Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

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374230?OpenDocument

Il terziario privato in Italia, Primo Rapporto Ires sui

comparti di Area Filcams 22/01/2002

realizzato da Lorenzo Birindelli e Clemente

Tartaglione con la collaborazione di Gabriele Guglielmi

I n d i c e

Presentazione di Ivano Corraini

Capitolo 1 Terziarizzazione dell’economia e trasformazione dei

servizi privati:

principali tendenze evolutive in Italia e in Europa 1 Tendenze della terziarizzazione in Italia

2 Sviluppo dei servizi nelle economie avanzate

3 Un nuovo processo di terziarizzazione dell’economia italiana

che prende forma

a partire dai primi anni novanta 4 Struttura delle imprese dei servizi in Italia e in Europa

5 Terziarizzazione del mercato del lavoro: un processo

europeo 6 Terziarizzazione e occupazione femminile, diffusione di

forme di impiego non tradizionale in Italia e in Europa

7 Effetti della terziarizzazione in Italia 8 Terziarizzazione del mercato del lavoro: aspetti salienti

della situazione italiana

Capitolo 2

Occupazione, retribuzioni, produttività e costo del

lavoro nei comparti di “Area Filcams” della contabilità

nazionale

1 Occupazione 2 Produttività del lavoro

3 Retribuzioni di fatto e slittamento salariale

4 Costo del lavoro dipendente e produttività del lavoro

Capitolo 3 Struttura dimensionale, distribuzione territoriale e

articolazione di comparto delle imprese e occupati del

terziario privato di “Area Filcams” 1 Tendenze evolutive nel terziario privato; composizione

geografica e di comparto

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nei settori del commercio, turismo e servizi

1 . 1 I mutamenti occupazionali attraverso un’analisi di

comparto per i settori del commercio e servizi

2 I settori attraverso un’analisi dell’articolazione

dell’occupazione dipendente per dimensione d’impresa e area geografica

2 . 1 Lavoratori dipendenti nel commercio

2 . 2 Lavoratori dipendenti nel turismo 2 . 3 Lavoratori dipendenti nei servizi

APPENDICE 1. Dati provinciali

APPENDICE 2. Settori di “Area Filcams” secondo la

codifica Ateco91

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Presentazione Perché la Filcams in questo primo mese del 2002 decide di pubblicare uno

Studio che si rifà a fonti, alcune riferite al 2000, ma altre datate – anche

di 5 anni –, a poche settimane dal ritiro delle schede del censimento

2001? Perché la Filcams non vorrebbe fare come quel tizio il quale aveva perduto

“le chiavi” in un vicolo buio, ma continuava a cercarle sotto un lampione

della strada principale. Vorremmo cercare “le chiavi” laddove crediamo che siano! Comprese le

“chiavi di lettura” della realtà che rappresentiamo. Il lavoro chiesto all’Ires è stato quello di iniziare a “costruire un modello”

che estrapolasse dalle fonti ufficiali del Censimento, della Contabilità

nazionale, dalle ulteriori rilevazioni Istat e di altri istituti di ricerca, i dati

riconducibili “ai comparti di area Filcams”. L’obiettivo è “dotarsi di uno strumento interpretativo” su: evoluzione,

dimensione, numero di addetti e di dipendenti, tipologia dei rapporti di

lavoro, valore aggiunto, p roduttività, andamenti salariali… di un settore

ampio, articolato, diffuso sull’intero territorio nazionale quale quello

rappresentato dai “comparti di area Filcams” . La Filcams è una confederazione nella Confederazione. Non solo perché si confronta con Confederazioni (si pensi ad esempio a

Confcommercio e Confesercenti, oltre alle altre Associazioni della

Cooperazione, delle Libere professioni , dell’Artigianato, alla stessa

Confindustria) e direttamente con le Istituzioni – sia nazionali che al livello

decentrato – sulle politiche di interi settori (il Commercio, il Turismo…);

ma anche perché rappresenta lavoratori/lavoratrici e rinnova i ccnl di gran

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parte del terziario privato; con lavoratori, specie quelli degli appalti di

servizi, occupati anche nell’industria e nel settore pubblico. Il Rapporto inizia con un’analisi del terziario nella sua evoluzione in

dimensione e u ropea, si chiude con un’appendice riferita al numero dei

dipendenti che nel 1996 erano occupati, provincia per provincia, in ognuno

dei tre comparti riconducibili alla Filcams. Questo studio potrebbe quindi divenire anche uno “Strumento per

misurarsi” sia in riferimento allo sviluppo della negoziazione nazionale e

decentrata, ma anche sotto il profilo organizzativo. Gli strumenti interpretativi della realtà economica e occupazionale del

paese, compreso il Censimento, non sono strutturati in modo tale da

fornire una lettura di insieme dei “comparti di area Filcams” e i dati ufficiali

non riescono a riprodurre le nostre aree contrattuali . Lo studio che viene presentato in questo rapporto è perciò ancora un

“modello in progress”; sia perché non è stato ancora possibile estrapolare

dai dati ufficiali il quadro preciso di tutti i comparti, settori e sub-settori

riconducibili all’area Filcams – per fare degli esempi: nella definizione “Altri

servizi per la persona” vi sono attività quali il facchinaggio o le lavanderie

a secco; come alla voce “Attività professionali” manca tutto il comparto

medico, si pensi a quante lavoratrici sono occupate presso Studi

odontoiatrici –; sia perché questo studio si cimenta per la prima volta in

un’analisi economica, salariale, occupazionale complessa, come è la

Filcams. Uno strumento che andrà progressivamente raffinato con il contributo di

ricercatori e studiosi, ma anche con quello del dibattito interno alla

categoria, colmando così gli spazi vuoti e rifinendo lo Studio nelle fasi

successive. Un modello interpretativo che ci consentirà una lettura in “chiave comparti

di area Filcams” già dei primi dati del Censimento 2001, non appena

saranno pubblicati. Obiettivo della Filcams è dare continuità a questo “Rapporto”

sviluppandolo e prevedendo approfondimenti sia nei singoli comparti che

per pezzi degli stessi, sia per ambiti territoriali più mirati; e sarà

consultabile, con anche gli aggiornamenti che periodicamente seguiranno,

all’indirizzo www.filcams.cgil.it IVANO CORRAINI

Segretario generale Filcams

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Il terziario privato in Italia, Capitolo 1 22/01/2002

1 Tendenze della terziarizzazione in Italia La terziarizzazione delle economie avanzate è una tendenza di lungo periodo, segnalata, in

primo luogo, dall’aumento dell’importanza del settore dei servizi sia in termini di occupazione

che di valore aggiunto. Le ragioni che determinano tale fenomeno sono molteplici e sottendono

diverse dinamiche nei numerosi comparti di cui si compone il settore terziario. Da una parte,

nuovi modelli di consumo, stili di vita e cambiamenti demografici tendono a determinare un

aumento della domanda di servizi da parte delle famiglie e degli individui. Dall’altra, il

progresso tecnico (si pensi alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione), i

mutamenti organizzativi e la crescente integrazione internazionale delle imprese determinano

lo sviluppo di comparti nuovi e la crescita della domanda di servizi da parte delle imprese. Questo sviluppo dei servizi assume un particolare rilievo nelle dinamiche generali

dell’occupazione. Si tratta infatti di un settore con un’intensità di lavoro per unità di valore

aggiunto superiore all’industria. L’Italia, che all’inizio degli anni settanta era tra le aree meno terziarizzate, oggi ha colmato

buona parte della distanza che la separava da paesi come Stati Uniti, Regno Unito e Francia,

dove il settore dei servizi ha raggiunto un’ampiezza prossima o superiore al 70% del valore

aggiunto e dell’occupazione totale. Precisamente, in Italia – tra il 1970 e il 2000 – la quota dei

servizi sul valore aggiunto totale è aumentata di oltre 17 punti percentuali (dal 51,3 al

68,8%), e quella sull’occupazione di quasi 23 punti (dal 40,9 al 63%). Tuttavia, nell’ultimo decennio, la fase di intensa ristrutturazione che ha interessato tutti i

comparti dei servizi ha notevolmente rallentato il processo di terziarizzazione dell’economia

italiana. All'interno del settore, la crisi ha riguardato tutti i comparti, ad eccezione di alcuni servizi per

le famiglie (ricreativi, culturali, sociali e sanitari): vi è stato un intenso processo di

riorganizzazione delle imprese pubbliche con anche la terziarizzazione di alcuni servizi (es.

pulizie e ristorazione); e, in particolare, la privatizzazione di alcune grandi imprese operanti

nei comparti dei trasporti, delle telecomunicazioni e del credito e che hanno riguardato anche

imprese municipalizzate di servizi; ed è stata avviata una profonda riorganizzazione di

comparti – come ad esempio il commercio al dettaglio – che hanno risposto all'esigenza di

ammodernamento di una organizzazione caratterizzata da una larghissima presenza di

operatori di piccola dimensione. Dopo questa battuta d’arresto dei primi anni novanta, la capacità di creare occupazione del

terziario nel suo complesso è tornata ad essere assai elevata. Tale capacità, tuttavia, muta

notevolmente tra le diverse branche del comparto, concentrandosi soprattutto nei settori

tradizionali (alberghi e pubblici esercizi, trasporti). La crescita rimane sempre elevata nelle attività ricreative, culturali e sportive e nei servizi

professionali e imprenditoriali, mentre appare assai ridotta nei settori quali il commercio e le

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comunicazioni. Infine, l’analisi del modello di terziarizzazione dell’economia italiana e della sua evoluzione

recente evidenzia due aspetti significativi delle tendenze in atto: uno sviluppo maggiormente

legato alla domanda delle famiglie; una dinamica più vivace per quelle attività classificate

come “servizi avanzati”. Tra il 1992 e il 2000 la quota di mercato dei servizi consumati dalle famiglie è passata infatti

dal 37 al 44%; mentre si è ridotta quella dei servizi collettivi (dal 23 al 19%) e quella dei

servizi acquistati dalle imprese (dal 36 al 34%). Sempre nello stesso periodo, i “servizi avanzati”, sono passati dal 39,3 al 42,2% dei servizi

consumati dalle imprese e dal 5,4 al 12% di quelli consumati dalle famiglie. 2 Sviluppo dei servizi nelle economie avanzate Negli ultimi trent’anni l’importanza dei servizi nell’economia è andata costantemente crescendo

in tutti i paesi industrializzati. Tra i principali paesi, Stati Uniti, Francia e Regno Unito mostrano un grado di terziarizzazione

nettamente superiore rispetto a Germania e Giappone, che come è noto sono paesi in cui la

manifattura ha costituito fino ad anni recenti il “motore” dello sviluppo. L’Italia degli anni settanta, come evidenziato nel paragrafo precedente, era invece il paese con

la più bassa quota di occupati nei servizi. Un primato che comunque in un decennio viene

cancellato, superando anche Germania e Giappone. Questo progresso nella terziarizzazione del

paese subisce nel corso dei primi anni novanta un vistoso e prolungato rallentamento da

ricondursi ad processo di ristrutturazione che ha interessato tutti i comparti. Bisogno attendere

gli anni più vicini a noi per registrare una ripresa dell’occupazione terziaria, fondata, come

vedremo di seguito, su basi nuove.

3 Un nuovo processo di terziarizzazione dell’economia italiana che prende forma a partire dai

primi anni novanta Negli anni novanta si è assistito a una notevole ricomposizione delle attività all’interno del

settore dei servizi con un profondo processo di trasformazione qualitativa dell’offerta, solo in

parte già avviato negli anni ottanta. In questa prospettiva, tra le tendenze di maggior rilievo si evidenziano: la ristrutturazione del

settore commerciale, del credito, dei trasporti; il declino occupazionale della pubblica

amministrazione; lo sviluppo dei servizi alle imprese (informatica, attività professionali e

imprenditoriali) e dei servizi alle famiglie, nuovi o rinnovati. Questi processi si sono resi

evidenti con la crisi occupazionale del periodo 1992-1995, la più profonda degli ultimi decenni. Negli anni 1992-1994, il settore dei servizi, nel suo insieme, ha per la prima volta subito una

contrazione stimata nell’ordine dei 374 mila occupati, il 41% dell’intera perdita occupazionale

nel periodo. Successivamente accanto al perdurare della crisi in alcuni comparti, come i trasporti e le

comunicazioni, si è contrapposto il “decollo” dei servizi alle imprese mentre si è accelerato

l’ammodernamento del settore commerciale. Dalla crisi e dalla ristrutturazione dei diversi comparti dei servizi è maturato un insieme di

trasformazioni strutturali che merita di essere osservato con attenzione considerando,

dapprima, la dinamica dei servizi per destinazione economica finale. Nel 1992, la quota dei servizi destinat i alle famiglie e alle imprese era pressoché identica,

rispettivamente il 37% e il 36%, mentre i servizi collettivi rappresentavano il 23% e quelli di

esportazione solo il 4%. Nel corso del periodo 1992-2000, il cambiamento nella composizione dei servizi per

destinazione economica ha portato a un progressivo rafforzamento di quelli destinati alle

famiglie, che hanno raggiunto nell’ultimo anno il 43% del totale. La corrispondente

diminuzione nelle altre componenti si riflette nel calo della quota dei servizi collettivi, scesa dal

23 al 19%, e in misura minore, su quella dei servizi alle imprese, passata dal 36% al 34%. È

invece rimasta invariata attorno al 4% la quota dei servizi esportati.

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I fenomeni di modernizzazione e innovazione organizzativa del terziario possono essere

osservati anche analizzando l’evoluzione qualitativa dei servizi. Distinguendo questo universo

in attività di servizio “avanzate”, “emergenti” e “tradizionali” si scopre che c’è stato un

aumento nell’aggregato riconducibile alle attività così dette “a v a n z a t e ”. A questo

proposito giova ricordare che tra i “servizi avanzati” figurano, tra le altre, le attività delle

telecomunicazioni, l’intermediazione monetaria e finanziaria, l’informatica e attività connesse, la ricerca e sviluppo e numerosi servizi alle imprese. Tra i servizi

“emergenti” si collocano invece quelle attività connotate da elevati tassi di crescita, come ad

esempio l’assistenza sociale, lo smaltimento dei rifiuti, le attività ricreative, culturali e sportive,

le attività ausiliarie dei trasporti. Incrociando le due tassonomie, si può osservare come i servizi destinati alle imprese hanno

subito, tra il 1992 e il 2000, una profonda trasformazione che si è manifestata con un aumento

del peso dei servizi “avanzati” dal 39 al 42% cui corrisponde una contrazione del peso specifico

dei servizi “tradizionali” dal 49 al 45%, mentre il peso relativo dei servizi “emergenti” alle

imprese è variato di poco. Per quanto riguarda i servizi alle famiglie è ancor più evidente l’aumento di peso dei servizi

“avanzati” la cui incidenza, che nel 1992 era nell’ordine del 5%, sale di 7 punti percentuali e

arriva al 12%. Per contro, nel periodo in esame si riduce, dall’84% al 77%, la quota dei servizi

“tradizionali” mentre, anche in questo caso rimane pressoché invariata la quota dei servizi

“emergenti”. La maggiore importanza delle attività di servizio più “moderne” emerge chiaramente per

alcune componenti quali l’informatica e le telecomunicazioni, mentre tra le attività

“tradizionali” si registrano le difficoltà del commercio specializzato.

4 Struttura delle imprese dei servizi in Italia e in Europa L’espansione del terziario è la risultante di un insieme di fattori tra cui oltre alle trasformazioni

demografiche e sociali vi è una componente importante rappresentata dalla crescente

domanda espressa dalle imprese di servizi esterni offerti da fornitori specializzati. La domanda

proveniente dal sistema produttivo ha interagito con la crescita quantitativa e con la

differenziazione qualitativa del consumo di servizi da parte delle famiglie determinando una

continua espansione dell’offerta di servizi. Lo stesso settore dei servizi, sotto la spinta dei processi di terziarizzazione ha mutato pelle,

cambiando la composizione settoriale dell’occupazione e del valore aggiunto, determinando

una configurazione strutturale del sistema delle imprese notevolmente diversa rispetto a quella

dell’inizio del decennio. A livello europeo la modernizzazione dell’apparato produttivo si è associata alla crescita dei

servizi ad alta intensità di conoscenza (knowledge based) che comprendono i servizi alle

imprese, le comunicazioni e i servizi finanziari. Queste attività rappresentano, con tutta

evidenza, una fonte di innovazione che “contamina” anche altri settori economici che

beneficiano dei trasferimenti di conoscenza e della maggiore specializzazione delle attività. Nel panorama europeo dell’offerta di servizi, l’Italia rappresenta poco meno di un quinto delle

oltre 12 milioni di imprese dell’Unione europea, ma conta poco più di un decimo degli addetti e

vanta una quota simile di fatturato. La ridotta dimensione media delle imprese terziarie italiane è un fenomeno che riguarda tutte

le attività dei servizi e in particolare il commercio e le attività professionali con rare eccezioni

di comparti maggiormente concentrati. In Italia poco meno dei due terzi dell’occupazione nei servizi è assorbita da imprese con meno

di dieci addetti, mentre in ambito europeo la quota di occupazione nelle piccole imprese è

ampiamente inferiore al 50%. Per contro, nelle imprese con almeno 250 addetti opera a livello

europeo circa un terzo degli addetti ai servizi mentre, in Italia, nelle aziende di maggiori

dimensioni si colloca meno di un sesto degli addetti. Nell’Unione europea sono attive oltre 18 milioni di imprese. Di queste, circa tre quarti, quasi

14 milioni, operano nei servizi, impiegano oltre 70 milioni di addetti e generano 11 mila

miliardi di euro di fatturato. La loro dimensione media (5,1 addetti) è pari a circa un terzo di quella delle imprese

dell’industria in senso stretto. Le grandi imprese dei servizi (quelle con almeno 250

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dipendenti), che rappresentano nel complesso lo 0,2% del totale delle imprese dei servizi,

assorbono poco più di un terzo degli addetti e quasi la metà del fatturato. Sempre nell’Ue, oltre l’80% delle imprese dei servizi si concentra nei settori del commercio

(48%), delle attività professionali e imprenditoriali (16%) e degli altri servizi alla persona

(18%). Questi settori rappresentano i tre quarti degli addetti e poco più della metà del

fatturato del terziario, con una dimensione media inferiore a 5 addetti per impresa. I settori dell’intermediazione monetaria e finanziaria generano oltre un terzo del fatturato delle

attività terziarie, pur rappresentando poco più del 2% delle imprese. Il 7% delle imprese dei

servizi è inoltre attiva nei settori dei trasporti e comunicazioni (8,5 addetti in media per

impresa), mentre le attività dell’informatica (5,4 addetti per impresa), dove sono attive meno

del 2% delle imprese dei servizi, esprimono l’1% circa del fatturato. In Italia, le imprese sono poco meno di 3,8 milioni, occupano 13,6 milioni di addetti e

realizzano un valore aggiunto di 885 mila miliardi di lire. Nei vari comparti dei servizi

(escludendo le banche e gli intermediari finanziari) sono attive oltre 2,5 milioni di imprese, che

occupano complessivamente più di 7 milioni di addetti: queste imprese hanno generato, nel

1997, un fatturato pari a un milione 674 mila miliardi di lire e un valore aggiunto di 416 mila

miliardi. Le imprese italiane dei servizi sono caratterizzate da dimensioni e grado di concentrazione

generalmente inferiori rispetto alla media Ue. Se si escludono alcuni settori dei trasporti e delle

comunicazioni, le grandi imprese rappresentano quote ridotte dell’occupazione: nel

commercio, in particolare, la quota degli addetti delle grandi imprese è pari in Italia a circa un

terzo di quella media comunitaria. La realtà strutturale del terziario italiano è comunque tutt’altro che omogenea: un esame più

dettagliato mette in evidenza significative diversità nella struttura e nei risultati economici

delle imprese. Oltre ai settori, a diretto contatto con il consumatore, in cui prevalgono le piccole e le

piccolissime imprese (che rappresentano il 71% dell’occupazione terziaria), esiste un tessuto

di attività di tipo infrastrutturale. Questo, sebbene ancora non pienamente sviluppato (14,2%

dell’occupazione) e caratterizzato da ridotte dimensioni medie d’impresa (5,6 addetti), mostra

alcuni importanti segni distintivi: significativa presenza di imprese di medie e grandi

dimensioni; livelli delle retribuzioni e del costo del lavoro, relativamente elevati, associati a consistenti margini di profitto; migliore qualità dei

modelli organizzativi e gestionali, testimoniata da un maggior ricorso alle spese di pubblicità,

analisi di mercato, formazione, progettazione e design.

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5 Terziarizzazione del mercato del lavoro: un processo europeo A partire dagli anni ottanta, nei paesi industrializzati, lo sviluppo dei servizi ha rappresentato

la più importante componente nella crescita dell’occupazione. Parallelamente è sensibilmente

cresciuto (vedi il successivo paragrafo) il livello dell’occupazione femminile e si sono diffuse

forme di lavoro non tradizionali, atipiche e flessibili, soprattutto tra le donne e tra i giovani

occupati. Terziarizzazione, femminilizzazione e precarizzazione sembrano oggi essere tre termini la cui

associazione tende a modificare sensibilmente il mercato del lavoro. Nel corso degli anni novanta il mercato del lavoro italiano si è avvicinato, per struttura e

dimensione, a quello degli altri paesi europei ove, pur permanendo forti specificità nazionali, si

osservano processi di convergenza. Dal 1995 al 2000 l’occupazione nei paesi dell’Unione europea è aumentata di 10,3 milioni di

addetti, con un tasso di variazione annua dell’1,7% e in virtù di questa dinamica, nel 2000, gli

occupati nell’Unione europea erano oltre 158 milioni. In Italia la crescita è stata di 987 mila

unità, pari al +1,2% su base annua, portando gli occupati nel 2000 a poco meno di 21 milioni. L’aumento occupazionale non ha interessato tutti i settori nella stessa misura. La crescita si è

concentrata nei servizi, cresciuti di 10,3 milioni di unità, assorbendo l’intero saldo

occupazionale attivo, mentre l’aumento nell’industria, è stata di poco superiore al milione di

individui occupati, all’incirca ha compensato l’identica caduta occupazionale osservata in

agricoltura. Nel 2000 gli occupati nei servizi nei paesi dell’Unione europea ammontano a poco

meno di 106 milioni di individui, il 2,6% annuo in più rispetto al 1995. I principali comparti dei servizi hanno contribuito in misura diversa alla

dinamica del settore. In tutti i principali paesi dell’area dell’euro, il comparto terziario che cresce di più è quello

relativo ai Servizi alle famiglie (oltre 4 milioni 100 mila unità nell’Ue nel complesso), seguiti dai

Servizi alle imprese (+3 milioni 699 mila unità), da quelli distributivi (+1 milione 869 mila

individui) e, infine, dalla Pubblica amministrazione (+613 mila addetti). L’Italia costituisce

un’eccezione, in quanto l’incremento maggiore si registra nei Servizi alle imprese (+518 mila

unità contro +330 mila dei servizi alle famiglie). Tuttavia, se invece dei valori assoluti si considera il tasso di incremento medio annuo, i Servizi

alle imprese si dimostrano ovunque il comparto più dinamico con un +5,5% nella media

comunitaria e addirittura un +7,4% in Italia. All’opposto, la Distribuzione e la Pubblica

amministrazione evidenziano tassi di crescita più contenuti. Il confronto dell’incidenza del terziario e dei comparti che lo compongono nei diversi paesi

costituisce un indice del grado di terziarizzazione dei principali mercati del lavoro del vecchio

continente. Il peso dei servizi sull’occupazione totale, per l’Unione europea nel complesso, è

del 66,8%. I principali paesi dell’area dell’Euro presentano una struttura occupazionale

abbastanza simile: il peso dei servizi sull’occupazione totale oscilla tra il 63% dell’Italia e il

69,5% della Francia, il paese in cui il processo di terziarizzazione è più avanzato. Ulteriori elementi sul grado di sviluppo del settore dei servizi possono essere ricavati

dall’esame del rapporto tra il numero di occupati nel terziario e la popolazione in età attiva.

Nella letteratura economica, infatti, viene sottolineato da tempo come la differenza fra i tassi

di occupazione delle economie avanzate dipende in larga parte dallo sviluppo del settore dei

servizi e la stessa estensione del mercato del lavoro e dell’occupazione dipendono

dall’estensione del terziario. Mentre l’escursione della quota di popolazione in età di lavoro

occupata nel settore industriale tra i paesi Ocse è relativamente contenuta (dal 13 al 28% nel

1988) quella relativa ai servizi è di gran lunga maggiore. La quota di popolazione in età lavorativa occupata nel settore dei servizi, nei paesi Ocse, varia

dal 12 al 57% e costituisce il fattore fondamentale della variazione del tasso di occupazione. In

particolare l’osservazione di tale indice per l’Unione europea quantifica l’incidenza dei servizi

sul totale della popolazione in età lavorativa nel 42,7%, con valori inferiori per Italia e Spagna,

paesi in cui la diffusione dei servizi resta inferiore rispetto alla media comunitaria. Con

l’eccezione della pubblica amministrazione, nel nostro paese risultano sotto-dimensionati tutti i

comparti dei servizi, in particolare i servizi alle famiglie, avvalorando l’ipotesi che per l’Italia

l’obiettivo della sostanziale crescita del tasso di occupazione richieda ancora un consistente

sviluppo di tali tipologie di servizi.

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6 Terziarizzazione e occupazione femminile, diffusione di forme di impiego non tradizionale in

Italia e in Europa In tutti i paesi dell’Unione europea la crescita occupazionale ha coinvolto in misura

considerevole la componente femminile. Tra il 1995 e il 2000, nell’Unione europea nel

complesso l’occupazione femminile è cresciuta di oltre 6 milioni di unità, mentre quella

maschile di 4 milioni 252 mila individui. In Italia l’occupazione femminile è cresciuta di 635

mila unità, ad un tasso di variazione medio annuo del 2,2%, contro lo 0,7% di quella maschile. A questo processo hanno contribuito una molteplicità di fattori a partire dalle trasformazioni

socio-demografiche che stanno modificando il volto della famiglia e il ruolo della donna al suo

interno. Gran parte dell’occupazione femminile è tradizionalmente assorbita dal terziario che,

nel 2000, occupava quasi 55 milioni di donne nei quindici paesi dell’Ue, ben l’81,3% del totale

delle occupate. Giova infatti ricordare che l’occupazione femminile nell’industria è di poco

superiore ai 10 milioni di addetti mentre in agricoltura ammonta a 2,3 milioni di unità. In Italia

l’incidenza del terziario sull’occupazione femmini le è inferiore a quella della media europea di

ben 6,2 punti percentuali

Nel complesso dell’Unione europea il terziario è l’unico settore a prevalenza femminile. Le

donne costituiscono, infatti, il 51,8% dell’occupazione mentre in agricoltura sono un t erzo del

totale e nell’industria circa un quarto. L’Italia si distingue dai principali partner europei per la

minor incidenza dell’occupazione femminile che non va oltre il 43,9% dovuta a valori inferiori

alla media Ue in tutti i comparti.

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Anche la diffusione di forme contrattuali alternative al lavoro a tempo pieno a tempo

indeterminato, quindi a tempo determinato o a tempo parziale, ha caratterizzato la crescita

occupazionale negli anni novanta. Nel 2000 circa 28 milioni di persone nell’Ue erano occupate

a tempo parziale (il 17,9% dell’occupazione totale) e quasi 18 milioni a tempo determinato

(l’11,2%).

7 Effetti della terziarizzazione sui conti economici nazionali dell’Italia Il contributo dei servizi alla crescita dell’occupazione e all’incremento del valore aggiunto è

riportato nella tabella 6. L’occupazione complessiva rimane sostanzialmente invariata (+0,6%). Tale risultato è frutto di

dinamiche molto diverse delle diverse branche di attività economica e, in particolare, il

terziario è l’unica branca ad

offrire un contributo positivo alla crescita dell’occupazione (+6,7%), il che contribuisce a

spiegare la crescita del valore aggiunto del settore (+15,9%). Gli altri settori, invece,

conseguono notevoli guadagni di produttività e perdite nette di occupazione. Il rapporto tra unità di lavoro (Ula) e occupati è in leggera flessione per il complesso

dell’economia (-0,6%). In termini algebrici, ciò corrisponde a una minore quantità di lavoro per ciascun occupato con

una attività principale o unica nel settore. Ciò può dipendere: a) da una relativamente

maggiore diffusione del part time; d) da una maggior peso del lavoro stagionale; b) da una

relativa minore diffusione del fenomeno del doppio lavoro; c) da un maggior ricorso alla cassa

integrazione guadagni. Tale rapporto si presenta tuttavia in crescita per l’industria (industria in

senso stretto e costruzioni), dove il minor ricorso alla cig prevale su un’eventuale aumento

della diffusione del part time. Al contrario la quantità di lavoro media per occupato diminuisce

nell’agricoltura e nei servizi, dove l’effetto della cig non è apprezzabile e invece sono noti i

fenomeni di diffusione del part time e del lavoro stagionale. Per esaminare con maggiore dettaglio le differenze nei comportamenti all’interno del terziario

si possono considerare, prendendo come base il 1992, i valori raggiunti nel 2000

dall’occupazione e dal valore aggiunto a prezzi costanti di alcuni comparti. Risulta evidente come tre comparti mostrano una forte espansione, sia in termini di

occupazione che di valore aggiunto: Informatica e ricerca, Attività ricreative e culturali e Altre

attività professionali e imprenditoriali, comparto, quest’ultimo, che raccoglie gran parte dei

servizi per le imprese. All’altro estremo si trovano i comparti che hanno attraversato, o stanno attraversando, una

Page 12: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

fase di minore dinamismo, con una crescita dell’occupazione e del valore aggiunto inferiori alla

media del settore dei servizi. È il caso della Pubblica amministrazione, a ancor più

dell’Istruzione, seguiti, dalle Attività immobiliari e di noleggio, dai Trasporti e dagli Altri servizi

personali. I comparti in cui l’incremento dell’occupazione è inferiore alla media dei servizi mentre, nel

contempo, l’incremento del valore aggiunto è superiore sono le Poste e telecomunicazioni,

l’Intermediazione monetaria e finanziaria e, in misura meno accentuata, il Commercio. Questo

andamento allude ai profondi processi di ristrutturazione che hanno interessato tali comparti

nel corso degli anni 90. Infine, i comparti con un maggiore aumento dell’occupazione sono Alberghi e ristoranti e, in

misura minore, Sanità. Si tratta di comparti “tradizionali” con un peso in termini di

occupazione decisamente superiore a quello in termini di valore aggiunto (circa il 22% contro

circa il 13%). Dopo la battuta d’arresto dei primi anni novanta, la capacità di creare occupazione del terziario

nel suo complesso è comunque tornata ad essere assai elevata: nel periodo 1992-2000 oltre

l’80% della crescita del valore aggiunto a prezzi costanti (deflazionato) del terziario è spiegata

dalla crescita

occupazionale. Tale capacità, tuttavia, muta notevolmente tra le diverse branche del

comparto, concentrandosi soprattutto nei settori “tradizionali” (Alberghi e pubblici esercizi,

Trasporti) ma rimanendo elevata anche in settori in forte espansione quali le Attività ricreative,

culturali e sportive e le Attività professionali e imprenditoriali; viceversa, appare assai ridotta

in aggregato la capacità di creare occupazione di un settore quale il Commercio; per altri, in

primo luogo le Comunicazioni, il saldo occupazionale è addirittura negativo. Per quanto riguarda la quantità di lavoro media per occupato la riduzione è abbastanza

generalizzata, con una punta nel Commercio al dettaglio (-3,8%); in controtendenza invece il

comparto delle Attività immobiliari e del noleggio. 8 Terziarizzazione del mercato del lavoro: aspetti salienti della situazione italiana Con riguardo al caso italiano può essere utile riassumere almeno le principali trasformazioni

maturate nel mercato del lavoro. La crescita occupazionale, come abbiamo visto, non ha

riguardato nella stessa misura tutti i settori dell’economia. Tra il 1995 e il 2000 l’occupazione

complessiva è aumentata di 1 milione e 91 mila unità, pari al +5,5%. In tale contesto nel

Page 13: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

terziario si è osservato un incremento di 1 milione 278 mila unità (+10,7%), mentre

l’Industria in senso stretto e l’Agricoltura hanno fatto registrare una contrazione del numero di

addetti. Nel 2000 il settore dei Servizi assorbe pertanto 13 milioni e 193 mila addetti, pari al 63% degli

occupati, contro il 24,4% dell’Industria in senso stretto, il 7,7% delle Costruzioni e il 5,3%

dell’Agricoltura . La crescita dei comparti dei servizi è molto differenziata e l’incremento più cons istente, in

parte imputabile a fenomeni di outsourcing, si registra nei Servizi alle imprese (518 mila

unità), al cui interno spiccano i Servizi alla produzione (+491 mila addetti). La dimensione

dell’incremento occupazionale dei servizi alle imprese oscura in parte la crescita che si è avuta

negli altri comparti del terziario. Nell’ambito dei servizi distributivi i comparti più dinamici sono risultati quelli che incidono

meno sull’occupazione complessiva, in particolare il Commercio all’ingrosso e intermed iari e i

Trasporti, mentre il Commercio al dettaglio, che da solo assorbe 2,7 milioni di addetti, ha

avuto una crescita limitata.

I Servizi alla persona si sono rivelati tra i più dinamici in particolare in virtù della crescita dei

Servizi ricreativi e culturali e degli Alberghi e della ristorazione. L’incremento occupazionale è stato ben diverso tra i sessi, con un +10,9% per le donne (+764

mila unità) e solo un +2,5% per gli uomini (+326 mila). Le donne occupate nel terziario, tra il 1995 e il 2000, sono aumentate di 832 mila unità,

mentre nell’industria in senso stretto l’incremento è stato molto contenuto mentre vi è stata

una netta flessione in agricoltura. Il terziario assorbe da solo quasi i tre quarti delle occupate e

la quota delle donne sul totale dell’occupazione nel settore cresce di 2,3 punti percentuali

attestandosi nel 2000 al 43,8%. Le donne aumentano la loro quota di occupazione sia nei servizi alle imprese che nei servizi

sociali, con saldi, tra il 1995 e il 2000, rispettivamente di +273 mila e +253 mila unità, contro

una crescita di 164 mila addette nella distribuzione e 142 mila nei servizi personali. Meno

rilevanti i saldi occupazionali per le donne nella sanità (+99 mila unità) e nella pubblica

amministrazione ( +79 mila unità). Un elemento che ha contribuito alla crescita della componente femminile dell’occupazione nei

servizi è costituito dalla diffusione di rapporti di lavoro non tradizionali. In particolare per le donne si osserva un incremento molto marcato dei contratti a tempo

parziale, la cui incidenza sull’occupazione complessiva nel terziario è salita, negli ultimi cinque

Page 14: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

anni di 4,5 punti percentuali, portandosi nel 2000 al 17,1%. Tale incremento ha interessato

tutti i comparti del terziario, sia quelli più dinamici, come i servizi alle imprese, che quelli che

sono cresciuti di meno, come i servizi sociali. Per gli uomini, invece, la crescita è stata molto

più contenuta (1,5 punti percentuali ma del resto molto più piccola è la quota di maschi

occupati a tempo parziale nel terziario. La crescita dell’incidenza dell’occupazione a tempo determinato nel terziario non è correlata da

scansioni significative per i sessi poiché è stata lievemente superiore per le donne (+2,8%)

rispetto agli uomini (+2,1%). L’incidenza dell’occupazione a termine, nel 2000, è per le donne

nell’ordine del 9,5%, molto al di sotto di quella dell’occupazione a tempo parziale, mentre per

gli uomini è del 5,4%, simile a quella del part time.

Page 15: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Capitolo 2

1 Occupazione I dati che abbiamo esaminato nel capitolo precedente danno un quadro complessivo

dell’andamento dell’occupazione. Ciò fotografa solo una parte della realtà. Dentro molti settori sono infatti intervenute modifiche

strutturali che hanno comportato un’evoluzione molto differenziata, in alcuni casi opposta, per

l’occupazione dipendente e quella indipendente (o “autonoma”). Possiamo verificare tali

dinamiche, spesso divergenti, nella Figura 2.

Nel Commercio al dettaglio tale differenziazione è estremamente marcata: a fronte di una

crescita nel periodo considerato (1992-2000) di quasi 30 punti percentuali dell’occupazione

dipendente vi è un riduzione di quasi il 18% dell’occupazione indipendente. Un fenomeno

analogo, anche se su scale ridotta, si registra anche per gli Altri servizi pubblici (Smaltimento

rifiuti, Lavanderie, Parrucchieri e simili, Associazionismo). Nella vendita di Autoveicoli e

carburanti la flessione dell’occupazione indipendente è fortissima, a fronte di una sostanziale

stabilità di quella dipendente. All’opposto nelle Attività immobiliari e noleggio ad una crescita sostenuta dell’occupazione

indipendente (oltre il 20%) fa riscontro una riduzione secca di quasi 12 punti di quella

dipendente, In entrambi i comparti di Alberghi e Pubblici esercizi a incrementi eccezionali

dell’occupazione dipendente fanno riscontro incrementi relativamente modesti di quella

indipendente. In Informatica e ricerca (maggior crescita dell’occupazione dipendente), nelle Attività

professionali e servizi alle imprese (maggior crescita di quella indipendente) e nel Commercio

all’ingrosso e intermediari (maggior crescita dei dipendenti) la differenza è marcata ma non

così macroscopica. Solo nelle Attività ricreative, culturali e sportive gli incrementi sono grosso

modo allineati. Il dato prevalente è comunque quello della crescita della quota relativa del lavoro dipendente

sull’occupazione complessiva (figura 3). Tale è infatti la tendenza nel Commercio, negli

Page 16: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Alberghi e pubblici esercizi e negli Altri servizi pubblici. Tale quota resta invece sostanzialmente

stabile in Informatica e ricerca e nelle Attività ricreative, culturali e sportive. In controtendenza

invece Attività immobiliari e noleggio, dove la quota relativa dell’occupazione dipendente si

riduce nel periodo esaminato in modo significativo.

Un’altra spia delle trasformazioni che investono il mondo del terziario privato è rappresentata

dl rapporto tra Unità di lavoro (=anni-uomo standard a tempo pieno) e Occupati. In particolare

una diminuzione di tale rapporto può essere il risultato di una maggiore diffusione del part

time. D’altra parte, ciò può essere anche il risultato della diminuzione del ricorso al doppio

lavoro, che può essere originato da occupati del settore o da occupati in altre branche di

attività economica. In ogni caso, per i dipendenti la quantità di lavoro apparentemente prestata per ciascun

dipendente generalmente si riduce tra il 1992 e il 2000. La riduzione è particolarmente

rilevante negli Alberghi e Pubblici esercizi. Significativa anche la riduzione nel Commercio al

dettaglio. In controtendenza invece Attività immobiliari e noleggio. A differenza di quanto abbiamo visto per i dipendenti, per gli indipendenti (figura 5) la quantità

di lavoro indipendente per occupato tende generalmente ad aumentare. Ciò è probabilmente la

spia oltre della non diffusione del part time – i valori assoluti del rapporto sono molto più

elevati che per i dipendenti – anche di una probabile crescita del doppio-lavoro indipendente.

Page 17: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

2 Produttività del lavoro

Page 18: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

La produttività del lavoro (figura 6), dipendente e indipendente, a prezzi costanti – cioè al

netto dell’inflazione specifica del settore – ha fatto segnare andamenti estremamente

differenziati da comparto a comparto. L’indice di produttività che utilizziamo è ottenuto

calcolando il rapporto tra valore aggiunto e unità di lavoro. Si tratta di una misura abbastanza

elementare della produttività del lavoro, che accomuna tra l’altro il lavoro dipendente con

quello indipendente.

Nel Commercio al dettaglio e all’ingrosso la crescita a prezzi costanti è stata allineata a quella

media dell’Economia. Eccezionalmente positivi da questo punto di vista i risultati di Autoveicoli

e carburanti e dell’Informatica e ricerca, pari o prossimi al 40% nell’intervallo 1992-2000. Minimi o negativi invece i guadagni di produttività a prezzi costanti negli Alberghi e Pubblici

esercizi, nelle Attività immobiliari e noleggio, nelle Attività professionali e servizi alle imprese,

negli Altri servizi pubblici e nei Servizi domestici. Si tratta peraltro (con l’ecc ezione delle

Attività immobiliari) di comparti con un forte sviluppo dell’occupazione, soprattutto dipendente

ma anche (con l’eccezione degli Altri servizi pubblici) anche autonoma. Si tratta di settori non

investiti da pesanti processi di ristrutturazione e dove invece prevale la crescita della domanda

per questo tipo di servizi. Una situazione grosso modo analoga – basso incremento della produttività ed invece crescita

dell’occupazione – caratterizza le Attività ricreative, culturali e sportive dove però la crescita

della produttività a prezzi costanti è leggermente superiore ai casi precedenti, anche se ben

distante da quella del complesso dell’economia. Per quanto riguarda la produttività calcolata a prezzi correnti (o “nominale”), cioè in base al

valore aggiunto pro capite non deflazionato il dato medio dell’economia risulta in qualche

misura “gonfiato” da quanto avvenuto nel comparto delle Attività immobiliari dove si colloca la

locazione di fabbricati, che ha conosciuto una crescita molto sostanziosa dei prezzi del proprio

output/prodotto (quasi il 68%). Questo dovrebbe dipendere essenzialmente dalla crescita

recepita dall’Istat dei canoni di locazione. Si tenga presente che il valore aggiunto delle Attività immobiliari assume una notevole

importanza per l’economia nazionale, rappresentando il 10% del Pil, cioè quanto l’insieme del

Commercio al dettaglio e all’ingrosso. Una crescita record della produttività nominale caratterizza anche la vendita di Autoveicoli e

Page 19: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

carburanti, in questo caso tuttavia supportata da una forte crescita a prezzi costanti. Fatte queste premesse, la crescita della produttività del lavoro a prezzi correnti nel Commercio

al dettaglio, dall’Informatica e ricerca e dalle Attività professionali e servizi alle imprese per

quanto di qualcosa inferiore alla media nazionale risulta comunque in linea con quella di molti

altri comparti. Addirittura superiore alla media nazionale la crescita nominale della produttività

negli Alberghi, campeggi ecc. Per quanto riguarda l’apporto “inflazionist ico” dei singoli comparti, misurabile con lo scarto tra

la crescita della produttività a prezzi correnti e prezzi costanti (vedi sempre la figura 6),

almeno metà dei comparti del terziario risultano sotto la media nazionale. In particolare

Commercio all’ingrosso e intermediari, Attività ricreative, culturali e sportive e Informatica e

ricerca hanno dato un impulso veramente contenuto alla crescita di prezzi. Inferiore alla media

nazionale anche la componente inflazionistica originata dagli Altri servizi pubblici, dalla

Ristorazione e dal Commercio al dettaglio. Eccezionale, come abbiamo già sottolineato la dinamica inflazionistica di Attività immobiliari e

noleggio. Elevata anche la dinamica inflazionistica di Alberghi, campeggi ecc. Su valori superiori alla

media ma non così anomali troviamo Autoveicoli e carburanti, Servizi domestici e Attività

professionali e servizi alle imprese.

3 Retribuzioni di fatto e slittamento salariale I dati che analizziamo sono le Retribuzioni (annue) medie lorde di fatto per unità di lavoro

(anno-uomo standard) desumibili dalla Contabilità nazionale. Quindi una grandezza che

risente, oltre delle dinamiche retributive vere e proprie, anche delle modifiche della

composizione dell’occupazione dipendente. Si tratta quindi di un indicatore utilizzabile con

molta prudenza con riferimento all’azione sindacale, soprattutto in settori che gli indicatori

occupazionali ma anche quelli di produttività segnalano in fortissima trasformazione. I settori del terziario privato si distribuiscono per quanto riguarda gli incrementi retributivi

medi nel

Page 20: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

periodo 1992-2000 in un ventaglio assai ampio. Si passa infatti dal 24% (valori non

deflazionati!) delle Attività immobiliari ad oltre il 44% per Informatica e ricerca. Incrementi

retributivi di fatto nettamente superiori alla media nazionale caratterizzano comunque molti

comparti del terziario (non che ciò comporti ancora livelli retributivi settoriali particolarmente

elevati rispetto alla media nazionale, tende anzi ed essere vero il contrario con l’eccezione di

Informatica e ricerca). Incrementi relativamente elevati, intorno al 40% si registrano anche per il Commercio al

dettaglio, le Attività professionali e servizi alle imprese e gli Alberghi, campeggi ecc. I dati di crescita nominale delle retribuzioni possono essere confrontati con la dinamica dei

prezzi del periodo: nella figura 7 proponiamo due indicatori di crescita dei prezzi: quello

convenzionale e piuttosto “moderato”, specie per un periodo così lungo, dell’indice dei prezzi al

consumo per le famiglie di operai e impiegati e quello del deflatore dei consumi delle famiglie

di Contabilità nazionale, che presenta un trend di crescita nettamente superiore al precedente

ed è probabilmente si avvicina maggiormente al concetto di inflazione effettiva. Si può così osservare (v. sempre la figura 7) che solo nelle Attività immobiliari e noleggio la

dinamica retributiva media lorda di fatto risulta nel periodo 1992-2000 inferiore alla crescita

dell’indice famiglie operai-impiegati. In ordine crescente, le Attività ricreative, culturali e

sportive, gli Altri servizi pubblici, la Ristorazione e la vendita di Autoveicoli e carburanti si

collocano tra l’inflazione convenzionale e quella “piena” e anche vicini all’incremento medio

nazionale delle retribuzioni di fatto. Sempre in ordine crescente, incrementi superiori anche alla crescita del deflatore “alto”

interessano il Commercio all’ingrosso e intermediari, i Servizi domestici, gli Alberghi, campeggi

ecc. il Commercio al dettaglio, le Attività professionali e servizi alle imprese e, come abbiamo

già sottolineato, Informatica e ricerca. Almeno per alcuni dei comparti analizzati possiamo mettere direttamente a confronto (figura

8) le retribuzioni di fatto e le retribuzioni contrattuali. L’esercizio (c he comporta qualche

approssimazione) permette di individuare la quota relativa della retribuzione di fatto che non

origina dalla applicazione delle tariffe previste dal Contratto collettivo nazionale di lavoro per

un orario di lavoro standard. Si tratta quindi di uno “slittamento salariale allargato” che

assomma molte voci diverse: dagli straordinari, dal secondo livello di contrattazione, alla

modifica qualitativa della composizione dell’ occupazione dipendente.

Page 21: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Per tutti e tre i comparti esaminati la quota di slittamento mostra negli anni 1992-2000 una

tendenza alla crescita. Notevole soprattutto l’incremento dello slittamento per Alberghi,

campeggi, ecc. la cui quota di slittamento supera nel 2000 il livello in partenza più elevato

della Ristorazione, arrivando a superare il 18% in media della retribuzione di fatto. Nel

Commercio la quota di slittamento, dopo una flessione nel 1996-97 ha ripreso a crescere,

sfiorando nel 2000 la quota del 10 % . I grafici successivi forniscono un quadro della scomposizione degli incrementi retributivi

derivanti dall’applicazione dei minimi del Ccnl e quelli aventi altra origine. Nella figura 9 abbiamo la disponibilità di una serie storica abbastanza lunga per il Commercio.

La quota di incremento della retribuzione di fatto dovuta alle componenti extra-Ccnl si è

mantenuta fino al ’95 intorno all’1%, a fronte però di una progressiva riduzione degli

incrementi derivanti dal Ccnl, grosso modo in linea con il processo di disinflazione

dell’economia italiana. Nella seconda parte degli anni 90 il tasso di crescita extra-Ccnl si è ridotto: come abbiamo

visto dalla figura 8 ciò dipende da quanto accaduto nel biennio 1996-97. Tranne il periodo

1993-95, la componente contrattuale di primo livello è riuscita a coprire la retribuzione di fatto

dalla dinamica inflazionistica. Lo slittamento allargato si è quindi tradotto in tali periodi in

crescita del potere di acquisto (prescindendo dall’aumento della pressione fiscale). Nel 1993-95 lo slittamento è riuscito a far tenere il passo alle retribuzioni al meno r ispetto

all’indice convenzionale di inflazione. Nella figura 9 abbiamo anche riportato i dati sulla

produttività del lavoro, scomposta tra la componente “di quantità” – cioè a prezzi costanti – e

“di prezzo” (cioè inflazionistica). L’ipotesi è quella di un diverso atteggiamento della parte datoriale verso la distribuzione degli

incrementi di produttività “da inflazione” – più disponibile – rispetto a quelli da incrementi

quantitativi della produttività legati a nuovi investimenti. In realtà, come spiegheremo anche

più avanti, in settori con una forte componente di lavoro indipendente un esercizio di questo

tipo ha senso solo fino ad un certo punto.

Page 22: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Emergerebbe comunque dalla figura 9 una tendenza alla distribuzione degli incrementi di

produttività a prezzi costanti già con l’azione sindacale di primo livello. Nella figura 10 riportiamo una serie storica più breve per gli Alberghi e la Ristorazione. In

questi casi spicca un incremento retributivo molto consistente determinato da componenti

extra-Ccnl nel periodo 1993-95. Nella seconda parte degli anni 90 la crescita dovuta alla

componente extra-Ccnl si ridimensiona fortemente, a fronte di un incremento derivante dal

contratto nazionale allineato con l’indice dei prezzi per famiglie di operai ed impiegati.

Page 23: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

4 Costo del lavoro dipendente e produttività del lavoro Nonostante la crescita dell’occupazione dipendente di questi ultimi anni, i comparti del terziario

privato restano caratterizzati dalla consistente presenza di lavoratori indipendenti. Nella misura

in cui, ed è la grande maggioranza, non si tratta di veri e propri imprenditori ma di soggetti

senza o con pochissimi dipendenti ciò rimanda a sistemi produttivi di tipo dualistico, solo

parzialmente riconducibili alla logica della distribuzione del prodotto lordo (valore aggiunto) tra

redditi da lavoro e profitti lordi. È problematico quindi ragionare in termini di quota distributiva

come si può fare in casi – l’Industria in senso stretto, il Credito – dove è si può

sostanzialmente assumere, con qualche limitata correzione, che quanto non viene distribuito al

lavoro dipendente del valore aggiunto vada ai profitti lordi delle imprese. Nella grande

maggioranza dei comparti del terziario, invece, quanto non va al lavoro dipendente va in primo

luogo al lavoro indipendente, cioè rappresenta un’altra forma di reddito da lavoro. Inoltre, la produttività del lavoro media di settore, l’unica calcolabile attualmente con i dati di

Contabilità Nazionale, risulta dalla combinazione tra i risultati delle imprese vere e proprie e di

quella del lavoro indipendente individuale o familiare. Nel caso di un dualismo tra un segmento

“tradizionale” e un segmento “moderno” composto da imprese strutturate la produttività del

lavoro sarà con ogni probabilità più elevata in questo secondo caso; sono possibili anche

situazioni opposte legate all’esistenza di fasce di lavoro indipendente di alta qualificazione,

anche in rapporto a professioni emergenti. Soprattutto in settori abbastanza aggregati quali quelli disponibili in Contabilità nazionale

possono “convivere” nello stesso settore realtà economiche anche molto diverse, con

andamenti che possono divergere sensibilmente. Ciò premesso, il confronto tra la crescita a prezzi correnti del costo del lavoro per dipendente

può quindi fornire risultati al più indicativi, in qualche caso addirittura contraddittori (figura 11

) .

Page 24: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

In alcuni casi (Autoveicoli e carburanti, Attività immobiliari e noleggio) infatti la crescita del

valore aggiunto supera in modo eclatante la crescita pro capite del costo del lavoro facendo

ipotizzare una crescita esponenziale dei profitti lordi che con ogni probabilità non si è verificata

effettivamente. In altri, particolarmente nel Commercio all’ingrosso e intermediari e nelle Attività ricreative,

culturali e sportive, sembrerebbe essere in presenza di una pressione addirittura drammatica

sui margini delle imprese, il che non appare evidentemente coerente con il forte sviluppo

dell’occupazione dipendente. Nel caso del Commercio al dettaglio gli indicatori appaiono invece convergere, con una leggere

prevalenza dell’incremento della produttività su quello del costo del lavoro. Abbastanza

“credibile” anche quanto si verifica in Alberghi, campeggi ecc. con uno scarto a favore della

crescita della produttività simile a quello che si verifica per il complesso dell’economia.

Page 25: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Capitolo 3

Prima di avviare l’analisi della struttura occupazionale nella sua articolazione per comparto,

dimensione d’impresa e area geografica, è indispensabile tracciare il quadro settoriale su cui si

è scelto di lavorare. Gli occupati sui cui si procederà nello studio sono infatti il risultato di una aggregazione di

comparto che fa riferimento agli incarichi di rappresentanza Filcams, che non sempre

corrisponde alla codifica settoriale Istat che viene utilizzata per le elaborazioni di contabilità

nazionale. Come evidente dall’Appendice 2, l’unico settore che trova corrispondenza alla tassonomia

Ateco91 è il commercio (Codice G50). Se si guarda il turismo, sono state sommate le attività alberghiere e di ristorazione (H55) con

e le attività delle agenzie di viaggio e degli operatori del turismo (I633), comparto che invece

nell’attribuzione Istat viene messo all’interno dell’aggregato Tr a s p o r t i . Ancora più articolata è la situazione nei servizi. Sotto questo settore la rappresentanza Filcams

mette insieme un’ampia porzione del terziario privato individuale. Precisamente l’articolazione

Ateco91 corrispondente alla categoria, somma alcuni servizi alle persone e quasi l’intero

raggruppamento dei servizi professionali e alle imprese (il dettaglio di comparto è disponibile in

Appendice 2). Nonostante questo sforzo di riprodurre la segmentazione settoriale definita dalla Filcams,

vanno evidenziate due discrepanze: una prima riguarda gli occupati delle “attività ricreative”

che in questo lavoro vengono studiati all’interno del settore dei servizi alla persona, mentre

sindacalmente sono gestiti all’interno del turismo; la seconda è nella mancanza dei serv izi

domestici pur facendo parte dell’area contrattuale della categoria, vuoto che va attribuito ad

un limite della fonte censimento intermedio che non ne consente la selezione. I dati che sono stati utilizzati in questo capitolo sono quelli del censimento. Sicuramente l’unica

fonte che non solo consente di identificare con notevole esattezza i confini settoriali delle aree

contrattuali della categoria, ma anche di distinguere le imprese in base alla dimensione, e

disegnare una mappa accurata di imprese e dipendenti a livello territoriale. Inoltre, è sempre grazie al censimento, e alla opportunità di accedere alla rilevazione dei

dipendenti per Sistemi Locali del Lavoro (Sll), che si può procedere ad una analisi territoriale e

per dimensione rispetto all’unità aziendale e non al soggetto giuridico impresa. Utilizzando i Sll: è possibile inquadrare con maggior precisione la collocazione geografica

dell’occupato rispetto alla sua presenza fisica, evitando quindi le distorsioni di attribuzione

amministrativa; ed è possibile cogliere la reale articolazione dimensionale in cui si organizza

l’attività produttiva di un settore. Dopo questa breve introduzione metodologica, si può passare a descrivere la composizione del

capitolo. I paragrafi su cui verrà declinata l’indagine sull’occupazione sono due: • con il primo si affronterà il tema dell’evoluzione occupazionale dal 1981 alla data del

censimento intermedio 1996, al suo interno la lettura verrà fatta sia guardando le dinamiche e

i mutamenti di composizione geografica per i tre macro settori (commercio, turismo servizi),

che analizzando i cambiamenti nell’assetto di comparto all’interno degli stessi aggregati; • attraverso il secondo paragrafo verrà presa in considerazione solo la componente

occupazionale dipendente, il dato verrà esaminato a partire dal settore per poi venir declinato

rispetto al fattore dimensionale e geografico.

1 Tendenze evolutive nel terziario privato; composizione geografica e di comparto nei settori

del commercio, turismo e servizi Nel corso di questi ultimi vent’anni il terziario corrispondente all’area contrattuale Filcams si

Page 26: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

caratterizza per un significativo processo di ridefinizione strutturale. In questo contesto, come

emerge dalla lettura delle statistiche di censimento, il dato occupazionale segue percorsi

evolutivi distinti per aggregazione settoriale. Già a partire dal dato tendenziale degli addetti (tabella 10), nel corso di questi due decenni, si

scoprono diversi comportamenti: il commercio difende i livelli occupazionali; il turismo

garantisce una buona crescita; mentre l’insieme dei comparti riconducibili ai servizi triplicano la

base occupazionale del 1981. Se si legge il risultato rispetto ai due periodi presi a riferimento, c’è una prima fase di crescita

diffusa (1981/1991) a cui va ricondotta la performance occupazionale dei servizi e turismo e la

tenuta per il commercio, seguita da un secondo momento – che va dal 1991 al 1996 – dove si

nota un processo maggiormente caratterizzato da fattori di adattamento e riorganizzazione

settoriale.

Il dato medio di ogni settore, ad eccezione del Nord-Est per il commercio, pur riproducendosi

con lo stesso segno nelle quattro macro aree di ripartizione del paese, mostra differenze

interessanti in termini di intensità di variazione. A questo proposito il risultato più significativo è quello del Mezzogiorno, l’area è capace di una

crescita straordinaria nei servizi, superiore al resto del paese, mentre fa registrare un

regressione più accentuata nel commercio (-7,5% contro una perdita media del 2,5%) e una

crescita nel turismo pari a un quarto di quella nazionale (3,7% contro una variazione media del

14%).

1 . 1 I mutamenti occupazionali attra v e rso un’analisi di comparto per i settori del commercio

e servizi I risultati tendenziali introdotti con il primo paragrafo possono essere interpretati rispetto al

comportamento dei singoli comparti che formano il settore.

Page 27: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Iniziando questo approfondimento dal commercio, come evidente dalla tabella 12, l’attività di

intermediazione, e quella del dettaglio non specializzato (al cui interno ci sono i grandi

magazzini e gli ipermercati) sono i comparti che hanno garantito le migliori performance di

crescita occupazionale. Se per il dettaglio non specializzato la crescita occupazionale è da

ricondursi a una strategia di estensione delle superfici di distribuzione, il raddoppio della base

occupazionale nell’intermediazione in parte può essere spiegato dalla rilevazione statistica di

un processo di esternalizzazione di questa fase del ciclo commerciale. Sempre positivi, anche se con ritmo relativamente più contenuto, sono: la vendita al dettaglio

di prodotti farmaceutici e di bellezza; la vendita al dettaglio di carburante; e l’attività di

ingrosso. Seguono invece una dinamica opposta, con casi di importanti perdite occupazionali: il

commercio di autoveicoli e moto (-4,3%); il dettaglio specializzato alimentare (-59%) e non

alimentare (-11%); la vendita ambulante (-30%). La disomogeneità nella dinamica occupazionale, effetto di una riorganizzazione del sistema

distributivo nella direzione dei grandi esercizi non specializzati, nonché della razionalizzazione

del ciclo commerciale, non ha mancato di modificare nel corso di questi due decenni l’assetto

occupazionale rispetto all’attribuzione di comparto. In altre parole, non si registrano notevoli variazioni nella base occupazionale (il dato degli

addetti nel periodo 1981–1996 subisce una variazione negativa per poco più di due punti

percentuali) ma, come evidenzia la tabella 12, cambiano significativamente i pesi di comparto. Precisamente, esercitandosi sulla comparazione 1981–1996, l’attività dove si nota un

importante cambiamento di peso rispetto all’intera base occupazionale del settore è il

commercio alimentare specializzato che è passato da un’incidenza del 16% del 1981 a poco

meno del 7% del 1996. Perdita che si spiega con una trasformazione a favore delle attività non

specializzate che diventano il 12,5% (7,2% nel 1981) della base occupazionale di settore. Altro risultato particolarmente visibile è quello dell’intermediazione, attività che pesava per il

4% nel 1981 e che oggi le statistiche gli attribuiscono quasi il 10% degli addetti di settore.

Ripetendo l’esercizio sin qui svolto sul commercio anche per i servizi, si scopre che per tutte le

attività di competenza contrattuale Filcams c’è stata una crescita degli addetti (tabella 13).

Pure qui come per il commercio bisogna ricorrere a ragioni di sviluppo – ma anche di

riorganizzazione con scelte di outsourcing – per spiegare gli aumenti esponenziali di alcuni

comparti. Ad esempio le attività professionali, i servizi tecnici, nonché servizi di pulizia e disinfestazione,

Page 28: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

sono tre comparti riconducibili a una tradizionale attività di servizio all’impresa che si spiegano

nella loro crescita esponenziale solo combinando un effetto sviluppo con un più forte effetto di

composizione organizzativa. Sempre rimanendo nell’ambito dei servizi alle imprese, non è un azzardo ipotizzare che il peso

dei fattori si capovolge a favore dello sviluppo quando si guardano le performance del

comparto informatico dove l’occupazione è quadruplicata in un periodo che va dal 1981 al

1996. Nel corso di quindici anni, nonostante la crescita diffusa, il risultato di composizione

occupazionale è mutato radicalmente. Concentrandosi sui servizi qui selezionati, nel 1981 la

base occupazionale riconducibile alla rappresentanza Filcams si divideva in modo equilibrato

tra servizi privati alle persone (attività ricreative e

altri servizi per la persona) e quelli alle imprese (gli altri otto macro comparti presenti in

tabella 13). Nel 1996, il forte balzo in avanti di alcuni comparti ha interamente spostato il

baricentro verso i servizi alle imprese, attività che oggi rappresentano più di due terzi

dell’occupazione complessiva.

2 I settori attraverso un’analisi dell’articolazione dell’occupazione dipendente per dimensione

d’impresa e area geografica

In questo paragrafo il dato occupazionale che fa riferimento all’area contrattuale Filcams verrà

analizzato solo prendendo a riferimento i dipendenti. Questi rappresentano il 42% della forza

lavoro occupata nel commercio; il 47% degli addetti nel turismo e il 54% nei servizi. Inoltre, la

lettura non riguarderà le dinamiche, bensì la composizione settoriale, la composizione

geografica per macro area e regione e, infine, l’attribuzione per dimensione d’impresa.

Page 29: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

2 . 1 Lavoratori dipendenti nel Commercio

La fonte censimento intermedio Istat attribuisce al commercio più di un milione di dipendenti

(figura 12). Precisamente, quasi 600 mila sono assegnati al macro comparto del commercio al

dettaglio, 200 mila alla vendita di auto e moto, e circa 500 mila riguardano ingrosso e

intermediazione.

Per tutti i comparti l’area di maggior concentrazione occupazionale è il Nord-Ovest (figura 13).

Si colloca invece all’estremo opposto, con pesi occupazionali simili, anche quando si declina la

lettura per ripartizione settoriale, il Sud e Centro Italia. I differenziali di concentrazione si

accentuano nel Commercio all’ingrosso e intermediari, con il 70 % degli occupati al Nord (43%

solo il Nord-Ovest), mentre si attenuano nel comparto dell’auto dove gli occupati si

distribuiscono in modo uniforme tra le quattro macro sezioni del paese.

Page 30: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Approfondendo la lettura geografica fino ad arrivare alle regioni, si verifica che il primato

occupazionale del Nord in gran parte va attribuito alla Lombardia. Come evidente dalla tabella

14, la regione Lombardia rappresenta poco più del 27% dell’occupazione dipendente

riconducibile al commercio; una presenza occupazionale intorno al triplo di Veneto, Emilia

Romagna e Piemonte che si collocano dal secondo al quarto posto come numero di dipendenti. Se si scende verso il Centro Italia, l’80% dell’occupazione si concentra in modo uniforme tra

Lazio e Toscana con quote di poco superiori al 7%, completano la presenza di occupati nel

settore, Marche e Umbria che accumulano il rimanente 4%. Anche per il Mezzogiorno, il dato occupazionale oscilla in modo significativo tra le otto regioni.

Le quote più importanti sono quelle di Sicilia e Campania, che con risultati analoghi

rappresentano quasi il 9% dell’occupazione nel commercio, e si attestano intorno alla metà

dell’intera presenza del settore nel Sud.

Page 31: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Rispetto al parametro dimensionale, l’occupazione dipendente nel commercio s i concentra per

più della metà in unità con meno di 15 dipendenti (figura 14). Sommando le micro e piccole

unità operative (fino a 49 dip.) si coinvolgono quasi tre quarti dei lavoratori del commercio. Il

dato si accentua se si guarda il comparto della vendita di auto e moto, mentre si attenua con il

commercio al dettaglio. Per quest’ultimo, la scelta di una riorganizzazione verso canali di

vendita non specializzati di dimensione medio grandi, ha garantito una presenza del 25% dei

lavoratori in unità con più di 250 addetti. Andando avanti nell’analisi della composizione dimensionale, è utile incrociare il dato con la

ripartizione geografica (figura 15). Mettendo a confronto le strutture occupazionali per macro

territorio si scoprono importanti differenze nell’organizzazione per dimensione d’impresa. Lo sbilanciamento verso le piccole realtà produttive progredisce spostandosi verso Sud; in

quest’area il commercio si concentra per oltre il 70% in micro aziende (con meno di 15 dip.) e

assorbe il 90% se si estende la lettura fino alle unità con 49 dipendenti. Come dimostra il

grafico 3, la presenza più importante di realtà medio grandi si registra nel Nord-Ovest con una

quota di dipendenti di poco inferiore a un quarto dell’intera base occupazionale. Anche scendendo a livello regionale (tabella 14) si scoprono significative differenze di

organizzazione commerciale. Nel Nord la situazione oscilla tra gli estremi opposti della

Lombardia, dove il 40% dell’occupazione è nelle medio-grandi imprese e la Liguria, dove tale

quota invece non supera il 15%; per il resto delle regioni il mix dimensionale oscilla intorno a

combinazioni di 3/4 occupati nelle piccole aziende e il rimanente 1/4 nelle grandi aziende. Per le regioni del Centro Italia, invece, si nota: una maggior omogeneità nella struttura

dimensionale, e una comune estensione sulle piccole aziende (in media 4/5 dell’occupazione).

Le differenze più rilevanti riguardano il Lazio, dove la concentrazione di occupati nella classe

con meno di 50 addetti raggiunge un picco dell’85%. Infine, per quanto riguarda il Sud, il risultato medio di una concentrazione dell’area nel

segmento delle piccole intono al 90%, prende forma attraverso la unione di realtà come

l’Abruzzo che riproduce il modello organizzativo del Centro Italia con Puglia e Campania dove

invece ci si attesta sotto il 10% per le realtà medio grandi.

Page 32: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

2.2. Lavoratori dipendenti nel Turismo

I lavoratori dipendenti nel turismo, secondo l’aggregazione di comparto qui selezionata, sono

poco più di 400 mila. Come ricostruito nella figura 16, ristoranti e alberghi sono i segmenti più

importanti (circa 120 mila dipendenti per ognuno); a questi si aggiungono quasi 70 mila

dipendenti dei bar, 55 mila delle mense, 24 mila dei campeggi, e poco più di 20 mila delle

agenzie di viaggio. A livello geografico (figura 16), la quota occupazionale attribuita al Nord supera il 60%,

ripetendo quindi il dato rilevato per il commercio. L’ordine invece cambia per le altre aree: nel

Centro Italia si concentra il 22% dei lavoratori; mentre nel Sud il restante 16%. Come mostra la tabella 15, il comparto che maggiormente si discosta dalla segmentazione

geografica dell’aggregato “turismo” sono le mense, queste infatti raggiunge un picco di

concentrazione nel Nord, con una quota vicina ai quattro quinti degli occupati. In effetti, si

tratta di un comparto che comprende anche le mense aziendali, e per questa ragione tende ad

assecondare la concentrazione territoriale delle medio grandi aziende.

Page 33: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Anche nel Turismo la Lombardia accumula una presenza occupazionale particolarmente elevata

rispetto alle altre regioni (tabella 15); il risultato è di quasi 90 mila dipendenti, che

corrispondono al 21% degli occupati del settore. Rimanendo nell’area settentrionale, si

distinguono anche il Veneto e l’Emilia Romagna con una concentrazione di lavoratori che

superano il 10% del totale. Guardando i risultati delle altre aree, si conferma lo stesso ordine

di concentrazione regionale presente nel commercio. Di nuovo, Lazio e Toscana trainano il

settore nel Centro Italia, dove sono occupati rispettivamente oltre 40 mila e 30 mila

dipendenti, mentre Sicilia, Campania e Puglia garantiscono due terzi dei 65 mila dipendenti

riconducibili al turismo nel Mezzogiorno.

Page 34: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Come evidente dalla figura 18, nel Turismo l’attività viene prevalentemente organizzata in

micro unità operative. Ad eccezione delle mense, la cui composizione dimensionale è capovolta

rispetto agli altri comparti, almeno la metà dei lavoratori opera in realtà con meno di 15

dipendenti. Naturalmente, la quota progredisce per Ristoranti e bar, mentre si attenua con gli

Alberghi, campeggi e agenzie. Costituisce comunque un dato da evidenziare, la presenza – anche se contenuta entro quote

mai superiori al 25% – di realtà produttive medie e grandi in tutti i comparti riconducibili al

turismo, compresi bar e ristoranti. Sempre guardando al fattore dimensionale, si potrebbe definire effetto Lombardia, il risultato

di composizione del Nord-Ovest che garantisce un maggior equilibrio tra le diverse classi

d’impresa. Si tratta infatti dell’unica regione dove l’occupazione si ripartisce in modo bilanciato

tra piccole e medio grandi unità operative (tabella 15, figura 19). Per le altre macro aree il tratto comune è quello di un più ampio frazionamento occupazionale

(la classe minore – sotto i 15 dip. – raccoglie almeno 3/5 dei lavoratori). Unica differenza di

struttura è rilevabile per il Sud dove quasi scompare la classe maggiore (oltre 250 dip.). Nonostante il dato aggregato segnali una forte uniformità tra le aree, scendendo ad una lettura

regionale, si scoprono interessanti differenze nella ripartizione occupazionale. Precisamente,

scorrendo la tabella 15, si nota la possibilità di individuare quattro aggregazioni di struttura

che non seguono in alcun modo il fattore macro geografico: la prima riguarda 5 regioni –

Trentino-Alto Adige, Friuli V. G., Marche, Abruzzo e Basilicata – accomunate da una presenza

occupazionale nelle medio grandi imprese che al massimo si attesta intorno al 5%; si passa a

quote che oscillano dal 10 al 15% per Liguria, Val d’Aosta , Toscana, Umbria, Puglia, Sardegna,

Calabria, Molise; ci si attesta su livelli intorno al 20% fino al 25% con Piemonte, Veneto, Emilia

Romagna Sicilia e Campania; e infine, si raggiungono risultati di straordinaria concentrazione

nelle medio grandi realtà rispetto alle caratteristiche del settori con Lombardia (50%) e Lazio

(34%).

2.3. Lavoratori dipendenti nei Servizi

Come indica la figura 20, l’aggregato settoriale su cui si procederà nell’analisi si compone di 10

Page 35: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

macro-comparti. Complessivamente, si tratta di una base occupazionale che va oltre i 700 mila dipendenti. Confermando quanto già detto nell’introduzione, si tratta di una selezione che non corrisponde

precisamente all’area contrattuale Filcams. In primo luogo, il censimento intermedio non

seleziona i servizi domestici, comparto che invece è affidato alla rappresentanza della

categoria, e che la fonte di contabilità nazionale misura in più di un milione di occupati

dipendenti. Inoltre esiste una discrepanza rispetto alla tassonomia contrattuale che comprende le attività

ricreative nel turismo e non tra i servizi.

Del raggruppamento selezionato, escludendo quindi in questa lettura i servizi domestici, il

comparto più ampio è quello delle attività di pulizia con oltre 200 mila dipendenti. I servizi

professionali (studi legali, notarili e consulenza aziendale) e l’informatica, con basi

occupazionali molto vicine (rispettivamente 144 mila e 139 mila) sono il secondo e terzo

comparto. Continuando rispetto all’ordinamento per dimensione (si rimanda all’appendice 2 per la

descrizione più precisa delle attività comprese in ogni comparto) ci sono: parrucchieri e istituti

di bellezza con 54 mila dipendenti; servizi tecnici (attività di architettura e ingegneria) 52 mila

dipendenti; investigazione e vigilanza 42 mila; l’aggregato altri servizi operativi che sommando

le agenzie di lavoro con 2.200 dipendenti, le agenzie immobiliari con 9.200, e i servizi

congressuali con 8.100, raggiunge quasi 20 mila occupati; il comparto del marketing, che

riguarda l’attività pubblicitaria e le ricerche e sondaggi di mercato, con un totale di 16 mila

dipendenti; le attività ricreative e culturali (sale di spettacolo, discoteche, parchi divertimento

e sale giochi) che mettono insieme poco più di 15 mila dipendenti; e in ultimo, stabilimenti per

il benessere fisico e altri servizi alla persona sempre con 15 mila dipendenti. Se si segue la collocazione geografica dei comparti (figura 21), si scopre che il contributo

occupazionale del mezzogiorno in 9 casi su 10 è il più basso delle quattro circoscrizioni in cui

viene diviso il paese. Al contrario la presenza più importante è sempre quella offerta dal il

sistema produttivo del Nord-Ovest. L’unica eccezione è rappresentata dalle imprese di investigazione e vigilanza, comparto a cui il

Sud contribuisce con il 37% dei lavoratori (30% Nord-Ovest; 22% Centro; 12% Nord-Est). Per

il resto delle attività; sia quando si tratta di servizi alle persone (ricreativi e di bellezza) che per

quelli professionali e alle imprese la circoscrizione meridionale partecipa con quote che

Page 36: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

oscillano da un massimo del 22% (pulizia e disinfestazione), a un minimo del 5% con l’insieme

delle attività pubblicitarie. La ripartizione per macro aree descritta nella figura 21 è il risultato di disomogenei contributi

regionali. Primo tra tutti c’è sempre l’apporto della Lombardia che da sola garantisce un quarto dei

dipendenti del nostro aggregato dei servizi. Un risultato che inoltre copre due terzi della

presenza del Nord-Ovest. Un forte sbilanciamento si verifica anche nel Centro con il Lazio, che garantisce il 13% dei

dipendenti che corrispondono al 60% del risultato di area. Per le altre due circoscrizioni il risultato invece dipende da almeno due regioni: per il Nord-Est

ci sono Emilia Romagna (10%) e Veneto (8%); per il Sud ci sono Campania (5%), Sicilia

(3,5%) e Puglia (3,5%). La straordinaria diversità organizzativa dei comparti che sono aggregati sotto il macro settore

dei servizi, è evidenziata dalla ricostruzione dell’elemento dimensionale (figura 22). Non si

colgono uniformità neanche scendendo verso la sotto classificazione tra servizi privati alle

imprese e quelli alle persone. Le tradizionali attività di vigilanza e di pulizia sembrano essere quelle più strutturate in unità

produttive medio gradi. Si tratta infatti di due comparti che si connotano per una eccezionale

densità occupazionale nelle realtà che hanno almeno 50 addetti (70% per i servizi di pulizia,

75% per la vigilanza). Si collocano invece su posizioni fortemente sbilanciate sulle piccole, le attività professionali e i

due comparti dei servizi alla persona (attività ricreative e di bellezza). Tra questi, l’unico

raggruppamento che non si presenta particolarmente frammentato su micro sistemi produt tivi

(con meno di 15 addetti) è quello delle attività ricreative.

Page 37: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Infine, pubblicità, servizi tecnici e informatica, pur se con diversa gradazione, si spalmano in

modo più bilanciato tra piccole e medio grandi azi ende. Tra i tre compar ti, l’informatica è

quella che garantisce il miglior risultato di occupazione nelle realtà che superano i 50 addetti.

Precisamente, con la classe più alta (oltre 250 dip.) si raggiunge una densità del 25%, a cui si

aggiunge un altro 13% di lavoratori appartenenti alla classe immediatamente precedente (50 e

249 dip.). Nonostante le forti differenze di struttura e di presenza geografica dei comparti, l’aggregato dei

servizi si compone per dimensione d’impresa in modo simile tra le quattro circoscrizioni

territoriali (figura 23). Qualche discrepanza la si individua: nel maggior peso della classe

minore per il Nord-Est; e nella più contenuta presenza occupazionale nelle grandi realtà a

vantaggio delle medie unità operative, per il Sud. Bisogna scendere a livello regionale per rilevare importanti differenze di struttura

dimensionale. Il settore (inteso come aggregato dei 10 comparti ), supera il 50% dei

dipendenti nelle medio grandi aziende solo nel Lazio e Campania (tabella 16).

Page 38: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

Sempre guardando le unità con più di 50 dipendenti, per la Lombardia (dove si concentra il

25% dell’economia dei servizi) ma anche per altre regioni con diversa presenza occupazionale

(Piemonte, Emilia Romagna, Puglia e Trentino- Alto Adige), si scende intorno al 40% di

dipendenti. Infine, per il resto dei territori, almeno in quelli dove il censimento rileva una interessante

presenza del settore, si registra un ulteriore sbilanciamento che si misura con un dato

occupazionale per le medio/grandi intorno al 30%.

Page 39: Il terziario privato in italia, ricerca IRES-FILCAMS

XI CONGRESSO FILCAMS: RICERCA IRES SULLA FEDERAZIONE DEL TERZIARIO,

"CONFEDERAZIONE NELLA CONFEDERAZIONE" FILCAMS-Cgil

Federazione lavoratori commercio turismo servizi Ufficio Stampa www.filcams.cgil.it

23 gennaio XI CONGRESSO FILCAMS: RICERCA IRES SULLA FEDERAZIONE DEL TERZIARIO, CONFEDERAZIONE NELLA CONFEDERAZIONE Una ricerca condotta dallIres sulla consistenza e sullevoluzione del terziario, Il terziario privato in

Italia, stata presentata al congresso della Filcams. Un modello in progress, comstato detto, per poter definire in modo preciso i comparti di area Filcams desunti dai dati statistici nazionali. Uno strumento interpretativo su evoluzione, dimensione, numero di addetti e dipendenti, tipologia del

rapporto di lavoro, andamenti salariali di un area sulla quale insiste un sindacato confederazione nella Confederazione che tratta con confederazioni datoriali e direttamente con le istituzioni. La ricerca, pubblicata sul sito della federazione www.filcams.cgil.it , saraggiornata con le successive

esplorazioni per comparti e per territori. Le quaranta pagine della pubblicazione descrivono uneconomia che si sostanzialmente allineata ai paesi pi terziarizzati ;, come Stati Uniti, Gran Bretagna, e Francia. In questi paesi il settore dei servizi

ha raggiunto unampiezza prossima o superiore al 70 per cento del valore aggiunto e delloccupazione totale. In Italia, nel 2000, questi valori sono rispettivamente al 68,8 e al 63 per cento. Impressionante la crescita del terziario di area Filcams tra 1970 e 2000: la quota dei servizi sul valore aggiunto totale

cresciuto di 17 punti e la quota di occupazione sulloccupazione totale di 23 punti. Tuttavia, non stata una crescita continua e costante. Nellultimo decennio una fase di intensa ristrutturazione ha rallentato la progressione verso leconomia terziaria. Ad esempio il commercio al

dettaglio si profondamente riorganizzato. Ma la capacitdi creare occupazione ha subo una breve battuta darresto, riprendendosi in fretta soprattutto nei settori tradiz ionali degli alberghi e della ristorazione.

Ancora un dato: la ridotta dimensione delle imprese italiane. I due terzi delloccupazione nei servizi assorbita da imprese con meno di dieci addetti, mentre in ambito europeo la quota di occupazione nelle piccole imprese ampiamente inferiore al 50 per cento.

E questa ridotta dimensione un problema che il sindacato conosce bene