IL VENTO DEL BRENTA 12-2008

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Il ento del Brenta trimestrale della pro loco di campolongo sul brenta anno XXVI - N° 2 DICEMBRE 2008 Direzione, Amministrazione, Redazione: Casella Postale n.1 - Campolongo sul Brenta (VI) C.C.P.N. 10971364 - Spedizione in abbonamento postale - Taxe percue - Tassa riscossa Ufficio Postale - PT VICENZA - PAR AVION - ART. 2 COMMA 20/C L. 662/96

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trimestrale della pro loco di campolongo sul brenta anno XXVI - N° 2 DICEMBRE 2008 Direzione, Amministrazione, Redazione: Casella Postale n.1 - Campolongo sul Brenta (VI) C.C.P.N. 10971364 - Spedizione in abbonamento postale - Taxe percue - Tassa riscossa Ufficio Postale - PT VICENZA - PAR AVION - ART. 2 COMMA 20/C L. 662/96

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Il ento del Brentatrimestrale della pro loco di campolongo sul brenta

anno XXVI - N° 2 DICEMBRE 2008

Direzione, Amministrazione, Redazione: Casella Postale n.1 - Campolongo sul Brenta (VI) C.C.P.N. 10971364 - Spedizione in abbonamento postale - Taxe percue - Tassa riscossa Ufficio Postale - PT VICENZA - PAR AVION - ART. 2 COMMA 20/C L. 662/96

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2 Il Vento del Brenta • Giugno 2008

Il Vento del Brenta

2 Il Vento del Brenta • Dicembre 2008

NATALE 2008

Sta indicando il calendario

che un altr’anno se n’è andato

ed è tempo di vedere

cosa mai ci avrà lasciato

In affanno son le banche

per la crisi finanziaria

mentre il mondo della scuola

sta finendo gambe all’aria.

I piloti sono in guerra

e chi viaggia resta a retta

come pure disagiati

son gli anziani pensionati.

Con codesti chiar di luna

non ci assiste la fortuna.

Cosa mai si potrà fare

per cercar di rimediare?

In un vecchio sillabario

c’era questo ricettario:

“Verseremo in un tegame

tanta buona volontà

mescolandovi una dose

di operosa serietà.

Aggiungendo poi, col sale,

dell’impegno solidale,

sforneremo con successo

l’alimento del progresso.

E Gesù che nel Natale

si fa ancora per noi bambino

sulle strade della vita

ci sia guida nel cammino.

s Domenico Tolio

IL VENTO DEL BRENTAanno XXVI - n° 2 Dicembre 2008

Periodico di informazione e di cultura edito dalla Pro Loco di

Campolongo sul Brenta

Presidente della Pro Loco:Ruggero Rossi

Direttore responsabile:Giandomenico Cortese

Comitato di redazione:Ruggero Rossi, Fiorenzo Vialetto

Redazione: Casella Postale n°1

Campolongo sul Brenta

Autorizzazione:Tribunale di Bassano del Grappa n°1/83

Impaginazione e Stampa:

Romano d’Ezzelino (VI)

Hanno collaborato: Giovanni Lovato, Valerio Bonato,

Luciano de Pompeo, Domenico Tolio, Nicoletta Vialetto, Sara Vialetto,

Vera Maria Lazzarotto, Gessica Temperato, Mara Mocellin, Martina Manachini

Questo numero è stato inviato a 1.028 famiglie, delle quali 310

residenti a Campolongo, 643 nel resto d’Italia, 75 all’estero.

La redazione de“Il Vento del Brenta“augura a tutti i lettoriun felice Natale e unsereno Anno Nuovo

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Pro loco

Proseguiamo la pubblicazione dei nominativi di coloro che con il loro indispensabile aiuto economico concor-rono, concretamente, alle spese di stampa e spedizione del giornale. Versamenti pervenuti a tutto il 04/12/2008.

142) Antonio Giusto – Gravellona (PV)143) Aldo Malvezzi – Campolongo S.B.144) Caterina e Roberto Pagnon – Bernareggio145) Angela Zannini Mocellin – Annecy (Francia)146) Anna Gabrielli – Pero (MI)147) Antonella Vialetto – Romano d’Ezzelino (VI)148) Roberta Scramoncin – S.Giuseppe di Cassola (VI)149) Luigi Bonato – Roma150) Danilo Bontorin – Romano d’Ezzelino (VI)151) Mirian Bonato – Campolongo S.B.152) Severino Vialetto – Campolongo S.B.153) Paolo Zannini – Campolongo S.B.154) Angelo Zannini – Firenze (FI)155) Pompeo Bonato – Campolongo S.B.156) Italo e Romano Vialetto – Campolongo S.B.157) Doriano Serratura – Pove del Grappa (VI) 158) Gianfranco Cavallin – Bassano D.G.159) Paolina Zannoni – Bassano D.G.160) Luisa Shuh – Colmar (Francia)161) Alfredo Pellizzari – Campolongo S.B.162) Rino Zortea – Cassola (VI)163) Milena Santin – Melbourne (Australia)164) Giuseppe Bonato – Padova165) Gina Secco – Bassano D.G.166) Domenico Tolio – Bassano D.G.167) Gianfranco Cavalli – Campolongo S.B.168) Mirco Bonato – Campolongo S.B.169) Bortolo Bonato – Campolongo S.B.170) Luciano Giusto – Bassano D.G.

La simpatia, l’amicizia che nutro per Antonio Bonato, per questo mio paese, mi hanno portato qui con voi, stasera, a far festa, a condividere la gioia di un dono, a cogliere dal nido dei ricordi, punti dalla spina della nostalgia, a riscoprire ed alimentare le radici del nostro futuro.Stentiamo a cogliere il senso della nostra esistenza. Il Paese, l’Italia, non ha più un baricentro, non ha più una meta (scriveva l’altro giorno sul Corriere, un acuto osservatore come Ernesto Galli Della Loggia). Abbiamo perso il gusto del sapere, del Passato, della Bellezza. Dobbiamo riprendere il senso della nostra identità. Il Paese è inerte. E’ venuta meno una energia interiore. Abbiamo perso il senso e la ragione del nostro stare insieme. Anche il coraggio di progettare il nostro futuro. Certo, non possiamo dire di avere la forza di progettare il futuro se non abbiamo ben salde le notizie della nostra storia, non conosciamo da dove veniamo, non conosciamo il nostro passato.La nostra stessa libertà viene alimentata dalla conoscenza.Non possiamo dirci liberi se non abbiamo chiara la nostra identità e non sentiamo vivo e fervido il senso di appartenenza.Ecco perché sostengo che quello che ci viene offerto stasera è uno straordinario dono. Il dono di una vita di ricerche, la sintesi di uno studio che pareva interminabile, quello a cui Antonio Bonato ha dedicato anni intensi di ricerca, scavando negli archivi, scrutando nei catasti, cam-minando questo paese in lungo e in largo, per ritrovare le tracce, le tracce di un passato che è colpevole ignorare.Siamo naturalmente esseri sociali.La stabilità del nostro “Io” dipende dal nostro rapporto con la società e la storia. Abbiamo bisogno degli altri, di sentirci uniti, di condividere un progetto, di prodigarci per qual-cosa che vale.Oggi, in una società sempre più multiculturale, “liquida” e complessa, c’è bisogno di tornare ad investire nei valori, nella esperienza delle nostre tradizioni. Non si può fare a meno di pensare al passato.

continua a pg. 16

TOPONOMASTICAE ONOMASTICA STORICA

DI CAMPOLONGO

Ricordiamo ai gentili lettori

che “Il Vento del Brenta”

vive grazie al contributo

dei lettori (per questo

alleghiamo il bollettino

di C.C.P.), ma anche grazie

all’apporto in idee,

riflessioni, articoli,

foto da parte di tutti.

Rinnoviamo quindi

l’invito alla collaborazione

e ringraziamo nuovamente

quanti hanno

finora partecipato

alla realizzazione

di questo giornale.

La storia, vera,di un battesimo particolareC’era una volta un bambino che si chiama-va Kosta e che abitava con i suoi genitori a Milano. Quel bambino era buono e bravo: andava volentieri all’asilo infantile, era socie-vole e quindi andava d’accordo con i suoi compagni; mangiava tutto quello che i suoi genitori gli mettevano sul piatto ai tre pasti quotidiani; e alla sera, dopo cena, andava a letto senza far storie.Come tutti i bambini Kosta andava a giocare ma lui, oltre all’interesse per i giochi, aveva anche quello per le chiese nel senso che quando passava davanti ad un tempio vo-leva entrarci e, una volta entrato, rimaneva sempre affascinato: se in chiesa non c’era nessuno rimaneva impressionato dall’at-mosfera del luogo sacro, dalla penombra, dalla fiammella di qualche candela accesa e soprattutto dal silenzio; e quando invece in chiesa c’era una funzione religiosa rimaneva impressionato dalla cerimonia liturgica, dai paramenti e dai gesti dei sacerdoti, dai fedeli in preghiera e dai canti. Tra le varie chiese che conosceva, lui aveva una predilezione per quella di San Maurizio, una bella chie-

sa dalle pareti interne affrescate con scene della Bibbia.All’età di quasi 4 anni Kosta non era ancora stato battezzato; ma un giorno i suoi genito-ri, forse ispirati dall’angelo custode del figlio, hanno deciso di farlo battezzare; e a tal fine hanno scelto proprio la chiesa da lui prefe-rita e cioè quella di San Maurizio. Il titolare di quella chiesa ha accettato di buon grado la proposta e ha fissato la data e d’ora del battesimo (11 dicembre del 2005, alle ore 10,30) con la precisazione che la funzione avrebbe avuto luogo durante la celebrazione della “seconda messa” domenicale.Per quell’evento i genitori di Kosta hanno invitato alcuni amici e alcuni parenti e tra questi anche i nonni i quali hanno accettato, e con entusiasmo, l’invito al battesimo del loro nipote. Il nonno paterno, in particolare, non ci stava più nella pelle perla gioia e, pro-prio per sfogare questa sua soddisfazione, sentiva la necessità di comunicarlo a qual-cuno. Alcuni conoscenti lo hanno capito e hanno condiviso con lui la sua gioia; ma un signore ha reagito chiedendo: “Ma perché

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Momenti di vita

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hanno aspettato tanto per battezzarlo? Perché non l’hanno fatto battezzare en-tro pochi giorni dalla sua nascita come si faceva una volta? ” Il nonno paterno non conosceva i motivi particolari per i quali i genitori di Kosta avevano deciso di farlo battezzare quando aveva ormai quasi quattro anni: ma lui, che era nato e cresciuto in un piccolo paesetto della “Valbrenta” e che sapeva benissimo che una volta di norma i bambini venivano battezzati entro pochi giorni dalla loro na-scita, si è sentito quasi offeso da quella domanda fatta come se lui, il nonno, fos-se corresponsabile; e allora lui, figlio di paesani montanari, uomini laboriosi “dal-le scarpe grosse ma dal cervello fino”, abituati a reagire con buon senso, ha pensato a come avrebbe dovuto rispon-dere a quel signore poco diplomatico e alla fine ha trovato tra i suoi ricordi, e ha raccontato a quel suo conoscente, che una volta lui aveva letto un libro interes-sante sulle “grandi religioni del mondo” e che nel capitolo sulla “cristianità”aveva trovato che “originariamente le persone venivano battezzate solo quando ave-vano l’uso della ragione, quando erano maggiorenni, e che solo nel dodicesimo secolo, e quindi nel Medioevo, è prevalso il costume di battezzare i cristiani quando erano ancora bambini”; e allora il nonno paterno ha pensato, e ha risposto al suo conoscente, che forse i genitori di Kosta avevano preferito ritornare “all’usus origi-nario” della cristianità e ha soggiunto che in ogni caso “ è meglio tardi che mai”.La mattina del 10 dicembre 2005 i non-ni paterni si sono messi il “vestito della festa”, hanno preso il treno e dopo tre ore sono arrivati a Milano. Per loro, che raramente erano usciti dal loro paesetto, qual viaggio è stato piuttosto impegnati-vo, faticoso.Alle 10 dell’undici dicembre 2005 i nonni paterni di Kosta sono usciti dall’albergo “Ariosto” e si sono incamminati verso la chiesa di San Maurizio; era domenica e quindi i negozi erano chiusi e le strade erano quasi deserte. Strada facendo, i

due nonni si domandavano come sareb-be stato un battesimo cristiano con rito greco-ortodosso a cui non avevano mai assistito e si chiedevano se Kosta sa-rebbe stato battezzato da solo o insieme con altri bambini come si fa oggigiorno in varie parrocchie; e parlavano del basso indice di natalità degli ultimi anni e quindi anche dei pochi battesimi che venivano celebrati ora.A quel punto al nonno è venuto in mente che, quando era ragazzo, nel piccolo pa-ese della Valbrenta dove era nato, c’era un indice di natalità molto elevato e che praticamente c’era un battesimo ogni due o tre settimane; allora i bambini doveva-no essere battezzati entro 7 giorni dalla nascita (altrimenti non ci sarebbe stato il suono festoso delle campane!); e di soli-to i battesimi avevano luogo la domenica mattina dopo la “seconda messa”; men-talmente il nonno ha rivisto la scena di quei battesimi: finita la “seconda messa” le campane ricominciavano a suonare a festa, a distesa, e dopo un po’, quando la gran parte dei paesani che avevano assistito alla messa erano ancora intorno alla chiesa, arrivava un corteo in testa al quale c’erano una ragazza che portava il battezzando su un cuscino bianco e la levatrice attenta acché il bambino rima-nesse ben coperto; seguivano i genitori, i padrini, i parenti e gli amici. I componenti il corteo entravano in chiesa, eccezion fatta per la madre che prima di poter en-trare in chiesa doveva essere purificata e benedetta! Con queste divagazioni di pensiero sui battesimi di una volta i due nonni paterni sono arrivati alla chiesa di San Maurizio che era piena di fedeli, che erano là per la messa domenicale, e di parenti e di amici dei genitori di Kosta che erano là per il battesimo. I due nonni paterni han-no trovato posto al terzo bancone hanno assistito con attenzione alla funzione re-ligiosa, alle preghiere e ai canti in lingua greca, seguendo il testo degli stessi nella traduzione italiana.Kosta, con i suoi genitori, era nel pri-

mo banco. Ad un certo momento della messa lui, essendosi girato ed aven-do visto il nonno, è andato a trovarlo e gli ha chiesto di spiegargli il significa-to di alcune scene della Bibbia dipinta sulle pareti della chiesa, e il nonno lo ha soddisfatto parlan-dogli sottovoce per non distogliere i vicini. Poi il battesimando è tornato al

suo posto ma dopo qualche minuto è tornato di nuovo dal nonno e con tono dolce gli ha chiesto: “nonno, dopo vieni a casa mia a giocare con me?”. Quella domanda-invito ha commosso il nonno perché Kosta, sia pur semplicemente, gli ha fatto capire che per lui il nonno era un amico; e cosa c’è di più bello per un nonno che essere considerato amico da un bambino, da un nipote!Finita la messa, i tre sacerdoti hanno ini-ziato a celebrare il sacramento del batte-simo. Davanti alla fonte battesimale, nel centro della chiesa, Kosta – dapprima in braccio a suo padre, poi in braccio a sua madre e da ultimo in braccio a una sua madrina – ha seguito attentamente i ge-sti, le preghiere dei celebranti, tenendo come loro le braccia allargate. Alla fine il sacerdote principale ha unto Kosta in varie parti del corpo con dei crismi ed ha versato sulla sua testa un po’ d’acqua benedetta (e quindi non ha immerso Kosta nell’acqua, come si fa di solito nei battesimi con rito creco-ortodosso, con buona pace della nonna paterna la qua-le temeva che con una vera immersione Kosta potesse prendersi un raffreddore e uno shock).Finita la funzione del battesimo, uno dei sacerdoti è andato dietro l’altare portan-dosi via il turibolo, il secondo ha chiuso il suo messale ed è uscito di scena; e il terzo, quello principale, è andato a se-dersi su una sedia dallo schienale ma-estoso.A quel punto molti fedeli si sono diretti verso la porta di uscita, pure la nonna materna di Kosta è uscita dalla chiesa con il suo nipote in maniera che il bam-bino appena battezzato potesse disten-dersi dalla concentrazione che aveva avuto durante la cerimonia. Il nonno paterno ha avuto l’impressione di uscire pure lui, anche perché in chiesa faceva freddo e senza cappello in testa temeva di prendersi un raffreddore. Fuori dalla chiesa il nonno è sceso dalla scalinata, ha attraversato la strada e si è messo al sole, per riscaldarsi.Dopo una decina di minuti è arrivata la nonna materna con Kosta e il nonno le ha proposto di sostituirsi a lei e di oc-cuparsi lui del nipote. Lei è rientrata in chiesa mentre il nonno si è avviato, con Kosta, lungo la strada in cerca di un bar per offrire al nipote, e per avere lui stes-so, qualcosa di caldo. Fatti due – tre-cento metri i due sono entrati in un bar, uno di fronte all’altro, e hanno ordinato due cioccolate calde. La cameriera ha portato due tazze di cioccolata piuttosto densa. Nipote e nonno si sono illuminati

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Momenti di vita

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Un battesimo d’altri tempi, anni Trenta: Giovanni Vialetto “dei Becari” e la moglie Maria nel giorno del battesimo del figlio Al-fredo. Si riconosce il padrino Antonio Sec-co “Caile” assieme alla sua sposa “Nea”.

e là, seduti uno di fronte all’atro, hanno passato una mezz’ora bellissima parlan-do della cioccolata, di come era buona e molto calda e di cosa bisognava fare per raffreddarla prima di portarla alla bocca con il cucchiaino.Alla fine la cameriera ha portato – di sua iniziativa –un grande tovagliolo di stoffa con il quale ha pulito la bocca, il naso e il resto del viso di Kosta che erano com-pletamente imbrattati di cioccolata.Usciti dal bar i due si sono incammina-ti verso la chiesa; il nonno pensava che ormai in chiesa non ci fosse più nessu-no; e invece, avvicinandosi ha notato che sulla gradinata della chiesa c’erano ancora varie persone, alcune delle quali sembravano agitate; anzi un paio di quel-le persone, quando hanno visto più chia-ramente che il nonno e il nipote stavano arrivando, hanno incominciato a fare dei gesti strani, a far segno di affrettarsi; con voce concitata e con un certo nervosi-smo, che la cerimonia del battesimo era si finita ma che – seguendo il rito orto-dosso – subito dopo Kosta avrebbe do-vuto essere cresimato e che il sacerdote stava aspettando.Rientrato in chiesa, il nonno – piutto-sto imbarazzato – ha presentato le sue scuse al sacerdote officiante il quale ha capito il malinteso, ma non ha trovato comprensione tra gli amici dei genitori di Kosta i quali si sono fatti beffe di lui. Il nonno però, anche se imbarazzato, si sentiva a posto con la sua coscienza; lui pensava che aveva certamente sbaglia-to ma in buona fede, aveva creduto che la cerimonia fosse finita del tutto e aveva pensato che in chiesa Kosta aveva avuto qualche colpetto di tosse che fosse bene dargli qualcosa di caldo; e aveva pensa-to anche che durante tutta la cerimonia Kosta si era comportato benissimo e che quindi meritasse la ricompensa.Il nonno ha raccontato in maniera one-sta la storia della cioccolata; i presenti gli

hanno creduto ma alla fine uno di loro, dopo averlo guardato bene in viso, gli ha detto che la cameriera avrebbe fatto bene a pulire anche le labbra del nonno di Kosta.Dopo il battesimo i genitori di Kosta han-no offerto un rinfresco a casa loro. Il non-no, non appena entrato in casa, ha do-vuto mantenere la promessa che aveva fatto in chiesa e, seduto sul pavimento, si è messo a giocare con il nipote.Il nonno partecipava al gioco ma con l’orecchio prestava attenzione ai discorsi degli ospiti che parlavano della cerimo-nia a cui avevano assistito poco tempo prima e dell’impossibilità di passare alla cresima di Kosta per l’assenza del cre-simando; alcuni dicevano che non ave-vano mai visto né mai sentito una cosa simile; ad un certo punto un giovanotto ha detto: “io mi immagino come si di-vertiranno gli amici di Kosta quando al suo matrimonio, dopo di aver indagato sul suo passato e sui fatti divertenti della sua vita, nei loro discorsi di circostanza racconteranno di quelle volte quando, tra la cerimonia del battesimo e quella della cresima nella chiesa di San Mau-rizio a Milano, lui se ne era andato con suo nonno a bersi una cioccolata calda. Allora il nonno è intervenuto subito nella conversazione di qui giovanotti, ha fatto notare loro che Kosta si era comportato benissimo sia in chiesa che al bar e che la responsabilità di un errore fatto in buo-na fede, cioè dell’attesa provocata, tra la fine del battesimo e l’inizio della cresima che avrebbe dovuto aver luogo subito dopo, non era del nipote ma di suo non-no, “un nonno cucco e barucco” quanto si vuole ma che aveva dimostrato di voler bene a suo nipote.Al momento del commiato Kosta ha det-to al nonno “Nonno, vieni ancora a tro-varmi e a giocare con me?”. Che bel finale! Quel nonno non avrebbe potu-to sperare in un saluto più bello, in una

sincera dichiarazione di amicizia dal par-te del suo nipotino e si è commosso.A quel punto per il nonno la storia del battesimo di suo nipote era finita; o me-glio lui credeva che fosse finita. Tornato al suo paesello, per vari giorni il nonno non faceva altro, non riusciva a far altro, che a pensare a ritroso a quanto aveva visto, sentito e vissuto a Milano. A volte gli capitava di ripensarci anche di notte: allora, immerso nel buio e nel silenzio, vedeva scorrere, nitidi davanti a sé, i vari momenti del battesimo del nipote come se fossero dei fotogrammi di un film: e ogni volta riviveva quegli attimi e risentiva le stesse emozioni.Una sera il nonno è andato a letto tar-di e, non appena coricatosi, è tornato con la mente a Milano a trovare Kosta; ma subito gli è venuto in mente che lui di nipoti ne aveva altri quattro, per i quali sentiva pure un gran trasporto, un gran-de affetto, ma che dal giorno del battesi-mo di Kosta aveva trascurato nel senso che non era andato a trovarli molte volte, mentalmente, come di solito faceva; allo-ra ha sentito una specie di rimorso e si è ripromesso che sarebbe andato a trovarli presto. Ma quei quattro nipotini abitava-no lontano, molto lontano, e per andare a trovarli avrebbe dovuto prendere l’ae-reo; e lui in aereo non ci era mai andato perché aveva paura. Il nonno, però, non si è scoraggiato ed ha escogitato il si-stema di volare sulle ali della fantasia: a volte sarebbe andato a trovare Kosta e a volte, anche per un senso di giustizia distributiva degli affetti, sarebbe anda-to a trovare gli altri quattro nipotini. Che gioia! A quel punto della notte il nonno ha spento la luce e con i suoi nipotini in testa si è addormentato subito, contento e felice.

s Giovanni Lovato

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Momenti di vita

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Carissimi parenti ed amici: È stata una bella cerimonia, quella del tra-slato dei resti mortali di Antonio Lazzarotto, del 9 novembre, alla Cappella della Trasfi-gurazione del Signore, che lui ha idealizza-to, dove ha ricevuto il Diaconato e dove si è realizzato il suo funerale. Siamo partiti camminando dalla casa dove ha vissuto a “Novos Alagados”, oggi La Casa di Musica Antonio Lazzarotto, L’urna era coperta con le bandiere del Bra-sile e della Società 1º Maggio. Cantavamo l’inno alla Santa Vergine“ Maria, Madre dei Camminanti”. La Filarmônica UFBERE ci ha ricevuto

nell’atrio della Cappella, al suono della canzone “O Sole Mio”, molto cara agli emi-granti italiani. Erano presenti il parroco di San Biagio di Plataforma, Don Stive, mis-sionário della Consolata, Keniano, i sa-cerdoti amici di Lazzarotto e partecipanti della Fraternità di Charles di Foucault, Don Antonio Oliveira, parroco di Periperi, ed il Fratello del Vangelo Don Giovanni Cara, le Suore Le Figlie dalla Chiesa. La comunità italiana era rappresentata dall’amico e vo-lontario Carlo Loria. La cerimonia della Santa Messa è iniziata nell’atrio della Cappella con l’Atto Peniten-ziale, con Don Stive e Don Oliveira. Dopo

si é formata una processione di entra-ta con la famiglia ed il fratello Don Giovanni Cara di fronte all’Urna. Cantavamo l’inno a Maria, “Con mia Ma-dre Sarò, nella Santa Gloria un Giorno”. La discesa dell’ urna nella tomba, è stata fatta dagli amici della Società 1º Maggio e Don Stive ha benedetto i resti mortali, e sparso Acqua Benedetta. Don Stive ha detto che Lazaro avrebbe ri-posato nella Casa Del Signore che lui ha aiutato ad edificare, non soltanto material-mente ma anche nella costruzione del Po-polo di Dio. Lui ritornava ad essere vicino a quelli che ha amato e ai quali ha dedicato

la maggior parte della sua vita. I frutti oggi già sono raccolti dalla gioventù che conti-nua la sua Missione. Nella omelia ha proclamato le parole del salmista: “Che il fiume che esce dal tem-pio, apre le sue braccia per la costruzione della Città di Dio”. Ha fatto un confronto con le braccia di Lazaro, che hanno aiu-tato ad edificare le comunità della Chiesa e quattro Cappelle a “Novos Alagados” e la trasformazione sociale della gente. Ha chiesto ai presenti il gesto di stendere le braccia verso i sui compagni, mentre cantavano il Salmo, perchè queste brac-cia continuassero la costruzione iniziata da Lazaro. La Celebrazione è stata seguita con de-vozione, silenzio e pace, e con delle belle canzoni.

Dopo la Santa Comunione, un paio di gio-vani dalla Filarmônica, evangelici, hanno fatto un omaggio con Il canto dell’Ave Ma-ria di Gunnot e Canzoni Gospel. È stato un buon momento di meditazione. Prima della benedizione finale, il celebrante ha invitato la vedova Vera a dire qualche parola e lei ha detto che sentiva la Pace e la Gioia di quel momento ed ha commen-tato i testi dell’Offertorio che erano un rias-sunto della vita vissuta da Lazarotto e del momento presente: il Vangelo secondo Giovanni, 12, 24-26:24 “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.” 25: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna.”; 26: “Se uno mi vuol servire mi segua, e

dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà.” E abbiamo la certezza che Lazaro è nelle braccia del Signore. Sulle pareti della Cappella c’era la Santa Sindone, della quale era devoto, che lui ha portato dall’ Italia, una offerta della sua Parrocchia di Santa Maria del Carmine, di Campolongo sul Brenta. La cerimonia è finita con il Cantico delle Creature, di San Francesco. Un caro saluto ed il ringraziamento a tutti gli amici e parenti.

s Vera Maria, Maria Gabriella,Angelo Antonio Lazzarotto

un’opera che continua

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Quando mi è stata lanciata l’idea ho accettato con entusiasmo: ero sicu-ra che prestare un periodo di sevizio sociale all’interno del carcere femmi-nile di Venezia sarebbe stata per me un’esperienza importante...

L’8 agosto sono approdata in laguna e mi sono unita ad un gruppo com-posto da 14 giovani (di varie età pro-venienti dall’Italia del Nord) e a delle suore con cui ho avuto modo di con-dividere momenti veramente intensi.

Alloggiati al convento di Frati del-la Giudecca era come vivere in un oasi di pace: il mattino era dedicato alla formazione, alla riflessione e alla conoscenza di noi stessi; nel pome-riggio ci recavamo alle prigioni ad intrattenere le detenute con lavoretti manuali (abbiamo cucito delle bor-sette, abbellito magliette, creato dei bigliettini di auguri e altre attività di de-coupage) e giochi per socializzare un po’ di più.

Il primo giorno l’ho vissuto in modo molto particolare…ero piuttosto emo-zionata, incuriosita dall’idea di entrare in un ambiente così diverso dal quoti-diano, un mondo a sé, sconosciuto e imprevedibile.

L’immagine del grande scalone d’ac-cesso alla sezione in cui erano rin-chiuse quelle donne mi ha partico-larmente impressionata…. Salendo l’odore di chiuso era intenso e un po’ pesante, i muri emanavano sofferen-za… In cima due agenti penitenziarie ci hanno accolto e fatti entrare… Noi giovani ci siamo sistemati in uno stan-zone in cui abbiamo disposto le sedie in cerchio….Sr. Marisa, Sr. Gabriella e Sr. Giovanna hanno invitato tutti a sedersi… Dopo esserci presentati scandendo bene i nostri nomi ab-biamo iniziato un intrattenimento con canti e buns al ritmo della chitarra… Extracomunitarie, italiane di varie età e perfino 7 bambini con meno di tre

anni sorridevano per quella nostra ventata di allegria…

“Se quelle donne sono in prigione un motivo ci sarà, ed è giusto che scon-tino la loro pena.. Chissà che colpa avranno commesso, avranno sguardi duri che intimorisco, saranno poco predisposte al dialogo….” Erano i miei pensieri in principio. Una volta scesa a contatto con loro tutto era diverso.. Quelle ragazze erano proprio come me, “normali”, con le loro fragilità, con i loro pesi sullo stomaco e il viso logo-rato dalla sofferenza..

Ricordiamoci che qualsiasi REATO lascia DOLORE in molte vite e la re-clusione è la giusta pena per chi lo compie. Ma che significato ha la prigionia se assume solo la forma di una lenta tortura? Spesso è ingiusto emarginare per sempre dal mon-do una persona, per quanto gravi siano le sue colpe, serve invece un

ESPERIENZANEL CARCERE FEMMINILE

DI VENEZIA

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8 Il Vento del Brenta • Dicembre 2008

carcere “aperto” (come quello di Ve-nezia) in cui esistano momenti di sano confronto, in cui vengano attuati per-corsi e attività rieducative atte a faci-litare il reinserimento delle detenute nella società una volta scontata la loro pena.. La comunità può essere un tramite importante per stabilire un contatto, un dialogo. Il volontariato può aiutare chi, pentitosi del reato commesso si sente solo e incom-preso, come un morbido “cuscinetto” può attutire il triste posarsi della fronte sulla dura e gelida sbarra.

Un momento piuttosto forte è quando abbiamo incontrato una ex detenuta che ci ha raccontato la sua esperien-za con molta apertura e chiarezza…dopo una decina di anni di carcere è riuscita a rifarsi una vita e a re-in-serirsi in società con una gran voglia di vivere e di riscattarsi per gli errori commessi. Lei ha cercato di vivere il carcere come un’esperienza da cui trarre vantaggi. L’istituto penitenziario di Venezia si impegna proprio nell’of-frire alle detenute una serie di oppor-tunità di impiego del tempo, come la coltivazione dell’orto, i corsi di co-smetica….

Un giorno speciale che ha creato una forte unione in tutti noi è stato il dì di

ferragosto in cui abbiamo organizzato una festa: noi volontari ci siamo re-cati in carcere al mattino per abbellire il cortile all’aperto con bandierine co-lorate e uno striscione dal titolo: “Le olimpiadi dell’amicizia”…. Le donne ci hanno aiutato ad apparecchiare la lunga tavolata con tovaglie e petali di rosa. Verso mezzogiorno ci siamo ac-comodati e ci sono stati serviti succu-lenti manicaretti e cibi molto gustosi fatti proprio con le loro mani….è stato piacevole mangiare con loro.. Sem-bravano aver già stretto un forte lega-me con noi….

Nel primo pomeriggio abbiamo dato inizio ai giochi….Ci siamo suddivisi in varie squadre, ciascuna con una maglietta dal colore diverso ma tut-te con una stessa scritta: NON AC-CONTENTARTI DELL’ORIZZONTE…CERCA L’INFINITO. Non c’ era più distinzione tra detenute e volontari!

Peccato che un acquazzone ci ab-bia cambiato i programmi facendoci trasferire in una grande stanza dove abbiamo cantato “ESAGERATA CA-RITA”, la “colonna sonora” di tutta la nostra esperienza …. Nell’aria si respirava una grande senso di unio-ne che accendeva anche in quei volti che prima trasmettevano solo

tristezza e malinconia, un sorriso ed un filo di speranza ….

Il 16 agosto nella cappella del carce-re, don Mauro ha celebrato il battesi-mo di un bambino, il piccolo Felipe, di 7 mesi. L’evento ha infuso forte com-mozione in tutti noi, le donne sem-bravano degli angeli luminosi. In quel giorno, colpe e frustrazioni erano solo un lontano ricordo. Il piccolo era Gesù bambino e noi tutti lo adoravamo..

Alla fine della messa alle nostre ragaz-ze sono state consegnate delle croci decorate con perline di vari colori. Al taglio della torta in onore del bimbo, i loro caldi luccichii creavano un’atmo-sfera gioiosa. Fu un momento di con-divisione intenso, indescrivibile…

In quegli attimi ho capito che non ave-vo soltanto dato a persone in difficoltà qualcosa di mio.. Avevo ricevuto da loro in egual misura.

Vorrei ringraziare in maniera molto sentita il gruppo di volontari con Sr. Gabriella, Sr. Marisa, Sr. Giovanna, le donne del carcere che mi hanno dato la possibilità di guardare oltre...

s Nicoletta Vialetto

Momenti di vita

Il 29 maggio scorso Teresa Zannini e Giovanni Vialetto hanno festeggiato i sessanta anni di ma-trimonio: alla coppia il nostro augurio (anche se in ritardo) di tanti anni sereni ancora insieme.

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Cose di casa nostra

IL SEGNODELLA GLORIA DEI SANTI

Le tre campaneMai avrei pensato che a Campolongo le campane suonassero così forte. Stamattina don Paolo in chiesa dice-va che le avevano sentite perfino a Ferrara.Io, invece, fisicamente nato sotto le campane, le ho sentite suonare fin da piccolo, le guardavo muoversi in alto, su nel campanile, seduto sul gradino di casa.Non ho mai perso un minuto di sonno per il loro suono - anzi! - e, quando telefonavo su a casa e suonavano le campane, mi fermavo nel mio con-versare e chiedevo a mia mamma che, per un attimo, me le si rifacesse per telefono ri-ascoltare.Ero in cimitero - il giorno dei Santi - quando Fiorenzo mi ferma e mi dice: “Mi fai un articolo sulle campane. C’è un certo Paolo che le sente come ru-more”.Nel mentre che mi parlava, suo-navano le campane in ricordo dei nostri Padri e il mio pensie-ro andò a Paolo l’Apostolo che

“campana della Verità” corse in lungo e in largo il mondo allora conosciuto per far conoscere il messaggio che le nostre campane, con il loro suo-no regolare, familiare e amico, ogni giorno diffondono e naturalmente ri-cordano.Quanti ricordi quelle campane!

Il segnoForse il primo ricordo che ho delle campane è quando ero in Brenta in-sieme con mia mamma che lavava la biancheria con il lavel. Si era in luglio, giusto la vigilia della Sagra. Di sabato. Le campane non smettevano di suo-nare. Saranno state le 4 di pomerig-gio. Un segno infinito con le campane alte a distesa. Sarà durato mezz’ora.Alle 5, poi, le campane cominciano di nuovo per un’altra mezzora. L’aria si faceva melodia ma ancora conside-ravo naturale il tutto. Che le campane suonassero di sabato era naturale preparazione della domenica suc-cessiva.Alle 6, infine, rieccoti un altro segno altrettanto lungo, forse più armonioso e questa volta più solenne. “Mamma, cos’è tutto questo scampanare?” - domando. “E’ la Madonna del Carmi-ne e tutto il paese si prepara alla fe-sta” - risponde naturale mia mamma. Mi sorprendo con me stesso per non averlo pensato da solo.Avrò avuto nove anni. Giusto 50 anni fa.Come preso da un’immediata insop-primibile curiosità, corro su in piazza, l’attraverso di corsa, allora macchine non ce n’erano, c’era ancora il ghiai-no, l’asfalto non si sapeva cosa fos-se. Vado sulla porta del campanile a vedere gli autori di tutto questo rumo-re, di tutto questo scampanio, di tutto questo frastuono che inondava non solo la piazza ma l’intero paese e tut-

ta la Valle del Brenta. Nessuno fiatava nel durante. Né dentro né fuori.Mi affaccio alla porta e vedo il Silenzio in Persona, vedo la Preghiera Incar-nata, vedo l’Attenzione fatta Presen-za: vedo Tre uomini in piedi - Uno sulla campana piccola - era Bin Bi-nea - Uno sulla campana media - era Chicchi Massaporchi - Uno sulla campana grande - era Nani Cam-panaro - con in mano una corda che saliva e scendeva dall’alto - come angelo - portando, al salire, nel cie-lo le nostre preoccupazioni e tirando giù, allo scendere dal cielo, altrettan-te grazie, consolazioni e benedizioni. A vedere l’impegno che mettevano questi tre uomini tante dovevano es-sere le prime come le seconde. Il Dio Uno e Trino pareva di vederlo, in quel luogo e in quei tre campanari, come si vede il Santissimo Sacra-mento sull’altare.A un certo punto c’è uno sfalso di campana, il ritmo viene perso, l’ar-monia si rompe d’incanto. Nel luogo c’è un vociare dispiaciuto, bisogna interrompere il segno. Non si è più in contatto con Dio. Il suono diventa ru-more. Bisogna ritrovare il silenzio.Immediatamente le corde rallentano, le campane si abbassano, gli uomini le affidano ai bambini che approfitta-no per farvi un’improvvisata altalena. Poi tutto si ferma. Tutto ritorna immo-bile. Eterno. Escono gli uomini, si rimettono la giacca e se ne vanno in silenzio per una mezza ombra di vino e con in mente il prossimo segno, il prossimo contatto, il prossimo collegamento con Dio.

Il segno della gloriaDa quella volta là, non ho più perso di vista le campane e come le si suo-nava. Dopo quel luglio, venne la Fe-sta dei Santi e la mattina le campane

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Cose di casa nostra

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suonavano tutto regolare.Alla sera, invece, era un concerto nuovo. Infatti, invece dell’Ave Maria ultima: alle 7 di sera - ora le 19.00 - c’era un primo segno con solo due campane, una alta l’altra a rintocco. Un buio attorno che si tagliava con il coltello, un freddo attorno che ti ta-gliava le orecchie e i piedi, in scarpe di pezza, irti di freddo. Allora non ci si vestiva come adesso, né le case erano calde, né il clima si era ancora cosi mitigato. Nel mentre il primo Ro-sario in cimitero.Alle 8 di sera - ora le 20.00 - c’era poi il secondo segno, sempre il Rosario - il secondo - in cimitero. Intanto mio papà preparava le castagne arroste al fuoco. Era uno spettacolo vedere le faville che salivano su per la cappa del camino: il pensiero al dies irae, dies illa solvet saeculum in favilla, nel mentre che le campane suonavano alte da morto e in cimitero si recitava - con la bocca, con il pensiero e con il cuore - ogni ricordata preghiera.Alle 9 di sera - ora le 21.00 - c’era, infine, l’ultimo segno. Non finiva più questo segno. Era l’ultimo, era come l’ultima preghiera che ogni Persona, tutto il Paese, tutta la Natura diceva a Dio Padre in ordine alle proprie Per-sone defunte. Dopo questa preghie-ra non ce n’erano altre. Erano finite. O meglio, era finito il fiato per dirle. Quel poco rimasto fumava a vapore.Dentro la luce non era molta. Fuo-ri era buio, ma proprio buio. Le luci erano puntuali qua e là e le ombre si allungavano a fantasma. Si aveva paura ad uscire, paura a camminare per la strada. L’unica consolazione le castagne che il papà aveva preparato per tutti, conservate in un sacco (bu-garol) che le teneva calde morbide al dente e che ora insieme a tavola si mangiavano.Si era tristi, mesti, riflessivi. Quand’ec-co verso le 11 - ora le 23.00 - il Se-gno della Gloria. Le campane, sciolte nel buio della notte, lo riscaldavano a giorno a luce di festa. E, in un attimo, tutto diveniva Natale, Capodanno,

Pasqua, Pentecoste, Sant’Antonio, il Corpus Domini, la Sagra, Maria Bambina, la Beata Giovanna, San Rocco, la Scuola, l’Ave Maria Pri-ma, l’Ave Maria Ultima, Mezzogiorno, l’Angelus, il Transito, la Campana della Scuola, la Campana a Martel-lo, il Segno degli Sposi, il Segno del Battesimo, il Segno della Dipartita, il Silenzio del Venerdì Santo, il Segno delle Gloria di Pasqua, la notte del Sabato Santo.Che segno, il Segno della Gloria. Che notte, la Notte dei Santi. Che splen-dore quel loro silenzio!E ogni paura passava. Il tempo eter-no si faceva presente, il buio si fa-ceva luce, le preoccupazioni si tra-mutavano in speranza e tutti tranquilli si andava a letto a dormire pronti a ripartire il giorno dopo per la scuola o per il quotidiano lavoro.

La campana si rompeA furia di suonarle anche le campa-ne si rompono. Toccò a quella più grossa, chiamata Campanon. Se le si guardano le campane da vicino si vede che ognuna è decorata, ha come i suoi merletti, le sue insegne, il suo nome. Nome che è come il tim-bro del suo suono. Ecco che quando il bronzo si incrina, si crepa, si segna, la campana suona falso, non è più lei. Bisogna portarla alla fonderia per farla rinsaldare di nuovo. Che emozione, che dolore, che si-lenzio.Le campane non suonavano più, non c’era più orologio, più spia alle 11,30 di giorno né di notte, non più Angelus di mezzogiorno, non più - nel transi-to - la distinzione tra uomo e donna dipartente.Non più accoglienza per gli sposi, né per il bambino che nasce, né per i giorni di festa la domenica.Il solo segno possibile e rimasto era-no le campane a morto. Neanche quelle a dir la verità perché a rintocco basso serviva anche il Campanon a volte.Venne la carrucola, si calò la

campana, a terra, in piazza. Povera campana. Non pareva ferita. La si ca-rica su un camion, sparisce. Va lon-tano. Che mancanza, che dipartita, che dispiacere.Sarebbe tornata quella campana?Sì, a un certo punto è tornata. Solo adesso capisco quanto l’ho aspetta-ta quella campana. Pensavo di non vederla più tornare, tanto erano pochi i soldi che avevamo per aggiustarla e quanto tanti erano, invece, quelli che servivano per ripristinarla a tono.

Le campane sono tornateInvece è tornata. Era la stessa. Sembrava più bella, ma alla base aveva - nella parte in cui si era incrinata - una zona rossa a ret-tangolo. Sarà stata alta 30 centimetri e larga altrettanto, quella zona.L’hanno issata con la carrucola su su, piano piano, lentamente, su nel campanile. Arriva alla prima finestra, poi alla se-conda, infine alla terza, arriva all’al-tezza dell’orologio, che già riprende a suonare, lo supera, arriva alla cella campanaria, vi entra, vi si asside, la si posa, quasi si siede, la si calibra, la si coordina. Le si applica la corda, la fune che si fa scendere per l’apposita asola del primo pavimento, poi per quella del secondo, infine del terzo, per arrivare là nel luogo dove i Tre Uomini di prima sono già pronti.Si sputano sulle mani, quegli uomini. Prendono la corda, ciascuno la pro-pria, come scala elevata verso il cie-lo. E iniziano a salire di nuovo nel silenzio dell’andare regolare del suono. Mai da quella volta, mai hanno smes-so quegli Uomini di pregare. Mai!Sì, le campane sono tornate e ascol-tarle ne refissia il cuore. Grazie, Pa-olo.2 Novembre ’08 - Giorno dei Morti che sono i nostri Santi

s racconta: Valerio Bonato

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Rovistando nei cassetti

Dai cassetti salta fuori anche una lettera in franchigia, scritta da uno dei tanti soldati impegnati sul nuovo fronte che si era formato dopo la rotta di Caporetto.

Il soldato Pietro Versini, del 6° Reggimento Alpini, addetto alle salme-rie, scrive questa cartolina il 5 dicembre 1917, una settimana prima della partenza per il profugato della popolazione di Campolongo.

La missiva viene spedita tramite l’Ufficio postale militare che aveva sede in località Zannini.

Noaltri in gita se ‘ndava fin su a grota de Guaiva.

Desso i va a Venessia, Roma o anca fora da l’Italia!

Partendo dall’alto a destra si riconoscono:

Romildo, Adelino, Giuseppe Benacchio, Federico,

Efrem, Luciano, Adriano, Bruna, Liana, Ivana, Anna

Rita, Irene, Fernanda, Rita (una delle tre gemelle).

Qualche volta me xe capità de ledar na filastrocca, na poesia o calcossa in dia-eto e desso, rifandome a la sigla musi-cae dea trasmission sportiva “Quelli che il calcio...” che a ripeteva ”noi che...” in abbinamento a robe dei ani 50/60, me piasaria simpaticamente ricordar alcune robe de chi, come mi, el xe sta xova-ne in quei ani, contandoghe ai tosati de desso come che xe cambià el tempo, confrontandolo con queo che ghemo vissuo noaltri...

Noaltri che... semo vegnisti al mondo nei ani sinquanta e sessanta, quando che semo nati ghivimo i oci sarai e ghe ghe-mo messo quasi un mese par verderli... desso i tosati i nasse xà con i oci verti e i te varda curiosi...

Noaltri che... quando che semo nati i ne ga messo e fasse par tegnerne strete

e gambete e i ne meteva i panni fati a triangoeo fra e cueatte par tegner rento e cache. E nostre mame e lavava i panesei e i li picava al sol o visin a fornea parchè i se sugasse.

Noaltri che.. ghemo sempre creduo che Gesù Bambin ne portasse i regai de Na-tale. Desso i tosati in casa i sente molto poco parlar de Gesù e de regai i ghe ne ciapa tutto el tempo de l’ano.

Noaltri che... credivino che i tosati li por-tasse a cicogna... desso apena i impara a parlar i te spiega anca “scientificamen-te” a storia dei semini e i te conta che i xe stai par nove mesi nea pansa de so mama.

Noaltri che...’ndavimo a scoea col tra-verson nero e col coetto bianco... i ne diseva che xera par non crear distinsion, ma tuti savivimo istesso chi iera el toso

del lataro, chi del fornaro o dell’impiegato dell’Enel. Desso i scolari i va tutti vestii da festa... uno xe vestio da Benetton, uno da Valentino, da Armani, da la Diesel de Renzo Rosso...

Noaltri che... a dotrina imparavimo e cre-divimo che tutti i omeni i fusse precisi parché ierimo nati tuti qua. Desso nea stessa classe che xe tosati slavi, serbi, africani, cinesi,... par fortuna che quando i xuga insieme no i varda né al vestito né al coeor dea pelle e gnanca a la reigion de so pare o de so mare.

Noaltri che... gavivimo nostro pare che ‘ndava forse na volta l’ano a trovar el ma-estro, el ghe portava na botiglia de vin e quando ch’el tornava casa el ne bravava parché no gerimo stai atenti. I genitori al dì de uncò i va ai Consigli de Classe par dirghe ai maestri o ai professori cossa che i ga da far e par negar assoutamente e monade dei so tusi.

Noaltri che...xugavimo el baeon in pias-sa, a cani e givri, fora caena, ae baete, ai querciti sui scaini dea ciesa. El pì sior el gheva na machineta a molla o un tre-nin e le tosate na bamboea de pessa. Desso a un tosato no te sé pì cossa regaearghe: i ga tutto, qualsiasi cosa e se te ghe domandi par esempio come funsiona la play-stassion dopo che el te la ga spiegà a te continui a non capir, sentendote anca un po’ indrio...

s Luciano de Pompeo

continua...

NOALTRI CHE...SEMO NATI NEI ANI 50/60

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Notizie flash

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Condoglianze

Il 29 marzo scorso è venuto meno Lorenzo Orlando, di anni 86. Alla moglie, al figlio e ai parenti tutti giun-gano le nostre più vive condoglian-ze.

Il 23 luglio scorso è mancata all’af-fetto dei suoi cari Rosa Scremin, di anni 88. Ai figli e parenti giungano i sensi del nostro cordoglio.

Dopo una breve malattia i primi di ottobre è mancata Sonia Pellizzari, figlia di Sebastiano e Lina Bonato, residente a Genova. Al marito, ai ge-nitori e parenti pervengano le nostre sincere condoglianze.

Fiocchi rosae azzurri

In questo anno un buon numero di fiocchi rosa o azzurri hanno rallegra-to le nostre contrade:

Andrea Mocellin, di Francesco e Bassetto Giovanna, nato il 1 febbra-io; Asia Moro, nata il 13 febbraio; Lucia Vialetto, di Alessandro e Sara Cavalli, nata il 9 aprile; Ivan Zannini, di Mirko e Jenni Vialet-to, nato il 19 maggio; Luca Scramoncin, di Marco e Paola Battocchio, nato il 1 agosto; Marco Zannini, di Dario e Tiziana Be-nini, nato il 7 agosto.

Fra i residenti fuori paese ci è giunta la notizia della nascita del primoge-nito di Michela Tomasini e Massimo Pironi, residenti a Bassano.

Ai neonati ed ai loro genitori giunga-no le nostre più vive congratulazio-ni.

Fiori d’arancio

Manuel Mocellin (di Alfio e Silvana) e Sara Toniolo si sono uniti in matrimo-nio il 26 aprile scorso.Ai due sposi che risiedono in paese giungano i nostri auguri e felicitazioni vivissime.

Il 6 luglio scorso Marianna Mocellin (di Alfio e Silvana) e Mauro Secco hanno coronato il loro sogno d’amo-re. Alla coppia, che si è stabilita in paese, auguriamo un futuro denso di felicità.

Martina Bastita (di Piero e Sandra) e Riccardo Polo si sono uniti in matri-monio il 25 aprile scorso.Ai due sposi, che risiedono fuori paese, giungano le nostre più vive felicitazioni.

Confetti rossi

Il 2 ottobre scorso, presso l’Istituto Universitario di Architettura a Vene-zia, si è laureato, in Scienze dell’Ar-chitettura, Stefano Vialetto figlio di Fiorenzo ed Annarita. Al neodottore, che sta proseguendo gli studi per conseguire la laurea specialistica, auguriamo un futuro denso di sod-disfazioni.

Lo scorso 13 ottobre, presso l’Uni-versità degli Studi di Padova, Fede-rico Bonato, di Floriano e Anna, ha

conseguito la laurea in Tecnologie Forestali ed Ambientali.

Il giovane proseguirà il suo impegno per conseguire la laurea specialisti-ca. Al neo dottore ed ai suoi genitori giungano i complimenti più vivi.

Il 20 ottobre scorso Monica Benac-chio, figlia di Giovanni e Michela Volpe, residente a S. Nazario, ha conseguito la laurea specialistica in Giurisprudenza presso l’Università di Padova. Congratulazioni vivissime ai genitori ed alla neo laureata.

Il 1 dicembre scorso, presso l’Uni-versità di Bologna, Maria Luisa Pa-rolin (figlia di Antonio ed Armida), residente a Bassano, ha conseguito il titolo di “Dottore in Conservazione dei Beni Culturali, Storici e Artistici”.

Da parte nostra le giungano le mi-gliori congratulazioni e l’augurio di una carriera ricca di soddisfazioni.

Anche Matilde Bonato, (figlia di Vale-rio e Patrizia Ferrazzi), ha conseguito la laurea triennale in Filosofia presso l’Università di Padova con il punteg-gio di 110/110 e lode. Ora prose-guirà il suo impegno per conseguire la laurea specialistica.

Al neo dottore ed ai suoi genitori giungano i complimenti più vivi.

Notizie dalla farmacia

La farmacia di Campologo è stata definitivamente assegnata alla dr.ssa Zago, che fino ad ora la conduceva in gestione provvisoria. Auguriamo alla dr.ssa Zago un buon lavoro.

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Lo scorso mese di giugno si è spento Mario Rigoni Stern.

Molti lo conoscono per essere l’autore del “Ser-gente nella neve”, ma numerosi sono i suoi li-bri che parlano dell’esperienza della guerra, di montagne e boschi, della memoria...

Fra i tanti estimatori che lo hanno apprezzato c’è anche Sara, che ha avuto l’onore di una ri-sposta scritta da parte dello stesso scrittore...

“Asiago, 15 ottobre 2005

Cara Sara Vialetto,

la ringrazio per la sua lettera e sono contento di farle un po’ di compagnia con i miei raccon-ti.....

....le auguro un bell’autunno colorato e buona salute.

Mario Rigoni Stern”

COME DIVENTARE RE?

Come diventare re??? È una bella do-manda…tutti vorrebbero diventarlo e nel camposcuola che si è svolto al Villaggio Tabor di Rubbio dal 20 e al 26 luglio i 35 bambini delle elementari dell’U.P. di Val-stagna e Campolongo hanno raggiunto il loro scopo: quello di diventare qualcuno attraverso la conquista di sette chiavi, ad esempio la chiave dell’amore, della fede e della vita; i nostri bambini sono riusciti a conquistarle tutte e a diventare re.

Grazie a tutti gli animatori, soprattutto del capocampo Davide, attraverso delle sce-nette (chiamate “aggancio”) e le attività abbiamo cercato di trasmettere ai bam-bini il significato di ogni chiave giorno per giorno (l’amore, la vita, il mondo, la fede, la vocazione). Nell’aggancio c’erano vari personaggi, interpretati dagli animatori, che con le loro buffe ma significative per-sonalità riuscivano a far divertire i bambini e lanciare loro un messaggio di vita im-portante..

Anche i giochi erano legati al tema del giorno e vi assicuro che i bambini si sono proprio divertiti soprattutto con i giochi con l’acqua, ma anche con quelli di abilità e di intelligenza. Una delle cose che ha

entusiasmato di più i bambini sono stati i giochi notturni, rendendoli più coraggiosi di qualche animatore o animatrice!!!

Anche nel tempo libero si stava insieme e si giocava, magari anche con qualche scherzo, ad esempio scrivendo frasi con i pennarelli sulle braccia, sulle gambe e sulla schiena (povero il nostro capocam-po!).

Oltre agli animatori per i bambini ma an-che per noi più grandi c’erano don Fabio e don Paolo di Campolongo che con la loro presenza e i loro consigli ci hanno aiutato ad essere animatori e soprattutto educatori.

Non possiamo proprio dimenticare le nostre care cuoche Marisa e Nerina e il cuoco Gianni che con i loro buoni pranzi e cene ci hanno fatto sentire re e regine.

L’augurio alla fine del camposcuola che ci siamo scambiati era proprio quello che il nostro essere re ci aiutasse a capire e gustare sempre più la ricchezza e il valore della vita e della nostra giovinezza.

Un grazie di cuore anche a tutti i bambini e le bambine per il bel camposcuola che abbiamo vissuto insieme.

s Martina Manachini

CAMPOSCUOLAACR ELEMENTARI 2008

Cose di casa nostra

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Cose di casa nostra

Camposcuola 5ª elementare, 1ª e 2ª mediaAnche quest’anno il Camposcuola per i ra-gazzi di 5^ elementare, 1^ e 2^ media è stato organizzato insieme alla parrocchia di Campolongo sul Brenta, a Rubbio dal 27 Luglio al 2 Agosto. Il tema del Camposcuo-la si pone in continuità con l’atteggiamento che si è cercato di trasmettere all’Acr e nelle feste proposte durante l’anno: la strada per la realizzazione di sé. Questo argomento ha voluto far crescere nei ragazzi la consape-volezza che il Signore riserva per ognuno una strada da percorrere per realizzare la propria vita.Accompagnare un ragazzo a diventare adulto è mostrargli la strada per cui è stato creato, è mostrare quel regalo che porta dentro di sé per il bene di tutti, è

fargli desiderare una vita bella e piena!

A guidarci, tappa dopo tappa, la figura di San Francesco, che, invece di seguire la volontà del padre, ha seguito la chiamata di Dio. Al suo fianco Ricky, un ragazzo deter-minato che, grazie all’aiuto della sua amica Nico e ai consigli di nonno Gervaso, riesce a coronare il suo sogno più grande: diven-tare Re. Per raggiungere il suo scopo, il protagonista, aiutato dai ragazzi, ha dovuto affrontare svariate prove per conquistare le chiavi necessarie a raggiungere il trono.

Senza contare la serata d’arrivo, dove il tem-po è stato poco per conoscersi, nei giorni successivi si sono formate nuove amicizie, il gruppo si è amalgamato bene nonostante i soliti scherzi. Giorno per giorno i ragazzi hanno dimostrato il loro grande entusiasmo di fronte alle divertenti e stimolanti attività proposte da noi animatori. Come ogni anno il momento più atteso della giornata ere la serata, non si sa se per i giochi notturni o per tenerci svegli tutta la notte.

Ad allietare la nostra permanenza a Rubbio ci hanno pensato i cuochi Giovanni, Angela e Secondina, che con i loro piatti sempre deliziosi, come la pizza e la grigliata, ci han-

no aiutato ad affrontare l’intensità delle gior-nate proposte da noi animatori.

In particolare il Mercoledì siamo andati in escursione a Rubbio, e dopo esserci im-mersi appieno nella natura e aver fatto nu-merosi e divertenti giochi, abbiamo man-tenuto viva la tradizione ritornando a casa scalzi, sotto lo sguardo incredulo di tutti i ragazzi.

Come ultima serata abbiamo voluto diver-tirci noi animatori facendo degli scherzi ai ragazzi che sono stati al gioco. Ci siamo così divertiti facendo divertire!

Portate ancora il Tau? Speriamo di riveder-vi numerosi durante l’anno all’Acr. All’anno prossimo!

Grazie a tutte le persone che ci hanno aiutato e hanno reso possibile e piacevo-le questa esperienza di vita, in particolare Don Paolo da Campolongo e Don Fabio da Valstagna, i quali hanno presieduto i vari momenti di preghiera.

s Gessica Temperato,

Mara Mocellin

14 Il Vento del Brenta • Dicembre 2008

La simpatia, l’amicizia che nutro per Antonio Bonato, per questo mio paese, mi hanno portato qui con voi, stasera, a far festa, a condividere la gioia di un dono, a cogliere dal nido dei ricordi, punti dalla spina della nostalgia, a riscoprire ed alimentare le radici del nostro futuro.

Stentiamo a cogliere il senso della nostra esistenza. Il Paese, l’Italia, non ha più un baricentro, non ha più una meta (scriveva l’altro giorno sul Corriere, un acuto osserva-tore come Ernesto Galli Della Loggia).

Abbiamo perso il gusto del sapere, del Pas-sato, della Bellezza. Dobbiamo riprendere il senso della nostra identità.

Il Paese è inerte. É venuta meno una ener-gia interiore. Abbiamo perso il senso e la ragione del nostro stare insieme. Anche il coraggio di progettare il nostro futuro.

Certo, non possiamo dire di avere la for-za di progettare il futuro se non abbiamo ben salde le notizie della nostra storia, non conosciamo da dove veniamo, non cono-sciamo il nostro passato. La nostra stessa libertà viene alimentata dalla conoscenza.

Non possiamo dirci liberi se non abbiamo chiara la nostra identità e non sentiamo vivo e fervido il senso di appartenenza.

Ecco perché sostengo che quello che ci viene offerto stasera è uno straordinario dono. Il dono di una vita di ricerche, la sin-tesi di uno studio che pareva interminabile, quello a cui Antonio Bonato ha dedicato anni intensi di ricerca, scavando negli ar-chivi, scrutando nei catasti, camminando questo paese in lungo e in largo, per ritro-vare le tracce, le tracce di un passato che è colpevole ignorare.

Siamo naturalmente esseri sociali.

La stabilità del nostro “Io” dipende dal no-stro rapporto con la società e la storia.

Abbiamo bisogno degli altri, di sentirci uniti, di condividere un progetto, di prodigarci per qualcosa che vale.

Oggi, in una società sempre più multicultu-rale, “liquida” e complessa, c’è bisogno di tornare ad investire nei valori, nella espe-rienza delle nostre tradizioni.

Non si può fare a meno di pensare al pas-

segue da pg. 2“TOPONOMASTICA

E ONOMASTICA STORICA” DI CAMPOLONGO

sato. La storia allora vale di più: è il raccon-to del “paese dell’anima”, che attinge alle nostre origini e non ha confini di tempo e di spazio, anche se racconta un paesag-gio “locale”, ben definito, se parla di uomi-ni semplici, di gente ricca spesso solo di una saggezza e di una spiritualità umili, che partivano dalla natura, dall’ambiente, per elevarsi a Dio, come dire per passare “dal tempo all’eterno”.

Eccoci qui allora a parlare del nostro “paese dell’anima”.

Con suggestioni ed emozioni. Quello che abbiamo tra le mani, “Toponomastica e onomastica storica” di Campolongo (editore Attilio Fraccaro), non è un racconto nel sen-so letterale del termine. Lo si può sfogliare come si vuole, approfittare dei singoli capi-toli, ala ricerca di quanto ci interessa di più. E’ un libro scientifico, originale, soprattutto curioso. Ci dà mille risposte. Ci fa capire, anche, che non siamo nati qui, per caso, che le nostre radici sono profonde.

300 toponimi, nomi di luoghi e località, un territorio vivisezionato, riletto a partire dai primi documenti, quelli che annotano la presenza del paese poco dopo il Mille, poi l’indagine attorno al Quattro-Cinquecento, quindi i catasti napoleonici e austroungarici dell’Ottocento, le indicazioni delle contrade e dei cognomi storici, quelli più antichi e

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Il Vento del Brenta • Dicembre 2008 15

presenti nel tempo. I nomi legati al territorio, come quelli dei luoghi colti dall’acqua, dalla conformità del terreno, dalle coltivazioni. E poi le immagini di Campolongo di ieri e di oggi, con le sue annotate trasformazioni. Dal primo insediamento in Gualiva, poi giù giù nel fondovalle. E i cambiamenti di nome delle vallate. Piante, planimetrie, e ancora immagini, e le curiosità di quel castagno della circonferenza di 6 metri e mezzo, al cui interno cresce perfino un noce.

Antonio Bonato si è divertito a stuzzicare le nostre curiosità.

Ma da ricercatore assennato e affidabile documenta, annota meticolosamente tutto. Disegna addirittura alberi genealogici stiliz-zati, scoperte le nostre esistenze avite, fini-sce con l’indicare i cognomi presenti oggi, a testimoniare una diffusa multiculturalità che impegna ancor di più la nostra memo-ria a far tesoro dei ricordi, e soprattutto delle “carte”, degli stessi glossari che danno si-gnificato e valore alle affermazioni.

C’è una legge sociologica – mi pare si chiami “legge di Hansen” dal nome dello studioso che l’ha proposta e verificata - la quale in sintesi sostiene che: “Ciò che i figli desiderano dimenticare, i nipoti chiedono di ricordare”.

Basta dunque togliere un po’ di ruggine alla memoria e fissare i temi e i luoghi del nostro vissuto.

La certosina passione dello storico ha fatto il resto. Ha dato ordine e compiutezza alle ricerche, valore e notorietà agli istanti tra-scorsi, alle conquiste realizzate, ha indagato nel tempo e documentato i ricordi, scavato negli archivi, ridato aria e luce agli scaffali, per descrivere un itinerario percorso dai no-stri avi, ed oggi ci consegna la nostra storia, la storia di una comunità.

Ed ecco la nostra storia, quella del borgo e delle contrade, delle aree montane, del-le terre di confine, dai Vialetti ai Tovi, dagli Orlandi agli Zannini, dai Volpi a Contarini, dai Bonatoni a Conti di sopra e di sotto, le pagine sull’Isola e su Gualiva, su Coltegno e Fagarè, sul Palazzo o Pian de le Mone-ghe, micro-storie nel contesto generale, da leggere ed osservare con occhi nuovi per interpretare e capire il “chi siamo”, “da dove veniamo” e costruire il nostro “dove andremo”.

Certo c’è un po’ di nostalgia in tutto questo. Ma è sana nostalgia.

Diceva un giorno Mario Rigoni Stern: “Non vorrei tornare indietro. Non vorrei tornare in-dietro, ma… una volta si cantava. Ora non più!”.

Questa nostra storia, come emerge dal-le pagine del libro di Bonato, è una storia semplice, di grande dignità, di straordinaria ricchezza interiore, quella ricchezza prodot-ta da uomini semplici e umili, da gente forte e tenace, orgogliosa della propria appar-tenenza, senza eroi, senza figure di primo piano, cresciuta attorno alla chiesa, all’om-bra del campanile, i luoghi della preghiera e della riflessione ma anche i luoghi della comunità civile.

Potrebbe anche apparire una non-storia.

Essa racconta – e ci basta – le piccole-grandi storie individuali e familiari, magari qualche storia segreta. Ci emoziona ria-scoltarla.

Ripassando le pagine, scorrendo i capitoli di questo ponderoso tomo, ci sentiamo più forti, più ricchi, abbiano allargato le nostre conoscenze, ampliato le nostre certezze, sono più salde le radici, forse ci emozione-remo pure nel ripassare date ed immagini.

Saremo tutti più ricchi – dicevo – perché da stasera abbiamo ancora un altro dono, e un dono prezioso, da fare ai nostri figli. Dobbiamo essere grati ad Antonio Bonato ed a quanti (presenti e assenti, ma stasera sicuramente tutti qui con noi) lo hanno aiu-tato nell’impresa.

Se mi consentite vorrei chiudere proprio dedicando ad Antonio Bonato i versi di un grande mistico e poeta persiano, Hafiz (il suo nome pare significhi “colui che cono-sce a memoria il Corano”, il suo canzoniere ispirò pure Goethe), che un giorno ebbe a descrivere così “Il saggio”:

“Ero perso con lo sguardo verso il mare, ero perso con lo sguardo nell’orizzonte, tutto e tutto appariva come uguale; poi ho sco-perto una rosa in un angolo del mondo, ho scoperto i suoi colori e la sua disperazione di essere imprigionata fra le spine non l’ho colta ma l’ho protetta con le mie mani, non l’ho colta ma con lei ho condiviso e il profu-mo e le spine tutte quante”.

Campolongo sul Brenta, 24 luglio 2008

s Gian Domenico Cortese

Cose di casa nostra

Non è sempre semplice per la

Redazione del Vento riuscire a

prendere nota o anche solo essere

a conoscenza degli avvenimenti, lieti

e tristi, che punteggiano la vita della

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Inoltre la fretta dell’ultimo momento

o qualche errore in fase di impagi-

nazione può portare ad involontarie

dimenticanze o inesattezze.

Rinnoviamo a tutti i lettori l’invito, già

formulato più volte, a darci una mano

in questo senso, facendo riferimen-

to, nel caso di dimenticanze, alla

Redazione e facendoci pervenire un

appunto con i dati dell’evento che

gradiscono sia riportato nelle pagine

del Vento.

Intanto ci scusiamo per le dimenti-

canze del numero precedente.

Grazie.

La Redazione

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Foto di gruppo di alcuni parrocchiani di Campolongo

che dal 13 al 17 ottobre si sono recati in pellegrinag-

gio a Roma.