IL TESTIMONE OSSERVATORE SILENZIOSO

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L’OSSERVATORE TESTIMONE SILENZIOSO C’è un mistero che racchiude il senso di tutte le tecniche meditative, siano esse orientali o occidentali. In tutte le tradizioni esoteriche le tecniche di meditazione hanno come intento comune la formazione di un centro osservatore silenzioso, distanziato dai contenuti mentali. Questo centro osservatore ha per sua essenza una natura diversa dalla mente ordinaria, di per sé la trascende. Negli esercizi meditativi antroposofici, descritti da Steiner e in seguito, in maniera più dettagliata, da Massimo Scaligero, l’esercizio di concentrazione sul simbolo richiama la forza originaria del pensiero per poi liberarlo dall’influenza dei sensi. In seguito all’esercizio di concentrazione, l’oggetto- simbolo viene eliminato per lasciare spazio al silenzio interiore, parte fondamentale ed essenziale dell’intera pratica. Ma è nel prezioso esercizio della “retrospezione serale” descritto da Steiner(esercizio di matrice pitagorica, cfr “I Versi Aurei”) che verrà enucleato in maniera sistematica l’osservatore: il praticante passa in rassegna tutti gli eventi della giornata trascorsa, come se fossero stati vissuti da un’altra persona. In questo modo si comincia ad attivare proprio l’enucleazione di un principio osservatore, che si distanzierà progressivamente da contenuti mentali che consistono in cristallizzazioni comprendenti non solo pensieri bensì emozioni ed istinti, spesso in un caotico marasma. L’osservazione distaccata di tali contenuti porterà il praticante in contatto con il proprio Sé profondo. Il concetto dell’osservatore-testimone silenzioso ritorna ampiamente nella pratica alchemica che Giammaria indica

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L’OSSERVATORE TESTIMONE SILENZIOSO

C’è un mistero che racchiude il senso di tutte le tecniche meditative, siano esse orientali o occidentali. In tutte le tradizioni esoteriche le tecniche di meditazione hanno come intento comune la formazione di un centro osservatore silenzioso, distanziato dai contenuti mentali. Questo centro osservatore ha per sua essenza una natura diversa dalla mente ordinaria, di per sé la trascende. Negli esercizi meditativi antroposofici, descritti da Steiner e in seguito, in maniera più dettagliata, da Massimo Scaligero, l’esercizio di concentrazione sul simbolo richiama la forza originaria del pensiero per poi liberarlo dall’influenza dei sensi. In seguito all’esercizio di concentrazione, l’oggetto-simbolo viene eliminato per lasciare spazio al silenzio interiore, parte fondamentale ed essenziale dell’intera pratica. Ma è nel prezioso esercizio della “retrospezione serale” descritto da Steiner(esercizio di matrice pitagorica, cfr “I Versi Aurei”) che verrà enucleato in maniera sistematica l’osservatore: il praticante passa in rassegna tutti gli eventi della giornata trascorsa, come se fossero stati vissuti da un’altra persona. In questo modo si comincia ad attivare proprio l’enucleazione di un principio osservatore, che si distanzierà progressivamente da contenuti mentali che consistono in cristallizzazioni comprendenti non solo pensieri bensì emozioni ed istinti, spesso in un caotico marasma. L’osservazione distaccata di tali contenuti porterà il praticante in contatto con il proprio Sé profondo.

Il concetto dell’osservatore-testimone silenzioso ritorna ampiamente nella pratica alchemica che Giammaria indica come fondamentale “officium quotidiano” da svolgere in ogni momento della propria esistenza: il praticante innanzitutto individuerà ed enucleerà un principio cosciente extrapersonale, definito “Nume” e, a tal scopo, gli assegnerà un nome per dargli una definizione ed identificazione. A questo punto, tramite un lavoro costante, il centro di gravità dell’individuo si sposterà progressivamente nel Nume, che per sua definizione è caratterizzato da una natura impersonale eppure contenuta nel personale; esso è principio altro e distinto rispetto alla mente, la quale è ordinariamente espressione dell’identità biografica individuale. Il Nume si ergerà progressivamente come testimone silenzioso, distaccato dagli eventi che riguardano la personalità ordinaria, eppure sempre silenziosamente presente e partecipante alla vita. Inizialmente il centro interiore noumenico non sarà saldo e non riuscirà ad essere costantemente presente, ma attraverso l’esercizio e la pratica costante, che verrà estesa ad ogni momento della giornata, questa centralità osservatrice si rafforzerà sempre di più; in

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certi momenti occorrerà richiamarla intenzionalmente in modo che sia il più possibile presente durante le attività quotidiane, ma in seguito essa diventerà presenza costante.

La quarta via di Gurdjieff si basa su presupposti analoghi: nella condizione ordinaria la mente umana è formata da una serie di cristallizzazioni che producono diversi agglomerati di io distinti, che non possiedono una vera volontà. Questa condizione fa sì che l’uomo ordinario funzioni in una maniera paragonabile ad una macchina nella quale sono presenti automatismi e meccanismi che impediscono alla coscienza di accorgersi che in realtà il soggetto trascorre la vita in un sonno perenne. Questi stessi meccanismi automatici impediscono il risveglio spirituale. Cosa fare allora per svegliarsi? Innanzitutto diventare consapevoli di essere una macchina, accorgersi di essere immersi in un sonno e quindi cominciare a “ricordarsi di sé”: il ricordo di sé non è altro che la creazione di un testimone osservatore che dall’esterno comincia a diventare consapevole di ogni movimento della macchina. Questo testimone, nella costante azione di osservare sistematicamente cosa accade in questa “macchina”, si distanzierà progressivamente ed inesorabilmente dai contenuti osservati. In questa pratica, come del resto nella pratica alchemica descritta da Giammaria, lo sforzo di svegliarsi sarà esteso a tutta la giornata, in diverse occasioni. Il ricordo di sé si dispiegherà come costante osservatore silenzioso non-giudicante, in cui il testimone, che altro non è se non il Sé Immortale, è presente a sé, come osservatore distaccato, in uno stato di coscienza dalla personalità-mente. Il praticante si renderà conto di non essere i suoi pensieri e quindi di essere sostanzialmente qualcosa di diverso dall’oggetto osservato. Questa posizione osservativa darà inoltre la possibilità di diventare padroni del proprio destino, in quanto si potranno osservare con attenzione e maggiore consapevolezza i normali processi di causa che determinerebbero particolari effetti, nonché la risonanza di ciò che ordinariamente l’uomo addormentato attira a sé inconsciamente. Si tratta di una trasmutazione inesorabile, che andrà di pari passo con l’apertura del cuore; questo processo è paragonabile ad un costante e calmo fuoco alchemico, motore dell’Opera che condurrà alla realizzazione spirituale.

Nel nagualismo tolteco di Castaneda tutte le tecniche interiori sono finalizzate alla creazione di un testimone osservatore, il “veggente” ( seer). Viene fatto esplicito riferimento alla pratica del silenzio interiore, definito il “passo magico” più importante. Castaneda definisce il silenzio come un “fermare il dialogo interno”; è proprio il dialogo interno a sostenere e tenere in piedi le cristallizzazioni dell’ego,

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perpetuando l’attaccamento ai contenuti dei sensi fisici e ad una falsa identità. L’interruzione del dialogo interno provocherà lo “spostamento del punto di unione”, ossia determinerà un cambiamento di stato di coscienza, rendendo l’interiorità capace di percepire altre frequenze della realtà multidimensionale. Ma quale realtà multidimensionale più sconvolgente e sensazionale se non quella della scoperta dell’essere silenzioso, testimone osservatore, che si nasconde sotto le fitte nebbie del caos mentale? Solo la pratica sistematica del silenzio può far venire fuori questo veggente, testimone silenzioso, nagual-intento, principio individuale che, per sua natura, ha diretto collegamento con lo Spirito e quindi con l’universale.Ma è la tecnica della ricapitolazione a far venire direttamente e sistematicamente fuori l’osservatore, il testimone, il “veggente”, analogamente alla retrospezione serale pitagorico-steineriana, ma a differenza di quest’ultima riferita non soltanto alla giornata trascorsa bensì all’intera esistenza. Il praticante passerà in rassegna ogni momento della sua esistenza, partendo dal presente per poi andare a ritroso nel tempo, ripercorrendo tutte le vicende, interazioni, pensieri, emozioni, e così via, fino ad arrivare all’infanzia. In questo modo emergerà la coscienza profonda-veggente che è stata testimone di tutte queste esperienze di vita e che quindi non è altro che quell’essenza immortale che, di vita in vita, si è alimentata di esperienze che ne hanno accresciuto la consapevolezza. Molte scuole esoteriche riconoscono che subito dopo la morte fisica la coscienza del defunto compie questa ricapitolazione della vita appena conclusa; il fatto di compiere questa ricapitolazione come atto magico quando ancora si è in vita ha una fondamentale importanza, perché in effetti anticipa lo sviluppo della coscienza in modo tale da favorire il mantenimento della stessa nella soglia tra vita e morte fisica, ossia passaggio dalla coscienza fisica cerebrale alla coscienza sottile liberata dai sensi e quindi senza più supporto cerebrale. In tutte le fasi ed esperienze della vita, infatti, viene sviluppata una coscienza profonda, un’essenza-succo che in effetti compone il nucleo-sintesi essenziale che si manterrebbe inalterato di vita in vita (nucleo che se l’Iniziato ha lavorato bene in vita, dovrebbe acquisire una certa continuità di coscienza)

Esiste un sistema antico che spiega nei dettagli il significato e la pratica dell’osservazione silenziosa: il pratyahara-Antar Mouna descritto da Patanjali negli yoga-sutra e descritto in maniera egregia e accessibile agli occidentali in una pubblicazione di un migliaio di pagine del Satyananda Ashram (attualmente non tradotta in italiano) “ A systematic course in the ancient tantric techniques of yoga and kriya” e che merita di essere trattata approfonditamente in questa sede.

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E’ la pratica dell’Antar Mouna nel Pratyahara, stadio che precede il Dharana (concentrazione) e il Dhyana (la vera e propria meditazione), che spiega nei dettagli il processo dell’enucleazione del testimone interiore, pratica fondamentale per qualunque sistema di meditazione o via realizzativa si scelga di praticare. Con questo metodo dapprima si provvederà a isolare la coscienza dalle percezioni sensoriali, in un “controalimentarsi” da ciò che ordinariamente costituisce cibo per la mente (cibo di cui la mente non fa altro che fare indigestione!) e che fa sì che essa venga tenuta in un continuo stato di agitazione e di tensione verso l’esterno. Con questa “controalimentazione” diventerà possibile mantenere la percezione all’interno della mente, quindi cominciare a “staccare il pensiero dai sensi”, raggiungendo uno stato di coscienza che è una supercoscienza che va a sondare nel profondo diversi strati della mente senza tuttavia cadere nel sonno o nell’incoscienza, ma mantenendo la massima consapevolezza. Una volta che le impressioni sensoriali saranno escluse dalla coscienza, allora il praticante potrà procedere a trascendere gli stessi processi del pensiero cerebrale. Nella pratica di antar mouna il mantenimento della consapevolezza è premessa fondamentale: la coscienza verrà focalizzata sul testimone silenzioso, osservatore distaccato che non è coinvolto in nessuna esperienza, chiamato “Drashta”. Ma vediamo nei dettagli i 6 stadi della pratica dell’Antar Mouna.

1) Nel primo stadio preliminare il praticante comincerà a focalizzarsi nel centro del proprio essere e separerà gradualmente questa coscienza dai contenuti esterni veicolati attraverso i sensi, inizialmente essendo consapevole di ogni suono, di ogni esperienza dei sensi. Il praticante dirà a se stesso “io sono l’osservatore e non sono condizionato da queste percezioni esterne” e rimarrà consapevole di ogni cosa, fino a raggiungere uno stato in cui è completamente distaccato dalle percezioni esterne, in particolar modo dai suoni, in modo che essi non influenzino la mente. Il mondo esterno continuerà la sua attività rumorosa mentre il meditante toglierà l’attenzione da esso per rivolgerla intensamente al suo interno.

2) Nel secondo stadio ci si focalizzerà su questo signore interno che è punto di riferimento interiore stabile e costante. L’unico sentiero verso la vera meditazione è quello di non reprimere i pensieri ed emozioni ma di esaurirli attraverso una sistematica e scrupolosa osservazione consapevole! Questi pensieri, istinti ed emozioni sono aggregati, definiti “samskaras”, che fanno parte anche della mente inconscia. In genere gli ingenui e sprovveduti

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praticanti di concentrazione – come lo era chi scrive quando tanti anni fa era alle primissime armi- ignorano l’importanza di questo lavoro propedeutico (ma non soltanto propedeutico: andrebbe bensì portato avanti vita natural durante!) e si dedicano ad una sterile repressione dei pensieri, frutto di tensione cerebrale, che potrebbe sì produrre un’apparente concentrazione “niente male”, ma che intanto caccerà nel profondo dell’inconscio tutto il materiale represso, che si anniderà nei recessi oscuri come fantasmi che produrranno angoscia, depressione, infelicità, tensione. In questo secondo stadio, quindi, il praticante, dopo aver dimenticato il mondo esterno attraverso la pratica del primo stadio, non si soffermerà su nessun pensiero, ma lascerà che i vari pensieri sorgano spontaneamente senza nessuna resistenza, restrizione o opposizione. Il praticante accetterà qualunque pensiero, semplicemente lo osserverà , senza interferire; sarà solo un testimone, un osservatore separato dai pensieri, istinti o emozioni. In questo modo il subconscio comincerà lentamente ad aprire le sue porte: tutti i pensieri ed emozioni intrappolate cominceranno a sorgere, quindi il praticante continuerà ad osservare imperterrito, come se i pensieri e le visioni fossero una televisione, ed egli lo spettatore. Bisogna fare attenzione a non perdere la consapevolezza durante questo processo osservativo, evento che del resto è lo stato ordinario dell’essere umano immerso nel sonno della mente fin dalla sua nascita. Bisogna continuare ad osservare senza sosta, lasciando che i pensieri vengano a galla come bolle, così che la mente possa cominciare ad essere purificata. Solo con questo modo potrà venire rimosso il velo che normalmente impedisce la conoscenza intuitiva.

3) Nel terzo stadio, il praticante rimarrà sempre focalizzato sul testimone-osservatore silenzioso. Sceglierà intenzionalmente un pensiero, che può essere un ricordo, preferibilmente negativo, e non si lascerà distrarre da altri pensieri non direttamente collegati ad esso. Si creerà una catena di pensieri creati a volontà, collegati a catena l’uno con l’altro. Poi si potrà gettare via la catena così creata e crearne una nuova, scegliendo a volontà un altro pensiero. Questo processo sarà sempre guidato e diretto dal testimone-osservatore distaccato. Ad un certo punto si potrà fare una pausa e si tornerà a praticare l’osservazione, come nello stadio 2, lasciando emergere e fluire spontaneamente i vari pensieri. Sarà a questo punto che cominceranno ad emergere contenuti subconsci precedentemente repressi: i pensieri

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subconsci, radicati nella mente subconscia, che normalmente non emergerebbero ad un’iniziale osservazione spontanea, in quanto non direttamente accessibili alla coscienza, finalmente potranno essere sciolti dalla loro radice profonda, proprio attraverso questo metodo di scegliere un pensiero e determinare catene-sequenze associative nelle quali compariranno memorie e ricordi profondi apparentemente dimenticati.

4) Nello stadio 4 il praticante, dopo aver raggiunto uno stato di profondo rilassamento fisico, consentirà, come testimone distaccato, una spontanea emersione dei pensieri, senza creare nessun pensiero in maniera intenzionale come avveniva nel precedente stadio. Se raggiungerà un sufficiente stato di rilassamento, pensieri profondi cominceranno ad essere liberati dal subconscio, magari in maniera “overflow” (quella che può essere descritta come “diarrea mentale”). Ma continuerà ad essere sempre consapevole testimone osservatore. Improvvisamente, potrebbe diventare consapevole di un pensiero che è più forte degli altri. Si concentrerà su di esso solo per un breve tempo senza identificarsi, e in seguito volutamente lo getterà via. Questo pensiero, non importa che sia piacevole o spiacevole, è considerabile come una proiezione delle dimensioni profonde della mente subconscia. Tale pensiero deve sorgere spontaneamente, ma poi dopo breve tempo deve essere cacciato via dalla mente in maniera intenzionale. Si andrà avanti con altri pensieri su cui soffermarsi per breve tempo , per poi gettarli via. Si alterneranno momenti di consapevolezza di pensieri spontanei e concentrazione /riflessione su pensieri specifici scelti che emergono dai pensieri che verranno a galla. L’importante è che il praticante rimanga distaccato testimone osservatore e che non si attacchi a nessuno di questi pensieri; rimarrà distaccato come un osservatore impassibile di un esperimento scientifico. In questo modo potranno venire a galla pensieri sottili e visioni sepolte nella mente subconscia.

5) A questo punto della pratica si potrà raggiungere, nel quinto stadio, lo stato di silenzio interiore, quindi totale assenza di pensieri. E’ uno stato che, in virtù della pratica degli stadi precedenti, dovrebbe emergere spontaneamente. Se qualunque pensiero sorgesse, bisognerebbe escluderlo, rifiutarlo, anche se si

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trattasse di semplici immagini o visioni. Nessun pensiero, nessuna visione. E andrà mantenuto uno stato di costante vigilanza che non cada mai nel sonno.

6) Finalmente si può raggiungere il sesto stadio, che culmina nel Dharana, la concentrazione su un simbolo interiore psichico. Il praticante si focalizzerà su un simbolo, escludendo ogni altro pensiero. Questo simbolo rimarrà sempre vivido, e sarà riproposto sempre nuovamente alla coscienza qualora dovesse perdere intensità.

7) Infine…un costante flusso di consapevolezza mantenuto verso questo simbolo, farà sì che la semplice concentrazione si trasformerà in vera e propria meditazione: il Dhyana.

Anche altre tradizioni, scuole spirituali e autori hanno parlato di questa tecnica, basti citare il Vipassana buddhista e lo Zen. Sono state usate tante parole per dire la stessa cosa. Inutile dire che qualunque sistema magico-cerimoniale si rivela inutile e inefficace se non si siano realizzati questi fondamentali presupposti interiori. Ma qui non si tratta più di parlare, o di dimostrare quale sia la scuola o tradizione più efficace. Si tratta solo si praticare e sperimentare, perché saranno i risultati a parlare da sé. Questa è una pratica che trasforma completamente la propria esistenza e che si potrebbe persino definire come un “fabbricare il corpo di luce”.

La vera consapevolezza spirituale sorge quando il testimone-osservatore si è destato per essere sempre presente come faro di luce nella propria coscienza. Questo è il vero senso del risveglio spirituale, quando l’iniziato ormai radicato nel suo centro più profondo e autentico non potrà più cadere nel sonno.