Il Vento - Monografia 72 - Passio Christi, passio homini

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UNA RIVISTA SUI TEMPI FORTI DELLO SPIRITO Sped. in A.P. Art. 2 Comma 20/c Legge 662/96 - Filiale di Torino Primavera 2010 Tiratura inferiore a 20.000 copie -  Fondato nel febbraio del 1988” Anno XXIII - N° 2 L’immagine della Santa Sindone (qui posta accanto al suo negativo fotografico), misteriosa per la scienza e “sfida per l’intelligenza” – come l’ha definita Giovanni Paolo II – rappresenta per i credenti un rimando diretto e immediato, che aiuta a comprendere e meditare la drammatica realtà della Passione di Gesù Cristo. Dal 10 aprile al 23 maggio, sarà esposta nel Duomo d i Torino (ser vizio a pag. 6 e 7). Piccola Rivista di Spiritualità Giovanile FEDERAZIONE ITALIANA ESERCIZI SPIRITUALI  Passio Christi,  passio homini Monografia 72 Questa iniziativa editoriale è una collaborazione Nichelino Comunità, Accoglienza Nikodemo, FIES

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UNA RIVISTA SUI TEMPI FORTI DELLO SPIRITOSped. in A.P. Art. 2 Comma 20/c Legge 662/96 - Filiale di Torino Primavera 2010Tiratura inferiore a 20.000 copie - “ Fondato nel febbraio del 1988” Anno XXIII - N° 2

L’immagine della Santa Sindone (qui posta accanto al suo negativo fotografico), misteriosa per la scienza e “sfida per l’intelligenzcome l’ha definita Giovanni Paolo II – rappresenta per i credenti un rimando diretto e immediato, che aiuta a comprendere e meditardrammatica realtà della Passione di Gesù Cristo. Dal 10 aprile al 23 maggio, sarà esposta nel Duomo di Torino (servizio a pag. 6 e 7).

Piccola Rivistadi Spiritualità Giovanile

FEDERAZIONE ITALIANAESERCIZI SPIRITUALI

Passio Christi, passio homini

Monografia 72

Questa iniziativa editoriale è una collaborazioneNichelino Comunità, Accoglienza Nikodemo, FIES

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Editoriale

diante la preghiera, i sacramenti ele opere di carità, si opera quellatrasformazione del cuore chechiamiamo conversione. E che‘caricandoci’ di bene, ci ammettea prender parte della gioia di Dio.

Una comunione che sfama

Guardando con questa am-piezza di senso la salvezza

che Gesù offre a ciascuno di noi, èfacile rendersi conto di quali ri-sposte sia capace di recare alla no-stra vita.

Diciamolo chiaramente: il van-gelo risponde alla nostra fame disenso, di assoluto, di infinito, mo-strandoci che apparteniamo ad unsogno più grande e coinvolgentela nostra felicità; risponde alla no-stra fame di amore, di speranza,di futuro, mostrandoci che l’oriz-zonte in cui siamo inseriti è piùgrande di ciò che si vede, si misu-ra si tocca e si compra. Cristo vie-ne incontro alla nostra sete di giu-stizia e misericordia; al nostro de-siderio di qualcosa che si elevi aldi sopra del grezzume della bana-lità (e) del male. Risponde al no-stro anelito di qualcosa di ‘spiri-tuale’, che sappia parlare il lin-guaggio dei valori: perché hannoancora senso parole quali bontà,onore, eroismo, generosità, corag-gio, nobiltà del cuore.

La grazia di Cristo porta panealla nostra fame di vita, piena evera, non mortificata da parole

superficiali o sentenze definitive;fame di purezza, che significa:armonia, slancio, ordine, bellez-za; fame di felicità, che ha un vol-to che comprende il nostro (sia-mo invitati ad essere amici delSignore); fame di essere capiti,amati, cercati, attesi, e non per-ché produttivi ma perché siamoquello che siamo; fame dunquedi forza, nel sapere che la nostradebolezza può diventare, permezzo della grazia, un veicolodel bene.

Come è facile vedere, non sitratta semplicemente di una ri-sposta sociale a problemi di con-vivenza, quasi che la salvezza siriducesse ad essere sinonimo diuna pur necessaria emancipazio-ne, ma di qualcosa di molto piùradicale, di qualcosa che appar-tiene, abbracciandolo, al cuorestesso della vita e della personaumana.

Una conclusione aperta

Scrutare con questa profonditàl’esperienza cristiana, porta a

rendersi conto che la fede non si ri-duce ad un fatto culturale. Tantomeno ad un insieme di (nobili)idee capaci, come nel calcio, di po-larizzare energie per azioni appas-sionate ma sterili. È invece, benpiù profondamente, un’amiciziaviva con il Cristo risorto, che mo-stra il senso della vita, donando laforza (e il sorriso) per poterla go-

dere nel bene. Si chiama amore.Sapersi familiari di Dio, attesi,

custoditi nel suo cuore, e promos-si – mediante il dono della grazia– nei nostri tentativi arruffati magenerosi di compiere il bene, offreil dono prezioso di scoprirsi uo-mini e figli. Riconoscere infineche il fondale della redenzione è

la creazione, in una coinvolgente,libera evoluzione dell’amore, nonpuò che essere la più bella intro-duzione al paradiso. Verso il qua-le, talora sospirando acutamente:«Mi manchi…!», con fiducia e co-raggio camminiamo.

don Fabrizio Ferrero

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Cristo: quale risposta?

Alcuni anni fa, quando pre-se l’avvio l’iniziativa del“Progetto Culturale”, per

le vie di Roma apparve su alcunimanifesti una scritta: «CRISTO ÈLA RISPOSTA!». Qualche buon-tempone, ad uno di questi aggiun-se: «GIÀ, MA QUAL ERA LADOMANDA?». Battuta irriveren-te, senza dubbio. Ma anche indica-tiva, a stilare qualche innocuo son-daggio, di un certo logorio: unadifficoltà – per dirla tutta – nel de-clinare per l’esistenza umana, pri-ma ancora che nel particolare divissuti personali, una realtà comela salvezza.

Lo dico fin da subito: per diven-tare cristiani testimoni, discepoli enon solo ambiguamente ‘credenti’(lo sono anche i demoni! vedi: Mc5,1-20), occorre aver fatto l’espe-rienza in prima persona di un in-contro decisivo e liberante con ilSignore. Occorre – per usare le pa-role di S. Paolo – poter arrivare aconfessare che Gesù è il Cristo del-la propria vita, che «ha dato sestesso per me» (Gal 2,20).

Ma non meno importante, per ilmaturare di una fede che si vogliacapace di permeare la vita nel suoinsieme, è acquisire la consapevo-lezza della portata positiva di quel-l’affermazione: imparando cioè ariconoscere in Cristo il pavimentodelle proprie decisioni, l’orizzontedelle proprie speranze, il cielo deipropri sogni, soprattutto : le ali del

proprio impegno. E saperne spie-gare il perché. Ripetere che la sal-vezza è dal peccato, dalla morte edal male, e limitarsi a questo, si-gnificherebbe attestarsi sulla so-glia del regno di Dio (per cuiCristo si è speso) col rischio di nonentrarvi: riconoscendo – questo sì– le porte aperte per grazia, masenza avere il coraggio di oltrepas-sarle con fiducia e letizia.

In principio, la vita

Il problema, in parte, è culturale.Quella in effetti che noi chiamia-

mo “salvezza” (in greco: σωτηρια,soterìa), aveva in origine un conte-nuto più ampio degli angusti li-

miti in cui la teologia occidentale,per certi aspetti, l’ha compresso.La realtà veicolata da quella paro-la, infatti, faceva appello a due si-tuazioni: il pericolo da cui trarred’impaccio e la salute. Agli estre-mi della minaccia da cui scapparee della prosperità di cui godere,era sottesa una serie di significatiintermedi legati alla profonda ve-rità di una semplice constatazio-ne: un naufrago si salva… perchéviva!

Se per un verso, dunque, la sal-vezza poteva essere concepita co-me liberazione (o per usare unvocabolario tipico del gergo com-merciale: come ‘riscatto’ o ‘re-denzione’), per altro verso si sa-peva pienamente espressa nelleparole della cura: proteggere,amare, promuovere, condivide-re, appassionare. Un’unica realtà,in altri termini, capace di offrirsiallo sguardo come una fotografiae il suo negativo: scampo dal ma-le (il negativo) e pienezza di vita(la salvezza vista nello splendoredei suoi colori).

È in effetti su questo sfondo cheva compresa quell’affermazione

del Vangelo secondo Giovanniche costituisce un po’ il bigliettoda visita di Gesù: «Sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in(sovr)abbondanza» (Gv 10,10). Ed èancora sullo sfondo di un intensoe positivo amore per la vita, intutte le sue sfumature, che i primicristiani hanno presentato la sal-vezza con una sorprendente maaffascinante multiformità di espe-rienze. Ne mostro di seguito alcu-ni esempi, meditati a lungo conun amico ormai in cielo, donFranco Ardusso, tratti dalle pagi-ne del Nuovo Testamento: «Cristosalva dal peccato, dalla legge, dallamorte e dalle tenebre; trasforma l’uo-mo in nuova creatura, lo fa figlio tra-mite il dono dello Spirito; gli comu-nica la vita eterna e la libertà; parte-cipa agli uomini l’amore del Padre,dal quale nessuno li potrà mai sepa-rare; dona pace, gioia, consolazione,capacità di operare ilbene, forza pervincere le tentazioni, speranza nellarisurrezione e nella vittoria sull’ulti-mo nemico, la morte; prepara un po-sto in cielo e rende partecipi gli uomi-ni della divina natura; abbatte il mu-ro di divisione fra ebrei e gentili [i pa-

gani, gli altri], riconcilia e rende ca- paci di perdonare. Pur essendo antici- pata in questa vita come caparra, lasalvezza definitivamente compiuta,inglobante l’intera creazione, è attesa per il giorno in cui “Dio sarà tutto intutti” ».

Un incontro trasformante

Di fronte a tale ricchezza disenso e varietà di espressio-

ni, ai ragazzi mostro che il centroda cui tutto si diparte è la relazio-ne di grazia con il Signore.Propongo, di solito, l’immaginedella salvezza come una porta adue ante: l’una il perdono, l’altraun abbraccio. Entrambe sono ilfrutto della volontà di Dio di ren-dere partecipe ogni uomo dellaSua vita felice: questo è il cuore ditutto. Prender parte alla Sua bontà è quella che si chiama ‘co-munione’, che nella Messa si rea-lizza come mistero. Il motivo fon-damentale è che la salvezza non èun ‘cosa’, ma una relazione con il bene, con la persona dell’Amore.Nell’incontro personale conGesù, dunque, che si attua me-

Mi manchi...Editoriale

Spunti per approfondire:• GIORGIOGOZZELINO , «Paradiso» e GUIDOGATTI , «Salvezza religiosa

e salvezza profana» in: AA.VV., Dizionario dei temi della fede, SEI,Torino 1977, pp. 297-303 e 393-400;

• FRANCOARDUSSO , «La salvezza dell’uomo nella teologia cattolica:percorso storico e prospettive attuali» in: ID, La fede provata,Effatà, Cantalupa (TO) 2006, pp. 395-417;

• OLEGARIOGONZALESDE CARDEDAL , Cristologia, cap. IX: “Lamissione. Il mediatore della salvezza”, San Paolo, CiniselloBalsamo 2004 [2001], pp. 477- 559;

• BERNARD SESBOÜÉ , Gesù Cristo l’unico mediatore. Saggio sullaredenzione e la salvezza, vol. 1: «Problematica e riletturadottrinale», Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1990 [1988];

• LEO SCHEFFCZYK , RUDOLFAFFEMANN , GISBERTGRESHAKE , NORBERTLOHFINK , JOHANN BAPTISTMETZ , JOSEFMOLLER , JOSEPHRATZINGER ,RUDOLF SCHNACKENBURG , Redenzione ed emancipazione,Queriniana (GdT 88), Brescia 1975 [1973];

• LUISLADARIA , Gesù Cristo salvezza di tutti, EDB, Bologna 2009[2007];

• PIEROBALESTRO , Tutta la nostra voglia d’amore, San Paolo, CiniselloBalsamo 1998;

• LUIGIALICI , La via della speranza. Tracce di futuro possibile, AVE,Roma 2006.

La salvezza come senso, per un’introduzione al paradiso

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Il Cristo

volta esemplificando con parabo-le; fa conoscere, attraverso se stes-so, il volto di Dio, ci presenta perla prima volta quel Dio fino a quelmomento così distante dall’uomoda non poter mai essere visto, né

immaginato, né addirittura pro-nunciato. Un Dio che da padronediventa anche benefattore, mae-stro, amico, padre. Grazie a Gesù,la relazione con Dio non è solo piùuna relazione di incompresa sotto-missione nei confronti di un pa-drone e/o di interessato aiuto nelmomento del bisogno: divental’occasione di una relazione piùprofonda. Il paralitico chiede dipoter camminare, e Gesù gli svelaanche il male del peccato; la sama-ritana chiede l’acqua del pozzo eGesù le svela l’acqua che zampillaper la vita eterna; il cieco chiede divedere, e Gesù gli fa il dono dellafede. Nell’incontro con Gesù sipuò incominciare chiedendo dellecose materiali e arrivare a scoprire

che Dio propone alla sua creaturamolto di più, un’alleanza di amore:dal pane materiale al Pane eucari-stico. Duemila anni fa come oggi.

Gesù ci presenta Dio come il

maestro al quale chiedere co-me vivere la propria vita. Comedissero gli apostoli: “Tu solo haiparole di vita eterna”. In quantomaestro, Gesù svela alla sua crea-tura il mistero della vita, l’amorecome vocazione naturale dell’uo-mo, l’amore come la legge della vi-ta. Gesù è l’amore fattosi carne, ein questa veste umana continuaad insegnare con le parole e con lavita cos’è l’amore e come si deveamare. La sua vita è la sorgente e ilmodello di ogni amore, anche diquello coniugale e familiare.

Gesù presenta ai suoi discepolidi duemila anni fa il volto di

Dio come amico. L’amico entranella vita dell’amico per vivere in

una certa misura la vita in comu-nione con lui: presuppone atten-zione, amore, dedizione, com-prensione; presuppone che unoporti dentro di sé la vita dell’altro,dopo averla capita. Si capisce

Gesù attraverso la sua parola me-ditata, contemplata, e soprattuttoattraverso i suoi Sacramenti, chesono i luoghi di incontro con lui.

Ecome Padre, Gesù insegna al-l’uomo la vera natura di Dio:

da questa consapevolezza l’uomopuò finalmente considerare l’altrocome suo fratello, e stabilire conlui un rapporto di vera fiducia e benevolenza.

Aduemila anni di distanza,Gesù lascia un’enorme ere-

dità: lascia uno stile di vita da imi-tare, una traduzione della parola“Dio” in molteplici versioni,ognuna vera e ognuna attuale.Continua a lasciare se stesso vivo

attraverso i suoi sacramenti, i suoiinsegnamenti attraverso laChiesa… Insomma: Gesù ancoravive ed insegna all’uomo dei gior-ni nostri. Gesù regala all’uomoche lo vuole seguire ciò che regala

agli sposi il giorno del loro matri-monio: la capacità di amare comeLui ci ama. Direi che possiamoconsiderarla una bella eredità!

Gesù è ancora una figura at-tuale: controversa, discussa,

a volte incompresa. Ma può dav-vero dire molto alla gente dei no-stri tempi, così diversa ma anchecosì uguale a quella della sinago-ga di Nazareth di duemila annifa. E come allora, noi oggi ascol-tiamo la sua parola e osserviamoattraverso Lui il volto di Dio: se-guendo Gesù arriviamo al Padre.A me, un Dio così, piace.

Federico Ferrero

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Una riflessione suGesù nei giorni nostri

Il brano di vangelo che ho avu-to modo di ascoltare durante lamessa di domenica 24 gennaio

2010 è forse uno dei più famosi:Gesù, tornato a Nazareth dopoaver predicato in Galilea, viene in-vitato nella sinagoga a leggere i ro-toli del profeta Isaia, nei quali vie-ne annunciata la profezia della ve-nuta del Cristo… Gesù concludedicendo: “Oggi si avvera per voiche mi ascoltate questa profe-zia…”. Come ha avuto modo dicommentare il sacerdote durantel’omelia, la scena che segue è ab- bastanza emblematica: la gente,specialmente gli anziani, in unpaese piccolo come Nazareth, do-ve tutti si conoscono e dove le sor-prese scatenano la curiosità gene-rale, si interroga sulle origini diGesù: “Non è lui il figlio diGiuseppe?” Il borgo è piccolo e lagente mormora, e le persone sistupiscono di questo falegnameun po’ sui generis, che all’età dicirca trent’anni, dopo aver fattosuccesso fuori dal paesello gua-rendo e predicando, torna in pa-tria affermando cose quasi un po’ blasfeme. Come è possibile che unuomo noto fino ad allora come unsemplice falegname, nemmeno“sistemato” come un tempo eraprevisto per la gente della sua età,possa fare certe affermazioni di si-mile spessore? Non è forse solo unfalegname, appunto?

Questo succedeva duemila an-ni fa a Nazareth: una sorta di

collettiva incredulità nei confrontidi Gesù in quanto vero Dio. Unaverità che sicuramente anche aigiorni nostri risulta non facile dacomprendere, quasi appunto unmistero. Ma un mistero che, sep-pur trascende l’uomo, certamentenon lo spaventa, anzi lo aiuta, locirconda, lo sostiene: in una paro-la, diventa fonte di vita per lui.

Sono un mistero, quindi, la na-tura di Gesù, la sua stessa vita,

talvolta i suoi insegnamenti, la suamorale. Specialmente quest’ulti-ma, così controversa, così dibattu-ta, così difesa e così osteggiata,specialmente ai giorni nostri. Inuna società in cui il confine tra ciò

che è giusto e ciò che è male è sta-to ormai cancellato o nascosto, gliinsegnamenti di Gesù sembranoun po’ fuori luogo, scomodi, “vec-chi”: chi ci crede ancora? Se untempo la morale cristiana venivaosservata, laddove non capita, an-che solo per rispetto, per venera-zione, per timore…, oggi il pre-sunto senso di libertà del nostro ioonnipotente sembra aver spode-stato il primato dell’etica cristianae degli insegnamenti della chiesa:e allora, chi ci crede più? Oggi, co-me duemila anni fa…

Mi piace pensare che si possaarrivare a capire il cristia-

nesimo partendo direttamentedalla figura di Gesù, prima anco-ra che dalla sua morale: più teo-logia che etica, volendo riassu-mere il concetto come in uno slo-gan … E allora vediamo questafigura un po’ controversa diGesù: come ha vissuto duemilaanni fa? Com’è stata la sua vita e

come paragonarla a quella di unuomo dei giorni nostri?

Sempre come ha commentato ilsacerdote nell’omelia di quella

domenica, Gesù ci ha salvato in tregiorni, ha predicato e annunciatoil Vangelo in tre anni, ma nellaquotidianità dei trent’anni prece-denti ha preparato la sua missio-ne: nella quotidianità si è formatala sua persona, nell’amore dellasua famiglia si è formato l’uomoche successivamente ha intrapresoil suo cammino di salvezza. Comediceva Giovanni Paolo II: siamotutti chiamati alla santità, nella no-stra quotidianità, facendo bene ilnostro dovere, nella famiglia, al la-voro, con gli amici, nello studio.Così è cresciuto Gesù, così dobbia-mo vivere noi per essere santi.Guardando al Cristo, dunque, aduemila anni di distanza, guardia-mo innanzitutto ad una personache ha vissuto giorno per giorno bene la sua vita: non l’ha sprecata,

non l’ha rifiutata, l’ha vissuta nel-l’umiltà e nell’intraprendenza;l’ha vissuta nell’obbedienza e nelrispetto, senza per questo ritrovar-si alla fine stanco o deluso diquanto fatto. Come c’è scritto nelVangelo, Gesù cresceva, progredi-va in sapienza, ubbidiva volentie-ri ai suoi genitori: un esempio divita, prima di tanta morale, per chivuole raggiungere la propria san-tità nella vita di tutti i giorni.

Certo, questo è un primo passo:la figura di Gesù non si ferma

ai suoi primi trent’anni, anche sequesta fase ha rappresentato laparte più lunga, quasi le fonda-menta per affrontare la missionepiù difficile… Ed è un po’ quelloche oggi potremmo imparare ap-punto da Gesù: costruire la casasulla roccia, con solide basi.

Gesù inizia quindi a predicare:annuncia il Regno di Dio, tal-

volta in modi un po’ difficili, tal-

“La gente chi dice che io sia?”

Il Cristo

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La Sindone

molti dubbi sull’ipotesi di un fal-so medievale, sostenuto da alcu-ni storici, e nello stesso tempo at-trasse gli scienziati per capirequale potesse essere l’origine diun così particolare fenomeno. Daallora è trascorso oltre un secoloe la ricerca scientifica sullaSindone ha fatto passi da gigan-te, raggiungendo conoscenze al-lora impensabili, ma ciò nono-stante fermandosi di fronte aproblemi che per il momento re-stano ancora non risolti.

Nessuno scienziato è ancorariuscito a riprodurre un'immagineidentica a quella raffigurata sullaSindone, nonostante le numeroseteorie proposte e i molti tentativisperimentali effettuati.

Ciò naturalmente contribuisceda un lato ad accentuare il misteroche da sempre caratterizza l'im-magine sindonica, dall'altro a sti-molare sempre nuovo interesse daparte degli studiosi e degli scien-ziati in ogni settore di ricerca.Ecco alcuni dei risultati più rilevanti:

1) I prelievi di un campione ditessuto e di granuli di polline dipiante fiorifere effettuati nel1973 hanno permesso di poter ri-tenere altamente probabile lapermanenza prolungata dellaSindone, oltre che in Europa, an-che nelle regioni palestinese edanatolica, a causa del ritrova-mento su di essa di pollini pro-venienti da specie caratteristichedi tali zone. Recentemente gli

israeliani Danin e Baruch hannoindividuato sul lenzuolo le trac-ce di alcune piante della zona diGerusalemme. La presenza dellaSindone in questi luoghi è in ac-cordo con le ipotesi degli storici.

2) Lo studio di campioni prele-vati dalle cosiddette “zone ema-tiche” della Sindone consentì didimostrare, nel 1978, che si trattarealmente di sangue umano digruppo AB.

3) Nello stesso anno venne accer-tata l'assoluta mancanza sul len-zuolo di pigmenti e coloranti, di-mostrando tra l'altro che l'imma-gine corporea è assente al di sot-

to delle macchie ematiche (edunque si è formata successiva-mente ad esse) e che è dovuta adun'ossidazione disidratante del-la cellulosa delle fibre superficia-li del tessuto avvenuta tramiteun processo di formazione anco-ra ignoto e certamente non do-vuto all'uso di mezzi artificiali.

4) Attraverso l’elaborazione elet-tronica delle fotografie dell'im-magine sindonica, si scoprì cheessa contiene in sé caratteristichetridimensionali non possedutené da dipinti né da normali foto-grafie e vennero messi in eviden-za numerosi particolari altrimen-ti non visibili, come, ad esempio,le tracce sulla palpebra destra la-sciate da un oggetto molto proba- bilmente identificabile, in base allapresenza di ben precisi caratteri,con una moneta romana coniatanella prima metà del I secolo d.C.

5) Nel 1988 furono prelevati dal-la Sindone dei campioni di tessu-

to per sottoporli alla datazionecon il metodo del radiocarbonio,che diede come risultato una da-ta di origine del tessuto compre-sa tra il 1260 e il 1390 d.C. Questesono tuttora oggetto di un ampiodibattito tra gli studiosi circa l'at-tendibilità dell'uso del metododel radiocarbonio per datare unoggetto con caratteristiche stori-che e chimico-fisiche così pecu-liari come la Sindone. Alcunistudi sperimentali hanno ulte-riormente riaperto il dibattitoscientifico sulla datazione deltessuto, fornendo risultati chesembrano provare una possibilenon trascurabile contaminazionechimica e biologica del tessuto

sindonico. Non bisogna dimenti-care infatti che sulla Sindone so-no stati ritrovati pollini, ife espore; che il tessuto durante l'in-cendio patito a Chambéry è statosottoposto ad una temperaturasufficiente a fondere un angolodella cassa d'argento che lo con-teneva ed è stato imbevuto del-l'acqua usata per spegnere il fuo-co, che è stato esposto per lunghiperiodi sia all'ambiente esternoche in ambienti chiusi saturi delfumo delle candele e che ha subi-to altre vicissitudini varie (uncronista del XVI secolo raccontaaddirittura che la Sindone fu bol-lita nell'olio). Si tratta pertanto divalutare l'attendibilità della da-tazione con il C14 effettuata suun reperto così particolare comela Sindone, tenendo conto che laletteratura scientifica è ricca dicasi clamorosi di datazioni erratea causa di contaminazioni e dialtri fattori imprevedibili ed ine-liminabili.

La Sindone per i credenti

Giovanni Paolo II ha defi-nito la Sindone “provo-cazione all'intelligenza”.

Nell’omelia pronunciata il 24maggio del 1998, ha ricordatoche la Chiesa non ha competen-za specifica per pronunciarsisul rapporto tra il sacro Lino ela vicenda storica di Gesù, maaffida agli scienziati il compitodi continuare l’analisi scientifi-

ca sul Lenzuolo. Ciò che è im-portante per il credente è che laSindone è “specchio delVangelo”. Queste le parole delSanto Padre:«Se si riflette sul sa-cro Lino, non si può prescinderedalla considerazione che l'immagi-ne in esso presente ha un rapportocosì profondo con quanto i Vangeliraccontano della passione e mortedi Gesù che ogni uomo sensibile sisente interiormente toccato e com-mosso nel contemplarla. Chi ad es-sa si avvicina è, altresì, consapevo-le che la Sindone non arresta in sé il cuore della gente, ma rimanda aColui al cui servizio laProvvidenza amorosa del Padrel'ha posta. Pertanto, è giusto nu-

trire la consapevolezza della pre-ziosità di questa immagine, che

tutti vedono e nessuno per ora puòspiegare. Per ogni persona pensosaessa è motivo di riflessioni profon-de, che possono giungere a coinvol- gere la vita. La Sindone costituiscecosì un segno veramente singolareche rimanda a Gesù, la Parola veradel Padre, ed invita a modellare la propria esistenza su quella di Coluiche ha dato se stesso per noi. NellaSindone si riflette l'immagine del-la sofferenza umana. Essa ricordaall'uomo moderno, spesso distrattodal benessere e dalle conquiste tec-nologiche, il dramma di tanti fra-telli, e lo invita ad interrogarsi sulmistero del dolore per approfondir-ne le cause. L'impronta del corpomartoriato del Crocifisso, testimo-niando la tremenda capacità del-l'uomo di procurare dolore e morteai suoi simili, si pone come l'iconadella sofferenza dell'innocente ditutti i tempi: delle innumerevolitragedie che hanno segnato la sto-ria passata, e dei drammi che con-tinuano a consumarsi nel mondo.Davanti alla Sindone, come non pensare ai milioni di uomini chemuoiono di fame, agli orrori perpe-trati nelle tante guerre che insan- guinano le Nazioni, allo sfrutta-mento brutale di donne e bambini,ai milioni di esseri umani che vivo-no di stenti e di umiliazioni aimargini delle metropoli, special-mente nei Paesi in via di sviluppo?Come non ricordare con smarri-mento e pietà quanti non possono godere degli elementari diritti civili,le vittime della tortura e del terrori-smo, gli schiavi di organizzazionicriminali? Evocando tali drammati-che situazioni, la Sindone non soloci spinge ad uscire dal nostro egoi-smo, ma ci porta a scoprire il miste-ro del dolore che, santificato dal sa-crificio di Cristo, genera salvezza per l'intera umanità.»

Il Vento

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Nella primavera del 2010(dal 10 aprile al 23maggio), a 10 anni

dall’Ostensione del Giubileo, laSindone sarà nuovamente espo-sta nel Duomo di Torino, dove lasi potrà vedere per la prima vol-ta dopo l’intervento per la con-servazione a cui è stata sottopo-sta nel 2002. Con l’aiuto dellaampia documentazione disponi- bile sul sito web www.sindone.org,a cura della diocesi di Torino, pro-viamo a capirne di più…

La Sindone – cos’è?

La Sindone è un lenzuolo di li-no tessuto a spina di pesce

delle dimensioni di circa m. 4,41x 1,13, contenente la doppia im-magine accostata per il capo delcadavere di un uomo decedutoin seguito ad una serie di tortureculminate con la crocefissione.L'immagine è contornata da duelinee nere strinate e da una seriedi lacune: sono i danni dovuti al-l'incendio avvenuto a Chambérynel 1532.

Secondo la tradizione si trattadel Lenzuolo citato nei Vangeliche servì per avvolgere il corpodi Gesù nel sepolcro. Questa tra-dizione, anche se ha trovato nu-merosi riscontri dalle indaginiscientifiche sul Lenzuolo, nonpuò ancora dirsi definitivamenteprovata. Certamente invece laSindone, per le caratteristichedella sua impronta, rappresenta

un rimando diretto e immediatoche aiuta a comprendere e medi-tare la drammatica realtà dellaPassione di Gesù. Per questo ilPapa l’ha definita “specchio delVangelo”

La storia

Atutt’oggi le prime testimo-nianze documentarie sicure

e irrefutabili relative allaSindone di Torino datano allametà del XIV secolo, quandoGeoffroy de Charny, valorosocavaliere e uomo di profonda fe-de, depose il Lenzuolo nella chiesada lui fondata nel 1353 nel suo feu-do di Lirey in Francia, non lontanoda Troyes. Nel corso della primametà del ‘400, a causa dell’acuirsidella Guerra dei cento anni,Marguerite de Charny ritirò laSindone dalla chiesa di Lirey(1418) e la portò con sé nel suo pe-regrinare attraverso l’Europa.Finalmente ella trovò accoglienzapresso la corte dei duchi di Savoia,alla quale erano stati legati sia suopadre sia il secondo marito,Umbert de La Roche. Fu in quellasituazione che avvenne, nel 1453,il trasferimento della Sindone aiSavoia, nell’ambito di una serie diatti giuridici intercorsi tra il ducaLudovico e Marguerite.

A partire dal 1471, Amedeo IX ilBeato, figlio di Ludovico, incomin-ciò ad abbellire e ingrandire lacappella del castello di Chambéry,capitale del Ducato, in previsionedi una futura sistemazione dellaSindone.

Dopo una iniziale collocazionenella chiesa dei francescani, laSindone venne definitivamente ri-posta nella Sainte-Chapelle duSaint-Suaire. Il 4 dicembre 1532 un

incendio devastò la Sainte-Chapelle e il Lenzuolo fu danneg-giato dal metallo fuso della teca incui era custodito. Le gocce incan-descenti avevano creato una seriedi fori simmetrici (il lenzuolo era

conservato ripiegato). Nel 1534 leClarisse di Chambéry lo avevanoriparato, sovrapponendo sullaSindone pezze di lino triangolari ecucite su una fodera di lino (chia-mata Telo d'Olanda), applicataper rendere più robusto l'insieme.

Emanuele Filiberto trasferì defi-nitivamente la Sindone a Torinonel 1578. Il Lenzuolo giunse incittà il 14 settembre di quell’anno,tra le salve dei cannoni, in un'at-mosfera di grande solennità.

La Sindone restò, da quel mo-mento, definitivamente a Torinodove, nei secoli seguenti, fu oggettodi numerose ostensioni pubbliche eprivate. Con la morte di Umbertodi Savoia, avvenuta il 18 marzo del1983, la Sindone passò per volontàtestamentaria in proprietà dellaSanta Sede. L’atto di donazionevenne perfezionato il 18 ottobredello stesso anno.

Il Custode Pontificio della SantaSindone è l'Arcivescovo metropo-lita di Torino, il cardinale SeverinoPoletto.

La Sindone e i Vangeli

Sul telo sindonico è visibileun’immagine di uomo, di cui

è identificabile non solo la condi-zione di morte ma anche la cau-sa della morte: la crocifissione.Nonostante l’immagine presentiqualche difficoltà di lettura, acausa di un’inversione di tonichiaro-scuri simili a quelli delnegativo fotografico, se ne di-

stinguono alcuni caratteri, comequello della rigidità cadaverica edell’assenza di qualsiasi segno diputrefazione. Si notano inoltresul corpo numerosissimi segni diferite da flagellazione, la presen-

za alle mani e ai piedi di buchi daferita di corpo acuminato (i chio-di), i segni di numerose punturesul cuoio capelluto, una grandeferita al fianco sinistro (sullaSindone, e dunque fianco destrosull’uomo che vi fu avvolto).

I segni della Sindone trovanoun riscontro diretto nella testimo-nianza dei Vangeli circa l’esecu-zione capitale di Gesù di Nazaret:crocifissione preceduta da flagel-lazione, battiture sul volto, inco-ronazione di spine, uso dei chiodiper la crocifissione stessa, e segui-ta dalla ferita inflitta con la lancialeggera da uno dei soldati mentrenon sono spezzate le gambe, se-condo la profezia riportata in Es.12, 46 e citata in Gv. 19,36. Le stes-se caratteristiche del liquido fuo-ruscito dalle ferite (identificatosulla Sindone come sangue uma-no del gruppo AB) si lasciano di-stinguere, sul lenzuolo sindonico,come dovute al momento del ver-samento, prima o dopo il decesso(sangue cadaverico).

È appropriato parlare di unaeccezionale corrispondenza (sen-za nessun altro esempio parago-nabile) fra la testimonianza del-l’evento della risurrezione secon-do i Vangeli.

L’analisi scientifica

Si può affermare che la fotoscattata nel 1898 dall’avvoca-

to Secondo Pia abbia aperto lastrada alla “storia scientifica”

della Sindone. Infatti la straordi-naria caratteristica dell’improntasulla Sindone, che sulla lastraimpressionata dimostrò di com-portarsi in modo simile ad unnegativo fotografico, sollevò

Passio Christi, passio hominis

La Sindone

“La contemplazione della Passione di Cristo che il Telosindonico ci offre in stretto, concreto ed i nsostituibile

collegamento con il racconto evangelico, ci apre gli occhidella mente ad accorgerci che la sofferenza umana non

può essere compresa se non a partire da quella delSignore” (Card. Severino Poletto)

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8/9/2019 Il Vento - Monografia 72 - Passio Christi, passio homini

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Riportiamo l’omelia del Card.Salvatore De Giorgi, Presidentedella FIES, in occasione della Santa

Messa per i genitori e amici dei Ragazzi inCielo, celebrata nella Basilica di SanPietro, Roma, il 4 novembre 2009.

Carissimi genitori, parenti, ami-ci dei Ragazzi in cielo, siamoqui, nel cuore della Chiesa

Cattolica, per un triplice motivo.

Anzitutto per rinnovare la pro-fessione della nostra fede inGesù Cristo, unico e universale

Redentore dell’uomo e unico e univer-sale Salvatore del mondo.

Anche a noi, come agli Apostoli,questa mattina Gesù pone la doman-da: “Voi chi dite che io sia?”.

Una domanda di viva e drammaticaattualità in un contesto secolarizzato,come il nostro, che si allontana da Dio,ritenuto irrilevante se non addiritturad’ostacolo all’affermazione e al pro-gresso dell’uomo, indotto illusoria-mente a vivere come se Dio non esi-

stesse, e di conseguenza a prendere ledistanze dal Cristo suo Figlio, divenu-to uno di noi, morto e risorto per noi,per la nostra vera felicità terrena e lasalvezza eterna nel cielo.

La risposta non può che essere quel-la di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figliodel Dio vivente.”

E’ la risposta della fede, che noi dob- biamo professare ovunque, in privatoe in pubblico, con convinzione, congioia, con coraggio e, come affermavaSan Paolo, senza vergogna.

E’ la risposta della fede, che noi dob- biamo approfondire sempre di più at-traverso la conoscenza della bibbia esoprattutto del Vangelo che ne è ilcuore, la sintesi e il vertice.

Scriveva San Girolamo che “l’igno-ranza delle Scritture è ignoranza diCristo”, e purtroppo in Italia la mag-gior parte dei battezzati non conosce

bene Gesù perché ignora il Vangelo.Questa ignoranza è tanto più grave

in quanto proliferano libri, romanzi,film, mostre, che negano la divinità diGesù, ne mettono in dubbio l’esistenza

storica e ne infangano la santissimaumanità con calunnie indicibili. Perquesto è necessario che in tutte le no-stre famiglie si legga ogni giorno al-meno una pagina della Sacra Scritturae soprattutto del Vangelo.

Attenzione però! DicevaSant’Agostino: “Io non crederei alVangelo, se la chiesa non me ne desse lagaranzia”. A Pietro, capo degli Apostoli,e ai suoi successori, i Romani Pontefici,Gesù ha detto: “Tu sei Pietro – in ebraico“kefa”, “roccia” – e su questa Roccia ioedificherò la mia Chiesa”.

Lo costituisce così fondamento visibiledella sua Chiesa, della quale è lui il fon-damento invisibile e gli affida il manda-to di sciogliere e di legare, ossia di affer-mare le verità da credere e da mettere inpratica per la salvezza eterna.

Equesto è il secondo motivo per cuisiamo qui: per professare la nostrafede e la nostra docilità al

Successore di Pietro, il grande PapaBenedetto XVI, che fra poco sarà connoi, ci accoglierà e ci parlerà.

Siamo venuti qui, dove è la Cattedradi Pietro, per disporci ad ascoltare inPiazza la parola del suo Successore, cer-ti che a lui, a Benedetto XVI, il Signoreha affidato anche il mandato di confer-mare i fratelli nella fede.

Siamo venuti per attestare il nostroamore filiale e sincero al Vicario dlCristo, al dolce Cristo in terra, comechiamava il Papa Santa Caterina daSiena, e per assicurargli la nostra pre-ghiera perché il Signore lo conservi alungo e in buona salute per il bene dellaChiesa e del mondo.

Il terzo motivo per cui siamo qui èper sentirci uniti ai nostri ragazzi eaffidarli a San Pietro, al quale Gesù

ha affidato le chiavi del Regno deiCieli, perché li accolga tutti nella pie-nezza della gioia e della felicità senzafine, dove a noi piace contemplarli giàgiunti, insieme ai due carissimi sacer-doti, don Joe e don Joshua, che tanto sisono prodigati nel servizio pastoraleai giovani accanto a don PaoloGariglio.

La vita non è toltama trasformata

I fazzoletti gialli del gruppo FIES

Il Papa e il card. De Giorgi tra la folla Il delegato Giovani FIES e un animatore con il Papa

La brossura donata al Papa

Ragazziin cielo

L’incontro dei genitori e amici dei ragazzi in Cielocon Papa Benedetto XVI (Roma, 4 novembre 2009)

Tutte le volte che una Comunità decide di partire per un pellegrinaggio, ci si aspetta una crescita nella Fede.Andare all’udienza pontificia ha un “sapore” diverso da quello di qualsiasi altro luogo, magari significativo perla vita di qualche santo, che “narra” di un passato vivo, ma non dà il respiro immediatamente visibile

dell’universalità della Chiesa.Partire per Roma, partecipare all’udienza del mercoledì, significa rispecchiarsi nella molteplicità delle esperienze

che compongono le diverse tradizioni, che però convergono e si rispecchiano nella voce e nel pensiero delsuccessore di Pietro.

E’ con questo spirito che oltre 270 persone provenienti anche da Germania, Piemonte, Liguria, Toscana e Sicilia si sonoincontrate attraverso il settore Giovani della FIES (Federazione Italiana Esercizi Spirituali) come gruppo dei genitori edamici dei Ragazzi in Cielo, accomunati dalla prematura perdita per malattia o incidente di un figlio.

Ascoltare le loro storie, immedesimarsi nelle loro sofferenze, talvolta generate da eventi ingiusti, lascia intenderequanto un evento che spesso giudichiamo come una disgrazia può essere foriero di nuove visioni della vita, magari maiconsiderate prima che accadessero certi eventi.

Ritrovarsi insieme per andare dal Papa non è tanto sostenersi a vicenda a causa di un destino comune, ma essereChiesa che riconosce nel Pontefice e nei suoi collaboratori la presenza visibile del Signore nella storia!

Già dalla prima mattina del mercoledì 4 novembre, l’accoglienza cordiale del Cardinale Salvatore De Giorgi durantela celebrazione eucaristica in San Pietro, e la precisa e puntuale omelia sul senso di quel pellegrinaggio, ci ha datol’occasione di entrare nello spirito giusto della giornata, preparandoci alla catechesi del Papa anche attraverso il rapidosaluto alle sottostanti tombe dei Papi predecessori.

Nella catechesi, precisa e dettagliata come sempre, possiamo dire – spiegandolo in termini riduttivi – che ilPontefice ha messo in risalto l’importanza di coltivare nella vita spirituale (come nella riflessione teologica)tanto la ragione e l’intelligenza quanto il cuore e le emozioni.

Discorso perfettamente calzante per queste nostre famiglie, a cui spesso la perdita del figlio ha fatto riscoprire unafede più autentica, e comunque ha messo in cammino per riflettere sul senso della vita.

Al momento dei saluti, il Santo Padre ha rivolto un’esortazione particolare a questo nostro gruppo, incoraggiando igenitori a coltivare la speranza come atteggiamento – direi – di visione positiva del tempo, come preparazione al futuroricongiungersi con chi ci ha preceduto in Cielo. Se anche il Papa esorta a ciò, allora vuol proprio dire che dev’essereproprio così necessario coltivare queste virtù!

In dono il Pontefice ha ricevuto, tra l’altro, le foto dei sacerdoti maltesi don Joè Galea e don Joshua Muscat, ancheloro “Ragazzi in Cielo”, sacerdoti inviati fidei donum nella periferia torinese, che continuano ad accompagnare dall’altoi giovani della FIES.

Come per ogni pellegrinaggio, tutte le ore di viaggio accumulate dai partecipanti per l’evento sono abbondantementeripagate dal sapersi accolti dalla Chiesa intera, che nelle parole dello stesso Papa vede riconosciuta la bontàdell’esistenza di questo gruppo di famiglie, ulteriore espressione di una Chiesa che cammina attraverso le naturaliavversità del mondo, come segno di un futuro che ci attende.

don Francesco Fabrizio

“S aluto con affetto il Cardinale Salvatore De Giorgi, che accompagna il nutrito gruppo di genitori e amicidel Movimento “Ragazzi in cielo” e, nel ricordo sempre vivo di quanti sono prematuramente scomparsi

per incidenti o malattie, incoraggio tutti, specialmente i genitori a coltivare la speranza nella vita eterna fondata nella morte e risurrezione di Cristo. Molti di questi “Ragazzi in cielo” facevano parte della Federazione Italiana Esercizi Spirituali.”

Papa Benedetto XVI, 4 novembre 2009

(continuaapag. 10)

Corrispondente da Pisa

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Vocazione

Che cosa hanno in comuneGesù Cristo ed un sacer-dote? Voi direte tutto, o

forse pensando a qualche pretein particolare, come me, poco onulla. Io risponderei, contempo-raneamente, tutto e nulla. Sì,perché per un prete Gesù è l’i-narrivabile vicino, l’inimitabilegemello, il totalmente altro mestesso. La sua umanità e la suadivinità rappresentano nellostesso istante tutto ciò che vor-rei essere e fare e non sono, maanche tutto quanto incredibil-mente faccio e sono nel momen-to in cui Luca è messo da parteed è don Luca.

L’essere ed il fare, nel pretediocesano in modo particolare,tendono a diventare una sola co-sa e, dunque, al di là di ogni pos-sibile merito o capacità o sforzo,il fare le cose di Dio, il donareDio stesso, ti cambia dentro, pia-no piano, in uno straordinarioordinario che ti regala l’eternitànello spazio di una giornata qua-lunque. Gesù è quella mano tesa,quell’ascolto, il sacramento checelebri, il sorriso che offri. Nonsolo il sacro ti è donato, ma an-che una compiuta umanità concui fare scambio della tua, lace-rata e peccatrice.

Gesù vero Dio e vero uomo èColui in ragione del quale

tutto nella tua giornata può esse-re dono, occasione di salvezza edunque di pace e di serenità. Il“dover” fare delle cose – come lapreghiera del breviario o la cele- brazione della Messa, la Caritaso la visita ai malati – ti inchiodaal Suo esserci prima, al Suo esse-re arrivato prima di te, nel pre-gare, nel celebrare, nell’incontra-re. Quel suo essere prima tra-sforma il dovere nella scopertasempre nuova della Sua presen-za, nella gioia di sapere e speri-mentare che Lui ha già lavoratonei cuori ma ti lascia lo spazioper fare anche tu qualche cosa,dà senso al tuo esserci pur facen-do Lui quasi tutto quello che c’èda fare. Quando, poi, incontri lacroce del rifiuto o del tuo limite èin quel momento che l’umano ed

il Divino di Cristo esplodonodentro di te. Le tue piaghe offer-te diventano risurrezione, i “no”che ricevi pagano i tanti “no” chetu stesso gli hai rivolto, gli ab- bandoni che subisci sgretolano iltuo orgoglio e le tue esterioritàlasciandoti, allo specchio, il Suovolto, il Suo esserci stato primadi te. E non sei più solo, anzi seiquasi contento di essere stato la-sciato solo dagli altri perché seifino in fondo con Lui. Se Gesù,nella Chiesa mia madre, non miavesse chiamato ad essere sacer-dote mai avrei potuto sperimen-tare la gioia di essere amato così.

Qualcuno mi chiede se io amoDio. Non so cosa risponde-

re, so che Lui mi ama e questomi commuove nel profondo, soe vedo quanto ami gli altri equesto genera nel mio cuoreuna gratitudine immensa, cheraddoppia pensando a quantevolte mi ha permesso di esserestrumento di questo amore.

Il mio rapporto con Gesù pas-sa inevitabilmente dagli altri intutto ciò che è sensibile ed affet-tivo. Prego e spero, come tutti,come qualunque cristiano. Mala gioia immensa che mi regalavedere altri pregare e sperare,credere ed amare a nome suo, èassolutamente sacerdotale inme, fontale nel mio rapportopersonale con Dio, nel mio sa-pere chi sono e cosa ci sto a fare.

Riesco a rispondere di sì alladomanda se amo Dio solo nellamisura in cui il mio esserci ha,in qualche modo, suscitato inaltri la medesima risposta.

Sì, amo Dio perché in tutti imodi ho cercato di farlo cono-scere ed incontrare agli altri.Amo Dio nella misura in cuialtri si sentono amati da Lui.Amo Dio da prete, Dio mi amada prete. Ecco, questo è Gesùcon me e per me.

Chissà se tutto questo nonrisveglia nel tuo cuore il

desiderio di darti a Lui total-mente?

Don Luca Peyron

11

Questioni di famigliaSono ancora vive nella mente

e nel cuore le affermazioni difede e di speranza che il 2 no-vembre la Liturgia dellaChiesa, nostra madre e mae-stra, ha cantato nel Prefazio:“In Cristo tuo Figlio nostroSalvatore, rifulge a noi la speranzadella resurrezione, e se rattrista lacertezza di dover morire, ci conso-la la promessa dell’immortalità fu-tura. Ai tuoi fedeli o Signore la vi-ta non è tolta ma trasformata, ementre si distrugge la dimora diquesto esilio terreno, viene prepa-rata un’abitazione eterna nelcielo”. E’ questa la certezza del-la fede dei cristiani. E’, questa,carissimi genitori, la vostra cer-tezza di fede, che vi unisce co-me in una famiglia sola, nel co-mune dolore di aver perdutoun figlio e nella comune con-vinzione che egli vive ancora.

E’ questa la consolazionedella fede in Cristo, il figliounico di Maria, morto croci-fisso fra atroci dolori e risor-to per darti la garanzia dellanostra risurrezione.

La Chiesa, che è madre, nondimentica mai i suoi figli,

come non li dimenticate voi,carissimi genitori, e di essi fa lamemoria in ogni celebrazioneeucaristica, nella quale, soprat-tutto la domenica, ce li sentia-mo spiritualmente presenti evivi accanto a Colui che è la ri-surrezione e la vita.

Essi vi attendono ogni dome-nica attorno all’altare delSignore e il vostro amore pater-no e materno vi fa certamentesuperare ogni ostacolo, ognidifficoltà, per non venir meno aquesto appuntamento di fami-glia, che dona a voi il loroconforto nei sussulti del doloree a loro i meriti del sacrificio diCristo, che la Chiesa invoca

con questa dolcissima antifona:“Splenda ad essi la luce perpe-tua insieme ai tuoi Santi oSignore, perché tu sei buono”.

E’ l’invocazione che ora ri-volgeremo nella LiturgiaEucaristica e soprattutto nelmomento della Comunione,quando ricevendo Gesù nelnostro cuore, con Lui acco-glieremo e abbracceremo inostri amatissimi e mai di-menticati Ragazzi, i cui nomi,incisi sulla Croce dell’altaValle di Susa, sono soprattut-to incisi indelebilmente neinostri cuori.

Card. Salvatore De Giorgi

Ragazziin cielo

La catechesi del Papa(segueda pag.9)

D urante l’udienza generale del 4 novem- bre, il Santo Padre ha proseguito il suo ci-clo sullo sviluppo della teologia nel XII

secolo, soffermandosi sulla controversia tra sanBernardo di Chiaravalle ed Abelardo.Proponiamo ai lettori alcuni passi del discorso.

Cari fratelli e sorelle,nell’ultima catechesi ho presentato le caratteri-

stiche principali della teologia monastica e dellateologia scolastica del XII secolo, che potremmochiamare, in un certo senso, rispettivamente “teo-

logia del cuore” e “teologia della ragione”. Tra irappresentanti dell’una e dell’altra corrente teolo- gica si è sviluppato un dibattito ampio e a volte ac-ceso, simbolicamente rappresentato dalla contro-versia tra san Bernardo di Chiaravalle ed Abelardo.

Per comprendere questo confronto tra i due grandi maestri, è bene ricordare che la teologia è laricerca di una comprensione razionale, per quantoè possibile, dei misteri della Rivelazione cristiana,creduti per fede: fides quaerens intellectum – la fe-de cerca l’intellegibilità – per usare una definizio-ne tradizionale, concisa ed efficace. Ora, mentresan Bernardo, tipico rappresentante della teologiamonastica, mette l’accento sulla prima parte delladefinizione, cioè sulla fides - la fede, Abelardo, cheè uno scolastico, insiste sulla seconda parte, cioèsull’intellectus, sulla comprensione per mezzo del-la ragione.

Per Bernardo la fede stessa è dotata di un’intimacertezza, fondata sulla testimonianza della

Scrittura e sull’insegnamento dei Padri dellaChiesa. La fede inoltre viene rafforzata dalla testi-monianza dei santi e dall’ispirazione dello SpiritoSanto nell’anima dei singoli credenti. Nei casi didubbio e di ambiguità, la fede viene protetta e illu-minata dall’esercizio del Magistero ecclesiale. CosìBernardo fa fatica ad accordarsi con Abelardo, e più in generale con coloro che sottoponevano le ve-rità della fede all’esame critico della ragione; unesame che comportava, a suo avviso, un grave peri-colo, e cioè l’intellettualismo, la relativizzazionedella verità, la messa in discussione delle stesse ve-rità della fede. In tale modo di procedere Bernardovedeva un’audacia spinta fino alla spregiudicatez-za, frutto dell’orgoglio dell’intelligenza umana,che pretende di “catturare” il mistero di Dio. […]Per Bernardo la teologia ha un unico scopo: quellodi promuovere l’esperienza viva e intima di Dio. Lateologia è allora un aiuto per amare sempre di piùe sempre meglio il Signore […]

Abelardo, che tra l’altro è proprio colui che haintrodotto il termine “teologia” nel senso in

cui lo intendiamo oggi, si pone invece in una pro-spettiva diversa. Nato in Bretagna, in Francia,questo famoso maestro del XII secolo era dotato diun’intelligenza vivissima e la sua vocazione era lostudio. Si occupò dapprima di filosofia e poi applicòi risultati raggiunti in questa disciplina alla teolo-

gia, di cui fu maestro nella città più colta dell’epo-ca, Parigi, e successivamente nei monasteri in cuivisse. Era un oratore brillante: le sue lezioni veni-vano seguite da vere e proprie folle di studenti.Spirito religioso, ma personalità inquieta, la suaesistenza fu ricca di colpi di scena: contestò i suoimaestri, ebbe un figlio da una donna colta e intel-ligente, Eloisa. Si pose spesso in polemica con isuoi colleghi teologi, subì anche condanne ecclesia-stiche, pur morendo in piena comunione con laChiesa, alla cui autorità si sottomise con spirito di fede. Proprio san Bernardo contribuì alla condan-

na di alcune dottrine di Abelardo nel sinodo pro-vinciale di Sens del 1140, e sollecitò anche l’inter-vento del Papa Innocenzo II. L’abate di Chiaravallecontestava, come abbiamo ricordato, il metodotroppo intellettualistico di Abelardo, che, ai suoiocchi, riduceva la fede a una semplice opinionesganciata dalla verità rivelata. Quelli di Bernardonon erano timori infondati ed erano condivisi, delresto, anche da altri grandi pensatori del tempo.Effettivamente, un uso eccessivo della filosofia rese pericolosamente fragile la dottrina trinitaria di Abelardo, e così la sua idea di Dio. In campo mora-le il suo insegnamento non era privo di ambiguità:egli insisteva nel considerare l’intenzione del sog- getto come l’unica fonte per descrivere la bontà o lamalizia degli atti morali, trascurando così l’ogget-tivo significato e valore morale delle azioni: unsoggettivismo pericoloso. È questo – come sappiamo- un aspetto molto attuale per la nostra epoca, nel-la quale la cultura appare spesso segnata da unacrescente tendenza al relativismo etico: solo l’io de-cide cosa sia buono per me, in questo momento. […]

Che cosa possiamo imparare, noi oggi, dal con- fronto, dai toni spesso accesi, tra Bernardo e

Abelardo, e, in genere, tra la teologia monastica equella scolastica? Anzitutto credo che esso mostril’utilità e la necessità di una sana discussione teo-logica nella Chiesa, soprattutto quando le questionidibattute non sono state definite dal Magistero, ilquale rimane, comunque, un punto di riferimentoineludibile. San Bernardo, ma anche lo stesso Abelardo, ne riconobbero sempre senza esitazionel’autorità. […]

V orrei ricordare, infine, che il confronto teologi-co tra Bernardo e Abelardo si concluse con una

piena riconciliazione tra i due, grazie alla media-zione di un amico comune, l’abate di Cluny, Pietroil Venerabile, del quale ho parlato in una delle cate-chesi precedenti. Abelardo mostrò umiltà nel rico-noscere i suoi errori, Bernardo usò grande benevo-lenza. In entrambi prevalse ciò che deve veramentestare a cuore quando nasce una controversia teolo- gica, e cioè salvaguardare la fede della Chiesa e fartrionfare la verità nella carità. Che questa sia ancheoggi l’attitudine con cui ci si confronta nellaChiesa, avendo sempre come meta la ricerca dellaverità.

Papa Benedetto XVI

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Champion

Dopo Dio il prete è tutto

Il suo lavoro pastorale non re-sta senza frutto. “Il prete – di-

ceva – da un lato, si capirà sol-tanto in Cielo. Se lo comprendes-simo sulla terra ne moriremmo,non di paura ma d’amore…Dopo Dio, il prete è tutto!

Lasciate per vent’anni una par-rocchia senza prete e vi si adore-ranno le bestie!”. Ma, d’altra par-te, aggiungeva: “Come è spaven-toso essere prete. Come è dacompiangere un prete quandodice Messa come una cosa ordi-naria! Come è sventurato un pre-te senza interiorità!”.

L’uomo di Dio non si stancamai di lottare per conquistare leanime: intransigente nel rimuo-vere il male, gli abusi e le cattiveabitudini (la bestemmia, l’ubria-chezza…).

La tenerezza divina

Guariva le anime ed i corpi.Leggeva nei cuori come

un libro. E la Santa Vergine lovisitava ed il demonio gli face-va i ‘dispetti’, ma non riuscivaad impedirgli d’essere unsant’uomo. E predicava:

“Nostro Signore è sulla terracome una madre che porta ilsuo bambino in braccio. Questo bambino è cattivo, dà calci allamadre, la morde, la graffia, mala madre non ci fa nessun caso;ella sa che se lo molla, il bambi-no cade, non può camminareda solo. Ecco come è nostroSignore, Egli sopporta tutti inostri maltrattamenti, sopportatutte le nostre arroganze, ciperdona tutte le nostre scioc-chezze, ha pietà di noi malgra-do noi”.

Orgoglio e limite

Nel far comprendere che da

quando Cristo è risorto “l’e-ternità è entrata nel tempo e iltempo nell’eternità”, invita tuttiall’umiltà dicendo: “Ecco dunqueun tale che si tormenta, che si agi-ta, che fa chiasso, che vuole domi-nare su tutti, che si crede qualchecosa, che sembra voler dire al sole:‘togliti di lì, lasciami illuminare ilmondo al tuo posto!...’ Un giornoquest’uomo orgoglioso sarà ridottotutt’al più ad un pizzico di cenereche sarà portata via di fiume in fiu-me... fino al mare”. Ed evidenzian-do i nostri rifiuti di Cristo, aggiun-geva: “Non vediamo l’ora di sba-razzarci del Signore come di unsassolino nella scarpa. il poveropeccatore è come una zucca che lamassaia spacca in quattro e la trovapiena di insetti”. Tutti i fedeli,uscendo dalla chiesa di Ars, dice-vano: “Nessun parroco ha mai par-lato di Dio come il nostro Curato”.

Dio presente in un uomo

Il noto domenicano Lacordair,grande predicatore di Notre

Dame de Paris, dopo aver incon-trato il curato ad Ars, dichiarò:

“Ho visto Dio presente in un uo-mo”. Il santo Curato d’Ars nellacelebrazione del sacramento dellariconciliazione supererà 15 ore algiorno. E dirà a qualche peccato-re: “Che male vi ha fatto nostroSignore perché dobbiate trattarloin questo modo!”. E a qualche be-stemmiatore incallito: “Perché mihai offeso tanto? - ti dirà un gior-no nostro Signore - e non sapraicosa rispondergli”.

La sua attività pastorale loportò a una carità concreta finoalla costruzione di un orfanotro-fio per bambine e poi di unIstituto per l’istruzione dei ragaz-zi. Il santo curato d’Ars conclu-derà serenamente la sua giornata

terrena il 4 agosto del 1859.Canonizzato da Pio XI il 31 mag-gio 1925, nel 1929 sarà procla-

mato patrono di tutti i parrocidel mondo. Giovanni Paolo II,nella sua ultima visita ad Ars,parafrasando il titolo di un notoromanzo italiano, ma in sensoopposto, disse: “Cristo si è vera-mente fermato ad Ars, all’epoca incui vi era curato Jean-MarieVianney. Sì, si è fermato e ha vistole folle degli uomini e delle donnedel secolo scorso stanche e sfinitecome pecore senza pastore. Cristo siè fermato qui come il Buon Pastore.Un buon pastore, secondo il cuoredi Dio, diceva Jean-Marie Vianney,è il più grande tesoro che Dio possaaccordare ad una parrocchia, è unodei doni più preziosi della misericor-dia divina”. Tutta la Chiesa è im-pegnata a vivere l’anno sacerdo-tale - in particolare i presbiteri e iparroci. Una occasione straordi-naria per ravvivare l’immensodono del presbiterato ricevuto“per l’imposizione delle mani”del vescovo, come fossero le ma-ni di Cristo, sommo ed eterno sa-cerdote. Il recupero dell’identitàdel prete passa innanzitutto nelreimpostare una “spiritualità”che trova il suo banco di prova

nella diffusa carità pastorale.Sarà un anno in cui le Case dispiritualità diventeranno delle“piccole Ars” e le guide-predica-tori degli esercizi spirituali per ilclero faranno lavoro straordina-rio. La fecondità del ministerodipende dall’interiorità! Si fa fa-tica a capirlo. Eppure basti ricor-dare che durante le affollate pre-diche del domenicano Lacordairin Notre Dame de Paris, i ladrine approfittavano per rubare deiportafogli ai fedeli. Solo ad Ars,per l’umile predicazione delSanto Curato, restituivano i por-tafogli sottratti. Tutto è grazia!

don Danilo Zanella

13

Lascia passare la luce

Una maestra di una scuolastatale conduce la suaclasse di ragazzi a visita-

re la chiesa del luogo per spie-garne le linee artistiche e facen-done ammirare le figure dei san-ti raffigurati sulle vetrate lumi-

nose. Mentre stanno per uscireincontrano il parroco, il quale,dopo averli affettuosamente sa-lutati, domanda ai bambini: “Chisono i santi?”. Un bambino ri-spose di botto: “Sono coloro chelasciano passare la luce”. E ilfrancese Jean-Marie Vianney,umile prete diocesano, dopo cen-tocinquant’anni dalla sua ‘nasci-ta al cielo’, ancora fa passare laluce della sua santità alla Chiesad’oggi. Tanto da essere indicatocome modello e patrono dei par-roci. Un santo “ordinario”, rima-sto per quarant’anni il pastoredel piccolo gregge di Ars, di 250abitanti, a circa 40 km da Lione.E’ una figura straordinaria, il

santo curato Jean-MarieVianney. Nato nel 1786 aDardilly, da una famiglia di con-tadini, a 17 anni viene mandato aseguire le lezioni di CharlesBalley, parroco di Ecully, chesarà per lui il maestro e il padrespirituale nel suo cammino ver-so il sacerdozio. Nei successivi

corsi di teologia nel seminariomaggiore di Lione (1813) faràmolta fatica per superare gli stu-di e gli esami. Ma resiste, e contenacia arriva al traguardo lun-gamente atteso: il 13 agosto 1815viene ordinato sacerdote, a 29anni, l’anno in cui a Torino na-sceva Don Bosco. Viene destina-to come coadiutore a Ecully e nel1818 viene trasferito parroco adArs, dove la tiepidezza religiosaera diffusa. E’ noto il primo in-contro che ebbe con uno o più ra-gazzi proprio alle porte del bor-go. Il nuovo parroco chiese qua-le era la strada che portava allaparrocchiale. I ragazzi sorpresidal fatto che un prete chiedesse

loro dove stava la chiesa, si sen-tirono rassicurati: “Voi insegna-temi qual è la strada che porta al-la chiesa e io vi insegnerò qual èla strada che porta in Paradiso”.Come parroco, se pur con unaforte spiritualità, attraversa pe-riodi di profonda solitudine eangoscia. Chiederà al suo vesco-

vo in diverse circostanze, di esse-re trasferito; l’ultima volta duesettimane prima di morire(1859). Ripeteva: “Il buon Dio,che non ha bisogno di nessuno,si serve di me per il suo grandelavoro, benché io sia un sacerdo-te senza scienza. Se avesse avutosottomano un altro parroco cheavesse avuto più motivi di meper umiliarsi, l’avrebbe preso eavrebbe fatto, attraverso di lui,cento volte più del bene”.

Paura e amore

Influisce in lui un’educazionerigorista e giansenista, impron-

tata sul mistero della predestina-zione e sul rischio della danna-zione eterna. Un rigore che all’i-nizio egli userà anche verso i suoipenitenti e nella predicazione,ma che poi gradualmente siaprirà alla medicina dell’amoredi Dio. Il santo Curato d’Ars dor-me pochissime ore sulle nude as-si, si ciba pochissimo attingendoad una pentola di patate bolliteche gli deve durare per la setti-mana. Tutto ciò lo fa in spirito

penitenziale perché parroco. Ecerto che tocchi a lui chiedereperdono per peccati dei suoi figli;e quale instancabile confessorevuole fare penitenza per i pecca-tori. Egli pregherà: “Mio Dio,concedetemi la conversione dellamia parrocchia. Io sono dispostoa soffrire tutto quello che Voivorrete, per tutta la durata dellamia vita… purché si converta-no”. Il suo campo di combatti-mento è soprattutto il confessio-nale. Non riuscirà mai ad esauri-re la fila di penitenti che giungeda tutta la Francia e chiede insi-stentemente di esser ascoltata eassolta. All’inizio sono quindici oventi pellegrini al giorno.

Nell’anno 1834 se ne contanotrentamila all’anno, che divente-ranno, negli ultimi anni della suavita, da ottantamila a centomila.

Santo Curato d’Ars - Un campione fra i Preti

Champion

L’invidiabile pastore Jean-Marie Vianneyda riscoprire nell’anno sacerdotale

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8/9/2019 Il Vento - Monografia 72 - Passio Christi, passio homini

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Sacerdozio

sua personale umanità di agnelloimmacolato. E’ dunque l'agnelloimmolato che si offre per riscat-tare il genere umano dal peccatodel mondo. Nel libro delDenteronomio si dice che «non èpiù sorto in Israele un profetacome Mosè, con il quale ilSignore Iddio parlava faccia afaccia» e che non si è ancoraadempiuta la promessa di «unProfeta pari a me!» (Dt. 34,10).Ora la promessa si adempie: ec-colo qui ilSacerdos Magnus , ilPontifex , l' Archi-hieréus kai apòsto-los!

Cristo, Verbo del Padre e verouomo, offrendo la propria vitaumana, darà a tutti i credenti lasalvezza eterna, riconciliandolicon il Padre mediante “l'abbatti-mento del muro che ci separava

da Lui” (Ef. 2,14). Ma offrirà purela possibilità, agli uomini che lodesiderano, di fare altrettanto…!!!

Cioè concederà la possibilitàdi diventare loro pure sacerdoti,calcando la sua falsariga. ComeMosè; più di Mosè! Questa sìche è la novità delle novità!

Qui si percepisce come mai ilsacerdote cattolico non è solo un battezzato che partecipa al co-mune sacerdozio e neppure unsemplice prete, un “ministro diculto” che fa gestualità liturgi-che e neppure una sorta di enci-clopedia viva di Gesù Cristo co-me deve essere un buon teologo(secondo un’espressione diSeverino Dianich).

Il magistero petrino (BenedettoXVI alla Congregazione del

Clero, il 16 marzo 2009) cichiarisce ancora una volta leidee: «Se l’intera Chiesa è mis-

s ionaria e se ogni cr is t iano,in forza del Battesimo e dellaConfermazione, riceve il mandato di professare pubblicamente la fede, ilsacerdozio ministeriale, anche daquesto punto di vista, si distingueontologicamente, e non solo per gra-do, dal sacerdozio battesimale, dettoanche sacerdozio comune. Del pri-mo, infatti, è costitutivo il mandatoapostolico: “Andate in tutto il mon-do e predicate il Vangelo ad ognicreatura” (Mc 16,15). Tale manda-to non è, lo sappiamo, un sempliceincarico affidato a collaboratori; lesue radici sono più profonde e van-no ricercate molto più lontano. Ladimensione missionaria del presbi-tero nasce dalla sua configurazione

sacramentale a Cristo Capo: essa porta con sé, come conseguenza,un’adesione cordiale e totale a quel-

la che la tradizione ecclesiale ha in-dividuato come l’apostolicaviven-di forma. Questa consiste nella partecipazione ad una “vita nuo-va” spiritualmente intesa, a “quelnuovo stile di vita” che è statoinaugurato dal Signore Gesù ed èstato fatto proprio dagli Apostoli.Per l’imposizione delle mani delVescovo e la preghiera della Chiesa,i candidati divengono uomini nuo-vi, divengono “presbiteri”» (da“Un pallone per il paradiso”,Effatà Editrice, 2009).

don Paolo GariglioIncaricato nazionale perla Pastorale Giovanile degliEsercizi Spirituali della FIES

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Cristo, Verbo del Padre e vero uomo, offrendo la propria vita umana,darà a tutti i credenti la salvezza eterna. Ma offrirà pure

la possibilità, agli uomini che lo desiderano, di fare altrettanto!!

Con l'evoluzione delle lin-gue moderne la parolaSacerdote è usata in ma-

niera indistinta per indicare i mi-nistri di culto cristiani, cattolici,ortodossi, anglicani o i funziona-ri delle varie religioni e di alcunefilosofie orientali. Solo i prote-stanti, giustamente, non accetta-no il termine sacerdote per i loropastori.

Questo valore lessicale noncorrisponde al vero, perciò noinon possiamo accettarlo.

Semmai è il vocabolo "prete"che può essere anche assunto persignificare qualsiasi ministro diculto, ma il sostantivo Sacerdote,no! Vediamo perché.

Per antonomasia, Sacerdote èuno solo, Gesù Cristo. E' lui il

ponte che riconcilia la terra alCielo: è il Pontefice. Solo GesùCristo è la Scala di Giacobbe chefunziona nei due sensi, dal Cielo

alla terra e viceversa (cfr. Gv1,51). Il Padre Celeste l’ha invia-to nella carne umana come suoVerbo (Logos), cioè Archi-hieréuskai apòstolos , che vuol dire il sa-cerdote supremo inviato dalPadre (Eb, 3-1) e si distingue an-che dai legittimi Ministri che so-no stati consacrati con ilSacramento dell'Ordine, perchéil loro servizio sacerdotale cessacon la morte, mentre GesùCristo, il Risorto, è colui che nonvedrà mai la sua "carriera" in-franta, perché del peccato e dellamorte è il vincitore.

E’ straordinario ciò che scrivela lettera agli Ebrei, commentan-do questa parte del Salmo 109:

«Oracolo del Signore al mio Signore“Sedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemicia sgabello dei miei piedi”.Lo scettro del tuo potere stende ilSignore da Sion:

“Domina in mezzo ai tuoi nemici. A te il principato nel giorno dellatua potenzatra santi splendori;dal seno dell'aurora,come rugiada, io ti ho generato”.Il Signore ha giurato e non si pente:“Tu sei Sacerdote per sempresecondo l'Ordine di Melchisedek”».

E'nella lettera agli Ebrei chel’Apostolo Paolo spiega co-

me nella frase «Il Signore ha giu-rato e non si pente, “Tu seiSacerdote s e cu n du m o r d i n e mMelchisedek”» si definisce unavolta per sempre il veroSacerdozio. Si autentica cioè ilvocabolo Sacerdote e si scopreche si tratta di un Sacerdozio chenon è quello di Aronne da cuiinizia la casta sacerdotale del po-polo ebraico.

Severino Dianich è esaustivosu questo tema; ricorda in so-stanza che, non avendo

Melchisedek genealogia, non siconosce nulla dei suoi natali: nédata di nascita e di morte e nep-pure chi siano stati i suoi genito-ri.

Questo perché il Messia nonha genealogia umana: per il fattoche il Cristo non è figlio diGiuseppe, la genealogia davidi-ca diventa evento storico-simbo-lico; sappiamo della madre nellacarne, che è la Vergine Maria; delgenitore conosciamo soltantoche fu l'ombra dell’Altissimo afecondarla (Lc. 1,38) e nonGiuseppe, il falegname che re-sterà il padre putativo, cioè il pa-dre ritenuto tale dalla gente delsuo tempo.

Sappiamo anche che questo Archi-hieréus non è venuto

per perpetuare il sacerdozio diAronne e continuare a immolarea Dio montoni o agnelli, bensì èvenuto per immolare al Padre la

Cristo, il Prototipo

Sacerdozio

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Nuntii16

Questo giornale dei giovani è una iniziativaFIES-NIKODEMO-NICHELINO COMUNITÀ

È composto e impaginato - come esercizio didattico -dalla Piccola Scuola Grafica dell’Accoglienza Nikode-mo: una Comunità di ragazzi che escono dal terribiledisagio del nostro tempo, la tossicodipendenza.

● Non si spedisce in abbonamento ma su richiesta .● Affida la sua esistenza all’amicizia di chi lo gradi-

sce e alla simpatia delle Case di Esercizi Spirituali.● Lettori e Amici sono invitati, ma non obbli gati,

ad inviare una quota di collaborazione sul

c.c. postale n. 27318104intestato a Parrocchia SS. Trinità Nichelino

● Se la quota supera le spese, il più verrà offertoall’Accoglienza dei ragazzi della Nikodemo.

Direttore: ing. Gianmarco Boretto

Responsabile: dr. Mario Costantino

Collaboratori di redazione: don Paolo Gariglio,Laura Ribotta, Simona Mosca, Myriam Zambello,Federico Ferrero.

“IL VENTO” su Internet:www.ilvento-fies.orgrealizzato da Luciano Pautasso

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PICCOLA SCUOLA GRAFICA NIKODEMO

Via Pallavicino, 61 - Tel. 011 627.95.9010042 Nichelino (Torino)

Registrazione Tribunale di Torino n. 5063 / 97intestata a don Paolo Gariglio, resp. editoriale

Iniziativa FIESGiovani a Catania

Addio, Mons. Piergiorgio!

E’nata nei giorni scorsi,nella Parrocchia “MariaSS. Della Provvidenza”

di Macchia di Giarre, un sodali-zio associato al gruppo dellaFederazione Italiana EserciziSpirituali, sezione Giovani, for-mato dai genitori e dai giovaniamici di ragazzi deceduti pre-maturamente.

Prima dell’avvio ufficiale al-

cuni genitori, con i coniugiRomeo Barbara e Giuseppe, ave-vano partecipato all’udienzaconcessa dal Pontefice il 4 no-vembre 2009. L’iniziativa si deve

proprio ai coniugi Romeo, chesono corrispondenti per la Siciliade “Il Vento”, rivista di spiritua-lità giovanile, e delegati per l’iso-la per le iniziative FIES Giovani.

L’Associazione si riuniscemensilmente ogni primo martedidel mese alle ore 18.00 nellaChiesa di Macchia di Giarre, do-ve si celebra la S. Messa per i“Ragazzi in cielo”. Il sodalizio

porta il nome di “Ambasciatori inParadiso”.All’incontro inaugurale, ha

partecipato il delegato FIES donPaolo Gariglio. (m.g.l., da “La

Il 13 dicembre 2009 è salitoalla casa del Padre mons.Piergiorgio Silvano Nesti,

vescovo emerito di Camerino-San Severino Marche e giàPresidente della FederazioneItaliana Esercizi Spirituali(FIES). Mons. Nesti era nato il18 febbraio 1931 a Marostica,Diocesi di Vicenza, ed era statoordinato sacerdote tra i passio-nisti il 30 agosto 1959, per poiessere consacrato vescovo il 29agosto 1993.

Vogliamo ricordarlo ripor-tando alcuni passi di quantoscrisse nel novembre del 1996,in una lettera indirizzata a tuttii giovani impegnati nella FIES,che fu pubblicata proprio sullepagine de “Il Vento”.

Ben si addice al tema di que-sta monografia: «Da duemila an-ni Cristo è posto al centro della sto-ria. Si è tentato in tutti i modi diostacolare la sua presenza e di

cancellarLo dalla vita degli uomini,sopprimendo anche con la violenzacoloro che Gli appartenevano; nellostesso tempo i cristiani hanno datouna testimonianza di amore perCristo, di dedizione, di slancio spiri-tuale, ricambiando l’odio con l’amo-re, tale da attirare l’ammirazione

anche dei propri nemici. Cristoquindi è il vincitore sul male, sul-l’odio, sul peccato e sulla morte. I giovani cristiani devono essere por-tatori di questa vittoria con una vi-

ta coerente, saggia, impegnata neldare il proprio contributo di onestà,e di giustizia per una società piùtrasparente ed umana. […]Fissiamo con gioia il nostro sguardosu Cristo, con amore sincero e im- pegno costante, per essere costrut-tori di speranza».

L’avvenimento