: si può infatti formulare l’ipotesi che a causa delle minori respon-sabilità, nei confronti della sopravvivenza della prole, oggi at-tribuibili non solo e non tanto alla donna (la quale da un siffatto oggettivo “sgravio” ha ottenuto principalmente un aumento del proprio potere e delle proprie potenzialità di espressione in tutti

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i sensi) ma anche e soprattutto all’uomo (sempre più emarginato nell’allevamento e nell’educazione della prole), stia emergendo a poco a poco una sorta di rinnovato “assetto matriarcale” dei rapporti sociali; ovvero, un assetto tale che in esso il “padre” ed i “fi gli”, in quanto categorie in diversa maniera “non responsabi-li” (o rese in qualche modo tali), siano portati a confl uire sempre di più in un’unica dimensione psicologica, rispetto alla quale la donna sta rapidamente conquistando (o forse, riconquistando?) un ruolo egemone: quello d’un accudimento e/o d’un compito di “scelta per la vita e per la morte”, svolto per conto di tutta la specie.

L’idea della possibile esistenza, nell’antichità, d’una cultura matriarcale con caratteristiche similari a quelle sopra accennate, come Giorgio Carnevale fa correttamente notare parlando della famiglia monogamica di tipo patriarcale, è sempre stata rifi uta-ta, malgrado i numerosi indizi a suo favore, dalla maggior parte degli studiosi di tutte le discipline, i quali nel loro insieme hanno preferito pensare che l’evoluzione umana sia stata assolutamen-te lineare, dai primordi ad oggi: essa dunque avrebbe contempla-to un sistema-famiglia monogamico, nato praticamente insieme con la nostra specie, allo scopo di meglio sostentare una prole a lungo immatura e dipendente nonché di difenderla dai predatori esterni; questo sistema-famiglia, poi, sarebbe stato sostenuto sin dall’inizio da un assetto culturale sostanzialmente patriarcale.

In un simile “modello”, però, ci sono un paio di cose che non sono perfettamente chiare:

a) anzitutto, i membri individuali dei gruppi umani primitivi attuali non tendono per nulla a difendersi dai predatori

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esterni al gruppo stesso “in ordine sparso” o “per nuclei familiari” (come il modello suddetto esigerebbe) bensì all’unisono: per quanto riguarda gli animali essi lo fan-no tramite una caccia di gruppo che coinvolge l’intera popolazione maschile giovanile della tribù, e per quanto riguarda i predatori umani lo fanno attraverso crudeli e “collettive” guerre di sterminio e/o di asservimento di un gruppo sull’altro, per cui non si vede proprio quale par-ticolare vantaggio nel senso della “protezione” avrebbe potuto offrire, specie verso i predatori “umani”, una fa-miglia monogamica; infatti, laddove tali predatori fossero stati numerosi ed “esterni” al gruppo una tale famiglia, ovviamente, sarebbe risultata impotente ad affrontarli. Lo sarebbe stata molto meno, peraltro, di fronte ad aggres-sioni individuali e provenienti dall’“interno” del gruppo medesimo, come nel caso in cui la predazione sull’in-fanzia fosse stata prevalentemente d’origine umana, an-tichissima ed endemica alla specie: però in questo caso occorrerebbe immaginare un tragitto verso la monogamia assai più lungo e tormentato di quello immaginato dalla maggioranza dagli studiosi, ovvero un percorso nel quale l’elemento predatorio (presumibilmente il maschio) aves-se avuto per lo meno il tempo di essere “addomesticato” dalla femmina e da essa indotto ad assumere un ruolo “ma-ritale” (circa quest’ultima possibilità si veda più oltre).

b) Quanto poi al sostentamento materiale d’una prole a lun-go dipendente, compito al quale la famiglia monogamica è indubbiamente molto più adatta rispetto ad altre forme di accudimento, si è certamente trattato d’un problema oggettivo: tuttavia non è affatto chiaro se la peculiare

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dipendenza genitori-fi gli sia nata, nella nostra specie, di colpo e come evento “casuale”, ed abbia dunque determi-nato come sua conseguenza “lineare” la necessità d’una famiglia monogamica, o se si sia invece sviluppata a poco a poco per alcune precise cause ambientali (“in primis”, ad esempio, l’insorgere d’una sessualità femminile peren-ne che proteggendo i fi gli dai predatori permetteva loro di restare a lungo accanto alle madri, come vedremo fra poco); insomma, è possibile che la famiglia monogami-ca sia stata solo una delle possibili “risposte” offerte dal-la specie al misterioso problema-dipendenza ed alle sue enigmatiche cause “prime”, e che essa sia stata anche una risposta piuttosto tardiva.

Sulla sessualità perenne, caratteristica “unica” della nostra specie, esistono numerose ipotesi, ma quella che ci appare più convincente, anche estrapolando dal comportamento di alcuni primati (si vedano in proposito le ricerche della primatologa Sa-rah Hrdy e di altri), è che essa si sia formata in funzione essen-zialmente antipredatoria: in poche parole, la femmina avrebbe “rabbonito” il maschio ed inibito la sua aggressività verso gli altri maschi, nonché nei confronti della propria prole, sempli-cemente “offrendogli in cambio della rinuncia alla predazione una disponibilità sessuale perenne”, quindi disinnescando sia i combattimenti rituali (spesso cruenti) fra i maschi stessi in occa-sione dell’estro, sia, soprattutto, le aggressioni maschili contro quei piccoli che circondavano la femmina e che fatalmente ren-devano quest’ultima meno disponibile all’accoppiamento. Ma un simile “disinnesco sessuale” del comportamento predatorio maschile in relazione alla prole non può non aver determina-to, come effetto, l’implementarsi nel tempo della presenza dei

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piccoli attorno alle madri, e per tale via, della loro dipendenza da esse, quindi della loro prolungata “immaturità”, delle loro inusuali caratteristiche “neoteniche” (l’uomo è forse l’animale più neotenico che si conosca, ossia quello nel quale lo sviluppo post-natale e post-puberale è più prolungato), del loro sviluppo intellettivo, ecc. ecc.

Insomma, il primo decisivo “calo della mortalità infantile” della storia umana (nonché la prima consistente “perdita di po-tere” da parte del sesso maschile), unitamente alla “nascita della dipendenza” dei fi gli dalle madri, al crescere del loro potenzia-le intellettivo ed al correlativo crescere del “potere femminile” sulla prole, forse si produssero, nell’insieme, proprio in virtù dell’abolizione dell’estro femminile, dell’insorgere nella nostra specie della sessualità perenne e della conseguente protezione accordata dalle madri stesse, per il tramite di tale sessualità pe-renne, a dei piccoli in precedenza sovra-esposti alla predazione maschile, e dunque presumibilmente oggetto di sistematica stra-ge.

È peraltro da notare che, nel caso in cui quest’ipotesi fosse veritiera, sarebbe stato l’aumento del potere femminile sul ma-schio (a sua volta conseguente all’implementazione della ses-sualità della donna ed al suo potere “pacifi cante”) a determinare, insieme con la nascita della dipendenza madri-fi gli, un calo della mortalità infantile, e non già, viceversa, il calo della mortalità infantile ad implementare indirettamente il potere della donna nonché a determinare il decremento del potere maschile, come sembra avvenire nell’epoca attuale.

Tuttavia, in base a quanto sopra, un nesso profondo fra “po-tere femminile” e “decremento della mortalità infantile” sembra comunque esistere ed essere stato, nel corso dei tempi, una vera

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e propria “costante” della nostra evoluzione.

Come preciso effetto della nascita della dipendenza e del conseguente prolungarsi dello sviluppo infantile sotto la tutela e la protezione delle madri, poi (lo si è già in parte specifi cato a proposito della “neotenia”), si produsse anche una spettacolare implementazione dell’intelligenza, per cui si può tranquillamen-te affermare, come l’autore del resto ricorda nel suo libro, che l’uomo, tramite l’anello intermedio della dipendenza, è divenuto intelligente in quanto primariamente predatorio (ossia, per di-fendersi meglio dalla predazione, in particolare quella di esseri a lui simili) e non certo il contrario, come affermano invece credi religiosi quale quello cristiano, imperniati su un malinteso con-cetto di “libero arbitrio” e di “libera scelta del bene e del male”.

Ma se le cose andarono davvero così, oltre che osservare il totale vanifi carsi dell’ipotesi d’una “primarietà”, sin dall’alba dello sviluppo umano, della famiglia monogamica di tipo pa-triarcale, siamo autorizzati a presumere che per una lunghissima fase di tale sviluppo la femmina abbia detenuto nelle sue mani un potere decisamente superiore a quello del maschio: un vero e proprio “potere di vita e di morte” posto a salvaguardia della specie, ed esercitato sia sulla prole (scegliendo di volta in vol-ta quale membri di essa sacrifi care, ad esempio alla predazione maschile, e quali far sopravvivere) sia sui partner maschili (at-traverso un vero e proprio meccanismo di scelta del partner che si rivelava più “idoneo” vuoi a procreare che a proteggere la prole procreata).

In defi nitiva è possibile, anzi secondo noi è più che probabi-le, che la famiglia monogamica e “patriarcale” che oggi cono-sciamo, sia nata in una fase relativamente tardiva dello sviluppo

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della nostra specie: precisamente, essa potrebbe essere nata pro-prio quando un precedente modello matriarcale di selezione del-la prole (e di scelta femminile, all’interno d’un comportamento sessuale fortemente promiscuo, del partner maschile più “ido-neo” alla sua procreazione e sopravvivenza), era ormai entrato in crisi, forse in ragione della frequente scelta, da parte delle femmine, dei maschi più giovani, delle conseguenti tensioni in-cestuose nonché dei confl itti “edipici” che un simile modello generava, in specie fra i maschi delle diverse generazioni, ed in defi nitiva della minor coesione dei “gruppi matriarcali” nell’am-bito del confronto con gli altri gruppi.

In occasione d’una tale crisi del modello matriarcale, poi, un “patto inter-maschile di non aggressione”, ovvero un “patto in-ter-generazionale fra maschi”, con vaghe venature omosessuali ed anti-femminili, potrebbe aver fondato quel patriarcato e quel-la famiglia monogamica che le religioni monoteistiche (ed an-che il “senso comune scientifi co” attuale) vedono invece come “naturali ed originari dell’uomo”. In occasione di tale “patto inter-maschile”, infi ne, potrebbe essere stato istituito anche il tabù dell’incesto, ovvero un autentico “deterrente anti-sessuale ed anti-materno” volto alla protezione, allo stesso tempo, della saldezza del potere maschile dai confl itti edipici fra “padri” e “fi gli”, e del libero sviluppo dei fi gli dalle infl uenze materne tese ad asservirli.

Di conseguenza, anche la dipendenza genitori-fi gli, insieme con le sue positive implicazioni sullo sviluppo cognitivo, più che essere “originaria” potrebbe essersi sviluppata a poco a poco: dapprima al riparo delle madri e del gruppo (fase matriar-cale nella quale i piccoli poterono effettuare, dopo la nascita, un primo ingente sviluppo psico-fi sico a carattere “neotenico”),

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poi in ragione dell’affermarsi della famiglia monogamica di tipo patriarcale e della conseguente possibilità, per i piccoli, di svi-lupparsi ancora più a lungo appoggiandosi quasi in permanenza a delle fi gure genitoriali di ambo i sessi (ad esempio effettuando, in virtù dell’insorgere d’un tabù dell’incesto che li “riparava” dall’infl uenza sessuale materna, un secondo sviluppo neotenico, il quale poteva a questo punto essere perseguito anche dopo il raggiungimento d’una maturità sessuale che nella nostra specie, com’è noto, precede di ben sei-sette anni il termine dello svilup-po psicofi sico).

In conclusione, si può affermare che il dato di fatto, giusta-mente molto sottolineato dall’autore, d’un preciso rapporto fra depauperamento dell’attuale ruolo dominante maschile da un lato, e declino della mortalità infantile (e crescita del potere fem-minile!) dall’altro lato, è suggestivamente confermato dall’ipo-tesi della possibile esistenza, in un lontano passato, d’una cultura matriarcale la quale, grazie all’uso della sessualità perenne, oltre che abbattere una mortalità infantile che derivava in quel caso dalla predazione maschile sulla prole, deprivò il sesso maschile medesimo di buona parte del suo precedente potere sul gruppo.

Il saggio di Giorgio Carnevale, nel suo “costringere” il lettore a prendere in esame determinati fatti e concetti i quali sono di grande importanza, ai fi ni teorici, per lo studio del rapporto fra i sessi, ed anche nel suo farlo con un linguaggio esemplarmente sobrio, nitido e comprensibile, rappresenta a nostro avviso uno dei contributi più belli, profondi ed interessanti su questo tema che siano usciti, nell’ambito della pubblicistica sia italiana che internazionale, negli ultimi anni.

Volfango Lusetti (Psichiatra e Psicoterapeuta)

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INTRODUZIONE

Di recente è comparsa sui media una campagna di sensibi-lizzazione riguardo al problema della disfunzione erettile negli uomini.

Così recita: “Il 52% degli uomini con più di 40 anni soffre di problemi di

erezione: stress, stanchezza, ansia da prestazione. E il maschio fa fl op.

Secondo una ricerca dell’ISPO le giustifi cazioni più ricor-renti per chi fa cilecca sono lo stress della vita quotidiana (52%) e la mancata intesa con la partner (27%). Qualcuno parla an-che di alcol e cattiva alimentazione.

Il problema è che spesso gli uomini tendono a minimizzare o negare il problema, come se non parlarne bastasse a risolverlo. Basta scuse!”

Questa è la recente campagna d’informazione che propone visite gratuite con l’intento di aiutare gli uomini a sbarazzarsi di tabù e problemi sessuali.

Sulla scia di questa ricerca, altre ne sono state fatte e oggi sulla rete ne trova svariate.

Medesimo discorso, in altri paesi europei, dove altri istituti di ricerca hanno sondato e misurato l’ampiezza del problema.

Nonostante tutti considerino alla base di questo tipo di di-

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sturbi aspetti psicologici, è rarissimo incontrare rifl essioni che indaghino sulla psicologia maschile, nel tentativo di tracciare un profi lo attuale del maschio moderno.

È ovvio che dietro i vari messaggi ci siano anche interessi economici, ma nello stesso tempo è altrettanto evidente che il problema esiste.

In linea generale sono piuttosto diffi dente nei confronti delle ricerche che hanno un target mediatico e comunque trovo piutto-sto riduttivo ricondurre un disturbo di questo tipo a un generico stress, stanchezza, ansia da prestazione, ecc.

Una confusione tra luoghi comuni, sindromi e patologie, un rovesciamento tra causa ed effetto, al solo scopo di stupire con parole e concetti che hanno inevitabilmente una presa importan-te in ogni individuo che ha avuto, magari occasionalmente, un problema di questo tipo.

In considerazione del fatto che la raccolta dei dati è fatta at-traverso un’intervista più o meno strutturata, credo che il pro-blema interessi molti più uomini del 52% citato, in quanto una dichiarazione di impotenza, se pur parziale, da parte di un uomo è sempre una cosa che si tende ad evitare.

Ma la cosa più importante e preoccupante è rappresentata dal fatto che il problema coinvolge anche i giovani, che tristemente si vedono prescrivere Viagra o Charles, a vent’anni!

Prendendo spunto da questa ricerca e considerando che al di là dei numeri, il problema esiste, cercherò di sviscerare quelle che a mio avviso possono essere le cause delle problematiche riguardanti la sessualità maschile.

Ritengo che quando la sfera sessuale incontra problemi di questa portata, è ragionevole pensare che rappresentino il sinto-

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mo di un disagio ben più profondo dell’aspetto più esterno.Ciò mi ha spinto a un’indagine sulla storia dell’uomo e sul

come la sessualità e l’interdipendenza con il processo procrea-tivo, sia profondamente cambiata all’incirca negli ultimi cento anni.

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MASCHI CONTRO FEMMINE O FEMMINE CONTRO MASCHI?

Vi è una chiara tendenza, nel defi nire l’evoluzione di un uomo o di una donna, a metterli in contrapposizione l’uno ri-spetto all’altro.

Seguendo questa impostazione ogni cambiamento signifi ca-tivo del maschio, viene analizzato e poi spiegato osservando un cambiamento avvenuto nella femmina. E viceversa.

Questa contrapposizione riscuote particolare successo, in quanto alimenta una certa tensione dialettica, ma più che altro crea degli schieramenti, delle contrapposizioni che assomigliano molto a quelle delle tifoserie calcistiche, o quanto osserviamo nei vari talk show.

Partiamo dal presupposto che tra un uomo e una donna esisto-no differenze sostanziali e che queste differenze sono una risorsa inesauribile per la specie umana.

Ne “Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere”, John Gray parte dal concetto, su cui poggia tutta la sua opera, che gli uomini e le donne siano profondamente differenti; l’autore for-nisce un’infi nità di spunti, regole, consigli ecc, promettendo che queste porteranno felicità e amore nella coppia.

Riconosco il fascino e l’astuzia dell’autore, ma francamente sono rimasto piuttosto deluso dalla lettura. L’ho trovata molto

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riduttiva nella sua meccanicità. È indubbio che la premessa che sottolinea la diversità è un concetto in cui mi riconosco e penso sia importante partire proprio da questo.

Molto spesso questa diversità diviene motivo di critiche e de-nigrazioni degli uni rispetto agli altri. Le caratteristiche distinti-ve di un uomo dovrebbero cambiare perché sbagliate. Analogo discorso viene fatto nei confronti delle donne. Ma le caratteristi-che distintive degli uni e degli altri sono appunto distintive. Nel momento che si esercita una pressione nel modifi carle si compie un oltraggio alla diversità. Pensare a un uomo senza le caratte-ristiche che lo distinguono da una donna, o al contrario a una donna senza le caratteristiche che la distinguono da un uomo, signifi ca pensare ad un individuo astratto, privo di una identità e quindi incapace di vivere.

Ma nella realtà, per fortuna, il tentativo di annullare queste differenze svanisce in quanto la biologia è la base della vita, ed è questa che stabilisce le differenze tra un uomo e una donna.

Un uomo e una donna si cercano, s’incontrano, fanno l’a-more, proprio perché attraverso tutto questo, incontrano quella parte di sé che possono incontrare solo nell’altro.

Secondo C.G. Jung, l'«anima» rappresenta la personalità fem-minile presente nell’inconscio dell'uomo mentre l'«animus» rap-presenta la controparte maschile dell'anima nell’inconscio di una donna. Le relazioni amorose sono rappresentabili come un gioco di proiezioni reciproche.

In due parole, un uomo si completa con una donna e una don-na con un uomo e solo insieme possono generare vita.

Ma questo bisogno di completarsi genera, quando più quando meno, dipendenza che a sua volta crea il bisogno di fuggire dal partner per salvaguardare la propria autonomia.

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Non ha senso, dunque, pensare che gli uomini odino le don-ne, o al contrario le donne gli uomini. Ma questo tipo di con-trapposizione trova particolare successo, in quanto permette di trasferire sul proprio partner le responsabilità delle proprie de-bolezze, avvilendo quelle che sono le caratteristiche distintive di ciascun sesso.

A scopo riassuntivo e anche ludico, espongo una lista di titoli, che magari in modo tragicomico, nascono dal bisogno di avvili-re le diversità dell’uno rispetto all’altro:

- Come diventare bella, ricca e stronza. Istruzioni per l'uso degli uomini;

- Uomini che odiano le donne;- Donne che odiano gli uomini;- Uomini e donne (mal si sposano);- 101 motivi per cui le donne ragionano con il cervello e gli

uomini con il pisello;- Perché gli uomini sono stronzi e le donne rompicoglioni?- Il mondo alla rovescia. Il potere delle donne visto dagli

uomini;- Dimmi, dammi, fammi. Uomini stracciati dalle donne;- Donne forti, deboli con gli uomini forti

La denigrazione delle differenze va ricercata nella paura del bisogno dell’altro e quindi nella dipendenza dall’altro, piuttosto che nel reale bisogno di cambiarlo.

Quando un uomo o una donna dice al proprio partner: “così non va, non sei gentile, non mi ami abbastanza, pensi

solo alle tue cose, sei un egoista, non capisci niente, non sei abbastanza intelligente, o cambi o ti lascio, ecc.”, sta evidente-mente comunicando un disagio.

Ma nella maggior parte dei casi, questo disagio non è deter-

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minato da quello che si dice ma, come sottolineavo in preceden-za, dalla dipendenza che si vive all’interno della coppia, che può arrivare, in alcuni casi, ad un livello tossico e quindi nocivo.

Ognuno è quello che è, nel bene e nel male, e molto spesso l’attrazione verso l’altro è legata proprio a quelle caratteristiche che lo contraddistinguono.

Inoltre bisogna anche considerare che questa diversità è il risultato di un’evoluzione, di continui cambiamenti che hanno agito in modo diverso nell’uomo e nella donna.

Non sono gli uomini che cambiano le donne e specularmente, non sono le donne a cambiare gli uomini. Ma questi cambiamen-ti sono il risultato di un’evoluzione di tutto il genere umano.

Dobbiamo sempre mantenere sullo sfondo dei nostri pensieri e ragionamenti più o meno scientifi ci, che gli esseri umani sono in primo luogo una specie animale: da questo concetto non si può prescindere.

Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma e que-sto mi pare possa essere un assunto più che condivisibile.

Certo, siamo una specie evoluta, sotto tutti gli aspetti, ma nel nostro DNA sono inscritte le regole della vita e della morte, esat-tamente come in un qualunque altro essere vivente.

Sottolineo questo concetto, perché quando mi avvicino ad una problematica che riguarda un uomo o una donna, tengo sempre nella mia memoria degli appunti questo e cerco di non farmi ingannare dal gioco delle contrapposizioni: maschi contro femmine o femmine contro maschi.

Tutti osserviamo un cambiamento profondo sia negli uomini sia nelle donne ma in realtà il cambiamento dovremmo defi nirlo come un cambiamento bio-culturale della specie uomo.

Non dobbiamo mai dimenticare, quindi, che siamo il risulta-to di un complesso percorso evolutivo che attraverso milioni di

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anni ci ha condotto dove oggi siamo.

Recentemente abbiamo conosciuto una fase importante in cui le donne si sono organizzate e, contrapponendosi al genere maschile, hanno iniziato una sorta di rivoluzione di genere per approdare a un maggiore riconoscimento dei loro bisogni e delle loro aspettative.

Senza nulla togliere al valore del movimento femminista, va rilevato che tale movimento è nato in primo luogo nei paesi del primo mondo e si è sviluppato in quanto in questi paesi il benes-sere generale e altri fattori che approfondirò in seguito, hanno creato possibilità e opportunità impensabili appena un centinaio di anni fa.

Oggi, al contrario, si è creata un’attenzione maggiore nei confronti degli uomini, in quanto a vari livelli, sociale, politico, giuridico, ecc, ci si è resi conto che in molte situazioni, l’uomo viene messo tra parentesi. Ci stiamo accorgendo, di conseguen-za, che oltre agli aspetti materiali, esistono una serie di aspetti che interessano equilibri importanti che riguardano non solo il maschio, ma vanno ad interessare la sfera relazionale e genito-riale.

Mi riferisco principalmente alle numerosissime separazioni, in cui spesso un uomo si trova in diffi coltà a esercitare la propria paternità per vari motivi, che nascono inizialmente da problemi pratici e proseguono sul versante educativo, mettendo in discus-sione il ruolo genitoriale.

È evidente che i fi gli hanno bisogno di una madre e di un pa-dre che possano esercitare il rispettivo ruolo genitoriale.

Nel 2006, proprio per accogliere l’esigenza di dare una geni-torialità più equilibrata, viene stabilito l’affi damento condiviso:

“Anche in caso di separazione personale dei genitori il fi glio

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minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e con-tinuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti signifi cativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

Ma nonostante la giurisprudenza si sia adoperata per riequili-brare i ruoli genitoriali nelle condizioni di separazione, la situa-zione oggi non è quasi mai in equilibrio.

I motivi, come vedremo, non riguardano fattori pratici ma in-vestono profondamente la sfera psicologica e quindi relazionale, sia dell’uomo sia della donna.

Ma come succede spesso, si è creata e si sta rafforzando una contrapposizione che appassiona gli uni e gli altri, ma che ha depresso ogni forma di confronto e di analisi delle reali proble-matiche.

Credo che questa specie di gioco mediatico abbia poco senso e più che altro non porti da nessuna parte.

Per questo motivo il mio contributo non sarà di schieramen-to e tanto meno di arbitrato, ma andrà nella direzione della co-noscenza e dell’analisi di alcuni cambiamenti cruciali, avvenuti orientativamente negli ultimi cento anni, che hanno creato quel disagio maschile evidenziato nella ricerca dell’ISPO.

Per fare questo, in una prima parte, esporrò alcuni concetti te-orici che rimarranno sullo sfondo di questo lavoro, ma necessari affi nché si comprenda il mio pensiero.

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