IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO DELLA … una rotazione antero-inferiore dell’articolazione...

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di Laurea in Fisioterapia Direttore: Chiar.mo Prof. Antonino Surace IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO DELLA SINDROME DEL PIRIFORME Relatore: Prof. A. Surace Correlatore: FT L. Frattini Tesi di laurea di: Platto Nicholas Matricola 633665 Anno Accademico 2003/2004 1

Transcript of IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO DELLA … una rotazione antero-inferiore dell’articolazione...

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea in Fisioterapia

Direttore: Chiar.mo Prof. Antonino Surace

IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO DELLA

SINDROME DEL PIRIFORME

Relatore: Prof. A. Surace

Correlatore: FT L. Frattini

Tesi di laurea

di: Platto Nicholas

Matricola 633665

Anno Accademico 2003/2004

1

“ Considerate la vostra semenza:

fatti non foste per viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza ”

Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI

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IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO DELLA SINDROME DEL PIRIFORME

SOMMARIO SOMMARIO ..............................................................................3 INTRODUZIONE .......................................................................4 1. MATERIALI E METODI.......................................................6 2. PRESUPPOSTI TEORICI: REVISIONE CRITICA DELLA

LETTERATURA...................................................................7 2.1 LA SINDROME DEL PIRIFORME: MITO O REALTA’ ? ................... 7 2.2 “OVERDIAGNOSED” o “UNDERDIAGNOSED”?.............................. 8 2.3 DIBATTITO SCIENTIFICO SUI FATTORI PREDISPONENTI ......... 9 2.4 EZIOPATOGENESI ................................................................................... 11 2.5 ORIGINE DEI SINTOMI .......................................................................... 13 2.6 VALUTAZIONE FUNZIONALE............................................................... 14 2.7 RASSEGNA DELLE MODALITA’ DI TRATTAMENTO .................... 18

3. PROTOCOLLO VALUTATIVO ............................................25 4. PROTOCOLLO RIABILITATIVO .........................................27 5. CASI CLINICI ...................................................................34 6. CONCLUSIONI .................................................................37 BIBLIOGRAFIA .......................................................................40

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INTRODUZIONE

La sindrome del piriforme, anche se raramente riconosciuta,

sembra essere una causa molto più frequente di quanto non si

creda, di dolore gluteo con irradiazione all'arto inferiore (Popelian-

skii, Bobrovnikova,1968). L'origine dei sintomi può essere di tipo

nervoso, conseguente alla compressione del nervo sciatico da par-

te del muscolo divenuto rigido e voluminoso a causa di insulti

meccanici di varia natura; oppure può essere di tipo muscolare

connessa cioè all’attivazione, nel muscolo, di punti trigger. La sin-

tomatologia, tanto bizzarra quanto enigmatica, tende a simulare

altre patologie (spesso molto più gravi), cosicchè troppo frequen-

temente la ricerca clinica viene indirizzata verso strutture ben lon-

tane dall'essere la causa reale del dolore.

Questo chiaramente comporta degli enormi sprechi di risorse

economiche: per indagini diagnostiche inutili e trattamenti tera-

peutici inconcludenti (Parziale e coll.,1996) ed inoltre per il fatto

che talvolta questa sindrome può essere così invalidante da limita-

re o impedire lo svolgimento delle normali attività lavorative con

conseguenti ingenti perdite produttive (Piralla, 1999).

Questo fenomeno, secondo Fishman (1992, 2002) è dovuto al

fatto che, in quasi mezzo secolo dalla "scoperta" della sindrome

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(Yoeman,1928) nonostante i progressi scientifici, non si è stati in

grado di raggiungere una univoca e consensuale definizione della

patologia e quindi neppure un preciso iter diagnostico e terapeuti-

co.

In quest'ottica, il proposito della presente tesi è di definire,

attraverso una revisione degli studi più recenti, la sindrome del pi-

riforme, nei suoi aspetti fisiopatogenetici e soprattutto in quelli

riabilitativi. In particolare si è cercato di elaborare un protocollo

riabilitativo dai tempi e dai costi contenuti, di facile e rapida appli-

cazione, requisiti indispensabili in una realtà sanitaria sempre più

esigente nei risultati, ma sempre più accorta nell’impiego delle

scarse risorse disponibili (Pilotto, Tardivo 2004).

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1. MATERIALI E METODI

La ricerca bibliografica è stata condotta in internet, utiliz-

zando le banche dati scientifiche: Medline , Embase e Cochrane

Library.

In particolare inserendo le parole chiave "piriformis syndro-

me", "low back pain", "sciatica" è stato possibile ottenere 101 arti-

coli.

La ricerca ha tenuto conto dei seguenti criteri di inclusione:

• Articoli o testi pubblicati tra il 1980 e il settembre 2004,

• Articoli o testi in lingua inglese, italiana o francese,

• Revisioni, o revisioni sistematiche provviste di abstract.

Tra gli articoli a disposizione sono stati esclusi quelli di inte-

resse non strettamente riabilitativo; sono state privilegiate le pub-

blicazioni più recenti dei medesimi autori.

Infine alcuni articoli sono stati presi in considerazione, no-

nostante fossero anteriori al 1980, in quanto citati quali fonti bi-

bliografiche in molti scritti, quindi degni di particolare attenzione.

In totale, per questo lavoro, sono stati utilizzati 30 articoli 4

libro di testo.

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2. PRESUPPOSTI TEORICI: REVISIONE CRITICA DELLA LETTERATURA

Nella letteratura scientifica e nella realtà clinica esiste una

notevole confusione riguardo alla sindrome del piriforme: sono in-

fatti numerose le diversità di vedute tra i differenti autori relative

ai principali aspetti del problema. E’ necessario esaminare, alla

luce dei più recenti contributi scientifici, se si è giunti a una mag-

giore chiarezza e ad un’uniformità di vedute in quanto ciò permet-

terebbe migliori risultati diagnostici e riabilitativi.

2.1 LA SINDROME DEL PIRIFORME: MITO O REALTA’ ?

La risposta non è così scontata come si potrebbe immagina-

re. Questo ancora oggi risulta essere infatti un punto controverso.

Dall’interessante studio di Silver e Leadbetter (1998) emerge

infatti che su 65 medici intervistati il 7% ritiene che la sindrome

del piriforme non esista, mentre il 21% non sa rispondere alla

domanda o manifesta perplessità a proposito della questione. Ciò

significa che circa un terzo dei medici intervistati diagnosticherà la

patologia con molti dubbi o non la diagnosticherà affatto.

Questo non è che uno degli aspetti che sono stati (e sono an-

cora) oggetto di dibattito scientifico.

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2.2 “OVERDIAGNOSED” o “UNDERDIAGNOSED”?

Le due posizioni contrapposte sono sostenute, rispettivamen-

te, da Steiner (2003) e Fishman (2003).

Il primo ritiene che, troppo spesso, la diagnosi di sindrome

del piriforme venga utilizzata, nell’ambito medico, in modo scorret-

to, come se fosse un “contenitore” indifferenziato in particolare

per:

1) lesioni riguardanti zone prossime al nervo sciatico, ma

non attribuibili direttamente al muscolo piriforme (neoplasie mali-

gne, tumori neurogeni, infezioni locali, ematomi da traumi diretti

sugli ischio-crurali e sul gluteo);

2) dolore gluteo e sciatalgia cronica in assenza di evidenti

danni nervosi;

3) sintomi a carico dell’arto inferiore non imputabili ad alcu-

na altra patologia.

Fishman (2003), al contrario, citando uno studio da lei stes-

sa svolto nel 2002 rivela la presenza, nella realtà clinica, di un

certo pregiudizio nel diagnosticare la sindrome, naturalmente a

discapito di coloro che ne sono realmente affetti. Essa sostiene di

aver eseguito 3895 diagnosi di sindrome del piriforme in soggetti

che avevano presentato la sintomatologia per un periodo medio di

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6,2 anni e che avevano consultato una media di 6 medici diversi

senza che precedentemente gli venisse mai riscontrata da alcuno

la patologia in esame.

2.3 DIBATTITO SCIENTIFICO SUI FATTORI PREDISPO-NENTI

Beaton e coll.(1937) hanno ipotizzato che la variabilità ana-

tomica di rapporto tra il piriforme e lo sciatico possa costituire, in

alcuni soggetti, un fattore predisponente allo sviluppo della sin-

drome: i risultati dello studio condotto su 1125 cadaveri sono ri-

assunti in figura 1.

Simons e Travell (1983) ritengono che le variazioni 2 e 4, po-

tenzialmente, rappresentino per il nervo sciatico un rischio mag-

giore di danno, in quanto sono maggiori le possibilità di un suo

ghigliottinamento tra i fasci del muscolo o di una sua compressio-

ne contro l’arcata ossea del grande forame ischiatico quando il

muscolo sviluppi una contrattura. Altri autori invece interpretano

la variante 4 come uno stratagemma “naturale” del muscolo per

proteggere la struttura nervosa. Pecina (1979) al contrario sostiene

che lo sciatico è maggiormente a rischio di compressione quando

attraversa il ventre muscolare. E’ da menzionare inoltre lo studio

di Petersilge e coll. citato da Rodrigue e Hardy (2001) nel quale

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viene contestato il ruolo delle varianti anatomiche nella patogenesi

della sindrome in quanto, nel campione analizzato, non è stata os-

servata alcuna differenza anatomica significativa tra soggetti sin-

tomatici e asintomatici tale da giustificare una qualsivoglia teoria

in merito.

Fig.1 Variazioni anatomiche del rapporto tra muscolo piriforme e nervo sciatico. (Tratto da Travell JC e Simons DG Dolore muscolare dia-gnosi e terapia dei punti trigger. Volume III).

Suscita infine interesse la teoria avanzata da Hottalp (1990): egli

ipotizza che l'attività del piriforme sia più legata alla arcaica con-

dizione quadrupedica dell'uomo che non a quella evoluta bipodali-

ca. In sostanza, secondo questa teoria, la stazione eretta sottopone

le fibre muscolari a sollecitazioni di molto maggiori rispetto a quel-

le per le quali sono state ontogeneticamente programmate, co-

stringendole così a meccanismi reattivi precoci ed esagerati.

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2.4 EZIOPATOGENESI

1) Piralla (1999) facendo riferimento agli studi di Steiner e

coll (1987), Sayson e coll (1994), Vandertop e coll (1991) afferma

che:

a) uno stato flogistico del piriforme in presenza di miofi-

brosite, artrite d’anca etc.

b) un trauma diretto, o microtraumi ripetuti alla regione

glutea causati ad esempio dalla posizione seduta ad an-

che addotte ed intraruotate,

può comportare la formazione di bande miofasciali fibrotiche e di

un deposito di tessuto cicatriziale in conseguenza dei microversa-

menti causando un palpabile indurimento del ventre muscolare,

una maggior resistenza meccanica allo stiramento, nonché un im-

brigliamento del nervo ischiatico (Kendall 1988, Benson 1999)

2) Travell e Simons(1988) concentrano invece l’attenzione

sulla presenza nel piriforme di trigger points (d’ora in avanti

TP) quali cause della sindrome in conseguenza di:

a) ipersollecitazione intensa ed improvvisa del mu-

scolo in stato d’allungamento nella fase di carico, (ad e-

sempio quando si tenta di frenare troppo rapidamente

una rotazione interna dell’arto inferiore durante un cam-

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bio di direzione nel cammino o per trattenersi dal cadere,

o quando poggiando al suolo un peso si abducono e si

flettono le anche impegnando notevolmente il piriforme

in accorciamento);

b) sollecitazioni o stiramenti contenuti ma reiterati

come nel caso ad esempio di un cammino che si realizza

durante la fase di carico con un’eccessiva intrarotazione

relativa del femore rispetto al bacino a compenso ad e-

sempio di un piede di Morton, oppure, come sostiene

Gagnon (2001), nel caso di una pronazione asimmetrica

del piede con affossamento della volta plantare che va a

determinare una “gamba corta funzionale” tale da indur-

re una rotazione antero-inferiore dell’articolazione sacro-

iliaca omolaterale con conseguente compressione dello

sciatico tra piriforme e legamento sacro-spinoso.

c) Mitchell, Retzlaff e coll (1974) hanno osservato

che una tale rotazione dell’articolazione sacroiliaca po-

trebbe anche essere determinata da una contrazione

persistente delle fibre inferiori del piriforme che sono ap-

punto in grado di esercitare su tale articolazione

un’importante forza obliqua, rotatoria e a forbice.

D’altro canto la dislocazione dell’articolazione sa-

cro-iliaca può essere essa stessa la causa della patologia

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dal momento che va a modificare la fisiologica relazione

tra origine e inserzione del piriforme, costringendolo a

contrarsi partendo da uno stato di parziale allungamento

(o accorciamento) con conseguente aumentato rischio di

danno muscolare.

2.5 ORIGINE DEI SINTOMI

In letteratura vi è una concordanza di vedute riguardo alle

origini dei sintomi con le teorie classiche di Freiberg(1937) e Ro-

binson(1947): il dolore gluteo e a decorso sciatico è da attribuirsi,

secondo gli autori, alla compressione delle strutture nervose ad

opera del muscolo in questione.

Travell e Simons(1988) hanno tuttavia perfezionato e appro-

fondito il concetto distinguendo il dolore miofasciale, legato ad una

sofferenza isolata del muscolo, provocato dall’attivazione dei suoi

TP e quindi di solito circoscritto alla zona glutea, ma non di rado

irradiato alla parte posteriore della coscia, da un dolore da com-

pressione vascolare e nervosa (Bauer, 2001) molto più di frequen-

te irradiato all’arto inferiore posteriormente fino al piede (nervo

sciatico), talvolta irradiato in sede perineale (nervo pudendo) (Prat-

Pradal, 1995), quasi sempre associato ad altri segni neurologici

radicolari caratteristici. I due autori individuano infine un altro ti-

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po di dolore quello da disfunzione sacro-iliaca. L’unica posizione

che sembra discostarsi dalle linee di pensiero precedentemente

esposte è quella assunta da Steiner(1987) ripresa successivamente

da Indrekvam e coll, Shah e coll nel 2002.

Gli autori escludono che l’origine della sintomatologia sia le-

gata ad una compressione nervosa, ritengono piuttosto che essa

sia da collegare all’infiammazione della guaina connettivale del

nervo indotta dai mediatori biochimici della flogosi (bradichinina,

istamina, prostaglandine E) rilasciati in conseguenza di microver-

samenti muscolari, o da un muscolo infiammato e contratto.

2.6 VALUTAZIONE FUNZIONALE

La letteratura è ricca di casi clinici sulla sindrome del piri-

forme dall’analisi dei quali tuttavia risulta chiara la mancanza di

un criterio e quindi di un percorso valutativo standard, univoca-

mente riconosciuto e applicato in ambito clinico. Ciò nonostante

esistono aspetti della patologia che vengono comunemente ricerca-

ti da tutti, seppur con modalità diverse, per diagnosticare tale sin-

drome. Ad esempio tutti gli autori presi in considerazione ritengo-

no il dolore scatenato dalla palpazione, sia essa esterna (in corri-

spondenza dei TP del muscolo, l’uno in prossimità del grande tro-

cantere, l’altro nei pressi del bordo esterno sacrale che coincide col

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margine interno del forame ischiatico, Fig.2) (Travell, Simons

1996) sia essa interna (vaginale e rettale), un segno importante

per la definizione della diagnosi soprattutto se associato alla posi-

tività del test di Freiberg (Silver, Leadbetter,1998; Levin, 2000).

Robinson (1947) in particolare, ma successivamente anche gli

stessi Silver e Leadbetter (1998), descrive come “sausage-shaped

mass” la sensazione al tatto del piriforme contratto considerandolo

un ulteriore segno di rilievo.

Fig.2 Palpazione esterna per sollecitare la dolenzia di un punto trigger nel muscolo piriforme. (Tratto da Travell JC, Simons DG. Dolore muscolare diagnosi e terapia dei pun-ti trigger. Volume III).

Un altro aspetto importante riscontrato in letteratura è la ri-

cerca, da parte dei diversi autori, di specifiche manovre di stira-

mento (test di Freiberg,1937) e di particolari tests di contrazione

del muscolo retratto e indurito (test di Pace,1976 e test di Be-

atty,1994) in grado di riprodurre o accentuare la sintomatologia

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dolorosa e tali da identificare in maniera inequivocabile la patolo-

gia. Dei numerosi test esistenti, quelli a cui si è accennato più so-

pra risultano essere i più utilizzati nell’ambito clinico: il primo

(test di Freiberg) consiste nell’allungare il muscolo con una intra-

rotazione forzata ad anca estesa, ginocchio flesso a 90° e il sog-

getto in posizione prona, manovra che Retzlaff e coll ritengono uti-

le anche per un’analisi della dislocazione sacro-iliaca, oppure nella

variante a ginocchio esteso e soggetto in posizione supina; Sau-

dek(1985) propone una modificazione di questo test ritenendo a

ragione che in decubito controlaterale, con l’anca e il ginocchio

flessi a 90°, addurre ed intraruotare passivamente il femore possa

testare in modo più analitico la tensione del piriforme e non quella

di tutti i rotatori esterni considerati nel loro insieme. Il secondo

test consiste invece nel far eseguire al paziente un’abduzione-

extrarotazione isometrica delle anche contro le mani

dell’esaminatore dalla posizione seduta (test di Pace e Nagle); il

terzo nel chiedere al paziente, posto sul decubito laterale sano,

un’abduzione controgravità ad anca flessa dell’arto inferiore inte-

ressato. Anche la manovra di Laségue è considerata da parte di al-

cuni autori utile a fini clinici e diagnostici (Freiberg, 1937, Robin-

son, 1947); tuttavia è quantomeno lecito chiedersi quale reale spe-

cificità possa avere all’interno di questa valutazione. Infatti una

positività del segno di Laségue è compatibile con la sindrome del

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piriforme, ma anche ad esempio con una radicolite, con un ernia

discale (Pace, 1975). Per questo motivo Fishman e Zibert (1992) lo

considerano positivo solo quando l’escursione di movimento libera

dal dolore presenta una differenza di almeno 15° rispetto a quella

controlaterale o è inferiore a 65°.

Altri studiosi inoltre sostengono che sia necessario non sot-

tovalutare anche l’osservazione del paziente, in quanto potrebbe

far emergere particolari alterazioni correlate alla patologia come ad

esempio, in decubito supino, l’extrarotazione di almeno 45°

dell’anca (Retzlaff e coll, 1974) e l’elevazione del bacino che va a

riprodurre una apparente asimmetria dell’arto colpito (Tra-

vell,1988; Rodrigue,2001) oppure la tendenza a modificare di fre-

quente la posizione (specialmente in decubito seduto) e la difficoltà

ad accavallare la gamba sofferente sul ginocchio sano (Tra-

vell,1988; Benson,1999), oppure ancora un segno di Trendellem-

burg che si esprimerà nel cammino per la debolezza muscolare a

carico del muscolo in questione (Hallin,1983; Barton,1991; Rodri-

gue,2001). I deficit neurologici legati alla compressione dello scia-

tico o del pudendo, pur essendo compatibili anch’essi con una

diagnosi di sindrome del piriforme, per la maggior parte degli au-

tori, non risultano essere di per sé caratteristici e potendo presup-

porre patologie più gravi o di altra natura necessitano in ogni ca-

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so di una indagine medica ben più accurata e precisa (Tra-

vel,1988).

L’importanza degli esami strumentali per la diagnosi della

sindrome costituisce invece una fonte di scontro scientifico: Bar-

ton (1991) li ritiene di importanza secondaria se non in casi speci-

fici e selezionati; Fishman (2002) invece ritiene a tal proposito uti-

le ed efficace l’analisi del riflesso H in posizione FAIR, e ne dimo-

stra la validità in uno studio condotto con Zybert (1992) su 34 pa-

zienti; la risonanza magnetica per evidenziare l’ipertrofia del mu-

scolo è ritenuta importante dal punto di vista diagnostico da Rossi

e coll (2001), ma non da Prat-Pradal (1995) e Kouvalchouk e coll

(1996). Infine i tests infiltrativi anestetici sono un po’ da tutti con-

siderati affidabili, ma di difficile esecuzione e di elevata pericolosi-

tà.

2.7 RASSEGNA DELLE MODALITA’ DI TRATTAMENTO

Il trattamento della sindrome del piriforme è un argomento

alquanto complesso e articolato. La letteratura scientifica analiz-

zata distingue tra tre diversi tipi l’approccio alla patologia: il trat-

tamento conservativo in senso stretto, la terapia iniettiva-

infiltrativa e l’intervento chirurgico. Ciascun approccio viene preso

in considerazione rispettando l’ordine sovraesposto in modo tale

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che ogni modalità terapeutica più aggressiva ed invasiva venga

proposta come ulteriore risorsa terapeutica solo al fallimento di

quella precedente (Gagnon 2001).

Gli autori presi in esame individuano nell’ambito

dell’approccio conservativo, tre principali tipologie di strumenti te-

rapeutici: le tecniche manuali cinesiterapiche, le terapie strumen-

tali e quelle farmacologiche.

Tra le tecniche manuali, la più utilizzata, in quanto parte

centrale ed essenziale del trattamento, risulta senza dubbio essere

quella di stiramento progressivo del muscolo (prima passivo e poi

attivo) in flessione-adduzione-intrarotazione d’anca in tutte le sue

varianti (Rodrigue e coll., 2001; Shah e coll., 2002). La variante a

paziente prono proposta da Lewit (1985) viene scartata da Piralla

per la sua scarsa specificità sul muscolo in esame e per la sua pe-

ricolosità sui tessuti molli dell’articolazione del ginocchio. A dimo-

strazione dell’efficacia delle tecniche di stiramento sono da citare

gli studi di Julsrud (1989) e Barton (1991) i quali affermano che

sedute ripetute ogni due ore per la durata complessiva di una set-

timana permettano la disattivazione dei TP, la scomparsa dei sin-

tomi dolorosi e il recupero della fisiologica lunghezza del piriforme

(Piralla,1999). La facilità d’applicazione della tecnica, i ridotti tem-

pi di trattamento, i risultati confortanti riscontrati in letteratura

hanno orientato la ricerca in questa direzione. Si sono resi neces-

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sari ciononostante degli approfondimenti soprattutto per affronta-

re il problema dell’eccessiva durata della singola seduta di tratta-

mento che non è realizzabile nella comune pratica riabilitativa.

La tecnica definita “stretch and spray” illustrata già da Tra-

vell e Simons nel 1988, sembra essere un efficace mezzo per la ri-

soluzione definitiva dei TP, nonché per un innalzamento della so-

glia del dolore e quindi una dilatazione del punto di massimo al-

lungamento muscolare. Essenzialmente la tecnica consiste in uno

stiramento passivo associato all’applicazione intermittente con

passate a linee parallele di ghiaccio o di uno spray refrigerante.

Steiner e coll. consigliano l’uso del cloruro d’etile al posto del fluo-

rimetano per il suo effetto refrigerante più rapido. Tuttavia la tec-

nica isolatamente considerata presenta dei limiti: innanzitutto è

lecito chiedersi come uno stiramento passivo e quindi non cortica-

lizzabile possa permettere degli effetti terapeutici a lungo termine;

in secondo luogo non sono documentati in letteratura i tempi ne-

cessari per ottenere quei risultati che comunque la tecnica è in

grado di garantire. Travell e Simons sostengono che bisogna insi-

stere fino a quando non si ottengono degli apprezzabili progressi; è

facile però rendersi conto che questo non può soddisfare in alcun

modo il terapista.

A tal fine alcuni autori in associazione alle metodiche sopra-

citate consigliano l’utilizzo delle tecniche di facilitazione neuromu-

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scolare e di rilasciamento miofasciale quali utili strumenti terapeu-

tici per favorire la riduzione del tono, il rilasciamento muscolare e

quindi per un più rapido ripristino della completa lunghezza del

piriforme; inoltre richiedendo una maggiore partecipazione attiva

da parte del paziente possono permettere una memorizzazione a

distanza dei risultati ottenuti. Retzlaff e coll. (1974) tra le diverse

tecniche consigliano l’inibizione reciproca facendola seguire ad un

allungamento passivo massimo. Lewit e Simons (1985,1988) pro-

pongono invece la tecnica di rilasciamento post-isometrico mentre

Voss e coll. la contrazione-rilasciamento. Gagnon (2001), per po-

tenziarne l’efficacia combina le diverse tecniche: il rilasciamento

post-isometrico abbinato allo stiramento passivo e successivamen-

te l’inibizione reciproca. Piralla(1999) ritiene che possa essere suf-

ficiente anche un solo trattamento per disattivare bandelette mu-

scolari iperalgesiche (i TP secondo Travell e Simons) recenti e mo-

deratamente attive attraverso delle compressioni ischemiche sul

muscolo tenuto in allungamento, quelle descritte da Travell nel

1952 e previste nell’approccio di TePoorten (1969) mentre sostiene

che sono necessarie più sedute ripetute nel corso di almeno 2 o 3

settimane per TP cronici ed irritati. Da qui si deduce ancora di più

l’importanza di una individuazione e di un trattamento precoce

della sindrome se l’obiettivo è quello di una risoluzione rapida del

problema.

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La pressione digitale è dagli autori preferibile rispetto quella

prodotta con il gomito perché permette all’operatore di avere una

maggiore sensibilità e diminuisce i rischi di danneggiamento del

nervo sciatico. In associazione alla digitopressione Cash (1996),

utilizzando l’approccio Cyriax, suggerisce lo “scollamento” delle

microscopiche aderenze cicatriziali presenti con energiche frizioni

eseguite trasversalmente alla direzione delle fibre del muscolo an-

che in questo caso tenuto in posizione allungata. Le procedure te-

rapeutiche sovraesposte eseguite in sequenze di 2-3 ripetizioni

possono venire intervallate, secondo Travell e Simons, con

l’esecuzione di movimenti ampi e attivi, l’applicazione di impacchi

caldo-umidi o in alternativa con la somministrazione di diatermia

ad onde corte o ad impulsi.

Steiner(1983), Barton(1991) e Fishman(2001) preferiscono

invece addestrare il paziente all‘autoallungamento in modo tale da

non limitare il trattamento alla sola durata della singola seduta.

Tra le altre tecniche utilizzate sono da ricordare quella di quella di

Thile(1982) che descrive gli ottimi risultati ottenuti con il massag-

gio transrettale del muscolo piriforme. Tuttavia Rodrigue(2001),

pur riconoscendo l ’efficacia di tale tecnica, ne critica l‘eccessiva

invasività, che potrebbe rendere il trattamento scarsamente accet-

tato dal soggetto.

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Infine alcuni autori (Travell,1988; Parziale,1991; Rodri-

gue,2001) considerano una parte importante del trattamento la

correzione della alterazioni biomeccaniche, in quanto fattori cau-

sali o perpetuanti della sindrome del piriforme.

Per quanto riguarda il trattamento tramite le terapie fisiche,

il lavoro condotto da Hallin(1983) ha ricevuto notevole consenso:

in due settimane ha alleviato il dolore di undici soggetti affetti da

sindrome del piriforme con l’applicazione quotidiana di ultrasuoni.

A seguito di tale risultato Barton(1991) ne consiglia l’utilizzo in as-

sociazione alle tecniche di stiramento.

L’utilizzo di farmaci per trattare la sindrome è alquanto dif-

fuso. In particolare tutti gli autori analizzati, nella pratica clinica,

fanno ampio uso di FANS e miorilassanti (sempre in associazione

al trattamento fisiocinesiterapico), ma soprattutto di corticosteroi-

di e analgesici per via intramuscolare. Tuttavia Travell(1988), pur

riconoscendone l’efficacia nel controllo dell’infiammazione e del

dolore, ne critica l’uso: sia perché l’iniezione richiede l’esperienza

del somministratore (esiste infatti il rischio di infiltrare erronea-

mente il nervo sciatico, bloccandone temporaneamente l’attività

nervosa), sia perché i risultati hanno breve durata.

In tal senso Fishman(2004) e Lang(2004) stanno sperimen-

tando l’utilizzo della tossina botulinica per indurre la paralisi mu-

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scolare del piriforme e ottenere così una riduzione dei sintomi più

duratura.

Qualora il trattamento conservativo si dimostrasse fallimen-

tare, la totalità degli autori studiati concorda che, se la patologia

fosse disabilitante per il soggetto, si rivelerebbe necessario il relea-

se chirurgico. L’intervento consiste, sulla base delle descrizioni

classiche di Freiberg(1937) e Robinson(1947), nella parziale aspor-

tazione del muscolo piriforme ,così da decomprimere le strutture

nervose interessate.

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3. PROTOCOLLO VALUTATIVO

Prima di presentare il protocollo di valutazione è necessario

sottolineare che il processo diagnostico è una esclusiva prerogati-

va del medico e non del riabilitatore. Tuttavia si può considerare il

seguente protocollo un valido strumento per entrambe le figure

sanitarie: il clinico potrebbe così rapidamente diagnosticare la pa-

tologia in esame mentre il terapista potrebbe “informare il medico,

collaborando a fornire elementi utili sia per un eventuale appro-

fondimento diagnostico sia per la definizione di un più appropriato

programma terapeutico” (art.11 codice deontologico) qualora il

trattamento impostato non abbia dato i risultati attesi o abbia

prodotto risposte non coerenti.

Il protocollo valutativo è stato costruito sulla base dei diversi

approcci alla patologia proposti dagli autori presi in considerazio-

ne. In particolare si è posta l’attenzione sui test e sulle manovre

per le quali c’è concordanza d’opinione in letteratura e che hanno

come requisiti:

• la facilità e rapidità di applicazione;

• la specificità;

• l’assenza di rischi per il paziente;

• il contenimento dei costi.

25

ANAMNESI

Nome: Cognome: Età: Professione: Attività particolari: Eventi Traumatici: Sintomatologia Dolorosa: scala di VAS (segnare una croce in corrispondenza del dolore percepito) grafico del corpo (segnare le aree interessate dal dolore) 0 10

VALUTAZIONE Positivo Negativo

• Stazione eretta / deambulazione

- Asimmetria arti inferiori (apparente) - Segno di Trendellemburg - Piede di Morton / iperpronazione

• Decubito seduto - Tendenza a modificare spesso la posizione - Difficoltà ad incrociare le gambe

• Decubito supino - Asimmetria arti inferiori (reale) - Segno del piriforme (extrarotazione d’anca >45°) - Test di Fabere (per la dislocazione dell’articolazione sacro-iliaca)

• Decubito laterale

- Palpazione TP piriforme (FAIR positon) - Segno di Saudek - Segno di Beatty

• Deficit neurologici

- Stenia dei muscoli innervati dallo sciatico - Alterazione della sensibilità nei dermatomeri corrispondenti

26

4. PROTOCOLLO RIABILITATIVO Le tecniche scelte per il trattamento sono quelle rispondenti

ai requisiti precedentemente considerati: durata e costi ridotti e la

non pericolosità o rischio per il soggetto, a questi si è aggiunta i-

noltre la necessità di avere risultati riabilitativi rapidi, evidenti e

duraturi in tempi brevi.

Inoltre protocollo riabilitativo è in linea con la tendenza della

medicina moderna a preferire un approccio conservativo rispetto

ad un approccio chirurgico, il quale è costoso, invasivo e general-

mente poco gradito dal paziente.

Protocollo riabilitativo: Sindrome del piriforme Durata : n.5 sedute ( n.1 ora ogni seduta )

Solo alla prima seduta :

Correzione delle eventuali alterazioni biomeccaniche e-

merse nella valutazione

- Utilizzo di spessori per un’asimmetria degli arti inferiori o

per un’oscillazione medio laterale del piede (o piede di Mor-

ton);

- Utilizzo di plantari per l’iperpronazione del piede;

27

- Utilizzo di manovre osteopatiche per la dislocazione

dell’articolazione sacro-iliaca.

La mancata correzione di tali alterazioni comporta, con

buona probabilità, il fallimento del trattamento in quanto non

vengono eliminati i fattori causali della sindrome.

Addestramento all ’autoallungamento

- Paziente supino. L’arto affetto è flesso addotto intraruotato

(d’ora in poi FAIR position), il piede è appoggiato a fianco

dell’arto non affetto. La mano controlaterale spinge, facendo

presa sul ginocchio omolaterale verso il basso, adducendo

ulteriormente l’arto e stirando il piriforme (Fig 3).

Fig.3 Autoallungamento del muscolo piriforme destro.(Tratto da Travell JC, Simons DG. Dolore muscolare diagnosi e terapia dei punti trigger. Volume III).

28

- Paziente in decubito laterale. FAIR position con il ginocchio

fuori dalla superficie di appoggio. Il paziente controlla la di-

scesa del ginocchio.

- Paziente in decubito laterale. FAIR position. Il paziente, fis-

sando il ginocchio sulla superficie, cerca di ruotare il tronco

controlateralmente al lato affetto.

- Paziente in stazione eretta. Il paziente esegue delle rotazioni

caute del tronco, impedendo il movimento delle gambe. Gli

arti superiori sono lasciati rilassati.

Ogni posizione è mantenuta da 5 a 30 secondi, dipen-

dentemente dal dolore, e da ripetersi ogni 2 o 3 ore circa. E’

importante che il dolore rimanga entro la soglia di sopporta-

zione, per evitare di generare spasmi muscolari riflessi.

Dalla prima alla quinta seduta :

Applicazione di ultrasuoni

La potenza varia da 0,5 W/cm2 a 2,5 W/cm2, ricordando

che il dolore deve rimanere entro i limiti di sopportabilità. Il

manipolo viene passato con moto circolatorio in prossimità

del TP.

Durata: 5 minuti per ciascun TP attivo.

29

Massoterapia

Costituisce, per il paziente, un’importante approccio psi-

cologico al trattamento. E’ la fase preparatoria, quindi, si con-

sigliano tecniche di massaggio non aggressive, quali “sfiora-

menti” e “frizioni”, queste ultime solo se caute.

Durata: 10 minuti.

Tecnica di “stretch and spray” combinata con tecniche di

facilitazione neuromuscolare e rilasciamento miofasciale

Tecnica descritta da Travell(1988):

- Posizionare il paziente come in figura 4;

- Applicare passate parallele di spray in un'unica direzione,

coprendo l’intera area interessata dal dolore;

- Richiedere l’abduzione dell’anca, applicando una resistenza

tale da impedire il movimento (contrazione isometrica), dopo

alcuni secondi invitare il paziente e cessare la contrazione;

- Allungare il muscolo, trazionando la cresta iliaca, fino al

punto di “disagio tollerabile”;

- Ripetere 2/3 volte quindi applicare impacchi caldo/umidi

per riscaldare la cute e rilassare il muscolo;

- Ripetere l’intero ciclo fino al completo allungamento del mu-

scolo;

30

- Richiedere movimento attivo completo.

Durata : 25 minuti.

Fig.4 Posizione di stiramento e distribuzione del freddo intermittente per i TP nel muscolo piriforme destro. (Tratto da Travell JC, Simons DG. Dolore muscolare diagnosi e terapia dei punti trigger. Volume III).

Compressione ischemica

- Posizionare il paziente come in figura 5;

- Stirare il muscolo fino a raggiungere il punto di disagio tolle-

rabile;

- Individuare il TP percorrendo con i pollici il ventre muscolare

lungo tutta la sua lunghezza;

- Una volta individuati, esercitare una pressione (con i pollici

oppure con il gomito) graduale, a seconda che il dolore au-

menti o si riduca.

Questa tecnica è particolarmente dolorosa per il paziente,

quindi è fondamentale cercare la sua collaborazione.

Richiede sensibilità in quanto una pressione eccessiva potrebbe ir-

31

ritare maggiormente il TP. Ogni pressione va mantenuta da 30 a

60 secondi per ottenere delle alterazioni vascolari.

Durata: 15 minuti.

Fig.5 Compressione ischemica con pressione dei due pollici per inattivare un TP del muscolo piriforme destro. (Tratto da Travell JC, Simons DG. Dolore muscolare diagnosi e terapia dei punti trigger. Volume III).

Massoterapia

Si utilizzano nuovamente le tecniche di “sfioramento” e “frizio-

ne”. E’ la fase di chiusura del trattamento ed ha lo scopo di “scari-

care” il muscolo e rilassare il paziente.

Durata: 5 minuti.

Il protocollo di trattamento, essendo di durata relativamente

breve, prevede un approccio molto aggressivo e, per il paziente, al-

quanto doloroso. Quindi, in fase di valutazione, è necessario son-

dare la reale motivazione del soggetto e informarlo, in quanto una

32

partecipazione non assidua al trattamento comporta inevitabil-

mente un netto fallimento dello stesso.

Al completamento del protocollo è utile ripetere la valutazio-

ne iniziale, così da verificare nuovamente le condizioni del pazien-

te.

Se l’approccio conservativo fallisse infatti potrebbe delinearsi

l‘ipotesi di un approccio più aggressivo alla patologia, ossia

l’iniezione intramuscolare o l’intervento chirurgico. Queste tecni-

che non sono state descritte in quanto di non diretto interesse del

terapista.

33

5. CASI CLINICI CASO CLINICO N.1

R.S., 33 anni impiegato bancario, giungeva presso

l’ambulatorio riferendo dolore lombare e gluteo con modesta irra-

diazione fino al terzo medio della coscia destra in tutto il territorio

di pertinenza dello sciatico. Dall’anamnesi emergeva che la sinto-

matologia era sopraggiunta in seguito ad un sollevamento in tor-

sione verso destra di un carico pesante. Il medico curante aveva

diagnosticato, disponendo di RX e di una RMN lombare, una pro-

trusione lombare L5-S1. Il trattamento è stato quindi impostato

sulla base di tale diagnosi.

Dopo un ciclo di 10 sedute il paziente riferiva la scomparsa

del dolore lombare, mentre il dolore gluteo e l’irradiazione persi-

stevano; sia la stazione eretta che la posizione seduta evocavano,

se mantenuti per periodi anche relativamente brevi, dolore inten-

so.

Sospettando la presenza di una sindrome del piriforme, il pa-

ziente è stato valutato mediante il protocollo di valutazione elabo-

rato. Sulla base dei dati ottenuti si è consigliato al soggetto di ri-

volgersi al proprio ortopedico per una ulteriore indagine: la dia-

gnosi è stata modificata in protrusione lombare con irritazione del

nervo sciatico da compressione degli extrarotatori dell’anca. Al pa-

34

ziente è stato nuovamente prescritto il trattamento fisioterapico. In

ambulatorio è stato applicato il protocollo riabilitativo per la sin-

drome del piriforme. Al termine, la rivalutazione evidenziava che vi

era stata una considerevole riduzione del dolore gluteo e la totale

scomparsa dell’irradiazione all’arto destro.

Il soggetto ha potuto riprendere le proprie attività quotidiane.

CASO CLINICO N.2

M.P., 39 anni dipendente di un’impresa di pulizie, giungeva

presso l’ambulatorio riferendo dolore gluteo e sciatalgia all’arto si-

nistro. Dall’anamnesi emergeva che il dolore si era presentato sul

luogo di lavoro, a seguito di una rapida flessione con successiva

abduzione delle anche nel tentativo di evitare la caduta di un

grosso peso. Inizialmente la sintomatologia, limitata al solo dolore

gluteo, veniva tenuta sotto controllo dalla paziente con

l’assunzione di comuni farmaci antidolorifici.

Al presentarsi della sciatalgia la paziente si rivolgeva al pro-

prio medico curante, che la inviava al fisiatra. Quest’ultimo le dia-

gnosticava una sindrome del piriforme e le prescriveva un ciclo di

fisioterapia e dei farmaci antinfiammatori non steroidei.

La paziente è stata trattata seguendo il protocollo riabilitativo

precedentemente esposto. Alla fine del trattamento la sciatalgia

35

era scomparsa, ma persisteva, seppure ridotto, il dolore gluteo. Si

è quindi deciso di proseguire il trattamento per altre cinque sedu-

te.

La rivalutazione evidenziava la scomparsa della sintomatolo-

gia, ad eccezione di un fastidio al gluteo qualora manteneva la po-

sizione seduta per lunghi periodi di tempo.

36

6. CONCLUSIONI

Dall‘analisi letteraria condotta emerge che la sindrome del

piriforme è una patologia alquanto complessa e articolata, spe-

cialmente per ciò che riguarda diagnosi e trattamento.

Quasi tutti gli autori considerati concordano che la sintoma-

tologia tipica della patologia è da attribuirsi al muscolo piriforme

che, divenuto rigido e voluminoso, comprime le strutture nervose

adiacenti. Le spiegazioni di Kendall, Benson e Steiner costituisco-

no le uniche “alternative” a quanto detto.

La complessità del problema è evidente quando la trattazione

riguarda gli aspetti diagnostici e, specialmente, terapeutici della

sindrome: infatti, sulla base dei testi analizzati, è chiara la man-

canza, tra gli autori, di un metodo comune, uniforme e standar-

dizzato. Questo costituisce un grosso limite.

Ogni clinico, non potendo ricorrere a test certi per la sindro-

me del piriforme, utilizza dei metodi d’indagine propri e ricerca

tutte le evidenze patologiche che, soggettivamente, considera più

significative. Questo atteggiamento ha portato ad avere molteplici

test, manovre e criteri di valutazione differenti, ma spesso ineffica-

ci e non specifici per la patologia in esame.

Il protocollo valutativo elaborato nel presente lavoro, tenta di

costituire una linea comune tra le modalità di indagine proposte

37

dagli autori, preferendo tra queste quelle rispondenti ai requisiti di

rapidità e facilità di applicazione, di ridotta richiesta di risorse ma

soprattutto di specificità. Difatti un test non specifico, comporta

solamente sprechi in termini di tempo e risorse, sia per il paziente

che per il clinico.

Per quanto riguarda il trattamento, gli autori, pur non rico-

noscendo un protocollo comune, concordano “nell’aggredire” (Fi-

shman,2001) la patologia, prima, farmacologicamente (corticoste-

roidi e analgesici intramuscolari) poi, solo successivamente, con

tecniche fisiocinesiterapiche (stiramento, compressione ischemi-

ca…) e con terapie fisiche (ultrasuoni).

Il protocollo riabilitativo elaborato in questo scritto invece u-

tilizza, solamente, tecniche manuali e terapie fisiche (la cui effica-

cia sia stata ovviamente dimostrata e accertata in letteratura),

concentrando l’intero trattamento in cinque sedute; la terapia i-

niettiva-infiltrativa non è stata considerata in quanto, oltre a pre-

sentare un discreto margine di rischio, richiede una elevata com-

petenza tecnica ed esperienza professionale.

Per valutarne l’efficacia, entrambi i protocolli sono stati uti-

lizzati su due pazienti.

Nel primo caso il soggetto era in trattamento per protrusione

lombare, ma con il sospetto di una sindrome del piriforme. Il pro-

tocollo valutativo ha permesso di acquisire elementi utili ad infor-

38

mare il medico per un’ulteriore approfondimento diagnostico

(Art.11 codice deontologico). Una volta diagnosticata la sindrome

del piriforme è stata trattata con il protocollo riabilitativo prece-

dentemente esposto.

Nel secondo caso, dal momento che la paziente era giunta

con la diagnosi di sindrome del piriforme, ci si è limitati ad appli-

care il protocollo di riabilitazione, utilizzando quello di valutazione

come verifica del trattamento stesso.

I risultati si sono rivelati quanto mai incoraggianti, in quan-

to c’è stata una buona risoluzione in ambedue i casi della sinto-

matologia.

Tuttavia, affinché entrambi i protocolli possano avere validità

scientifica, si rende necessaria la loro sperimentazione su un nu-

mero significativo di soggetti.

39

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