Il Trauma Cranio-Encefalico Grave nel giovane adulto: · Web view2018-09-20 · Dopo trauma...
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Cap 4
IL TRAUMA CRANIO-ENCEFALICO GRAVE NEL GIOVANE ADULTO:
UN TRAUMA ALLA PERSONA E ALLA FAMIGLIA.
Anna CANTAGALLO, Paola PERINI
INTRODUZIONE
Il trauma cranio-encefalico (TCE) grave in età giovanile è un trauma all’identità fisica e
psichica del singolo paziente coinvolto direttamente dall’incidente stradale, o dalla caduta, o
dall’aggressione fisica, ed insieme un trauma alla sua famiglia, come intero sistema ove il paziente
si relaziona, propone e segue regole di convivenza, svolge i propri ruoli, soddisfa i propri bisogni
fisici ed emotivi, a sua volta soddisfacendo quelli degli altri componenti familiari.1
La presa in carico riabilitativa deve quindi essere rivolta già dalla fase acuta, e per tutto il
processo di recupero spontaneo o guidato dai programmi terapeutici, sia al paziente che ai
componenti più stretti della sua famiglia, perché tutti possono necessitare di interventi riabilitativi,
ed inoltre perché tutti possono collaborare attivamente ai programmi stessi.2
Ecco perché abbiamo impostato l'intero capitolo sulle menomazioni, sulla perdita di
autonomia e di partecipazione sociale sia del paziente che dei suoi familiari, con i conseguenti danni
temporanei e/o definitivi alle singole persone ed al sistema familiare nel suo complesso.
L’impatto del grave TCE non è devastante solo a livello della singola persona e della sua
famiglia, ma anche a livello dell’intera società ove essi vivono. Infatti il TCE, in particolare se
conseguente ad incidenti stradali, rappresenta la prima causa di disabilità nella popolazione giovane
(15-35 anni), la fascia più produttiva dal punto di vista lavorativo e con più lunga aspettativa di vita
futura.3
Esso rappresenta inoltre, nei Paesi industrializzati, una delle più frequenti cause di morte
sotto i 40 anni; dati ISTAT riportano che in Italia il TCE è la prima causa di morte nella
popolazione fra i 15 ed i 25 anni, con un’incidenza globale di 25 decessi/100.000 abitanti/anno; in
genere essa avviene durante il ricovero in reparti intensivi ed entro le prime settimane.4
Quanto numerosi sono i TCE con necessità di ricovero ospedaliero? L’incidenza
complessiva varia fra i 180-300 casi/100.000 abitanti/anno: in Italia i dati ISTAT riportano i valori
1 Scabini E.: Psicologia sociale della famiglia. Bollati Boringhieri, Torino, 1997.2 Boldrini P., Basaglia N.: La riabilitazione del grave traumatizzato cranio-encefalico. Masson, Milano, 1994.3 Jennett B., Frankowski R.: The epidemiology of head injury. In: R. Braakman (Ed.): Handbook of clinical neurology.
Elsevier , Amsterdam-New York, 1990, pp 1-16. 4 Servadei F., Ciucci G., Piazza G. et al.: A prospective clinical and epidemiological study of head injuries in
Northern Italy: the Comune of Ravenna. It Jour Neurol Sci, 1988, 9:449-457.
1
maggiori di incidenza, e su 100 di questi si stima che 80 siano lievi, 10 di entità moderata e 10 di
livello grave.5
Tutti gli studi riportano un rapporto fra sesso maschile/femminile di 2-3/1 casi. L’età più
colpita è quella dai 14 ai 25 anni, poi un secondo picco si presenta in età geriatrica ed infine un
terzo picco nei primi anni di vita.6
Le proiezioni più affidabili per valutare l’evoluzione dei problemi sanitari nei primi decenni
degli anni 2000, effettuate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), segnalano che questo
problema è destinato a crescere come dimensioni e costi. Addirittura, queste proiezioni mostrano
come nei Paesi in via di sviluppo gli incidenti stradali siano destinati a passare, in termini di causa
rilevante per la salute pubblica, dall’undicesimo al secondo posto (per i Paesi industrializzati è
invece prevista una diminuzione, anche in considerazione delle azioni di prevenzione già
programmate e da programmare). Non a caso, dunque, l’OMS, così come l’Unione Europea,
pongono all’attenzione degli Stati la riduzione della mortalità per incidenti stradali come un
obiettivo prioritario. Nel nostro Paese, peraltro, questo obiettivo è stato negli ultimi anni inserito
anche nel Piano Sanitario Nazionale.
La mortalità legata agli incidenti stradali rappresenta soltanto uno dei molti aspetti da
considerare: uno studio approfondito del fenomeno mostra che il peso sociosanitario della
morbosità e dell’invalidità associate a questi eventi è ancor più rilevante. È quindi evidente
l’interesse sociale, non soltanto della prevenzione, ma anche dell’ottimizzazione nell’assistenza al
traumatizzato cranico attraverso percorsi clinici individualizzati.7
Il miglioramento dell'assistenza e della riabilitazione, peraltro, rappresenta uno dei fattori
cruciali per il contenimento degli esiti invalidanti cronici, ed ha quindi profonde ricadute sul
sistema della responsabilità civile.
FASI DELLA RIABILITAZIONE DEL TCE
Nella definizione dei tempi e delle modalità del trattamento dei pazienti con TCE, è utile
rifarsi al modello della classificazione delle conseguenze degli eventi morbosi della Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS), nella prima versione del 1980 (ICIDH), poi rivista nel 2000 con
nuove definizioni (ICF) che testimoniano una modificazione profonda della filosofia della
diversità.8 Una sintesi dei principi ispiratori di questo modello è riportata in Appendice A.
5 Boldrini P. La riabilitazione del paziente con esiti di trauma cranio-encefalico (TCE). In: N. Basaglia (a cura di): Trattato di medicina riabilitativa. Idelson-Gnocchi, Napoli, 2000.
6 Marshall L.F., Gantille T., Klauber M.R. et al.: The outcome of severe head injury. Jour Neurosurg, 1991, 75:S28-S36.
7 Basaglia N. (a cura di): Progettare la riabilitazione. Ed. Edi-Ermes, Milano, 2002.8 Organizzazione Mondiale della Sanità: ICF. Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. Erikson, Trento, 2002.
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Come è noto, questo modello si basa sulla individuazione delle dimensioni principali di:
Danno (o Lesione), Menomazione, Abilità e Partecipazione Sociale.
Il percorso del traumatizzato cranio-encefalico viene di norma suddiviso in diverse fasi
temporali, che, unitamente alle categorie del modello ICIDH, costituiscono una utile griglia di
riferimento per la pianificazione e la realizzazione degli interventi riabilitativi (Tabella 1).9
Tabella 1. Percorso riabilitativo del Trauma Cranio-Encefalico nelle diverse fasi temporali.
FASE DIMENSIONE DI MAGGIORE INTERESSE
DURATA STRUTTURE OVE SI EFFETTUANO GLI INTERVENTI
FINALITA’ PRINCIPALI DEGLI INTERVENTI
RIABILITATIVI
ACUTA
Dal momento del trauma fino alla risoluzione delle problematiche rianimatorie e neurochirurgiche
DANNO
MENOMAZIONE
Da alcune ore ad alcune settimane
Rianimazione
Neurochirurgia
Unità per acuti
Supporto agli interventi rianimatori e neurochirurgici nella prevenzione del danno secondario
Minimizzazione delle menomazioni
Facilitazione della ripresa di contatto ambientale
POST-ACUTA O RIABILITATIVA
1. PRECOCE
Dalla stabilizzazione delle funzioni vitali al raggiungimento del massimo livello di autonomia primaria
MENOMAZIONE
(ABILITA’)
Da alcune settimane ad alcuni mesi
Unità di Riabilitazione Intensiva (specializzata e non)
Unità di Riabilitazione Estensiva
Trattamento delle menomazioni
Minimizzazione della disabilità residua
Attività di Vita Quotidiana Primarie
Informazione e addestramento alla gestione delle problematiche disabilitanti
POST-ACUTA O RIABILITATIVA
2. TARDIVA
Dal livello di autonomia primaria al raggiungimento del massimo livello di autonomia secondaria
(MENOMAZIONE)
ABILITA’
Da alcuni
a vari mesi
Unità di Riabilitazione Intensiva (specializzata)
Unità di Riabilitazione Estensiva
Minimizzazione della disabilità residua
Attività di Vita Quotidiana Secondarie
Informazione e addestramento alla gestione delle problematiche disabilitanti
DEGLI ESITI
Dalla stabilizzazione Strutture Sociali ed Facilitazione all’utilizzo
9 De Tanti A., Gatta G., Emanuel C., Actis M.V, et al.: La Riabilitazione della Grave Cerebrolesione. Conferenza di Consensus. Documento del Gruppo di Lavoro Medico, Modena, 2000 (www.simfer.it).
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della disabilità residua al raggiungimento e mantenimento del
massimo livello di integrazione sociale possibile, in funzione delle menomazioni e disabilità
PARTECIPAZIONE SOCIALE
Da vari mesi
ad alcuni anni
Agenzie Comunitarie per la reintegrazione famigliare, scolastica, lavorativa
Strutture residenziali o semiresidenziali protette
ottimale delle capacità e competenze residue in ambito famigliare, sociale, lavorativo
Modificazione dell’ambiente per favorire al meglio l’utilizzo delle capacità residue
Le tre fasi principali sono la fase acuta (o rianimatoria, o neurochirurgica), la fase post-
acuta (o riabilitativa), la fase degli esiti. Nell’ambito della fase post-acuta, o riabilitativa, è
possibile fare una ulteriore distinzione tra fase post-acuta precoce, che, per molti aspetti, è
assimilabile alla fase denominata acute rehabilitation nella letteratura anglosassone, e fase post-
acuta tardiva.
Nella fase post-acuta precoce gli interventi sono focalizzati sulla definitiva stabilizzazione
internistica (equilibrio metabolico-nutrizionale, cardiocircolatorio, respiratorio, risoluzione delle
complicanze intercorrenti), sul trattamento delle principali menomazioni invalidanti e sul ripristino
della autonomia nelle funzioni vitali di base e nelle attività elementari della vita quotidiana. Le
strategie terapeutiche cercano soprattutto di favorire il recupero intrinseco, cioè il ripristino della
capacità di effettuare una determinata attività con modalità analoghe a quelle precedenti al trauma.
Di regola, in questa fase gli interventi sono svolti in regime di ricovero, possibilmente in strutture di
riabilitazione intensiva specializzate (Unità di alta specialità riabilitativa per le Gravi
Cerebrolesioni Acquisite, GCA).
Nella fase post-acuta tardiva, gli interventi sono prevalentemente orientati al recupero di
autonomia nelle cosiddette attività “complesse” o secondarie della vita quotidiana, come la gestione
della casa e delle proprie risorse finanziarie, l’uso dei mezzi di trasporto, il reinserimento scolastico
e lavorativo, la gestione del tempo libero, l’addestramento del paziente, dei famigliari e di altre
persone significative dell’ambiente di vita abituale alla gestione delle problematiche disabilitanti a
lungo termine. L’attenzione si sposta gradualmente dal recupero intrinseco a quello estrinseco o
“adattativo”, cioè all’apprendimento di nuove strategie per effettuare attività che non possono
essere più svolte come prima a causa di menomazioni non emendabili. In questa fase, in genere,
hanno inizio gli interventi volti al graduale reinserimento del paziente in ambiente extraospedaliero
(domicilio, strutture protette, strutture "di transizione"); gli interventi riabilitativi indirizzati a
menomazioni o disabilità specifiche possono essere proseguiti in regime di day-hospital, od
ambulatoriale.
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1. FASE ACUTA: "LO SHOCK" PER IL PAZIENTE E PER LA FAMIGLIA
1.1 Stati di riduzione della vigilanza e livelli di funzionamento cognitivo: il coma profondo, il
coma vigile, la responsività e la comunicazione.
Si definisce “fase acuta” la fase temporale che inizia al momento del TCE e si protrae per il
periodo di degenza in un reparto di cure intensive (terapia intensiva e/o post-intensiva,
neurochirurgia).
Il TCE è dovuto sia all’impatto della scatola cranica con il suo contenuto contro una
superficie rigida, sia alle forze di accelerazione e decelerazione rapide che si creano nella scatola
cranica sul tessuto cerebrale, con traiettoria sia lineare che rotatoria: in entrambe le dinamiche
meccaniche si presenta perdita di coscienza, sia come coma profondo (occhi chiusi, attività motoria
solo riflessa, non esecuzione di ordini semplici, non vocalizzazione) che come coma vigile o stato
minimamente cosciente (apertura occhi spontanea, ritmo sonno-veglia presente, non esecuzione
motoria alla richiesta di ordini semplici, sporadici vocalizzi, risposte a volte coerenti agli stimoli
ambientali proposti).10
La Coma Near Coma (CNC),11 la Sensory Stimulation Assessment Measure (SSAM)12
(Rader and Ellis, 1994) ed altre scale sono molto utili per valutare il livello di responsività dei
pazienti in coma e soprattutto nel caso di coma prolungato. Le variabili più osservate attraverso
queste scale sono: i movimenti di inseguimento di mire visive, la manipolazione di oggetti, la
comprensione di messaggi linguistici orali semplici, la risposta a stimoli dolorosi, tattili, uditivi non
verbali, olfattivi, gustativi.
Il danno cerebrale primario viene definito come il danno che avviene al momento
dell’impatto. Le lesioni espansive cerebrali post-traumatiche, soprattutto nelle aree frontali e
temporali, come gli ematomi epidurali, sottodurali od intracerebrali iniziano a svilupparsi già al
momento dell’impatto e vanno quindi considerate nell’ambito del danno primario, anche se
determinano, almeno in parte, danni secondari. Il danno primario include le lesioni direttamente
dovute agli effetti primari del trauma, come le fratture del cranio, le contusioni, le lacerazioni e il
danno diffuso della sostanza bianca, ma anche gli ematomi epidurali, subdurali e l’edema cerebrale.
10 Giacino J.T., Zasler N.D: Outcome after severe brain injury: Coma, the Vegetative State and the Minimally Responsive State. J Head Trauma Rehabil, 1995, 10:40-56.
11 Rappaport M., Dougherty A.M., Kelting D.L.: Evaluation of coma and vegetative states. Arch Phys Med Rehabil, 1992, 73: 628-634.
12 Rader M., Ellis D.: The Sensory Stimulation Assessment Measure (SSAM): a tool for early evaluation of severely brain-injured patients. Brain Injury, 1994; 8: 309-321.
5
In particolare, il Danno assonale diffuso (DAD) è stato definito come consistente in focolai
microemorragici multipli secondari allo stiramento e strappamento delle fibre nervose con sede
caratteristica a livello delle strutture mediane del SNC, come il corpo calloso, i gangli della base, la
sostanza bianca parasagittale e del centro semiovale, i peduncoli cerebellari e la parte rostrale del
tronco encefalico.13
Il danno cerebrale secondario si sviluppa invece nei minuti, ore o giorni successivi al
trauma ed include: l’ipossia, lo shock, l’ipertensione intracranica, l’edema cerebrale e i disturbi del
flusso cerebrale.14
La Levels of Cognitive Functioning (LCF),15 anche nella sua versione aggiornata LCF-R,16 è
una “scala di processo”, ovvero valuta il comportamento e quindi il livello cognitivo del paziente
dal momento in cui è in coma fino a quando ha esiti stabilizzati; segue il paziente in tutto il suo
percorso, dalla rianimazione alla riabilitazione intensiva e poi estensiva, alla riabilitazione sociale.
Permette di essere lo stesso strumento di valutazione del paziente anche in reparti diversi, per es. si
può usare anche in reparto di rianimazione.
La scala LCF è una scala d’osservazione in situazione contestuale, e non una valutazione
testistica neuropsicologica. Permette a tutto il team riabilitativo (infermiere, logopedista, terapista
occupazionale, fisioterapista, medico, psicologo, neuropsicologo, ecc.) di avere uno stesso metro di
misura, in quanto esso non è lo strumento specifico di un singolo professionista. Permette di
conseguenza il “dialogo” tra tutti i membri del team.
Attraverso il livello di gravità è possibile organizzare la riabilitazione nel reparto: la scala
LCF può essere uno strumento di misura della gravità e, quindi, della necessità d’assistenza che i
pazienti hanno all’interno del reparto di riabilitazione. Se tutti i pazienti ricoverati avessero un
punteggio LCF grave, l’impegno degli operatori, da un punto di vista assistenziale e riabilitativo,
sarebbe notevole: si deve variare la presenza dei pazienti in reparto a seconda del grado di LCF, per
es. un livello della scala LCF è quello “confuso e agitato”, se tutti i pazienti fossero collocabili in
tale stadio il carico per il personale ospedaliero sarebbe troppo elevato, per cui si organizzano i
ricoveri in reparto in funzione dei parametri di assistenza che ciascun paziente necessita.
Il primo livello LCF si assegna il entro 48 ore dall’entrata in rianimazione del paziente con
TCE. In seguito si svolgono riunioni di team, con una frequenza da definirsi reparto per reparto, in
13 Adams J.H., Doyle D., Ford I., Gennarelli T.A., et al.: Diffuse axonal injury in head injury: definition, diagnosis and grading. Histopathology, 1989; 15:49-59.
14 Pitts L.H., Mc Intosh T.H.: Dynamic changes after brain trauma. In: R. Braakman (Ed.): Handbook of clinical neurology. Elsevier , Amsterdam-New York, 1990, pp. 65-100.
15 Hagen C., Malkmuss D., Durham P.: Cognitive assessment and goal setting. Levels of Cognitive Functioning . Professional Staff Association of Rancho Los Amigos Hospital, Downey (CA), 1979.
16 Hagen C.: LCF-Revised. Professional Staff Association of Rancho Los Amigos Hospital, Downey (CA), 2000.
6
cui si discute assieme del paziente. Quando giunge in riabilitazione il paziente può trovarsi nei
livelli 2, 3, 4, a seconda del momento in cui viene trasferito in un ambiente riabilitativo.
Non necessariamente tutti i pazienti attraversano con sequenzialità i vari livelli, possono
passare dalla fase 3 a quella 5. Si tratta di un continuum del recupero che prevede una successione
logica, ma non necessariamente tutti i pazienti attraversano le 8 fasi. Infatti, essi possono fermarsi a
livelli intermedi o arrivare al reinserimento sociale e lavorativo della fase 8.
Gli 8 livelli della scala LCF e i due successivi livelli della scala LCF-R sono riportati in
Appendice B: per ciascun livello sono descritti nel dettaglio i quadri clinici, gli obiettivi della
riabilitazione, gli strumenti valutativi, le metodologie di trattamento.
Nella fase acuta obiettivo prioritario della cura del paziente è il contenimento del danno
primario, sia cerebrale che degli altri organi, e la prevenzione dei danni secondari, sia a livello
cerebrale che extra-cerebrale, fino alla stabilizzazione delle condizioni cliniche, attraverso interventi
che non solo riducano mortalità e morbilità ma favoriscano il miglior esito funzionale per il
paziente.
Mackay et al.,17 in uno studio retrospettivo, hanno confrontato TCE che avevano ricevuto in
fase acuta un intervento precoce “Formalizzato” con TCE avevano ricevuto un trattamento di
assistenza “Standard”, in una casistica di 38 casi gravi dimessi dallo stesso centro di riabilitazione
nell’arco di sei anni. L’intervento “Formalizzato” includeva: 1) un programma riabilitativo
comprensivo di: valutazione dell’équipe multidisciplinare (fisiatra, fisioterapista, terapista
occupazionale, logoterapista) e un programma strutturato di stimolazioni, orientamento,
posizionamento e prevenzione dei danni da immobilità; 2) informazioni strutturate alla famiglia; 3)
coinvolgimento della famiglia nel trattamento; 4) attivazione del supporto sociale; 5) condivisione
delle informazioni tra professionisti mediante un “giro clinico” bisettimanale; 6) riunioni
formalizzate con la famiglia; 7) uso dell’approccio in équipe per tutti i trattamenti e 8) un piano di
dimissione dalla fase acuta programmato tra l’équipe e la famiglia. I gruppi erano omogenei per le
variabili anagrafiche e cliniche in fase acuta. I risultati finali evidenziarono che i pazienti con
trattamento “Formalizzato” avevano una durata del coma e una durata di degenza
significativamente inferiore rispetto ai pazienti trattati “standard”, una percentuale
significativamente maggiore di dimissioni verso casa rispetto ad altre strutture assistenziali, infine
un livello cognitivo medio (LCF) significativamente più elevato sia alla dimissione dalla fase acuta
che dopo il periodo di riabilitazione.
17 Mackay L.E., Bernstein B.A., et al.: Early intervention in severe head injury: long-term benefits of a formalized program. Arch Phys Med Rehab, 1992, 73: 635-641.
7
Anche la precocità della presa in carico riabilitativa sembra essere un fattore determinante
nel recupero del paziente: Cope e Hall18 hanno comparato un gruppo di pazienti ammessi entro un
mese in struttura riabilitativa con un gruppo ammesso dopo un mese dal trauma. I pazienti erano
omogenei all’immissione nello studio per variabili anagrafiche e cliniche: non sono state riscontrate
differenze nel livello di disabilità tra i due gruppi alla dimissione e al successivo follow-up, ma il
gruppo ammesso tardivamente aveva una durata di degenza doppia rispetto al gruppo di pazienti
ammessi precocemente, e presentava una significativa maggior presenza di problemi vescicali e
intestinali, e di problemi psicologici.
Per quanto riguarda “l’intensità” dei programmi di riabilitazione in fase acuta, una durata
intensiva di 8 ore al giorno, per sette giorni alla settimana, confrontata con un tempo dimezzato,
porterebbe ad una riduzione nella durata di degenza del 31% (Blackerby, 1990).19
E' disponibile inoltre una revisione sistematica sull’efficacia dei programmi di stimolazione
multisensoriale.20
Gli obiettivi di un programma formalizzato di riabilitazione precoce sono:
1. Prevenire le complicanze da immobilizzazione (piaghe da decubito, rigidità articolari, retrazioni
muscolo-scheletriche, spasticità, infezioni polmonari, stasi venosa, disadattamento
cardiovascolare allo sforzo e all’ortostatismo).
2. Facilitare la ripresa di contatto con l’ambiente (i pazienti nella fase acuta hanno un LCF con
range 1-3).
3. Informare in modo omogeneo la famiglia sugli aspetti medici, prognostici, riabilitativi e darle
supporto sia per i problemi della fase acuta sia sul tipo di percorso riabilitativo da adottare.
4. Collaborare allo svezzamento dai sistemi di supporto alle funzioni vitali.
Sono considerati strumenti utili per realizzare tali finalità:
1. Variazioni periodiche di posture nell’arco della giornata, mobilizzazione passiva pluriarticolare,
ogni tipo di presidio antidecubito, ortesi di posizione, tecniche di fisioterapia respiratoria,
stazione seduta e verticalizzazione precoce.
2. Strutturazione di un ambiente favorevole al manifestarsi delle prime capacità di comunicazione,
in particolare, programmazione degli interventi assistenziali (nursing quotidiano) e riabilitativi
(fisioterapia, logoterapia), come modalità personalizzata di stimolazione alla ripresa di contatto.
18 Cope N., Hall K.: Head injury rehabilitation: benefits of early intervention. Arch Phys Med Rehab, 1982, 63: 433-37.
19 Blackerby W.F.: Intensity of rehabilitation and length of stay. Brain Injury, 1990; 4: 167-173. 20 Lombardi F., De Tanti A., Boldrini P., Perino C., Taricco M.: The effectiveness of sensory stimulation program in
patients with severe brain injury (Protocol). The Cochrane Library, 1999, Issue 2.
8
3. Per raggiungere l’obiettivo della omogeneità delle informazioni alla famiglia è auspicabile che
queste vengano concordate all’interno del team che ha in carico il paziente (rianimatore,
neurochirurgo, fisiatra, psicologo, terapista della riabilitazione, infermiere professionale).
4. Interventi di riabilitazione respiratoria mirati al drenaggio bronchiale e all’insegnamento delle
tecniche di svezzamento progressivo dalla respirazione controllata a quella assistita e autonoma.
1.2 Lo stress della famiglia nel trauma e la riorganizzazione nell'emergenza: vivere
nell'ambiente di cure intensive, interrompere il lavoro, le relazioni sociali, o con altri parenti a
carico
La famiglia viene definita un piccolo gruppo naturale la cui caratteristica principale è
l’interdipendenza, cioè una condizione per cui il cambiamento di un membro interessa lo stato di
tutti gli altri. Ed infatti nel caso di una persona che ha un grave TCE, accade che tutti i famigliari
sono sottoposti ad uno choc poiché all’improvviso, inaspettatamente capita un evento per cui
“scompare” dal quotidiano il loro caro e viene ricoverato e sottoposto a cure intensive, nella
maggior parte dei casi in reparti di Rianimazione. Inizia per tutta la famiglia un vero e proprio
calvario nell’attesa di un risveglio, nell’attesa di un contatto con i medici, nell’attesa di una “buona
notizia”. Il periodo del ricovero in terapia intensiva viene generalmente ricordato, anche a distanza
di molti anni, come uno dei momenti peggiori, carico di ansia, angoscia e di una attesa
interminabile. Il cambiamento della famiglia inizia qui, e questo periodo può certamente essere
chiamato “il trauma della famiglia”. I ritmi famigliari si stravolgono, tutto viene organizzato in
funzione di una presenza nel reparto o in funzione dei pochi momenti concessi di visita al
famigliare, in un vortice di disperazione e speranza che viene descritto e ricordato come un
momento di grande stato confusionale. E' per eccellenza il momento dell’astensione da qualsiasi
altro pensiero e progetto, la vita del caro e quindi la vita famigliare è appesa ad un filo, e si rimane,
senza fiato, ad attendere.
Secondo l’ottica sistemica, a seguito degli studi sull’attaccamento di Bowlby, Ainsworth,
Stern, una famiglia è tale quando fornisce una rete affidabile di relazioni di attaccamento che
consente a tutti i membri e a qualsiasi età di sentirsi abbastanza sicuri da poter esplorare le relazioni
che ci sono all’interno della famiglia ma anche all’esterno. Il termine rete implica una responsabilità
famigliare condivisa che rassicura tutti sul fatto che chiunque avrà bisogno di aiuto all’interno della
famiglia verrà sostenuto.
In questa fase, all’interno della famiglia viene quindi prepotentemente sollecitato l’innato
meccanismo dell’accudimento, cioè un istinto ad occuparsi dell’altro, a soddisfare i suoi bisogni, ad
aiutarlo. Nei famigliari si amplifica o ri-attualizza il bisogno di “prendersi cura” del proprio caro,
bisogno che non sempre possono soddisfare nei reparti di cure intensive, ma che preme e li fa essere
9
estremamente attenti ad ogni gesto ed espressione di chi al loro posto si occupa dei loro cari. Questo
spesso crea tensioni e conflitti tra i famigliari e gli operatori. I famigliari vivono spesso le cure del
personale medico ed infermieristico come “pratiche tecniche” poco “affettive” e soffrono
enormemente per non poter fornire quell’accudimento amoroso necessario ai loro cari e a loro in
questa fase acuta.
E’ auspicabile che uno stile di accudimento maggiormente "affettivo" venga messo in atto
anche dal personale dei reparti di cure intensive, poiché sostiene i pazienti e soprattutto i famigliari
in una fase così delicata.21
Dai racconti dei famigliari e da studi sul campo22 emergono in questa fase una serie di
bisogni dei famigliari che possono essere riassunti in: necessità di informazione ed educazione su
quello che sta accadendo al loro caro e su quello che si prospetterà per il futuro, e necessità di
istruzioni e addestramenti per poter svolgere le pratiche di accudimento. Tra i fattori che
influenzano il vissuto dei famigliari di persone in stato di minima responsività ci sono il tipo di
gravità del trauma, le diversità delle pratiche di accudimento necessarie, la presenza di più
famigliari o altri significativi.
In questo momento di crisi si può ipotizzare che le capacità di adattamento del nucleo
famigliare dipendano dalle risorse interpersonali presenti prima del trauma. Per esempio la
possibilità di mettere in gioco fattori facilitanti come la capacità di ascolto reciproco, la comune e
condivisa percezione della realtà, l’assunzione di responsabilità, la capacità di negoziazione nella
risoluzione dei problemi, la capacità di vivere il presente, la capacità di verbalizzare pensieri ed
emozioni, è un fattore di predittività importante rispetto alla possibilità per il nucleo famigliare di
reggere questo momento acuto di stress. Come esistono punti di forza che contribuiscono a
sostenere i membri della famiglia in questa fase, così esistono punti di debolezza che possono
ulteriormente aggravare lo stato psicologico di ciascun famigliare, togliendo energia ed impedendo
in seguito una riorganizzazione efficace. Rapporti interpersonali difficili, privi di condivisione e di
dialogo, isolamento sociale, tendenza ad “indugiare sul dolore”, aspettative non realistiche,
mancanza di informazioni, periodo di stress che dura troppo a lungo e diviene cronico, sono fattori
che vanno tenuti sotto controllo e che meritano interventi precoci poiché il rischio è che si
cronicizzino ed impediscano lo svolgimento del processo di elaborazione che deve necessariamente
compiersi nelle fasi successive, e che verrà descritto in seguito.
Quindi, questo tipo di trauma ha in molte occasioni il potere di modificare le capacità
famigliari di affrontare il problema. E’ stato valutato l’impatto sulla struttura famigliare e sulla
21 Wilkin K., Slevin E.: The meaning of caring to nurses: an investigation into the nature of caring work in an intensive care unit. J Clin Nurs, 2004, 1:50-59.
22 Meyers S.J., Tomlinson P.S.: Family-nurse co-construction of meaning : a central phenomenon of family caring. Scand J Caring Sci, 2003, 17:193-201.
10
capacità di coping della famiglia, e si è visto che in fase acuta si sovvertono le precedenti modalità
utilizzate in altri periodi di stress: dalla capacità di affrontare il problema si passa ai comportamenti
dettati dalle emozioni, da modalità razionali a modalità istintive.23
In letteratura il famigliare viene chiamato caregiver informale, cioè colui che presta le cure
senza essere un professionista. Uno studio24 ha suddiviso i caregiver informali in:
Primari, in netta prevalenza madri (53,7%) e mogli (27,7%), che si fanno costantemente
carico della persona e per questo dimostrano maggiore responsabilità;
Secondari, cioè padri (53,3%) e figlie (11,6%) che sono periferici ma si mostrano a rischio
di disordini emotivi;
Terziari, che hanno responsabilità molto limitate nella gestione della persona e di solito
sono fratelli (40,9%) e sorelle (27,2%).
Concludendo, appare chiaro che il trauma, fin dai primi momenti, coinvolge direttamente
tutta la famiglia, e che quindi è necessaria una presa in carico precoce per tutti i membri. L’analisi
dei punti di forza da sviluppare e facilitare, e dei punti di debolezza da circoscrivere e chiarificare, è
importante fin dai primi momenti. I famigliari hanno diritto ad assistenza così come il loro caro
traumatizzato, gli interventi devono essere molteplici e personalizzati, finalizzati a rispondere ai
bisogni emergenti fin dai primi giorni dopo l’evento. Uno sguardo attento da parte degli operatori
ed un sostegno precoce contribuiscono, insieme alla rete sociale e alle risorse personali dei singoli
membri e del sistema famiglia, a prevenire una serie di dinamiche disfunzionali che altrimenti
possono bloccare il processo di riorganizzazione famigliare e quindi anche di recupero ed il
reinserimento della persona traumatizzata stessa.
2. FASE INTERMEDIA: "LA RIABILITAZIONE"
2.1 Fattori prognostici ed indicatori di prognosi
I fattori prognostici dopo un TCE sono indispensabili per pianificare le opzioni di
trattamento riabilitativo necessarie dopo la fase acuta, per garantire un progetto individualizzato
fino alla fase del reinserimento, per offrire alla famiglia un’informazione corretta sulle possibilità di
recupero e anche per prevedere le necessità assistenziali a lungo termine. Dal punto di vista
riabilitativo, l’interesse maggiore è l’identificazione di indicatori che siano predittivi del recupero
23 Curtiss G., Klemz S., Vanderploeg R.D. Acute impact of severe traumatic brain injury on family structure and coping respones. J Head Trauma Rehabil, 2000, 15:1113-1122.
24 Perlesz A., Kinsella G., Crowe S.: Psychosocial distress and family satisfaction following traumatic brain injury: injured individuals and their primary, secondary and tertiary carers. J Head Trauma Rehabil, 2000, 15:909-29.
11
non solo sul piano della menomazione, ma anche e soprattutto della disabilità e del livello di
reinserimento sociale.
I fattori prognostici possono essere divisi in 3 gruppi:
A. Fattori pre-traumatici. Tra questi, quelli più supportati dai dati della letteratura sono: a) la
presenza di un precedente trauma cranico che viene considerato un fattore prognostico negativo; b)
l’età del paziente: gli esiti possono essere peggiori in bambini piccoli e in persone anziane, mentre
nell’età giovane adulta i pazienti più giovani hanno esiti migliori degli adulti meno giovani (Zasler,
1997).25
B. Fattori di gravità del trauma in fase acuta.
La Glasgow Coma Scale all’ingresso26 è il più utilizzato tra questi indicatori: una GCS tra 3
e 7 definisce un danno severo, tra 8 e 12 un danno moderato e tra 13 e 15 un danno lieve. Il
punteggio alla GCS è altamente correlato con la mortalità, ma soprattutto si è dimostrato utile per la
previsione dell'outcome funzionale e del livello di reinserimento lavorativo e di qualità di vita,
soprattutto nel caso di basso punteggio prolungato nel tempo, almeno oltre una settimana.
La durata del coma, inteso come fase di non responsività ed assenza di riposta alla richiesta
di ordini semplici, individua un TCE lieve (< 24 ore), moderato (1-7 giorni), grave (1-4 settimane),
molto grave (>4 settimane). E’ da sottolineare come negli ultimi anni, sia il livello di coma che la
sua durata siano fattori di prognosi meno utilizzabili direttamente, in quanto modificati dalle cure
rianimatorie di sedazione farmacologica, e siano da considerarsi quindi indicatori solo indiretti della
gravità del TCE stesso.
C. Fattori relativi alla evoluzione clinica in fase riabilitativa.
La durata della fase di amnesia post-traumatica (Post-Traumatic Amnesia, PTA) è un altro
fattore di prognosi, meno influenzato dalla sedazione nei reparti intensivi, utile per individuare non
solo il livello di autonomia globale del paziente nel lungo termine, ma anche la presenza o meno di
disordini delle funzioni cognitive, in particolare della memoria (Van Zomeren and Van den Burg,
1985): nel caso di una durata della PTA superiore al mese si ritiene che nella stragrande
maggioranza dei casi (85%) rimangano nel lungo termine disordini di memoria più o meno
significativi.27 (Tab. 2)
Tabella 2. Indicatori di Prognosi nel TCE.
GCS INIZIALE DURATA DEL DURATA DELLA
25 Zasler N.D.: Prognostic indicators in medical rehabilitation of traumatic brain injury: A commentary and review. Arch Phys Med Rehab, 1997, 78: S12-S16.
26 Teasdale G., Jennet B.: Assessment of coma and impaired consciousness. A practical scale. Lancet, 1974, 2:81-83.27 Van Zomeren A., Van Den Burg W.: Residual complaints of patients two years after severe head injury. Jour
Neurol Neurosurg Psych, 1985, 48: 21-28.
12
COMA PTA
Lieve 13-15 1-24 ore 1-24 ore
Moderato 12-8 1-7 giorni 1-7 giorni
Grave < 8 1-4 settimane 1-4 settimane
Molto grave < 8 > 4 settimane > 4 settimane
Strumenti per valutare il livello di outcome, od indicatori prognostici, sono molto utili per
verificare il raggiungimento o meno degli obiettivi riabilitativi sia nel breve, che nel medio e nel
lungo termine. L’obiettivo finale di tutto il lungo processo riabilitativo nel TCE va misurato in
modo globale con uno strumento (Glasgow Outcome Scale: GOS)28 che individua 4 livelli
grossolani di outcome: Buon recupero, Disabilità moderata, Disabilità grave, Stato vegetativo
(Tabella 3).
Tabella 3. Glasgow Outcome Scale (GOS)
Buon recupero:Paziente che può presentare menomazioni motorie e/o cognitive residue, ma è in grado di riprendere una vita “normale” in autonomia. Svolge attività sociali, non necessariamente lavora.
Disabilità moderata:Disabile, ma indipendente. Paziente che pur potendo presentare diversi gradi di deficit motorio o cognitivo/comportamentale, è indipendente nella vita quotidiana. Necessità di aiuto non costante di un’altra persona.
Disabilità grave:Cosciente, ma disabile. Paziente che a causa delle sue menomazioni fisiche o mentali necessita di assistenza di una terza persona nelle attività della vita quotidiana.
Stato vegetativo:Vigile, ma non in grado di comunicare con l’ambiente.Nella valutazione dell’outcome devono essere considerati:
1. Valutazione dei disordini motori e sensoriali, anche con esami di tipo strumentale;
2. Valutazione dei deficit cognitivi, mediante test neuropsicologici tarati e standardizzati;
28 Jennett B.: Assessment of outcome after severe brain damage. Lancet, 1975, 1: 480-484.
13
3. Valutazione dei deficit comportamentali, mediante scale di valutazione dei diversi disordini
comportamentali, sia in auto-somministrazione che da parte del caregiver.
4. Misure del grado di autonomia della persona, per mezzo di strumenti come la Functional
Independence Measure (FIM),29 oppure la Functional Assessment Measure (FAM).30
5. Misure di partecipazione sociale: Community Integration Questionnaire (CIQ).31
6. Misure della Qualità di Vita del soggetto e del suo familiare: Medical SF-36 Health Survey
(SF-36).32
Le misure del livello di disabilita (secondo il modello originale ICIDH), che riguardano
genericamente gli aspetti di self-care, mobilità, cognizione, comunicazione, e comportamento,
dovrebbero essere usate soprattutto nella fase del ricovero ospedaliero, ma perdono di efficacia e
sensibilità nelle fasi successive. Le misure di partecipazione sociale, invece, sono più indicate per
valutare il reale inserimento a livello familiare, sociale e lavorativo/scolastico della persona nel
proprio ambiente di vita una volta dimessa dal reparto di riabilitazione.
2.2 Principali quadri di disordini senso-motori e sensoriali
Motricità dopo la fase di coma e negli esiti
In genere, il recupero della motricità automatica e volontaria dopo la fase di coma
accompagna il progressivo recupero della responsività.
Si valuta distintamente il recupero della motricità assiale (che procede attraverso il recupero
del controllo del capo, quindi del tronco, poi della stazione eretta e della deambulazione), ed il
recupero della motricità degli arti (che in particolare concerne la ripresa della motricità volontaria
degli arti superiori, con il recupero delle capacità di presa e manipolazione di utilizzo funzionale
degli arti). Non è infrequente osservare asincronie e dissociazione nel recupero dei due tipi di
motricità. Spesso, nel grave traumatizzato cranio-encefalico, è la motricità assiale ad essere colpita
in modo più rilevante, tanto da determinare menomazioni disabilitanti a lungo termine. La presenza
di alterazioni persistenti del controllo posturale assiale rende spesso necessaria la adozione di
sistemi di postura specificamente adattati, come per es. appoggiatesta, cunei per il controllo del
tronco, alto schienale nella carrozzina.
29 Hamilton B.: Inter-rater agreement of the seven-level Functional Independence Measure (FIM). Arch Phys Med Rehabil, 1991, 72:790. Tesio L.: FIM, Italian Version. Ricerca in Riabilitazione, 1993, 1(Supplement).
30 Hall K.M., Hamilton B., Gordon W.A., Zasler N.D.: Characteristics and comparisons of functional assessment indices: Disability Rating Scale, Functional Independence Measure, and Functional Assessment Measure. J Head Trauma Rehabil, 1993, 8:60-74. Cantagallo A., Maietti A., Hall K.M., Bushnik T.: Comparison among functional outcome measures for traumatic brain injury: assessment in the Italian community. Eur Med Phys, 2000, 36:171-182.
31 Lombardi F., Orsi M., Mammi P., et al.: Validità del Community Integration Questionnaire (CIQ) e dati normativi per l'Italia. Gior Ital Med Riab, 1997, 11:23-34.
32 Apolone G., Mosconi P.: The Italian SF-36 health survey: translation, validation and norming. J Clin Epidem, 1998,11:1025-1036.
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Data la grande variabilità delle lesioni cerebrali traumatiche, lo spettro di possibili
menomazioni residue in fase post-acuta è estremamente ampio, e copre praticamente tutti i possibili
deficit sensomotori di origine neurologica. Tuttavia, è possibile individuare alcuni patterns di
menomazione, dovuti al danno traumatico del Sistema Nervoso Centrale, che ricorrono con
maggiore frequenza.
Emiparesi unilaterale
E’ la sequela più frequente, in genere l’emiparesi è lieve e senza turbe somato-sensoriali; il
recupero avviene in direzione disto-prossimale. Si possono presentare, come esiti da prolungata
immobilità e da grave emiparesi, viziature e retrazioni muscolo-tendinee con limitazione
dell’escursione articolare e del range di movimento.
Emiparesi bilaterale
Si tratta di doppia emiparesi, in genere asimmetrica. Come nel quadro precedente si possono
associare viziature e retrazioni muscolo-tendinee, oltre che deficit del controllo del tronco e del
capo. In quanto sono interessate le vie cortico-spinali e cortico-bulbari bilateralmente a livello del
tronco, è possibile la presenza di disartria e/o di disfagia. I deficit cognitivi sono variabili.
Pattern tronco-encefalico cortico-spinale e cerebellare
In genere si tratta di coesistenti emiparesi da un lato, ed emiatassia dal lato opposto, in
genere di gravità differente. Si possono associare disordini dell’oculomozione estrinseca, rari invece
i deficit cognitivi.
Sindromi atassiche
L’atassia può presentarsi agli arti e/o al tronco e al capo, senza franche viziature né
retrazioni muscolo-tendinee. Frequenti invece sono i disordini articolari dell’eloquio, senza
alterazioni cognitive.
Sindrome atetoide pseudobulbare
In tale caso all’emiparesi si associano distonia, bradicinesia o rallentamento motorio, e
movimenti involontari, più frequentemente di tipo atetoide, vale a dire ad ampio raggio d’azione e
ad alta velocità.
Sindrome dei gangli della base
Marcate sono la rigidità e le distonie, prevalentemente a livello assiale, associate a
movimenti involontari (tremori soprattutto). Si associano viziature e retrazioni muscolo-tendinee, e
dolori da spasmo muscolare.
La riabilitazione dei disordini motori ha come obiettivi la prevenzione ed il trattamento dei
danni da ipomobilità (retrazioni, calcificazioni), la ricerca di movimenti attivi ed il loro rinforzo, il
recupero dell’equilibrio e della coordinazione, il recupero della stazione eretta e della marcia.
15
Disfagia post-traumatica
I disordini della deglutizione sono evidenziabili clinicamente nel 25% dei traumatizzati
cranici ammessi al trattamento riabilitativo. La difficoltà di deglutizione in questi pazienti può
essere dovuta tanto a un disordine del controllo neurogeno intrinseco dell'apparato bucco-linguo-
faringeo, quanto a concomitanti disordini comportamentali e cognitivi (deficit della vigilanza e
dell'attenzione, impulsività, agitazione…). Altri fattori da considerare nel valutare i deficit di
deglutizione di questi pazienti sono l'eventuale presenza di traumi associati del massiccio faciale, la
presenza di disordini del controllo del capo o del tronco (da ipotonia protratta, da distonie del capo e
del tronco, da movimenti involontari assiali) che possono rendere molto difficile il mantenimento di
una postura adeguata alla alimentazione per os, e la eventuale presenza di riflessi, reazioni o
movimenti patologici del distretto bucco-linguo-faciale (ad esempio riflesso del grugno, reazione di
prensione orale, bruxismo, mioclonie faciali o faringee…). Altro elemento da considerare è il fatto
che nei pazienti a bassa responsività è spesso difficile mantenere una adeguata igiene del cavo orale,
con conseguente facile comparsa di infiammazioni od infezioni che possono ulteriormente
ostacolare la manipolazione orale del cibo. Va inoltre considerato il possibile disagio causato dalla
presenza di un sondino naso-gastrico o della cannula tracheostomica.
Nel paziente a basso livello di responsività, la valutazione della deglutizione si basa
principalmente sulla osservazione (postura e motricità spontanea, presenza di movimenti spontanei
del distretto bucco-linguo-faciale e di movimenti di deglutizione spontanea, tipo di respirazione) e
su semplici prove di deglutizione con piccole quantità di cibo di consistenza variabile (nel paziente
con cannula tracheostomica, l'aggiunta di piccole quantità di blu di metilene al cibo consente di
valutare l'eventuale aspirazione di cibo nelle vie aeree).
Il trattamento di rieducazione alla deglutizione in questi pazienti è piuttosto "aspecifico", e si
integra con tutti gli altri interventi volti a facilitare il recupero della responsività. In questa fase, gli
obiettivi principali sono il mantenimento di una adeguata igiene orale (con una toilette quotidiana o
pluriquotidiana), il mantenimento o il ripristino di una adeguata motilità della mandibola, delle
guance, della lingua (con manipolazioni e mobilizzazione passiva dei vari distretti), il ripristino di
un adeguato flusso afferenziale dal distretto bucco-linguale (stimolazioni manuali del cavo orale,
della lingua, delle gengive), il ricondizionamento a posture adeguate alla alimentazione per os
(postura seduta, controllo del capo). E' possibile la somministrazione di cibo per os, in piccole
quantità, valutando attentamente il rischio di aspirazione.
Nei pazienti più responsivi, è possibile una valutazione clinica più dettagliata, insieme
all’effettuazione di esami strumentali (videofluorografia, manometria, ultrasuonografia,
scintigrafia); il programma riabilitativo specifico della disfagia è effettuato dalla figura
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professionale logopedista, i familiari hanno il ruolo fondamentale di continuare la riabilitazione
aspecifica della disfagia su indicazione del medico specialista e della logopedista stessa.
Disartria post-traumatica
I disturbi della fonazione e dell’articolazione verbale sono dovuti a diversi fattori, sia dovuti
al danno traumatico diretto del sistema nervoso (danni a livello corticale, dei gangli della base,
cerebellari e del tronco), che a danni associati dei nervi cranici. Dopo trauma cranio encefalico si
può osservare disfonia, dovuta a danni associati e secondari del sistema respiratorio (traumi diretti
della laringe, danni da intubazione o tracheotomia, traumi toracici). La disartria può essere valutata
in base alle caratteristiche cliniche (disartria flaccida, spastica, atassica, mista). L'utilità di queste
valutazioni nella pianificazione degli interventi è limitata; più utili risultano sistemi di valutazione
analitica dei diversi aspetti della produzione verbale (prassie e diadococinesi del bucco-linguo-
faciale, sinergie pneumo-foniche…) o la valutazione funzionale della intelligibilità dell'eloquio
nelle situazioni di vita quotidiana.
Disordini motori dovuti a deficit della pianificazione e programmazione motoria
Oltre ai disordini motori che sono stati descritti più sopra (paresi, atassia, bradicinesia,
movimenti involontari…) che riguardano l'esecuzione del movimento, i traumatizzati cranio-
encefalici presentano spesso disordini della programmazione e pianificazione motoria. Essi possono
interessare l'iniziativa motoria, che può risultare ridotta o addirittura assente; si parla allora di
inerzia motoria o acinesia. In altri casi vi può essere una alterazione per eccesso: agitazione
motoria, affaccendamento, perseverazione motoria. La difficoltà nella programmazione di sequenze
motorie finalizzate può essere dovuta a disordini aprassici di diverso tipo e gravità.
Anche la iniziativa e la programmazione verbale possono essere compromesse in modo
analogo; il paziente può presentare mutismo post-traumatico (deficit completo di produzione
verbale orale con conservazione della capacità di comunicare non orale), inerzia verbale,
perseverazione verbale, e così via. In certi casi, il comportamento motorio del paziente risulta
estremamente influenzato dal contesto e dalla situazione contingente, tanto che egli tende a
manipolare ed utilizzare qualsiasi cosa gli capiti a tiro; questo comportamento viene definito
comportamento di utilizzazione.
I disordini della pianificazione e programmazione motoria sono in genere ascritti al danno
traumatico dei lobi frontali e del corpo calloso.
Disordini visivi post-traumatici
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Menomazioni invalidanti della funzione visiva possono essere dovuti a danni traumatici
diretti o a complicazioni secondarie a livello di varie strutture. Vi possono essere disordini della
acuità visiva fino alla cecità, monoculare o binoculare, da danni traumatici diretti del nervo ottico
(più frequentemente nella sua porzione intracanalicolare) o da sofferenza ischemica secondaria.
Disordini del campo visivo (quadrantopsie, emianopsie) sono in genere dovuti a danni della
porzione retrogenicolata delle vie visive. Disordini degli aspetti "cognitivi" collegati alla
percezione visiva (agnosia visiva, atassia ottica, cecità corticale) sono decisamente più rari dopo
trauma cranio-encefalico. Altri disturbi del visus possono essere causati da danni traumatici diretti
del globo oculare (a livello della cornea, del vitreo, della retina) o da danni secondari (ad esempio
cheratiti da lagoftalmo). Strabismo e diplopia sono conseguenze relativamente frequenti dei gravi
traumi cranio-encefalici; possono essere dovuti a traumi diretti dei muscoli oculari estrinseci, o, più
spesso, a danno dei nervi oculomotori. Disordini della motricità oculare coniugata, specie dei
movimenti di convergenza oculare, sono osservati spesso come conseguenza di un trauma cranio-
encefalico, e sono in genere da ascrivere ad un danno diretto tronco-encefalico. In alcuni casi, il
paziente con disordini sfumati della motilità oculare non lamenta una vera e propria diplopia, ma
una sensazione di offuscamento o di affaticabilità visiva; tali sintomi a volte vengono riferiti solo a
distanza dal trauma, quando il paziente cerca di riprendere la attività scolastica o lavorativa.
La valutazione compiuta della funzione visiva è spesso impossibile nel paziente a bassa
responsività o con disordini cognitivi rilevanti; spesso è la osservazione comportamentale che può
indirizzare un sospetto diagnostico, che andrà confermato con indagini approfondite al migliorare
del livello di collaborazione.
Mentre i disordini post-traumatici della acuità e del campo visivo sono irreversibili nella
maggioranza dei casi, i disturbi della motricità oculare tendono spesso ad attenuarsi nel tempo; solo
una piccola parte di essi necessita di intervento ortottico o di correzione chirurgica.
Retrazioni muscolo-tendinee
Le retrazioni muscolo-tendinee sono limitazioni della escursione articolare dovute a
alterazione delle proprietà elastiche dei muscoli e dei tessuti molli periarticolari. La loro frequenza è
stata stimata oltre l’80% dei casi dopo grave TCE; le cause sono molteplici: immobilità protratta,
sistemi di contenzione delle fratture scheletriche, alterazioni del tono (sia la ipotonia, sia la ipertonia
possono essere in causa), limitazioni della escursione articolare da danni scheletrici od articolari
diretti, paraosteoartropatie. Tra queste cause, la spasticità e la rigidità da ipertonia sono le più
frequenti; esse sono in causa sia nella fase acuta (quando, ad esempio, il paziente mantiene a lungo
la postura in decerebrazione o decorticazione) che nella fase post-acuta.
18
I movimenti più frequentemente limitati dalle retrazioni sono: agli arti superiori la
abduzione e la extrarotazione del braccio, la estensione del gomito, la estensione del polso e delle
dita, la abduzione del pollice; agli arti inferiori la estensione e la abduzione dell'anca, la estensione
del ginocchio, la dorsiflessione del piede. Le retrazioni di origine muscolare tendono a coinvolgere
più frequentemente muscoli poliarticolari.
Le modalità generali di prevenzione e di trattamento delle retrazioni nel traumatizzato
cranio-encefalico sono condizionate significativamente dai disordini cognitivo-comportamentali
(bassa responsività, difficoltà a comunicare dolore o disagio, agitazione, impulsività…). Ad
esempio, l'uso di metodiche di casting seriale deve prevedere una accurata osservazione clinica, per
individuare eventuali malposizionamenti del cast che il paziente non è in grado di segnalare.
Paraosteoartropatie (POA)
La loro incidenza è stimata in modo estremamente variabile nelle diverse casistiche. Le sedi
di più frequente formazione delle POA sono i tessuti che circondano le grosse articolazioni (anche,
ginocchia, spalle, gomiti); la presenza di fratture e di spasticità sembrano fattori favorenti. L'esatta
eziologia delle POA non è chiarita; in pazienti affetti da coma di varia origine, non è stata trovata
correlazione fra comparsa di POA ed età, sesso, causa, durata ed esito del coma.
I segni clinici di comparsa delle POA sono riduzione del ROM, dolore, tumefazione,
aumento della temperatura e arrossamento della cute nella zona sovrastante l'articolazione. Può
esservi febbre. La radiografia convenzionale può essere negativa all'esordio; mentre la scintigrafia
può mostrare più precocemente alterazioni. La fosfatasi alcalina serica, sebbene sia un indicatore
aspecifico, può essere utile per seguire la evoluzione dell'attività osteoblastica.
La presenza di una POA può comportare, oltre alla limitazione funzionale dovuta alla
perdita del ROM articolare, compressione sui tronchi nervosi periferici o sulle strutture vascolari,
facilitando l'insorgenza di flebiti o linfedema.
Epilessia post-traumatica
Episodi critici di natura epilettica conseguenti a TCE si possono osservare entro la prima
settimana dal trauma; si parla allora di epilessia post-traumatica precoce, oppure in epoca
successiva; si parla allora di epilessia post-traumatica tardiva. Nella maggior parte dei casi, le crisi
epilettiche post-traumatiche sono di tipo parziale; in circa la metà dei casi i pazienti hanno una sola
crisi.
L'esordio della epilessia post traumatica si osserva entro i dodici mesi dal trauma in una
percentuale di casi variabile fra il 50 e il 60% circa, ed entro i due anni nel 75-80% dei casi. Nella
19
maggioranza di questi casi, i pazienti vanno incontro a un numero estremamente ridotto di crisi nel
corso della loro vita.
Per quanto riguarda le conseguenze dell'epilessia post-traumatica sull'outcome, un aumento
della mortalità sembra accertato solo per i pazienti che presentano stato epilettico (una condizione
fortunatamente molto rara dopo trauma cranico), mentre vi è evidenza di un peggiore recupero
cognitivo e di una minore frequenza di ritorno al lavoro fra i pazienti che presentano crisi post-
traumatiche.
L'elettroencefalografia riveste un ruolo limitato nella diagnosi di epilessia post-traumatica,
dato che alterazioni elettroencefalografiche sono di comune riscontro dopo un TCE anche in
pazienti che non presentano epilessia, e, al contrario, pazienti con EEG normale possono presentare
crisi post-traumatiche. Peraltro, questa indagine è utile nella localizzazione dei foci epilettici, e nella
valutazione della persistenza e della gravità della epilessia una volta che questa sia stata
diagnosticata.
Per quanto riguarda il trattamento della epilessia post-traumatica, va considerato che la
terapia farmacologica andrebbe iniziata solo dopo che sia stata stabilita con ragionevole certezza
l'origine comiziale delle crisi. In effetti, dopo TCE si possono osservare episodi critici di natura non
epilettica e, d'altra parte, crisi di natura epilettica si possono presentare in modo atipico, o variabile,
rendendo problematica la diagnosi. Il controllo delle crisi andrebbe tentato con l'impiego di un solo
farmaco; nella scelta del farmaco va tenuto conto del tipo di crisi (generalizzate o parziali, semplici
o complesse), della modalità e della frequenza delle somministrazioni (tenendo conto anche di
eventuali alterazioni cognitive o comportamentali che possono ostacolare la collaborazione del
paziente alla terapia), della entità degli effetti collaterali. Nel paziente con trauma cranio-encefalico,
vanno considerati in particolare i possibili effetti sulle funzioni cognitive.
Non vi sono indicazioni univoche circa la durata del trattamento nei pazienti affetti da
epilessia post-traumatica; può essere ragionevole considerare la graduale sospensione del
trattamento dopo un periodo di due anni senza crisi.
Per quanto riguarda la profilassi dell'epilessia post-traumatica, essa non appare giustificata
in base ai dati disponibili in letteratura come trattamento di routine per la prevenzione delle crisi
tardive; può essere pertanto ragionevole la sospensione del trattamento nei pazienti che vengono
trasferiti in ambiente riabilitativo e che non hanno presentato crisi in precedenza.
2.3 Livelli di funzionamento cognitivo: i disordini delle funzioni attentive, mnesiche, esecutive, linguistiche
20
Affronteremo ora la riabilitazione delle funzioni neuropsicologiche più frequentemente
compromesse dopo TCE, nelle sue differenti fasi, sia in quella della valutazione che in quella del
trattamento, nonché dell’informazione-educazione del paziente e dei suoi familiari circa le
conseguenze disabilitanti dei disordini e le strategie di superamento delle stesse.
Uno degli obiettivi della valutazione neuropsicologica è quello di impostare un progetto
riabilitativo e valutarne l'efficacia a livello di modificazione della menomazione e/o della abilità e/o
della partecipazione sociale.33 Il trattamento riabilitativo mirato alla menomazione e alla disabilità
può utilizzare sia il sia recupero intrinseco della menomazione che il recupero adattativo della
disabilità attraverso strategie compensatorie. Sullo svantaggio sociale, invece, l'intervento non è
esclusivamente sanitario ma anche sociale, che agisce per ridurre il divario fra richieste poste al
soggetto e sue possibilità, anche abbassando il livello di abilità richieste al soggetto (per esempio
con modifiche dell'ambiente domestico, o delle mansioni lavorative, o delle attività sociali).
Si deve precisare che il programma di riabilitazione neuropsicologica deve essere impostato
sui disordini del singolo paziente, con obiettivi nel breve, medio e lungo termine, secondo alcune
variabili che risultano essere fattori prognostici sull’efficacia dell’intervento riabilitativo stesso:
dati clinici generali a livello fisico-internistico nelle diverse fasi acuta, post-acuta, cronica;
intervallo dall'inizio della patologia che ha portato ai disordini neuropsicologici;
dati anagrafici e sociali: età, livello di scolarità, lavoro, personalità, supporto familiare, ecc.
Un altro intervento fondamentale della riabilitazione è quello di educazione-informazione di
paziente e familiari, attraverso colloqui periodici, dove cercare il loro massimo coinvolgimento
nella stesura del progetto riabilitativo globale e degli specifici programmi, nonché attraverso sedute
di addestramento di paziente e familiari sull’utilizzo di ausili o di strategie di compenso. Tali
incontri e sedute dovranno servire in ultimo a far comprendere la filosofia della riabilitazione e ad
accettarne le soluzioni, mantenendo come obiettivo primario quello di ridurre al massimo la
disabilità residua del paziente.
La sola valutazione neuropsicologica non basta per poter valutare le reali possibilità di
inserimento lavorativo della persona dopo grave TCE: è necessario tener presente la storia
lavorativa e sociale precedente, quella clinica e medica post-traumatica, effettuare un’attenta
33 Cantagallo A., Bergonzoni A.: La riabilitazione dei disordini delle funzioni neuropsicologiche nel cerebroleso adulto. In: N. Basaglia (a cura di): Trattato di medicina riabilitativa. Idelson-Gnocchi, Napoli, 2000. Cantagallo A.: I disordini delle funzioni neuropsicologiche nel cerebroleso adulto. In: N. Basaglia (a cura di): Trattato di medicina riabilitativa. Idelson-Gnocchi, Napoli, 2000.
21
valutazione emotiva e comportamentale della persona, nonché un’analisi dei bisogni del soggetto e
della sua famiglia.34
La riabilitazione neuropsicologica è un insieme coordinato di attività terapeutiche orientato a
raggiungere cambiamenti funzionali tramite il rinforzo, il potenziamento o il recupero di
comportamenti precedentemente appresi, o tramite lo stabilirsi di nuovi pattern di attività cognitive,
o di meccanismi di compensazione dei sistemi neurologici danneggiati.
L’anosognosia, o inconsapevolezza di disabilità, risulta essere un fattore prognostico negativo
del recupero funzionale, ed è necessario lavorare sulla riabilitazione della consapevolezza di un
deficit qualora manchi, prima di iniziare un qualunque altro tipo di trattamento.
2.3.1 Le funzioni attentive
Le componenti dell’attenzione, secondo i modelli cognitivi più recenti,35 si possono
semplificare in:
Componenti intensive dell’attenzione (permettono il mantenimento costante nel tempo di un
livello di attivazione o prontezza fisiologica a rispondere agli stimoli ):
o Allerta: risposta rapida a tutti gli stimoli ambientali;
o Attenzione sostenuta: mantenere nel tempo una buona accuratezza ed una buona
velocità.
Componenti selettive dell’attenzione (permettono lo svolgimento di uno o più compiti):
o Attenzione focalizzata: capacità di selezionare stimoli ambientali attraverso processi
sia di attivazione che di inibizione di specifiche risposte;
o Attenzione divisa: abilità a rispondere simultaneamente a compiti multipli.
E’ noto da tempo che, in seguito a TCE i pazienti riferiscono spesso, anche dopo anni dal
trauma, faticabilità mentale, cattiva concentrazione, lentezza ideo-motoria, e soprattutto difficoltà
ad eseguire contemporaneamente due compiti: questi disordini interferiscono con lo svolgimento
delle attività quotidiane.
Le funzioni attentive sono controllate dall’attività integrata del tronco-encefalo (formazione
reticolare attivante) e del talamo (nuclei intralaminare e reticolare), nonché di alcune aree
associative della neocorteccia (parietale posteriore, temporale, e soprattutto prefrontale): a destra
prevalentemente per le funzioni attentive a componente intensiva, cioè vigilanza ed allerta,
nell’emisfero di sinistra per le funzioni attentive con prevalente componente selettiva, ovvero
attenzione focale ed attenzione divisa. 34 Sbordone R.J.: Limitiations of neuropsychological testing to predict the cognitive and behavioural functioning of
persons with brain injury in real-world settings. NeuroRehabil, 2001, 16:199-201. 35 Van Zomeren A.H., Brouwer W.H.: Clinical neuropsychology of attention. Oxford University Press, Oxford, 1994.
22
Tali funzioni possono quindi essere compromesse per lesioni anatomiche focali con sedi
differenti, ma nella lesione tipicamente diffusa post-traumatica si evidenzia dapprima una
compromissione di tutte le funzioni attentive, poi progressivamente mentre il paziente evolve nei
livelli della scala LCF si delineano maggiormente disordini dell’attenzione selettiva e
dell’attenzione divisa. Nelle fasi acuta e post-acuta il generale rallentamento presente nella
maggioranza dei pazienti e la compromissione trasversale di tutte le funzioni attentive non rendono
possibile valutare eventuali disordini attenzionali specifici, che invece si delineano
successivamente. Nella fase stabilizzata, dopo almeno 6 mesi dal TCE, uno studio multicentrico
europeo ha valutato le funzioni di allerta, attenzione sostenuta, attenzione selettiva ed attenzione
divisa, per studiare la frequenza dei disordini delle diverse funzioni, la loro eventuale associazione e
l’influenza di parametri demografici e clinici.36 Un primo dato interessante è la compromissione
relativamente poco frequente dei processi intensivi (nel 35% dei casi); al contrario, oltre la metà dei
pazienti risulta patologica alle prove di attenzione selettiva e di attenzione divisa. Inoltre l’effetto
della gravità del TCE, valutata in durata del coma, è significativo soltanto per i tempi di reazione in
attenzione selettiva; altre variabili, quali l’età, la scolarità e l’intervallo temporale trascorso dal
TCE, non hanno influenzato la prestazione alle prove somministrate.
Essendo le funzioni attentive funzioni trasversali, i disordini attentivi hanno una ricaduta a
pioggia su tutte le attività di vita quotidiana, e nello specifico pregiudicano la possibilità di attività
complesse e rischiose come la guida dell’automobile.37
I disordini attentivi possono essere rieducati con beneficio, avendo molto chiari i fattori di
prognosi e le variabili che influenzano il successo terapeutico, sfruttando sia l’effetto selettivo sulla
funzione trattata che la generalizzazione dell’effetto positivo anche sulle funzioni non trattate.38
Per un’analisi degli studi sull’efficacia della riabilitazione delle abilità attentive si rimanda
alla recente revisione critica di Cappa et al..39
2.3.2 Le funzioni mnesiche
La memoria è il processo attraverso il quale acquisiamo, manteniamo e usiamo nuove
informazioni, attraverso una prima fase di codifica delle informazioni, poi di immagazzinamento, ed
infine di recupero delle stesse. 36 Zoccolotti P., Matano A., Deloche G., Cantagallo A., et al.: Patterns of attentional impairment following closed head
injury: a collaborative european study. Cortex, 2000, 36:93-107.37 Dimarco F., Cantagallo A.: Assessing driving safety after traumatic brain injury. Eur Med Phys, 2002, 37:215-225.38 Sturm W., Fimm B., Cantagallo A. et al.: Computerized training of specific attention deficits in stroke and traumatic
brain-injured patients: a multicentric efficacy study. In: B. Fimm, M. Leclercq, M. Rousseaux et al. (Eds): Applied Neuropsychology of Attention: theoretical, diagnosis and rehabilitation aspects. Psychology Press, New York, 2002, pp 265-380.
39Cappa S., Benke T., Clarke S., et al.: EFNS guidelines on cognitive rehabilitation: report of an EFNS Task Force. Eur Jour Neurol, 2003, 10:11-23.
23
Il paziente affetto da amnesia anterograda non ricorda ciò che è accaduto dopo l’evento
patologico: il caso più tipico è il traumatizzato cranico che dopo la fase di coma si trova in un
periodo definito come amnesia post-traumatica (Post-Traumatic Amnesia: PTA), caratterizzato
dalla presenza di confusione, disorientamento spaziale e temporale, e dall’impossibilità a
rievocare in ordine temporale corretto gli eventi delle ultime ore. I pazienti con amnesia anterograda
presentano gravi difficoltà nella rievocazione libera di stimoli nuovi, mentre vengono in parte
favoriti dalle prove di riconoscimento a scelta multipla: questa sproporzione è stata interpretata
come disordine della pianificazione e dell’utilizzo di appropriate strategie di memorizzazione nella
fase di codifica o nella fase di recupero delle informazioni, piuttosto che come deterioramento del
magazzino di deposito delle informazioni stesse.
La sindrome amnesica globale è caratterizzata soprattutto da un deficit dell’apprendimento nel
lungo termine di nuove informazioni (amnesia anterograda) e da un disturbo meno accentuato nella
rievocazione delle informazioni acquisite prima dell’evento patologico (amnesia retrograda).
Solitamente il paziente non presenta disordini del livello intellettivo, né della memoria a breve
termine. Le lesioni che portano ad amnesia globale sono in genere localizzate nel diencefalo
(talamo, nuclei mammillari), nella parte mediale del lobo temporale, o nelle regioni fronto-basali. In
genere è possibile distinguere l’amnesia da lesione temporale (magazzino di memoria) come
impossibilità di mantenimento delle nuove informazioni, dall’amnesia da lesione frontale (fase di
codifica e di recupero) come alterazione dei meccanismi di immagazzinamento e scelta delle
informazioni immagazzinate.
Il quadro di amnesia retrograda, cioè per i fatti e le nozioni del passato precedente il TCE,
può presentarsi per gli eventi pubblici (memoria storica) come per gli eventi personali (memoria
autobiografica); in genere è presente un gradiente temporale secondo il quale gli eventi più remoti
sono meno colpiti rispetto a quelli più recenti, mentre nel paziente con esiti di TCE è presente un
periodo di amnesia retrograda di durata molto variabile, ma ben delimitato, precedentemente al
quale gli eventi sono ben rievocati.
I processi mnesici hanno un recupero spontaneo veloce nei primi 6 mesi, poi rallenta fino ai
12 mesi, ma può continuare successivamente per lungo tempo, anche oltre i 2 anni dal TCE. Se
tuttavia il periodo di PTA si è prolungato oltre le 4 settimane, è possibile ipotizzare la permanenza
in fase degli esiti dei disordini mnesici, più o meno gravi e disabilitanti, nel 85 % dei casi.40
La revisione della letteratura sulla riabilitazione della memoria dopo TCE mostra una
grande varietà di lavori, soprattutto su casi singoli, ma alcuni anche con gruppi randomizzati di
pazienti.
40 Van Zomeren A., Van Den Burg W.: Residual complaints of patients two years after severe head injury. Jour Neurol Neurosurg Psych, 1985, 48: 21-28.
24
In generale, le evidenze disponibili sostengono l’efficacia della riabilitazione della memoria
con strategie di apprendimento nei pazienti con deficit lieve o moderato, e raccomandano l’utilizzo
di specifiche tecniche di riabilitazione o l’addestramento di particolari attività dal livello LCF 6 in
poi. Non sembra invece utile la riabilitazione specifica del deficit grave (LCF 4-5), se non nel
guidare la modificazione ambientale ed il condizionamento implicito del paziente.41
2.3.3 La comunicazione
Nei TCE raramente si manifesta afasia, solo nel caso di lesione focale dell’emisfero
dominante per il linguaggio, con quadri che presentano una prognosi più favorevole rispetto a quelli
di origine vascolare. L’afasia interessa la comprensione del linguaggio orale e la produzione del
linguaggio parlato, quasi sempre è associata a difficoltà di elaborazione del linguaggio scritto
(lettura e scrittura); può interessa anche le prove di transcodifica da una modalità all’altra di
informazioni linguistiche: ripetizione orale, lettura ad alta voce, scrittura sotto dettato.
Il trauma, provocando più frequentemente una sofferenza cerebrale diffusa, può determinare
vari disturbi della comunicazione: meno del 10% dei soggetti presentano quadri di afasia, negli altri
casi, per lesione frontale anteriore, si rilevano disturbi di pianificazione del discorso, produzione
logorroica, tangenziale e disturbi della pragmatica e delle abilità conversazionali a due o in gruppo,
della comunicazione in pubblico e delle abilità sociali. Tutti questi fattori concorrono a determinare
un deficit della competenza comunicativa che rende il soggetto meno abile nel gestire relazioni
nell’ambiente domestico, lavorativo e sociale. A tali disordini spesso, per lesioni sottocorticali e del
tronco-encefalo, si associano disordini articolatori e fonatori già presentati nel paragrafo dei
disordini motori, che riducono ulteriormente la produzione e la qualità dell’eloquio.
La presenza di afasia o di alterazione della pragmatica della comunicazione o di disartria, deve
essere considerata un elemento altamente invalidante, sia in ambito domestico-familiare e sociale,
che in quello lavorativo, generico e specifico.42
La pragmatica della comunicazione è una delle branche della linguistica che si occupa
dell’utilizzo del linguaggio in relazione a fattori di tipo contestuale e sociale. Questa disciplina è
stata sviluppata in particolare da Paul Grice, che indica come principio fondamentale della
comunicazione, quello della cooperazione, dove gli interagenti devono essere cooperativi e
condividere almeno uno scopo comune immediato rispettando le massime conversazionali
41 Kaschel R., Della Sala S., Cantagallo A., et al.: Imagery mnemonics for the rehabilitation of memory: a randomized group controlled trial. Neuropsychological Rehabilitation, 2002, 12:127-153.Wilson B.A., Emslic H.C., Quirk K., Evans J.J.: Reducing everyday memory and planning problems by means of a paging system: a randomised control crossover study. J Neurol Neurosurg Psych, 2001, 70:477-482.42 Avanzi S., Mazzucchi A.: Disturbi post-traumatici del linguaggio. In: A. Mazzucchi (a cura di): La riabilitazione
neuropsicologica dei traumatizzati cranici. Masson, Milano, 1997.
25
(Quantità, Qualità, Relazione e Modo). Tali modalità sono universali e non variano all’interno delle
diverse culture.43
Una comunicazione efficace è influenzata da vari elementi e abilità: il contesto, le abilità di
pianificazione, le abilità verbali, le conoscenze generali e gli aspetti comportamentali. Tutte queste
funzioni, largamente dipendenti dai lobi frontali, sono frequentemente danneggiate in seguito a
trauma cranico. Nella pratica clinica si trovano spesso pazienti che mostrano difficoltà ad adattare il
proprio stile comunicativo alle esigenze del contesto, arrecando loro grave disabilità familiare e
sociale.
2.3.4 Le funzioni esecutive
In seguito a TCE, il lobo frontale viene frequentemente danneggiato e ne conseguono i più
vari disordini disesecutivi. Nell’insieme comportamento e funzioni neuropsicologiche che sono
sotto il controllo del lobo frontale vengono anche definiti rispettivamente come comportamento
adattativo e funzioni esecutive, in quanto portano l’uomo a prendere delle decisioni in modo
motivato, appropriato e modificabile in base alle variabili del contesto sociale in cui opera, libero da
interferenze di imitazione, comportamenti stereotipati o risposte automatiche ad impulsi primitivi.44
Le funzioni esecutive includono un gruppo eterogeneo di abilità come:
Inibizione di imitazione, risposta automatica e di perseverazione;
Flessibilità reattiva e flessibilità spontanea (o inventività);
Problem-solving;
Ragionamento logico-deduttivo astratto;
Pianificazione;
Giudizio critico;
Capacità decisionale.
Il paziente risulta particolarmente “rigido”, o meglio definito dai familiari e conoscenti,
“cocciuto ed ottuso”, ripetitivo, fuori posto in ambienti nuovi o in situazioni contestuali differenti;
inoltre egli ha ridotto la propria astrazione, e, come viene descritto in situazioni di vita quotidiana, è
“superficiale e banale”.45 Futilità, volubilità e avventatezza per incapacità a formulare progetti
realizzabili e a perseguirli con coerenza, perdita di iniziativa, di originalità, di creatività, tendenza a
reazioni emotive inadeguate o indifferenza, sono gli elementi caratteriali descritti con maggior
frequenza nel paziente frontale.
43 Cosenza G.: La pragmatica di Paul Grice. Intenzioni, significato, comunicazione. Bompiani, Milano, 2002. 44 Shallice T., Burgess P.: Deficit in strategy application following frontal lobe damage in man. Brain, 1991,
114:727-741.
45 Faglioni P.: Lobo Frontale. In: G. Denes, L. Pizzamiglio (a cura di): Manuale di neuropsicologia. Normalità e patologia dei processi cognitivi. Zanichelli, Bologna, 1996, pp 701-750.
26
Le aree frontali anteriori costituirebbero l’epicentro del sistema supervisore, un sistema di
controllo centrale in grado di organizzare l’attività cognitiva o comportamentale selezionando le
informazioni e gli schemi già acquisiti, modificandoli in modo nuovo e adatto allo scopo,
richiedendo però, per questo, tempo ed impegno attentivo, ma consentendo soluzioni flessibili ed
affidabili.
Più che parlare in modo generico di sindrome frontale è più corretto distinguere differenti
sindromi frontali, o meglio sindromi disesecutive, che meritano una loro autonomia a causa del
differente quadro clinico che consegue a lesioni in differenti aree frontali:46
Sindrome fronto-mesiale (acinetica):
- Scarsità di movimenti e gesti spontanei: inerzia motoria
- Modesta attività di linguaggio spontaneo: inerzia verbale
- Episodi di aano anarchica
- Ipostenia ed ipoestesia agli arti inferiori
- Incontinenza sfinterica
Sindrome orbito-basale (prevalentemente comportamentale: disinibita/muriatica):
- Comportamento disinibito ed impulsivo (pseudo-psicopatico)
- Giocosità inappropriata, futilità, euforia
- Labilità emotiva
- Distraibilità
- Perseverazioni motorie e motor impersistence
- Comportamento da dipendenza ambientale
Sindrome della convessità dorso-laterale (prevalentemente cognitiva: disordini neuropsicologici):
- Apatia (occasionali accessi d’ira o di aggressività)
- Indifferenza
- Deficit di attenzione divisa
- Deficit di apprendimento mnesico
- Deficit di programmazione motoria e verbale
- Scarsa capacità di astrazione e di categorizzazione
La regione fronto-mesiale che comprende le aree orbitarie mesiali e l’area cingolata
anteriore, nonché l’area supplementare motoria, controlla la motivazione, l’iniziativa motoria e
verbale, la programmazione motoria, l’attenzione selettiva, l’esplorazione visiva: lesioni di tale
regione portano acinesia o bradicinesia, aspontaneità motoria, mano anarchica, o nello specifico di
una lesione destra un’ipocinesia direzionale controlaterale, cioè una riduzione del movimento di
esplorazione con l’arto integro nell’emispazio controlaterale all’arto e alla lesione.
46 Cummings J.L.: Clinical Neuropsychiatry. Grune and Statton, New York, 1985.
27
La regione orbito-basale comprende le aree orbitarie laterali, ed ha strette connessioni con
l’ippocampo, l’amigdala, l’area entorinale e l’area peririnale, ed è deputata prevalentemente al
controllo inibitorio dei comportamenti responsivi agli stimoli esterni: in caso di sua
compromissione il paziente diventa disinibito, impulsivo, con rapide modificazioni del tono
dell’umore in rapporto agli stimoli ambientali o meglio in loro balìa. La perdita dell’auto-controllo
e della capacità di utilizzare i feedback per poter rispondere adeguatamente e potersi rendere conto
degli errori, e la tendenza a comportamenti avventati e inopportuni sono tipicamente presenti in
molte descrizioni di pazienti frontali, con lesione orbito-basale: posto di fronte ad oggetti di cui è
abituato a fare uso, il paziente li manipola e li usa anche senza ragione o invito a farlo
(comportamento di “utilizzazione”). Ma questo accade anche con gli atteggiamenti e le espressioni
verbali dell’esaminatore, che vengono riprodotte senza alcun motivo (comportamento di
“imitazione”).47
Spesso in seguito a lesione frontale orbito-basale si osserva oltre ad un’alterazione della
cognizione sociale anche un discontrollo emozionale, con risposte emozionali non fisiologiche agli
stimoli emotigeni esterni. In un nostro caso post-TCE con lesione orbito-basale destra e grave
disabilità sociale, nonostante un’ottima prestazione a tutte le prove di valutazione neuropsicologica
per funzioni attentive, mnesiche, esecutive, abbiamo riscontrato: una bassa conduttanza cutanea di
fronte ad immagini a forte valenza emozionale, una ridotta reazione dell’espressione facciale
(rilevata con EMG dei muscoli corrugatori del sopracciglio) di fronte ad immagini a valenza
emotigena negativa e successiva bassa rievocazione mnesica nel lungo termine delle stesse
immagini a valenza emotigena negativa. Si è dimostrato quindi il ruolo critico che la regione orbito-
basale gioca nel modulare le risposte emozionali a stimoli emotigeni soprattutto negativi.48
La regione dorso-laterale, infine, comprendente le aree 9, 10, 46 di Brodman, è quella più
“cognitiva” in quanto permette numerose funzioni quali l’attenzione divisa fra più compiti,
l’astrazione, il ragionamento logico-deduttivo e soprattutto la pianificazione, sia nel breve che nel
lungo termine. Il paziente dorso-laterale può presentare difficoltà di rievocazione nel lungo termine
di stimoli sia visivi che verbali. Anche l’organizzazione temporale delle esperienze vissute oltre alla
valutazione della frequenza con cui gli stessi sono stati sperimentati, possono essere alterate. Infine,
un altro aspetto qualitativo della rievocazione di un amnesico di origine frontale è la confabulazione
sia di tipo “riempitivo” (per le lacune di memoria), sia di tipo “produttivo o fantastico” quando
diventa particolarmente ricca di elementi anche non contingenti.49
47 Lhermitte F.: Human autonomy of the frontal lobes. II: Patient behaviour in complex and social situations: the “environmental dependency syndrome”. Ann Neurol, 1986,19:335-343.
48 Angrilli A., Palomba D., Cantagallo A., et al.: Emotional impairment after right orbitofrontal lesion in a patient without cognitive deficits. NeuroReport, 1999, 10:1741-1746.49 Dalla Barba, G.: Confabulation: knowledge and recollective experience. Cognitive Neuropsychology, 1993, 10: 1-20.
28
2.4 Livelli di funzionamento emotivo
Il cambiamento nel comportamento emotivo e sociale è molto comune a seguito di un TCE,
ed è stato molto descritto soprattutto con una analisi attenta dei comportamenti inadeguati per
eccesso (come per esempio l’irritabilità) o per difetto (come l’apatia).50
Ci si interroga da tempo sull’interazione tra i disordini neuropsicologici e quelli emotivi,
per capire quali tipi di interventi siano necessari. Sicuramente persone con maggiori potenzialità
cognitive, emotive e di supporto sociale sono a minor rischio di sviluppare psicopatologia. Inoltre è
stato verificato che persone con gravi disordini a carico dei sistemi attentivi e mnesici, presentano
più frequentemente una serie di comportamenti e di sintomi inadeguati.51
A seconda degli studi e delle popolazioni analizzate si riscontrano differenti incidenze di
stati psicopatologici diagnosticabili in base a criteri universalmente riconosciuti come il DSM-IV,
ma che concordano nel tipo di patologie e nella prevalenza.
La depressione maggiore è sicuramente la patologia più descritta a seguito di un grave TCE
e l’incidenza descritta in letteratura va dal 14 al 77%. Tra i depressi c’è in genere una maggiore
incidenza di problemi di tipo ansioso. Inoltre una buona percentuale mostra anche comportamenti
aggressivi. Si tratta quindi nella maggior parte dei casi di depressione con forte componente
ansiosa, ma anche agitazione ed aggressività.52 Depressione, lesioni frontali e comportamenti
aggressivi tendono quindi ad associarsi, e le problematiche vengono amplificate se vi erano pre-
esistenti problematiche psicosociali legate all’abuso di sostanze o a stati ansioso-depressivi.
La distimia annovera tra il 2 e il 14 % della popolazione, mentre il disturbo bipolare viene
riscontrato nel 2-17 % dei casi. Abbastanza frequenti i disturbi d'ansia: disturbo d’ansia
generalizzato (3-28%), disturbo da attacchi di panico (4-17%), fobie (1-10%), mentre il disturbo
ossessivo-compulsivo viene riscontrato nel 2-15% dei casi. Rara la schizofrenia, riscontrata in pochi
studi e solo per l’1%, così come sporadica la descrizione di disordini dissociativi.53
Per quanto riguarda l’Asse II, i disordini di personalità sono stati riscontrati in un range di
popolazione che va dal 49 a 80 %, anche a distanza di molti anni dal trauma; il più frequente è
50 Silver J.M., Yudofsky S.C., Hales R.E.: Neuropsychiatry of traumatic brain injury. American Psychiatric Press, New York, 1994.51 Hermsen M., Geurts A.C., Fasotti L., Bevaart B.J.: Positive behavioural disturbance in the rehabilitation phase after severe traumatic brain injury: an historic cohort study. Brain Injury, 2004, 18:787-96. 52 Tateno A., Jorge R.E., Robinson R.G.: Clinical correlates of aggressive behaviour after traumatic brain injury. J
Neuropsychiatry Clin Neurosci, 2003, 15:155-160.
53 Cantagallo A., Grassi L., Della Sala S.: Dissociative disorder after traumatic brain injury. Brain Injury, 1999, 13:219-228.
Cantagallo A., Dimarco F.: Prevalence of neuropsychiatric disorders in traumatic brain injury patients. Eur Med Phys, 2003, 38:167-178.
29
risultato il disturbo borderline (34%), l’ossessivo-compulsivo (27%), il paranoide (26%), l’evitante
(26%) e l’antisociale (21%).54
Merita un cenno anche una possibile conseguenza di una lesione frontale, estremamente
invalidante, che viene descritta in letteratura come il pianto e riso patologico. La percentuale di
persone colpite da questo disordine nel primo anno dopo il trauma è generalmente inferiore al 10%,
ma queste persone sono in maniera significativa più depresse, ansiose, manifestano più
comportamenti aggressivi e meno inserimento sociale.55
Fino a questo momento appare chiaro che l’assunto di fondo, che va per la maggiore anche
nella letteratura, è che esistono delle sequele neuropsicologiche che coinvolgono aspetti cognitivi,
comportamentali ed emotivi a seguito di lesioni in determinate aree cerebrali. Un aspetto spesso
trascurato, ma altrettanto importante e presente, sono i disordini secondari o reattivi, cioè gli effetti
dello stress, gli effetti della perdita di identità e gli effetti della mancata elaborazione del lutto per il
cambiamento di sé e della propria vita.
Lo stress e le strategie di coping verranno affrontate in questo paragrafo, l’identità nel
paragrafo della consapevolezza che merita uno spazio a sé, data l’attualità e la complessità della
questione e il percorso di elaborazione del lutto, che ha tempi lenti e successivi verrà trattato nel
capitolo della fase degli esiti.
Un biologo canadese, Hans Selye, che viene considerato il "padre" del concetto di stress, lo
ha definito come una reazione dell’organismo a stimoli esterni che sovvertono un equilibrio
momentaneo. Esso sopraggiunge quando una situazione comporta la percezione che le richieste
siano superiori alle capacità dell'organismo di affrontarle. Se pensiamo al percorso delle persone
con esiti di TCE è immediato pensare all’altissimo livello di stress che subiscono, l’incidente
all’improvviso modifica tutti i ritmi di vita, toglie potenzialità motorie e cognitive. Quello che
prima era normale, alzarsi e bere un bicchiere d’acqua ora è un’impresa perché muoversi, aprire il
frigo e cercare la bottiglia, prendere il bicchiere e versare l’acqua senza farla traboccare diviene
talvolta una vera impresa, un dispendio di energia e una fonte di frustrazione immensa. Per non
parlare di azioni più complesse come l’instaurare relazioni amicali o affettive.
Molti sono gli studi sugli effetti dello stress cronico sulla salute, con una gamma di problemi
fisici riscontrati che vanno da dolori pettorali e vertebrali, problemi cardiaci, mal di testa, disturbi
54 Hibbard M.R., Bogdany J., Uysal S., et al.: Axis II psychopathology in individuals with traumatic brain injury. Brain Injury, 2000,14:45-61. Koponen S., Taiminen T., Portin R., Himanen L., et al.: Axis I and II psychiatric disorders after traumatic brain injury: a 30 year follow up study. Am J Psychiatry, 2002, 159:1315-1321.
55 Tateno A., Jorge R.E., Robinson R.G.: Pathological laughing and crying following traumatic brain injury. J Neuropsychiatry Clin Neurosci, 2004, 16:426-34.
30
psicosomatici, psoriasi, insonnia, ulcera, ecc. Le persone che sono in stato di stress cronico e che
quindi non si sentono in grado di affrontare le richieste della vita mostrano stati ansiosi,
aggressività, depressione, spossatezza, frustrazione, irritabilità, senso di colpa e vergogna, difficoltà
di concentrazione, ipersensibilità alle critiche e incapacità a prendere decisioni.56
Tra i disordini correlati allo stress che si possono riscontrare a seguito di grave TCE
ricordiamo il disturbo acuto da stress, il disturbo post traumatico da stress (DPTS) ed il disturbo
dell’adattamento. Il maggior numero di ricerche si trovano sull’incidenza del DPTS.57 Vi è una
netta prevalenza di emozioni negative e reazioni fisiologiche (compreso l’aumento significativo
della frequenza cardiaca a riposo) durante il colloquio inerente l’evento traumatico, pur essendo
bassa la frequenza di ricordi intrusivi ed incubi notturni, rispetto ad altri tipi di trauma. L’ipotesi che
viene formulata è che le scale comunemente utilizzate per valutare il DPTS non siamo adatte alle
caratteristiche specifiche di questo tipo di traumi, che manifestano disordini che spesso non arrivano
a livello di coscienza ma che fortemente incidono sul corpo e sul benessere. E’ stato inoltre rilevato
come il DPTS sia presente anche nei traumi lievi e che la maggior parte di coloro che in fase acuta
sviluppano disturbo acuto da stress poi presentano anche DPTS. Anche in questo caso, una diagnosi
precoce potrebbe prevenire l’esordio di un disturbo più strutturato ed invalidante.
A differenza del comune concetto di crisi, che generalmente viene descritto in letteratura
come un evento che ha un tempo circoscritto, le persone con grave TCE ed i loro famigliari vivono
un perenne stato di crisi, con diversi livelli di intensità, possono arrivare negli anni periodi di
relativa stabilità e poi giungere di nuovo momenti in cui le problematiche sempre presenti si
riacutizzano. Naturalmente è proprio la caratteristica del trauma, a far vivere questa crisi
permanente nel suo lasciare deficit motori, cognitivi, nel suo modificare aspetti psicologici e
comportamentali, nel suo stravolgere i ruoli e le dinamiche famigliari.
E’ stata creata una specifica scala di misurazione dello stato di crisi (Acquired Brain Injury
Distress and Coping Scale) 58 che consta di 15 items che indagano le caratteristiche dello stress, 8
items per i fattori di aiuto che vengono percepiti e 6 per i fattori che sostengono la speranza ed i
pensieri positivi. Attraverso versioni somministrate alle persone, ai famigliari e agli operatori si
56 Zucconi A., Howell P.: La Promozione della Salute. Ed. La Meridiana, Molfetta (Bari), 2003.57 Bryant R.A., Harvey A.G.: Relationship between Acute Stress Disorder and Post-traumatic Stress Disorder following
mild traumatic brain injury. Am J Psychiatry, 1998, 155:625-629. Bryant R.A., Marosszeky J.E., Crooks J., et al.: Coping style and post-traumatic stress disorder following severe traumatic brain injury. Brain Injury, 2000. 14:175-180. Bryant R.A., Marosszeky J.E., Crooks J., Gurka J.: Elevated resting heart rate as a predictor of posttraumatic stress disorder after severe traumatic brain injury. Psychosom Med, 2004, 66: 760-761.
Bryant R.A., Marosszeky J.E., Crooks J., Gurka J. Posttraumatic Stress Disorder after severe traumatic brain injury. Am J Psychiatry, 2000, 157:629-631. Mayou R.A., Black J., Bryant B.: Unconsciousness, amnesia and psychiatric symptoms following road traffic accident injury. Brit J Psych, 2000, 177:540-545. 58 Davis J.R., Gemeinhardt M., Gan C., et al.: Crisis and his assessment after brain injury. Brain Injury, 2003, 17:359-
376.
31
riescono ad osservare le diverse percezioni. Sicuramente ancora pochi sono gli studi che focalizzano
l’attenzione allo stato di crisi e stress , che lo analizzano per poi trovare metodologie di intervento
finalizzate alla prevenzione del cronicizzarsi di situazioni che portano inevitabilmente
all’ingravescenza di tutte le problematiche esistenti, sia fisiche che psicologiche che relazionali sia
nelle persone traumatizzate che nei famigliari. E’ sicuramente necessaria sia in àmbito clinico che
peritale una attenta analisi di questi complessi aspetti.
Molte sono le emozioni che le persone ed i famigliari descrivono: senso di inadeguatezza,
confusione, tristezza, insoddisfazione, paura, rabbia, solitudine, angoscia, frustrazione, ansia,
allerta, agitazione, senso di colpa e vergogna. Poiché l’impatto che questi sentimenti provocano nel
comportamento quotidiano è innegabile, è molto importante tenerli in grande considerazione nei
percorsi di recupero. Le nuove tendenze della riabilitazione suggeriscono ormai di trattare aspetti
emotivi e cognitivi in parallelo, cioè evidenziano sempre più la necessità da parte degli operatori di
farsi carico anche dei vissuti emotivi reattivi e di trattarli adeguatamente.59 Sono sempre più
necessari ed auspicabili quindi interventi integrati e multipli: motori, cognitivi, psicoeducativi,
psicoterapici.
2.5 La consapevolezza: i disordini nella persona e nella famiglia
Definizioni della consapevolezza
La consapevolezza è stato da sempre oggetto di studio dei filosofi di ogni parte del mondo.
Secondo David Chalmers60 una persona è consapevole di una informazione quando questa è
direttamente disponibile ad essere sfruttata per dirigere i comportamenti. La consapevolezza è
quindi uno stato nel quale abbiamo accesso a delle informazioni che possiamo usare per controllare
e dirigere i comportamenti. La consapevolezza è quindi il segno distintivo più generale della
coscienza psicologica, che consiste in una funzione continua di congiungimento tra gli stati attuali
del sé e quelli del mondo degli oggetti.
La consapevolezza nella persona
Consapevolezza del mondo e auto-consapevolezza, entrambi questi sistemi vengono alterati
nel grave TCE.
La consapevolezza del mondo viene alterata a causa di gravi problemi di memoria, di
attenzione. La capacità di giudizio viene persa, così come la possibilità di astrarre e comprendere
significati sottesi o profondi. Ancor più invalidante nella vita famigliare e sociale è il fatto che viene
persa anche la capacità di riconoscere l’altro, le sue emozioni i suoi bisogni. Questa incapacità
59 Mateer C.A., Sira C.S., O’Connell M.E.: Putting Humpty Dumpty together again. The importance of integrating cognitive and emotional interventions. J Head Trauma Rehabil, 2005, 20:62-75.
60 Chalmers D.: La mente cosciente. Mc Graw-Hill, Milano, 1999.
32
compromette la vita di relazione, fa generalmente perdere le vecchie amicizie e impedisce la
creazione di nuovi legami. Limita la partecipazione emotiva alla vita famigliare e porta al frequente
disgregamento della famiglia (separazioni, divorzi). Viene spesso descritta, soprattutto da mogli e
mariti, la completa assenza di empatia.
Un disordine di auto-consapevolezza, invece, si manifesta per esempio quando la persona
non riesce ad accedere ad informazioni rispetto alla sua condizione e quindi non le utilizza per la
pianificazione di comportamenti o per effettuare scelte e prendere decisioni.
Il non riconoscere esplicitamente le proprie difficoltà può manifestarsi in numerose
condizioni cliniche di origine neurologica e non, e all’interno delle prime sia in seguito a lesione
cerebrale che extracerebrale. Tale “non-conoscenza” di malattia e disabilità può presentarsi come
conseguenza di due disordini, l’anosognosia e la negazione, riconducibili a differenti livelli di
compromissione: nel primo caso i disordini di veglia, o percezione (livello neurologico), oppure di
comprensione contestuale, o memoria, o capacità logica (livello neuropsicologico), alterano le
capacità del soggetto di poter verificare sul campo le difficoltà quotidiane; nel secondo caso un
meccanismo di difesa (livello emotivo) viene spontaneamente attuato dal soggetto come difesa nei
confronti di situazioni percepite come non affrontabili perché troppo stressanti (Tabella 4).
Tabella 4. Livelli di consapevolezza di malattia.
Natura della"non-conoscenza"
Livello 1 neurologico
Livello 2neuropsicologico
Livello 3emotivo
ANOSOGNOSIAdisordini: percettivi arousal
disordini: comprensione memoria ragionamento
NEGAZIONErimozione
dall'esperienza conscia dell'informazione
in quanto troppo stressantee dolorosa
L’anosognosia è condizione frequente in seguito a disordini delle funzioni
neuropsicologiche. Tipico è l’esempio del paziente con eminegligenza spaziale unilaterale (neglect)
dopo lesione corticale parietale o frontale destra, che non è consapevole dei propri disordini in
quanto non riesce a dichiararli: manca di consapevolezza “esplicita”, anche se a volte presenta un
certo grado di consapevolezza “implicita”, in quanto ha comportamenti che tradiscono l’avvenuto
33
contatto con stimoli nell’emispazio sinistro. Nella maggior parte delle situazioni quotidiane,
comunque, il paziente con neglect si comporta come anosognosico globale, e anche se presenta un
certo livello di elaborazione del materiale a sinistra, questa risulta incompleta e tale da provocare
disabilità importante. Altra precisazione da aggiungere riguarda la possibilità di dissociazioni
all’interno dell’anosognosia: l'anosognosia per l’eminegligenza spaziale unilaterale può anche
essere accompagnata da buona consapevolezza dell’emiplegia e dell’emianopsia.61
La regione parietale destra sembra essere fondamentale per controllare la consapevolezza di
malattia, ma anche l’area frontale anteriore fornisce al soggetto la capacità critica e di giudizio
necessaria per valutare le proprie condizioni cliniche. Sono descritti in letteratura numerosi pazienti
con lesione prefrontale che negano anche di fronte all’evidenza dei fatti le loro menomazioni e
disabilità.
Crosson e coll.62 hanno proposto un modello teorico-interpretativo dell’anosognosia che
potesse in qualche modo anche suggerire modalità di valutazione della stessa e prospettare
facilitazioni per il suo superamento. Essi distinguono:
- una consapevolezza cognitiva (o “intellectual awareness”) quando il soggetto riesce a spiegare,
attraverso un’intervista strutturata o non, in modo sufficientemente completo le proprie
disabilità;
- una “consapevolezza emergente” si verifica di fronte alle difficoltà in attività quotidiane o
durante l’esecuzione di prove prestabilite;
- infine, una consapevolezza che riesce a prevedere le difficoltà future nel breve o nel lungo
termine o “consapevolezza anticipatoria” o progettuale, comprende oltre ad una buona capacità
di analisi della situazione presente anche una discreta capacità di programmazione e
pianificazione delle proprie attività future adeguatamente alle proprie abilità residue (“questo
riuscirò e questo non riuscirò a farlo”).
Un disordine di tale alto livello di consapevolezza è forse il più difficile scoglio da superare
nell’ambito della riabilitazione neuropsicologica, che si deve avvalere dell’indispensabile aiuto
della psicologia clinica e cognitiva.
Viene descritta da anni la necessità di promozione della consapevolezza dei deficit per
facilitare ed ottimizzare i trattamenti cognitivi e motori, per incrementare la motivazione al
trattamento ed affinché le persone utilizzino e trovino strategie di compenso adeguate e soprattutto
affinché si raggiungano obiettivi stabili e a lungo termine, riproducibili con costanza nella vita di
tutti i giorni. 61 Bisiach E., Vallar G., Perani D., Papagno C., Berti A.: Anawareness of disease following lesions of the right
hemisphere: anosognosia for hemiplegia and anosognosia for hemianopia. Neuropsychologia, 1986, 24:471-482.62 Crosson B., Poeschel Barco P., Velozo C.A., et al.: Awareness and compensation in postacute head injury
rehabilitation. J Head Trauma Rehabil,1989, 4: 46-54.
34
Se intuitiva appare l’importanza della promozione della consapevolezza, non meno
importante però è ricordare che nel momento in cui si promuove la consapevolezza dei deficit
aumentano anche i vissuti emotivi di angoscia, frustrazione e depressione. Aumentano quindi le
probabilità che le persone si trovino a dover affrontare gli stati emotivi che ne conseguono con il
naturale dolore e rischio di insorgenza di sintomi gravi. Talvolta quindi si innescano meccanismi di
difesa così strutturati che le persone paiono non “apprendere mai la consapevolezza” fino al livello
progettuale, a questo punto è di fondamentale importanza il lavoro dello psicoterapeuta esperto
perché, com’è noto, se si scardinano violentemente le difese di una persona le conseguenze in
termini psicopatologici possono essere molto gravi.
Una situazione che appare clinicamente come una sorta di passaggio tra l’anosognosia e la
difesa psicologica è stata storicamente descritta da Babinsky con il termine anosodiaforia, che
prevede la coscienza del deficit in assenza dello stato emotivo che dovrebbe accompagnarla: in altre
parole le persone ammettono l’esistenza di deficit sul piano razionale, ma si mostrano
emotivamente indifferenti.63
Di consapevolezza, negazione e rimozione si occupano molto anche gli studiosi che, unendo
la psicoanalisi alle neuroscienze (Neuropsicoanalisi), stanno operando in ambito clinico un lavoro
che cerca di conciliare le due prospettive, tradizionalmente molto distanti, alla ricerca di
un'integrazione non solo possibile, ma necessaria al progresso di entrambi i campi d'indagine dei
fenomeni mentali.64
Va ricordato che i meccanismi di difesa non sono necessariamente patologici, ma piuttosto
modalità strutturate ed organizzate con cui le persone fanno fronte agli eventi stressanti. Quindi, dal
punto di vista psicologico, le difese sono senz'altro utili nella fase acuta e sub-acuta, perché
permettono la sopravvivenza psichica ed il recupero di risorse interne per affrontare il cambiamento
necessario nella fase degli esiti.65
La consapevolezza dei famigliari
Per quanto riguarda la famiglia, escludendo la componente neurologica della mancanza di
consapevolezza, si possono instaurare gli stessi meccanismi di difesa che operano nelle persone
affette da TCE.
Nella fase acuta, dopo lo choc è fisiologica una fase di negazione, in cui non si crede alle
sentenze dei medici, in cui si spera di svegliarsi presto dal brutto sogno e si vive come se realmente
potesse cancellarsi la realtà. 63 Babinski J.: Contribution a l’étude de troubles mentaux dans l’émiplegie cérébrale. Revue Neurol, 1914, 27:845-847.64 Solms M., Kaplan K.: Neuropsicoanalisi. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002. Solms M., Turnbull O.: Il cervello ed il mondo interno. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004.65 Lingiardi V., Madeddu F.: I meccanismi di difesa. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002
35
La presa di coscienza dei famigliari, poiché non riguarda direttamente la propria immagine
di sé, è generalmente più veloce di quella delle persone. E’ molto importante che nella fase
intermedia la famiglia sia consapevole delle difficoltà della persona e collabori con gli operatori
della riabilitazione per sostenere il processo di recupero del proprio caro.
La presa di coscienza dei famigliari arriva gradatamente nel tempo, anche grazie al contatto
quotidiano con la persona che non è più lui/lei, che ha uno sguardo diverso, che non ha più lo stesso
corpo, che non pensa più come prima. Il desiderio e la speranza che tutto ciò cambi rimane a lungo,
talvolta la speranza è l’unica molla che permette di alzarsi alla mattina. In questa fase la depressione
dei famigliari è riscontrabile in ogni loro discorso e movimento.
E’ noto che la negazione dei famigliari blocca o rallenta anche il recupero delle persone. In
alcuni casi viene svalorizzato a casa il lavoro dei riabilitatori, per esempio si sostituiscono alla
persona nel compiere gesti o azioni che ha imparato a fare perché è troppo lento, altre volte
vengono fatte invece alla persona richieste eccessive: “se vuoi ricordare o camminare, se ti impegni
veramente puoi farlo” o viceversa le richieste sono troppo basse tanto da mettere in crisi la persona
e farla sentire esclusa dalla vita famigliare e sociale: “non puoi uscire in carrozzina con gli amici”.
Tra i fattori facilitanti del percorso di consapevolezza dei famigliari ci sono il sostegno
sociale, la possibilità di accesso ai servizi e un buon livello di integrazione sociale.
E le informazioni aiutano in questa fase? Sicuramente è un bisogno dei famigliari
comprendere cosa sta accedendo e come affrontarlo, ma le informazioni date vanno calibrate e
personalizzate sia per la quantità che per i tempi.
Percorsi informativi standard hanno la controindicazione di far crescere l’ansia e far entrare
in confusione; le persone hanno diritto ad essere informate man mano che si presentano loro i
problemi. E’ comune l’esperienza dei clinici che parlano con i famigliari per ore e che poi a
distanza di mesi si sentono rifare domande a cui avevano già ampiamente e chiaramente (a parer
loro) risposto. Un cenno merita anche una particolare attenzione al linguaggio che si utilizza, a volte
è eccessivamente medicalizzato e poco concreto, se si vuol far capire ad un non addetto ai lavori
che c’è un problema di memoria, non si può dare una definizione della stessa, quanto piuttosto
descrivere com’è nel quotidiano la ricaduta di una grave amnesia anterograda, con esempi concreti.
Va inoltre ricordato che ciascun membro della famiglia ha tempi suoi di elaborazione e quindi è
disponibile all’ascolto e alla comprensione di informazioni dolorose con tempi e modi differenti. La
realtà infatti non deve uccidere la speranza, ma ridurre l’illusione per facilitare una organizzazione
della vita vicina alla realtà.
Come già detto il trauma è dell’intera famiglia e anche in questa fase intermedia è necessaria
una presa in carico di tutti i membri, con tempi e modi differenti. Se si cronicizzano relazioni e
dinamiche disfunzionali, come per esempio la paura del futuro attraverso la negazione del presente,
36
avviene un blocco emotivo e relazionale che porta tutto il nucleo famigliare in un circolo vizioso. E’
stata descritta la perdita di interessi, di amicizie e di ogni attività personale fino alla completa
chiusura dal mondo di interi nuclei famigliari. Azioni di sostegno ai famigliari in questa fase sono
anche azioni di prevenzione di danni futuri, oltre allo specifico sostegno psicologico, individuale o
di gruppo al bisogno, è molto importante facilitare e creare una fitta rete sociale, sostegno a sbrigare
le pratiche quotidiane (cure igieniche, gestione del tempo libero del disabile, periodi di vacanza),
affinché ciascun membro trovi sollievo e riesca mantenere, almeno in parte, lavoro, amicizie ed
interessi.
2.6 La perdita dell'identità e di ruolo nella persona e nella famiglia
Definizione di identità
Trauma deriva da una parola greca ed il significato è “ferita”. L’emozione improvvisa e
violenta del trauma può provocare una alterazione permanente dell’attività psichica, le aree della
vita della persona che vengono maggiormente intaccate sono la sicurezza, la fiducia, il controllo, la
vulnerabilità e la stima di sé. L’esperienza traumatica quindi può scalzare le strutture portanti del
senso di identità di un individuo. Sperimentare l’imprevedibilità e l’incontrollabilità disorienta la
persona rispetto alla relazione con se stessa e con l’ambiente, minando alla base il suo senso di
identità.
La perdita nella persona
Il trauma, il cambiamento fisico, cognitivo ed emotivo, il mutarsi di vissuti e prospettive
portano inevitabilmente alla perdita della propria identità. Ora chi sono? Riesco in questo o quello?
Dove arriva il mio corpo e dove non arriva? Quale tipo di attività mi permette la mia mente? Il
processo di costruzione dell’identità è permanente e complesso, arrivati all’età adulta il più è fatto
ma ogni esperienza forte della vita, se glielo permettiamo, ci modifica un pò e quindi smussa e
aggiusta la nostra immagine di noi. Il crollo è grande nel caso del grave TCE.66 I temi principali
sono:
il senso di identità ed integrità fisica, il corpo non è più lo stesso, non è più “famigliare”, la
malattia e la disabilità spesso implicano la necessità di aiuto nelle pratiche più personali e
vengono infranti i confini dell’intimità;
la libertà nei movimenti e nelle azioni che sono alla base del senso di autonomia e di auto-
protezione;
le abilità ed i talenti espressi in molteplici attività che sono l’espressione delle proprie
caratteristiche individuali e danno la dimensione del proprio valore, dell’autostima;
66 Mc Grath J.: Beyond restoration to transformation: positive outcomes in the rehabilitation of acquired brain injury. Clinical Rehabilitation, 2004, 18:767-775.
37
la vita intrapsichica perde, a causa di disordini cognitivi, il senso di continuità della propria
storia, si riduce lo sviluppo e la capacità di esprimere opinioni e valori, probabilmente la più
profonda espressione dell’identità e del senso di sé.
Tutti questi temi vengono in qualche modo compromessi e quello che accade è molto di più
della somma dei disturbi specifici, è un senso generale di perdita di sé, è una disgregazione
cognitiva e fisica che altera profondamente l'identità personale.
L’impatto che tutto questo ha nella vita quotidiana è sicuramente una modificazione
strutturata e sostanziale di ogni comportamento, in ogni area della vita. In altre parole, ogni ruolo
prima presente dopo il trauma viene modificato o talvolta irrimediabilmente perduto. Si pensi
all’esempio di un giovane padre con bambini piccoli, il suo ruolo di adulto che comprende il
bambino dal punto di vista delle sue emozioni, che gli spiega la realtà, che lo guida con le parole e
con l’esempio, che gioca a calcio con lui e lo coccola fisicamente, che lo accompagna in auto a
scuola o dagli amici, viene completamente stravolto in alcuni o talvolta tutti gli aspetti. Diviene un
padre in carrozzina perché emiplegico ed atassico, che gode della presenza dei figli ma che non ha
iniziative nei loro confronti, che non ricorda gli eventi della settimana, che non chiede loro cosa
hanno fatto a scuola, che entra in competizione con loro per le attenzioni della mamma e che di
tutto ciò è solo in parte consapevole, perché ricorda come era prima, percepisce di essere un padre
“molto peggiore”, ma non riesce a modificare i propri comportamenti.
L’impatto che tutto questo ha sulla sua qualità di vita è evidentemente devastante, percepire
una immagine di sé alterata in senso peggiorativo influisce pesantemente sull’autostima e di
conseguenza sulla qualità della vita. 67
La perdita nella famiglia
L’irruzione di un evento traumatico nella vita famigliare minaccia e modifica l’evoluzione
del ciclo vitale. Capita spesso che figli giovani, in procinto di uscire dal nido, vi rimangano
comportando un carico assistenziale ed emotivo molto pesante soprattutto per genitori che si stanno
avvicinando, o già sono, nella terza età. Addirittura non è raro il caso in cui un figlio, già fuori di
casa, ritorni nel nucleo di origine con una modifica sostanziale di tutte le dinamiche famigliari e
relazionali. L’adulto disabile torna improvvisamente a fare il figlio e spesso regredisce, mettendo in
atto comportamenti egocentrici ed infantili, talvolta istigati dai genitori stessi, che si ritrovano in
tarda età a dover accudire il proprio caro “proprio come quando era piccolo…”, faticano a
stimolarlo a crescere e soprattutto a favorire una seconda adolescenza, quindi un altro distacco:
“abbiamo già sperimentato che il mondo è pericoloso, adesso lui/lei è bene che stia molto più
67 Man D.W.K., Tam A.S.F., Li E.P.Y.: Exploring self-concept of person with brain injury. Brain Injury, 2003, 17:775-788.
38
attento, quindi è meglio che venga con i trasporti del Servizio Sociale piuttosto che con l’autobus di
linea…”. Se l’adulto rimane all’interno del proprio nucleo, per esempio insieme a moglie e figli,
sperimenta, rientrando a casa, che la famiglia in qualche modo si è riorganizzata, che i rapporti con
la banca che prima curava solo lui, ora sono stati curati da qualcun altro. Spesso le persone non
sono in grado di recuperare la maggior parte dei ruoli che prima avevano (amministratore, curatore
dei lavori in giardino, cuoco, responsabile dell’auto e delle assicurazioni, responsabile delle bollette,
autista, ecc.); la tendenza naturale della famiglia è di riorganizzarsi come meglio può per portare
avanti le necessità pratiche. Talvolta questo è un momento, pur nel dolore, anche di crescita dei
membri della famiglia, se riesce ad esserci dialogo e condivisione. La moglie prende la patente
anche a 60 anni ed i figli si assumono responsabilità che li fanno crescere. Se invece la famiglia
vive questa riorganizzazione con chiusura, tendenza alla delega delle responsabilità e scarsa
condivisione emotiva, è molto probabile che verrà schiacciata dai ruoli lasciati vacanti dalla persona
che ha subìto il trauma, e rischierà il collasso. Inoltre va ricordato che ogni situazione è a sé, perché
se manca un padre di 50 anni, è fisiologico che i figli di 25-30 anni si assumano responsabilità e che
abbiano le forze per portarle avanti. Se invece il padre è più giovane ed i figli ancora bambini o
adolescenti, naturalmente le cose cambiano perché non è corretto caricarli di responsabilità che non
possono sopportare, hanno diritto ancora al tempo del gioco, del disimpegno e della spensieratezza.
Dal punto di vista relazionale o educativo, spesso la persona perde la capacità di essere
punto di riferimento, e quindi tutti i membri rimangono in qualche modo “orfani”. I danni della
perdita di una persona cara, padre o compagno sono rilevanti, in queste esperienze inoltre le persone
non ci sono più come personalità, come carattere, come responsabilità, ma ci sono fisicamente e
spesso sono “peggiori”, hanno i difetti di prima esacerbati ma raramente ne conservano i pregi.
Quindi è per i famigliari una forte imposizione della vita, si vedono costretti ad un cambiamento
che non hanno scelto e vengono inondati dalla rabbia, da pensieri come “perché proprio a me..”.
3. FASE DEGLI ESITI: "IL REINSERIMENTO SOCIALE"
3.1 Il lutto nella persona e nella famiglia
Il lutto è lo stato psicologico che segue la perdita di qualcosa di significativo. Non è quindi
inappropriato parlare di lutto sia per le persone che per i famigliari. Le persone perdono la propria
identità, e di conseguenza anche molti aspetti che la compongono, o che ne sono effetti, come
l’autonomia e l’indipendenza, il lavoro, gli amici, la moglie o il marito. Per i famigliari il lutto
39
coinvolge sia la perdita della persona cara, sia la perdita delle abitudini, dei sogni e dei progetti
famigliari e talvolta individuali.
Il dolore che accompagna l’esperienza del lutto è il dolore depressivo. In generale le
sensazioni che derivano da questo stato sono il senso di inutilità, l’assenza di speranza, disordini del
sonno e dell’alimentazione, letargia o agitazione, attacchi di ansia e pensieri ossessivi.68
Il processo mentale necessario per rendere più tollerabile il dolore depressivo viene
chiamato “elaborazione del lutto”. Esso consiste in un percorso lungo e complesso che porta ad un
consapevole rassegnarsi alla perdita. Più la perdita è rilevante più il processo è lento. Si parla di
elaborazioni fisiologiche del lutto che durano anche oltre un anno. Tra gli elementi necessari per
l’elaborazione del lutto si trova la necessità di stare nella crisi e nel dolore, senza evitarlo o far finta
di non sentirlo, gestire quindi l’emozione dolorosa senza sfuggirne. Accettare quindi di stare male,
provando empatia e “pietas” verso se stessi, riconoscersi sofferenti e volersi bene, è il primo passo
verso la vera elaborazione.
Si potrebbe obiettare che la perdita del grave TCE non è un vero lutto, alcuni Autori hanno
chiamato la perdita dovuta alla grave disabilità permanente come “morte parziale” e il lutto come
“lutto incostante”.69 Queste definizioni sono state date per differenziarlo dal lutto tradizionale dove,
probabilmente, è più fisiologico interiorizzare la perdita, contrapponendolo a questo stato
paradossale in cui la persona c’è ma non c’è. Salutare un caro che è morto potrebbe essere più facile
che salutarne uno che è in vita.
Questo discorso sul lutto e sulla sua elaborazione vale sia per le persone che per i famigliari.
Data la complessità del processo appare chiaro che vi è la necessità di un nuovo modello
riabilitativo che tenga conto dei vissuti e del punto di vista della persona e dei famigliari. Una
tendenza tipica della mente umana in momenti di difficoltà è quella di ricordare, far riferimento ai
periodi migliori del passato, spesso idealizzandoli. Anche nel caso dell’esperienza di TCE è comune
sentire frasi come “prima era un bravissimo sciatore, era intelligente, simpatico, pieno di amici e di
donne”, “riuscivo sempre ad ottenere quello che volevo, in ogni campo mi cimentassi”. In un
processo di elaborazione del lutto che porta a fornire nuove percezioni di sé, nuovi comportamenti
soddisfacenti, nuovi obiettivi e progetti di vita giocano un ruolo importante le aspettative, i valori e i
modi di percepire la realtà sia della persona che dei famigliari. In questa fase infatti è molto
importante che le persone non siano lasciate sole nel loro dolore e nel loro processo, la possibilità di
condividere questa dolorosa esperienza con qualcuno che la comprenda veramente e la sostenga è
68 Powell T.: Head injury: a practical guide. Winslow, London, 1994. 69 Muir C.R., Haffey V.J.: Psychological and neuropsychological intervention in the mobile mourning process. In:
B.A. Edelstein, E.T. Couture (Eds.): Behavioural assessment and rehabilitation of the traumatically brain damaged. Plenum Press, New York, 1984, pp 247-272.
40
fondamentale. Spesso gruppi di sostegno in cui poter condividere il proprio percorso con chi vive
una esperienza simile sono facilitanti per far percepire che è possibile.
Sono stati descritti anche modelli riabilitativi che coinvolgano attivamente i famigliari,
affinché il percorso sia realmente funzionale e condiviso. 70
Sono necessarie molte risorse per poter garantire un adeguato sostegno individuale,
famigliare e di gruppo, ed attualmente rarissime sono le realtà in Italia che se ne occupano in
maniera sistematica. Quello che accade più comunemente è che le persone e le famiglie in questa
fase sono lasciate sole ad affrontare il proprio dolore; spesso a causa di questo i tempi di
elaborazione del lutto si dilatano, portando con sé stress, depressioni, sentimenti cronici di
rivendicazione e di rabbia, malattie psicosomatiche e continue richieste riabilitative inutili per poter
“ritornare come prima”.
3.2 La riorganizzazione: le risorse personali e le risorse ambientali
Elaborare un lutto per potersi riorganizzare, per adattarsi ed accettare. Cosa concretamente
significa? Significa divenire consapevole di tutti gli aspetti che hanno seguito l’incidente, riscoprire
il senso personale alla vita, sperimentare nuovamente la speranza per il futuro e ristabilire una
buona immagine di sé. Significa percepire la propria forza nella ricostruzione, significa divenire
consapevoli ed orgogliosi della resilienza e non rimanere attaccati alla perdita. Il coraggio, la
caparbietà e la forza personale della persona e di ciascun membro della famiglia, insieme ad una
rete famigliare e sociale, accogliente e non giudicante, sostiene nel percorso di trasformazione. E’
infatti un percorso, un lungo viaggio il riconoscimento realistico della persona, ed è un obiettivo
più che una meta.
Per una riorganizzazione efficace sono necessarie quindi risorse personali, famigliari ed
ambientali.
Per quanto riguarda le risorse personali, sicuramente maggiori sono i deficit cognitivi,
minori sono le possibilità che la riorganizzazione sia completa ed efficace.
Clinicamente si osserva anche che persone che appartengono ad ambienti culturalmente
molto stimolanti, che vivono in grandi città, se da un lato vengono maggiormente stimolate,
dall’altro subiscono spesso le conseguenze del non poter disattendere ad aspettative personali,
famigliari e a richieste di performance sociali troppo elevate per le loro potenzialità e quindi
permangono in uno stato di frustrazione ed insoddisfazione. Al contrario, in ambienti rurali, con
bassi livelli culturali e maggior facilità nel contatto sociale, se da un lato si rischia maggiormente di
70 Ducharme J.M.: “Errorless” rehabilitation: strategies of proactive intervention for individuals with brain injury and their children. J Head Trauma Rehabil , 2003, 18:88-104.
41
percepire lo stigma del diverso, dall’altro le richieste sono sicuramente inferiori e la persona può
reintegrarsi con più facilità.
Per quanto riguarda le riorganizzazioni famigliari è noto come livelli socioculturali elevati
favoriscono anche la messa in atto di stili di coping più adattivi, e che il livello culturale è tra le
variabili che facilitano la comprensione e l’utilizzo efficace di nozioni specifiche sulla disabilità e
sulla gestione delle relative problematiche.71
Per quanto riguarda l’ambiente, prima di tutto per facilitare la riorganizzazione è necessaria
una cultura della riabilitazione che dal focus sul ripristino di abilità sposti l’attenzione sulla
trasformazione. La riabilitazione è un processo di soluzione di problemi e di educazione nel corso
del quale si porta una persona disabile a raggiungere il maggior livello di autonomia possibile sul
piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, con la minor restrizione possibile delle sue scelte
operative, e nel pieno rispetto del suo quadro di valori e di preferenze personali.
Un caso clinico
D. è una signora di che a 48 anni, rientrando dal lavoro, viene investita da un’auto. Ha 4
figlie (24, 21,21,6 anni) ed un marito. Riporta un grave TCE con danno assonale diffuso e fratture
multiple del volto (GCS iniziale 3, 30 gg. di coma, PTA > di 25 settimane, GOS: Moderata
Disabilità). Il primo anno viene passato in regime di ricovero e DH, tra riabilitazione cognitiva e
motoria, poi a distanza di un anno e mezzo dal trauma effettua 6 mesi di training valutativi e
formativi prima di rientrare al lavoro. Non ha deficit motori e alle valutazioni cognitive di fine
trattamento risulta compromesso l’apprendimento nel lungo termine sia verbale che spaziale,
l’attenzione è nella norma al punto che la signora in seguito riprenderà a guidare, sono presenti
disordini a carico delle funzioni esecutive: mostra inerzia, deficit nella pianificazione e
programmazione, nel problem-solving, disordini nella consapevolezza che è solo emergente.
Rientra nell’azienda di cui è dipendente dopo 2 anni dall’incidente, e cambia completamente
mansione, da responsabile dell’ufficio relazioni ad addetta all'inserimento dati. In casa ha perso
completamente il suo ruolo, da mamma attiva e presente è ora una donna che va stimolata a fare le
faccende e che comunque esegue in autonomia solo compiti semplici (carica la lavatrice, stira senza
precisione, non riesce a preparare un intero pasto né programmare o fare la spesa). Dal punto di
vista relazionale non riesce ad occuparsi delle figlie, riconosce quello che dovrebbe fare una brava
mamma, sa che prima lo faceva ma ora non lo fa, e pur rendendosene conto a parole, non si
riscontra il lei uno stato d’animo coerente ed adeguato (anosodiaforia) per trovare la spinta per
farlo.
71 Zanobini M., Manetti M., Usai M.C.: La famiglia di fronte alla disabilità. Ed. Erikson, Trento, 2002.
42
D. verbalizza di sentirsi molto amata e rispettata dalla sua famiglia e che questo le basta, di
essere contenta perché Dio l’ha lasciata in vita e non riconosce problemi particolari né in sé né nei
suoi famigliari.
La famiglia in apparenza si è riorganizzata, il marito si fa carico da solo di tutta la gestione
della figlia piccola e della moglie e della responsabilità in generale, le 3 figlie maggiori si sono
divise le faccende di casa e, dopo il primo anno di pausa, 2 di esse proseguono con successo l’iter
universitario e una ha trovato un lavoro fisso. La figlia maggiore si è mantenuta e ulteriormente
creata molti impegni che la tengono per la maggior parte del tempo fuori casa (lavoro, fidanzato,
sport a livello agonistico). La coppia non ha mai più avuto rapporti sessuali e il marito dichiara di
avere ora una quinta figlia.
A 3 anni dal trauma, la figlia piccola mostra molta aggressività nei confronti della mamma e
ha spesso comportamenti di chiusura e tristezza profonda. La figlia maggiore è affetta da disturbo
dell'adattamento con ansia e umore depresso. Il marito, che nel frattempo ha chiesto il
pensionamento, è anch’egli depresso con una forte componente ansiosa, utilizza psicofarmaci dal
momento dell’incidente per dormire, sono presenti anche in lui gli estremi per la diagnosi sia di
depressione che di disturbo dell’adattamento. Le altre 2 figlie hanno punteggi oltre la media in
questionari per l’ansia e la depressione, ma non ci sono gli elementi per una diagnosi clinica.
La famiglia vive da sempre in un piccolo paese, dove il cattolicesimo è molto forte. Il marito
non riesce nemmeno a pensare, non solo di separarsi, ma nemmeno di prendersi alcuni minimi spazi
per sé. Si sente schiacciato dalle responsabilità e dalla solitudine. Ha un buon giro amicale, ma non
si sente compreso: “la vedono camminare e sorridere e mi dicono che sta bene, che sono stato bravo
e che devo sentirmi felice, io temo di impazzire dal dolore, ho paura di fare una follia e…scappare”.
Questo è un caso in cui in apparenza potrebbe sembrare che ci sia stata una buona
organizzazione, la famiglia ha affrontato il problema ed ha riorganizzato una vita dove le figlie
possono proseguire il proprio percorso. In realtà il dolore del lutto è ancora così presente da
colorare di angoscia e fatica ogni momento della giornata. I vissuti di ciascun membro, pur con le
differenze dovute ai ruoli diversi, alle diverse responsabilità e prospettive di vita, sono ancora di
crisi profonda.
3.3 La ricaduta degli esiti nella vita di tutti i giorni
L’outcome delle persone
Gli studi sull’outcome si sono per lo più occupati di verificare gli esiti dei traumi a vari
livelli: lavoro, inserimento sociale, mutamenti dell'assetto famigliare, insorgenza di disordini
43
psicofisici.72 Come ci si può aspettare in generale, tra le persone che lavorano e quelle che non
lavorano, sia a distanza di 2 che 5 e 10 anni dal trauma, c’è una differenza significativa perché le
prime hanno performance migliori sia sul piano cognitivo che emotivo che relazionale. A distanza
di 5 anni dal trauma si è trovata una presenza significativamente maggiore di depressione nelle
persone disoccupate, rispetto a quelle occupate, differenza che non appare a 2 o 10 anni dal trauma,
mentre l’ansia è significativamente maggiore a distanza di 10 anni dal trauma nei disoccupati.
Come se ci fosse un periodo post-riabilitazione particolarmente buio, dove mancano le risposte
sociali e dove le persone soffrono e si chiudono, sofferenza che non si placa e si trasforma poi in
ansia generalizzata. Inoltre le persone occupate soffrono in maniera minore di ansia e nelle loro
famiglie ci sono meno separazioni e cambiamenti simili.
Gli studi che prendono in considerazione la qualità della vita percepita73 evidenziano invece
che si sentono maggiormente soddisfatti quelli che hanno un valido inserimento sociale e quelli che
sono autonomi negli spostamenti. La condizione di lavoratore o meno non è un fattore
discriminante significativo tra i soddisfatti e gli insoddisfatti. Ma il bisogno di integrazione sociale,
di svago e di sostegno morale è forte e percepito come il primo in assoluto da persone e famigliari
nella fase degli esiti. Tutti gli studi concordano sulla necessità di percorsi di reinserimento
lavorativo e sociale.
Un primo modello viene definito Centre Based e consta di programmi di valutazione,
formazione mirata ed individualizzata al reinserimento lavorativo e alla promozione della vita in
autonomia. Modello basato sul centro, perché queste azioni vengono svolte in centri formativi
specializzati, con personale preparato e professionale. Il secondo tipo di approccio è definito
Community Based, perché al contrario del primo non utilizza centri specializzati, ma una rete di
servizi ed operatori per fare formazione e apprendimento direttamente sul campo. Esperienze di
questo tipo prevedono che al termine della valutazione e del trattamento cognitivo specifico, la
persona venga inserita direttamente al lavoro sulla base delle informazioni neuropsicologiche e
venga supportata sul luogo di lavoro, attraverso una figura chiamata Job Coach. Sin dagli anni ‘80
72 Wehman P., Kregel J., Sherron P., et al.: Critical factors associated with the successful supported employment placement of person with traumatic brain injury. Brain injury, 1993, 7:31-44. Sander A.M., Kreutzer J., Fernandez C.C.: Neurobehavioural functioning, substance abuse, and employment after brain injury: implications for vocational rehabilitation. J Head Trauma Rehabil, 1997, 12:28-41. Franulic A, Carbonell CG, Pinto P, Sepulveda I.: Psychosocial adjustment and employment outcome 2,5 and 10 years after TBI. Brain Injury, 2004, 18:119-129.
73 Arosio N., Binder C., Bottà M., et al. (a cura di): Conferenza Nazionale di Consenso sulle modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranio-encefalico in fase post-acuta. Riprogrammare la vita: dai bisogni delle persone e dei familiari alle risposte della rete dei servizi. Verona, 10-11 giugno 2005.
Di Marco F., Cantagallo A., Perini P., et al.: Pazienti con grave trauma cranio-encefalico: come valutare l’outcome sociale. Fisioterapista, 2003, 1:17-24.
44
gli operatori del settore hanno dimostrato che programmi specifici di riqualificazione professionale
aumentano la percentuale dei lavoratori fino al 75%.74
In Italia le realtà che si occupano del reinserimento sociale e lavorativo di persone con TCE
sono veramente poche, in quasi tutte le realtà locali c’è la tendenza ad occuparsi genericamente
dell’inserimento lavorativo dei disabili, del loro tempo libero, dei progetti per le autonomie di vita
quotidiana. Le poche realtà che operano in maniera dedicata, occupandosi di questa popolazione
così diversa da altri tipi di handicap, sono rare ed inoltre molto difficile è censirle, anche perché
talvolta sono stati fatti progetti sperimentali che poi sono stati interrotti per mancanza di fondi.
Inoltre, per ora non esistono criteri di accreditamento, per cui teoricamente ogni ente,
indipendentemente dalle figure professionali e dall’esperienza specifica, può attivare percorsi;
questo comporta gravi rischi, perché la complessità di questa patologia, delle reazioni della persona
e dei famigliari, è così importante da necessitare un lavoro in rete di più servizi con figure dalle
professionalità differenti. E’ necessario che ad impostare ed attuare questi programmi ci sia la
consulenza del neuropsicologo, ed eventualmente del fisiatra o del fisioterapista, dello psicologo
clinico, dell’assistente sociale e dell’educatore, del formatore o del job coach. A tal proposito,
appare al momento assai scarsa la conoscenza delle problematiche specifiche che seguono un TCE,
gli operatori competenti sono pochi, è necessaria una maggiore formazione. In Italia sono stati
pubblicati anche pochi testi divulgativi specifici e pochi manuali professionali.
L’efficacia delle azioni specifiche di reinserimento sociale e lavorativo nel territorio
ferrarese è dimostrata dal fatto che le persone, con esiti di gravi traumi cranio-encefalici, che
accedono ai servizi di valutazione, formazione ed inserimento lavorativo vengono inserite al lavoro
in una percentuale che va dal 41% (1998) al 57% (2005).75
Concludendo, vi è la necessità nella fase degli esiti di percorsi di sostegno al reinserimento
sociale e lavorativo specifici per persone con TCE, servono risorse per poter fare progetti
individualizzati che rispondano ai reali bisogni delle persone.
L’outcome dei famigliari
La rinuncia alla propria vita, il ritiro sociale, la perdita quasi completa dei propri interessi
personali e degli amici è il primo fattore di cambiamento permanente che gli studi hanno
evidenziato nei famigliari, pur con delle differenza tra i caregiver primari, secondari e terziari.
Generalmente il nucleo stretto: persona disabile e caregiver primario, talvolta il secondario se già
74 Wehman P., Kregel J., Sherron P., et al.: Critical factors associated with the successful supported employment placement of person with traumatic brain injury. Brain injury, 1993, 7:31-44.
75 Binder C., Perini P.: Dati relativi al settore per l’inserimento lavorativo di persone con grave cerebrolesione acquisita. Città del Ragazzo, Ferrara, 2005. www.cdr.it , www.cittadelragazzo.it
45
fuori dal circuito del mondo del lavoro, vivono quasi esclusivamente nell’ambiente domestico che si
trasforma in luogo “chiuso” ricco di solitudine e di isolamento.
Alcune variabili che influenzano l’outcome sono la gravità del trauma, le dinamiche pre-
morbose famigliari ed il ruolo del famigliare, cioè se è caregiver primario (madre, moglie),
secondario (padre), terziario (fratelli, sorelle). Il carico dei famigliari è stato, molto tempo fa,
definito in termini di “burden oggettivo” e “burden soggettivo” e sono stati stabiliti i relativi
indicatori.76
INDICATORI BURDEN OGGETTIVO INDICATORI BURDEN SOGGETTIVO
Ore di lavoro perse Stress
Rinuncia alla propria carriera Depressione
Tempo erogato per l’assistenza Frustrazione
Costo economico del trauma Vergogna
Spese in procedimenti civili e penali Senso di colpa
Tempo per se stessi Rabbia
Perdita della privacy Insoddisfazione famigliare
Diminuzione di energia Fatica fisica- inerzia
Mancanza di sonno Disturbi dell’umore
Mancanza di appetito Isolamento
Cambiamento di alloggio Riduzione dell’adattamento sociale
Malattia Impossibilità di pianificazione del futuro
Consumo di farmaci
Consumo di alcool o altre sostanza
Questa classificazione ci pare quanto mai attuale perché descrive tutti gli aspetti che
vengono contemporaneamente coinvolti in queste famiglie.
I caregiver primari sono i più esposti alle conseguenze psicosociali, ma anche tra i secondari
e terziari si riscontrano segni di notevole sofferenza.
Tra i caregiver primari si riscontra una alta incidenza di disordini psicosomatici, un aumento
nel consumo di farmaci e altre sostanze, una elevata incidenza di depressione, ansia, ritiro sociale ed
isolamento. Come si può notare, queste problematiche si sovrappongono a quelle della persona
traumatizzata, come se il tipo di stress psicologico fosse lo stesso.
76 Hoening J., Hamilton M.W.: A new venture in administrative psychiatry. Am J Psychiatry, 1966, 123:270-279.
46
La letteratura dimostra che il disagio è proporzionale alla durata del caregiving. Se poi il
caregiver primario è la moglie, le percentuali di depressione aumentano drasticamente (73%) e il
55% mostra sintomatologia ansiosa. Per le coppie, l’impossibilità ad un rapporto alla pari, la
dipendenza fisica e psicologica, il cambiamento della sessualità rendono il rapporto fonte di rabbia
e frustrazione. 77
I caregiver secondari, tendono invece a reagire con rabbia e frustrazione piuttosto che con
depressione e ansia.
I caregiver terziari, sono risorsa: come nella relazione fraterna, dove il disabile può
confrontarsi e , tramite loro, uscire ed avere un inserimento sociale, così anche nella relazione con i
genitori, li possono stimolare a “andare oltre”, a vivere, a non chiudersi, a progettare un futuro
migliore per tutti i figli. Sono anche disturbo e sofferenza, fanno sentire in colpa i genitori perché
“li hanno abbandonati a loro stessi, dovendosi occupare del disabile”, loro stessi si sentono
trascurati e sventurati, sono gelosi delle attenzioni al fratello disabile, si sentono in colpa perché
sono sani.
Se c’è carenza di servizi per le persone nella fase degli esiti, a maggior ragione c’è in Italia
una realtà poco preparata ad accogliere e sostenere queste persone. Mentre per una mamma ed un
papà che hanno un figlio con disabilità congenita, il percorso è in un certo senso tracciato, le rete
dei servizi che se ne occupano è chiara (neuropsichiatria infantile, scuola, servizio sociale, area
handicap quando sarà adulto, servizi per l’inserimento lavorativo), la strada per chi diviene disabile
non è chiara né tracciata. Dopo la riabilitazione, spesso c’è il caos, nessuno sa dire a chi rivolgersi e
dove.
L’esperienza delle Associazioni di famigliari, ormai numerose in Italia ed unite in un
Coordinamento Nazionale, fa capire l’entità del problema ed il forte bisogno degli stessi di uscire
dall’isolamento per sostenersi reciprocamente, scambiandosi informazioni ed attivando progetti di
auto-aiuto, percorsi di reinserimento sociale o lavorativo, e progetti di prevenzione e divulgazione
del fenomeno “dell’epidemia silente” (www.associazionitraumi.it).
Concludendo, è bene che gli operatori tengano presente che, anche nella fase degli esiti, è un
intero nucleo da prendere in carico, quindi spesso alcune figure professionali devono lavorare in
sinergia e stretto contatto, per esempio lo psicologo con i famigliari e l’educatore con la persona,
condividendo e chiarendo obiettivi e strumenti.
3.4 Un nodo aperto: il dopo di noi
77 Linn R.T., Allen K., Willer B.S.: Affective symptoms in the chronic stage of traumatic brain injury : a study of married couples. Brain Injury, 1994, 8:135-147.
47
La creazione di strutture residenziali, case famiglia, appartamenti con supervisione, che
hanno lo scopo di promuovere tutta l’autonomia possibile e di creare quel luogo dove, in assenza o
in alternativa ai genitori, i figli risiederanno, è un obiettivo da perseguire fortemente nei prossimi
anni. Se dagli anni ‘80 attraverso sempre migliori tecniche di rianimazione e riabilitazione sono
rimasti in vita, ma gravemente disabili tanti giovani, tra non molto questi, che fino ad ora vivono
per la maggior parte con i genitori, saranno soli ed avranno bisogno di qualcuno che li accudisca,
protegga e stimoli a mantenere intatte le capacità acquisite. Il pensiero di “chi si occuperà di lui/lei
quando io non sarò più in grado di farlo?” è una immensa angoscia quotidiana per tutti i genitori. Le
poche strutture esistenti in Italia non sono generalmente adatte, sono strutture che accolgono
persone con altri tipi di disabilità gravi, o anziani, con organizzazioni interne e competenze idonee
per altre patologie.
Le poche realtà che hanno strutture per la residenzialità specifiche per persone con grave
TCE si contano sulle dita di una mano e sono in prevalenza localizzate nel Nord Italia.
CONCLUSIONI
Le problematiche che insorgono a seguito di un grave trauma cranico sono complesse e su
livelli differenti. Sono di tipo fisico, cognitivo ed emotivo, ma anche personale, famigliare e sociale.
L’approccio di intervento è necessariamente di rete, inteso nel senso di équipe multi-professionali
che dialogano con un linguaggio comune o condiviso.
Un esempio è la consapevolezza. Essa è per eccellenza, come ben emerso nei paragrafi
precedenti, il territorio di confine, o meglio di unione, tra la psicologia clinica e la neuropsicologia
clinica. Alle Autrici pare che parlare di consapevolezza progettuale o di elaborazione del lutto della
disabilità sia utilizzare due terminologie, che nascono da approcci teorici differenti, ma descrivono
lo stesso stato che è necessariamente sia cognitivo che emotivo che ambientale.
Ci auguriamo che gli operatori del settore accettino la sfida di questa complessità e
instaurino sempre migliori e più efficaci dialoghi inter-professionali, sicuramente dispendiosi in
termini di tempo ed energie, ma necessari per cogliere tutti gli aspetti implicati in queste
drammatiche vicende personali e famigliari.
Oltre agli operatori sanitari e sociali, è altresì auspicabile che questo dialogo veda sempre
più coinvolti i professionisti del diritto e della giustizia, alla cui sensibilità e competenza molto
spesso sono affidati aspetti assolutamente centrali per le sorti di intere famiglie, e perfino di
generazioni future.
48
49
Appendice A
CLASSIFICAZIONE ICIDH E ICF
Nel primo documento, dal titolo International Classification of Impairments, Disabilities and
Handicaps (ICIDH, 1980) veniva fatta l'importante distinzione fra:
"menomazione" (impairment), intesa come "perdita o anormalità a carico di una
struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica";
"disabilità " (disability) come "qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a
menomazione) della capacità di compiere un'attività nel modo o nell'ampiezza considerati
normali per un essere umano";
"handicap" come la "condizione di svantaggio conseguente a una menomazione o a
una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l'adempimento del ruolo normale per
tale soggetto in relazione all'età, al sesso e ai fattori socioculturali".
L'aspetto significativo del primo documento pubblicato dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità è stato quello di associare lo stato di un individuo non solo a funzioni e strutture universali
del corpo umano, ma anche ad attività specifiche di un unico individuo o di partecipazione nella
vita sociale di quella persona.
Il secondo documento ha per titolo International Classification of Functioning, Disability and
Health (ICF, 2000). Il titolo è indicativo di un cambiamento sostanziale, poiché sottolinea
l'unificazione delle forme di descrizione dello stato di una persona. Non ci si riferisce più a un
disturbo, strutturale o funzionale, senza prima rapportarlo a uno stato globale di "salute". Il nuovo
documento sostituisce i vecchi termini "impairment", "disability" e "handicap", che indicano una
mancanza per raggiungere il pieno "funzionamento", con una differente terminologia.
Funzioni corporee: funzioni mentali; funzioni sensoriali e dolore; funzioni della voce
e dell'eloquio; funzioni del sistema cardiovascolare, ematologico, immunologico e respiratorio;
funzioni del sistema digestivo, metabolico ed endocrino; funzioni genito-urinarie e riproduttive;
funzioni neuromuscolo-scheletriche e collegate al movimento; funzioni cutanee e delle strutture
associate.
Strutture corporee: strutture del sistema nervoso; occhio, orecchio e strutture
collegate; strutture collegate alla voce e all'eloquio; strutture dei sistemi cardiovascolare,
immunologico e respiratorio; strutture collegate al sistema digestivo, metabolico ed endocrino;
strutture collegate al sistema genito-urinario e riproduttivo; strutture collegate al movimento;
cute e strutture collegate.
50
Attività e partecipazione: apprendimento e applicazione della conoscenza; compiti e
richieste di carattere generale; comunicazione; mobilità; cura della propria persona; vita
domestica; interazioni e relazioni interpersonali; principali aree della vita; vita di comunità,
sociale e civica.
Fattori ambientali: prodotti e tecnologia; ambiente naturale e cambiamenti apportati
dall'uomo all'ambiente; supporto e relazioni; atteggiamenti; servizi, sistemi e politiche.
Quindi le "funzioni corporee" sono le funzioni fisiologiche dei “strutture corporee”, incluse le
funzioni psicologiche. Le "strutture corporee" sono parti anatomiche del corpo come organi, arti e
loro componenti. "Attività" è l'esecuzione di un compito o di un'abilità da parte di un individuo.
"Partecipazione" è il coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita. I "fattori ambientali"
sono caratteristiche del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti, che possono avere impatto sulle
funzioni corporee, sulle abilità e sulla partecipazione di un individuo in un determinato contesto.
Appendice B
Livelli di Funzionamento Cognitivo (Levels of Cognitive Functioning, LCF)
LCF 1 - NESSUNA RISPOSTA
Il paziente è completamente non-responsivo a qualsiasi stimolo.• Il paziente non apre gli occhi• Non esegue alcun comando• Non pronuncia alcuna parola riconoscibile• Non dimostra movimenti intenzionali• Non riesce a sostenere movimenti oculari di un arco di 45° in nessuna direzioneTest somministrabili
• CNC (Coma/Near Coma Scale)78
LCF 2 - RISPOSTA GENERALIZZATA• Paziente vigile ma senza alcuna attenzione spontanea per l’ambiente.• Il paziente reagisce, in modo incostante e non finalizzato , agli stimoli, in modo non specifico.• Le risposte sono di entità limitata, e spesso sono uguali, indipendentemente dallo stimolo
presentato.• Le risposte possono essere modificazioni di parametri fisiologici (frequenza del respiro ad es.),
movimenti grossolani o vocalizzazioni.• Spesso la risposta è ritardata rispetto allo stimolo.• La risposta più precoce a comparire è quella al dolore.Test somministrabili
• CNC (Coma/Near Coma Scale)• Protocollo Whyte79
78 Rappaport M., Dougherty A.M., Kelting D.L.: Evaluation of coma and vegetative states. Arch Phys Med Rehabil, 1992, 73: 628-634.79 Whyte J.: Valutazioni quantitative dei pazienti in stato vegetativo o minimamente responsivi. Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa, 2003, 17:4.
51
LCF 3 - RISPOSTA LOCALIZZATA• Il paziente reagisce agli stimoli in modo specifico ma non costante. Le risposte sono
direttamente correlate al tipo di stimolo presentato, come il girare il capo verso un suono o fissare un oggetto presentato nel campo visivo.
• Il paziente può ritirare una estremità e vocalizzare quando gli viene somministrato uno stimolo doloroso.
• Può eseguire ordini semplici in modo non costante, e ritardato, come chiudere gli occhi, stringere la mano, o stendere un arto. Quando non gli vengono portati stimoli, può restare fermo e tranquillo.
• Può mostrare una vaga consapevolezza di sé e del proprio corpo, manifestando risposte a situazioni di disagio, (come il tirare il sondino naso-gastrico o il catetere vescicale).
• Può mostrare differenza nelle risposte, rispondendo ad alcune persone (specie famigliari ed amici) ma non ad altre.
Obiettivi• Incrementare la partecipazione all’ambiente• Rendere costante la risposta
Test Somministrabili• CNC (Coma/Near Coma Scale)• Protocollo Whyte
Modalità • Azione sul setting del paziente• Riduzione degli stimoli nell’ambiente • Corretto posizionamento del paziente (precoce verticalizzazione)• Valutazione e correzione di aspetti metabolici nutrizionali • Impostazione corretta farmacoterapia• Ristabilire ritmo sonno – veglia• Rimozione elementi confondenti per favorire :
- la ripresa di coscienza del paziente- Il benessere del paziente
LCF 4 - CONFUSO-AGITATO• Il paziente è in stato di iperattività, con grave difficoltà ad analizzare le informazioni
provenienti dall’ambiente.• E’ distaccato da quanto gli accade intorno e reagisce principalmente al suo stato di
confusione interiore.• Il comportamento in rapporto all’ambiente è spesso bizzarro e non finalizzato.• Può piangere, o gridare in modo sproporzionato agli stimoli, anche quando questi vengono
rimossi, può mostrarsi aggressivo, può cercare di togliersi i mezzi di contenimento, o le sonde e cateteri, o può cercare di scendere dal letto.
• Non riesce a distinguere le persone e le cose, e non è in grado di cooperare nel trattamento.• La verbalizzazione è spesso incoerente e inappropriata alla situazione ambientale.• Ci può essere confabulazione; essa può avere carattere di aggressività verbale o ostilità.• La capacità di prestare attenzione all’ambiente è molto limitata, e la attenzione selettiva è
spesso inesistente.• Non essendo consapevole di quanto gli accade, il paziente non ha capacità di memoria a
breve termine.• Non è in grado di effettuare attività di cura della persona, se non con molto aiuto.
52
• Se non ha menomazioni fisiche importanti, può effettuare attività motorie automatiche anche complesse , come sedersi e camminare, ma non necessariamente in modo intenzionale o su richiesta.
Obiettivi• Controllo degli aspetti comportamentali (stato di agitazione) • Orientamento temporale (mattino, pomeriggio, giorno, notte)• Orientamento contestuale (ospedale, piano, camera)
Test Somministrabili• ABS (Agitated Behaviour Scale):80 due osservazioni/die - notte e giorno - per almeno due
volte alla settimana Modalità
• Intervento farmacologico • Adeguamento ambientale• Controllo stimolazioni emotive (visive, ambientali)• Tecniche di base per il condizionamento del comportamento• Analisi delle motivazioni dei comportamenti incongrui per la definizione di fattori
scatenanti – correzione fattore scatenante
LCF 5 - CONFUSO- INAPPROPRIATO• Il paziente è vigile, attento e in grado di rispondere a comandi semplici in modo abbastanza
costante.• Tuttavia, se i comandi sono complessi, o non ci sono situazioni esterne facilitanti, le risposte
sono non intenzionali, casuali, o al più, frammentarie rispetto allo scopo.• Può presentare comportamento di agitazione, ma non dovuto a fattori interni come nel
livello IV, ma piuttosto per effetto di stimoli esterni e usualmente in modo sproporzionato allo stimolo.
• Ha una certa capacità di attenzione verso l’ambiente, è altamente distraibile ed è incapace di focalizzare l’attenzione verso uno specifico compito, se non è continuamente facilitato.
• In una situazione facilitante e strutturata, può essere in grado di conversare in modo “automatico” (frasi di convenienza), per brevi periodi.
• La verbalizzazione è spesso inappropriata, può confabulare in riposta a quanto gli accade.• La memoria è gravemente compromessa, e fa confusione fra passato e presente.• Manca l’iniziativa per effettuare attività finalizzate (ad es. cura di se), e spesso è incapace di
usare correttamente gli oggetti se non è aiutato da qualcuno.• Può essere in grado di effettuare compiti appresi in precedenza se posto in situazione
adeguata, ma non è in grado di apprendere nuove informazioni.• Risponde meglio a stimoli che riguardano il proprio corpo, il proprio benessere e comfort
fisico e, spesso, risponde meglio con i famigliari.• Può effettuare attività di cura di se con assistenza e può alimentarsi con supervisione.• La gestione in reparto può essere difficoltosa, se il paziente è in gradi di spostarsi, perché
può vagare per il reparto, oppure mostrare l’intenzione di “andare a casa”, senza comprenderne i rischi o le difficoltà.
Obiettivi• Controllo degli aspetti comportamentali (stato di agitazione) • Orientamento temporale
• contestualizzazione ambientale del paziente• riorganizzazione temporale della giornata
• Funzione attenzionale 80 Corrigan J.D.: Development of a scale for assessment of agitation following traumatic brain injury. J Clin Exp
Neuropsych, 1989, 11: 261-277.
53
• incremento frazione quantitativa • incremento frazione qualitativa (selezione)
• Funzione mnesica • incremento memoria per eventi routinari • incremento memoria prospettica per eventi routinari
• Consapevolezza di malattia• Iniziare trattamento consapevolezza di malattia
• Intervento sulla comunicazione • controllo produzione e decodifica comunicazione verbale e non verbale• modulazione tempi della comunicazione (timing-alternanza)• modulazione di inerzia, disinibizione, confabulazione
Test Somministrabili• ABS (Agitated Behaviour Scale) due osservazioni/die – notte e giorno- per almeno due volte
alla settimana • GOAT (Galveston Orientation Amnesia Test)81
Modalità • Intervento farmacologico • Adeguamento ambientale• Correzione interferenze ambientali • Controllo stimolazioni emotive (visive, ambientali)• Tecniche di adeguamento comportamentali• Analisi delle motivazioni dei comportamenti incongrui per la definizione di fattori
scatenanti – correzione fattore scatenante• Elaborazione di materiale verbale e non verbale • Controllo stimoli esterni• Planning delle attività della giornata• Ripetizione attività routinarie della giornata (colazione, pranzo, cena etc.)• Caratterizzare gli ambienti frequentati dal paziente all’interno dell’ospedale• Cure ricorsive - ADL primarie• Esercizi specifici per il trattamento dei disturbi della comunicazione (tecniche di
facilitazione all’ascolto, inibizione delle confabulazioni e dell’eloquio tangenziale, stimolazione della produzione per la riduzione dell’inerzia)
• Esercizi specifici per il trattamento delle funzioni neuropsicologiche specifiche (attenzione e memoria)
• Modulazione tempi di attività in funzione delle capacità del paziente
LCF 6 - CONFUSO-APPROPRIATO• Il paziente mostra un comportamento finalizzato , ma necessita ancora di stimoli e
indicazioni esterne per indirizzarlo correttamente.• La risposta al disagio è appropriata, e può essere in grado di sopportare stimoli fastidiosi (ad
es. un sondino naso -gastrico, se gli si spiega il perché).• Esegue ordini semplici e segue le indicazioni, e mostra di poter effettuare certi compiti da
solo, una volta che si è esercitato (ad esempio, attività di cura di se).• Necessita comunque di supervisione nelle attività che gli erano abituali; necessita di molto
aiuto nelle attività nuove (che non aveva mai svolto prima), e non è poi capace di svolgerle da solo.
• Le risposte possono essere scorrette a causa di problemi di memoria, ma sono adeguate alla situazione.
81 Levin H. S., O'Donnell V.M., Grossmann R.G.: The Galveston Orientation and Amnesia Test. J Nerv Ment Dis, 1979, 176: 675-684.
54
• Possono essere ritardate o immediate, e mostra una diminuita capacità di analizzare la informazione, con incapacità di anticipare o prevedere gli eventi.
• La memoria per gli avvenimenti del passato è migliore che quelle per gli eventi recenti (accaduti dopo il trauma).
• Il paziente può mostrare una iniziale consapevolezza di situazione, e si può rendere conto che ha difficoltà a rispondere.
• Non tende più a vagare senza meta, ed ha un parziale orientamento nello spazio e nel tempo.• La attenzione selettiva al compito può essere compromessa, specie in compiti di difficili o in
situazioni non “facilitanti”, ma riesce a effettuare correttamente normali attività di cura di se.
• Può mostrare di riconoscere i componenti del team, e ha una miglior consapevolezza di se, dei suoi bisogni elementari ed è più adeguato nei rapporti con i familiari.
Obiettivi• Controllo degli aspetti comportamentali residui
• episodi di irritabilità, scarsa tolleranza alla frustrazione, stato di inerzia, scarsa adeguatezza
• Orientamento spaziale e temporale • Completo e rapido seppure con ausili
• Funzione attenzionale • Buona attenzione sostenuta e selettiva in compiti routinari negli aspetti di
accuratezza e velocità• Funzione mnesica
• consolidamento memoria per eventi routinari • Incremento memoria prospettica per eventi non routinari
• Pianificazione• Pianificazione autonoma delle attività routinarie• Iniziare la pianificazione delle attività non routinarie
• Consapevolezza• Iniziare trattamento della consapevolezza dichiarativa
• Intervento sulla comunicazione • Costante controllo dei tempi della comunicazione in vari contesti (timing-alternanza)• Risoluzione di inerzia, disinibizione, confabulazione
Test Somministrabili• FIM • GOAT • Scale di consapevolezza (emergente, dichiarativa e progettuale, secondo il modello di
Crosson et al., 1989)• NeuroPsychiatric Inventory (NPI)82
• Se durata >4 sett. proporre protocollo di valutazione neuropsicologica di minima (attenzione e memoria)
Modalità• Facilitazione o stimolazione alla descrizione delle difficoltà incontrate nella esecuzione delle
ADL primarie ed alla individuazione della propria alterazione funzionale • Intervento farmacologico • Tecniche di base per il condizionamento del comportamento• Esercizi di riabilitazione neuropsicologica specifici per attenzione e memoria
LCF 7 - AUTOMATICO-APPROPRIATO
82 Binetti G., Mega M., Magni E. et al.: Behavioral disorders in Alzheimer disease:a transcultural perspective. Arch Neurol, 1998, 55:539-544 (versione italiana).
55
• Il paziente è adeguato e orientato nello spazio e nel tempo.• Svolge le sue attività di vita quotidiana automaticamente.• Non presenta confusione, e ricorda gli eventi delle ultime 24 ore: l’amnesia postraumatica è
terminata.• Residuano disordini delle funzioni attentive, mnesiche e d esecutive• Si mostra via via più consapevole della sua situazione, dei suoi problemi e necessità fisiche,
dei suoi bisogni, della presenza dei famigliari delle altre persone presenti intorno a lui, così come dell’ambiente in generale.
• Ha una consapevolezza superficiale della sua situazione generale, ma gli manca ancora la capacità di analizzarla nella sue conseguenze, ha scarsa capacità critica e di giudizio, e non è in grado di fare programmi realistici per il futuro.
• Mostra di poter applicare nuove abilità , ma ancora con difficoltà ed in modo parziale: necessita almeno di una supervisione minima per difficoltà di apprendimento e per motivi di sicurezza.
• Buona comunicazione a livello concreto, parziale a livello astratto; sono presenti disturbi della pragmatica (per es. eloquio tangenziale).
• E’ autonomo nelle attività di cura di sé, può necessitare di supervisione per ragioni di sicurezza nelle ADL complesse.
• In un ambiente strutturato facilitante, può essere in grado di iniziare da solo certe attività pratiche, o attività ricreative, o sociali per cui può mostrare interesse.
Obiettivi• Controllo delle disfunzioni affettive e comportamentali residue• Funzioni attentive
• Buona attenzione sostenuta e selettiva in compiti non routinari negli aspetti di accuratezza e velocità
• Incrementare l’ attenzione divisa• Funzioni mnesiche
• consolidamento memoria per eventi non routinari • Incremento della capacità di apprendimento
• Funzioni Esecutive• Incrementare la pianificazione delle attività non routinarie
• Consapevolezza• Iniziare trattamento della consapevolezza dichiarativa
• Comunicazione • Iniziare trattamento sulla pragmatica della comunicazione• Iniziare trattamento della comunicazione astratta
Test Somministrabili• FIM; FAM (• Scale di consapevolezza (emergente, dichiarativa e progettuale secondo il modello di
Crosson)83
• NeuroPsychiatric Inventory (NPI)84 • Valutazione neuropsicologica dettagliata ed individualizzata
Modalità • Facilitazione e stimolazione alla previsione delle difficoltà incontrabili nella esecuzione
delle ADL secondarie. • Intervento farmacologico
83 Crosson B., Poeschel Barco P., Velozo C.A., et al.: Awareness and compensation in postacute head injury rehabilitation. J Head Trauma Rehabil, 1989, 4: 46-54.84 Cummings J.L., Mega M., Gray K. Et al.: The Neuropsychiatric Inventory: comprehensive assessment of psychopathology in dementia. Neurology, 1994, 44:2308-14.Versione italiana: Binetti G., Mega M., Magni E. et al.: Behavioral disorders in Alzheimer disease: a transcultural perspective. Arch Neurol, 1998, 55:539-544.
56
• Sostegno psicologico• Esercizi di riabilitazione neuropsicologica specifici per le funzioni compromesse
LCF 8 - FINALIZZATO -APPROPRIATO• Il paziente è vigile e orientato ; è in grado di ricordare ed integrare eventi passati e recenti,
ed è consapevole della sua situazione.• Si mostra in grado di applicare nuove conoscenze e abilità apprese, purché siano accettabili
per lui e per il suo stile di vita, e non necessita i supervisione• Nei limiti delle sue eventuali difficoltà fisiche, si mostra indipendente nelle attività
domestiche e sociali.• Può continuare a mostrare una certa diminuzione di capacità , rispetto a prima del trauma,
specie riguardo alla velocità e adeguatezza nell’analizzare le informazioni, nel ragionamento astratto, nella tolleranza allo stress e nella capacità di critica e giudizio in situazione di emergenza o in circostanze non abituali.
• Le sue capacità intellettive, la sua capacità di adattamento emozionale e le abilità sociali possono essere ancora ad un livello inferiore rispetto a prima, ma consentono comunque il reinserimento sociale.
Obiettivi• Controllo delle disfunzioni affettive e comportamentali residue
• Incrementare la cognizione sociale • Funzioni attentive
• Incrementare la velocità di elaborazione delle informazioni• Incrementare l’attenzione divisa
• Funzioni mnesiche • Consolidamento memoria per eventi non routinari • Consolidamento della capacità di apprendimento a lungo termine
• Funzioni Esecutive• Consolidamento della capacità di pianificazione delle attività non routinarie
• Consapevolezza• Incrementare la consapevolezza progettuale
• Comunicazione • Incrementare abilità pragmatica della comunicazione• Incrementare capacità di comunicazione astratta
Test Somministrabili• Come nel livello precedente
Modalita’ • Intervento farmacologico • Sostegno psicologico• Esercizi di riabilitazione neuropsicologica specifici per le funzioni compromesse
Livelli di Funzionamento Cognitivo-Revisionati (Levels of Cognitive Functioning Revised, LCF-R) (al livello LCF 8 precedente vanno sostituiti i seguenti 3 livelli)
LCF 8 - FINALIZZATO –APPROPRIATO: SUPERVISIONE Il paziente è costantemente orientato per persona, spazio e tempo Svolge e completa compiti familiari, indipendentemente, per 1 ora, in ambienti distraenti E’ in grado di ricordare ed integrare alcuni eventi passati e recenti
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Usa ausili mnesici per ricordare le attività da svolgere durante la giornata, liste di cose da fare e registra informazioni importanti per poterle usare successivamente richiedendo supervisione
Inizia e porta avanti le azioni necessarie per completare attività familiari personali, in casa o nella comunità, e attività di svago con supervisione, ed è in grado di modificare i piani quando necessario con assistenza minima
Non richiede assistenza una volta che nuovi compiti o attività vengono appresi E’ consapevole e riconosce le menomazioni e le disabilità quando queste interferiscono con il
completamento dei compiti, ma richiede supervisione per appropriate azioni adattative E’ in grado di pensare alle conseguenze di una decisione o di un’azione con assistenza minima
Sovrastima e/o sottostima le proprie abilità Riconosce i bisogni e i sentimenti degli altri e risponde in modo appropriato con assistenza
minima Toni dell’umore variabile, irritabile, presenta bassa tolleranza alla frustrazione, si arrabbia
facilmente, litigioso, autocentrato, incostantemente necessita di supervisione E’ in grado di riconoscere e ammette comportamenti socialmente inappropriati mentre si
verificano e intraprende azioni correttive con assistenza minimaObiettivi
• Controllo delle disfunzioni affettive e comportamentali residue• Incrementare la cognizione sociale
• Funzioni attentive • Incrementare la capacità di mantenere l’attenzione nelle attività quotidiane per oltre
un’ora• Incrementare l’attenzione divisa
• Funzioni mnesiche • Consolidamento memoria per eventi non routinari • Consolidamento della capacità di apprendimento a lungo termine
• Funzioni Esecutive• Consolidamento della capacità di pianificazione delle attività non routinarie
• Consapevolezza• Incrementare la consapevolezza progettuale • Ridurre i meccanismi di negazione psicologica
• Comunicazione • Incrementare abilità pragmatica della comunicazione• Incrementare capacità di comunicazione astratta
Test Somministrabili• Come nel livello precedente
Modalità• Intervento farmacologico • Sostegno psicologico• Esercizi di riabilitazione neuropsicologica specifici per le funzioni compromesse
LCF 9 - FINALIZZATO –APPROPRIATO: SUPERVISIONE SU RICHIESTA Indipendente nell’alternare i compiti che deve svolgere e nel completarli accuratamente per
almeno due ore consecutive Usa ausili mnesici per ricordare le attività da svolgere durante la giornata, liste di cose da fare e
registra informazioni importanti per poterle usare successivamente con assistenza su richiesta Inizia e porta avanti le azioni necessarie per completare attività familiari personali (in casa o
nella comunità e attività di svago) in modo indipendente e attività non familiari personali, con assistenza su richiesta
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E’ consapevole e riconosce le menomazioni e le disabilità e intraprende appropriate azioni adattative ma richiede supervisione per anticipare un problema prima che si verifichi e per intraprendere le azioni necessarie per evitarlo
E’ in grado di pensare alle conseguenze di decisioni o azioni con assistenza su richiesta Valuta accuratamente le proprie abilità ma richiede supervisione per adattarsi alle richieste del
compito Riconosce i bisogni e i sentimenti degli altri in autonomia, e risponde in modo appropriato con
supervisione Può continuare ad essere depresso Può essere facilmente irritabile Può avere bassa tolleranza alle frustrazioni E’ in grado di auto-monitorare l’appropriatezza dei propri comportamenti sociali con
supervisione Obiettivi
• Controllo delle disfunzioni affettive e comportamentali residue• Rinforzare il sé nei nuovi ruoli • Incrementare la cognizione sociale
• Funzioni attentive • Incrementare la capacità di mantenere l’attenzione nelle attività quotidiane per oltre
due ore• Incrementare l’attenzione divisa in compiti multipli
• Funzioni mnesiche • Consolidamento integrazione memoria per eventi non routinari e memoria di eventi
passati • Consolidamento della capacità di apprendimento a lungo termine
• Funzioni Esecutive• Consolidamento della capacità di pianificazione delle attività non routinarie
• Consapevolezza• Incrementare la consapevolezza progettuale in tutti i contesti • Ridurre i meccanismi di negazione psicologica
• Comunicazione • Incrementare abilità pragmatica della comunicazione• Incrementare capacità di comunicazione astratta
Test Somministrabili• Come nel livello precedente
Modalità• Intervento farmacologico • Sostegno psicologico• Esercizi di riabilitazione neuropsicologica specifici per le funzioni compromesse
LCF 10 - FINALIZZATO-APPROPRIATO: INDIPENDENZA CON ADATTAMENTI• E’ in grado di svolgere più compiti contemporaneamente in tutte le situazioni ma può richiedere
pause periodiche che il soggetto sa darsi da solo • E’ in grado di procurarsi, costruirsi e mantenere in modo indipendente i propri ausili per la
memoria • Inizia e porta avanti le azioni necessarie per completare attività familiari e non, in casa o nella
comunità, e attività di svago in modo indipendente, ma può richiedere tempo superiore a quanto sia ragionevole e/o strategie di compenso per completarle
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• Anticipa le conseguenze delle menomazioni e delle disabilità sulla capacità di completare compiti di vita quotidiana e intraprende azioni per evitare i problemi prima che si verifichino, ma può richiedere tempo superiore a quanto sia ragionevole e/o strategie di compenso
• E’ in grado di pensare in modo indipendente alle conseguenze di decisioni o azioni ma può richiedere tempo superiore a quanto sia ragionevole e/o strategie di compenso per selezionare le decisioni o azioni appropriate
• Valuta accuratamente le proprie abilità e si adatta in modo indipendente alle richieste del compito
• Riconosce i bisogni e i sentimenti degli altri e autonomamente risponde in modo appropriato • Possono verificarsi periodici periodi di depressione • Irritabilità e bassa tolleranza alle frustrazioni possono manifestarsi quando indebolito, affaticato
o sotto stress di tipo emozionale • Comportamento sociale appropriato in modo costante Obiettivi
• Controllo delle disfunzioni affettive e comportamentali residue• Rinforzare il sé nei nuovi ruoli • Incrementare la cognizione sociale
• Funzioni attentive, mnesiche, esecutive, comunicative • Rinforzare l’autonomia nel controllare le attività non routinarie
• Consapevolezza• Incrementare la consapevolezza progettuale in tutti i contesti • Ridurre i meccanismi di negazione psicologica
Test Somministrabili• Da creare ad hoc per ogni singolo caso
Modalità • Sostegno psicologico• Supervisione meta-cognitiva su richiesta
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