IL TRIBUNALE DI TERAMO Memoria difensiva ex art. 121 c.p.p. memoria ex... · della medesima...
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G I O V A N N I C A V A L L O AVVOCATO
Via della Bufalotta 1281, 00138 Roma [email protected]
cell. 3384823088 – fax 0687294842
IL TRIBUNALE DI TERAMO
Memoria difensiva ex art. 121 c.p.p.
Procedimento penale n. 7833/12 R.G.N.R. n. 2066/2014 R.G.G.I.P.
Udienza dibattimentale del: 3/06/2015
Nell’interesse di DI MARCO DAMIANO, nato il 18.5.1975 ad Atri e residente a Castellalto, loc.
Castelnuovo Vomano, Via Molise n. 33, nel procedimento penale n. 7833/12 R.G.N.R., imputato
per il reato p.e p. dall’art. 372 c.p. perché deponendo come teste nel procedimento R.G.N.R.
1311/09 Reg. Dib. 1184/11 all’udienza del 18.7.2012 davanti al Giudice Monocratico del Tribunale
di Teramo, interrogato su cosa aveva visto in merito ai litigi tra T. P. e la di lui moglie taceva ciò
che sapeva intorno ai fatti sui quali era interrogato. In Teramo il 18.7.2012
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La difesa dell’imputato, in merito all’ipotesi di reato a questo ascritto, ritiene opportuno presentare
una memoria sugli elementi soggettivi ed oggettivi del reato di reticenza mancanti nel fatto ascritto
all’imputato, per i motivi in fatto e in diritto che di seguito si specificano.
IN FATTO
Il Di Marco, come più volte è stato ribadito dallo stesso in occasione della deposizione testimoniale
per cui è imputato, è ministro di culto ai sensi dell’art. 6 dello Statuto della Congregazione Cristiana
dei Testimoni Geova, da ora C.C.T.G., (cfr. all.ti . n.ri 1 e 2), Confessione religiosa riconosciuta
con D.P.R. 31 ottobre 1986 n.783 (all. n. 3), e con la quale lo Stato italiano ha stipulato l’Intesa in
data 4 aprile 20071, da convertirsi in legge.
Il sig. Di Marco all’epoca dei fatti per cui è imputato era assegnato a svolgere la sua funzione
ministeriale e pastorale “con cura d’anime” presso la Congregazione dei testimoni di Geova di
Castellalto Est, gruppo di lingua romena (all. n. 1). I coniugi T. sono entrambi fedeli e praticanti
della medesima comunità, e, a motivo delle loro gravi difficoltà relazionali, si avvalevano
regolarmente dell’assistenza spirituale dei loro ministri di culto, tra cui il Di Marco.
1 consultabile in:
http://www.governo.it/Presidenza/USRI/confessioni/intese2007/Intesa_Congregazione_cristiana_testimoni_geova.pdf;
2
Una sera del mese di luglio 2008 (nessuno ricorda il giorno preciso), alle ore 20,00 circa, il sig. P.
T., chiamò al telefono il sig. Emanuele Rocci, ministro di culto della loro congregazione, al quale
chiese di potergli parlare immediatamente per ricevere aiuto spirituale in quanto aveva avuto dei
diverbi con la moglie, sig.ra L. N. Il sig. Rocci per disposizione confessionale del proprio culto, che
prevede in caso di seri problemi di recarsi in due per l’opera di cura d’anime (altrimenti detta visita
pastorale, cfr. all. n. 4) chiamò l’odierno imputato perché lo accompagnasse.
I due ministri di culto, nonostante l’ora tarda, per assolvere il loro ministero nell’assistere
spiritualmente la coppia di coniugi fedeli in crisi, si recarono a casa del T. dove era richiesto il loro
ministero pastorale (cfr. all. n.ri. 4, 5).
Successivamente, entrambi i ministri di culto sono stati chiamati a testimoniare su fatti, circostanze
e notizie apprese durante il loro ministero pastorale (attività pastorale, sostegno emotivo e spirituale
secondo i canoni religiosi propri della loro Confessione) svolta nella suddetta circostanza.
Come bene si evince a pag. 16 delle trascrizioni del verbale d’udienza del 18 luglio 2012 l’Ill.mo
Giudice dibattimentale, in sede di esame, rivolgendosi al Di Marco afferma: “lei non ci deve riferire
sui contenuti del colloquio legati alla sua funzione pastorale, semplicemente deve dire che cosa ha
notato con i suoi occhi quando è intervenuto …. No, ma lei, quando mette piede nell’ambito di un
appartamento non sta ancora esercitando quella che è la sua funzione”. Mentre alle pagg. 18-19
lo stesso Ill.mo Giudice chiedendo al Di Marco delucidazioni sulla “confessione” e sul luogo in cui
è avvenuta la visita pastorale, confonde il significato del termine “segreto confessionale” in quanto
lo associa unicamente al contesto religioso cattolico, immaginando che il Di Marco, al pari dei
sacerdoti cattolici, nell’esercitare tale funzione dovesse vestire con “paramenti sacri”, e trovarsi in
un “tempio” durante la “confessione”:
“Giudice - Ma c’era una cerimonia religiosa da svolgere all’interno?
Testimone, Di Marco D. - No, no.
Giudice - Voi portavate dei paramenti sacri? Era un tempio?
Testimone, Di Marco D. - Che vuol dire?
Giudice - É il vostro tempio, la casa di... à la Casa del Signore, la casa di T. ?
Testimone, Di Marco D. - No, che c’entra!
Giudice - Voi avete un tempio, sì?
3
Testimone, Di Marco D. - È chiaro, sì.
Giudice - Dove fate la...
Testimone, Di Marco D. - Abbiamo delle sale.
Giudice - Ed in quel momento l’attività pastorale... Lei si rende conto che non è un’attività che la
esime dal riferire?
Testimone, Di Marco D. - Lo so cosa... Comunque come i sacerdoti hanno i loro...
Giudice - Era la confessione, era una confessione? Voi riconoscete l’istituto della confessione?
Testimone, Di Marco D. - Noi abbiamo...
Giudice - Si o no? Guardi, mi risponda!?
Testimone, Di Marco D. - Ascolti, noi ci atteniamo a ciò che dice la Bibbia. Noi abbiamo...
Giudice - Quindi non riconoscete la confessione?
Testimone, Di Marco D. - Noi ci avvaliamo del segreto confessionale...
Giudice - Senta, io ho fatto una domanda! Riconoscete la confessione come istituto?
Testimone, Di Marco D. - Confessione cattolica... Dipende che cosa..,
Giudice - Ecco, la confessione...
Testimone, Di Marco D. - Quella cattolica no, noi abbiamo la confessione pastorale.
Giudice - Che è pubblica.
Testimone, Di Marco D. - No, non è pubblica.
Giudice - Si, è pubblica!?
Testimone, Di Marco D. - No, non è pubblica, perché comunque...
Avv. Difensore, Navarra - Comunque, Giudice, io ho necessità di fare queste domande, se il teste
non mi risponde, ne prendo atto e sollecito la Procura per quanto di competenza”.
A pagg. 28-29 l’Ill.mo sig. Giudice del dibattimento formula l’ordinanza di deposizione in questi
termine:
“Giudice - Allora, atteso che l’attività è riferita, sia temporalmente, sia dal punto di vista
dell’esercizio del ministero, dispone che il teste renda le risposte alle domande poste dalla difesa.
Quindi deve rispondere in ordine a ciò che lei ha visto quando è entrato in casa del signor T..
Testimone, Di Marco D. - Ma perché dovrei rispondere, quando ...
4
Avv. Difensore, Navarra - Le riformulo la domanda! Lei è entrato, è rimasto - ci ha chiarito -
all’interno del corridoio; ha visto a terra oggetti rotti?
Testimone, Di Marco D. - Non rispondo.
Avv. Difensore, Navarra - Ha visto a terra oggetti tagliati, tagliuzzati?
Testimone, Di Marco D. - Non rispondo, fa parte del segreto confessionale.
Avv. Difensore, Navarra - Ha ricevuto indicazioni su chi aveva buttato a terra, aveva rotto gli
oggetti, li aveva tagliati?
Testimone, Di Marco D. - Scusi, non ho capito.
Avv. Difensore, Navarra - Ha ricevuto indicazioni su chi aveva fatto le cose che vi venivano
mostrate?
Testimone, Di Marco D. - Fa parte del segreto confessionale. Io, ripeto, sono stato...
Avv. Difensore, Navarra - Quindi non risponde? Mi è sufficiente!
Risponde o non risponde?
Testimone, Di Marco D. - No.
Già in precedenza a fronte delle conclusioni del difensore e dello stesso Giudice in merito
all’ammissibilità della testimonianza, il Di Marco ribadiva (pagg. 15-16 del verbale) che ciò che
aveva conosciuto, sia visivamente che verbalmente, era in ragione e in occasione dell’assistenza
spirituale prestata al T. come ministro di culto e quindi coperto dal segreto professionale
(ministeriale):
Testimone, Di Marco D. - Era un’opera pastorale. Ascolti, Avvocato, signor Avvocato, era
un’opera pastorale, quindi non dico ciò che è avvenuto; perché lui ci ha chiamato riguardo al
ruolo che noi... Non perché eravamo amici, ma la funzione che ricopriamo all’interno della
Congregazione. …
Giudice - sì, però è diverso! Lei, quando è intervenuto, che cosa ha notato, che cosa ha visto?
Testimone, Di Marco D. - à questo che non — Perché devo dire qualcosa che ha a che fare con
l’opera pastorale!? Perché, se io non ero un pastore ….
IN DIRITTO
INDICE: A) autonomia dell’ordinamento confessionale della C.C.T.G.; B) esercizio delle funzioni
di ministri di culto della C.C.T.G., svolte dal sig. Di Marco nel caso in oggetto (mese di luglio 2008
5
a casa dei coniugi T.); C) segreto professionale di tipo “confessionale”: artt. 200 c.p.p. e 622 c.p.;
D) sul nesso causale dei fatti oggetto della deposizione con la funzione di ministro di culto - ciò che
il Di Marco ha visto e udito; D-1 - in giurisprudenza; D-2 - in dottrina; E) sulla irrilevanza ai fini
del nesso causale del luogo in cui i fatti sono stati conosciuti dal ministro di culto; E-1) - in dottrina;
E-2) - in giurisprudenza; F) sul segreto del ministro di culto, indipendentemente dalla “confessione”
intesa come quella dei fedeli cattolica ai preti, con i paramenti ed in un luogo deputato (chiesa); G)
mancanza dell’elemento psicologico del reato di reticenza (dolo generico) H) nullità dell’ordinanza
orale a testimoniare emessa in udienza - applicabilità dell’art 200, 2° comma, c.p.p., norma speciale
rispetto all’art 207, 2° comma, c.p.p.; I) ordinanza irrituale, non motivata e non percepita dal teste;
I1) – in giurisprudenza; L) eccezione di incostituzionalità.
Ritiene questa difesa che il fatto-reato addebitato nella forma della reticenza, ex art. 372 c.p., non
sussiste in quanto dall’esame dei fatti è palese la mancanza dell’antigiuridicità: la condotta tenuta
dal ministro di culto è inquadrabile in pieno nell’esercizio di un diritto, ex artt. 51 e 384,
comma secondo (casi di non punibilità) c.p. e art. 200 c.p.p. (segreto professionale). Altrimenti
l’ordinamento giuridico entrerebbe in contraddizione con se stesso autorizzando o addirittura
imponendo taluni comportamenti e, nello stesso tempo, sottoponendoli a sanzione penale
(rivelazione di segreto professionale, art. 622 c.p, contrapposto alla reticenza, art. 372 c.p.). Inoltre
come andremo a vedere manca l’elemento psicologico del reato di reticenza, ex art. 42 c.p..
A. AUTONOMIA DELL’ORDINAMENTO CONFESSIONALE DELLA C.C.T.G.
La C.C.T.G. è riconosciuta dallo Stato come Confessione religiosa ai sensi dell’art. 8 Cost. nonché
dagli artt. 2 L. 1159/1929 e 10 R.D. 289/1930, pertanto, costituisce sul piano dell’esperienza
religiosa un ordine proprio, originario distinto ed autonomo rispetto a quello statale e questo a
prescindere dalla sussistenza dell’Intesa con lo Stato (all.ti n.ri 6A, 6B e 7)2 Il parere del prof.
Colaianni (all. n. 7) afferma alle pagine 1-4: “… Nella specie, tuttavia, non di una semplice
associazione, sia pure religiosa, si tratta, bensì di una confessione religiosa (la
2 cfr.: all. n. 7, parere pro veritate del prof. Nicola Colaianni 23.09.2004 “Sull’ammissibilità e limiti del sindacato
giurisdizionale sui provvedimenti spirituali e disciplinari delle autorità confessionali” richiamato integralmente nella
ordinanza riportata di seguito, e consultabile anche in
http://www.olir.it/areetematiche/73/documents/Colaianni_Parere.pdf; all. n. 6A, “Ordinanza del Tribunale di Bari”
del 6 dicembre 2004, pagg. 4-5, Pres. Napoleone, estensore Cassano, consultabile anche in
http://www.cesnur.org/2004/tdg_revoca.htm; all. 6B, conseguente sentenza del Tribunale di Bitonto del 20.02.2007,
Giudice unico dr. Casciaro;
6
Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, invero, è stata riconosciuta ai sensi dell’art. 2
L. 1159/1929 e dell’art. 10 R.D. 289/1930). … Mentre queste, per quanto autorganizzate, si
muovono comunque nell’ordine dello Stato e, pur perseguendo i propri interessi e progetti,
contribuiscono a realizzare il disegno pluralistico dello Stato, le confessioni istituzionalizzate si
muovono in un ordine proprio, che può, ma non necessariamente, presentare segmenti di contatto
con quello dello Stato. Il concetto di “ordine proprio” delle confessioni, distinto da quello
statuale, è ormai pacificamente applicato dalla giurisprudenza non solo alla chiesa cattolica
(per cui dispone espressamente l’art. 7 Cost.: “lo stato e la chiesa cattolica sono ciascuno
indipendente e sovrano nel proprio ordine) ma anche alle confessioni religiose diverse dalla
cattolica. Si tratta, invero, del fondamentale o “supremo” principio costituzionale di laicità e
non confessionalità dello Stato che si caratterizza nell’essenziale -- secondo una pregnante
espressione -- come “distinzione tra «ordini» distinti”, rispettivamente delle “questioni civili” e
“dell’esperienza religiosa”. … Di massima, infatti, nell’economia della spiritualità, che costituisce
il loro ordine distinto da quello statuale, le confessioni producono da sole le norme
necessarie, comportandosi come ordinamenti giuridici originari, “ciascuno con la tipicità e
l’autonomia che gli provengono dalla rispettiva vocazione”.
Ne discende, quindi, che è la stessa Confessione religiosa ad avere autorità esclusiva nel qualificare
o identificare le attività o le funzioni proprie dei ministri di culto. Sul punto, la giurisprudenza3 e la
dottrina nazionale sono conformi all’orientamento della Corte Europea dei diritti dell’uomo per la
quale: “la Corte ricorda che le comunità religiose tradizionalmente e universalmente esistono sotto
3 cfr. Cass. Civ. SS.UU. sentenza n. 5213, 27 maggio 1994. Nella sentenza si afferma: “La Corte Costituzionale, con
la sentenza 18 novembre 1958, n. 59, ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 del R.D. 28 febbraio
1930, n. 289, avanti citato, norme che subordinavano all’autorizzazione degli organi statali l’apertura dei templi e
degli oratori, nonché le riunioni pubbliche degli aderenti ai culti acattolici. In tale sentenza la Corte Costituzionale ha
posto in relazione il già menzionato art. 8 della Costituzione, inserito tra i "Principi fondamentali", con l’art. 19,
inserito nel Titolo 1° dei "Rapporti Civili", che recita: "Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede
religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il
culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Riaffermato, quindi, il principio costituzionale della libertà
di culto, la Corte ha posto in rilievo che, per le confessioni religiose diverse dalla cattolica, l’art. 8 ha sancito la libertà
di organizzarsi secondo propri statuti non contrastanti con l’ordinamento giuridico dello Stato; rapporti da regolare
con leggi sulla base di intese con le relative rappresentanze. Ed ha invitato il legislatore dell’epoca ad eliminare "nel
modo più sollecito ed opportuno" la carenza legislativa in materia. La stessa Corte, con la successiva sentenza 19
gennaio 1988, n. 43, invalidando l’art. 9 del R.D. n. 1731 del 1930, che regolava i requisiti per l’eleggibilità dei
componenti dei consigli delle Comunità israelitiche, ha affermato l’importante principio che l’art. 8 della Costituzione,
al comma secondo, "esclude ogni possibilità di ingerenza dello Stato nella emanazione delle disposizioni statutarie
delle confessioni religiose", laddove il limite fissato dalla disposizione costituzionale all’autonomia statutaria va
riferito solo ai principi fondamentali dell’ordinamento e non anche a specifiche limitazioni poste da particolari
disposizioni normative.”; cfr. anche sentenze della Corte Costituzionale n. 59 del 24.11.1958 e n. 43, del 19.01.1988;
7
forma di strutture organizzate e che quando l’organizzazione di una tale comunità è in
discussione, l’articolo 9 deve essere interpretato alla luce dell’articolo 11 della Convenzione, che
tutela la vita associativa contro l’ingerenza dello Stato ingiustificata. Infatti, l’autonomia,
indispensabile per il pluralismo in una società democratica, è al centro della tutela offerta dall’art
9. La Corte ricorda inoltre che, salvo in casi eccezionali, il diritto alla libertà di religione, come
garantito dalla Convenzione esclude qualsiasi discrezionalità da parte dello Stato sulla legittimità
delle credenze religiose o dei mezzi di espressione di questi …. Se l’organizzazione della vita della
comunità non è stata tutelata dall’articolo 9 della Convenzione, tutti gli altri aspetti della libertà
religiosa dell’individuo sarebbe diventato vulnerabile”4.
B. ESERCIZIO DELLE FUNZIONI DI MINISTRI DI CULTO DELLA C.C.T.G., SVOLTE
DAL SIG. DI MARCO NEL CASO IN OGGETTO (MESE DI LUGLIO 2008 A CASA DEI
CONIUGI T.)
In applicazione del principio di “ordine proprio”, nell’ambito dell’ordinamento confessionale della
C.C.T.G., come dichiara l’art. 6 dello Statuto riconosciuto con il D.P.R. n. 783/1986, sono ministri
di culto gli anziani (c.d. presbiteri) altrimenti detti pastori o sorveglianti (episkopos). Questi
nell’esercizio del loro ministero:
- non devono indossare o utilizzare paramenti o arredi sacri5;
- non svolgono funzione liturgica ma lo loro è attività di culto, di studio e di insegnamento della
Bibbia a livello individuale, e familiare, definita attività pastorale o visite pastorali che viene
svolta sia nel luogo di culto che presso le abitazioni private6. A tal proposito il Libro di testo
dei ministri di culto della C:C.T.G. “Pascete il gregge di Dio” alle pagg. 48-49, § 6 impartisce
4 OBST c. ALLEMAGNE, ricorso n. 425/03; CEDU 23 dicembre 2010; Hassan e Tchaouch c. Bulgaria [ GC ], no
30985/96 , § § 62 e 78 , CEDU 2000 – XI; 5 cfr. Statuto della C.C.T.G. art. 6 ultimo § “Dall’ordinamento della Confessione non è previsto per tutti i suindicati
ministri di culto alcun abito religioso particolare”; 6 art. 19 Cost. “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma,
individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di
riti contrari al buon costume [Cost. 8, 18, 20]; art. 9 della “Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e della
Libertà di pensiero, di coscienza e di religione. 1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e
di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la
propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto,
l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. 2. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio
credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e costituiscono misure
necessarie, in una società democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell’ordine, della salute o della
morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui.”
8
istruzioni specifiche in relazione alle “Visite pastorali incoraggianti”, effettuate anche nelle
case dei fedeli7;
- “su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero” ex art. 200 c.p.p., quindi
anche ascoltato e visto nei rapporti con i fedeli esercitano la funzione fornendo l’aiuto e il
sostegno spirituale necessario;
- nell’oggetto della loro attività di culto come riporta lo Statuto stesso e il libro di testo dei
ministri di culto “Pascete il gregge di Dio”, vi è l’assistenza nell’applicare i consigli della
Bibbia in ambito familiare8;
- tra i doveri dell’ordinamento confessionale vi è per gli anziani di mantenere l’assoluto riserbo
sulle questioni confidenziali e sui provvedimenti spirituali adottati verso i fedele e di non
rivelarli a persone che non sono autorizzate a conoscerli (all.ti n.ri 8A, 8B, 8C e 8D)9.
Volendo fare un parallelo con il culto cattolico, al solo fine di chiarire ancor meglio il concetto, i
ministri di culto della C.C.T.G. assumono, nell’ambito del loro culto e in ordine al segreto
professionale, una posizione giuridicamente e legalmente coincidente a quella riconosciuta ai
sacerdoti della Chiesa cattolica. A tal riguardo la Corte Costituzionale ha affermato che il principio
di libertà di Confessione e quello di laicità dello Stato comportano “l’eguale libertà di tutte le
7 cfr. all. n. 4. libro di testo per i ministri di culto della C.C.T.G. “Pascete il gregge di Dio”, pagg. 48-49, § 6
““Visite pastorali incoraggianti 6. L’obiettivo principale di una visita pastorale è quello di impartire qualche dono
spirituale, rendere fermi e avere uno scambio d’incoraggiamento. (Rom. 1:11, 12) Gli anziani possono compiere
l’opera pastorale a casa dei proclamatori, nella Sala del Regno, durante il servizio di campo, per telefono o in altre
circostanze. Le seguenti indicazioni vi aiuteranno a fare visite incoraggianti a casa dei proclamatori.
● … Prendete un appuntamento: …
● Preparatevi: Pregate per avere la guida di Geova. Nel valutare la condizione spirituale della persona tenete conto
delle sue circostanze. Chiedetevi di che tipo di incoraggiamento, consigli o guida ha più bisogno. Se c’è un problema
serio fatevi accompagnare da un altro anziano, altrimenti potete anche portare con voi un servitore di ministero
qualificato.
● Mantenete un’atmosfera rilassata; siate amorevoli e positivi: Esprimete genuino interesse per il benessere della
persona. Lodatela calorosamente per ciò che di buono ha fatto e sta facendo. Ascoltatela attentamente. Se capite che
potrebbe avere un problema, incoraggiatela con tatto ad esprimersi. Adattate le vostre osservazioni in base al
bisogno.
● Usate la Bibbia: La principale fonte di informazioni dovrebbe essere la Parola di Dio, poiché “esercita potenza”.
(Ebr. 4:12) Usandola con abilità permettete a Geova di parlare al cuore del fratello o della sorella.
● Non trattenetevi troppo: …
● Concludete con una preghiera: È appropriato concludere con una preghiera. Sarà molto apprezzata. — Filip.
4:6, 7.
● …”; 8 cfr.: l’all. n. 2, Statuto della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, art. 6, commi 4 e 8; all.ti n.ri 4 5
“Pascete il gregge di Dio” pagg. 48-49, 52-53; 9cfr. all. n. 8, brani dei paragrafi della “La Torre di Guardia” periodico di istruzione biblica della Congregazione
Cristiana dei Testimoni di Geova del: A) 1/6 1997 p. 11 § 16 “Geova, un Dio che rivela i segreti”; 1/3 1997 p. 28
“Avete timore di fidarvi di altri?”; 15/3 1996 pagg. 18-19 § 12-13 “Affrontiamo la sfida della lealtà”; B) 15/11 2006
pagg. 26-30 “Accettate sempre la disciplina di Geova”; C) 15/3 1996 p.18 § 12; 15/11 1991 p. 23 § 19; D) 15/4 2013 p.
15 § 14.
9
confessioni religiose davanti alla legge” 10
, ed “equidistanza ed imparzialità verso tutte le
confessioni”11
e tali principi, oltre che sul piano punitivo delle condotte contro la religione, deve
necessariamente essere affermato anche sul piano processuale. Né può essere sottaciuto, anche per i
riflessi sulla gerarchia delle fonti normative, che l’art. 9 della “Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo”, non solo proclama il diritto di ogni persona alla libertà di religione, ma aggiunge che
essa comporta da un lato, quella di manifestare il proprio credo individualmente e
collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento e l’osservanza dei riti
e dall’altro, l’illegittimità di qualunque misura restrittiva diversa da quella necessaria in una società
democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell’ordine, della salute o della morale
pubblica o per la protezione del diritto e della libertà altrui12
.
Sotto il profilo giuridico, è pacifica:
1) la qualità di ministro di culto dei Testimoni di Geova del Di Marco;
2) che abbia svolto attività ministeriale o di culto con il Rocci presso l’abitazione del T. dove era
stato appositamente chiamato ad effettuare la visita pastorale e quindi il suo ministero;
3) che tutto ciò che è stato da egli appreso quella sera presso l’abitazione del T. è avvenuto in
ragione e in funzione della sua attività di ministro di culto.
C. SEGRETO PROFESSIONALE DI TIPO “CONFESSIONALE”: ARTT. 200 C.P.P. E 622
C.P.
Per sgombrare il campo da fraintendimenti è opportuno menzionare che con il termine “segreto
confessionale” non si intende solo ciò che si apprende nella “confessione”, come è stato supposto
durante la deposizione del teste (cfr. pag. 18 del verbale di deposizione) ma è ciò che “hanno
conosciuto per ragione del proprio ministero” … i “ministri di confessioni religiose, i cui statuti
non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano”, ex art. 200 c.p.p (segreto professionale).
Chiarita la figura ed il ruolo del ministro di culto nell’ordinamento confessionale dei Testimoni di
Geova è agevole applicare la normativa di riferimento al caso di specie.
10
Corte Cost., sent. 9 luglio 2002 sent. n. 327; 11
Corte Cost., sent. 29 aprile 2005 n. 168; 12
Testimonianza e segreto professionale”, A. DIDDI, ED. CEDAM 2012 pagg. 36-37; D. Milani “Segreto, libertà
religiosa e autonomia” pag. 103;
10
Il Giudice durante la deposizione non ha mosso alcun rilievo sulla funzione ministeriale del sig. Di
Marco, dimostrata dall’attestato prodotto13
che dal verbale di deposizione stesso14
; in quest’ultimo il
ministro di culto afferma la sua funzione ministeriale nella congregazione di Castellalto Est e nello
specifico la sera del mese di luglio 2008 nello svolgere la visita pastorale nella casa dei coniugi T.
Di conseguenza, punto scriminante della vicenda è il nesso causale tra ciò che il Di Marco ha
“conosciuto” quella sera (fatti oggetto della deposizione) con l’esercizio dell’attività di ministro di
culto.
Il fondamento del segreto professionale per i ministri di culto sono gli artt. 8 e 19 della
Costituzione che giustificano, da un lato, l’equiparazione tra i ministri di diverse confessioni
religiose15
e, dall’altro, l’opposizione del segreto da parte di costoro16
.
È opportuno menzionare che le attività del ministro di culto nell’ambito dell’organizzazione
religiosa dei Testimoni di Geova, si articolano in diverse attività di sostegno e incoraggiamento
spirituale, nonché di insegnamento basato sulla Bibbia a favore dei singoli Testimoni e delle loro
famiglie17
. Il caso più tipico e ricorrente che vede impegnato il ministro di culto nominato, è l’opera
di cura pastorale svolta a domicilio presso le famiglie aderenti all’organizzazione religiosa, proprio
quello per il quale il Di Marco è stato chiamato a deporre come teste. In queste visite pastorali i
ministri di culto possono venire a conoscere (verbalmente, ma anche attraverso altre percezioni
13
cfr. all. n. 1, attestato di ministro di culto rilasciato dal rappresentante legale della C.C.T.G.; 14
cfr. verbale di deposizione teste del 18 luglio 2012, pag. 9-11; 15
la Corte costituzionale nella prospettiva di attuare il principio di uguaglianza ha affermato nella sentenza n.
195/1993 come qualsiasi discriminazione in danno dell’una o dell’altra fede religiosa, sarebbe costituzionalmente
illegittima. Inoltre ha completamente sovvertito il regime precedente dell’ammissione controllata delle confessioni
religiose, sicché “l’aver stipulato l’intesa prevista dall’art. 8, comma 3, della Costituzione per regolare in modo
speciale i rapporti con lo Stato non può … costituire l’elemento di discriminazione nell’applicazione di una disciplina,
posta da una legge comune volta ad agevolare l’esercizio di un diritto di libertà dei cittadini”. Sulla base di tali
principi, evidentemente, una volta che lo Stato ritenga di intervenire con una disciplina comune come è il segreto
confessionale, l’ esclusione di una confessione da un qualunque beneficio “in dipendenza dello status della medesima, e
cioè in relazione alla sussistenza o meno delle condizioni di cui al secondo e terzo comma dell’art. 8 della Costituzione,
viene a integrare una violazione del principio affermato nel primo comma del medesimo articolo”; 16
“Testimonianza e segreto professionale”, A. DIDDI, ED. CEDAM 2012 pag. 107; “Quel che la disposizione
intende tutelare è, certamente, anche l’affidamento che l’interessato – costretto a rappresentare (a cagione della
necessità della migliore tutela dei suoi affari o della cura del suo spirito) accadimenti illegali o immorali che, qualora
divulgati, potrebbero compromettere la sua reputazione, il suo decoro ed i suoi rapporti familiari o d’affari e perfino
dare luogo all’apertura di un procedimento penale a suo carico – ripone nel fatto che il soggetto che li conosce non li
debba fare oggetto di testimonianza”;
cfr. anche N. TRIGGIANI, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda – G. Spangher,
Vicenza, 2001, pag. 1104 che nel commento dell’art. 200 c.p.p. afferma: “il legislatore ha voluto tutelare l’esercizio di
determinate professioni o attività - cui sono sottesi determinati valori costituzionalmente protetti - le quali non
potrebbero essere utilmente esercitate nell’interesse sociale se le persone che esercitano quella professione o quella
attività non fossero vincolate al segreto per le notizie ed i fatti di cui vengono a conoscenza a ragione del loro ufficio o
della loro attività”; 17
cfr.: art. 6 dello Statuto della Congregazione Cristina dei Testimoni di Geova, all. n. 2;
11
sensoriali come quella visiva) di alcuni problemi (fatti e circostanze personali) che i fedeli portano a
loro conoscenza al fine di ottenere aiuto spirituale per risolverli.
Nella fattispecie il Di Marco, unitamente ad un altro ministro di culto, si era recato presso
l’abitazione dei coniugi T., per fornire assistenza spirituale, consistente nella lettura di brani biblici
e spiegazione dei principi sottesi nonché pregare insieme a loro e per loro18
, esercitando così la
funzione di ministro di culto nella loro casa. Per rimarcare la funzione ministeriale del Di Marco
nella visita pastorale del luglio 2008 accenniamo anche che a seguito dei fatti ‘conosciuti’ quella
sera, sia uditivamente che visivamente, entrambi i fedeli (coniugi T.), ricevettero amorevoli aiuti e
provvedimenti specifici, basati sulla Bibbia19
.
Aggiungiamo che i sig.ri Emanuele Rocci e Damiano Di Marco erano gli unici ministri di culto
della comunità di lingua romena della congregazione dei testimoni di Geova di Castellalto Est. A tal
riguardo l’imputato nell’interrogatorio di garanzia del 31 marzo 2014 davanti ai Carabinieri di
Castelnuovo Vomano, su delega del P.M., a pag. 2 del verbale affermava “Tengo a precisare che
io sono intervenuto, unitamente ad un altro Ministro di Culto presso l'abitazione dei coniugi
T. in quanto il nostro intervento era stato espressamente richiesto dal P. T. Ribadisco inoltre che
io e l'altro Ministro di Culto a nome ROCCI Emanuele, siamo praticanti della Religione dei
Testimoni di Geova nonché Ministri di Culto e ci interessiamo, in particolare, della Comunità
Rumena appartenente alla suddetta religione ove per l'appunto fanno riferimento i coniugi T. Questo
spiega perché il Sig. T. P. abbia chiamato proprio me ed il ROCCI e non si sia invece rivolto ad
altri praticanti della Religione dei Testimoni di Geova che sono comunque presenti sul territorio” e
aggiungiamo noi che non si sono rivolti nemmeno a loro vicini di casa, che differentemente dai due
ministri di culto abitavano vicini a loro.
D. SUL NESSO CAUSALE DEI FATTI OGGETTO DELLA DEPOSIZIONE CON LA
FUNZIONE DI MINISTRO DI CULTO - CIÒ CHE IL DI MARCO HA VISTO E UDITO
Secondo quando chiesto dal Giudice al Di Marco alla pag. 16-17 del verbale di deposizione del 18
luglio 2012 il ministero del Di Marco sarebbe iniziato quando il T. cominciò a parlare:
18
cfr. l’all.ti n.ri 4 e 5 “Pascete il gregge di Dio” pagg. 48-49, 52-53; 19
cfr. verbale di interrogatorio di garanzia del 31.03.2014 dei Carabinieri di Castelnuovo Vomano su delega del
P.M., pag. 2 penultimo paragrafo risposta del Di Marco “… Tengo a precisare che a seguito del nostro intervento
effettuato presso l’abitazione dei coniugi T., sono stati emessi nei loro confronti e da parte delle Nostra Comunità, dei
provvedimenti finalizzati a risolvere col dialogo i dissidi tra i coniugi …”pro;
12
“Giudice: Si, ma in questo caso non attiene all'opera pastorale, attiene ad un momento precedente,
dal punto di vista storico; ovvero lei non ci deve riferire sui contenuti del colloquio legati
all'esercizio della sua funzione pastorale, semplicemente deve dire che cosa ha notato con i suoi
occhi quando è intervenuto ... lei, quando mette piede nell'ambito di un appartamento ... non sta
ancora esercitando quella che è la sua funzione”. Questa difesa sostiene che l’attività pastorale e
quindi il ministero del Di Marco, a favore del T., sia iniziato nel momento in cui lo stesso ha
ricevuto la telefonata dal Rocci, l’altro ministro di culto che lo accompagnò quella sera a casa del
T., quanto meno il ministero è iniziata nel momento in cui i due ministri di culto sono arrivati a casa
dei coniugi20
.
Il Di Marco ha operato la visita pastorale nella veste di ministro di culto compiendo un’attività che
per circostanze di tempo e di luogo non può affatto essere scissa in più fasi (ciò che ha visto e ciò
che ha udito), ma rientra nell’ambito di un unico ministero, a causa del quale è ovviamente venuto
a ‘conoscenza’ di informazioni e circostanze non solo udite per telefono e a voce, ma anche
apprese visivamente.
Un recente episodio di cronaca ben più grave di quello in oggetto ha visto la Commissione di
inchiesta Parlamentare sul caso dell’Onorevole Aldo Moro convocare il Nunzio vaticano in Gran
Bretagna, Antonello Mennini. All’inizio dell’audizione il Nunzio, in relazione ad un suo probabile
incontro con l’Onorevole Moro ha affermato: “Sono segrete le circostanze della confessione, le
modalità e anche il luogo, la logistica …”21
.
Per comprendere meglio il ruolo del Di Marco nella fattispecie facciamo un esempio. Un avvocato
riceve una telefonata da un cliente che richiede urgentemente assistenza tecnico-legale a casa sua in
quanto presume di essere stato visto compiere un furto. Una volta a casa del cliente l’avvocato nota
nel salotto dei bei quadri. Poi nel successivo colloquio il cliente gli racconta di averlo chiamato
perché ha rubato quei quadri e richiede la sua assistenza legale per la difesa nel procedimento
penale. L’avvocato può essere chiamato a deporre nel processo come teste nel procedimento penale
a carico del cliente su quello che lo stesso gli ha riferito nonché sulla circostanza dei quadri che ha
20 Alessandro Diddi, Ed. Cedam 2012, pag. 107 “Testimonianza e segreto professionale”: “In effetti il segreto
professionale, al quale si ispira oggi la disposizione processuale, ha per oggetto genericamente fatti che i soggetti
previsti dalla disposizione apprendono – a prescindere dal mezzo, se orale o per iscritto, dal modo in cui è avvenuta,
se nel corso di un colloquio vis à vis o a distanza – durante la loro attività ed è, dunque, interamente focalizzato
attorno alla relazione intersoggettiva che ha generato la conoscenza; 21
Redazione ANSA – ROMA 13 marzo 2015 ore 14,29;
13
visto nel salotto di casa del cliente e prima che quest’ultimo iniziasse a confidargli il furto? La
risposta è scontata come lo è per il Di Marco. I principi sottesi che impediscono la deposizione
testimoniale sono i medesimi: la difesa nel procedimento penale come diritto inviolabile per
l’avvocato22
e il 'diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma,
individuale o associata, e di esercitarne in privato o in pubblico il culto,”, ex art. 19 Cost., per il
ministro di culto23
.
Pertanto, appare riduttivo e semplicistico limitare la portata dell’art. 200 c.p.p. unicamente a ciò che
il Di Marco, nella fattispecie, ha udito, e non anche a ciò che ha appreso visivamente quando è
entrato nella casa del T.; una interpretazione del genere avrebbe il denegato effetto di
restringere enormemente le garanzie costituzionali del segreto “professionale” nel quale rientra
il segreto del ministro di culto. Non parliamo, ovviamente, di fatti percepiti o visti come la
commissione di un reato nel mentre è in corso la visita pastorale, in questa circostanza il ministro di
culto ha l’obbligo, come tutti i cittadini, di deporre nel processo.
Sulla scorta di tale tesi, violerebbe il segreto professionale ai sensi dell’art. 622 c.p., norma di
riferimento sostanziale per l’art. 200 c.p.p., soltanto chi “avendo udito per ragione del proprio stato
... di un segreto lo rivela ...”, e non chi, invece, “AVENDO NOTIZIA” come esprime la norma.
L’art. 622 c.p., 1° comma, usando l’espressione “AVENDO NOTIZIA” mette bene in evidenza che
l’acquisizione di un segreto professionale può coinvolgere tutte le attività cognitive, inclusa quella
visiva. Ciò è conforme appunto da quanto espresso dall’art. 200, comma 1, c.p.p.: “non possono
essere obbligati a deporre su quanto HANNO CONOSCIUTO per ragioni del proprio ministero”;
e dall’art. 271, comma 2, c.p.p. “Non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a
conversazioni o comunicazioni delle persone indicate nell'articolo 200 comma 1, quando hanno a
oggetto FATTI CONOSCIUTI per ragione del loro ministero, ufficio o professione, salvo che le
stesse persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati”. Va da se che
la conoscenza può essere uditiva ma anche visiva. Analogamente alle precedenti disposizioni
normative, l’art. 103 c.p.p., comma 2, afferma che “presso i difensori … incaricati in relazione al
22
art. 24 Cost., 2° comma “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”; 23
cfr. F.M. Grifantini, Giappichelli Editore 2001, “Il segreto difensivo nel processo penale”, pag. 14: “Ciò che si
tutela è il rapporto di fiducia tra il professionista e il cliente cioè la cognizione ottenuta nell’esercizio di attività
professionali volte a soddisfare, talvolta, anche diritti costituzionalmente rilevanti: come il diritto alla salute, alla
libertà di culto o sotto il rapporto fiduciario tra professionista e cliente, anche il diritto alla difesa”; cfr. anche nota n.
16, “Testimonianza e segreto professionale”, A. DIDDI, ED. CEDAM 2012 pag. 107;
14
procedimento non si procede al sequestro di carte o documenti RELATIVI ALL’OGGETTO della
difesa, salvo che costituiscono corpo del reato”. Pertanto è bene evidente che tutto il sistema
normativo regolante l'istituto del segreto, include ogni fattore percettivo che il soggetto ha della
realtà e delle circostanze ad esso afferenti, senza porre alcuna distinzione tra le possibili e diverse
modalità mediante le quali tale percezione si realizza.
D-1 - IN GIURISPRUDENZA
Quanto sopra affermato è confermato in pronunce sia della Corte di legittimità che di Tribunali di
merito in virtù delle quali, ad esempio, è stata accertata la fattispecie di reato di cui all’art. 622 c.p.
nella divulgazione di dati informatici riservati acquisiti visivamente in ragione della propria
professione (Cass. pen. 26.10.2012, n. 44840; Trib. Como 3.12.2004 in redazione Giuffrè 2005) o
nella divulgazione di dati economici appresi visivamente dall’esame di scritture contabili (Cass.
pen. 6.3.2009, n. 17674). Tali fattispecie dimostrano chiaramente che nell’ambito del segreto
professionale o ministeriale, rientra tutto ciò che il soggetto, in ragione e in occasione del proprio
ruolo che ricopre, assume non solo a mezzo della cognizione uditiva, ma anche di quella visiva.
Ancora la più recente sentenza Cass. Pen., Sez. VI, n. 9866 del 2009 (all. 9-bis) in riferimento
all’esimente previsto dall’art. 384, comma 2, c.p. nel trattare un caso analogo al nostro ha
affermato “3.3. In coerenza con tale disciplina processuale, il codice penale prevede l'esclusione
della punibilità se il fatto è commesso da persona che non avrebbe potuto essere obbligata a
deporre o comunque rispondere (previsione introdotta dalla L. 1 marzo 2001, n. 63, art. 21),
ovviamente nel caso in cui sia stato dal giudice obbligata a deporre o a rispondere, … 5. La
sentenza impugnata va, pertanto, annullata, con rinvio al tribunale di Milano per nuovo giudizio,
sulla base dei seguenti principi di diritto: a) L'obbligo di avvisare i testi della facoltà di astenersi,
previsto dall'art. 199 c.p.p., comma 2, non è applicabile ai soggetti elencati nell'art. 200 c.p.p.. b)
Questi non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragioni del loro
ministero, ufficio o professione, salvi in casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità
giudiziaria. Ne deriva la necessità di una puntuale verifica sul punto. c) L'eventuale segreto
professionale non può essere ritenuto a priori, ma va eccepito da chi, chiamato a deporre, rientra
nelle indicazioni e nelle condizioni di cui all'art. 200 c.p.p.. d) L'esimente di cui all'art. 384 c.p.,
comma, nella parte in cui prevede l'esclusione della punibilità se il fatto è commesso da chi
15
avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni o testimonianza
non si applica ai soggetti indicati nell'art. 200 c.p.p., ai quali è invece applicabile l'esimente
nell'ipotesi in cui siano stati obbligati a deporre o comunque a rispondere su quanto hanno
conosciuto per ragioni del loro ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di
riferirne all'autorità giudiziaria”.
Tale sentenza spiega che l'esimente di cui all'art. 384, comma 2, c.p. prende in considerazioni tre
ipotesi: 1) il soggetto non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni o di essere
assunto come testimone, perito, consulente tecnico o interprete; 2) non avrebbe potuto essere
obbligato a deporre; 3) avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere
informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione. Nel caso in esame viene in
rilievo la seconda ipotesi presa in considerazione e introdotta dall'art. 21, l. 1° marzo 2001, n. 63.
Ne segue che se il testimone non oppone il segreto e, per non svelarlo, pone in essere una falsa
testimonianza o reticenza, egli non potrà invocare l'esimente di cui all'art. 384, comma 2, c.p.24
,
poiché è stato assunto in modo pienamente legittimo. Se, invece, il testimone eccepisce il segreto,
ma il giudice ne ritiene erroneamente l'infondatezza ed obbliga il professionista (ministro di
culto) a deporre, ed il teste non depone trova applicazione, rispetto all'eventuale reato di falsa
testimonianza o reticenza, la disposizione in esame25
. La sentenza spiega inoltre che se il Giudice
ritiene la dichiarazione resa dal teste per esimersi dal deporre sia infondata, procede alla necessaria
“puntuale verifica sul punto”. che nel caso di specie non è avvenuto.
24
art. 384. Casi di non punibilità.
….
Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge
non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito,
consulente tecnico o interprete ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o
avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o
interpretazione. 25 Cfr. PIFFER, I delitti contro l’amministrazione della giustizia, t. I, I delitti contro l’attività giudiziaria, Cedam 2005,
p. 921. Di recente, sull’ambito applicativo della causa di non punibilità di cui all’art. 384, comma 2, c.p. v. Cass Sez.
Un., 29 novembre 2007, Genovese, in Cassazione penale, 2008, p. 2339, con nota di ANDREAZZA, Considerazioni a
margine della sentenza Sez. Un. Genovese: la causa di non punibilità dell’art. 384 c.p. e la rinuncia alla facoltà di
astenersi e Corte. Cost., 20 marzo 2009, n. 75, in Riv. pen., 2009, p. 545, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art.
384, comma 2, c.p. nella parte in cui non prevede l’esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte
dalla polizia giudiziaria, fornite da chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque a rispondere in
quanto persona indagata per il reato probatoriamente collegato, a norma dell’art. 371, comma 2, lett. b, c.p.p., a quello,
commesso da altri, cui le dichiarazioni stesse si riferiscono.
16
È ancora fermo l’orientamento della Cass. pen., Sez. V, n. 27656 del 200126
(all. n. 10), che in
fattispecie più gravi e delicate inserite in processi di criminalità organizzata ha riconosciuto la
facoltà\diritto di astenersi dal testimoniare al ministro di culto, sacerdote cattolico, che visiti un
latitante presso il suo nascondiglio per motivi di fede o spirituali, in quanto i reati di reticenza e
favoreggiamento per cui era stato condannato in primo grado e assolto in secondo grado erano
scriminati “per aver commesso il fatto nell’esercizio di un diritto”. In tale circostanza il sacerdote
non ha riferito su fatti e circostanze che ha visto e che avrebbero rivelato il nascondiglio del
latitante. I Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto che il ministero del sacerdote, M. F., fosse
iniziato nel momento in cui il complice, L. C., del latitante, P. A., lo era andato a prelevare a casa
per condurlo nel nascondiglio del latitante, nel quale avrebbe poi svolto le funzioni proprie di
ministro di culto27
. Pertanto il reato astrattamente configurabile di reticenza, non aveva rivelato il
nome di chi lo era andato a prendere a casa, oggi sarebbe scriminato dal combinato disposto degli
artt. 51 e 384 comma 2 del c.p., e 200 c.p.p.
La sentenza della Cass. SS.UU. n. 25/1993, facendo proprie le deduzioni dei ricorrenti in relazione
al segreto dell’avvocato, afferma che «non si tratta di privilegi di categoria giacché la tutela
apprestata non è finalizzata ... alla «dignità» professionale degli avvocati, ma al libero
ed ampio dispiegamento dell’attività difensiva e del segreto professionale (così come
negli art. 200 e 256 C.p.p.) , che trovano il diretto supporto nell'art. 24 Cost., che sancisce
la inviolabilità della difesa, come diritto fondamentale della persona (art. 2 Cost)». Aggiungiamo
noi che tale affermazione può applicarsi “al libero ed ampio dispiegamento dell’attività” di
ministro di culto “e del segreto professionale … che trovano il diretto supporto nell'art.”
19 Cost., che sancisce il diritto di esercitarne in privato o in pubblico il culto, “come diritto
fondamentale della persona (art. 2 Cost.)”. Un interessante passaggio della sentenza delle SS.UU.
afferma “Alle stesse conclusioni deve pervenirsi per le garanzie del comma 2 dell'art. 103,
26
Cass. pen. Sez. V n. 27856/2001 in “Il diritto Ecclesiastico” n. 4/2001, pagg. 242-251 con commento di Salvatore
Bordonali; 27
cfr. all. n. 10, commento a sent. Cass. pen. Sez. V n. 27656/2001, di S. Bordonali, in “Il diritto Ecclesiastico” n.
4/2001, “Memoria difensiva (profili ecclesiastici) nella causa penale per favoreggiamento personale aggravato
contro un sacerdote”, nel quale alle pagg. 242-243 scrive “In proposito si osserva altresì che sebbene in base alla
norma concordata il religioso era autorizzato (rectius, obbligato) a tacere il nome di chi lo aveva aiutato, la modalità
prescelta nel farlo, quella di dire di non sapere chi fosse l’accompagnatore (Corso) … Vale anche fare presente che
l’ulteriore incontro con il Corso (ma anche con Aglieri) costituisce nella prospettiva dell’opera di apostolato un
completamento del precedente, con il quale condivide l’esclusiva finalità di redenzione del peccatore, come dimostra
l’assenza di prove in contrario”;
17
relative al sequestro, … che limitazioni della garanzia come quelle prospettate
renderebbero insicuri i rapporti tra parte e difensore, rischiando di vanificare il segreto
professionale nonostante il riconoscimento accordatogli dagli artt. 200 e 256 C.p.p. 28
. Tale
sentenza delle SS.UU. afferma quindi che l’attività dell’avvocato non si limita al segreto difensivo
ma integra anche “il segreto professionale … in quanto tale cioè in quanto professionista al di fuori
del processo e, di conseguenza, anche al difensore, ma in relazione ad un processo non attuale,
bensì potenziale, ovverosia virtuale o anche progressivo”29
. Similmente il segreto del ministro di
culto non si limita alla visita pastorale, ma comprende ciò che accade in relazione ad essa. Una
diversa limitazione del ministero del ministro di culto “renderebbero insicuri i rapporti tra
parte e difensore, rischiando di vanificare il segreto professionale nonostante il
riconoscimento accordatogli dagli artt. 200 e 256 C.p.p.”.
Più recentemente la Cass. pen., n. 17979/2013 (all. n. 10-bis) afferma “2. … per venire al caso in
esame, che, se l’avvocato ha avuto conoscenza del fatto in ragione della sua attività professionale
e della sua qualifica, il segreto è vigente e il divieto di utilizzazione della conversazione
intercettata è operativo … 2.3. Il principio appena enunciato trova conforto (a contrario), d'altra
parte, nella giurisprudenza di questa corte, atteso che è stato chiaramente affermato (cfr. ASN
200802951-RV 238441) che il divieto di utilizzazione stabilito dall'art. 271 c.p.p., comma 2, non
sussiste quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate non siano pertinenti all'attività
professionale svolta dalle persone indicate nell'art. 200 c.p.p., comma 1, e non riguardino - di
conseguenza - fatti conosciuti per ragione della professione dalle stesse esercitata. Non si tratta
ovviamente del privilegio di una categoria (incompatibile con il dettato dell'art. 3 Cost.), ma della
tutela di una funzione connessa all'esercizio di una professione, anche se detto esercizio non sia
28
Cass. pen. SS.UU. n. 25/1993, in “La Giustizia penale” 1994 pagg. 229-236 “Alle stesse conclusioni deve
pervenirsi per le garanzie del comma 2 dell’art. 103, relative al sequestro, nel senso che il divieto di
sequestrare «carte o documenti relativi all’oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato» non
può essere limitato all’ipotesi in cui il sequestro è disposto nell’ambito dello stesso procedimento in cui si
svolge l’attività difensiva o all’ipotesi in cui questa sia ancora in corso. Questi limiti infatti non sono
desumibili dal testo della disposizione e, per le ragioni che sono già state esposte, non corrispondono al sistema
ma anzi darebbero luogo ad una non giustificabile disparità di trattamento, dato che l’entità del pregiudizio
che può essere arrecato con il sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa non dipende
necessariamente dal procedimento nel cui ambito è disposto il sequestro o dall ’attualità del rapporto
difensivo e che limitazioni della garanzia come quelle prospettate renderebbero insicuri i rapporti tra parte
e difensore, rischiando di vanificare il segreto professionale nonostante il riconoscimento accordatogli
dagli artt. 200 e 256 C.p.p.” 29
cfr. F.M. Grifantini, Giappichelli Editore 2001, “Il segreto difensivo nel processo penale”, pag. 10, § 1;
18
stato formalizzato in un preciso mandato (professionale, appunto), purché esso (l’esercizio, si vuoi
significare) sia stato causa della conoscenza”. Mentre la sentenza della Cass. pen. n. 51670/2014
(all. n. 10-ter) afferma “4.2. Ebbene, è insegnamento costante che il divieto di utilizzazione dei
risultati delle intercettazioni, stabilito dall'art. 271 c.p.p., comma 2, è posto, tra gli altri, a tutela
dell'avvocato (come degli altri soggetti indicati nell’art. 200 c.p.p., comma 1) e dell’esercizio della
sua funzione, ancorché non formalizzato in un mandato professionale, purché detto esercizio sia
causa della conoscenza del fatto, ben potendo un avvocato venire a conoscenza, in ragione della
sua professione, di fatti relativi ad un soggetto del quale non sia difensore” 30
.
Pertanto la giurisprudenza della Cassazione è univoca nel concentrare la scriminante del reato di
reticenza quando i fatti uditi e visti sono stati conosciuti a causa dell’attività di ministro di culto,
facendo insorgere l’obbligo giuridico del segreto professionale (ministeriale).
D-2 - IN DOTTRINA
Anche la dottrinale tende a far coincidere il segreto ministeriale con quelle attività svolte dal
ministro di culto nell’esercizio delle sue funzioni, che non abbiano una natura meramente
amministrativa, ma che si occupino della cura delle anime di coloro che si affidano al culto (nesso
causale)31
. Tra i diversi articoli di dottrina è opportuno qui accennare ad una frase tratta dal libro
“La prova testimoniale nel processo penale.” di Corrado Di Martino e Teresa Procaccianti, Ed.
Cedam 2010, pag. 105, nel quale gli Autori affermano che “La facoltà di astensione riconosciuta ai
ministri di culto non riguarda unicamente la notizia appresa sotto il sigillum confessionis sia
perché l’art 200 c.p.p. non lo menziona sia perché sono abilitati ad invocare il segreto anche i
ministri di quei culti che non ammettono o possono non ammettere la confessione (Florian 1961,
403 ss; Perchinunno 1972, 185): d’altra parte l’affidamento di segreti al ministro di culto
30
cfr. anche sentenza: Cass. pen. n. 26323/2014; 31
Angelo Licastro “I ministri di culto nell’ordinamento giuridico italiano”, Ed. Giuffrè 2005, pag. 371-372:
“Merita ad ogni modo di essere precisato come la specificità del ruolo di norma svolto dal ministro di culto non
richiede assolutamente che la notizia destinata a rimanere segreta sia stata conosciuta a seguito di una
comunicazione avvenuta in via confidenziale. Al contrario, la cosiddetta “causa professionale” di apprendimento
della notizia può ricorrere in tutti quei casi in cui se ne venga a conoscenza nell’adempimento di una attività, sempre
propriamente ministeriale, ma che non si realizzi in maniera contestuale allo svolgimento di un diretto e specifico
rapporto personale e riservato con chi è interessato alla conservazione del segreto”;
F.M. Grifantini “Il segreto difensivo nel processo penale”, pag. 123-124: “Per quanto riguarda il secondo punto,
cioè l’origine delle informazioni, è indifferente il modo in cui sia pervenuta al professionista . Lo si ricava dall’art.
200, il quale richiama semplicemente quanto sia stato <<conosciuto>> per ragioni professionali: ai fini della facoltà
di non deporre è importante solo la strumentalità dell’apprendimento della notizia rispetto alla prestazione
professionale”;
Alessandro Diddi, Ed. Cedam 2012, pag. 107 “Testimonianza e segreto professionale”: riportata nella nota n. 20.
19
prescinde da tale sacramento, essendo determinato dalla complessa posizione di guida spirituale
che costui occupa nell’ambito di qualsiasi religione (Licastrio 1989, 521 nt.13)”.
E. SULLA IRRILEVANZA, AI FINI DEL NESSO CAUSALE, DEL LUOGO IN CUI I FATTI
SONO STATI CONOSCIUTI DAL MINISTRO DI CULTO
Il Giudice nel verbale di deposizione del 18 luglio 2012, alla pag. 18, nelle domanda rivolte al Di
Marco ritiene che il segreto ministeriale sia determinato anche dalla circostanza di luogo in cui il
teste dovrebbe ricevere la confessione. Tale deduzione è erronea, in quanto il ministro di culto può
esercitare la propria funzione in luoghi diversi dalla Chiesa o “Sala del Regno”.
E1) IN DOTTRINA
Tra i diversi articoli di dottrina è opportuno citare “Testimonianza e segreto professionale” di
Alessandro Diddi, Ed. Cedam 2012, pag. 107, il quale afferma: “In effetti il segreto professionale,
al quale si ispira oggi la disposizione processuale, ha per oggetto genericamente fatti che i soggetti
previsti dalla disposizione apprendono – a prescindere dal mezzo, se orale o per iscritto, dal modo
in cui è avvenuta, se nel corso di un colloquio vis à vis o a distanza – durante la loro attività ed è,
dunque, interamente focalizzato attorno alla relazione intersoggettiva che ha generato la
conoscenza. L’ambito di << quanto conosciuto>>, peraltro, non è limitato solo a quanto
l’interessato confida al soggetto qualificato ma a qualunque circostanza di fatto (una malattia,
per il caso del medico; il luogo in cui si è rifugiato il ricercato, per l’avvocato o il sacerdote che
hanno contatti con il latitante) appresa in ragione della professione o del ministero ancorché
l’interessato non intendesse nemmeno farne oggetto di condivisione con chicchessia”32
.
E2) IN GIURISPRUDENZA
La recente sentenza n. 26323/2014 ha affermato “Tale dato inequivocabile rende vana la
tesi della pubblica accusa che vorrebbe interpretare la conversazione nei termini di uno scambio di
opinioni tra amici, perché non è né il tono, né il luogo ove la stessa si stava tenendo (l'auto del C.)
che possono qualificare la stessa in termini di scambio amicale anziché di attività defensionale …”.
32
cfr. anche Cass. pen. Sez. V n. 27856 del 2001 in “Il diritto Ecclesiastico” n. 4/2001 pagg. 242-251 con commento
di Salvatore Bordonali, citata in precedenza che ha assolto un sacerdote che aveva fornito informazioni incomplete su
persona coinvolta nella protezione di un latitante, sempre che le abbia apprese per ragioni attinenti al suo ministero. Il
sacerdote si era recato sul luogo del latitante;
20
F. SUL SEGRETO DEL MINISTRO DI CULTO, INDIPENDENTEMENTE DALLA
“CONFESSIONE” INTESA COME QUELLA DEI FEDELI CATTOLICA AI PRETI, CON
I PARAMENTI ED IN UN LUOGO DEPUTATO (CHIESA)
Fermo il fatto che la struttura organizzativa della Confessione della C.C.T.G. è difforme
dall’ordinamento Cattolico così come lo sono anche altre Confessioni religiose, è un fatto evidente
che il Giudice ha ritenuto oggetto del segreto confessionale solo e inspiegabilmente, quanto riferito
a voce o al massimo quanto iniziato a percepire visivamente dopo l’inizio della comunicazione
verbale perché cercava di rapportarlo all’istituto e al dogma confessionale cattolico della
“confessione”.
Nel verbale alle pagine 16 e 17 il Giudice afferma: “lei non ci deve riferire sui contenuti del
colloquio legati alla sua funzione pastorale, semplicemente deve dire che cosa ha notato con i suoi
occhi quando è intervenuto …. No, ma lei, quando mette piede nell’ambito di un appartamento
non sta ancora esercitando quella che è la sua funzione ”.
Il Di Marco non può essere considerato responsabile di reticenza per non aver rivelato circostanze
viste e percepite nell’abitazione dei coniugi T., perché tali circostanze, erano chiaramente legate alle
questioni personali degli stessi coniugi e costituivano proprio la ragione per cui lo stesso Di Marco,
in veste di ministro di culto, era presente nella casa del sig. T.33
.
In ogni caso, al fine di evidenziare l’irrilevanza e la inoffensività dei fatti per cui il Di Marco è
stato assunto come teste, portiamo a conoscenza della S.V. che i processi penali di minaccia e
maltrattamenti in famiglia a carico del sig. P. T. si sono conclusi con la sentenza n. 893/2012 per
remissione della querela in relazione al primo e con l’assoluzione con formula piena “perché il fatto
non sussiste” per il secondo reato. Rileviamo anche che la sentenza n. 893/2012 non fa riferimento
alla mancata testimonianza del Di Marco.
G. MANCANZA DELL’ELEMENTO PSICOLOGICO (DOLO GENERICO) DEL REATO DI
RETICENZA
45. Posto che secondo l’art. 43 c.p. il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando il fatto reato, è
dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della sua azione od omissione, nella fattispecie
33
cfr. l’all. n. 10, Cass. pen. Sez. V sent. n. 27856/2001 che ha ribadito che gli ecclesiastici non sono tenuti a dare ai
magistrati o ad altre autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragioni del loro
ministero.
21
diventa ancor più dirimente evidenziare lo stato psicologico del Di Marco in occasione del fatto
ascrittogli come reato, proprio al fine di escludere la sussistenza di qualsivoglia atteggiamento
doloso dell’imputato.
46. E’ fatto del tutto incontestato e indubbio, che il Di Marco sia ministro di culto della Congregazione
Cristiana dei Testimoni di Geova, e, come tale, sia ben consapevole e conscio delle responsabilità
che tale ruolo gli impone, non solo nel prestare sostegno spirituale ai fedeli della congregazione cui
lo stesso si associa, ma anche nel tutelare e garantire la riservatezza in tutte le occasioni in cui
esercita la sua funzione.
47. La chiara consapevolezza della responsabilità che la figura di ministro di culto gli impone si è
palesemente manifestata nel corso dell’esame testimoniale ove, eccependo più volte di essere
ministro di culto, ha rivelato uno stato psicologico del tutto incentrato a mantenere fede ad ogni
dovere legale connesso a tale ruolo, ed in particolare a quello legato al segreto ministeriale.
48. Nel corso dell’esame testimoniale l’atteggiamento psicologico del Di Marco non era quello di
voler tacere per non rivelare al giudice circostanze vedute e/o sentite nella casa del T., ma era quello
di non violare un segreto imposto dalla legge stessa. L’art 622 c.p., infatti, punisce penalmente
chiunque, come il Di Marco, per ragione del proprio stato (ministro di culto) riveli un segreto senza
giusta causa.
49. Il paradosso, purtroppo, è che il Di Marco si vede imputato in un processo per falsa testimonianza
per avere unicamente manifestato ed espresso la propria fermezza a mantenersi fedele ad un dovere
che, non solo è sancito da norma giuridica penale (art. 622 c.p.) di pari rango a quella (art.372 c.p.)
per cui lo si vuole veder condannare, ma che persino trova origine e ragione nell'art. 19 della
Costituzione.
50. In secondo luogo, va evidenziato il clima di forte stress in cui si è venuto a trovare il Di Marco nel
corso dell’esame, poiché, a fronte dei suoi tentativi di rappresentare il proprio ruolo di ministro di
22
culto, veniva travisata, senz’altro in buona fede, ogni spiegazione da lui fornita su come i ministri di
culto testimoni di Geova esercitano la loro funzione.
51. In un contesto del genere, alquanto confuso, il Di Marco è quindi rimasto fermo e legato all’unica
certezza chiara che aveva, ossia il proprio dovere giuridico di mantenere il segreto ministeriale.
52. Inoltre, una volta che il Di Marco ha opposto il proprio segreto ministeriale suscitando le note
perplessità nelle parti del processo, neppure vi è stato alcun doveroso accertamento in ordine alla
sua qualità di ministro di culto, come impone invece l’art. 200 comma 2 c.p.p. in casi del genere; e
neppure vi è stata un’ordinanza, o se vi è stata non è stata percepita, che, alla luce degli
accertamenti, imponesse al teste di deporre.
53. A tal riguardo la giurisprudenza di legittimità chiarisce i soggetti di cui all’art. 200 c.p.p., tra cui
anche i ministri di culto, “ Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per
ragioni del loro ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne
all’autorità giudiziaria. Ne deriva la necessità di una puntuale verifica sul punto” (Cass. pen.
11.2.2009 n. 9866).
54. Pertanto, il Di Marco non avendo percepito alcuna ordinanza in tal senso, che invece avrebbe
mutato lo stato psicologico dello stesso, ha mantenuto un atteggiamento soggettivamente diretto
all’adempimento di un dovere e non invece dolosamente orientato ad assumere una condotta
reticente nel ruolo di testimone.
H. NULLITÀ DELL’ORDINANZA ORALE A TESTIMONIARE, EMESSA IN UDIENZA
DALL’ILL.MO SIG. GIUDICE DEL DIBATTIMENTO - APPLICABILITÀ DELL’ART
200, 2° COMMA, C.P.P., NORMA SPECIALE RISPETTO ALL’ART 207, 2° COMMA,
C.P.P.
55. L’ordinanza ex art. 200, 2° co., c.p.p., di cui al verbale del 18 luglio 2012: è 1°) irritualmente; 2°)
abnorme.
56. Il Giudice davanti alle affermazioni del teste, riportata a pag. 9 del verbale del 18.7.2012, di essere
“un ministro di culto dei Testimoni di Geova, quindi mi avvalgo …. Mi avvalgo del segreto
23
confessionale, come del resto fanno anche i sacerdoti cattolici”; e alle pagg. 11-12 “Diciamo che
quello che noi abbiamo comunque visto, ha a che fare solo con l'opera Pastorale, perché noi non
abitiamo neanche vicino; noi stiamo a Castelnuovo, loro sono a Teramo”; si sarebbe dovuto
fermare, per accertare attraverso una verifica puntuale la veridicità delle affermazioni sul
nesso causale tra fatti oggetto della deposizione ed esercizio del ministero34
. Se il nesso causale si
fosse dimostrate non veritiere (in fatto o in diritto) per ammettere la deposizione del Di Marco
l’Ill.mo sig. Giudice avrebbe dovuto pronunciare un’ordinanza motivata per i motivi che di seguito
esponiamo.
57. L’art. 200 c.p.p., prevede che non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto
per ragione del proprio ministero, ufficio o professione salvo i casi in cui hanno l’obbligo di
riferirne all’autorità giudiziaria: a) i ministri delle confessioni religiose i cui statuti non contrastino
con l’ordinamento giuridico italiano. La stessa protezione è assicurata ad avvocati, consulenti
tecnici, notai farmacisti ecc. Tuttavia qualora “il giudice abbia motivo di dubitare che la
dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli
accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga” (art. 200, c.p.p. 2°
comma)35
.
58. Quindi, ove davanti al giudice sorgano questioni sul punto, dovrebbe essere il giudice stesso a
verificare la fondatezza dell’astensione del testimone, che non sarebbe ammissibile qualora le
informazioni fossero apprese al di fuori dell’esercizio della funzione ministeriale. Se ad indagini
espletate, la dichiarazione di astensione appare realmente pretestuosa, il giudice pronuncia
ordinanza motivata36
.
34
cfr. Cass. Pen., Sez. VI, n. 9866 del 2009 citata più dettagliatemente al paragrafo 31 della presente memoria: “Ne
deriva la necessità di una puntuale verifica sul punto”. 35
cfr. da ultimo Cass. pen., Sez. II, 2011 n. 13369 nella quale si afferma “alla luce della giurisprudenza di questa
Corte in materia, in quanto certamente rientrava nel potere del Giudice disporre la deposizione del ricorrente come da
richiesta del PM e vagliare la fondatezza nel merito delle ragioni addotte per astenersi dal deporre (come è stato fatto
nella motivazione del provvedimento), sicché il provvedimento appare ordinaria e funzionale espressione di un potere
concesso dalla legge; 36
“La prova testimoniale nel processo penale” di Di Martino e Procaccianti CEDAM 2010 “7.7 Il controllo sulla
dichiarazione di astensione” pag. 117 “Qualora tali accertamenti e i conseguenziali elementi utili acquisiti anche ex
officio (Cordero 1992, 248) diano risultato positivo, il giudice dispone con ordinanza motivata (Cristiani 1989 191; il
P.M. provvede invece con decreto parimenti motivato) che il testimone renda la sua dichiarazione”; conforme codice di
procedura penale commentato in “leggiditalia.it”, art. 200 c.p.p., “4. Compiti del giudice … Se ad indagini espletate,
la dichiarazione di astensione appare realmente pretestuosa, il giudice pronuncia ordinanza motivata.”
24
59. In considerazione di quanto esposto riteniamo che il Giudice abbia applicato erroneamente al caso
de quo l’art. 207, 1° e 2° comma, c.p.p., nella parte in cui statuisce che “Se nel corso dell’esame un
testimone rende dichiarazioni contraddittorie …… il presidente o il giudice glielo fa rilevare
rinnovandogli se del caso l’avvertimento previsto dall’art. 497 comma 2°. Allo stesso avvertimento
provvede se un testimone rifiuta di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (art.
199-200) e se il testimone persiste nel rifiuto dispone l’immediata trasmissione degli atti al
pubblico ministero perché proceda a norma di legge. Invece l’Ill.mo sig. Giudice avrebbe dovuto
applicare l’art. 200, 2° comma c.p.p., per il motivo che le ragioni dell’astensione del ministro di
culto sottendono a principi costituzionali fondamentali e sono più complessi da decifrare, e di
conseguenza si sarebbe dovuto fermare per procedere ad accertamenti ed eventualmente
pronunciare un’ordinanza motivata
I. ORDINANZA IRRITUALE, NON MOTIVATA E NON PERCEPITA DAL TESTE
60. L’ordinanza che il giudice ha formulato oralmente in udienza per imporre al Di Marco di
testimoniare NON È MOTIVATA. A pag. 28 del verbale di udienza è riportata l’ordinanza che
l’Ill.mo sig. Giudice ha emesso: “Giudice - Allora, atteso che l’attività è riferita, sia
temporalmente, sia dal punto di vista dell’esercizio del ministero, dispone che il teste renda le
risposte alle domande poste dalla difesa. Quindi deve rispondere in ordine a ciò che lei ha visto
quando è entrato in casa del signor T.”. La sua formulazione è poco chiara anche a confronto con
l’ordinanza che nello stesso processo è stata emessa successivamente nei confronti dell’altro
ministro di culto Emanuele Rocci, riportata a pag. 31 del verbale di deposizione del 18 luglio
201237
, anche se non è da ritenersi idonea al fine di una deposizione ex lege.
61. Da quanto sopra esposto ma anche dal tenore del verbale di deposizione del Di Marco all’udienza
del 18 luglio 2012 è agevole comprendere che l’Ill.mo sig. Giudice penale del Tribunale di Teramo
37 BRANI DELL’ORDINANZA DEL 18 LUGLIO 2012 AL TESTE EMANUELE ROCCI: “Giudice - Va bene. Il
teste non è autorizzato ad avvalersi del segreto professionale, limitatamente alla percezione della situazione dei luoghi
al momento del suo arrivo. Quindi non attiene alle dichiarazioni eventualmente rilasciate dal signor T. P.. Ha
compreso?
Testimone, Rocci E. - Non bene!
Giudice - Allora, distinguiamo due aspetti temporali e di luogo: il vostro arrivo presso l’abitazione di T. P., l’ingresso,
la percezione dello stato dei luoghi. Viceversa, per quanto riguarda eventuali aspetti, problematiche comunicate da T.
P. ricollegabili all’esercizio del vostro ministero, su quello può avvalersi del segreto. D’accordo?
Testimone, Rocci E. - D’accordo.
Giudice - Adesso può rispondere alle domande che le farà il difensore, nei limiti della descrizione di questi luoghi”.
25
non ha emesso un’ordinanza motivata. Dal testo della stessa non si comprendono le ragioni di fatto
e di diritto che hanno portato il Giudice a tale convinzione.
I1) IN GIURISPRUDENZA
62. La sentenza Cass. pen., Sez. III, n. 528, 5.02.1996 (cfr. all. 12) in relazione alla motivazione
dell’ordinanza afferma “L’ordinanza, a differenza della sentenza, i cui requisiti sono fissati nell'art.
546 c.p.p., è un provvedimento a forma libera. All’uopo è sufficiente che sia chiaramente
individuabile l’autorità che la ha pronunciata, e la persona alla quale si riferisce; la concisa
esposizione della maturazione di fatto e di diritto, il dispositivo, ricavabile comunque dall'intero
testo del documento; la data e la sottoscrizione del giudice”. Sullo stesso piano la più recente
sentenza, Cass. pen., Sez. II n. 13369 del 01.04.2011 (all. n. 11)38
.
63. Un’ulteriore appunto questa difesa lo solleva in ordine alle modalità con cui è avvenuta la
deposizione e la conseguente ordinanza. Dopo circa trenta minuti di domande al teste da parte
dell’Ill.mo Giudice, dell’Avvocato Difensore e del P.M., riteniamo che almeno alcune di queste
domande abbiano gettato in confusione il teste, in quanto non corrette nella loro definizione
(riportiamo alcuni brani del verbale di deposizione, tra i più significativi nella nota in calce39
), il Di
Marco non ha percepito l’ordinanza del Giudice come tale.
38
Cass. pen., Sez. II n. 13369 del 01.04.2011 “il P.M. richiedeva al GIP di ordinare al ricorrente di deporre sulle
circostanze sulle quali lo stesso aveva opposto il segreto e il GIP con l’ordinanza impugnata del 10.6.2010 provvedeva
conformemente alla richiesta convocando il ricorrente per le ore 15 … Circa la deduzione per cui il giudice avrebbe
dovuto, ex art. 200 cpv. c.p.p., disporre gli "accertamenti necessari", le censure mosse sono analogamente infondate:
da un lato non si vede quali ulteriori accertamenti il Giudice avrebbe dovuto compiere posto che il ricorrente era già
stato sentito sul punto in precedenza e dall’altro lato anche a volere ammettere -per mero artificio argomentativo - che
sia stata commessa una irregolarità ciò non rende automaticamente il provvedimento "abnorme", alla luce della
giurisprudenza di questa Corte in materia, in quanto certamente rientrava nel potere del Giudice disporre la
deposizione del ricorrente come da richiesta del PM e vagliare la fondatezza nel merito delle ragioni addotte per
astenersi dal deporre (come è stato fatto nella motivazione del provvedimento), sicché il provvedimento appare
ordinaria e funzionale espressione di un potere concesso dalla legge”;
Cass. pen. Sez. Un. n. 17/2000 che ha considerato ammissibile anche la c.d. motivazione per relationem, ovvero quella
che si rifà al contenuto di un altro atto, a patto che siano rispettati due requisiti. Il destinatario dell’atto deve essere in
condizione di conoscere la motivazione del provvedimento richiamato, quindi questo deve essere conosciuto o
facilmente conoscibile, e il richiamo deve soddisfare l’obbligo della motivazione, il quale risulta disatteso
ogniqualvolta si ricorra a generiche formule di stile o le argomentazioni adottate siano non logicamente
riconnettibili alla decisione adottata.
cfr. anche Cass. pen. Sez. V, n. 46789/2005, che ha stabilito che è illegittima e deve essere annullata con rinvio
l’ordinanza a seguito di incidente di esecuzione di esecuzione scritta a mano con grafica tale da non consentire la
comprensione né della motivazione né del dispositivo. 39
pag. 11:
Giudice - Si, però è diverso, perché l’attività pastorale, ovvero la comunicazione di messaggi o sollecitazione su
problematiche di natura religiosa, chiaramente non attiene a quello che è l’esercizio della funzione di ministro di culto
nell’ambito di ciò che eventualmente apprende quando, viceversa ...
pag. 16:
26
Giudice - si, ma in questo caso non attiene all’opera pastorale, attiene ad un momento precedente, dal punto di vista
storico; ovvero lei non ci deve riferire sui contenuti del colloquio legati all’esercizio della sua funzione pastorale,
semplicemente deve dire che cosa ha notato con i suoi occhi quando è intervenuto …
pag. 16-17:
Giudice - no, ma lei, quando mette piede nell’ambito di un appartamento...
Testimone, Di Marco D. - Si, comunque qui significa che io sto rivelando qualcosa!
Giudice - ... non sta ancora esercitando quella che è la sua funzione.
pag. 18 – 19:
“Giudice - Ma c’era una cerimonia religiosa da svolgere all’interno?
Testimone, Di Marco D. - No, no.
Giudice - Voi portavate dei paramenti sacri? Era un tempio?
Testimone, Di Marco D. - Che vuol dire?
Giudice - É il vostro tempio, la casa di... à la Casa del Signore, la casa di T. ?
Testimone, Di Marco D. - No, che c’entra!
Giudice - Voi avete un tempio, sì?
Testimone, Di Marco D. - È chiaro, sì.
Giudice - Dove fate la...
Testimone, Di Marco D. - Abbiamo delle sale.
Giudice - Ed in quel momento l’attività pastorale... Lei si rende conto che non è un’attività che la esime dal riferire?
Testimone, Di Marco D. - Lo so cosa... Comunque come i sacerdoti hanno i loro...
Giudice - Era la confessione, era una confessione? Voi riconoscete l’istituto della confessione?
Testimone, Di Marco D. - Noi abbiamo...
Giudice - Si o no? Guardi, mi risponda!?
Testimone, Di Marco D. - Ascolti, noi ci atteniamo a ciò che dice la Bibbia. Noi abbiamo...
Giudice - Quindi non riconoscete la confessione?
Testimone, Di Marco D. - Noi ci avvaliamo del segreto confessionale...
Giudice - Senta, io ho fatto una domanda! Riconoscete la confessione come istituto?
Testimone, Di Marco D. - Confessione cattolica... Dipende che cosa..,
Giudice - Ecco, la confessione...
Testimone, Di Marco D. - Quella cattolica no, noi abbiamo la confessione pastorale.
Giudice - Che è pubblica.
Testimone, Di Marco D. - No, non è pubblica.
Giudice - Si, è pubblica!?
Testimone, Di Marco D. - No, non è pubblica, perché comunque...
Avv. Difensore, Navarra - Comunque, Giudice, io ho necessità di fare queste domande, se il teste non mi risponde, ne
prendo atto e sollecito la Procura per quanto di competenza”.
pagg. 23-24:
Testimone, Di Marco D. - era una casa dove si vedeva che comunque lui aveva avuto delle difficoltà con la moglie,
però adesso che cosa abbiamo visto noi, io sinceramente non ...
Giudice - Però se lei dice "è una casa dove si vedeva che aveva avuto delle difficoltà con la moglie"…
Pubblico Ministero - Da cosa si vedeva?
Giudice - Che significa? Cioè, c’erano segni di disordine, cose fuori posto, oggetti rotti? Mi dica lei quello che h potuto
notare.
Testimone, Di Marco D. - à questo che non voglio ... Perché rientra nelle mie facoltà.
Giudice - Ma era una casa in disordine, almeno per quello che lei ha percepito, sì o no?
Testimone, Di Marco D. - non era sicuramente una casa brillante, in quel momento.
Giudice - No, ma lasci stare l’aspetto della pulizia, perché brillante fa riferimento ad un’attività generalmente di
lavatura e di pulizia della casa.
Testimone, Di Marco D. - Si, sì, ho capito,
Giudice - Quindi ha notato oggetti in disordine?
pag. 25-27:
Giudice – Prego, Pubblico Ministero.
Pubblico Ministero - Senta, allora lei come ha fatto adesso, rispondendo al Giudice, a dire "ho visto la casa con"...
Cioè "si vedeva che c’erano stati dei litigi"?
Testimone, Di Marco D. - Perché comunque...
Pubblico Ministero - Cioè, sulla base di cosa lei afferma ciò?
Testimone, Di Marco D. - No, io non ho detto che c’erano stati dei litigi, ho detto semplicemente che non l’ho vista
come magari le altre volte. Ma ciò che ho visto in quella casa non Io dico, perché fa parte del mio segreto
confessionale.
Pubblico Ministero - Sì, ho capito il segreto professionale...
27
64. All’esito di queste domande il Giudice ha pronunciato l’ordinanza in udienza al fine di obbligare il
teste a deporre (ex art 200 c.p.p. o art. 207 c.p.p.?); ordinanza da ritenersi nulla e/o inesistente, in
quanto non sufficientemente motivata, mancante dei requisiti minimi di legge40
, e per l’effetto non
percepita dal teste, come lo stesso ha affermato e trascritto nel Verbale di interrogatorio su delega
del P.M. nella Stazione dei Carabinieri di Castelnuovo Vomano in data 31 marzo 201441
.
65. Pertanto per questa difesa il reato di reticenza, ex art. 372, non si configura in quanto il fatto non
sussiste.
L. ECCEZIONE DI INCOSTITUZIONALITÀ
Testimone, Di Marco D. - Confessionale!
Pubblico Ministero - però quando lei parla di segni di litigi nella casa, all’interno della casa...
Testimone, Di Marco D. - Ma non ho detto segni di litigi!
Pubblico Ministero - ... Quali sono i segni? Ci sono state, non lo so, delle sedie rotte, delle pentole rotte?
Testimone, Dì Marco D. - Scusi, signor Pubblico Ministero, non vorrei essere mal capito o sembrare che non voglia
collaborare, il punto ò che comunque... Io innanzitutto non ho detto che c’erano stati dei litigi; è una parola che non
ho usato.
Pubblico Ministero - No, lo ha detto prima, guardi!?
Testimone, Di Marco D. - No, litigi non l’ho detto.
Pubblico Ministero - Si, lo ha detto prima!?
Testimone, Di Marco D. - No, non l’ho detto!
Pubblico Ministero - ha registrato, quindi ...
Testimone, Di Marco D. - Non l’ho detto! Ho detto solo che ho visto la casa...
Giudice - Allora, io le ricordo che quanto lei ha riferito e quanto sta riferendo, è tutto registrato.
Testimone, Di Marco D. - Ok, comunque ho detto semplicemente...
Pubblico Ministero - E ricordiamo anche, Giudice, se mi permette, che esiste anche il reato di falsa testimonianza, al
teste. Perché, al di là adesso della...
Testimone, Di Marco D. - Io non sto dicendo falsa testimonianza! Ciò che sto dicendo è ciò che so, la pura verità!
Pubblico Ministero - Quantomeno mi sembra reticente, insomma!?
Testimone, Di Marco D. - Dico solamente che ciò che ho visto in quella occasione che svolgeva, ripeto, l’opera
pastorale, perché sono stato chiamato come pastore e non come amico... Non dico ciò che ho visto perché è una mia
decisione...
Pubblico Ministero - Senta, lei questa differenza di essere stato chiamato come pastore e non come amico, sulla base di
cosa
Testimone, Di Marco D. - Dal ruolo che ricopro, perché altrimenti... 40
Cost. ART 111 … Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati [Cost. 13, 14, 15, 21].;
c.p.p. art. 125 Forme dei provvedimenti del giudice. 1. … 2. … 3. Le sentenze e le ordinanze sono motivate, a pena di
nullità [c.p.p. 177, 546, 604, comma 5]. ….
c.p.p. art. 200. Segreto professionale 1. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per
ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità
giudiziaria [c.p.p. 331, 334]:
a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano; b) …; c) …; d)
…;
2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata,
provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.
3. … Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale,
relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio
della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro
veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista
di indicare la fonte delle sue informazioni.
41 Verbale di interrogatorio su delega del P.M. nella Stazione dei Carabinieri di Castelnuovo Vomano del Di
Marco in data 31 marzo 2014 pag. 3 “Non mi ero accorto che il Giudice mi aveva fatto una Ordinanza …”.
28
67. Alla luce del capo di imputazione a carico del Di Marco (“...interrogato su che cosa aveva
visto in merito ai litigi tra T. P. e la di lui moglie, taceva su ciò che sapeva intorno ai fatti su sui
quali era interrogato”) e del mancato riconoscimento della scriminante di cui all’art. 200 c.p.p. (che
riconosce ai ministri di culto la non obbligatorietà a deporre su quanto hanno conosciuto in ragione
del proprio ministero) norma di riferimento processuale dell’art. 622 c.p. (che impone di non
rivelare un segreto da parte di chi ne ha notizia in ragione del proprio stato), si prospetta, secondo
questa difesa, una interpretazione normativa del segreto professionale tale da far emergere apparenti
vizi di incostituzionalità della norma stessa, in violazione dell’art. 25 Cost. che garantisce il
principio di determinatezza e di tassatività della legge penale.
68. In altri termini la norma penale in questione non garantirebbe, ai soggetti da essa coinvolti,
un sufficiente grado di specificità nel tipizzare la fattispecie di cui all’art. 622 c.p. con i termini “
chiunque avendo notizia per ragioni del proprio stato o ufficio ..... lo riveli” e nel circoscrive la
conseguente scriminante ex art. 200 c.p.p., dal reato di cui all’art. 372 c.p., con l’espressione “non
possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero”,
con l’effetto concreto di porre l’autorità giudicante nel pieno potere di ampliare o, come nel caso di
specie, restringere l’operatività della causa di giustificazione, facendo pertanto rientrare nel
concetto di conoscenza che scrimina solo ciò che il Di Marco ha sentito, e non anche ciò che ha
visto nella funzione di ministro di culto.
69. In merito al principio di legalità concernente la formulazione del tipo penale, per
orientamento consolidato si ritiene che nell’art. 25, comma 2, Cost. trovino riconoscimento
implicito i principi di determinatezza e tassatività del reato, garanzie che appaiono peraltro oggetto
di più diretta menzione nella più esplicita formulazione dell’art. 1 c.p. (ove si stabilisce che
“Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge come
reato, né con pene che non siano da essa stabilite”).
70. Quanto al principio di determinatezza, i “due obiettivi fondamentali” ad esso sottesi
consistono – come anche di recente ha ribadito la Corte – «per un verso, nell’evitare che, in
contrasto con il principio della divisione dei poteri e con la riserva assoluta di legge in materia
penale, il giudice assuma un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il
lecito e l’illecito; e, per un altro verso, nel garantire la libera autodeterminazione individuale,
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permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico -
penali della propria condotta» (Corte Cost. sentenza n. 327 del 2008).
71. Le disposizioni penali devono essere “chiaramente formulate”, e devono essere rese altresì
conoscibili dai destinatari grazie ad una pubblicità adeguata (art. 73, comma 3, Cost.): i principi in
esame comportano dunque - secondo la Corte – l’adempimento da parte dello Stato di precipui
doveri costituzionali, attinenti, anzitutto, alla formulazione del divieto, che deve essere tale da
consentire di distinguere tra la sfera del lecito e quella dell’ illecito (si vedano, sul punto, i rilievi
puntualizzati nella sentenza Corte Cost. n. 364 del 1988).
72. In definitiva, il riferimento ai principi di tassatività e determinatezza della norma penale
richiamano, secondo la Corte costituzionale, la “chiarezza” e l’“intelligibilità” dei termini
impiegati, affermate come vere e proprie condizioni della determinatezza, assieme alla verificabilità
del fenomeno disciplinato e, quindi, alla sua rispondenza alla fenomenologia del reale (Corte Cost.
sentenza n. 96 del 1981).
73. Sotto il profilo della rilevanza della questione, essa è più che evidente, in quanto la
normativa su cui questa difesa ha evidenziato più che ogni ragionevole dubbio di costituzionalità,
svolge un’incidenza concreta e attuale nell’ambito del pendente processo, ponendosi in rapporto di
pregiudizialità e dipendenza necessaria per la corretta definizione del giudizio.
P.Q.M.
Voglia l’Ill.mo Giudice dell’udienza dibattimentale del pendente procedimento assolvere Di Marco
Damiano in quanto “il fatto non sussiste”, per mancanza degli elementi costitutivi del reato
ascrittogli avendo egli agito nell’esercizio del suo diritto, ex. artt. 51, 384 e 622 c.p. e 200 c.p.p.,
8 e 19 Cost., di ministro di culto della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova.
In via subordinata, questa difesa, solleva la questione di legittimità costituzionale per quanto
riguarda l’art 622 c.p. e l’art. 200 c.p.p. in violazione dell’art. 25 Cost. laddove, contrariamente ai
principi costituzionali di determinatezza e tassatività della norma, non viene specificato,
relativamente al segreto professionale, che cosa concretamente si intenda per l’espressione “ avendo
notizia” (art 622 c.p.) e “hanno conosciuto” (art. 200 c.p.p.).
Si allegano:
All. 1 Attestato di ministro di culto;
All. 2 Statuto della C.C.T.G.;
All. 3 Decreto del Presidente della Repubblica n. 783/1986;
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All. 4 Libro di testo dei ministri di culto della C.C.T.G. “Pascete il gregge di Dio”, pagg. 48-49, § 6
“Visite pastorali incoraggianti”; “Il ministero del Regno” n. 7/1998 pag. 1, “Una visita che può
rivelarsi una benedizione”;
All. 5 Libro di testo dei ministri di culto della C.C.T.G. “Pascete il gregge di Dio”, pagg. 52-53, §
18-20 “Aiutate chi ha problemi coniugali”;
All. 6 A) Ordinanza del Tribunale di Bari del 6 dicembre 2004, Pres. dr. Napoleone, rel. dr.
Cassano; B) conseguente Sentenza Tribunale Bari 20.02.2007, Giudice dr. Casciaro;
All. 7 Parere pro veritate del prof. Nicola Colaianni del 23 settembre 2004;
All. 8 Brani di “La Torre di Guardia”: A) 1/6 1997 p. 11 § 16 “Geova, un Dio che rivela i segreti”;
1/3 1997 p. 28 “Avete timore di fidarvi di altri?”; 15/3 1996 pp. 18-19 § 12-13 “Affrontiamo la
sfida della lealtà”; B) 15/11 2006 pp. 26-30 “Accettate sempre la disciplina di Geova”; C) 15/3
1996 p. 18 § 12; 15/11 1991 p. 23 § 19; D) 15/4 2013 p. 15 § 14;
All. 9 Cass. pen. Sez. V, n. 22827/2004;
All. 9-bis Cass. pen. Sez. VI n. 9866/2009;
All. 10 Cass. pen. Sez. V, n. 27656/2001 in “Il diritto Ecclesiastico”, n. 4/2001 pagg. 242-251, con
commento del prof. Salvatore Bordonali;
All. 10-bis Cass. pen., n. 17979/2013;
All. 10-ter Cass. pen. n. 51670/2014;
All. 11 Cass. pen., Sez. II, n. 13369 07.01.2011;
All. 12 Cass. pen., Sez. III, n. 528, 05.02.1996.
Teramo, lì 3 giugno 2015
Con osservanza
Avv. Giovanni Cavallo
Avv. Valerio Borghesani