Il viaggio degli schiavi (Alex)

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IL VIAGGIO DEGLI SCHIAVI

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IL VIAGGIO DEGLI

SCHIAVI

A partire dal XV secolo, dodici milioni di Africani sono stati deportati nelle Americhe e i sopravvissuti al viaggio venduti come schiavi. Con l’espressione «tratta degli schiavi» si indica un commercio di uomini ridotti in schiavitù. Gli schiavi erano considerati una delle merci comunemente trattate nei commerci internazionali.

I negrieri, mercanti di schiavi, erano considerati al pari di qualsiasi altro commerciante di spezie o altra merce. Anzi erano considerati con maggior rispetto perché erano imprenditori di successo e disponevano di molto denaro: quanto ce ne voleva per allestire una nave, impegnarsi in lunghi viaggi e coprire rischi di eventuali naufragi.

La «tratta degli schiavi» era da sempre praticata dagli Arabi, quindi anche gli europei pensarono di partecipare a questo affare, ritenendo inoltre che portando gli Africani in un mondo civilizzato, offrissero loro la possibilità di convertirsi al Cristianesimo. Gli Africani strappati dalle loro terre cominciarono a considerare gli europei come dei malvagi.

Le navi negriere arrivavano sulla costa occidentale dell’Africa attorno al Golfo di Guinea, che fu chiamato Golfo degli schiavi. Qui i mercanti offrivano ai re locali alcolici, armi, polvere da sparo, lana e cotone, i re Africani in cambio vendevano loro uomini e donne, che erano stati catturati precedentemente.

Al loro sbarco il comandante della nave era ricevuto dallo Yovogan, responsabile dei commerci con i bianchi. Le trattative tra i negrieri e i re Africani erano lunghe e difficili, anche perché i re sapevano he i mercanti di schiavi erano tanti e in feroce concorrenza tra loro.

Le traversate atlantiche delle navi degli schiavi, tramite normali navi mercantili, avvenivano in condizioni disumane. Nelle stive erano ammucchiati più di seicento schiavi, il 50% in più di quanto la nave potesse contenere. Appena saliti i deportati erano denudati e rasati per limitare il diffondersi dei pidocchi.

Le stive, generalmente molto basse d’altezza, costringevano gli schiavi a stare accucciati o addirittura sdraiati. Venivano fatti salire sul ponte due volte alla settimana per essere lavati con energici spruzzi d’acqua, mentre il taglio dei capelli avveniva ogni quindici giorni.

Gli uomini erano incatenati a coppie con cavigliere di ferro ed erano marchiati a fuoco sul petto e sulle spalle. Dovevano restare nella stiva, che era areata solo da aperture laterali della nave. Venivano portati sul ponte due volte al giorno se le condizioni atmosferiche lo consentivano per mangiare e bere.

Le donne, solitamente un centinaio a viaggio, erano a prua, sotto la cabina degli ufficiali e in uno spazio molto stretto, ma comunque con maggior libertà di movimento. Anche i membri dell’equipaggio faticavano a vivere in spazi ridotti e dormivano a turno sulle amache collocate sul ponte della nave.

Circa il 20% dei deportati moriva durante la traversata. La causa principale era lo scorbuto, malattia dovuta alla scarsa alimentazione e alla mancanza di vitamina C. Qualche volta, uno schiavo eludeva la vigilanza e si buttava in acqua dalla disperazione. I mercanti avevano l’interesse a non perdere troppi schiavi, perciò cercavano di far durare il viaggio meno di due mesi e di variare l’alimentazione, anche se l’acqua potabile era il problema principale.

Di notte gli schiavi erano chiusi ed incatenati all’interno delle stive. Il pericolo di rivolte era sempre maggiore con il passare dei giorni. Esse si verificavano la mattina all’apertura dei boccaporti, dopo che gli schiavi erano riusciti a togliersi le catene durante la notte. La maggior parte delle ribellioni falliva rapidamente, e se una aveva successo, la nave in genere andava alla deriva.

Prima di sbarcare in America le navi venivano messe in quarantena, cioè fermate al largo del porto per quaranta giorni, in modo da avere la certezza che non vi fossero epidemie a bordo. In quel periodo gli schiavi venivano resi il più possibile «presentabili» ai futuri acquirenti, venivano nutriti, cosparsi di olio e controllate le loro effettive condizioni di salute dal medico di bordo.

Una volta sbarcati, gli schiavi venivano offerti all’asta ai migliori offerenti, ciascuno di essi veniva messo su un tavolo in modo da essere visto da tutti. Dopo essere stato acquistato lo schiavo veniva marchiato a fuoco con le iniziali del suo nuovo padrone, gli veniva dato un nuovo nome ed era condotto nella piantagione, dove avrebbe lavorato per il resto dei suoi giorni.

Gli schiavi Africani erano destinati alle grandi piantagioni di zucchero, caffè e tabacco nell’America del Sud, o alle piantagioni di cotone nella parte meridionale dell’America del Nord. Nel Sud America gli schiavi vivendo insieme conservarono la loro identità culturale. Nell’America del Nord, essendo divisi tra tanti piccoli proprietari, con il tempo formarono un’etnia afro-americana che mescolava caratteri africani e caratteri del mondo dei coloni.

Questo sistema veniva chiamato «commercio triangolare» perché coinvolgeva su una rotta triangolare l’Europa, l’Africa occidentale e l’America orientale. La tratta degli schiavi era l’attività più redditizia per un mercante del Seicento e dei secoli successivi. Le merci che essi davano ai re Africani in cambio degli schiavi valevano pochissimo, mentre i ricavi delle vendite erano anche 2000 volte superiori ai costi sostenuti.

Le merci destinate all’Europa erano beni di lusso molto richiesti dai ricchi Europei del tempo: zucchero, caffè, cioccolata, cotone e soprattutto l’indaco, un colorante vegetale che aveva grande successo in Europa. Il trasporto di queste merci fruttava molto denaro ai negrieri, aggiungendosi ai guadagni già realizzati con il commercio umano.

FINEdi Alexandro