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elle biblioteche degli antichi monasteri, nei musei d’Europa e del mondo, sono conservati codici preziosi realizzati per la preghiera di re e regine, di nobili e monaci: sono i “libri d’Ore”, ovvero i libri miniati che contenevano i salmi e i testi per la pre- ghiera personale e comunitaria. Sono li- bri di straordinaria bellezza, le cui minia- ture e decorazioni incorniciano e arricchi- scono il testo dei salmi e delle orazioni, come un trionfo di colori e luce in omag- gio alla preghiera. Altri testi meravigliosi sono quelli riservati alle cantorie dei grandi monasteri, dove la musica delle melodie gregoriane è arricchita da minia- ture preziose che invitano il cantore a orientarsi verso la bellezza di Dio, a con- templare il volto di Cristo cantandone le lodi. Questi libri sono un segno forte del si- gnificato della Liturgia delle Ore. Spesso consideriamo la preghiera del “brevia- rio”, come tradizionalmente era chiama- ta la Liturgia delle Ore, una cosa da fare in fretta, nei ritagli di tempo di una vita frenetica e impegnatissima, spesso la consideriamo semplicemente un dovere da assolvere, magari celebrando le lodi del mattino insieme ai vespri perché non c’è stato tempo di pregare nei tempi sta- biliti. Invece la celebrazione delle Ore è un’occasione unica per porre la nostra vi- ta in sintonia con quella di Dio, la possi- bilità di far combaciare la successione delle ore e dei giorni con l’eternità stessa, in un abbraccio meraviglioso, attraverso la preghiera. La molteplicità delle azioni umane si riempie di eternità, il tempo non scorre più in modo caotico e disordi- nato ma acquista la cadenza di una dan- za al ritmo della preghiera. “Dal sorgere del sole al suo tramonto lodate il nome del Signore” così ci invita a fare il Salmo 113, così fa la Liturgia delle Ore. Il canto dei salmi, che sono il respiro orante del cuore di ogni uomo, si innalza a Dio con- trappuntando le ore e i giorni, come un tessuto dorato in cui sono ricamate le preghiere, le sofferenze, le gioie di ogni uomo. Lo scorrere del tempo si ordina così in una melodia incessante, ogni ora del giorno segna un movimento di que- st’unica sinfonia di lode che è la preghie- ra della Chiesa al suo Signore e Sposo. I colori tenui dell’alba accompagnano la preghiera a Cristo, sole che sorge, a Co- lui che risorge dalle tenebre della morte portando al mondo la gioia. La lumino- sità del meriggio si addice all’Ora media, che ci fa interrompere il lavoro per guar- dare in alto, innalzandoci verso Dio, luce splendente sul mondo. Così la penombra dorata che accompagna il tramonto ci in- vita al raccoglimento, ci ricorda che un giorno sta finendo e bisogna ringraziare 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 6-2007 Il Tempo di Dio mons. Marco Frisina N

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elle biblioteche degli antichimonasteri, nei musei d’Europae del mondo, sono conservati

codici preziosi realizzati per la preghieradi re e regine, di nobili e monaci: sono i“libri d’Ore”, ovvero i libri miniati checontenevano i salmi e i testi per la pre-ghiera personale e comunitaria. Sono li-bri di straordinaria bellezza, le cui minia-ture e decorazioni incorniciano e arricchi-scono il testo dei salmi e delle orazioni,come un trionfo di colori e luce in omag-gio alla preghiera. Altri testi meravigliosisono quelli riservati alle cantorie deigrandi monasteri, dove la musica dellemelodie gregoriane è arricchita da minia-ture preziose che invitano il cantore aorientarsi verso la bellezza di Dio, a con-templare il volto di Cristo cantandone lelodi.

Questi libri sono un segno forte del si-gnificato della Liturgia delle Ore. Spessoconsideriamo la preghiera del “brevia-rio”, come tradizionalmente era chiama-ta la Liturgia delle Ore, una cosa da farein fretta, nei ritagli di tempo di una vitafrenetica e impegnatissima, spesso laconsideriamo semplicemente un dovereda assolvere, magari celebrando le lodidel mattino insieme ai vespri perché nonc’è stato tempo di pregare nei tempi sta-biliti. Invece la celebrazione delle Ore èun’occasione unica per porre la nostra vi-

ta in sintonia con quella di Dio, la possi-bilità di far combaciare la successionedelle ore e dei giorni con l’eternità stessa,in un abbraccio meraviglioso, attraversola preghiera. La molteplicità delle azioniumane si riempie di eternità, il temponon scorre più in modo caotico e disordi-nato ma acquista la cadenza di una dan-za al ritmo della preghiera. “Dal sorgeredel sole al suo tramonto lodate il nomedel Signore” così ci invita a fare il Salmo113, così fa la Liturgia delle Ore. Il cantodei salmi, che sono il respiro orante delcuore di ogni uomo, si innalza a Dio con-trappuntando le ore e i giorni, come untessuto dorato in cui sono ricamate lepreghiere, le sofferenze, le gioie di ogniuomo. Lo scorrere del tempo si ordinacosì in una melodia incessante, ogni oradel giorno segna un movimento di que-st’unica sinfonia di lode che è la preghie-ra della Chiesa al suo Signore e Sposo. Icolori tenui dell’alba accompagnano lapreghiera a Cristo, sole che sorge, a Co-lui che risorge dalle tenebre della morteportando al mondo la gioia. La lumino-sità del meriggio si addice all’Ora media,che ci fa interrompere il lavoro per guar-dare in alto, innalzandoci verso Dio, lucesplendente sul mondo. Così la penombradorata che accompagna il tramonto ci in-vita al raccoglimento, ci ricorda che ungiorno sta finendo e bisogna ringraziare

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Il Tempo di Diomons. Marco Frisina

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Dio per il tempo prezioso che ci ha con-cesso affinché potessimo amare. Insiemea Maria siamo chiamati a stupirci delle“grandi cose che il Signore ha compiutoin noi” e a guardare a Cristo, lodando inlui il sole senza tramonto. Il buio dellanotte ci avvolge con il suo silenzio e ci faaddormentare dolcemente nelle bracciadella misericordia di Dio, in quella confi-

denza e amore che scaccia il timore e ciriempie il cuore di speranza.

In questo canto gioioso e luminosonoi tutti siamo chiamati a immergerci e avivere nella Liturgia delle Ore il tempo diDio. In ogni ora si apre dinanzi a noi laporta del cielo e la Chiesa ci invita aguardare oltre quella soglia per lasciarentrare nel tempo l’amore eterno di Dio.

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l libro della Liturgia delle Ore,rinnovato secondo le indicazioni

del Concilio Vaticano II (SC cap. IV), dopola Costituzione Apostolica di Paolo VILaudis Canticum, presenta una InstitutioGeneralis Liturgiae Horarum (= IGLH),tradotta in italiano con il titolo Principi eNorme per la Liturgia delle Ore. Essa siapre con un succoso trattato sulla pre-ghiera cristiana ed ecclesiale.

Dopo aver parlato della preghiera diCristo, riportando i vari passi evangelici,passa a parlare del precetto che Egli hadato ai suoi di pregare e dei requisiti cheessa deve avere: la fede, l’umiltà, la per-severanza, ecc.

Tra le righe si possono distinguere di-verse categorie di oranti:

1. La preghiera dell’uomo. Tutti gliuomini religiosi pregano (n. 6). Possiamoanzi dire che uomini di religioni non cri-stiane forse pregano di più: si pensi aimusulmani o ai buddisti. L’uomo pregaperché riconosce che esiste un Essere, alui superiore, che può aiutarlo nella suasituazione di limitatezza. A questo Esse-re, comunque sia chiamato o pensato, ri-volge preghiere, offre doni e sacrifici. Sitratta di quella virtù della “religione” checi fa rendere a Dio quel che gli è dovuto.In questo senso, la “religione” è parte

della virtù della “giustizia”, una dellequattro virtù cardinali, cioè umane.

Anche questa preghiera umana è“connessa con Cristo, Signore di tutti gliuomini, unico Mediatore, e il solo per ilquale abbiamo accesso a Dio. Cristo in-fatti unisce a sé tutta l’umanità, in modotale da stabilire un rapporto intimo tra lasua preghiera e la preghiera di tutto ilgenere umano. In Cristo, appunto, ed inlui solo, la religione umana consegue ilsuo valore salvifico e il suo fine”(n. 6).Questo però lo sappiamo noi cristiani,che conosciamo il mistero di Dio, realiz-zato in Cristo.

Qualcosa intuivano i pii israeliti, cheavevano avuto una rivelazione da Dio,mediante le mirabili gesta da Lui compiu-te, spiegate poi dai profeti, a cominciareda Mosè. Essi pregano Dio con le paroleispirate, anche se ancora in modo imper-fetto, perché – non sempre consapevol-mente – si riferivano a “Colui che devevenire”.

2. La preghiera del cristiano. Conl’incarnazione del Figlio di Dio, qualcosadi veramente nuovo avviene nel mondo.Lo afferma in modo categorico l’art. 83di SC: “Il sommo Sacerdote della nuovaAlleanza, Cristo Gesù, prendendo la na-

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Quando la preghiera è liturgia

p. Ildebrando Scicolone, osb

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tura umana, ha introdotto in questo esi-lio terrestre quell’inno che viene eterna-mente cantato nelle sedi celesti. Egli uni-sce a sé tutta l’umanità, e se l’associanell’elevare questo divino canto di lode”.Questo concetto è ripreso all’inizio dellaCostituzione Apostolica di Paolo VI, co-me pure al n. 3 della IGLH. Il concetto èbellissimo. Cosa si dicono, all’interno del-la Trinità, le persone divine? Cosa canta-no gli angeli in cielo? Chi poteva dircelo,se non Colui, che – unico – è venuto dalcielo, e ce lo ha rivelato nella sua personae nel suo insegnamento? Possiamo direche, con la sua venuta, Cristo Gesù, ci harivelato la password per comunicare con

Dio. Ora noi sappiamo che parliamo aDio come i figli parlano al Padre, dal mo-mento che è il Padre di Gesù, Verbo diDio fatto uomo. Può una formica parlarecon un uomo? Non hanno lo stesso lin-guaggio. Può un uomo parlare con Dio?Non hanno lo stesso linguaggio. Maquando Dio si è fatto uomo, e ha comu-nicato ai credenti il suo Spirito, questi èdiventato il linguaggio comune tra l’uo-mo e Dio. Lo dice san Paolo in Rm 8, 15:“avete ricevuto uno spirito da figli adotti-vi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà,Padre!», e continua: “anche lo Spiritoviene in aiuto alla nostra debolezza, per-ché nemmeno sappiamo che cosa sia

conveniente domandare, ma lo Spi-rito stesso intercede con insistenzaper noi, con gemiti inesprimibili; ecolui che scruta i cuori sa quali so-no i desideri dello Spirito” (Rm 8,26).

Il cristiano quindi, anche quan-do prega da solo, deve pregare inCristo, perché Egli stesso ha dettodi chiedere “nel suo nome” (Gv 14,13; 15, 16; 16, 23.26). Ogni cristia-no, come membro del Corpo diCristo, prega in unione con il Capoe con la sua bocca.

1. La preghiera della Chiesa.Altro è la preghiera in Cristo, altrola preghiera di Cristo, come altro èla preghiera di un membro, altro lapreghiera del corpo di Cristo.Quando la Chiesa prega, è Cristostesso che prega. La dimensionecomunitaria è essenziale alla pre-

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ghiera cristiana. Se è vero che il cristiano,anche quando prega in privato (“prega ilPadre tuo nel segreto”, Mt 6,6), egli nonprega mai da privato, cioè come staccan-dosi da tutto il corpo (anche in privato di-ciamo: Padre nostro!). Ma quando laChiesa prega comunitariamente, o conquella preghiera che essa “riconosce co-me propria”, “allora è veramente la vocedella Sposa che parla allo Sposo, anzi è lapreghiera che Cristo unito al suo Corpoeleva al Padre” (SC 84).

Sappiamo inoltre che Cristo Gesù èl’unico Mediatore, l’unico Sacerdote. Egliha compiuto l’opera della salvezza permezzo del suo sacrificio. Ma il sacrificiodi Cristo consiste proprio nella sua pre-ghiera. La sua morte fisica è stata prece-duta e accompagnata dalla preghiera, edè questa che ha fatto della morte un sa-crificio volontario. La preghiera che ci hasalvato è stata quella che ha chiesto alPadre: “sia fatta la tua volontà”: cfr Ebr.10, 8-10, che conclude: “Ed è appuntoper quella volontà che noi siamo statisantificati, per mezzo dell’offerta del cor-po di Gesù Cristo, fatta una volta persempre”.

Anche il sacrificio eucaristico, che laChiesa compie “ogni volta”, ha il suocentro e culmine in una preghiera, la pre-ghiera eucaristica appunto, che la “litur-gia delle Ore” estende a tutta la giorna-ta.

Il sacerdozio di Cristo continua quindinella Chiesa, popolo sacerdotale, che loesercita, come corpo unito al Capo, nonsolo con i sacramenti, ma anche con lapreghiera. Essa pure, come quelli, è stata

“istituita” da Gesù Cristo. Instituere in-fatti, in latino, significa “insegnare” conl’esempio: ora Gesù istituì la cena eucari-stica, quando “fece e comandò di fare”.Così istituì la preghiera, perché pregò ecomandò di pregare.

Siano rese grazie a Dio, perché il Con-cilio Vaticano II ha ridato alla Chiesa tut-ta, pur affidandone il mandato ad alcunepersone in particolare (chierici e monaci),il libro della sua preghiera. Le persone“deputate” non tolgono a tutto il popolodi Dio quella deputazione al culto divinoche proviene loro dal Battesimo e dallaCresima. Se non tutti possono celebrare isacramenti, perché li celebra chi rappre-senta Cristo Capo, tutti sono invitati apregare, come corpo di Cristo, voce dellaChiesa, e quindi di Cristo stesso.

Sarà bene che tutti i lettori prendanoconfidenza con il libro della preghiera ec-clesiale, che partecipino volentieri alla ce-lebrazione comunitaria di essa, che lapreghino in famiglia o da soli, ma cheprendano anche confidenza con i “Princi-pi e Norme della Liturgia delle Ore”, percelebrarla consapevolmente, attivamen-te, pienamente e fruttuosamente.

Finché non si arriverà alla celebrazioneecclesiale della Liturgia delle Ore, almenodelle Lodi mattutine e del Vespro, non sipotrà dire che il rinnovamento liturgicopromosso dal Concilio Ecumenico Vatica-no II sia giunto a compimento. Ecco per-ché Culmine e Fonte dedica i numeri delsussidio di quest’anno a presentare e ap-profondire questa importantissimaespressione della Liturgia della Chiesa.

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on l’Incarnazione di Gesù il tem-po è diventato kairos, presenzadi Dio che si espande in ogni

creatura e consente a ogni essere di farsalire al Cielo la sua voce. I poeti diconoche tutto ciò che vive loda il Signore: ifiori, gli alberi della foresta, gli uccelli delcielo e i pesci del mare… Il respiro dell’u-manità si eleva come incenso odoroso! Ilprimo orante è Gesù, il Divino Liturgo, èLui che intercedendo a nostro favore dicealla sua Chiesa di fare altrettanto. La di-

mensione orante è una delle caratteristi-che che la Chiesa possiede, appresa daCristo e dai suoi primi discepoli. Tuttal’attività apostolica di Gesù era impre-gnata dalla preghiera; Egli prega nelleore, luoghi, nelle circostanze più diverse:spesso si alzava di buon mattino per pre-gare (Cf Mc 1,35), a volte passava la not-te pregando (Cf Lc 6,12), dalla sera allaquarta vigilia come dicono gli evangelisti(Cf Mt 14,23.25; Mc 6,46.48). Tutta lavita di Cristo è stata una lode incessante,

come scrive la lettera agliEbrei (5,7) : “Egli nella sua vi-ta terrena offrì preghiere esuppliche, con forti grida elacrime, a colui che poteva li-berarlo dalla morte e fu esau-dito per la sua pietà”. La pri-ma comunità cristiana faràaltrettanto; San Luca dice chei discepoli dopo l’Ascensionedi Gesù… “se ne ritornaronoa Gerusalemme, pieni digioia, e stavano continua-mente nel tempio lodando ebenedicendo Dio”.

L’apostolo Paolo dà diret-tive precise sulla necessità dipregare senza interruzioni (CfTs 5,17) e la Chiesa non ha

La dimensione ecclesiale della Liturgia delle Ore

Suor Clara Caforio, ef

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tardato ad organizzare la sua preghierain base alla divisione del tempo di allora.La preghiera è quindi essenziale alla vita-lità e fecondità della Chiesa; preghierache non si limita solo alla celebrazioneeucaristica ma è anche canto, lode, sup-plica, richiesta di perdono.

La liturgia delle ore si inserisce in que-sto respiro vitale che sale al Padre; comeogni celebrazione, rende presente la pre-ghiera di Cristo, come sottolinea il Docu-mento Sacrosanctum Concilium nn.83-84:“Cristo continua l’ufficio sacerdotale permezzo della sua stessa Chiesa, che loda ilSignore incessantemente e intercede perla salvezza del mondo intero non solocon la celebrazione dell’eucaristia, maanche in altri modi, specialmente con larecita dell’ufficio divino… Questa pre-ghiera è la voce stessa della sposa cheparla allo sposo, anzi è la preghiera cheCristo, unito al suo Corpo, eleva al Pa-dre”. È dunque lo stesso Gesù a dare allapreghiera il suo valore salvifico, è in Luiche si riassume tutta l’attività orante del-la Chiesa. L’Introduzione alla liturgia del-le ore afferma: “Non vi può essere nes-suna preghiera cristiana senza l’azionedello Spirito Santo, il quale, unificandotutta la Chiesa, la conduce mediante il Fi-glio al Padre”. Noi possiamo e siamo ingrado di elevare la nostra preghiera per-ché Cristo si è unito a noi, come unosposo alla sposa, è divenuto partecipedella nostra esistenza…! Sant’Agostinoricorda che: “Gesù Cristo è il capo, noi ilcorpo. Noi dunque preghiamo rivolti alui, preghiamo per mezzo di lui e in lui.Noi preghiamo insieme con lui ed egli

prega in noi. Noi diciamo in lui ed egli di-ce in noi la preghiera di questo salmo”.La liturgia delle ore è quindi preghieracon Cristo, per Cristo e in Cristo, concet-to questo molte volte ribadito dall’IGLH(= Institutio Generalis de Liturgia Hora-rum). Il n. 19 suggerisce: “Cercando Cri-sto e penetrando sempre più intimamen-te con l’orazione nel suo Mistero, lodinoDio e innalzino suppliche con quel mede-simo animo con il quale pregava lo stessoDivino Redentore”. Se tutto va ricapitola-to in Cristo per mezzo dello Spirito ancheil tempo è santificato e la liturgia delleore è come afferma il n.16 “partecipazio-ne, nella fede e nella speranza, alla gioiaeterna del cielo”. Quando preghiamo dasoli o insieme la nostra voce si unisce aquella dei beati e quando preghiamo co-munitariamente o singolarmente pregatutta la Chiesa, perché “la liturgia delleore come tutte le altre azioni liturgiche,non è un’azione privata ma appartiene atutto il corpo della Chiesa” (IGLH, 20).Anticamente si riteneva che fosse patri-monio esclusivo del clero, dei monaci odei religiosi, questi soli si ritenevano“deputati al culto”, e questa deputazio-ne per l’ufficio Divino era così radicatanella mentalità generale che il cosiddettoBreviario era considerato il libro tipico delprete. I semplici fedeli non conoscevanoe si finì per ignorare sempre più che i cri-stiani, in virtù del battesimo, sono chia-mati a rendere visibile la voce della Chie-sa. Il Vaticano II ha aperto molte strade,ha finalmente valorizzato il popolo diDio, ha ridonato freschezza alle tanteenergie sopite, basta leggere la Costitu-

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zione Dogmatica Lumen Gentium, cheha dato la possibilità di sfatare questaconcezione, perché ogni battezzato cheprega e celebra è espressione viva e au-tentica di tutta la Chiesa. L’IGLH n. 1 siapre con una dichiarazione importante:“La preghiera pubblica e comune del po-polo di Dio è giustamente ritenuta tra iprincipali compiti della Chiesa. Per questosin dall’inizio i battezzati erano assiduinell’ascoltare l’insegnamento degli apo-stoli e nell’unione fraterna, nella frazionedel pane e nella preghiera”. Qui, quandosi parla di preghiera pubblica, non s’in-tende qualunque modo di pregare: è sot-tinteso che si parla della liturgia delle oreche i fedeli celebrano in comunità o nel‘segreto della propria camera’. Ovunquee comunque noi siamo legati a Cristodallo Spirito di Dio che ci conduce al Pa-dre e quando preghiamo i salmi, è Cristostesso a salmodiare…. Come Lui ha fattosulla terra anche noi nel nostro pellegri-naggio uniamo le nostre voci di lode,d’implorazione, di speranza o di abbatti-mento. La bellezza e la profondità delSalterio sta in questo: è custode dei ge-miti, delle benedizioni, delle grida digioia o di afflizione dell’umanità passata,presente o futura… un dialogo con l’E-terno che Cristo ha iniziato facendosi Uo-mo. E noi grazie al mistero pasquale,c’innestiamo in questo colloquio amoro-so nel tempo che ci è donato; sì il tempocon le sue stagioni, l’anno liturgico chescorre con le varie feste, i giorni ordinari,le settimane che preparano al ‘giorno delSignore’. Tutto questo racconta la liturgiadelle ore che, come già accennato, “vuo-

le la santificazione di tutto il corso delgiorno e della notte, e di tutta l’attivitàumana” (IGLH 10.11). La santificazionedel tempo e dell’uomo che vi vive! È que-sto il desiderio profondo di ogni celebra-zione. La caratteristica oraria è infattil’essenza stessa di questa preghiera ec-clesiale: “Le testimonianze della Chiesaprimitiva attestano che anche i singoli fe-deli, in ore determinate, attendevano allapreghiera. In seguito, in diverse regioni,si diffuse la consuetudine di destinaretempi particolari della giornata alla pre-ghiera comune, come l’ultima ora delgiorno, quando si fa sera e si accende lalucerna, oppure la prima ora, quando lanotte, al sorgere del sole volge al termi-ne. Con l’andare del tempo si comincia-rono a santificare con la preghiera comu-ne anche le altre ore, che i Padri vedeva-no adombrate negli Atti degli Apostoli”(IGLH 1).

C’è dunque un appello continuo, so-prattutto alla sera e al mattino, alla mor-te e risurrezione di Gesù; in questo susse-guirsi di tenebre e luce la Chiesa avanzacantando e inneggiando a Cristo luce,vincitore delle tenebre. La preghiera deiVespri e delle Lodi richiama la morte e larisurrezione del Signore, mentre l’ufficia-tura delle ore notturne e Compieta vienevista in prospettiva escatologica. Sonosottolineature teologiche importanti cherafforzano nel tempo la nostra vocazioneall’Eternità! La liturgia delle ore pregatanei suoi vari momenti ci aiuta in questocammino verso il cielo e più accordiamola nostra voce a quella del salmista, tantopiù facciamo nostre le diverse situazioni

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di vita che egli presenta. I salmi che l’Uffi-cio Divino propone nelle quattro settima-ne ordinate sono la vita dell’uomo che sisvolge tra fatiche e dolori, ma anche traattese e gioie ricevute. Gesù stesso hapregato quello che noi preghiamo: lastessa lode, lo stesso grido! La liturgiadelle ore non è però solo un susseguirsidi parole che rivolgiamo a Dio. È innanzi-tutto Parola di Dio a noi; è fondamentaleimparare nel salmodiare, anche a fare si-lenzio ed ascoltare. Nei salmi che recitia-mo o cantiamo sono racchiuse le storiedegli uomini passati, storie che si ripeto-no nelle nostre esperienze quotidiane dipeccato, di umiliazioni, di sconfitte o divittorie…Quando salmodiamo, allora, lofacciamo a nome di tanti fratelli e sorelleche in ogni parte del mondo sperano os’affaticano e la bellezza sta nella comu-nione invisibile che si crea; una sorta di

circolo orario che non si spezza perché inogni parte del globo, in ogni latitudine olongitudine c’è un gruppo o un singolouomo che innalza a Dio Padre inni e can-tici spirituali, ovunque è presente la Chie-sa. L’autore M. Paternoster in un saggiodice che: La liturgia delle ore va conside-rata come un libro necessario per affron-tare religiosamente il cammino della vita.E’ il quadrante che segna le ore di Dionella vicenda umana e, come tale, invitaa proiettare le ore dell’uomo sullo sfondodelle ore che indicano l’azione salvifica diDio nella storia”.

La Chiesa con la sua maternità ci so-stiene e incoraggia a far sì che semprepiù le comunità dei credenti imparino apregare insieme con i l Libro delleore…Invito raccolto da molte comunitàparrocchiali che al mattino o alla sera ce-lebrano le lodi del Signore, intercedendoper il mondo, per i fratelli, per tutti. Con-cludo con la famosa affermazione diSant’Agostino: “ Canta e cammina, sen-za deviare, senza indietreggiare, senzafermarti. Qui canta nella speranza, lassùnel possesso. Questo è l’alleluia dellastrada… quello l’alleluia della patria ”.

Bibliografia:

V. Raffa, Liturgia delle Ore, Milano 1989.

A GRILLO, Tempo e preghiera. Dialoghi e monolo-

ghi sul «segreto» della Liturgia delle Ore, EDB, Bolo-

gna 2000.

R. GUARDINI, Formazione liturgica. Saggi, Edizioni

OR, Milano 1988.

M. Paternoster, Erano assidui nella preghiera, Ri-

flessioni sulla liturgia delle ore, Ed. Paoline 1990.

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Introduzione

Parlare della Liturgia delle Ore oggivuol dire accostarsi, attraverso un ap-proccio storico, teologico, liturgico, spiri-tuale o pastorale a quella realtà che, abuon diritto, viene definita dagli stessiPrincipi e norme per la Liturgia delle Orecome «la preghiera pubblica e comunedel popolo di Dio»1, restituendo così di-gnità e genuinità alla preghiera dellaChiesa e al popolo di Dio, soggetto prin-cipale del “celebrare” cristiano.

In questo contributo cercheremo ditracciare gli elementi storici essenziali chesegnano il costituirsi della preghiera dellaChiesa nel rito romano, partendo dagliantecedenti biblici per poi arrivare, tramitei diversi passaggi dello Spirito nella storia,alla Liturgia delle Ore scaturita dalla rifor-ma liturgica del Concilio Vaticano II.

1. Dalla “preghiera giudaica” deiprimi cristiani alla “preghiera dellaChiesa”

Quando la primitiva comunità cristia-na iniziò il suo cammino nella storia, non

possedeva alcuna struttura propria dipreghiera, né alcun patrimonio di testi dapotersi considerare quale espressionespecifica della predicazione e dell’inse-gnamento di Gesù. Questo vuoto fu col-mato dalle stesse comunità cristiane at-traverso l’approfondimento dell’insegna-mento di Cristo nel contesto della tradi-zione ebraica. Perciò, nonostante le di-verse opinioni in campo scientifico ri-guardo un possibile diretto legame tra si-stema di preghiera ebraico e sviluppodell’Ufficio divino, non si può certamentenegare l’influenza di forme cultuali ebrai-che sulla primitiva preghiera cristiana esul culto2. Cristo stesso infatti nasce in unpopolo che sapeva pregare e che avevauna grande e profonda esperienza dipreghiera, e si unisce egli stesso alla pre-ghiera del suo popolo; i cristiani stessiprenderanno parte, in un primo tempoalla preghiera del tempio. Gli evangelistisono coscienti di questo innesto giudaiconella preghiera della prima comunità cri-stiana. Si pensi ad esempio al Vangelo diLuca, il quale inizia e si conclude ripor-tando due immagini riguardanti due con-testi liturgici di preghiera: l’apparizione

Dalla Laus perennis alla Liturgiadelle Ore del Concilio Vaticano IIApproccio storico alla Liturgia delle Ore

don Pierangelo Muroni

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dell’angelo nel tempio a Zaccaria (cf. Lc1, 8-23) e la testimonianza riguardo lafrequentazione del tempio da parte deidiscepoli di Gesù anche dopo la suaascensione (cf. Lc 24, 52-53). Anche ilbrano di At 3, 1-11 testimonia la salita diPietro e Giovanni al tempio per la pre-ghiera vespertina. Nel I secolo perciò, pri-ma della separazione tra Chiesa e sinago-ga e prima della distruzione del tempioavvenuta nel 70 d. C., abbiamo testimo-nianze certe sulla frequentazione degliebrei cristiani al culto nella sinagoga enel tempio.

Gli elementi che i cristiani attingeran-no dalla preghiera ebraica saranno diver-si. Innanzitutto la consuetudine di prega-re in ore stabilite. Gli ebrei infatti eranosoliti pregare in diversi momenti del gior-no, ma le preghiere del mattino e dellasera sembra fossero le più costanti e im-portanti della preghiera ebraica, legate alsacrificio nel tempio3. Questo sarà veroanche per i cristiani, i quali individueran-no nelle Lodi e nei Vespri «il duplice car-dine dell’Ufficio quotidiano»4. Si pensiinoltre al contenuto della preghiera stes-sa: salmi, cantici e benedizioni che diver-ranno un prezioso patrimonio anche perla preghiera cristiana. Gesù stesso si rivol-geva al Padre, in preghiera, utilizzando isalmi. Quando perciò, nella Liturgia delleOre, preghiamo con i salmi, in realtà ci ri-volgiamo al Padre, per mezzo del Figlionello Spirito con le stesse parole che Cri-sto stesso ha pronunciato. Pensiamo an-che ai temi ricorrenti nella preghieraebraica stessa, come ad esempio il temadella luce e il successivo uso cristiano del-

l’immagine del sole, il quale influenzerà ilsimbolismo dell’iniziazione cristiana, dellaPasqua e del Natale (Natalis solis invicti).La Liturgia delle Ore ha dunque un chiarodebito nei confronti dell’eredità ebraica.Pian piano però la preghiera dei cristianicomincerà a distanziarsi per trovare unproprium in una struttura che andrà manmano definendosi e caratterizzandosisempre più. Sappiamo infatti che, sebbe-ne Gesù frequentasse di sabato la sina-goga (cf. Lc 4, 16), egli mostrerà unagrande libertà nel suo modo di pregareche si manifesterà poi nel suo insegna-mento ai discepoli. Egli infatti, il Maestro,intermediario presso il Padre, insegnerà apregare nel suo nome (contrariamente aquanto facevano i “maestri” del tempo):«In quel giorno chiederete nel mio nomee io non vi dico che pregherò il Padre pervoi: il Padre stesso vi ama, perché voi miavete amato» (Lc 16, 26-27); da soli o al-meno in due: «Se due di voi sopra la ter-ra si accorderanno per domandare qua-lunque cosa, il Padre mio che è nei cielive la concederà. Perché dove sono due otre riuniti nel mio nome, io sono in mez-zo a loro» (Mt 18, 19); con un atteggia-mento di fede-fiducia, sapendo di riceve-re quello che si chiede: «Per questo vi di-co: tutto quello che domandate nellapreghiera, abbiate fede di averlo ottenu-to e vi sarà accordato» (Mc 11, 24; cf.anche Lc 18, 1). Gesù insegna anche“come” pregare, ossia “insistentemen-te”: «Chiedete e vi sarà dato; cercate etroverete; bussate e vi sarà aperto» (Mt7, 7-12; cf. anche Lc 11, 5-13) o addirit-tura “incessantemente” (cf. Lc 18, 1-7;

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21, 36; Ef 6, 18; Col 4, 2; 1Ts 5, 16-18)5.La Liturgia delle Ore ha perciò la sua ori-gine in quell’ideale spirituale che ci vieneproposto da Cristo stesso nel N.T.: la pre-ghiera insistente e incessante. La Chiesaha cercato sempre di realizzare questoideale mediante momenti di preghieradestinati a scandire la giornata. Questoritmo fu sviluppato dalle correnti spiritua-li dei primi secoli a partire dagli usi giu-daici, ma soprattutto secondo l’insegna-mento e l’esempio di Gesù e della comu-nità apostolica. Il precetto della preghieraininterrotta avrà un ruolo di fondamenta-le importanza nella formazione dei tempie dei ritmi della preghiera cristiana.

2. La preghiera della Chiesa secon-do alcuni autori cristiani dei primi tresecoli

È la Didaché6 (composizione probabil-mente antiochena, datata tra il 50 e il 70d.C.) la prima testimonianza, risalente al-la fine del I secolo, che ci conferma il co-stituirsi di una preghiera precipuamentecristiana, che supera e porta a perfezio-ne, con la rivelazione del Verbo incarna-to, la preghiera ebraica. Essa infatti, alcap. 8, raccomanda di rivolgersi al Padreceleste, con le stesse parole insegnate daCristo, per tre volte al giorno, mantenen-do così l’usanza rituale giudaica dei tremomenti di preghiera lungo il corso dellagiornata, ma sostituendone il contenutoche diventa prettamente cristiano. Anco-ra oggi, nella liturgia, preghiamo tre vol-te al giorno il “Padre nostro”: durante lacelebrazione dell’Eucaristia, nelle Lodi e

nei Vespri. Se la Didaché rappresenta laprima testimonianza del sistema di pre-ghiera quotidiano nella Chiesa primitiva,la prima lettera ai Corinzi di ClementeRomano è invece la prima testimonianzacristiana riguardo la preghiera in tempistabiliti. Nel cap. 40, 1-4 le ore non sonospecificate, ma la frase «in tempi stabili-ti» si trova tre volte nel capitolo7. Cle-mente Alessandrino, negli Stromata, af-fermerà invece, in maniera esplicita, che«c’è poi chi assegna determinate ore allapreghiera, come, poniamo, la terza, lasesta, la nona»8.

La preoccupazione di giustificare “cri-stianamente” i diversi momenti di pre-ghiera, attribuendo ad essi un senso teo-logico e spirituale, sarà una delle caratteri-stiche delle opere degli autori cristiani deiprimi tre secoli. Tale esigenza sarà mag-giormente sentita quando, ai tradizionalimomenti di preghiera del mattino e dellasera, si aggiungeranno le ore di terza, se-sta e nona. Per andare incontro a ciò sifarà ricorso alla Sacra Scrittura. In questiprimi secoli perciò ogni ora acquista un si-gnificato religioso e spirituale, derivatonon soltanto dal simbolismo naturale dellediverse parti del giorno e della notte, maanche e soprattutto dal ricordo di determi-nati episodi ed eventi biblici o dalla vita diGesù e degli apostoli, cioè dal memoriale.Si delinea così una vera e propria teologiadel tempo e della preghiera, mostrandocome tutte e ognuna di queste ore aves-sero un valore simbolico e sacramentale,quali segni di salvezza. Tertulliano, nel Deoratione al cap. 25, attribuirà all’ora terzail ricordo della Pentecoste (At 2, 1-4); al-

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l’ora sesta la visione di Pietro salito sullaterrazza a pregare (At 10, 9); all’ora nonail ricordo dello stesso Pietro e di Giovannisaliti al tempio a pregare (At 3, 1)9. SaràCipriano infine che, parlando delle dueore principali di preghiera, del mattino edella sera, nel De Dominica Oratione affer-merà che «bisogna infatti pregare al mat-tino per celebrare nella preghiera del mat-tino la risurrezione del Signore. […] Quan-do il sole tramonta […] invochiamo cheCristo torni a portarci la grazia della luceeterna»10.

3. L’ufficiatura cattedrale e l’uffi-ciatura monastica

Durante il IV secolo inizia una vera epropria organizzazione della preghieradella Chiesa, individuabile in due formedistinte: l’ufficio cattedrale, che nasce neicentri urbani attorno alla cattedrale e ve-de la comunità cristiana riunita attorno alproprio vescovo e presbiterio, e l’ufficiomonastico, riguardante la preghiera neiprincipali centri monastici. Sebbene diffe-rente nella struttura, identica era l’idea difondo di ambedue le forme: la preghieraoraria quale espressione della preghieracontinua, incessante, senza interruzione,come raccomandato dal Signore e in se-guito sottolineato da Paolo e dagli Attidegli apostoli. Una costanza non tantonella ripetizione degli atti, quanto piutto-sto nella perseveranza dell’atteggiamen-to orante. Il precetto della preghiera inin-terrotta quale risposta al comando del Si-gnore di pregare senza stancarsi, svolseun ruolo certamente importante e di pri-

mo piano nella formazione dei tempi edei ritmi di preghiera. Se chiara era l’ideadi fondo nell’assicurare una preghierasenza interruzione in ambedue i tipi diufficiatura, ben definito risultava anche ilmateriale al quale fare riferimento: la Sa-cra Scrittura, ed in particolare i 150 sal-mi, sebbene distribuiti in maniera diffe-rente. In realtà la diversità nella strutturaera motivata principalmente da due fat-tori: la diversa destinazione dell’ufficiatu-ra stessa e i diversi soggetti celebranti.L’ufficiatura cattedrale, essendo destinataalla celebrazione comunitaria insieme alpopolo di Dio, prevedeva alcune sceltedettate appunto dalla presenza dei fede-li. La salmodia era piuttosto breve edinoltre selezionata, in quanto prendeva inconsiderazione sia la tipologia dei salmi(di lode, di ringraziamento, di supplica,penitenziali) e sia la loro collocazione du-rante le diverse ore della giornata. Essaprevedeva una vera e propria celebrazio-ne, in particolare la domenica e nelle so-lennità, nella quale venivano coinvolte di-verse figure ministeriali. L’ufficiatura mo-nastica invece nacque e si sviluppò all’in-terno delle comunità monastiche, rispon-dendo così alle esigenze e alla spiritualitàdi una comunità di monaci che hannocome scelta di vita quella di essere votatiessenzialmente alla preghiera. San Bene-detto definirà l’Ufficio divino come OpusDei, e gli dedicherà 10 dei 73 capitolidella sua Regola. Essendo questa la loroprima e fondamentale occupazione, an-che la preghiera dei monaci sarà impron-tata secondo questa esigenza. Al contra-rio infatti della stessa ufficiatura cattedra-

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le, quella monastica era caratterizzata dauna salmodia molto più lunga e di tipocorrente: i salmi cioè venivano recitati inmaniera progressiva secondo l’ordine nu-merico di comparsa nel salterio. Mancavainoltre l’elemento rituale e cerimoniale,perché tutto veniva condotto alla so-brietà ascetica propria della vita e degliimpegni monastici. Tali caratteristicheerano possibili anche per l’assenza delpopolo di Dio durante la preghiera mo-nastica. Ciò giustifica anche il fatto che,contrariamente a quanto invece accade-va per l’ufficiatura cattedrale, l’ufficiaturamonastica mattutina non cominciava allospuntare del sole, ma bensì quando an-cora era notte. La volontà inoltre di met-tere in pratica il precetto evangelico dellapreghiera ininterrotta, che ritroviamo nelVangelo di Luca: «Disse loro una parabo-la sulla necessità di pregare sempre, sen-za stancarsi» (Lc 18,1), condurrà a legge-re questo passo della Scrittura come la ri-chiesta di una preghiera anche struttural-mente ininterrotta, senza pausa alcuna.Ciò porterà ad organizzare delle vere eproprie turnazioni di modo che ogniistante della giornata fosse assicurata daun gruppo di monaci che celebrasserol’ufficio. Per questo motivo nascerà la co-siddetta Vigilia tota nocte, una lunga ve-glia che si protraeva per l’intera notte eall’interno della quale veniva pregato l’in-tero salterio. Visto l’impegno esigenteche si richiedeva per assicurare la Lausperennis, ossia la celebrazione ininterrot-ta dell’ufficiatura sia di notte che di gior-no, questa pratica cominciò a declinarein Oriente, a partire dal VI secolo, mentre

in Occidente dall’VIII secolo. A Roma talepratica continuò più a lungo. Ciò vienetestimoniato dal fatto che attorno allaBasilica di S. Pietro erano presenti benquattro monasteri che attuavano tale ti-po di ufficiatura, dividendo tra di loro ilgravoso impegno così che attorno allatomba dell’apostolo Pietro, il vero e pro-prio centro della cristianità, l’ufficiaturarisultasse davvero ininterrotta11.

4. L’Ufficio divino nell’epoca me-dievale e oltre

Con il Medioevo si assistette ad un fe-nomeno che tutti saremmo d’accordo neldefinire involutivo, ossia la progressivaclericalizzazione della preghiera dellaChiesa. Progressivamente essa tenderàad essere riservata al solo clero. Innanzi-tutto, perché si potesse partecipare inmaniera attiva all’Ufficio divino da partedel popolo di Dio, sarebbe stata necessa-ria la conoscenza a memoria del salterio,oppure l’acquisto di libri costosissimi edinoltre inaccessibili per la maggior partedella popolazione analfabeta. Un ulterio-re problema che non facilitava certamen-te la partecipazione dei fedeli era quello“linguistico”, ossia l’incomprensione del-la lingua latina da parte del popolo. Infi-ne, il diffondersi della liturgia corale, conil fasto, l’ampiezza e i numerosi uffici oc-casionali dei quali l’ufficiatura era stataman mano sovraccaricata, impediva lapartecipazione del popolo riservata aglispecialisti: monaci, canonici, chierici, be-neficiati. Nonostante ciò comunque i cri-stiani conservarono sempre il desiderio

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della preghiera delle Ore e cercavano diparteciparvi12. Si assistette comunque adun allontanamento del popolo di Dio dal-l’Ufficio divino e alla sua sostituzione condei veri e propri “surrogati”. Ecco perciòche dalla ricca e multiforme vita devozio-nale del Medioevo scaturirà quello chesarà definito in maniera alquanto signifi-cativa il “breviario dei semplici e degli in-dotti”, ossia il rosario. Questa preghieramariana fu strutturata infatti ad imitazio-ne dell’ufficiatura sacra: le 150 Ave Ma-ria che richiamano i 150 salmi del salte-rio; così come i salmi, distribuiti nelle di-verse ore canoniche, allo stesso modo leAve Maria vengono distribuite nei 15 mi-steri ed anche la loro proclamazione all’i-nizio di ciascuna decina richiama l’into-nazione dell’antifona all’inizio di ogni sal-mo, così come il Gloria Patri, al terminedi ogni decina, richiama il Gloria Patri checonclude la recita di ciascun salmo. Altrapreghiera molto diffusa in ambito popo-lare sarà l’Angelus Domini. Anch’essa ri-chiama la struttura dell’ufficiatura: la pro-clamazione in forma responsoriale di 3antifone, seguite dall’Ave Maria e al ter-mine la recita di un’orazione. E, comel’ufficiatura cambia a seconda dei giornie del tempo liturgico, analogamente, neltempo pasquale si tralascia l’Angelus Do-mini per sostituirlo con il Regina caeli13.

Si verificheranno dei mutamenti an-che in campo ecclesiastico. Dopo il feno-meno della “clericalizzazione” infatti, sipresentò quello altrettanto involutivo del-la “privatizzazione”. Già intorno all’VIIIsecolo erano presenti infatti alcune nor-me canoniche che stabilivano che chiun-

que (naturalmente monaco o chierico)non potesse essere presente in coro perla recita comunitaria dell’ufficio sacro,dovesse comunque assolvere in privato aquesto compito. E di questo passo la ce-lebrazione comunitaria, che nella tradi-zione antica rappresentava l’unica formadi celebrazione per l’Ufficio divino, finìcon l’essere percepita quale forma mi-gliore e preferenziale ma alla quale di fat-to, per motivi soprattutto pratici di co-modità, fu preferita l’alternativa, agli inizisolamente eccezionale, della recita priva-ta. Nasceranno inoltre in questo periodo icosiddetti “breviari”, come il Breviariumsecundum usum romanae Curiae di Inno-cenzo III, rivisto in seguito da Onorio III eadottato dai francescani i quali lo diffuse-ro ovunque. I “breviari”, come dice il no-me stesso, rispondevano ad una precisanecessità pratica. Il sovraccarico sia del-l’orario che del contenuto dell’ufficio,nonché la celebrazione completa, giorna-liera e solenne dell’intero Ufficio divinoimposta dalla legislazione carolingia atutte le Chiese, porterà alla richiesta, daparte soprattutto degli ordini mendicantie dei presbiteri impegnati nella pastorale,di un ufficio accorciato e semplificato,contenuto in un libro facilmente “tra-sportabile”. Se il breviario risponderà adun’esigenza pratica di molti presbiteri, inrealtà verrà man mano snaturandosi l’i-deale della preghiera oraria. In effettimolti sacerdoti saranno facilmente indot-ti a vedere quest’ultima come un “uffi-cio”, un dovere-obbligo da espletarsi ilprima possibile (l’Ufficio divino venivapossibilmente “detto” interamente al

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mattino) per dedicarsi in seguito alle atti-vità pastorali. La tendenza sarà alloraquella di tradire sia l’aspetto comunitariodella preghiera oraria, e quindi la sua ce-lebrazione corale, a favore invece di unaprivatizzazione della stessa, nonché quel-la di venir meno al principio della veritashorarum, ossia la corrispondenza tra l’uf-ficio celebrato e il ritmo naturale delleore.

5. La riforma liturgica dell’Ufficiodivino

A restituire dignità e centralità all’Uffi-cio divino quale preghiera della Chiesa,interverrà la riforma liturgica avviata dalConcilio Vaticano II. La Costituzione litur-gica Sacrosanctum concilium gli dedi-cherà l’intero capitolo quarto. I principiconciliari sui quali si baserà il futuro rin-novamento furono sostanzialmente quat-tro:1. riscoperta dell’Ufficio divino «quale

preghiera pubblica e comune del po-polo di Dio»14 (non solo del clero e deimonaci), attraverso il quale Cristocontinua il suo ufficio sacerdotale nel-la Chiesa15;

2. l’orante deve poter vivere spiritual-mente dei testi dell’Ufficio divino,«fonte di pietà e nutrimento dellapreghiera personale», facendo in mo-do che «la mente corrisponda alla vo-ce»16;

3. il rispetto della veritas horarum «inmodo che le diverse Ore, per quantopossibile, corrispondano al loro verotempo»17;

4. fedeltà al passato e sensibilità allecondizioni attuali del clero: «l’ordina-mento tradizionale dell’Ufficio sia rive-duto […] tenendo presenti però an-che le condizioni della vita contempo-ranea in cui si trovano specialmentecoloro che attendono all’aposto-lato»18.Da questi principi ispiratori della rifor-

ma scaturirà la conseguente revisionedell’Ufficio divino, della quale i passaggipiù rilevanti saranno riassunti da Paolo VInella Costituzione apostolica Laudis can-ticum del 1 novembre 1970, con la qualeil pontefice promulgava l’Ufficio divinoriformato per mandato del Concilio Vati-cano II.

Tra le diverse modifiche apportate ri-cordiamo innanzitutto la distribuzionedel salterio in quattro settimane, e perciòl’abolizione del ciclo settimanale, di mo-do da alleggerire l’ufficio stesso, rispon-dendo alle necessità dei presbiteri impe-gnati nel servizio pastorale e rendendol’Ufficio divino più accessibile anche ailaici. La raccolta dell’intera Liturgia delleOre in quattro volumi, che seguono losvilupparsi dell’anno liturgico, offre unapiù ampia ricchezza di testi biblici ed eu-cologici distribuiti in relazione al tempoliturgico che si sta celebrando. Viene rivi-sto l’ordinamento generale dell’Ufficiodivino, di modo che le ore canonichepossano più facilmente corrispondere allevarie ore del giorno e possa perciò, lapreghiera pubblica della Chiesa, rispon-dere alla sua vera e originaria ispirazione,quella di “Liturgia delle Ore”, santifican-do perciò «tutto il corso del giorno e del-

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la notte»19. Viene abolita l’Ora di Prima,mentre le Lodi e i Vespri assumono gran-de importanza, in quanto cardini di tuttol’ufficio e quali preghiere rispettivamentedel mattino e della sera. Il tesoro dellaParola di Dio si effonde più copioso nelnuovo ciclo di letture; inoltre, per quantoriguarda l’Ufficio delle letture, la prescrit-ta lettura quotidiana delle opere dei santiPadri e degli scrittori ecclesiastici vienerinnovata in modo da proporre i migliori

scritti degli autori cristiani, rivedendo an-che, soprattutto, le letture agiografichenel rispetto della verità storica. Non di-mentichiamo infine l’uso della lingua vol-gare, la quale contribuirà in maniera effi-cace all’accostamento del popolo di Dioalla preghiera della Chiesa che, da pre-ghiera privata del clero “recitata indivi-dualmente”, diverrà la preghiera pubbli-ca della Chiesa “celebrata comunitaria-mente”.

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——————1 Principi e norme per la Liturgia delle Ore (=PNLO),

in Enchiridion Liturgico, ed. Centro Azione Liturgi-

ca, Casale Monferrato 1989, 1.2 Cf. R.F. TAFT, La liturgia delle ore in Oriente e Occi-

dente. Le origini dell’ufficio e il suo significato per

oggi, Roma 2001, 29.3 Cf. R. DE ZAN, «Il tempo della preghiera nel Nuovo

Testamento», in Liturgia delle Ore. Tempo e rito.

Atti della XXII Settimana di Studio dell’Associazio-

ne Professori di Liturgia, Susa (TO), 29 agosto-3

settembre 1993 (B.E.L. Subsidia 75), Roma 1994,

89-106.4 PNLO 37.5 Cf. R.M. LEIKAM, «La Liturgia delle Ore nei primi

quattro secoli», in Scientia Liturgica. Manuale di

Liturgia, vol. 5: Tempo e spazio liturgico, ed. CHU-

PUNGCO A.J., Casale Monferrato 1998, 35.6 Cf. J.P. AUDET, La Didaché, Instructions des Apô-

tres, Paris 1958.7 Cf. CLEMENTE ROMANO, 1 Cor (Patrologiae cursus

completus. Series graeca 1), Parisiis 1857, 287.8 CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata (Patrologiae cur-

sus completus. Series graeca 9), Parisiis 1858,

456.9 Cf. TERTULLIANO, De Oratione (Corpus Christiano-

rum. Series latina 1), Turnhout 1954, 272.

10 CIPRIANO, De Dominica Oratione (Corpus Christia-

norum. Series latina 3A), Turnhout 1976, 111 ss.11 A. ELBERTI, La Liturgia delle Ore in Occidente. Sto-

ria e teologia, Roma 1998, 220-226.12 Cf. A.G. MARTIMORT, «La preghiera delle Ore», in

La Chiesa in preghiera. Introduzione alla Liturgia,

vol. 4: La Liturgia e il tempo, ed. A.G. MARTIMORT,

Brescia 21995, 211.13 Cf. S. MARSILI, «La liturgia, momento storico della

salvezza» in Anàmnesis, vol. 1: La Liturgia mo-

mento nella storia della salvezza, edd. B. NEUNHEU-

SER-S. MARSILI-M. AUGÉ-R. CIVIL, Genova 21979,

152-153.14 PNLO 1.15 Cf. Costituzione “Sacrosanctum concilium” sulla

sacra liturgia del Concilio Vaticano II, in Concilio-

rum Oecumenicorum Decreta, ed. G. ALBERIEGO-

G.L. DOSSETTI-P. JOANNOU-C. LEONARDI-P. PRODI, Bolo-

gna 1996, 83; PNLO 13.16 SC 90; cf. PNLO 19.17 SC 88; cf. PNLO 11.18 C 88.

19 PNLO 10.

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er stabilire i rapporti tra le cosebisogna innanzitutto chiarirsi leidee. Ma non è affatto facile de-

finire la preghiera, né il tempo. Se la preghiera è il dialogo dell’anima

con Dio, allora non si vede bene perchédistinguerla dal tempo. La vita dell’animaè Dio, e ogni anima vive la sua vita neltempo. Tempo e preghiera dunque si so-vrappongono e cooperano insieme, comeil battito del cuore e il respiro. Il vangelostesso propone questa sintesi straordina-ria, pura e profonda, quando comanda lapreghiera costante, insistente, ininterrotta:“pregare sempre, senza stancarsi mai” (Lc18,1). Gesù assimila la preghiera a un at-teggiamento esistenziale, indicandolo co-me un requisito assolutamente necessario,una realtà che deve accompagnare conti-nuamente il discepolo nello scorrere del-l’esistenza. L’idea viene ripresa senza mez-zi termini da San Paolo nel più antico do-cumento cristiano in nostro possesso, laPrima Lettera ai Tessalonicesi: “Pregatesenza interruzioni. Rendete grazie in ognicosa. Questa è la volontà di Dio a vostroriguardo, in Gesù Cristo. Non spegnete loSpirito” (1Ts 5,17-19).

Una direttiva chiara, ma che appare didifficile applicazione. Sembra presupporre,poco realisticamente, che l’uomo sia pa-

drone del proprio tempo. Cosa tanto piùardua in una società che impone uno stiledi vita scellerato, nel quale più che altro sifinisce per diventare schiavi del tempo odella sua mancanza. Pregare in ogni mo-mento sembra una possibilità riservata so-lo a chi può scegliere davvero cosa fare, oa chi proprio non ha altro da fare. In più,c’è l’altra faccia della medaglia. Anche seabbondasse, il tempo dimostra di non es-sere unitario e omogeneo. A sua volta, iltempo si frammenta in tempi. Ha sensoperciò interrogarsi se ci sono tempi idoneiper la preghiera o, addirittura, obbligatoriper essa? “Per tutto c’è il suo momento”ci ricorda il Qoelet, che nel suo lungoelenco di tutte le cose per cui c’è tempo –nascere, morire, piantare e sradicare – si-gnificativamente non include “un tempoper pregare” (Cfr. Qo 3, 1-11).

Tranne Gesù, che lo fa in modo tota-lizzante, la Bibbia, in generale, non defi-nisce in maniera univoca la relazione trail tempo e la preghiera. A meno che nonsi tratti di atti rituali, come per esempio ilsacrificio quotidiano del mattino e dellasera, non viene formulato nessun precet-to esplicito. Gli stessi Salmi, il tesoro ine-sauribile della preghiera biblica, ci sugge-riscono di pensare che ogni momento è

Le ore della preghiera nella BibbiaIl tempo di Dio

don Gianmario Pagano

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un momento opportuno. Le porzioniprincipali della giornata, il mattino, il po-meriggio, la sera e infine la notte, il piùdelle volte non sembrano distinti interval-li tra due posizioni della meridiana, ma ri-chiami successivi alla necessità del rap-porto con Dio nel mezzo dei più diversistati d’animo che accompagnano l’uomocon il loro trascorrere. Non ci sono indi-cazioni precise né sul “come”, né sul“quando”, né - tanto meno - una normagenerale che vincoli rigidamente i tempialla preghiera.

Come si sa, non c’è modo di afferrareil tempo. Una regola che vale anche perla Bibbia. Il tempo è un fenomeno che simanifesta in molti modi, ma che in ulti-ma analisi sembra legato più alla defini-zione dei limiti della natura umana in-scritta nel creato e sottomessa alle sueleggi, che a un concetto astratto e asso-luto. La Bibbia ama spesso ricordare cheDio ha tutto il tempo che vuole, l’uomono: “Per te mille anni sono come il gior-no di ieri, già passato, come un turno diveglia nella notte…” (Sal 90,4). Lo stessonascere e spegnersi della vita umana puòdiventare una misura del tempo, come ilnascere e il tramontare del sole: “Settan-ta sono gli anni della nostra vita, ottantaper i più robusti…” (Sal 90,10). Come ri-cordava anche sant’Agostino, il tempodella vita umana, a ben guardare, non èscandito dai fenomeni naturali, come l’o-scillazione del pendolo o la rotazione ter-restre, ma dalla presenza a se stessi e dal-la memoria, dagli affetti e dall’attesa cheessi suscitano nel flusso della nostra co-scienza. Anche se l’orologio protesta,

nell’anima conta più la qualità del tempoche la sua quantità.

In questo senso, la preghiera biblicaaspira ad essere dunque la chiave per de-finire il tempo e non viceversa. Il tempo èquella misteriosa creatura che, mentre ciuccide lentamente, ci permette però dipregare e di incontrare Dio.

“Pregare” si dice in molti modi

Nella Bibbia, “pregare” significa inrealtà molte cose, simili eppure diverse. Lameditazione della parola di Dio, peresempio: “Mi ricordo di te nel mio giaci-glio, medito su di te nelle veglie nottur-ne” (Cr. Sal 63,7; Sal 77, 7). Dove spesso“meditare” ha il significato di “leggere oascoltare, e/o ripetere ad alta voce”, datoche nell’antichità la lettura col pensieroera una stravaganza di lusso che si conce-devano solo rarissime persone, molto alle-nate al lavoro intellettuale. Un uomo cheleggeva un testo senza muovere le labbrafaceva lo stesso effetto che oggi fa unmaestro di scacchi che gioca a memoria.L’atto del meditare, comunque, in quantocompiuto principalmente con la bocca,appare come un atto molto simile al nu-trimento. La vita dell’uomo si alimenta diDio: “Non di solo pane vive l’uomo, ma diogni parola…” (Cfr. Dt 8,3).

Pregare significa molto spesso lodaree ringraziare: “Sette volte al giorno io tilodo” (Sal 119, 164). Dove “sette”, co-me è noto, non sta per sette distinti mo-menti della giornata, ma per la sua inte-rezza: io ti lodo tutto il giorno. Il più delle

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volte, lode e ringraziamento scaturisconodall’incontro con la Rivelazione divina,suscitata dall’ascolto della Parola di Dio odall’esaltazione delle meraviglie del crea-to e delle opere della salvezza. I grandi“cantici” e gli “inni” dell’Antico o delNuovo Testamento sono quasi sempreuna forma, più o meno elaborata, di Be-rakhah, cioè di ringraziamento, tappe diun percorso che, per l’anima cristiana,conducono all’Eucaristia.1

La preghiera è offerta sacrificale. Il sa-crificio può essere rituale, ma anche di lo-de, dove la materia dell’offerta, normal-mente la vita di un animale o il profumodell’incenso, è costituita in questo casodalle stesse parole che scaturiscono dallelabbra. Normalmente questo tipo di pre-ghiera è associata alla preghiera nel Tem-pio, dove ogni atto umano, dal più codifi-cato al più spontaneo, assume un signifi-cato rituale e sacrificale: “Come incensosalga a te la mia preghiera, le mie mani al-zate come sacrificio della sera” (Sal 140,2).

La preghiera è supplica e invocazione,come grido ininterrotto dell’umanità nelbisogno e nel dolore, che sale fino a Dio.Oltre a essere l’aspetto forse più emotivoe spontaneo della preghiera, è un tema,come si sa, molto caro ai Salmi.

Infine la preghiera, dalle testimonian-ze bibliche più antiche fino alle ultime pa-gine del Nuovo Testamento, prende spessola forma di intercessione, come quella diAbramo per Sodoma o di Mosè per il po-polo condannato allo sterminio. L’interces-

sione si distingue dalla supplica per il fattoche spesso l’orante invoca grazia o si ergea difesa della punizione a favore di terzi, inparte o del tutto ignari della loro condizio-ne di necessità. Supplica e intercessionesono particolarmente forti e presenti nellavita di Gesù, e perciò sono una componen-te naturale della vita cristiana.2

La preghiera biblica dunque è diversa-mente caratterizzata dal modo in cui ècondotto il dialogo con Dio. Non è raroche una forma di preghiera si trasformi inun’altra, come quando per esempio la lodetende a diventare supplica. Inutile perciòesagerare con le nette distinzioni tra i “ge-neri letterari” della preghiera. Nel comples-so, infatti, in questa sua capacità di decli-narsi in forme diverse, la preghiera dimo-stra la sua innata connessione con il tem-po, in quanto ogni tempo ha il suo biso-gno e la sua modalità di essere vissuto.Ogni momento della vita ha un modo pro-prio di articolare e plasmare la preghiera.

I tempi e il tempo

La Chiesa, con la Liturgia delle Ore, in-terpreta il comando della preghiera instan-cabile declinandolo nella frequenza, distri-buita su precisi momenti, della preghierapersonale e soprattutto liturgica. All’indica-zione del Vangelo “la Chiesa ottemperanon soltanto celebrando l’Eucaristia, maanche in altri modi, e specialmente con laliturgia delle ore, la quale, tra le altre azioniliturgiche, ha come sua caratteristica perantica tradizione cristiana di santificare tut-to il corso del giorno e della notte”.3

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Ma è giusto trasformare così il “tempodella preghiera” in “tempi di preghiera”?La legittimazione di tale scelta passa di soli-to da una considerazione pratica: siccomenon è possibile passare la vita a pregare,dobbiamo rinnovare alcuni tempi dedicatialla preghiera “inserendoli” negli spazi del-la vita. Eppure il comando di Gesù sembrameno riduttivo, più aperto ad assimilare iltempo alla preghiera che viceversa. La pre-ghiera dovrebbe “marcare” tutta la vita, inogni suo singolo atto.

“Sacralizzare” di fatto una parte deltempo, anziché la sua totalità, porta infattia un paradosso: quello di ignorare che tut-to il tempo cristiano è santo, in quanto èun kairòs opportuno per la salvezza, nelquale Dio ci viene incontro col suo amore ela sua misericordia. Una famosa opera diMaldonado ha affrontato questo proble-ma, dando il benvenuto ad una certa “se-colarizzazione” della liturgia.4

Come in altri casi, se si vuole vera-mente cogliere la profondità della tradi-zione ecclesiale, bisogna rifuggire dallescorciatoie mentali, che in questo conte-sto sono due, e tra loro opposte. Da unaparte, infatti, il precetto della preghieracontinuativa potrebbe diventare una scu-sa per non pregare affatto, mettendo co-modamente l’etichetta “preghiera” sullavita; dall’altra, distinguere nettamente lavita dalla preghiera porterebbe a un lega-lismo sterile, dove l’obbligo si ritieneadempiuto nell’applicazione materialedell’ufficio, per i chierici e i laici volente-rosi, o la striminzita preghiera del matti-no e della sera per tutti i fedeli. È il solitoproblema della precettazione che, se in-

tesa male, in ambito religioso rischia diessere fine a se stessa.

La più naturale “via di mezzo” che per-metta di accogliere la tradizione dellaChiesa senza perderne l’intento profondodi praticare le parole di Gesù sulla preghie-ra è quella di leggere i vari “tempi” in cuisi suddivide il “tempo” come occasioni persantificarlo. Si coglie una parte per cogliereil tutto. Si abbraccia una porzione di tem-po e la si offre a Dio per esprimere la con-sacrazione della sua interezza. I momentidiversi della giornata diventano così “segnisacramentali” di questo tempo salvifico nelquale siamo immersi nel dialogo costantecon il Signore. I tempi dedicati a Dio richia-mano l’appartenenza del Tempo di Dio. Gliintervalli della preghiera significano e ren-dono viva e presente così la tensione versouna comunicazione ininterrotta, sostenutanella fede e destinata a culminare nella vi-sione promessa.

La Bibbia e le ore della giornata

Il mattino è da sempre, in tutte le cultu-re, il simbolo della rinascita. L’alba mette infuga le tenebre e tutto l’universo si illumi-na come in un nuovo inizio. La natura inte-ra sembra risollevarsi al risveglio. L’uomo ri-prende, dopo il riposo, la fatica del suo la-voro. Il mattino cominciano le grandi im-prese e spesso si affrontano le battaglie.Ogni mattino può essere l’occasione affin-ché la storia dell’uomo, personale o collet-tiva, prenda una nuova piega.

Tuttavia, insieme a questa simbologiaonnipresente, il mattino nella Bibbia sicarica di un significato legato allo svol-

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gersi di eventi precisi della storia dellasalvezza. Ogni giorno della creazione co-mincia con un mattino (Cfr. Gn 1,5ss). Èmattino quando Abramo si alza per sella-re l’asino e condurre al sacrificio suo fi-glio Isacco (Gn 22,3). È mattino quando ilSignore, nella nube di fuoco, porta scom-piglio tra gli Egiziani che inseguono Israe-le per poi richiudere il mare dietro di loro,travolgendoli (Es 14, 24-27). Al mattino ilpopolo si sveglia e trova per la prima vol-ta la manna, che raccoglierà, per altriquarant’anni puntualmente, alla stessaora (Es 16, 8ss). Sul monte Sinai, il Signo-re si rivela al suo popolo, il mattino delterzo giorno (Es 19, 16). Mosè costruisceal mattino l’altare dell’alleanza (Es 24, 4).Aronne riceve il comando di sacrificaredue agnelli al giorno, di cui il primo almattino (Es 29, 39; Num 28,4)). Di nuovoDio dà a Mosè appuntamento al mattinoper consegnargli le tavole della legge (Es34, 2ss). Anche nelle prescrizioni del Levi-tico, le prime ore del giorno assumonoun significato speciale, ovviamente legateal rituale del sacrificio. Non mancanoperò norme morali, come quella che im-pedisce di trattenere il salario dell’ope-raio fino al mattino del giorno seguente(Lev 19, 13). Durante il pellegrinaggio neldeserto, il popolo si muoveva solo se lanube del Signore si alzava al mattino dal-la tenda del convegno (Num 9, 21). Gio-suè si alza di buon mattino insieme a tut-to il popolo per attraversare il Giordano(Giosuè 3, 1), poco dopo Israele vienesvezzato dalla manna e comincia a man-giare i frutti della terra di Canaan, a par-tire dal mattino del giorno seguente

(Giosuè 5, 12). È ancora l’alba quandocadono le mura di Gerico (Giosuè 6,12ss). Spesso i profeti sono raggiunti dal-la parola del Signore proprio al mattino(Cfr. Ez 12, 8). La sapienza, del resto, silascia trovare sulla porta di casa di queipochi volenterosi che si alzano al mattinopresto, per cercarla (Sap 6,14).

Nel Nuovo Testamento, durante il mat-tino il padrone della vigna chiama i suoioperai (Mt 20, 1), la gente si reca al tem-pio per ascoltare Gesù (Lc 21, 38; Gv 8,2),che verrà condotto nel medesimo momen-to della giornata al giudizio dai suoi accu-satori (Mc 15, 1; Gv 18, 28) e crocifisso in-fine all’ora terza, cioè le nove del mattino(Cfr. Mc 15,25). Ovviamente, al mattinodel primo giorno dopo il sabato, la tombadi Gesù viene trovata vuota (Mc 16, 19; Lc24,1.22; Gv 20,1). Lo Spirito Santo che se-gna l’inizio della vita e della missione dellaChiesa, viene donato ai discepoli il giornodi Pentecoste, all’inizio di una nuova gior-nata, poco prima delle nove (Cfr. At 2,15).

Mezzogiorno segna la pienezza dellaluce diurna. Il sole raggiunge il massimodella sua forza, tanto da rendere difficileil lavoro. È il momento più adatto peruna pausa. Il ristoro del pasto restituiscele energie spese e prepara ad affrontare ilresto della giornata.

Nella Scrittura, le ore centrali dellagiornata sembrano propizie per grandiincontri e rivelazioni. Abramo accoglie gliangeli nella sua tenda durante l’ora piùcalda del giorno (Gn 18, 1ss). In quellastessa ora Gesù incontra la Samaritana alpozzo (Gv 4,6). Sarà lo stesso momentodella giornata in cui si troverà sulla croce,

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nel pieno della sua agonia, e griderà:“Ho sete” (Cfr. Gv 19,28; Mt 27, 45; Mc15,33ss; Lc 23, 44;). All’ora sesta, Pietroprega sulla terrazza di una casa di Giaffae riceve la rivelazione che la missione del-la Chiesa è anche per i pagani (At 10,9).

Nel tardo pomeriggio e alla sera, iltramonto del sole corona la giornata esegna la fine dell’attività dell’uomo. An-che la natura sembra ritrovare la calma eprepararsi al riposo. L’uomo trova final-mente il tempo da dedicare alle relazioni,soprattutto agli amici e alla famiglia. Sicomunicano così gioie e dolori, passanole notizie, si apprendono nuove cose. Siaffacciano timori ma si accendono anchesperanze, per il giorno che verrà.

Fin dalle prime pagine della Scrittura,la sera scandisce la danza settenaria dellacreazione insieme con il mattino. Tuttaviaassume una connotazione di speranzaquando la colomba raggiunge l’arca por-tando a Noè un ramoscello d’ulivo; equando gli angeli vengono inviati a salva-re la famiglia di Lot dal disastro di Sodo-ma (Gn 19,1). La sera è l’ora in cui ledonne vanno alla fonte o al pozzo ad at-tingere l’acqua (Cfr. Gn 24,11), è il mo-mento in cui i patriarchi e i profeti posso-no incontrare le loro spose (Gn 24, 63; Es21,33). Ovviamente è l’ora in cui i maritisi possono riunire alle loro mogli, e in cuisi acquietano, oppure divampano, le ten-sioni familiari (Gn 30,16). Alla sera il po-polo nel deserto cena con la carne (Es16, 6ss e par.). Nelle ore in cui si fa buio,la nube nella tenda della testimonianza,in mezzo all’accampamento di Israele, di-venta chiara e luminosa come il fuoco

(Num 9,15ss). Infine, alla prescrizione delsacrificio del mattino corrisponde quellodella sera. L’agnello pasquale, invece, vaesclusivamente immolato la sera, al tra-monto del sole (Dt 16, 6 e par.). L’ora no-na, che precede di poco la sera, non acaso è l’ora della morte di Gesù (Mc15,33 e par.). Ma è anche, secondo gliAtti, l’ora in cui si apre la porta del Re-gno ai pagani (At 10, 3ss). La sera la gen-te portava a Gesù i malati e gli indemo-niati da guarire (Mc 1, 32). In quelle ulti-me ore Gesù e i suoi si spostano in barca,cercando riposo, a volte inutilmente (Mc4, 35; Gv 6, 16ss). Anche Gesù si racco-glie alla sera con la famiglia dei suoi di-scepoli e ne condivide il pasto (Mc 14,17). Ed è anche questo il momento mi-gliore per rivelarsi loro come Risorto, du-rante la cena di Emmaus (Lc 24, 29). Sealle donne Gesù appare fin dalla mattina,si rivela nel cenacolo davanti a tutti gli al-tri discepoli solo alla sera (Gv 20,19).

La notte ha un significato ambivalen-te. Da una parte, l’assenza di luce esponeal pericolo che si nasconde nel buio, co-me quello dei predatori, ma anche quelloteso dagli uomini disonesti e malvagi,spesso paragonati a belve feroci. Di con-seguenza, la notte assume un significatomorale, come tempo del dominio delmale, che cerca di trarre vantaggio dalsegreto e dall’assenza della luce. Nellostesso tempo però, per contrappasso, letenebre diventano l’occasione per valo-rizzare la luce. “La luce splende nelle te-nebre” e le sconfigge (Cfr. Gv 1,5), per-ciò la preghiera notturna si associa natu-ralmente al simbolo universale della luce

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benigna vittoriosa sul buio, e quindi sulmale. Inoltre la notte, con la sua quietee il suo silenzio, sono un tempo specialis-simo per il raccoglimento e la riflessione.

Nelle notti bibliche avvengono cosestraordinarie. Dio accende la luce dellacreazione nel pieno della notte cosmica,portando tutto all’esistenza (Gn 1,3). Abra-mo parla spesso con Dio di notte (Gn 26,4), e nel pieno della notte Dio san-cisce la sua alleanza con lui (cfr Gn 15,17).Nell’oscurità, per una notte intera, Giacob-be lotta con Dio (Gn 32,14ss). Nel sonnonotturno, Giuseppe fa i sogni che segnanoil suo destino. Durante la notte, l’angelo diDio passa oltre le case degli Israeliti e li li-bera dalla schiavitù dell’Egitto (Cfr. Es 12).Di notte Dio guida il suo popolo in una co-lonna di fuoco verso la conquista della li-bertà (Es 13,21). Sempre di notte, Dio aprele acque del mare e trasforma un capoli-nea di morte sicura in una via di salvezza(Es 14,21). Il fuoco di ogni olocausto dovràrimanere acceso per tutta la notte (Lv 6,2).Mentre l’accampamento dorme, scende larugiada notturna che il mattino si trasfor-merà in manna (Num 11,9). Col favoredella notte, Davide entra nell’accampa-mento di Saul (1 Sam 26). Molte volte Diosi rivela nei sogni notturni da Giuseppe, fi-glio di Giacobbe, fino a Salomone (1 Re3,5) a Giuseppe di Nazareth, padre e cu-stode di Gesù, che fugge la notte per met-tere in salvo la famiglia in Egitto (Mt 2,14).Nel cuore della notte, Gesù rivela la suapotenza divina camminando sul mare (Mt14, 24).

Ogni “ora biblica” dunque possiede unaformidabile forza evocativa. Quando il cre-

dente prega viene invitato a sentirsi parte vi-vente e attiva della storia della salvezza, chesi svolge nel tempo, che lo raggiunge neltempo, e che si celebra nel tempo. Il tempodi Dio è un tempo attivo, brulicante di no-vità e la stessa preghiera è un’attività checontribuisce a trasformare il mondo.

Il tempo nei Salmi

Come è risaputo, la tradizione di prega-re con i salmi nelle diverse ore della giorna-ta risale all’ebraismo antico. Più che nellaBibbia, le radici delle ore canoniche, nelmodo in cui ancora oggi si presentano, sipossono rintracciare tra gli Ebrei della dia-spora romana. Nelle varie parti dell’Impero,la vita dei piccoli e grandi centri era scandi-ta dalla misurazione del tempo. Non aven-do a disposizione né il segnale orario, négli orologi atomici in linea su Internet, l’e-breo romanizzato, come del resto ogni ro-mano, regolava la sua vita sul suono dellacampana del foro.

La campana suonava per la prima voltaalle sei del mattino (ora prima), poi a metàmattina, cioè alle nove (ora terza), a mezzo-giorno (ora sesta), a metà pomeriggio (oranona) e infine la campana dell’ultima ora,le nostre 18.00, chiudeva l’attività dellagiornata e segnava l’inizio della sera. GliEbrei devoti cominciarono a scandire questiintervalli con momenti di preghiera. L’usofu ripreso dai primi cristiani e trasmessosuccessivamente alla tradizione monastica.

Nonostante non si possa sostenere chei Salmi siano nati per obbedire a questoschema, bisogna riconoscere che vi si adat-tano molto bene, proprio perché sono la

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testimonianza viva di una preghiera inces-sante. “Al mattino ascolta la mia voce; findal mattino t’invoco e sto in attesa (Sal 5,4). “Alla sera sopraggiunge il piantoe al mattino, ecco la gioia” (Sal 30,6). “Disera, al mattino, a mezzogiorno mi lamen-to e sospiro ed egli ascolta la mia voce (Sal 55,18). “Ma io canterò la tua potenza,al mattino esalterò la tua grazia…” (Sal 59,17). “A te, Signore, grido aiuto, eal mattino giunge a te la mia preghiera”(Sal 88,14). “Saziaci al mattino con la tuagrazia: esulteremo e gioiremo per tutti inostri giorni” (Sal 90,14). “È bello cantareal tuo nome, o Altissimo, annunziare almattino il tuo amore, la tua fedeltà lungola notte” (Sal 92,3). “Dio mio, invoco digiorno e non rispondi, grido di notte e nontrovo riposo” (Sal 22,3). “La mia lingua ce-lebrerà la tua giustizia, canterà la tua lodeper sempre” (letteralmente: “per tutto ilgiorno”, Sal 35,28). E tutto questo, comesa chi è pratico dell’ufficio quotidiano, èsolo un piccolo assaggio. I salmi conferma-no che la preghiera non è una lotta controil tempo, ma consiste nel vivere il tempo alcospetto di Dio.

Conclusione: le ore della preghieracome sacramento di un unico temposalvifico

La Bibbia, interpretata alla luce dellaconsuetudine e della tradizione, ebraica

prima e cristiana poi, suggerisce che leore della preghiera devono essere intesenon come sostitutive del precetto dellapreghiera continua, ma come celebrazio-ne del “mistero” del tempo della salvez-za, tempo che appartiene completamen-te a Dio, nel quale l’uomo è chiamato adunirsi al sacrificio della liturgia perenne.

Le ore della preghiera sono una manife-stazione essenziale del sacerdozio comunedei fedeli. Tale sacerdozio è chiamato adesprimersi continuamente, senza interru-zione, secondo lo spirito della preghieracomandato e raccomandato da Gesù.5

In pratica, il credente, per vivere il pro-prio sacerdozio spirituale in obbedienzaal Vangelo, è chiamato a riappropriarsidel tempo. Saperne dedicare una porzio-ne a Dio è una affermazione di libertàcontro la schiavitù della fretta e dei minu-ti contati, così tristemente capace di ren-dere sterili e aridi anche gli slanci più su-blimi. Il vero peccato dell’uomo moder-no, la vera radice del secolarismo, è che,perdendo la nozione di Dio, e perciò del-la preghiera, si viene privati anche diquella del tempo. Ritrovare il tempo per-duto è il passo più vicino, e forse il piùimportante, per ritrovare Dio.

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——————1 Cfr. Jesùs Castellano Cervera, La Chiesa in preghiera,

in AA.VV., La preghiera. Bibbia, teologia, esperienze

storiche, a cura di E. Ancilli, vol. I, Roma 1988, p. 1402 Principi e norme per la liturgia delle ore, nn. 17 e 179

3 Principi e norme, n. 104 Cfr. L. Maldonado, Secolarizzazione della liturgia,

Ed. Paoline, Roma 1972, pp. 385-4065 Principi e norme

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l 1 Novembre 1970 il Papa PaoloVI ha promulgato l’Ufficio Divinorinnovato a norma del Concilio

Ecumenico Vaticano II, .Una prima cosa da notare è che l’ab-

bandono del termine Breviario, che evi-denziava un aspetto solo occasionale edel tutto esteriore, per preferirgli quellodi Ufficio Divino e, ancora di più, quellodi Liturgia delle Ore.

«“Liturgia” in quanto la preghieraoraria è parte del culto pubblico dellaChiesa (SC 83-101), appartiene all’interocorpo ecclesiale, lo manifesta e lo coin-volge (SC26; PNLO 20); “delle Ore”, per-ché è essenzialmente preghiera destinataa santificare le ore del giorno e della not-te, cioè tutto il tempo (SC84; PNLO 10)».

La Costituzione Apostolica promul-gativa evidenzia la premura di Paolo VIaffinché la Costituzione Conciliare sullaSacra Liturgia si attuasse al più presto. Inessa, dopo aver mostrato, o meglio, con-templato l’azione di Cristo Sommo sacer-dote che introduce sulla terra l’eternocanto di lode che «risuona eternamentenelle sedi celesti» facendone partecipianche noi «in questa terra di esilio», si ri-corda come la Liturgia delle Ore si è svi-luppata progressivamente fino a «diveni-

re la preghiera della Chiesa locale» che sisvolgeva in tempi e luoghi stabiliti sottola presidenza del sacerdote divenendocosì una indispensabile integrazione delsacrificio eucaristico.

Il Papa passa poi alla esposizione deiprincipi applicati nell’ordinamento dellaLiturgia delle Ore:1. «L’Ufficio è stato disposto e ordinato

in modo tale che essendo preghiera ditutto il popolo di Dio, possano pren-dervi parte non solo i chierici, ma an-che i religiosi, anzi gli stessi laici».

2. Essendo la Liturgia delle Ore santifica-zione della giornata, le Ore canonichesono state ordinate in modo che pos-sano corrispondere alle varie ore delgiorno, «tenuto conto delle condizio-ni in cui si svolge la vita degli uominidel nostro tempo». Pertanto le Lodi mattutine e i Vespriassumono grande importanza inquanto sono i cardini di tutto l’ufficio,l’Ufficio delle Letture, pur conservan-do la caratteristica di preghiera not-turna, potrà adattarsi a qualsiasi ora;l’ora media è ordinata in modo taleche si può sceglierne una tra Terza,Sesta e Nona armonizzandola con ilmomento in cui la si celebra; l’ora diPrima è stata abolita.

Principi e normedella liturgia delle ore

don Antonio Cappelli

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3. Per favorire l’armonizzazione tra men-te e voce è stata aumentata la varietàdei testi, offrendo inoltre molti sussidiper la meditazione dei salmi (i titoli, leantifone, le orazioni salmiche).

4. Distribuzione del salterio in quattrosettimane, omissione di alcuni salmi eversetti «dall’espressione alquanto du-ra», aggiunta di cantici dell’AT alle Lo-di e di cantici del NT ai Vespri.

5. Nuovo ciclo di letture tratte dalla Sa-cra Scrittura disposto in modo da con-cordare con quello della Messa. Peri-copi scelte in modo da riprodurre, nelcorso dell’anno, le fasi più importantidella storia della salvezza.

6. La lettura quotidiana delle opere deisanti Padri e degli scrittori ecclesia-stici è stata rinnovata in modo daproporre gli scritti significativi di au-tori cristiani.

7. Eliminazione di «tutto ciò che non ri-sponde alla verità storica» e revisionesoprattutto nella parte agiografica.

8. Inserimento di invocazioni alle Lodi edi suppliche ai Vespri, concluse dallaorazione domenicale, o Padre nostro.Essendo già presente nella messa, ve-niva così ripristinato l’uso della Chiesaantica di dire la preghiera del Signoretre volte al giorno.

I Principi e Norme per la Liturgiadelle Ore sono distribuiti su cinque capi-toli:

I Importanza della Liturgia delleOre nella vita delle Chiesa (nn.1-33);

II La santificazione del giorno ossiale varie ore liturgiche (nn.34-99);

III I diversi elementi della Liturgiadelle Ore (nn.100-203);

IV Le varie celebrazioni nel corsodell’anno (204-252);

V Riti da osservare nelle celebrazio-ni in comune (253-284).

Il capitolo I dei Principi e Norme dellaLiturgia delle Ore è costituito dai nn. 1-33, che sono dedicati all’illustrazione del-l’importanza della Liturgia delle Ore nellavita della Chiesa.

Il compito principale della Chiesa èritenuto quello della “preghiera pubbli-ca e comune del popolo di Dio” (n.1);la Liturgia delle Ore è preghiera di Cri-sto perché con parole umane d’adora-zione e intercessione s’innalza la lode aDio e Cristo stesso “le presenta al Padrea nome e per il bene di tutti” (n.3) edella Chiesa, che è associata a Cristocome lo Sposo con la Sposa e, ogni vol-ta che prega il suo Signore, è guidata eassistita dallo Spirito Santo, anzi la suapreghiera “è opera dello Spirito Santo”(n.8). Il dono della preghiera è il piùgrande che Dio possa fare a noi e quan-do preghiamo “il Signore Gesù…pregaper noi, prega in noi ed è pregato danoi”. (sant’Agostino)

La Liturgia delle Ore è santificazionedel tempo. Non solo attraverso la cele-brazione dell’Eucaristia si ottempera alprecetto del Signore di pregare incessan-temente, ma anche e specialmente conla Liturgia delle Ore, che ha come carat-teristica quella di “santificare tutto il cor-so della giornata e della notte” (n.10).Inoltre “estende alle diverse ore del gior-

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no le prerogative del mistero eucaristico”(n.12) e ottimamente prepara anche allacelebrazione eucaristica, perché suscita eaccresce le disposizioni necessarie per be-ne celebrare. Per consentire questa santi-ficazione del tempo “l’ordinamento dellaLiturgia delle Ore è stato rinnovato inmodo da far corrispondere, per quantoera possibile, la celebrazione delle Ore alloro vero tempo” (n.11). Da quanto det-to deriva uno dei principi cardine dellariforma, che è quello di recitare le Oreosservando che esse corrispondano il piùpossibile al tempo vero di ciascuna Oracanonica.

Liturgia delle Ore è santificazione del-l’uomo. Coloro che partecipano alla Li-turgia delle Ore “possono ottenere unasantificazione larghissima” (n.14) permezzo della Parola di Dio; alimentano lafede (n.12); esercitano l’ufficio sacerdota-le offrendo a Dio il sacrificio di lode(n.15); si associano e pregustano il “can-to di lode che viene eternamente cantatonelle sedi celesti” (n.16). Si evidenzia an-che la dimensione apostolica della Litur-gia delle Ore, affermamdo che: “coloroche partecipano alla Liturgia delle Oredanno incremento al popolo di Dio”(n.18). Il Signore, incessantemente pre-gato dalla sua Chiesa, “può dare effica-cia e sviluppo alle nostre opere”.

Liturgia delle Ore come celebrazioneecclesiale e missionaria. Pur ribadendol’obbligatorietà della celebrazione dellaLiturgia delle Ore da parte dei ministri sa-cri e dei chierici, oltre che dei religiosi(n.28), viene superata la visione giuridicaper cui la Liturgia delle Ore è una prero-

gativa del clero e dei monaci e si affermasolennemente che “anche i laici sono in-vitati ad assolvere la missione della Chie-sa, celebrando qualche parte della Litur-gia delle Ore” (n.27) ricordandosi che“mediante il culto pubblico e la preghie-ra raggiungono tutti gli uomini e posso-no contribuire non poco alla salvezza ditutto il mondo” (n.27). Particolarmentelodevole è il fatto che anche la famiglia“celebri, secondo l’opportunità, qualcheparte della Liturgia delle Ore” (n.27).Questa apertura ai fedeli laici fa sì che siaffermi che la celebrazione con la loropartecipazione deve “preferirsi a quellaindividuale e quasi privata” (n.33).

Il capitolo II dei Principi e Norme dellaLiturgia delle Ore, costituito dai numeri34-99, tratta delle varie ore liturgiche edegli elementi costitutivi.

L’Invitatorio introduce a tutto “il cor-so della preghiera quotidiana” e si pre-mette sempre o all’Ufficio delle Letture oalle Lodi, a seconda che si inizi il ciclogiornaliero con l’una o l’altra azione litur-gica”. Consta di un versetto e del Salmo94 che è bene sia recitato in forma re-sponsoriale cioè con una antifona, chevaria a seconda del tempo liturgico, ripe-tuta dopo ogni strofa.

Invece del salmo 94 si può scegliere direcitare il 99 o il 66 o il 23.

Le Lodi e i Vespri “sono il duplicecardine dell’Ufficio quotidiano, devonoessere ritenute le Ore principali e cometali celebrate”.

Gli elementi delle Lodi indicano chequesta ora è destinata a santificare il

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tempo mattutino nel quale si ricorda laresurrezione del Signore Gesù. L’inno “di-sposto in modo da conferire quasi a cia-scuna ora o festa il proprio carattere”; ilprimo salmo che è generalmente mattu-tino o in rapporto particolare con questaora è seguito da un cantico dell’AT e daun salmo laudativo. Tutti questi elementi,così strettamente legati al momento cro-nologico, ci fanno capire che sarebbe im-proprio celebrare le Lodi al di fuori deltempo mattinale.

I Vespri invece si “celebrano quandosi fa sera e il giorno ormai declina”, in-nalzando la nostra preghiera come incen-so al Signore nel ricordo della nostra re-denzione. Si capisce bene che questapreghiera è legata al tempo della sera daicriteri che si sono adottati, per esempio,nella scelta dei primi due salmi (o parti disalmo) che hanno un carattere lucernale,o presentano i temi del ringraziamento,della fiducia in Dio, oppure una doman-da di perdono. Al crepuscolo del giornosi associa il pensiero del crepuscolo dellavita dell’uomo e allora esprimiamo con ilcantico evangelico del Magnificat il no-stro ringraziamento per l’opera della re-denzione.

Le intercessioni vespertine preganoper le diverse intenzioni per l’umanità,per la Chiesa, per la nazione e per altrecategorie di persone. L’ultima intenzionesarà sempre per i defunti.

La Liturgia della Parola, con la Let-tura breve che è presente sia a Lodi, sia aVespri, può subire una variazione in rap-porto alla presenza o meno dell’assem-blea. In caso di celebrazione con la parte-

cipazione del popolo, la lettura può esse-re sostituita da altra lettura biblica, trattao dall’Ufficio delle Letture o dal Leziona-rio della Messa, oppure talvolta si puòscegliere un’altra lettura più adatta, se-condo le norme che vedremo in seguito.

“Per esprimere la lode e il rendimentodi grazie per la redenzione” si esegue so-lennemente il cantico evangelico (il Bene-dictus alle Lodi, il Magnificat ai Vespri).

L’orazione, la benedizione (se presiedeun ministro ordinato) e il congedo con-cludono queste due celebrazioni di pre-ghiera.

L’Ufficio delle Letture ha come sco-po dichiarato quello di “proporre al po-polo di Dio e una meditazione più so-stanziosa della Sacra Scrittura e le miglio-ri pagine degli autori spirituali.”

Questo ufficio ha un carattere nottur-no e sono lodevoli coloro che lo recitanodi notte, ma è stato adattato in modo dapoter essere recitato in qualsiasi ora delgiorno. Per le domeniche, le solennità eper alcune feste può diventare una veracelebrazione vigiliare (nn.70-73) che han-no nella proclamazione del Vangelo il lo-ro culmine.

Ora Terza, Sesta, Nona (Ora Me-dia). Il Concilio Vaticano II ha mantenutoqueste ore minori per il coro: se pur viva-mente consigliata la recita di tutte, è la-sciato a ognuno la facoltà di scegliereuna delle tre Ore che più si adatta al mo-mento della giornata, anche perché aqueste ore si collega “il ricordo deglieventi della Passione del Signore e dellaprima propagazione del Vangelo”. Perconsentire l’utilizzo sia di tutte e tre le

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Ore minori, sia di una sola tra di esse,l’ordinamento è stato strutturato in mo-do che a ogni ora si possa scegliere l’Innoadatto all’ora celebrata, la lettura breveappropriata seguita dal suo versetto el’orazione propria. La salmodia è propo-sta in duplice serie: quella ordinaria equella complementare (per chi vogliapregare più ore).

La Compieta costituisce la conclu-sione del ciclo di preghiera giornaliero,è l’ultima preghiera che si recita “primadel riposo notturno, eventualmente an-che dopo la mezzanotte”. L’esame dicoscienza fatto in silenzio e l’atto peni-tenziale, che può essere tratto dal Mes-sale Romano, costituiscono l’aperturadi questa preghiera. Gli altri elementisono la salmodia, la lettura breve se-guita dal responsorio breve e il canticoevangelico Nunc dimittis, che è quasi ilvertice di tutta l’Ora. Per l’antifona ma-riana che segue l’orazione viene offertaun’antologia delle più belle e veneran-de espressioni di preghiera verso la Ma-dre di Dio “sotto la cui protezione cer-chiamo rifugio”.

Conclude il capitolo un paragrafosul Modo di unire le Ore dell’Ufficiocon la Messa o tra di loro quando losi ritiene opportuno. Occorre subito ri-levare che questa operazione non èconsigliata. Infatti con molta circospe-zione viene introdotta questa parte:“se lo si ritiene opportuno, in casi par-ticolari e ancora se le circostanze lo ri-chiedono”. Tutto questo ci indica chequest’operazione di fusione delle Oretra loro non è né consigliata, né deve

essere adottata in forma stabile (per es.unire stabilmente Lodi alla Messa o Ve-spri alla Messa, come purtroppo acca-de in alcune comunità religiose). Ognicelebrazione, l’Eucaristia come la pre-ghiera delle Ore, ha un suo tempo euna sua organicità.

È da tener presente che l’unione diore dell’Ufficio con la messa o tra di lo-ro è consentita, con la prudenza so-praddetta, solo “nella celebrazionepubblica o comune” e mai prevista perla recita personale. È “di regola esclu-sa, eccetto il caso della notte di Natale,l’unione della Messa con l’Ufficio delleletture, perché la Messa stessa ha il suociclo di letture, che va tenuto distintodall’altro.”

I numeri da 100 a 203 costituiscono ilcapitolo III dei Principi e Norme. Vi si trat-ta dei vari elementi che costituiscono laLiturgia delle Ore: i salmi (n. 100 – 109);le antifone (n.110 – 120); il modo di sal-modiare (n.121 – 125); i criteri di distri-buzione dei salmi nell’Ufficio (n.126 –135); i cantici dell’Antico e del Nuovo Te-stamento (n.136 - 139; la lettura dellaSacra Scrittura (n.140 - 158; la lettura deiPadri e degli scrittori ecclesiastici (n.159 –165); la lettura agiografica (n.166 – 168);i responsori (n.169 – 172); gli inni e glialtri canti non biblici (n.173 – 178); lepreci, la preghiera del Signore, l’orazioneconclusiva (n. 179 – 203).

Lo spazio di un articolo introduttivonon ci consente di entrare nei dettagli diquesti elementi, ma solo di cogliere alcu-ni elementi fondanti.

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I salmi

Costituiscono la parte principaledella Liturgia delle Ore. Sono “poemi dilode”. Gesù stesso, seguendo la tradi-zione del suo popolo, pregò con i sal-mi. Per gustarli e pregarli occorre cono-scerli. «Generalmente sia i Padri che laLiturgia con ragione vedevano nei salmiCristo che si rivolge al Padre, o il Padreche parla al Figlio; anzi riconoscevanola voce della Chiesa, degli apostoli edei martiri». La Chiesa ha operato alcu-ne scelte nello strutturare i salmi comepreghiera liturgica seguendo questi cri-teri:

– distribuzione del salterio in quattrosettimane;

– ripetizione con maggior frequenzadei salmi considerati più impor-tanti dalla tradizione;

– Assegnazione a ciascuna ora (Lodi,Vespri e Compieta) dei salmi piùadatti;

– Riserva dei salmi che esprimonomaggiormente il mistero Pasqualealla Domenica; al Venerdì sono po-sti i salmi penitenziali o della Pas-sione.

– Ai tempi di Avvento, Natale, Qua-resima e Pasqua sono riservati i sal-mi 77, il 104 e il 105, che mettonoin luce più chiaramente la storiadella salvezza nell’Antico Testa-mento come preannunzio di quelladefinitiva, compiuta nel Nuovo Te-stamento.

– Esclusione dei salmi 57, 82 e 108,di genere imprecatorio, dovuta

unicamente alla difficoltà psicolo-gica dell’approccio con un testo“difficile”. Questi salmi sono rego-larmente presenti nella liturgia mo-nastica.

– Suddivisione in più giorni dei salmimolto lunghi per essere contenutiin una sola ora. Ad esempio, il sal-mo 118 è stato distribuito in venti-due giorni all’Ora media, perchéper tradizione era assegnato alleore diurne.

– Assegnazione all’Ufficio delle lettu-re, delle solennità, feste, Triduo Pa-squale, ottava di Pasqua e di Nata-le, di salmi propri, così come con-fermato dalla tradizione.

Le antifone e gli altri elementi cheaiutano a pregare i salmi

In Principi e Norme per la Liturgia del-le Ore troviamo citati tre elementi chehanno lo scopo di far comprendere e tra-sformare i salmi in preghiera cristiana. Es-si sono: i titoli, le orazioni dopo i salmi e“soprattutto le antifone”.

A ogni salmo è premesso un titolo,proposto a “sola utilità di coloro che ce-lebrano i salmi” e una sentenza del Nuo-vo Testamento o dei Padri che aiutano apregare in senso cristologico il salmo.Queste sentenze, nel Tempo ordinario,possono essere usate al posto delle an-tifone.

Ogni salmo ha la sua antifona che de-ve essere detta sempre, anche quando isalmi non vengono cantati: ha lo scopodi illustrare il genere letterario del salmo,

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trasformarlo in preghiera personale, dar-gli un tono particolare, renderne piacevo-le e varia la recita.

Oltre ai salmi hanno l’antifona anche icantici, compresi quelli evangelici.

I Cantici dell’Antico e del NuovoTestamento

“Alle Lodi, tra primo e il secondo sal-mo, si inserisce come consuetudine unCantico dell’Antico Testamento”, Oltre aquelli tradizionali, sono stati ammessi al-tri Cantici tratti dall’Antico Testamento,in modo tale che ogni giorno feriale delciclo di quattro settimane abbia il suoCantico. Mentre per la Domenica si è di-viso in due parti il “Cantico dei tre fan-ciulli”, da alternare.

Anche per i Vespri si è inserito unCantico del Nuovo Testamento, trattodalle Lettere o dall’Apocalisse. Essi sonoin numero di sette, in modo che ognigiorno della settimana abbia il suo Canti-co.

Vi sono ogni giorno tre canti evangeli-ci: il Benedictus alle Lodi; il Magnificat aiVespri, il Nunc dimittis alla Compieta.

La lettura della Sacra Scrittura

Per antica tradizione si fa una letturapubblica della Scrittura nella Liturgia, nonsolo nella celebrazione Eucaristica, maanche nell’Ufficio divino. Le letture sonoproposte dalla Chiesa stessa: non sonopreviste scelte operate da singoli, secon-do le disposizioni più favorevoli del loroanimo.

Si hanno nella Liturgia delle Ore dueproposte di lettura: la forma breve e laforma lunga.

L’Ufficio delle letture ha un ciclo diletture strutturato tenendo conto deitempi nei quali per venerabile tradizio-ne si devono leggere determinati libri, edel ciclo del Lezionario della Messa. In-fatti il ciclo delle Letture della Liturgiadelle Ore è coordinato con quello dellaMessa, in modo che si completino a vi-cenda.

Per quanto riguarda invece le letturebrevi, chiamati anche “capitoli”, sonostate scelte in modo da esprimere breve-mente e chiaramente una sentenza oesortazione.

La lettura dei Padri e degli Scritto-ri ecclesiastici.

È tradizione della Chiesa Romana in-serire, dopo la lettura biblica nell’Ufficiodelle Letture, una lettura dei Padri e Dot-tori o degli Scrittori ecclesiastici, siaOrientali che Occidentali, con il relativoresponsorio. Scopo di questa lettura èprincipalmente la meditazione della Paro-la di Dio.

I responsori

Alle letture bibliche segue sempre unresponsorio proprio. Anche il responsoriobreve di Lodi, Vespri e Compieta e il ver-setto di Terza, Sesta e Nona sono una ri-sposta alla lettura e hanno lo scopo di“imprimere più profondamente la paroladi Dio nell’animo di chi ascolta e di chi

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legge”. I responsori di per sé sono desti-nati al canto, e precisamente al canto delpopolo.

Gli inni

Gli Inni fanno parte dell’Ufficio perantichissima tradizione, costituiscono unelemento popolare e caratterizzante del-l’aspetto particolare dell’Ora che si cele-bra.

Le preci, la preghiera del Signore,l’orazione conclusiva.

Come nella Messa sono state rein-trodotte le intercessioni della preghierauniversale, così si è fatto anche ai Ve-spri, non dimenticando che la tradizio-ne, nella preghiera del mattino (Lodimattutine), ha sempre inserito le invo-cazioni per consacrare e affidare a Diola giornata. Queste preci sono statestrutturate in formule diverse per i sin-goli giorni del ciclo del salterio del Tem-po ordinario, come per i tempi specialidell’anno liturgico. Le preci sono strut-turate in modo da adattarsi sia alla reci-ta individuale, sia a quella con il popoloo di una piccola comunità. Al posto del-le intercessioni indicate per i vari giornisi possono usare altre in forma breve ri-portate in appendice II, anch’esse relati-ve ad ogni giorno della settimana.

La preghiera del Signore.

A Lodi e a Vespri le preci sono sempreconcluse dalla recita del Padre nostro.

L’orazione conclusiva.

Alla fine di tutta l’Ora si dice l’Orazio-ne, che nella celebrazione pubblica e conil popolo viene pronunciata dal sacerdoteo dal diacono .

Esse sono:– quella propria del giorno all’Ufficio

delle letture;– quella indicata nel salterio per la

Compieta;– per Lodi e Vespri dal proprio nelle

Domeniche e ferie del Tempo diAvvento, Natale, Quaresima e Pa-squa, Solennità e Feste. Nelle feriedel Tempo ordinario si prendequella indicata nel ciclo del salte-rio;

– a Terza, Sesta e Nona si prende dalproprio nelle Domeniche e ferie delTempo di Avvento, Natale, Quare-sima e Pasqua, Solennità e Feste.Negli altri giorni si usano quelle delsalterio.

Il sacro silenzio

Il Concilio Vaticano II prescrive chesi deve avere cura di “osservare a suotempo anche il sacro silenzio” (SC 30).Anche nella celebrazione della Liturgiadelle Ore è prevista questa opportu-nità.

Per favorire l’accoglienza della vocedello Spirito Santo e la preghiera perso-nale si può inserire uno spazio di sacro si-lenzio:

– dopo i singoli salmi, appena ripe-tuta l’antifona;

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– dopo le letture, sia brevi, sia lun-ghe, prima o dopo il responsorio;

– dopo la proposta dell’intenzione dipreghiera alle invocazioni o inter-cessioni di Lodi o Vespri, al postodella risposta o ritornello.

Il capitolo IV (nn. 204-252) dei Principie Norme della Liturgia delle Ore trattadelle varie celebrazioni nel corso dell’An-no liturgico.

La celebrazione dei misteri del Si-gnore. La Domenica: inizia con i PrimiVespri, in cui può essere fatta una cele-brazione vigiliare e opportunamente sicelebrano i Vespri con la partecipazionedel popolo. Il Triduo pasquale: prevedela sospensione della celebrazione deiVespri per chi partecipa alla celebrazio-ne della Messa vespertina «nella Cenadel Signore» o alla celebrazione dellaPassione del Signore. È raccomandatoche, sia il Venerdì santo, sia il Sabatosanto, la celebrazione dell’Ufficio delleletture si svolga in modo pubblico e conla partecipazione del popolo. La Vegliapasquale tiene il posto dell’Ufficio delleletture. Nel giorno solennissimo di Pa-squa, oltre la preghiera delle Lodi, si in-vita a celebrare in forma solenne i Ve-spri battesimali con il concorso del po-polo; durante il canto della salmodia sifa la processione al fonte battesimale.Nel Tempo pasquale l’acclamazione del-l’Alleluia dona a tutta la Liturgia delleOre il carattere pasquale. Il Tempo diNatale prevede una Veglia solenne conla celebrazione dell’Ufficio delle Letture,

da premettere alla celebrazione dellaMessa della Notte.

Le celebrazioni dei Santi sono statedisposte in modo da non prevalere maisui giorni festivi, sui tempi sacri e chenon impediscano il ciclo della lettura del-la parola di Dio e della salmodia.

Dal n. 225 al n. 240 sono riportatetutte le norme relative al modo di ordina-re l’Ufficio nelle solennità, nelle feste,nelle memorie dei Santi, nonché quantoattiene la memoria di Santa Maria in Sa-bato. Si rimanda, all’occorrenza, a un’at-tenta lettura dei predetti numeri.

Il capitolo V dei Principi e Norme dellaLiturgia delle Ore si sofferma a dare lenorme relative per la celebrazione in co-mune della Liturgia delle Ore.

Uffici e ministeri

Per prima cosa, trattando degli ufficida compiere, si afferma che anche nellacelebrazione della Liturgia delle Ore, cia-scuno, ministro o semplice fedele, si develimitare a compiere tutto e soltanto quel-lo che è di sua competenza (n.253). Lacelebrazione con il popolo sia di normapresieduta da un ministro ordinato (Ve-scovo, Presbitero o Diacono), in mancan-za del ministro ordinato chi presiede l’Uf-ficio è solamente uno tra uguali (n.258).

Il sacerdote o il diacono stanno allasede, mentre il laico che presiede non vaalla sede, né entra in presbiterio.

I ministri indossano le vesti proprie delloro ordine.

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I lettori che proclamano le letture lofanno stando in piedi e nel luogo adatto,che normalmente è l’ambone.

Il cantore o i cantori intonano le an-tifone, i salmi e gli altri canti.

Mentre si esegue il cantico evangelicoa Lodi e Vespri, si può incensare l’altare,poi il sacerdote e il popolo (n.261).

Posizioni da assumere

In piedi: All’apertura delle Ore, all’in-no, al cantico evangelico, durante le pre-ci, la preghiera del Signore e l’orazioneconclusiva.

Seduti: durante la proclamazione delleletture, eccezion fatta per il Vangelo, du-rante il canto dei salmi.

Ci si segna con il segno della croce:all’inizio delle Ore, all’inizio dei canticitratti dal Vangelo; mentre all’Invitatorioalle parole “Signore, apri le mie labbra”ci si segna sulle labbra.

Il canto nell’Ufficio

La celebrazione in canto dell’Ufficiodivino è “la forma più consona alla natu-ra di questa preghiera”. È la forma racco-mandata per coloro che celebrano in co-ro o in comune (n.263)

Alcune parti dell’Ufficio quali gli inni, icantici, i salmi, i responsori, “esprimonopienamente il loro senso” solo attraversoil canto.

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a prima parte dell’EsortazioneApostolica Sacramentum cari-tatis, che ha per titolo “Eucari-

stia, mistero da credere”, dopo essersisoffermata sul rapporto tra SantissimaTrinità ed Eucaristia, e sul tema “Euca-ristia: Gesù vero Agnello immolato”,incentra la propria riflessione sul nessoesistente tra Spirito Santo ed Eucari-stia.

«Con la sua parola e con il pane edil vino il Signore stesso ci ha offerto glielementi essenziali del culto nuovo. LaChiesa, sua Sposa, è chiamata a cele-brare il convito eucaristico giorno dopogiorno in memoria di Lui». Il sacrificioredentore di Cristo viene così inscrittodalla Chiesa nella storia degli uomini ereso presente sacramentalmente in tut-te le culture. Tale mistero viene cele-brato «nelle forme liturgiche che laChiesa, guidata dallo Spirito Santo, svi-luppa nel tempo e nello spazio. A taleproposito è necessario risvegliare in noila consapevolezza del ruolo decisivoesercitato dallo Spirito Santo nello svi-luppo della forma liturgica e nell’ap-profondimento dei divini misteri».

L’Esortazione Apostol ica r icordaquindi come il Paraclito sia già operan-te nella creazione e «pienamente pre-sente in tutta l’esistenza del Verbo in-carnato»: Gesù Cristo è concepito dalla

Vergine Maria per opera dello SpiritoSanto, all’inizio della sua missione pub-blica, sulle rive del Giordano, lo vedescendere su di sé in forma di colomba;«in questo stesso Spirito agisce, parlaed esulta; ed è in Lui che egli può offri-re se stesso». Gesù mette in chiara re-lazione il dono della sua vita nel miste-ro pasquale con il dono dello Spirito aisuoi e, una volta r isorto, Egl i puòeffondere lo Spirito, rendendo i suoipartecipi della sua stessa missione. Saràpoi lo Spirito ad insegnare ai discepoliogni cosa e a ricordare loro tutto ciòche Cristo ha detto, perché spetta aLui, in quanto Spirito di verità, intro-durre i discepoli alla verità tutta intera.Nel racconto degli Atti degli Apostoli loSpirito discende sugli Apostoli radunatiin preghiera con Maria nel giorno diPentecoste e li anima alla missione diannunciare a tutti i popoli la buona no-vella. Pertanto, è in forza dell’azionedello Spirito che Cristo stesso rimanepresente e operante nella sua Chiesa, apartire dal suo centro vitale che è l’Eu-caristia.

Dopo aver ripercorso la grande ric-chezza e profondità del rapporto esi-stente tra Gesù e lo Spirito Santo, Be-nedetto XVI sottolinea come in questaluce si possa comprendere «il ruolo de-cisivo dello Spirito Santo nella Celebra-

Testi e Documenti

Sacramentum Caritatis – 3Stefano Lodigiani

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zione eucaristica ed in particolare in ri-ferimento alla transustanziazione». Ci-tando i Padri della Chiesa, che su que-sto tema hanno ampiamente riflettuto,l’Esortazione prosegue: «È quanto mainecessaria per la vita spirituale dei fe-deli una coscienza più chiara della ric-chezza dell’anafora: insieme alle parolepronunciate da Cristo nell’Ultima Cena,essa contiene l’epiclesi, quale invoca-zione al Padre perché faccia discendereil dono dello Spirito affinché il pane e ilvino diventino il corpo ed il sangue diGesù Cristo e perché ‘la comunità tuttaintera diventi sempre più corpo di Cri-sto’. Lo Spirito, invocato dal celebrantesui doni del pane e del vino posti sul-l’altare, è il medesimo che riunisce i fe-del i ‘ in un solo corpo’, rendendoliun’offerta spirituale gradita al Padre».

“Eucaristia e Chiesa” è quindi il te-ma conseguente su cui richiama l’at-tenzione l’Esortazione Apostolica. L’Eu-caristia infatti è “il principio causaledella Chiesa”: «attraverso il Sacramen-to eucaristico Gesù coinvolge i fedelinella sua stessa ‘ora’; in tal modo Eglici mostra il legame che ha voluto tra sée noi, tra la sua persona e la Chiesa.Infatti, Cristo stesso nel sacrificio dellacroce ha generato la Chiesa come suasposa e suo corpo». La Chiesa, in effet-ti, vive dell’Eucaristia, poiché in essa sirende presente il sacrificio redentore diCristo. «L’Eucaristia è Cristo che si do-na a noi, edificandoci continuamentecome suo corpo. Pertanto, nella sugge-stiva circolarità tra Eucaristia che edifi-ca la Chiesa e Chiesa stessa che fa l’Eu-

caristia, la causalità primaria è quellaespressa nella prima formula: la Chiesapuò celebrare e adorare il mistero diCristo presente nell’Eucaristia proprioperché Cristo stesso si è donato perprimo ad essa nel sacrificio della Cro-ce». La Chiesa quindi può “fare l’Eu-caristia” in quanto radicata nella dona-zione che Cristo le ha fatto di se stes-so. In ogni celebrazione quindi anchenoi oggi confessiamo il primato del do-no di Cristo: «Egli è per l’eternità coluiche ci ama per primo».

Il fatto che l’Eucaristia sia costitutivadell’essere e dell’agire della Chiesa, el’inseparabilità di Cristo dalla Chiesa,sono testimoniati fin dall’antichità cri-stiana, che designava con le stesse pa-role - “Corpus Christi” - sia il Corponato dalla Vergine Maria che il Corpoeucaristico e anche il Corpo ecclesialedi Cristo. «Il Signore Gesù, offrendo sestesso in sacrificio per noi, ha efficace-mente preannunciato nel suo dono ilmistero della Chiesa. È significativo chela seconda preghiera eucaristica, invo-cando il Paraclito, formuli in questomodo la preghiera per l’unità dellaChiesa: ‘per la comunione al corpo e alsangue di Cristo lo Spirito Santo ci riu-nisca in un solo corpo’. Questo passag-gio fa ben comprendere come la resdel Sacramento eucaristico sia l’unitàdei fedeli nella comunione ecclesiale.L’Eucaristia si mostra così alla radicedella Chiesa come mistero di comunio-ne».

L’unità della comunione ecclesiale sirivela concretamente nelle comunità

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 6-2007 Testi e Documenti

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cristiane e si rinnova nell’atto eucaristi-co che le unisce e le differenzia inChiese particolari: «proprio la realtàdell’unica Eucaristia che viene celebratain ogni Diocesi intorno al proprio Ve-scovo ci fa comprendere come le stesseChiese particolari sussistano in Ecclesiaed ex Ecclesia… Dal centro eucaristicosorge la necessaria apertura di ogni co-

munità celebrante, di ogni Chiesa par-ticolare: attratta tra le braccia apertedel Signore, essa viene inserita nel suoCorpo, unico ed indiviso… In questaprospettiva eucaristica, adeguatamentecompresa, la comunione ecclesiale si ri-vela realtà per natura sua cattolica».(continua)

Testi e Documenti

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 6-2007

Prima lettura: Is 2,1-5Salmo responsoriale: dal Sal 121Seconda lettura: Rm 13,11-14Vangelo: Mt 24,37-44

Il Sal 121 è uno dei più celebri e più ap-passionati canti delle ascensioni a Gerusa-lemme. È un saluto rivolto dai pellegrini allacittà santa, e riflette l’emozione che provava-no i pellegrini ogni volta che giungevano invista della città, sede del tempio, luogo sacrodella presenza di Dio. In questa domenica Idi Avvento, ricordiamo che noi tutti siamo incammino verso la Gerusalemme celeste e neesprimiamo la gioia quando diciamo col sal-mista: “Quale gioia, quando mi dissero «an-dremo alla casa del Signore»”. All’inizio del-l’Anno liturgico siamo invitati a riprenderecon rinnovato coraggio il nostro camminoverso la patria del cielo, nel gioioso contestodi comunione e di pace di cui parla il salmo,ma anche in attesa vigilante del Signore cheviene.

L’Avvento ricorda le due venute del Si-gnore e le mette in intimo rapporto, la primanel mistero della incarnazione e la secondaalla fine dei tempi: “Al suo primo avventonell’umiltà della nostra natura umana egliportò a compimento la promessa antica, e ciaprì la via dell’eterna salvezza. Verrà di nuo-vo nello splendore della gloria e ci chiameràa possedere il regno promesso che ora osia-mo sperare vigilanti nell’attesa” (prefazio

dell’Avvento I). Questa I domenica è tuttaquanta incentrata sulla venuta del Signorealla fine dei tempi, alla quale siamo invitatia prepararci. Quando facciamo delle sceltenella vita di ogni giorno, le facciamo avendodavanti l’immagine di un futuro che inten-diamo raggiungere: economico, sociale, cul-turale, ecc. Oggi siamo invitati a farle guar-dando anche al futuro di Dio, di un Dio cheè venuto, viene e verrà per noi.

Il brano evangelico raccoglie alcune pa-role di Gesù in cui egli afferma che l’incon-tro con lui alla fine del nostro pellegrinaggioterreno sarà improvviso e inatteso. Il testoevangelico è tutto focalizzato sull’incertezzadel quando, che viene ripetuta tre volte: “ve-gliate dunque, perché non sapete in qualegiorno il Signore vostro verrà […] se il pa-drone di casa sapesse in quale ora […] nel-l’ora che non immaginate…”. Siamo invitatiquindi a risvegliare in noi uno spirito vigi-lante. Non si tratta di una vigilanza passiva einoperosa, ma attiva e dinamica; dobbiamoandare incontro al Cristo che viene e dobbia-mo farlo “con le buone opere” (colletta). Tut-ta la vita dev’essere una preparazione pro-lungata e fedele ad accogliere Cristo che vie-ne. Un messaggio simile lo troviamo nellaprima lettura, in cui il profeta ci esorta apercorrere il nostro cammino “nella luce delSignore”. Nella lettura apostolica, san Paolo,riprendendo il simbolismo della luce e, dopoaver ricordato che siamo nella notte in attesa

DOMENICA I DI AVVENTO (A)2 dicembre 2007Andiamo con gioia incontro al Signore

La parola di Dio celebratap. Matias Augé, cmf

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dell’alba luminosa dell’avvento di Cristo, ciinvita a svegliarci perché il giorno della sal-vezza è vicino. In questo contesto, l’Apostoloaggiunge che dobbiamo gettare via le “operedelle tenebre” e comportarci “come in pienogiorno”. Il futuro verso il quale camminiamodeve innestare nel presente la tensione perl’impegno nei valori che, vissuti nel presen-te, conducono al possesso di quelli futuri edefinitivi. Ogni attimo della nostra vita è im-pastato di eternità. Perdere la memoria delfuturo equivale ad appiattire il presente. Ilcristiano essendo un uomo di memoria, è un

uomo di attesa. La nostra esistenza di cre-denti è destinata a svolgersi, come è natura-le, in seno alla storia concreta degli uominima allo stesso tempo è chiamata a far lievita-re la storia con la novità della speranza, cioècon la fede nel progetto di salvezza che Diocompie nella storia.

La partecipazione all’eucaristia è “pe-gno di salvezza eterna” (orazione sulle of-ferte), ci sostiene nel nostro cammino e ciguida ai beni eterni (cf. orazione dopo lacomunione).

IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B. V. MARIA8 dicembre 2007Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del tuo amore

Prima lettura: Gn 3,9-15.20Salmo responsoriale: dal Sal 97Seconda lettura: Ef 1,3-6.11-12Vangelo: Lc 1,26-38

Il Sal 97 è un canto “nuovo” innalzato alSignore per le meraviglie che ha operato e con-tinua ad operare nella creazione e nella storia.Tra queste meraviglie, la Chiesa contempla og-gi Maria Immacolata, il capolavoro di Dio. Lastessa Madre di Gesù ha ripreso il v. 3 di que-sto salmo nel suo Magnificat per celebrare l’o-pera di salvezza che Dio ha realizzato in lei. InMaria preservata immune da ogni macchia dicolpa originale, in previsione della morte diCristo (cf. la colletta), noi contempliamo com-piuto in modo meraviglioso il disegno amorosoche Dio ha su tutti noi. In Maria immacolatainfatti celebriamo l’alba della redenzione, l’ini-zio della nuova umanità o, come dice il prefa-zio della messa, “l’inizio della Chiesa, sposa diCristo senza macchia e senza ruga, splendentedi bellezza”. Il ritornello del salmo responso-riale sintetizza molto bene i sentimenti della

Chiesa in questa solennità dell’ImmacolataConcezione di Maria.

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Maria, secondo la tradizione, è figuratanel Protovangelo come donna nemica e vit-toriosa di Satana, evento che viene propo-sto come prima lettura (Gn 3,9-13) assie-me alla disobbedienza di Adamo ed Eva(Gn 3,14-15). La scelta di questo brano in-tende mettere in evidenza il peccato sulquale Maria è vittoriosa e suggerire l’ideadi Maria come nuova Eva. Come Adamo edEva sono personaggi emblematici peresprimere l’umanità caduta nel peccato,così Gesù, nuovo Adamo, e sua madre,nuova Eva, diventano personaggi altrettan-to emblematici che enunciano l’umanitàrinnovata. “Il nodo della disobbedienza diEva è stato sciolto dall’obbedienza di Ma-ria; ciò che la vergine Eva aveva legato conla sua incredulità, la vergine Maria l’haslegato con la sua fede” (S. Ireneo; Cost.Lumen Gentium, n. 56).

La lettura evangelica propone l’eventodell’Annunciazione: l’angelo proclama Maria“piena di grazia”, testo classico del NuovoTestamento in cui la tradizione ha visto an-nunciata la verità dell’Immacolata Concezio-ne di Maria. È senza dubbio la pagina piùletta nella liturgia, più meditata dagli artisti,più riprodotta in tele e nelle sculture. I Padridella Chiesa hanno visto in questo evento lacontropartita di ciò che è successo nella ca-duta del paradiso terrestre: Eva non ascoltail precetto di Dio, Maria invece ascolta il

messaggio dell’angelo inviato da Dio; Eva di-sobbedisce alla parola di Dio, Maria invecepronuncia il suo “si” ubbidiente al piano diDio su di lei: “Eccomi, sono la serva del Si-gnore, avvenga di me quello che hai detto”;Eva significa “madre di tutti i viventi”, Ma-ria lo è in senso più profondo in quanto èmadre dei redenti mediante la morte del Fi-glio suo, vincitore del male e della morte.Maria, generando il Cristo, ha posto nellaterra il “seme” indistruttibile del bene, dellagiustizia e della speranza. Esso si radicheràe trasformerà l’umanità intera. È la stessarealtà che descrive il brano introduttivo allalettera agli Efesini (seconda lettura) in cuil’Apostolo afferma che Dio, in Cristo “ci hascelti prima della creazione del mondo, peressere santi e immacolati al suo cospettonella carità”. Questa singolare elezione trovaun’applicazione particolarissima in Maria.L’Immacolata è il primo segno della vittoriapasquale di Cristo. Con lei, l’umanità ritrovala strada per percorrere una storia di santità,non più di peccato. L’Immacolata è quindiun segno di speranza. Ciò che è avvenuto inlei è anticipo e frutto al tempo stesso dellavittoria di Cristo risorto sulla morte e sulpeccato. L’eucaristia, ripresentazione sacra-mentale del mistero pasquale, “guarisce innoi le ferite di quella colpa da cui, per singo-lare privilegio”, Maria è stata preservata nel-la sua immacolata concezione (orazione dopola comunione).

DOMENICA II DI AVVENTO (A)9 dicembre 2007Vieni, Signore, re di giustizia e di pace

Prima lettura: Is 11,1-10Salmo responsoriale: dal Sal 71Seconda lettura: Rm 15,4-9Vangelo: Mt 3,1-12

Nel salmo 71 viene esaltata una gloriosae ideale figura di re. Il testo salmico avevagià secondo la tradizione ebraica chiari rife-rimenti al futuro Messia e al suo regno. Tutto

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ciò che nel testo sa di iperbole nei confrontidi un re terreno e del suo regno in cui “fio-rirà la giustizia e abbonderà la pace”, assu-me piena verità storica nella presenza mes-sianica di Cristo, il re preannunziato. Altempo stesso che chiediamo che questo re-gno venga definitivamente: “venga il tuo re-gno”, prendiamo coscienza del nostro compi-to di realizzare le opere del regno, che sonoopere di giustizia e di pace. Se la domenicascorsa ci invitava a vivere in attesa vigilantedel Signore che viene, oggi siamo incoraggia-ti a rendere significativa questa attesa conuna vita che sia già ora e qui espressione deivalori del regno di Dio che viene.

La prima lettura ci presenta l’immaginedi una società perfetta, in apparenza utopica.Isaia la descrive con accenti toccanti: “il lu-po dimorerà insieme con l’agnello, la panterasi sdraierà accanto al capretto, il vitello e illeoncello pascoleranno insieme e un fanciul-lo li guiderà...” Queste e altre raffigurazioni,che ci ricordano le favole e i cartoni animatidella nostra infanzia e che sono in contrastocon la realtà faticosa e spesso violenta chedistingue la nostra vita quotidiana, voglionoesprimere una società in cui i contrasti ven-gono composti armonicamente e dove regnaindisturbata la giustizia e la pace. Questa so-cietà, secondo il profeta Isaia, è quella inau-gurata dal Messia sul quale “si poserà loSpirito del Signore” per deporre nella storiadi questo mondo un seme nuovo di giustiziae di pace.

Nel brano del vangelo ascoltiamo sanGiovanni Battista che annuncia la venuta delMessia, il quale ci “battezzerà in SpiritoSanto e fuoco”, il fuoco che brucia la pula eannienta i peccatori. Perciò il Precursore in-

vita i suoi ascoltatori alla conversione: “Con-vertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”È quindi colui che viene, il Messia, a rende-re visibile la vicinanza del Regno. La societàperfetta, profetizzata da Isaia, è dono delloSpirito del Messia ma esige anche la nostraoperosità. Il regno messianico non diventauna realtà nel mondo senza la nostra conver-sione. La 3a ant. dell’Ufficio di letture riba-disce lo stesso insegnamento quando affer-ma: “Purifichiamo i nostri cuori, per cammi-nare nella giustizia incontro al Re: egli vie-ne, non tarderà”.

Nella seconda lettura, san Paolo dandouno sguardo rapido all’insieme delle Scrittu-re prende atto che esse convergono sul mi-stero di Cristo e tracciano la via della salvez-za che il cristiano è chiamato a percorrereper rimanere perseverante, trovare consola-zione e tenere viva la speranza. Ma non è so-lo una speranza emotiva, bensì una relazioneviva con il Cristo. La società perfetta di cuiabbiamo parlato, è possibile solo se abbiamo“gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti aesempio di Cristo Gesù” e, in questo modo,impariamo a vedere nei nostri simili i fratellie le sorelle figli dello stesso Padre.

La celebrazione eucaristica è segno effi-cace di questo regno di giustizia e di pace, dicui attendiamo la piena realizzazione. Nel-l’assemblea eucaristica, infatti, si attua l’u-nità degli uomini in Cristo: “Poiché c’è unsolo pane, noi, pur essendo molti, siamo uncorpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’uni-co pane” (1Cor 10,17). Perciò stesso l’euca-ristia ci insegna “a valutare con sapienza ibeni della terra nella continua ricerca deibeni del cielo” (preghiera dopo la comunio-ne).

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DOMENICA III DI AVVENTO (A)16 dicembre 2007Vieni, Signore, a salvarci

Prima lettura: Is 35,1-6a.8a.10Salmo responsoriale: dal Sal 145Seconda lettura: Gc 5,7-10Vangelo: Mt 11,2-11

Il Sal 145 è un inno di gioia e di lode inonore del Dio fedele e liberatore d’Israele. Ilsalmista, dopo aver valutato l’impotenza el’inconsistenza umana di fronte all’onnipo-tenza divina, fa una descrizione particolareg-giata dell’azione misericordiosa di Dio versoi bisognosi e gli abbandonati: il Signore“rende giustizia agli oppressi, dà il pane agliaffamati [...] ridona la vista ai cechi...” Noipreghiamo il salmo consapevoli che in Cri-sto, Verbo di Dio incarnato, si è manifestatala bontà misericordiosa e provvidente di Dio“per rendere giustizia agli oppressi” (cf. At10,39; Lc 4,18), per dare il pane agli affama-ti (cf. Gv 6,11.51), per sciogliere i prigionierie aprire gli occhi ai ciechi (cf. Lc 4,18; Mt9,29-30; 20,34; Gv 9,7), ecc. L’Avvento è at-tesa gioiosa del Signore che viene a salvarci.

Il brano evangelico odierno esordisce conqueste parole: “Sei tu colui che deve venireo dobbiamo attenderne un altro?”. È la do-manda che i discepoli di Giovanni Battistarivolgono a Gesù. È una domanda che hauna sua attualità. L’interrogativo ci deve te-nere costantemente aperti a una nuova vi-suale delle cose che ci permetta di ricono-scere l’azione sempre nuova di Dio nella sto-ria. Chi è per noi Gesù? Abbiamo ricono-sciuto in lui il nostro Salvatore? Gesù alladomanda rivoltagli da Giovanni per boccadei suoi discepoli, invece di rispondergli conun sì o con un no, lo rimanda a quelle operedi cui Giovanni aveva sentito parlare, opere

che documentano attraverso una libera cita-zione del profeta Isaia (brano riproposto co-me prima lettura) che egli è veramente ilMessia inviato da Dio. Per Giovanni, tormen-tato dal dubbio, la parola di Gesù è un invitoa fidarsi di lui, a credere. L’uomo che è in at-tesa di salvezza, ha nelle parole e nelle ope-re di Gesù una risposta definitiva. In lui lasalvezza di Dio ha fatto irruzione nella nostravita.

Da parte sua, san Giacomo, nella secondalettura, ci invita a perseverare in un atteggia-mento di pazienza. È vero - lo abbiamo detto- la salvezza di Dio si è manifestata nel suoFiglio fatto uomo, egli è il Salvatore promes-so. I frutti pieni della sua venuta però li dob-biamo raccogliere giorno dopo giorno nell’o-perosità paziente e incessante. Per san Gia-como, il mistero della nostra salvezza è simi-le al ciclo della natura nel suo rinnovarsi in-cessante, che alla fine non delude l’attesapaziente e testarda del contadino. Abbiamobisogno di tempo affinché il regno di Diocresca e maturi nella storia, in ciascun dinoi. La pazienza esige disponibilità e coope-razione alla crescita. Il domani di salvezzadefinitiva che attendiamo è anche nelle no-stri mani.

La salvezza di Dio è vicina a noi, anzi èin mezzo a noi, e ciò dev’essere motivo digioia. Non è la gioia di chi non trova ostacolida affrontare; è la gioia di chi accetta il pia-no di Dio su di lui e si sente al suo posto, sache la sua vita è al sicuro e può compiere lesue scelte con piena libertà interiore. Neimomenti di smarrimento o di sofferenza, neimomenti di stanchezza, quando le certezzesembrano svanire, la fede ci assicura che

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Dio viene a salvarci, che la nostra attesa nonè vana. Se abbiamo riconosciuto Gesù comenostro Salvatore, il nostro cuore non ha nullada temere.

Gesù è vicino a noi come Salvatore so-prattutto nell’eucaristia. L’antifona di co-

munione lo afferma riproponendo le paroledi Is 35,4, tratte dalla prima lettura d’oggi:“Coraggio, non abbiate timore; ecco, il no-stro Dio viene a salvarci”. E l’orazione sul-le offerte precisa che il sacrificio eucaristi-co rende “efficace in noi l’opera della sal-vezza”.

DOMENICA IV DI AVVENTO (A)23 dicembre 2007Ecco, viene il Signore, re della gloria

Prima lettura: Is 7,10-14Salmo responsoriale: dal Sal 23Seconda lettura: Rm 1,1-7Vangelo: Mt 1,18-24

La seconda parte del salmo 23 ha il tonodi una solenne marcia che accompagna laprocessione con l’arca dell’alleanza. LaChiesa scorge in questo testo un annuncioprofetico del mistero dell’incarnazione e ce-lebra in esso l’ingresso del Figlio di Dio nelmondo per stabilire la nuova ed eterna al-leanza tra Dio e l’umanità. In questa ultimadomenica di Avvento, che precede immedia-tamente il Natale, il salmo, in particolare ilritornello, annuncia a tutti noi che il Signore,re della gloria, viene. È un annuncio solenneche contiene al tempo stesso un invito a di-sporsi ad accogliere la venuta del Cristo.

I testi di questa domenica mettono in lu-ce le figure di Maria e di Giuseppe, e anchequella di san Paolo, modelli tutti e tre di ac-coglienza della Parola di Dio e di obbedien-za a essa. La prima lettura riporta il messag-gio del profeta Isaia al re Acaz, chiedendoglidi non elemosinare aiuto dall’Assiria, ma difidarsi solo dell’aiuto di Dio. Acaz, però, nonse la sente di fidarsi solo di Dio, vorrebbe ri-fiutare ogni segno divino; le sue parole appa-

rentemente rispettose del volere divino(“Non voglio tentare il Signore”) sono fruttopiuttosto della protervia di chi non vuole es-sere costretto a fidarsi dell’invisibile, di chivuole a tutti i costi misurare e controllare lesue sicurezze. Nel racconto del brano evan-gelico di Matteo la figura centrale è Giusep-pe. Al contrario del re Acaz, di cui parla ilbrano di Isaia, Giuseppe accetta il “segno”del bambino nato da una vergine e, fiduciosonella parola di Dio trasmessagli per mezzodell’angelo, impegna tutta la sua vita perquesto bambino e sua madre. Il testo evange-lico conclude con queste parole: “fece comegli aveva ordinato l’angelo del Signore e pre-se con sé sua sposa”. Giuseppe quindi acco-glie il messaggio e ubbidisce.

Accanto alla figura di Giuseppe sta quel-la di Maria, la Madre di Gesù. Diversamentedi quanto ha fatto san Luca, nei racconti del-la nascita e infanzia di Gesù san Matteo nonci ha trasmesso alcuna parola di Maria. L’e-vangelista Matteo presenta una Maria silen-ziosa, ma docile strumento del disegno diDio: ciò che avviene in lei è adempimento di“ciò che era stato detto dal Signore per mez-zo del profeta”.

San Paolo nell’introduzione alla lettera aiRomani, proposta come seconda lettura, par-

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la della sua vocazione. Dio lo ha chiamato adivenire apostolo, un inspiegabile e incom-prensibile atto di grazia. In quanto tale, ilministero di apostolo è legato all’obbedienzadi fede. Paolo si definisce apostolo e servo diCristo Gesù.

Siamo chiamati a realizzare la nostra vitaentrando liberamente e gioiosamente nell’or-bita del disegno di Dio. Bisogna fidarsi diDio. La nascita di Gesù che ci apprestiamo acelebrare è un segno della fedeltà di Dio. Di-sponiamoci ad accogliere, nell’obbedienza

della fede, a esempio di Giuseppe e Maria, ilSignore che viene a salvarci.

L’orazione sulle offerte fa un suggestivoaccostamento tra il mistero dell’incarnazionee il mistero eucaristico. Lo Spirito Santo che“ha riempito con la sua potenza il grembodella Vergine Maria”, è lo stesso che consa-cra i doni del pane e del vino per la celebra-zione del sacrificio eucaristico. Lo Spirito èpoi colui che ci prepara ad accogliere il Si-gnore che viene.

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NATALE DEL SIGNORE24 dicembre 2007Messa vespertina nella VigiliaCanterò senza fine le tue grazie, Signore

Prima lettura: Is 62,1-5Salmo responsoriale: dal Sal 88Seconda lettura: At 13,16-17.22-25Vangelo: Mt 1,1-25

Il salmo responsoriale è tratto dal lungoSal 88, composto di almeno tre salmi distin-ti. È un inno alla bontà e fedeltà di Dio, cheè fedele alle sue promesse. Una promessastorica decisiva per Israele, è quella fatta daNatan a Davide e alla sua discendenza e ci-tata in 2Sam 7: il salmista la riprende e lacommenta con passione vedendola come ilsegno più alto della presenza divina nellastoria umana. Ma la promessa sembra ora incrisi perché la dinastia di Davide è finita conla distruzione di Gerusalemme nel 586 a. C.Dopo questa umiliazione del popolo d’Israe-le, si può ancora credere nella promessa? Ilsalmo, pur non rispondendo a questa doman-da, proprio nel suo silenzio apre la speranzaad un Re, ad un “Unto” o Messia non più di-nastico ma inviato direttamente da Dio fede-le che ha giurato a Davide di rendere eterna

la sua discendenza e il suo trono. Dio man-tenne le promesse e il giuramento fatto a Da-vide, quando inviò il Figlio suo, “nato dallastirpe di Davide secondo la carne” (Rm 1,3).

Sulla stessa linea si muovono le tre lettu-re bibliche di questa messa vespertina nellaVigilia del Natale. La lettura anticotestamen-taria ci propone un brano del Terzo Isaia,profeta anonimo del VI secolo a. C.: Ciro, redi Persia pubblica un editto in cui autorizzala ricostruzione di Gerusalemme. Un primogruppo di ebrei esiliati parte da Babiloniaverso la Città santa. In questo contesto si in-serisce il brano profetico, che canta la spe-ranza di questi rimpatriati con immaginisponsali riferite al rapporto tra Dio fedele eil suo popolo. Con l’incarnazione Cristo spo-sa l’umanità esprimendo verso di essa unamore fedele ed eterno.

La seconda lettura, tratta dal libro degliAtti, riporta l’inizio del discorso pronunciatoda san Paolo nella sinagoga di Antiochia diPisidia: l’Apostolo ripercorre sinteticamente

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le grandi tappe della storia della salvezza:patriarchi, esilio e liberazione, monarchia, econclude: “dalla discendenza di lui (Davi-de), secondo la promessa, Dio trasse perIsraele un salvatore, Gesù”. C’è, quindi, laferma convinzione che tutta la storia contie-ne un disegno divino che ha il suo culminein Cristo. Aderendo a lui, si dà senso al pas-sato e si apre l’orizzonte della speranza in unmondo rinnovato e liberato.

L’arido elenco di nomi della genealogia diGesù Cristo, riportata dal brano evangelicodi Matteo, ci offre un messaggio grandissimo.Cristo, nostro Salvatore si radica nella nostrastoria. Con Gesù irrompe nella storia la crea-zione nuova. Non è una creazione che esclu-de le persone peccatrici, ma le accoglie. Co-

me testimonia la genealogia di Gesù, in essasono accolte tutte le colpe e le glorie degliuomini. Dio “assume” ciò che viene a redi-mere. L’incarnazione di Dio incomincia dalontano. Incomincia con la promessa divinadi Gen 3,15, nel paradiso terrestre, proseguecon Abramo e si dipana nella storia tra milleostacoli posti dalla cattiveria e ottusità del-l’uomo. Dio ha voluto, con fedeltà assolutaalla sua Parola, portare a compimento il suoprogetto salvifico.

Dio è fedele alle sue promesse. Segno ef-ficace di questa fedeltà divina è la nascitadel Salvatore. La Chiesa celebra questoevento come il “grande giorno che ha datoinizio alla nostra redenzione” (orazione sulleofferte).

NATALE DEL SIGNORE25 dicembre 2007Messa della notteOggi è nato per noi il Salvatore

Prima lettura: Is 9,1-3.5-6Salmo responsoriale: dal Sal 95Seconda lettura: Tt 2,11-14Vangelo: Lc 2,1-14

Il progetto di salvezza che Dio ha datutta l’eternità sull’uomo e sul mondo trovanella nascita di Gesù il momento culmi-nante della sua attuazione. La Chiesa, ri-prendendo il Sal 95 nella sua liturgia nata-lizia (lo troviamo come salmo responsorialeanche nei giorni 29, 30, 31 dicembre), ve-de in esso una profezia dell’incarnazionedel Verbo e della vocazione di tutti i popolidella terra dall’idolatria alla fede in lui, ve-nuto per salvare tutte le nazioni. Tutta lacreazione è invitata a partecipare alla dan-za di gioia, perché il Signore governerà tut-te le genti del mondo con giustizia. Il bam-

bino nato a Betlemme è quindi il nostroSalvatore: “Oggi è nato per noi il Salvato-re”. È un annuncio che si ripete più voltein questa santissima notte di Natale (an-tifona d’ingresso, canto al vangelo, letturaevangelica, antifona alla comunione).

Il tema predominante nei testi di questanotte è la luce (colletta, prima lettura, vangelo,orazione sulle offerte). La prima lettura ci ricor-da che come è stato per l’antico popolo d’Israe-le, così pure è per tutta la storia dell’umanitàche cammina nelle tenebre e nell’oppressionealla ricerca di luce, di verità, di speranza e dipace. Gesù, il “Principe della pace”, di cuiparla il profeta Isaia, è la risposta definitiva diDio alle attese dell’umanità. Anche per noi èofferta la visione della grande luce che fa fiori-re la gioia. In Gesù - dice san Paolo nella se-

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conda lettura – “è apparsa la grazia di Dio, ap-portatrice di salvezza per tutti gli uomini”.

Questo messaggio di salvezza viene comu-nicato non ai potenti della terra, ma a un grup-po di umili pastori, rozzi, affaticati dalle lun-ghe e gelide notti di Palestina ai quali l’angelodel Signore dice: “oggi vi è nato nella città diDavide un salvatore, che è il Cristo Signore”.Poi, con l’angelo, appare una moltitudine dispiriti celesti che al tempo stesso che annun-ciano “pace in terra agli uomini”, proclamano“gloria a Dio nel più alto dei cieli”. La gloriadi Dio è Dio stesso in quanto si rivela nellasua maestà, nella sua potenza, nello splendoredella sua santità. La “pace in terra” quindi è

la manifestazione storicadella gloria di Dio, la mani-festazione della volontà sal-vifica di Dio in Cristo pernoi. Possiamo quindi affer-mare anche che quando gliuomini siamo nella pace, vi-viamo in pace, Dio è glorifi-cato in noi: la gloria di Dio èl’uomo redento, l’uomo cheha accolto Gesù come Sal-vatore. Gesù, “Principe del-la pace”, appare nella storiadell’umanità come segno diriconciliazione con Dio econ gli uomini. Con lui “lavera pace è scesa a noi dalcielo” (antifona d’ingresso).Incarnazione e mistero pa-squale sono misteri indisso-lubili e mentre si celebrauno, non si può non asso-ciarlo all’altro: “Egli ha datose stesso per noi, per riscat-tarci da ogni iniquità” (se-conda lettura).

La nascita di Gesù daMaria a Betlemme segna l’i-

nizio della nostra era indicando in questo modoche ciò che in quella notte accadde è stato fon-damentale per la storia degli uomini. La nostrastoria, la nostra vita, le sorti dell’umanità di-pendono da questo fatto e trovano in esso ispi-razione e senso. La storia dell’uomo ha sensoperché Cristo ne è parte integrante, perché egline è anzi il personaggio centrale. Sulla scia diGesù noi camminiamo per le strade del mondocerti di non andare allo sbaraglio, ma di avereun traguardo di salvezza. Tutti i nostri limiti,tutte le nostre sofferenze, tutte le nostre paure,tutte le nostre miserie sono state redente dalmomento che Dio stesso le ha assunte nell’u-manità di Gesù.

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Prima lettura: Is 62,11-12Salmo responsoriale: dal Sal 96Seconda lettura: Tt 3,4-7Vangelo: Lc 2,15-20

Come nella messa di mezzanotte, anchein quella dell’aurora riappare il tema dellaluce (antifona d’inizio, colletta, salmo re-sponsoriale) abbinato a quello della gioia(salmo responsoriale, antifona alla comunio-ne, preghiera dopo la comunione). Il Sal 96presenta il regno di Dio come un’apparizionesconvolgente, nella quale saranno travolte lepotenze del male che dominano il mondo. Iversetti del salmo ripresi dall’odierna liturgiafanno riferimento in modo particolare ai temidella luce e della gioia, che sono temi squisi-tamente natalizi: Jhwh, re della luce, apparenella cornice di una gloriosa teofania a cuiassiste tutta la sfilata delle creature e tuttal’umanità. Con questo testo la Chiesa celebrala manifestazione di Cristo nella carne comeuna luce soprannaturale, che si è levata peril giusto e ha recato gioia ai retti di cuore.

Nella prima lettura, ci viene proposto unbreve oracolo del Terzo Isaia. Al popoloebreo umiliato dall’esilio, il profeta annunciala liberazione: “Arriva il tuo Salvatore”. Ilpopolo liberato acquista una fisionomia di-versa: diventa “popolo santo”, “redento dalSignore”, “ricercato” e “non abbandonato”.Alla luce di questo oracolo, il mistero delNatale appare come la manifestazione dell’a-more di Dio che salva. Anche la lettura apo-stolica parla della manifestazione della bontàdi Dio, Salvatore nostro, che effonde la suamisericordia: san Paolo, rivolgendosi al suodiscepolo Tito, afferma che la prova massima

della sua bontà e del suo amore Dio ce lo hafornito donandoci il suo proprio Figlio. Il Na-tale celebra il dono dell’amore divino nelCristo, rivelazione del Padre e salvezza delmondo.

Nella lettura evangelica continua la nar-razione dell’annunciazione ai pastori, apertanella messa della notte. Il brano odiernomette in evidenza la risposta dei pastori alleparole dell’angelo, una risposta coerente eimmediata: “Andiamo fino a Betlemme, ve-diamo questo avvenimento che il Signore ciha fatto conoscere...”. E san Luca aggiunge:“E dopo averlo visto riferirono ciò che delbambino era stato detto loro”. L’evangelistaparla anche di Maria, la madre di Gesù, laquale raccoglie queste parole (così letteral-mente) e le medita nel suo cuore, cioè cercadi penetrarne il senso. Fin d’ora Maria è il ti-po di ogni vero uditore della parola di Dio. Ipastori se ne sono andati “glorificando e lo-dando Dio”. Il loro andare diventerà, nel cor-so del Vangelo e degli Atti degli Apostoli,paradigma della diffusione della Buona No-vella tra le genti.

La salvezza di Dio ci viene offerta in for-ma umana, nella povertà e debolezza, nel“segno” di un bambino che assume la nostradebolezza: “la nostra debolezza è assunta dalVerbo” (prefazio III del Natale). Perciò latradizione cristiana ha fatto del Natale unafesta di profonda solidarietà umana.

Anche l’eucaristia del Natale rievoca eripresenta la morte e la risurrezione del Cri-sto, ma, con il mistero della Pasqua, e in or-dine a esso, ricorda e rinnova, in certo modo,tutta la storia della salvezza, di cui l’incarna-

NATALE DEL SIGNORE25 dicembre 2007Messa dell’auroraOggi la luce risplende su di noi

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zione e la nascita di Gesù sono gli inizi. IlNatale del Signore segna l’inizio di quelcammino salvifico che porta Gesù a farsi intutto simile agli uomini, fuorché nel peccato,

fino alla morte di croce: è il cammino che,da una parte, prepara la Pasqua e ad essaconduce e, dall’altra, riceve significato salvi-fico proprio dalla Pasqua.

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NATALE DEL SIGNORE25 dicembre 2007Messa del giornoTutta la terra ha veduto la salvezza del Signore

Prima lettura: Is 52,7-10Salmo responsoriale: dal Sal 97Seconda lettura: Eb 1,1-6Vangelo: Gv 1,1-18

Il Sal 97 ripete pensieri già espressi inaltri salmi regali, in particolare nel Sal 95proposto come salmo responsoriale nellamessa dell’aurora. Nel Natale di Cristo, laChiesa ci invita a lodare con le parole profe-tiche di questo salmo il Signore che ha com-piuto prodigi e ha manifestato la sua salvez-za e il suo amore per la casa d’Israele. Nelbambino di Betlemme questa salvezza si èmanifestata, non solo ad Israele, ma a tuttigli uomini della terra che possono ormaicontemplarla e accoglierla. L’ingresso delSalvatore nel mondo e nella storia provocaun sussulto di felicità in tutti e in tutto. Lagioia del Natale però sarebbe superficiale senon fosse fondata sulla contemplazione delmistero natalizio alla luce della fede. Eccoperché in questa messa del giorno siamo in-vitati a contemplare, guidati dalla parola diDio, le profondità di questo mistero.

La prima lettura riporta un brano del Se-condo Isaia, l’anonimo annunziatore del ri-torno di Israele dall’esilio di Babilonia. Ilprofeta parla di un messaggero che annunziapace, felicità, salvezza. Questa missione, nelNuovo Testamento, Gesù l’attribuirà a sestesso (cf. Lc 4,43). La seconda lettura con-

ferma che Dio ha parlato a noi per mezzo delFiglio. La lettura evangelica è presa dalgrandioso prologo al vangelo di Giovanni.Vale la pena di concentrare la nostra atten-zione su questo sublime brano. Giovanni an-nunzia che il Verbo di Dio si è fatto carne edè venuto ad abitare in mezzo a noi; ma altempo stesso annunzia che tutti coloro cheaccolgono questo bambino, il Figlio di Diofatto carne, ricevono anch’essi il potere didiventare figli di Dio. In Cristo ci viene of-ferta la possibilità di una nuova origine, nonpiù fondata sul sangue e sulla carne, ma suDio stesso. Il mistero del Natale riguardaquindi anche noi. Il mistero di un Dio fattouomo ci immerge nel mistero dell’uomo chediventa figlio di Dio. Si tratta di quel “mi-sterioso scambio” di cui parla il III prefaziodi Natale: il Verbo di Dio assume la nostranatura umana nella sua debolezza e fragilità,e noi, uniti a lui in comunione mirabile,condividiamo la sua vita immortale (cf. an-che la preghiera dopo la comunione). Lastessa dottrina esprime san Paolo in un bra-no che viene proposto oggi alla nostra atten-zione: “Quando venne la pienezza del tem-po, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna,nato sotto la legge per riscattare coloro cheerano sotto la legge, perché ricevessimo l’a-dozione a figli” (Primi vespri, lettura breve -Gal 4,4-5). Nel Natale noi contempliamo gliinizi della nostra salvezza. L’antifona allacomunione, annuncia profeticamente questo

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evento quando dice: “tutti i confini dellaterra vedranno la salvezza del nostro Dio”(cf. Sal 97,3).

Il grande padre della Chiesa romana, sanLeone Magno, contemplando il mistero del-l’Incarnazione, esclama: “Riconosci, cristia-no, la tua dignità e, reso partecipe della na-tura divina, non voler tornare all’abiezione diun tempo con una condotta indegna” (Ufficiodelle letture, seconda lettura). Questa stessaesortazione è implicita nel testo del prologodi Giovanni quando si dice che a colui che

accoglie il Figlio di Dio fatto carne, vienedato potere di “diventare” figlio di Dio: lanostra identità di figli di Dio è inserita den-tro un processo dinamico che si apre ad unacrescita progressiva e senza sosta che ci con-duce verso gli spazi della vita divina.

L’eucaristia che oggi celebriamo è per ec-cellenza il sacrificio della nuova alleanza, ilrito della nuova umanità, che ci introduceprogressivamente alla partecipazione dellavita divina.

DOMENICA DOPO NATALE: SANTA FAMIGLIADI GESÙ MARIA E GIUSEPPE (A)30 dicembre 2007Vita e benedizione sulla casa che teme il Signore

Prima lettura: Sir 3,2-6.12-14Salmo responsoriale: dal Sal 127Seconda lettura: Col 3,12-21Vangelo: Mt 2,13-15.19-23

Il salmo responsoriale odierno dipinge unidillio di pace, di serenità e di felicità, quel-la situazione che, secondo il salmista, si rea-lizza nella casa “dell’uomo che teme il Si-gnore e cammina nelle sue vie”. Questo gra-zioso quadretto familiare ci viene propostooggi nella Festa della Santa Famiglia di Na-zaret, in cui l’ideale tracciato dal salmo èstato una sublime realtà. La vita familiare,vissuta alla luce della fede, nell’armonia deisuoi componenti e nella fatica del lavoroquotidiano, può e deve diventare fonte di fe-licità e di pace.

La parola che potrebbe sintetizzare l’in-segnamento dei testi della Scrittura che ab-biamo ascoltato è una parola che non è oggidi moda: “obbedienza”. La prima lettura èun brano del libro del Siracide che, rielabo-rando motivi di saggezza popolare, parla dei

rapporti tra genitori e figli. Sulla stessa lineasi muove l’esortazione di san Paolo ai Colos-sesi, da cui è tratta la seconda lettura: i figlidevono onorare, obbedire i propri genitori,ed essi non devono esasperare i loro figli.C’è quindi anche un’obbedienza dei genitoriche è obbedienza a Dio per il bene dei figli.Così vediamo nel racconto evangelico dellafuga in Egitto che san Giuseppe fa quelloche gli comanda Dio per mezzo dell’angelo elo compie per la salvezza del bambino, per-ché ha paura di ciò che potrebbe capitarglidi male. Nelle sue scelte, quindi, san Giu-seppe è del tutto subordinato al bene delbambino Gesù di cui è padre putativo. Que-sti testi ci ricordano che paternità, maternità,figliolanza hanno tutte origine da Dio. Quan-do i rapporti familiari sono vissuti nell’ascol-to della volontà di Dio, della sua parola, i va-ri ruoli familiari vengono liberati dai mecca-nismi dell’egoismo per lasciare spazio al ve-ro amore. La famiglia cristiana dovrebbe es-sere un vangelo vivente, una buona notiziacapace di trasmette un forte messaggio disperanza all’umanità.

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La nostra cultura sembra oggi moltocambiata e ci appare più complessa rispet-to alla visione dei rapporti familiari cheemerge da questi antichi testi. C’è però nelmessaggio biblico sull ’obbedienza unaspetto di grande e perenne attualità. Èstato notato, infatti, che nella lingua ebrai-ca non esiste la parola “obbedire”. Peresprimere questa nozione si usa spesso ilsemplice verbo “ascoltare”. Obbedire nellaBibbia vuol dire quindi anzitutto dareascolto. Solo chi dà ascolto all’altro è capa-ce di capirlo, rispettarlo, aiutarlo, ed èquindi capace di crescere e costruire insie-me con l’altro una vita armoniosa. Non sitratta di un ascolto semplicemente formale,ma di una vera accoglienza dell’altro nellapropria vita. Dare ascolto a chi mi è vicino,ma soprattutto dare ascolto a Dio nel cuidisegno posso in qualche modo capire il

mistero dell’altro, di colui che come me èun figlio di Dio, amato e redento dal san-gue di Cristo. Attraverso una comprensionesempre più piena dell’amore di Dio per noi,diventerà sempre più chiara la percezionedella sua volontà di amore su di noi.

Nella Sacra Famiglia la Chiesa ci propo-ne un esemplare di vita familiare, anzi di vi-ta in comune, non modellato sui criteri delbenessere economico o del prestigio socialema sui valori che scaturiscono dalla fede inDio. Il modello proposto, poi, trascende i li-miti della famiglia come istituzione umanaper proiettarsi sui rapporti interpersonali cheintercorrono tra gli esseri umani nella vitasociale, nella Chiesa, in ogni singola comu-nità. La casa di Nazaret è una scuola di vitain comune valida per tutti i tempi e per tuttele culture.

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Prima lettura: Nm 6,22-27Salmo responsoriale: dal Sal 66Seconda lettura: Gal 4,4-7Vangelo: Lc 2, 16-21

Il Sal 66 esprime la gioia del contadinopalestinese che, da una terra avara, ha otte-nuto il dono delle messi, segno sperimenta-bile della benedizione divina. Il salmo di-venta poi un inno di ringraziamento coraleper i doni divini in genere. La liturgia delprimo giorno dell’anno riprende questo innonella sua parte più universalistica in cui siparla di una presenza benedicente di Dioche abbraccia tutti i popoli della terra:“…perché si conosca sulla terra la tua via,fra tutte le genti la tua salvezza”. La nostra

vita, che oggi inizia una nuova tappa, è vera-mente benedetta da Dio nella misura in cui èilluminata dallo splendore del volto di Dio.

Il primo giorno dell’anno è carico di di-versi significati: l’inizio dell’anno, l’ottavadel Natale, la solennità di Maria SS. Madredi Dio e la giornata mondiale della pace.Nello sfondo di queste varie tematiche, lacelebrazione della divina maternità di Mariaappare più luminosa ed esaltante, dalle riso-nanze cosmiche. Generando il Salvatore,Maria si pone al centro della storia dell’uma-nità, tracciando per tutti noi gli itinerari nonsoltanto della nostra crescita spirituale, maanche semplicemente umana. La benedettafra tutte le donne, ci ha donato Gesù, frutto

MARIA SS. MADRE DI DIO1 gennaio 2008Dio ci benedica con la luce del suo volto

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benedetto del suo seno, primogenito fra moltifratelli, Cristo “nostra pace, colui che ha fat-to dei due un popolo solo, abbattendo il mu-ro di separazione che era frammezzo, cioè l’i-nimicizia” (Ef 2.14). In questo modo, anchenoi siamo diventati, per opera dello Spirito,figli ed eredi, e la nostra vita è nel segnodella benedizione divina di cui la pace èfrutto prezioso.

La prima lettura riporta la formula di be-nedizione che il sommo sacerdote dovevapronunciare su Israele al termine delle gran-di feste liturgiche e, particolarmente, dellafesta del nuovo anno. Quest’antica benedi-zione sacerdotale fa perno sul nome del Si-gnore, richiamato per tre volte, e pone questonome sui figli d’Israele. “Porre il nome” vuoldire stabilire una relazione con la persona.La benedizione è il riconoscimento che ognibene viene da Dio e dipende da una vita dicomunione con lui. Segno manifestativo del-le benedizioni divine è la pace: Dio benediceil suo popolo e lo conduce alla pace. Il pienocompimento della benedizione si ha in GesùCristo. Egli è la stessa benedizione: è ilgrande dono del Padre agli uomini, da cuivengono tutti gli altri doni. San Paolo lo illu-stra a modo suo nella seconda lettura quando

afferma che in Cristo abbiamo ricevuto “l’a-dozione a figli”; non siamo quindi più schia-vi, ma figli. Possiamo diventare consapevolidella nostra condizione filiale perché ci èstato donato lo Spirito Santo, che plasma in-teriormente in ognuno di noi i lineamenti delCristo, il Figlio primogenito. Questo misteroè stato possibile ed è reso visibile perché,“quando venne la pienezza del tempo, Diomandò il suo Figlio, nato da donna”. In que-sto modo, la maternità di Maria accresce lapropria realtà dandosi a vedere quale “ma-dre del Cristo e di tutta la Chiesa” (orazionedopo la comunione). Maria viene poi propo-sta come esemplare di accoglienza delle be-nedizioni divine donateci in Cristo: nel bra-no del vangelo essa appare come colei cheserba e medita nell’interiorità del cuore tuttigli eventi che riguardano il figlio. Da madresi fa anche prima discepola fin da ora, custo-dendo nel cuore il mistero del figlio.

L’eucaristia del primo giorno dell’anno altempo stesso che ci pone in atteggiamento diriconoscenza per i doni ricevuti da Dio, dicui Cristo è il dono più prezioso, ci rassicurache ogni giorno del nuovo anno, ogni giornodella nostra vita sarà sempre un dono prezio-so della grazia divina.

EPIFANIA DEL SIGNORE6 gennaio 2008Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra

Prima lettura: Is 60,1-6Salmo responsoriale: dal Sal 71Seconda lettura: Ef 3,2-3a.5-6Vangelo: Mt 2,1-12

Il Sal 71, di cui la prima parte è ripresacome salmo responsoriale, proiettando losguardo oltre gli orizzonti storici del tempo

in cui fu scritto, annuncia una salvezza,che verrà offerta dal Messia, senza limitigeografici e sociali: la sua giustizia saràperfetta, il suo dominio universale, il suoregno eterno, il cosmo intero sarà coinvoltonella pace offerta in abbondanza dal Si-gnore. I Padri scorgono in questo salmo lapreghiera con la quale la Chiesa invoca

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l’avvento del regno di Cristo, affinché tuttele nazioni possano essere partecipi dellasua luce.

Isaia, nella prima lettura, proietta losguardo oltre gli orizzonti storici di quel-l’epoca e annuncia la vocazione universa-le di Gerusalemme. Vocazione di cui èerede la Chiesa, nuova Gerusalemmechiamata ad illuminare tutti gli uominicon la luce di Cristo. Paolo nella secondalettura parla di un “mistero”, termine chenella sua radice greca indica qualcosa di“silenzioso” e segreto che è racchiuso nel-l’orizzonte invalicabile di Dio. L’Apostolodichiara che questo silenzio è stato squar-ciato e il messaggio che era nascosto nellamente divina è stato rivelato e proclamatoal mondo: i pagani di una volta e i giudeidi un tempo sono ora a parità di diritti. Difronte al Signore che viene, ciò che contanon è la razza o la cultura o la pruden-za umana, ma la disponibilità del-la fede e l’attenzione ai se-gni dei tempi. Infatti, ve-diamo che las a l v e z z a ,o f f e r t aa

tutti gli uomini, è accolta in primo luogodai “lontani”. Gli “esperti”, scribi e fari-sei, che sapevano tutto riguardo alle Scrit-ture, non hanno cercato e perciò non han-no trovato il Messia. I Magi, invece, si so-no messi in cammino, hanno interrogato,cercato, hanno osservato i segni del cielo,si sono informati sulle Scritture e hannotrovato. I Magi insegnano che il credentenon è un semplice possessore, ma un in-stancabile cercatore di Dio. Il senso dina-mico della fede si esprime poi nella chia-mata a rendere testimonianza, ad annun-ziare a tutti la salvezza sperimentata, co-me i Magi nel loro ritorno da Betlemme.La buona novella del vangelo è indirizzataa tutti e deve perciò essere annunciata atutti.

La simbologia della lu-ce, già presente nella li-turgia natalizia, la ritro-viamo nella liturgia del-l’Epifania con una sot-

tolineatura particolar-mente “epifanica”che si proietta sulmondo intero: “Og-gi in Cris to lucedel mondo tu hairivelato ai popoli ilmistero della sal-vezza…”. Questeparole del prefazioinvitano ad inter-pretare in sensocristologico la lucedi cui par lano laprima lettura e ilbrano evangelico.La luce è il simbolodel la presenza edel rivelarsi di Dioall’umanità che si

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realizza pienamente in Cristo. L’Apocalis-se chiama il Cristo “la stella del mattino”(Ap 2,28; 22,16). Nella preghiera dopo lacomunione supplichiamo Dio affinchéquesta sua luce “ci accompagni sempre inogni luogo…”.

Il nocciolo del messaggio dell’Epifaniaè quindi che Dio si manifesta, si fa uomoe chiama tutti a sé nel suo regno. Dice sanLeone Magno: “Celebriamo nella gioia [...]l’inizio della chiamata alla fede di tutte legenti” (Liturgia delle Ore: Ufficio delleletture, seconda lettura). L’Epifania ci ri-

corda che Cristo è venuto per chiamare al-la salvezza tutta l’umanità, simbolicamen-te rappresentata dai Magi di cui parla ilvangelo. La Chiesa non può tenere per séquesto mistero, ma deve annunciarlo almondo. Essa non può venir meno a questocompito che la rende insieme destinatariae serva della buona novella del vangelo.Ecco dunque che la solennità dell’Epifa-nia diventa la logica e naturale conclusio-ne del Natale e proietta tutti noi, come ipastori e come i Magi, sulle strade delmondo per annunciare a tutti gli uomini lemeraviglie di Dio.

Prima lettura: Is 42,1-4.6-7Salmo responsoriale: dal Sal 28Seconda lettura: At 10,34-38Vangelo: Mt 3,13-17

Il Sal 28 descrive la manifestazionedella potenza di Dio in una tempesta qua-si apocalittica. La voce di Dio, configuratanei tuoni e nei lampi, domina tutta la sce-na. Con un linguaggio arcaico, ci viene ri-cordato che nel gorgo ciclonico della sto-ria e della natura noi abbiamo un puntofermo nel Signore che “siede re per sem-pre”. Dio dominatore dell’universo viene asalvare il suo popolo con forza e potenza.La Chiesa, nella liturgia odierna, accostala rivelazione della potenza di Dio descrit-ta nel salmo alla manifestazione della di-vinità di Cristo durante il suo battesimonel Giordano.

La festa del Battesimo del Signore fa daponte tra le feste natalizie e le domenichedel Tempo ordinario, ormai iniziato. Il bat-

tesimo per Gesù rappresenta la fine dellavita nascosta di Nazaret e l’inizio della suaattività pubblica mediante l’investimentoufficiale del Padre che lo presenta alle fol-le come Figlio prediletto su cui si posa loSpirito Santo. È una festa che ci invitaquindi ad approfondire l’identità di Gesù ela sua missione.

Il battesimo di Giovanni era una con-fessione dei propri peccati e il tentativo dideporre una vecchia vita mal spesa per ri-ceverne una nuova. Gesù non poteva con-fessare peccato alcuno; però sottometten-dosi al rito del battesimo di Giovanni egliintende manifestare la sua disponibilità adascoltare la voce di Dio, la sua solidarietàcon i peccatori e l’impegno per la loroconversione, e l’accettazione della vita co-me dedizione agli altri. La lettura evange-lica narra l’evento: alle perplessità di Gio-vanni, Gesù risponde dicendo che occorreche “adempiamo ogni giustizia”. Con que-

DOMENICA DOPO L’EPIFANIA: BATTESIMO DEL SIGNORE ( A )13 gennaio 2008Gloria e lode al tuo nome, o Signore

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ste parole, Gesù afferma che c’è una giu-stizia da compiere, e cioè una volontà di-vina cui obbedire. Gesù afferma quindi lasua disponibilità a dedicarsi totalmenteall’adempimento del volere salvifico divi-no, che d’ora in poi sarà la matrice di ognisua azione fino al momento del battesimodi sangue sulla croce. A questa disponibi-lità di Gesù, il Padre risponde proclaman-dolo: “Questo è il Figlio prediletto, nelquale mi sono compiaciuto”. Queste paro-le richiamano le parole d’Isaia che abbia-mo letto nella prima lettura. Il Padre sicompiace nel suo Figlio, lo guarda con be-nevolenza e con gioia. Segno di questa be-nevolenza è la presenza dello Spirito Santoche si posa su Gesù.

Alla domanda iniziale sull’identità diGesù, possiamo rispondere con le stesseparole di san Pietro, riportate dalla secon-

da lettura: Gesù è un uomo consacrato “inSpirito Santo e potenza”, e cioè nella po-tenza dello Spirito, che ha percorso tutta laPalestina “beneficando e risanando tutticoloro che stavano sotto il potere del dia-volo”. La sua azione è stata vittoriosa,“perché Dio era con lui”.

Il battesimo cristiano attraverso il se-gno dell’acqua versata manifesta e realizzala nostra personale immersione nella vitadi Cristo per poter vivere come lui è vissu-to, con la forza dello Spirito Santo. Cosìcome per Gesù il battesimo è stato il mo-mento decisivo della sua vocazione, in cuiegli ha espresso la sua decisione di realiz-zare la missione affidatagli dal Padre, cosìanche per noi il battesimo rappresenta ilpunto di partenza di una vita donata a Cri-sto e al suo vangelo.

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Prima lettura: Is 49,3.5-6Salmo responsoriale: dal Sal 39Seconda lettura: 1Cor 1,1-3Vangelo: Gv 1,29-34

Alcuni versetti del Sal 39 saranno poiripresi dalla Lettera agli Ebrei e posti sullabocca del Cristo, che obbedisce al Padrevenendo al mondo per la salvezza dell’uo-mo (cf. Eb 10,5-10). Cristo ha compiuto ilsacrificio totale e interiore della propriavolontà, l’unico gradito al Padre, nella sot-tomissione e obbedienza che manifestò giànel momento dell’incarnazione e consumònella sua immolazione sulla croce. Tutta lavita di Gesù può essere riassunta con leparole del ritornello: “Ecco, io vengo, Si-

gnore, per fare la tua volontà”. In questadomenica, che viene dopo le feste natali-zie, siamo invitati a contemplare Gesù, al-l’inizio della sua missione, quale fedeleesecutore della volontà del Padre.

La prima lettura parla profeticamente diun misterioso “servo”, scelto da Dio dal se-no materno per salvare Israele, anzi la mis-sione di questo servo del Signore, chiamato“luce delle nazioni”, ha il compito di por-tare la salvezza “fino all’estremità dellaterra”. I cristiani dei tempi apostolici nonhanno faticato a riconoscere nella vita diGesù Cristo e nella missione della Chiesale caratteristiche del “Servo del Signore”donato per la salvezza dell’umanità. Le at-

DOMENICA II DEL TEMPO ORDINARIO ( A )20 gennaio 2008Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà

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tese di Israele trovano in Cristo il loro com-pimento. Nella lingua aramaica (parlata daGesù e da Giovanni Battista) la parolatalya significa “servo” e “agnello”. Conquesta parola usata da Isaia, nel vangelod’oggi vediamo che Giovanni Battista indi-ca Gesù, annunciando che egli è il “servodi Dio”, che libera il mondo dal peccato:Gesù è “l’agnello [servo] di Dio che toglieil peccato del mondo”, strumento perfetta-mente docile nelle mani del Padre percompiere la salvezza del mondo. Attraversola testimonianza del Battista viene consoli-data la nostra fede in Gesù che è stato con-sacrato dallo Spirito Santo come Messia enel quale siamo invitati a porre ogni fidu-cia e speranza perché non c’è altra salvezzase non quella che lui ci offre.

Credere in Gesù non significa fare un’e-sperienza personale puramente interiore eintimista. La Chiesa chiama Giovanni Batti-sta “testimone della luce” (Secondi vespri,Ant. al Magn.). Come Giovanni Battista, tuttii seguaci di Gesù siamo chiamati a esseredecisamente e senza ambiguità testimoni diCristo “luce delle nazioni” davanti al mondo.La testimonianza di Giovanni è frutto del ve-dere e del conoscere: ciascuno di noi dà diCristo una testimonianza proporzionata alla

vita di fede e di relazione che intrattiene conlui. Per san Paolo, di cui abbiamo letto ilbrano iniziale della prima lettera ai Corinzi,l’esperienza che egli ha avuto della fede èstata contemporaneamente consapevolezzadella chiamata ad “essere apostolo di GesùCristo per volontà di Dio”. Queste paroleriassumono l’esperienza della vocazione diPaolo e riflettono la coscienza che egli hadella propria missione. San Paolo si conside-ra chiamato da Dio con il compito di far co-noscere Gesù Cristo. Come in Giovanni Bat-tista e come in Paolo, la testimonianza non siesaurisce nell’annuncio, ma comporta unavita coerente con quanto si crede e si annun-cia. L’opera della salvezza attuata da Gesùcontinua ora attraverso l’impegno e la testi-monianza di noi tutti.

Quando ci avviciniamo alla comunioneeucaristica, ci viene presentata l’ostia santacon le parole di Giovanni Battista: “...Eccol’Agnello di Dio che toglie i peccati del mon-do”. L’eucaristia ci rende partecipi della sal-vezza portata a termine da Gesù nel sacrifi-cio della croce, di cui la comunione è parte-cipazione sacramentale. Al tempo stesso,nella partecipazione all’eucaristia prendiamocoscienza di essere coinvolti con Cristo nellasalvezza del mondo.

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Prima lettura: Is 8,23b-9,3Salmo responsoriale: dal Sal 26Seconda lettura: 1Cor 1,10-13.17Vangelo: Mt 4,12-23

Il salmo responsoriale esprime una scon-finata fiducia nel Signore. La tradizione dei

primi secoli ha fatto recitare questa preghie-ra ai neo-battezzati. Nel battesimo infatti sia-mo stati “illuminati” dalla luce che è Cristo,e siamo quindi passati dalle tenebre del pec-cato alla luce della grazia. Lo dice san Paoloquando ricorda ai cristiani di Efeso: “Se untempo eravate tenebra, ora siete luce nel Si-

DOMENICA III DEL TEMPO ORDINARIO ( A )27 gennaio 2008Il Signore è mia luce e mia salvezza

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gnore” (Ef 5,8). Perciò possiamo cantare: “IlSignore è mia luce e mia salvezza”.

Il simbolismo della luce, che abbiamo giàtrovato nella domenica precedente nonchénella liturgia natalizia e ritroveremo in quel-la pasquale, esprime, nella Bibbia, la realtàdella salvezza donata dal Signore per mezzodi Cristo. San Matteo, nel brano evangelicod’oggi, racconta gli inizi del ministero pub-blico di Gesù che comincia dalla Galilea,dopo l’arresto di Giovanni. Gesù sceglie co-me punto di partenza della sua predicazioneuna regione religiosamente sottosviluppata,dove la religione d’Israele era a stretto con-tatto col paganesimo. Nel secolo VIII a. C.gli abitanti di Galilea erano stati deportati inesilio, “immersi nelle tenebre della schia-vitù”. Ricordiamo che uno degli argomentiche verranno portati contro la messianicitàdi Gesù è appunto questo: “Il Cristo vieneforse dalla Galilea?” (Gv 7,41). In questascelta fatta da Gesù per iniziare l’annunciodel Regno di Dio e l’invito alla conversione,il vangelista Matteo vede il compimento del-le parole del profeta Isaia, che abbiamoascoltato nella prima lettura: “...il popolo im-merso nelle tenebre ha visto una grande lu-ce; su quelli che dimoravano in terra e om-bra di morte una luce si è levata”. La Gali-lea, terra di tenebra da dove la predicazionedi Gesù inizia a irradiarsi come luce, è ilsimbolo del buio che avvolge la vita dell’uo-mo che non è stato illuminato dalla luce delVangelo di Gesù.

La lieta novella che Gesù reca all’uomo èun messaggio di liberazione morale e fisica,perché rinnova l’uomo. Gesù predica il van-gelo del Regno e guarisce ogni malattia e in-

fermità mettendo l’uomo in grado di indivi-duare e percorrere la strada che lo può rea-lizzare, che è capace di dare senso alla pro-pria vita, come i fratelli Simone e Andrea eGiacomo e Giovanni che, lasciata ogni cosa,seguono Gesù e trovano in lui il senso dellaloro esistenza. San Matteo sottolinea che iprimi discepoli sono fratelli nel sangue perindicare l’effetto della conversione che con-duce oltre, verso la fraternità in Cristo, la so-la capace di non divenire mai esclusiva, macomprensiva di ogni uomo. Convertirsi alRegno di Dio significa quindi scoprire anchei profondi rapporti che ci uniscono gli uni glialtri. Fare di Cristo il centro della vita vuoldire spezzare ogni barriera e ogni divisione.Perciò nella comunità di coloro che sono sta-ti illuminati dal Vangelo di Gesù non hannosenso le discordie, le divisioni. È quanto ri-corda san Paolo nella seconda lettura quan-do esorta i fratelli della comunità di Corintoa essere “in perfetta unione di pensiero ed’intenti”. Se Cristo non può essere diviso,nemmeno la comunità di Cristo, che è vero“corpo di Cristo”, può essere divisa. Le divi-sioni nella Chiesa sono lacerazioni di Cristo.

Riassumendo, possiamo affermare chenegli inizi della sua predicazione Gesù an-nuncia la liberazione dall’oppressione in cuisi trovano gli uomini che vivono nelle tene-bre e nella schiavitù del peccato, perché es-si, “illuminati” dalla luce che è Cristo, pos-sano ritrovare il senso della loro esistenzanella comunione e solidarietà reciproca.Questo messaggio trova una sua realizzazio-ne vera e paradigmatica nella partecipazioneall’eucaristia, in cui per opera dello Spirito“diventiamo in Cristo un solo corpo e un solospirito” (preghiera eucaristica III).

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 6-2007

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Adorazione nasce da un atteggiamento d’attesa, quell’atteggiamento cheinvase il cuore di Maria all’annuncio dell’angelo; quell’attesa obbedienteche avvolse il cuore di Giuseppe; quell’attesa di stupore che coinvolse i pa-

stori di Betlemme nel vedere il “segno” che Dio dava di Sé all’uomo; quell’attesa didesiderio del cuore dei Magi che, mettendosi in cammino, arrivarono ad «adorare ilbambino» .

E noi che cosa ci aspettiamo oggi da questa preghiera d’adorazione? I Magi «perun’altra strada fecero ritorno», dice il Vangelo, mentre noi spesso restiamo ancoratialle nostre abitudini, cosicché anche quest’adorazione può restare un momentovuoto della nostra vita di grazia: vivere invano la presenza di Dio che si dona a noi.

L’esperienza di Dio è sempre un momento che comporta una decisione che viene acambiare i progetti della nostra vita. Lo vediamo nel Vangelo dall’esperien-za di tutti coloro che si sono fatti attenti alla Parola. Pensiamo a Giuseppe:“Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore, prese con séla sua sposa” (Mt 1,24). C’è sempre qualcosa da decidere, c’è semprequalcuno da accogliere. Ora io sono qui, Gesù, per te e sono qui per acco-gliere te: questo è l’inizio dell’adorazione. Vorrei avere gli occhi di Maria edi Giuseppe, dei pastori e dei Magi, del centurione sul Calvario, di Giovan-ni ai piedi della croce, per guardarti, Gesù, e adorarti; vorrei immedesimar-mi in loro.Senza questa immedesimazione non è possibile amare e adorare l’amoredi Dio fatto carne.Abbiamo detto dell’esperienza di Giuseppe. Come Giuseppe sta davantial mistero di Dio che si fa bambino nel seno di Maria, così è per noi, da-vanti a questa Eucaristia: Dio fatto pane per noi e donato a noi dalla Chie-sa.

Anche noi siamo messi davanti all’opera dello Spirito Santo. Ecco le parole che l’an-gelo disse a Giuseppe: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prende-re con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dalloSpirito Santo”.E quali sono le parole che la Chiesa dice per bocca del suo ministro: “Eora, Padre, manda il tuo Spirito perché i doni che ti offriamo diventino per

Adorazione eucaristicaTempo dell’attesa1

Roberta Boesso

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——————1 Da Luigi Oropallo, Ascoltate oggi la sua voce, ADP, Roma 2006, pp. 11-17.

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noi il corpo e sangue del tuo Figlio”?Il mistero della nascita del Cristo, concepito nel seno verginale diMaria, promessa sposa di Giuseppe, è ora qui davanti a noi in questa Euca-ristia.È un fatto sconvolgente: Gesù Cristo ieri, oggi e sempre, è il bambino nelgrembo della madre, è il bambino di Betlemme nato, è l’uomo delle beati-tudini, è l’uomo dell’Ultima Cena, è l’uomo del Calvario, è l’uomo dellacroce, è l’uomo della Pasqua, e questo uomo è Dio, davanti al quale nonpossiamo che inginocchiarci in adorazione.

Giuseppe, dopo l’umana perplessità di fronte alle parole dell’angelo, accoglie Mariache racchiude il mistero di Dio.Non possiamo però ignorare che il mistero annunciato dall’angelo rendeancora più drammatica la prova di Giuseppe, e quindi la sua scelta.Così è per noi: l’adorazione è accogliere il modo che Dio ha scelto, al di làdi tutte le leggi naturali e logiche, per rivelare la sua presenza. Come Giu-seppe è chiamato ad aver parte all’attesa di Maria, l’attesa inaudita del Dioche si fa bambino nel seno della donna sua promessa sposa, così è per noiche siamo qui. Siamo qui solo per “accogliere”.

Il fatto che Gesù viene nel mondo ed è qui per noi impone la scelta tra l’obbedienzae il rifiuto.Se applicassimo a Giuseppe la nostra sensibilità umana e la nostra poca fe-de, troveremmo legittimo scappare. Invece il Vangelo ci testimonia che egli“fece come gli aveva detto l’angelo”.Da dove viene a Giuseppe la forza di sciogliere il dilemma nell’obbedien-za, prendendo con sé la sua sposa? Dalla fede. Da una fede piena d’attesadel Messia.

Come per Maria, così anche per Giuseppe, il giusto, l’aver parte al popolo eletto inattesa del Messia era la ragione quotidiana, la misura adeguata del suo es-sere e agire.Il fatto del tutto imprevedibile di Dio che irrompe personalmente nella sto-ria e la modalità sconvolgente del suo nascere da donna non sorprendonoGiuseppe: la fede in Colui che «può l’impossibile», alla fine, vince.L’attesa di Maria e di Giuseppe è anche la nostra. E’ l’attesa della Chiesa.Cosa ci aspettiamo da questo tempo di adorazione? Quanto abbiamo desi-derato questo momento?

L’Eucaristia è ancora una volta l’impossibile di Dio per noi, la sua volontà di esserecon noi sempre, fino alla fine. Anzitutto ci chiediamo: siamo consapevoliche questo segno sacramentale non è qualcosa di radicalmente diverso o

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di «altro» rispetto al Bambino di Betlemme, o al Gesù di Nazaret? Credia-mo che esso costituisce una dimensione essenziale di quella partecipazio-ne alla vita divina con Cristo nella fede che caratterizza la nostra vita diuomini cristiani?

Essere qui in adorazione diventa così il modo con cui riconosciamo che questapreghiera è una condizione essenziale e oggettiva mediante la qualeci viene offerta dal Padre la possibilità di vivere in pienezza la nostraumanità, cioè ci viene data la santità.Vorrei che, per grazia, in questo momento fosse strappato dai nostri cuoriogni residuo scettico che ci porta a sentire come ovvie o addirittura stucche-voli queste parole.Il mistero dell’Incarnazione si prolunga nel tempo della nostra vita cristia-na. Una simile pienezza, cui ognuno di noi aspira, è possibile come espe-rienza quotidiana?

La realtà di tutti i giorni non contraddice quest’aspirazione come se fosse un’im-possibile pretesa? Qui si gioca ogni giorno la nostra fede personale: nelladecisione di aderire, sulle orme di Giuseppe, al Figlio di Dio, nato nella car-ne, e quindi presente nei rapporti e nelle circostanze quotidiane, oppurenella decisione di rimanere in quell’ottusità spirituale che non attende nul-la e nessuno.

Adorare è decidersi per Dio. Il cuore dell’uomo ha bisogno di cercare al di là di ogniframmentazione del sapere, del conoscere, del capire; ha bisogno di ama-re e di sapersi amato. “Giuseppe prese con sé la sua sposa…”. Il gesto diGiuseppe, che crea la santa famiglia di Nazaret, trova eco nelle parole delprofeta Geremia: “Israele starà al sicuro nella sua dimora”.

Accogliere Dio vuol dire diventare sua stabile dimora. A suo modo, quindi, la no-stra vita deve diventare una dimora, cioè un luogo in cui si intreccianorapporti liberi e operosi di uomini spalancati al tutto dell’iniziativa diColui che attendiamo come salvatore.Ecco la novità sempre attuale del mistero eucaristico, prolungamento delmistero dell’Incarnazione. Il dolce e forte potere del bambino Gesù, ilprofondo silenzio del pane consacrato…Ce lo ridice con splendide parole Agostino: “Che cos’è questa altezzadi un umile, questa forza di un debole, questa grandezza di un piccolo?Certamente operò tutte queste cose quel Verbo per mezzo del qualetutto è stato creato. Il Verbo che era lontano da noi si fece carne perabitare tra noi. Riconosciamo dunque che è entrato nel tempo Coluiper mezzo del quale sono stati creati i tempi” (Sermo, 373,5).

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E’ il Corpo di Cristo! «Corpo di Cristo. Amen». Quante volte durante ilgiorno nel mondo vengono dette queste parole e al tempo stessoviene, da parte dei fedeli, ribadita questa verità con una parola semplice,ma affermativa: Amen!

Dio, che in Gesù ha assunto pienamente la condizione umana e quindi l’esistenzacorporea senza creare distanza tra la corporeità e il mistero della personadivina di Gesù, ora è qui. Così Gesù ha fatto del suo corpo il segno visibilee totale della sua adesione al Padre: “Tu non hai voluto né sacrificio né of-ferta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti nésacrifici per i peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tuavolontà” (Eb 10, 5-7).

Il corpo del Cristo che racchiude la storia di ogni uomo, da Adamo fino all’ultimacreatura umana dell’universo. Nel tempo dell’adorazione io non sono solodavanti all’Eucaristia, ma sono davanti anche a tutta l’umanità che nel cor-po di Cristo è stata assunta. Nel mistero dell’Incarnazione Dio ha assuntosu di Sé le nostre “tuniche di pelli”, cioè tutta la nostra meravigliosa e tra-gica esistenza.

Gesù così è il centro di ogni vita. “Egli è l’immagine del Dio invisibile, il primoge-nito di tutta la creazione, perché in lui sono state create tutte le cose,quelle dei cieli e quelle che sono sulla terra, le visibili e le invisibili. Tut-te le cose sono state create per mezzo di lui e per lui. Egli è prima ditutte le cose e tutte sussistono in lui” (Col 1,15-17). Il suo corpo diven-ta lo spazio dell’intera umanità e dell’universo penetrato dalla comu-nione della Trinità.

E’ la carne dell’uomo e del “Figlio dell’uomo”. Il corpo del Cristo è l’universo in-tero. E’ l’intera umanità assunta dall’amore infinito, dall’amore che sidona e perdona. Per questo tutto si racchiude nell’Eucaristia e qui, inquesto corpo di luce e di mistero, si rivela.Questo segno rivela l’uomo al di là del suo peccato, della sua vergogna, eal tempo stesso riceve la risposta di comunione di Dio.Qui si rivela l’amore di Colui che ha amato “fino alla fine” (Gv 13,1) e dicolui che “ha molto amato”.Un amore che diventa preludio di risurrezione. La tomba del sepolcro è co-me la camera nuziale in cui si porta a compimento l’unione di Dio con l’u-manità. L’Eucaristia è l’incontro totale degli amori divino e umano che di-venta salvezza.

Adorare l’Eucaristia è scoprire quello che si è e quello che è nel nascondimento del

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non essere. E’ il passaggio da “questo” a “quello”, dall’isolamento allasolitudine, dall’ostilità all’ospitalità, dall’illusione alla preghiera, dalla mor-te alla risurrezione.Qui l’oscurità e la morte si sono trasformate in qualcosa di diverso, in po-tenza, in luce e vita eterna. In questa vulnerabilità del pane scopriamo co-me è nascosta la potenza, nonostante la debolezza; la luce nell’oscurità; larisurrezione nella morte.

Adorare l’Eucaristia è entrare dentro lo spessore del mistero e andare al di là dinoi stessi. Dal momento che non sappiamo sopportare la coincidenzadegli opposti che noi siamo, qui ci rendiamo conto che avviene qualco-sa di totalmente nuovo. A questo adorare dell’uomo corrisponde il do-narsi di Dio. In questa dinamica dell’incontro, che è l’Eucaristia, trovia-mo l’aspirazione e la fonte di ogni dono di sé.

L’Eucaristia è il superamento di ogni cosa solo sulla spinta dell’amore; è il supera-mento di ogni paura che c’induce a tornare indietro. Senza l’Eucaristia tut-to si ridurrebbe a una banale sopravvivenza nel quotidiano, non ci sarebbeatto o gesto che diventerebbe amore. Allora saremmo tentati di cataloga-re come piacere, oppure come dolore, le nostre esperienze e di fare tuttociò che possiamo per prolungare la durata della nostra vita e trarne il mas-simo per vivere.

Nell’Eucaristia sono intrecciate la vita e la morte. In essa paura e amore, gioia e do-lore, lacrime e sorrisi possono coesistere. La vita e la morte si baciano inogni momento della nostra esistenza. L’Eucaristia è la celebrazione di que-sto “bacio”. Se morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello e ilSignore della vita ha vinto, allora adorare è partecipare a questa vittoria, èvivere la certezza dell’amore che vince, è vivere il sì del Signore risorto, èessere il segno della sua Pasqua.

Adorare è risorgere, pur portando sul nostro corpo tutti i segni della nostra “pas-sione”.

Amen.

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el cuore delle festività natali-zie, proprio a metà tra la cele-brazione del Natale e quella

dell’Epifania, si colloca la ricorrenzamariana forse più importante di tutte:la Chiesa celebra la divina maternità diMaria. Se infatti il “tempo mariano”per eccellenza, per le sue caratteristi-che di attesa fiduciosa e di grata acco-glienza del Salvatore, è e rimane l’av-vento, il tempo di Natale è parimentipropizio per celebrare la grandezza diColei grazie alla quale il Redentore haassunto la natura umana. Maria fu“Madre di Dio”, Theotòkos: nulla dipiù grande si può dire di lei, la sua di-vina maternità è il culmine della colla-borazione umana all’opera di Dio. LaChiesa latina celebra questo mistero difede in particolare il 1 gennaio, solen-nità della “Gran Madre di Dio”1; pertanti motivi però questa ricorrenza fini-sce spesso per essere alquanto trascu-rata. Infatti i festeggiamenti notturnidel capodanno sottraggono spesso an-che ai credenti più devoti molte risorsefisiche, e tra le numerose celebrazionieucaristiche del tempo di Natale, laprima a saltare è proprio quella del pri-mo dell’anno… I più zelanti poi, quellicioè che scelgono di partecipare allamessa prefestiva del 31 dicembre, nor-malmente trovano una liturgia orienta-ta più al ringraziamento per l’anno tra-

scorso2 che al ricordo della Madre diDio. E così di questa antichissima so-lennità mariana resta ben poco.

Purtroppo anche la Liturgia delleOre (almeno nella sua versione italiana)non fa eccezione a questa negligenzanei confronti della Madre di Dio. Dinorma infatti nelle solennità – e, a direil vero, anche in numerose feste di mi-nor rilievo – alla traduzione italiana vie-ne affiancato anche il testo latino degliinni. Nella solennità della Madre di Diovengono invece riportati solamente itesti italiani, che peraltro sono quelligenericamente previsti nel tempo diNatale, fino all’Epifania. Eppure esisto-no tre pregevolissimi inni che la tradi-zione prescriveva esplicitamente perquesta circostanza. Il Liber hymnariusindica infatti per i vespri il Corde natusex Parentis, la cui composizione risalenientemeno che a Prudenzio (348-405ca.)3; per l’ufficio delle letture è previ-sto il Radix Iesse iam floruit (sec. VII-VIII); per le lodi infine il Fit porta Christipervia (sec. IX). Nessuno di questi tretesti latini è invece riportato nella ver-sione italiana della LdO. Ho sceltoquindi di presentare almeno il secondodei tre, di cui la LdO riporta una tradu-zione alquanto libera, e di commentarepoi anche l’inno O gloriosa Domina,tratto dalle lodi mattutine del comunedella B.V. Maria (nel breviario c’è sia

L’innodia della Madre di Diodon Filippo Morlacchi

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Radix Iesse floruitet virga fructum edidit;fecunda partum protulitet virgo mater permanet.

Præsepe poni pertulitqui lucis auctor exstitit;cum Patre cælos condidit,sub matre pannos induit.

Legem dedit qui sæculo,cuius decem præcepta sunt,dignando factus est homosub legis esse vinculo.

Iam lux salusque nascitur,nox diffugit, mors vincitur;venite, gentes, crédite:Deum Maria protulit.

Iesu, tibi sit gloria,qui natus es de Virgine,cum Patre et almo Spiritu,in sempiterna sæcula.

È fiorita la radice di Iessee il virgulto ha dato il suo frutto;feconda ha partorito un figliola madre, e rimane vergine.

Accettò di esser deposto in una greppiacolui che fu autore della luce;con il Padre creò i cieli,sotto la madre fu messo in fasce.

Colui che diede la legge al mondo,a cui appartengono i dieci comandamenti,si è fatto uomo, degnandosi di vivere sotto il vincolo della legge.

Nasce ormai la luce e la salvezza,la notte dilegua, la morte è sconfitta;venite, o genti, e credete:Maria ha dato alla luce Dio.

A te sia gloria, o Gesù,che sei nato dalla Vergine,col Padre e il Santo Spiritonei secoli dei secoli. Amen.

l’originale latino, sia la tradu-zione). Potrà essere l’occasione

per restituire alla giornata del primo

gennaio un più spiccato sapore maria-no, grazie a questi testi di squisita poe-sia e profonda spiritualità4.

L’inno dell’ufficio delle letture, cheviene intonato su una melodia linearee solenne in VIII modo, si apre con lacelebre immagine del tronco di Iesse(Is 11,1), reciso alla radice ma miraco-losamente fecondo di un nuovo ger-moglio. Si tratta di una metafora dichiaro profetismo messianico, chemette il rilievo l’onnipotenza divina: unalbero seccato non può – umanamen-te parlando – gettare nuovi polloni e

fiorire di nuovo, ma «nulla è impossibi-le a Dio» (Lc 1,37; cfr Ger 32,17). Allostesso modo, con la divina maternitàdi Maria Dio provvede all’umanità unSalvatore in modo assolutamentestraordinario e imprevedibile. L’innoelabora un complesso intreccio di ri-mandi scritturistici fra la citata profeziadi Isaia, che dichiara l’origine davidicadel messia (Iesse è il padre di Davide),e l’allusione alla verga di Aronne mira-

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colosamente fiorita nella tenda dellatestimonianza per indicare la predile-zione di Dio per la tribù di Levi (cfr Nm17). Emerge così, insieme alla fecon-dità miracolosa, il tema dell’elezionedivina gratuita: Maria è stata presceltada Dio nel suo liberissimo e provviden-ziale disegno di salvezza; la sua fecon-dità è puro dono del cielo, e la suagrandezza consiste nell’aver accettatoquesto dono con tutto il cuore. Il testosviluppa anche un intraducibile giocodi parole allitterativo tra il bastone (vir-ga) di Aronne che fiorisce miracolosa-mente e la madre che dà alla luce unfiglio rimanendo vergine (virgo). Èchiara anche l’attestazione di fede del-la perpetua verginità di Maria (virgopermanet): la lex orandi mostra così diessere matrice della lex credendi dellaChiesa e insieme la sua più nobileespressione.

La logica del paradosso che carat-terizza i misteri centrali del cristiane-simo fa capolino nella seconda stro-fa, laddove il Verbo eterno, «permezzo del quale e in vista del qualetutte le cose sono state create» (cfrCol 1,16), accetta di essere deposto,nel silenzio delle tenebre notturne(cfr Sap 18,14) in un’oscura grotta:Lui, l’«autore della luce» (auctorlucis), anzi Colui che è in persona «laluce del mondo» (Gv 8,12) accettal’umiltà del presepe. E subito l’innoincalza: Egli con il Padre creò i cieli,sottomettendosi alla Madre fu avvol-to in fasce e rivestito di cenci. L’anti-tesi poetica è accentuata nell’origina-

le latino dalla contrapposizio-ne tra «cum Padre» e «submatre»: egli crea «con Dio Padre»,cioè al suo stesso livello, perché gli èperfettamente consostanziale; ma fa-cendosi uomo – e anzi bambino – sisottomette alla Madre, che è pursempre una creatura umana, certa-mente immacolata e privilegiata, manondimeno fatta di “carne e san-gue”. La scelta kenotica del Figlio (cfrFil 2), il suo abbassamento volonta-rio, l’accettazione senza ripugnanzadella condizione umana in tutto,«escluso il peccato» (Eb 4,15), nonfinisce di sorprendere il credente che,magnificando la grandezza della Ma-dre, adora con stupore e gratitudineancora maggiore l’umiltà del Figlio.

La strofa successiva presenta Cristocome l’autore della Legge divina, Coluiche “ha dato la legge al mondo”, Co-lui al quale “appartengono i dieci co-mandamenti”5. Il Padre e il Figlio sonouna cosa sola (Gv 10,30), uniti quindinel donare la legge e nel chiedere al-l’umanità la piena obbedienza. Ma – equi la logica del paradosso riaffiora – ilFiglio, accettando di farsi uomo permostrare la sua condiscendenza(synkatàbasis), non ha disdegnato disottomettersi a quella legge di cui Eglistesso è artefice. La sottomissione diGesù alla legge è un tema ricorrentenei cosiddetti “vangeli dell’infanzia”(in particolare in Luca: cfr. Lc 2,22-24.27.39); l’inno sembra alludere inquesto caso in particolare all’osservan-za del rito della circoncisione all’ottavo

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giorno, secondo la prescrizio-ne mosaica (Lv 12,3), di cui si

fa memoria appunto il 1 gennaio. Mal’intenzione principale è quella di mo-strare ancora una volta la sottomissio-ne paradossale di Colui che, essendoper natura al di sopra della legge,spinto dalla carità volle totalmente sot-tomettersi ad essa, osservandola finoin fondo e senza sconti («observata le-ge plene…», dice il Pange lingua).

Se Gesù è luce e salvezza (cfr Sal26,1) che nasce nel mondo – prose-gue la strofa seguente – le tenebre sidileguano (cfr 1Gv 2,8) e la morte, ul-timo nemico a essere annientato (cfr1Cor 15,26) è ormai vinta. La salvezzaè donata compiutamente all’uomo nelmistero pasquale (passione, morte, ri-surrezione e dono dello Spirito), mal’incarnazione del Verbo contiene giàin nuce tutta la redenzione. Dall’ascol-to e dalla fede viene la salvezza (veni-te… credite…): ma nell’economia diquesto gratuito mistero di salvezza,una creatura ha svolto un ruolo essen-ziale. È Maria, la madre di Dio: lapida-riamente l’inno proclama «Deum Ma-ria protulit», «Maria ha dato alla luceDio». Solo secoli e secoli di catechi-smo sono riusciti a stemperare l’im-patto di questa affermazione “scan-dalosa” secondo la quale una vergineha generato Dio. Questo è lo stile di

Maria: una grandezza sublime, mapriva di ogni protagonismo, sponta-neamente incline anzi all’umile na-scondimento e alla discrezione silen-ziosa. E in effetti la figura della Vergi-ne è un costante rinvio alla persona diCristo, è – come dicevano i Padri aproposito della Chiesa, di cui Maria èimmagine – «mysterium lunae», “mi-stero lunare”, perché brilla non di lucepropria, ma del riflesso della luce diCristo. Infatti tutto l’inno, per cantarele lodi della Vergine, non ha fatto al-tro che adorare il Figlio. Più ancoradella verginità, per Maria è titolo digloria la sua maternità, perché la ma-ternità è concetto squisitamente rela-zionale (non c’è madre se non c’è fi-glio/a, e viceversa), che esprime unimmediato riferimento a Dio: al Padreche l’ha chiamata, al Figlio da lei ge-nerato nella carne, allo Spirito che sudi lei ha steso la sua ombra. La dosso-logia conclusiva ricorda ancora questolegame di Cristo con Maria, associan-do all’adorazione del Padre la venera-zione della madre.

Dopo aver commentato più diffusa-mente questo inno poco conosciuto,spendiamo qualche parola per illustra-re anche quello previsto alle lodi delcomune della B.V. Maria, certamentepiù familiare a tutti coloro che recitanoregolarmente l’ufficio divino.

O gloriosa Dominaexcelsa super sidera,qui te creavit providelactas sacrato ubere.

O gloriosa Signoraeccelsa al di sopra dei cieli,allatti al seno tuo santochi ti ha creato con sapienza.

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Ciò che Eva – infelice – ci tolsetu lo rendi col tuo sacro germoglio;benigna mostri la viaperché i miseri entrino nel cielo.

Tu sei porta del Re altissimo,e splendente ingresso di luce;o genti riscattate, acclamatela Vita a noi data attraverso la Vergine.

Al Padre sia gloria e allo Spiritoe al Figlio che è nato da te:i tre che ti hanno adornatocon una meravigliosa veste di grazia.Amen.

Quod Eva tristis abstulittu reddis almo germine;intrent ut astra flebilessternis benigna semitam.

Tu regis alti ianuaet porta lucis fulgida;vitam datam per Virginem,gentes redemptae, pláudite.

Patri sit et Paraclitotuoque Nato gloria,qui veste te mirabilicircumdedérunt gratiae. Amen.

Anche questo inno è di originepiuttosto remota (VII-VIII sec.); si indi-rizza direttamente e senza preambolialla Vergine Madre, invocata con il ti-tolo onorifico di Domina, cioè Signora,Padrona. La solennità del vocativo sug-gerisce la ieratica nobiltà delle impera-trici bizantine, come ci sono state con-segnate ad esempio dall’arte ravenna-te: e, sebbene Maria sia l’«umile servadel Signore», è però anche la Madredel Creatore e la “Signora” del mon-do. Maria è infatti «più alta dei cieli»(excelsa super siderea) e nondimeno –sempre con quel gusto del paradosso,più volte rilevato in questi testi – allat-ta al suo seno il Creatore, anzi Coluiche l’ha creata «provvidenzialmente»(provide), pensandola cioè come suaMadre fin dall’eternità. Con pochi trat-ti vengono descritte, in riferimento aMaria, sia la piena umanità di Cristo(viene allattato al seno della madre,

dunque è uomo come tutti) che la suaperfetta divinità (ha plasmato per séuna degna madre fin dall’eternità, equindi è vero Dio).

La Vergine Madre viene anche trat-teggiata, secondo la tradizione patri-stica, come la “nuova Eva”: la primadonna, infatti, consegnando ad Ada-mo il frutto proibito, sottrasse all’uo-mo la piena comunione con Dio equindi la felicità (per questo è definitatristis); Maria invece, attraverso il ger-moglio divino (almo germine) che fiorìnel suo grembo, restituì all’umanitàciò di cui il peccato lo aveva privato. Ese a causa della colpa dei progenitorifurono chiuse le porte del paradiso(cfr Gen 3,24), Maria ci mostra il cam-mino per accedere al cielo. Ella è l’O-digitria, colei che “mostra la via”6: ilsoggetto iconografico, accolto larga-mente anche nell’arte occidentale,della Vergine che tiene in braccio il Fi-

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glio e lo indica teneramentecon la destra all’osservatore,

vuol suggerire che Maria conducesempre a Gesù, il quale è “via al cie-lo” (cfr Gv 14,6: «Io sono la via, la ve-rità e la vita»). Gli uomini senza que-sta indicazione avrebbero un destinotristissimo, e sono definiti perciò flebi-les, cioè «miseri, da compiangersi (fle-re = piangere)»; ma grazie a Maria ri-

trovano la via al cielo, cioè Gesù, econ Lui la felicità perduta.

La Madre del Signore viene descrit-ta nel distico seguente come la «portadel re altissimo» (regis alti ianua). Sitratta probabilmente di un’allusione alSal 23,7ss («Alzatevi, porte antiche,ed entri il re della gloria…»); ma le«porte regali» nella tradizione d’O-riente sono anche le sacre icone, che

schiudono agli occhi del-la mente il mistero diDio7. Maria è Colei attra-verso la quale passa «laluce del mondo» (Gv8,12); è icona trasparen-te di grazia, totalmentediafana e luminosa (ful-gida porta lucis) perchépriva di qualsiasi mac-chia di peccato. È lei chedona al mondo la vita, induplice senso: dà vita aimortali, schiacciati dalpeso del peccato; ma so-prattutto dona «la Vita»,Cristo stesso, definitoappunto come «la Vitadata attraverso la Vergi-ne» (vitam datam perVirginem). La dossologiaconclusiva continua –singolarmente – a indi-rizzarsi direttamente allaMadre di Dio, sebbenelo faccia per adorare laSantissima Trinità. Si glo-rificano infatti il Padre,lo Spirito e «Colui che

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da te è nato»: del Verbo divino vienequi considerata non tanto la genera-zione eterna dal Padre quanto la ge-nerazione nel tempo grazie alla Ma-dre, «adornata di una veste di mirabi-le grazia» (cfr Is 61,10) proprio in vista

del la sua subl ime dignità diTheotòkos. Veramente, come diconole acclamazioni che possono seguire labenedizione eucaristica, deve sempreessere «benedetta la Gran Madre diDio, Maria Santissima».

——————1 A Roma l’ottava del Natale era celebrata come

memoria della divina maternità di Maria già

prima delle quattro solennità mariane introdot-

te da papa Sergio nel secolo VII (Natività, An-

nunciazione, Purificazione e Assunzione). La

festa fu istituita probabilmente per imitare il

modello orientale (la Chiesa bizantina fa abi-

tualmente seguire una festa mariana alle festi-

vità cristologiche), ma forse anche per contra-

stare i licenziosi festeggiamenti a Giano Bifron-

te caratteristici del capodanno civile, che Cesa-

re aveva trasferito al 1° gennaio con la riforma

del calendario nel 46 a.C. Nel tardo medioevo

le si sovrappose il ricordo della “circoncisione

del Signore”, poi accolto nel messale di s. Pio

V, nonostante il sapore spiccatamente mariano

dei formulari liturgici. Nel 1914 la festa della

maternità di Maria fu trasferita all’11 ottobre.

La riforma del Vaticano II ha ristabilito l’uso ro-

mano più antico.2 Sul tradizionale canto del Te Deum vedi l’arti-

colo di «Culmine e fonte» 2006/6, pp. 71-75.3 Originario della Spagna, Prudenzio occupò in-

carichi di rilievo nell’amministrazione dell’im-

pero, abbandonandoli poi in età matura per

dedicarsi ad una sequela di Cristo più radicale.

È considerato il più rappresentativo poeta cri-

stiano della latinità antica. Sulle orme di Ilario

e Ambrogio, compose principalmente inni (i

più famosi sono quelli del Peristephanon, che

celebrano i martiri spagnoli e romani), quasi

tutti molto lunghi, talora dominati da una re-

torica baroccheggiante, ma non privi di illumi-

nazioni felici e di slanci profondamente ispirati.4 Senza con questo trascurare gli altri aspetti li-

turgici e paraliturgici di questa giornata, che

contemporaneamente: 1) chiude l’ottava di

Natale; 2) commemora l’imposizione del nome

e la circoncisione del Signore; 3) è stata dichia-

rata “giornata mondiale della pace” da Paolo

VI.5 Benedetto XVI ha molto sottolineato il parago-

ne tra Mosè e Gesù nel suo volume Gesù di

Nazaret (Rizzoli 2007), mettendo in rilievo la

chiarezza con cui Cristo rivendica la pretesa di

portare a compimento la Torah, anzi di essere

Lui stesso «la Torah – la parola di Dio in perso-

na» (p. 137). Egli è il «nuovo Mosè» (p. 88)

per mezzo del quale «la grazia e la verità»

vengono donate a tutti gli uomini (cfr Gv

1,17), Colui che a pieno titolo può affermare:

«fu detto… ma io vi dico» (Mt 5 passim). 6 In greco Odighìtria, da odòs («via») + àghein

(«condurre»): dunque “colei che mostra il

cammino».7 Cfr P. FLORENSKIJ, Le porte regali. Saggio sull’ico-

na (1922), Adelphi, Milano 1977.

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l primo novembre la Chiesafesteggia la solennità di tuttii santi, di quanti cioè hanno

saputo incarnare, pur tra le difficoltàdella vita e i limiti della natura uma-na, il messaggio evangelico dellebeatitudini, testimoniando tutta labellezza e la gioia di una esistenzavissuta con Cristo, per Cristo e inCristo.

I santi ci insegnano con le loroopere, con la loro vita, con il lorocammino di conversione, con la pe-culiarità della loro vocazione cheognuno di noi ha un volto, un no-me, una dignità, un destino, una li-bertà, un futuro di eternità.

Ogni essere umano, opera divinadi straordinaria bellezza da ammira-re, custodire e rispettare, è unico eirripetibile, capolavoro prezioso agliocchi di Dio, come unica e irripetibi-le è la vita che gli è stata consegna-ta, che racchiude in sé un progettonon di grandezza umana, ma digrandezza spirituale.

I santi ci rammentano che la lumi-nosità che risplende sul volto di ognipersona, anche fosse la più emargi-nata e sofferente, ha come sorgentelo spirito e la luce di Dio dal quale noizampilliamo e traiamo vita per la no-stra coscienza, la nostra intelligenza,

la nostra capacità di amare e di sce-gliere liberamente. La Chiesa ci invitacon questa solennità a riflettere, sul-

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Beati i puri di cuoreperché vedranno Dio

Roberta Boesso

Sinassi dei santi, tempera su tavola, Galleria Tret’jakov, XVIII sec.

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l’esempio di questi nostri fratelli, sulsenso della nostra vita e del nostrocamminare in questa valle di lacrime,costellata però da luci e doni di grazieche il Signore, nella sua infinita mise-ricordia, elargisce con sovrabbondan-za per ricordarci che non siamo, comela mentalità consumistica e materiali-stica vuol far credere, numeri da di-sporre o azzerare, che non siamo bi-pedi da ingrassare o un groviglio diimpulsi da soddisfare, che non siamoanimali più perfezionati e sofisticati.L’uomo è l’espressione più alta e piùnobile del creato, nel quale Dio si ècompiaciuto a tal punto da riporre inlui la sua immagine e somiglianza,col sigillo del fuoco del suo spiritod’amore redentivo.

L’icona “Sinassi dei santi”col suo complesso schemacompositivo e iconografico ci viene inaiuto per meglio comprendere il mi-stero della santità nel piano salvificodi Dio. Risalente al XVIII secolo, ha lesue fonti in tipologie già presenti nel-l’arte russa, includendo però il temadell’ “Incoronazione della Madre diDio”, iconograficamente formatosinell’arte europea occidentale.

Sull’asse centrale dell’icona sonodisposte le centine tematiche in formadi medaglioni. Partendo dal basso il“Grembo di Abramo”: seduti sul tro-no, Abramo, Isacco e Giacobbe sor-reggono dinanzi a sé in un tenero ab-braccio dei bambini rivestiti di tunichebianche, immagine delle anime pureche hanno trovato pace nel Paradiso.

Simbolicamenteraffigurano la ge-nealogia terrenadel Cristo, detto“figl io di Abra-mo” (Lc 19,9):nella promessa diDio fatta al pa-triarca, ”Sarannobenedette per latua discendenzatutte le nazionidella terra, perchétu hai obbedito al-la mia voce” (Gn22,18), i l f igl iosuo Isacco prefi-gura il sacrificiodel figlio di Dio.

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Grembo di Abramo e la Sofia Sapienza Divina, part.

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Nel medaglione superiore,su una mandor la d i luce

bianca, si staglia il trono sul quale inmaestà siede la Sofia Sapienza Divi-na in forma di un Angelo dalle ali difuoco, in vesti regali e lo scettro: ènel contempo immagine conciliaredella Chiesa creata dalla sapienza epersonificazione della verginità, ov-vero la purezza verginale dell’Imma-colata e insieme della Chiesa, dimoradi Cristo. A sinistra la Madre di Dioregge con le mani sul petto un me-daglione con l’Emmanuele rivolto almondo col gesto delle due mani be-nedicenti, chiara allusione alla profe-zia di Isaia: ”Ecco, la Vergine conce-pirà e partorirà un figlio che saràchiamato Emmanuele” (Mt 1,23).Dal lato opposto Giovanni Battistatestimonia l’adempimento della stes-sa profezia e, in virtù delle sue paro-le “questo è l’Agnello di Dio” (Gv1,29), diviene simbolo dell’imminen-te sacrificio redentivo di Cristo, pie-namente espresso nella “Crocifissio-ne” del medaglione superiore. Il bal-dacchino del cielo, con il trono pre-parato e gli angeli, è la realtà cosmi-ca che si inchina dinnanzi alla Sa-pienza.

Al di sopra della “Crocifissione”,che rispecchia un’iconografia tradi-zionale in cui accanto alla croce ap-paiono solo la Madre e GiovanniEvangelista, il soggetto della “Inco-ronazione della Vergine Maria” sistaglia in tutta la sua eleganza edequilibrio formale su un medaglione

la cui colorazione chiara simula lagloria del paradiso. Iconografica-mente deriva da una variazione dellecomposizioni recanti l’ “Assunzionedi Maria”; anticamente la Madonnaincoronata era raffigurata seduta ac-canto a Cristo. Nel XIII-XIV secoloquesto soggetto si fa più complesso:Cristo pone la corona sul capo dellaMadre. Più tarde le raffigurazioni incui l’incoronazione della vergine Ma-ria è compiuta contemporaneamenteda Dio Padre e dal Figlio alla presen-za dello Spirito Santo in forma di co-lomba. In Russia tale soggetto si dif-fuse a partire dal XVIII secolo e l’ico-na in esame ne è un interessanteesempio.

Il tema dell’incoronazione dellaMadre di Dio veniva inteso non solocome l’evento conclusivo della suavita terrena ma, in senso provviden-ziale e nel contesto del disegno divi-no sulla redenzione dell’umanità,prefigurazione dell’ incarnazione delfiglio di Dio.

Nel medaglione superiore il Salva-tore siede sulle nubi in gesto di epi-scopale benedizione, affiancato co-me in una Deesis da Maria, il Batti-sta, gli angeli e gli arcangeli.

Ai lati dei medaglioni, in atteg-giamento orante, sono raffigurati isanti disposti su otto file: eremiti,monaci e monache, uomini e donnebeati nei registri inferiori, mentre su-periormente santi vescovi, martiri,regine e re giusti. Ai lati della “Cro-cifissione” vi sono gli apostoli, ac-

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canto all’ “Incoronazione della Ver-gine Maria” i patriarchi e i profeti.In ultimo il medaglione superiore èaffiancato da angeli e arcangeli.

La struttura dell’icona, così svilup-pata in altezza, ricorda la disposizio-ne per registri dell’alta iconostasirussa antica nella quale meglio si ri-fletteva la concezione dell’ “ordinedivino” e della crescita spirituale del-la Chiesa terrena fino ai cieli, grazieall’azione di grazie operata in lei dal-

la Sapienza Divina e dalleopere dei santi.

Signore, che ci hai insegnato vi-vendo tu stesso la strada da percor-rere per essere figli di Dio, aiutacicol sostegno del tuo amore miseri-cordioso a percorrere quotidiana-mente il nostro cammino di santitàper una vita piena di verità e di amo-re, una vita feconda, creativa e tra-boccante di gioia. Amen.

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Incoronazione della Madre di Dio, part.

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La preghiera dell’abbandono

Padre mio,io mi abbandono a te:fa’ di me ciò che ti piace!Qualunque cosa tu faccia di me,ti ringrazio.

Sono pronto a tutto,accetto tutto,purché la tua volontà si compia in mee in tutte le tue creature.

Non desidero niente altro, mio Dio.Rimetto la mia animanelle tue mani,te la dono, mio Dio,con tutto l’amore del mio cuore,perché ti amo.

Ed è per me un’esigenza d’amoreil donarmi,il rimettermi nelle tue manisenza misura,con una confidenza infinita,poiché tu sei il Padre mio.

Ho davanti l’immagine di Charlesde Foucauld e guardandola avvertouna sorta di “timore”…, quello che siprova dinanzi alla santità. Ci sono ico-ne che nella loro essenzialità esprimo-no pace e silenzio; due parole spesso

assenti nei nostri vocabolari quotidiani.Non posso iniziare a raccontare

quanto ho letto se non partendo daquesta bella “preghiera di abbando-no”, composta da fr. Charles. Merite-rebbe un’esegesi! Inizia e si chiude conuna consegna: Padre mio! Leggiamolaadagio e impariamola a memoria cosìda ripeterla quando siamo assaliti daldubbio, dall’egoismo che rende orfani.Leggendo alcune biografie di De Fou-cauld rimango sorpresa dalla sua vitaavventurosa e stravagante; eppure Dioentra profondamente nella vita di que-sto uomo che nasce a Strasburgo inFrancia, il 15 settembre 1858. Rimastoorfano all’età di 6 anni, vive dal nonnocon sua sorella Maria e come lui se-guirà la carriera militare; gli studi se-condari li compie a Nancy e poi a Pari-gi dai Gesuiti dove ottiene il diplomadi maturità. Nel 1876 s’iscrive all’EcòleSpeciale Militare de Saint Cyr senzaperò ottenere risultati significativi; an-zi, ritenuto pigro e indisciplinato, vienerimandato a casa, dove non perdetempo a dilapidare un’ingente ereditàricevuta alla morte del nonno. In que-sto periodo si lega anche a una ragaz-za ritenuta di dubbia reputazione, con-ducendo una vita “sregolata”. Sonotempi difficili per il giovane, che verso i16 anni afferma di non avere fede; diquel periodo dice: “Mi allontanavo da

CHARLES DE FOUCAULDsuor Clara Caforio, ef

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te, Signore, la fede era scomparsa dal-la mia vita”.

Nel 1880 il suo reggimento vieneinviato in Algeria, Carlo si unisce aicommilitoni portandosi dietro anche laragazza, facendola passare per suamoglie; ma viene scoperto e invitato arimpatriarla; si rifiuta di obbedire, pre-ferendo essere sospeso temporanea-mente dall’esercito e ritornare in Fran-cia. Nel 1881, venuto a sapere del pe-ricolo che in Africa corre il suo eserci-to, abbandona la donna e chiede diraggiungere i compa-gni. Per alcuni mesiCarlo dimostra impe-gno e dedizione, ot-tenendo apprezza-menti dai suoi amici ecapi, ma dura pocoperché nel 1882 ab-bandona tutto stabi-lendosi ad Algeri, do-ve prepara con entu-siasmo un viaggio diesplorazione in Ma-rocco, imparando l’a-rabo e l’ebraico. Daquesti brevi tratti pos-siamo scorgere i li-neamenti precisi diuna personalità fortee intraprendente chelo fa essere audace fi-no a rischiare la vita,come quella volta chetravestito da rabbino,perché colpito dalmodo di pregare dei

musulmani, percorre in modoclandestino il paese. Da uomovolitivo e passionale qual era s’inna-mora ancora di una ragazza, che deveperò lasciare per l’ostilità della fami-glia. Il 1885 è un’altra data importan-te, è l’anno in cui gli viene consegnatauna medaglia d’oro dalla Società fran-cese di Geografia per il suo contributoscritto sul viaggio di esplorazione inMarocco. Viaggi che continua l’annosuccessivo nelle oasi dell’Algeria delsud e della Tunisia. Senza dubbio que-

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sti continui spostamenti in re-gioni desertiche come quelle

africane hanno facilitato a lavorarlo in-teriormente: la conoscenza dei popoli,gli usi differenti, la lingua e soprattuttola povertà… Chissà quale fessura han-no aperto in lui: una salutare ferita dacui non guarirà più! Difatti, rientratoin Francia nel 1886, inizia a vivere inmodo sobrio e austero. Questa volta isuoi percorsi sono meno visibili, legeografie che intraprende sono quelledel cuore. Charles comincia a interro-garsi, fa silenzio… entra nelle chiese eimplora: “Mio Dio, se esisti, fa’ che ticonosca”. Da vero esploratore, allora,si mette a cercare, ed è verso la fine diottobre del 1886 che entra nella chie-sa di Sant’Agostino, a Parigi per chie-dere a p. Huvelin delle lezioni di reli-gione. Bella coincidenza! Agostino elui: due cercatori dell’Assoluto chehanno calpestato le vie più tortuoseprima d’individuare la Via giusta. Cosìè per chiunque cerca Dio, magari an-naspando, cadendo e rialzandosi; la vi-ta cristiana è una strada in salita, pienadi sorprese, dove nulla è scontato poi-ché il Signore è sempre oltre, oltreogni recinto e ogni orizzonte.

Nel periodo tra il 1887-1888 vive inprovincia con la sorella; qui pensa giàalla vita religiosa, recandosi per questoin pellegrinaggio in Terra Santa. Lasemplicità di Nazareth lo segnaprofondamente, al punto che, rientra-to in Francia, lascia tutti i suoi beni allasorella, mettendosi alla ricerca di unordine religioso che possa accoglierlo;

un ordine religioso però che gli richia-mi la povertà della vita nascosta e umi-le di Gesù di Nazareth. Trova una pri-ma risposta entrando nella Trappa diNotre Dame des Neiges in Francia, poiancora in una Trappa molto più poverain Siria, ad Akbes. In questo periodoredige un primo progetto di congrega-zione religiosa, chiedendo di essere di-spensato dai voti. Nell’ottobre del1886 l’abate generale dei Trappisti lolascia libero di seguire la sua vocazio-ne. De Foucauld ha altre spinte interio-ri da seguire… Lo Spirito di Dio soffianei modi più inimmaginabili poggian-dosi sulle creature in maniera creativae unica per ciascuna. Il giovane è persua natura un esploratore e cerca fin-ché non trova; egli si reca nuovamentea Nazareth lavorando come domesticodalle monache clarisse: “Ho ottenuto ilpermesso di recarmi da solo a Naza-reth e di viverci nascosto con il mio la-voro quotidiano. Solitudine, preghiera,adorazione, meditazione del Vangelo,umile lavoro”. Vi rimane per quattroanni, poi le monache e P. Huvelin loconvincono a diventare sacerdote. Tor-nato in Francia viene ordinato prete. Inuna lettera scrive: “Con il solo fattoche celebrerò la Messa renderò a Diouna gioia immensa e agli uomini il be-ne più grande”. Ma l’Africa lo ha dav-vero sedotto ed è per questo che nel1901 ritorna ad Algeri andando a vive-re a Beni-Abbes, dove costruisce uneremo per fondare una fraternità dimonaci e contemporaneamente lavoraper sensibilizzare amici e autorità sul

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terribile dramma della schiavitù. Nelsuo epistolario del 1904 scrive: “Con-tinuare nel Sahara la vita nascosta diGesù a Nazareth, non per predicare,ma per vivere nella solitudine la po-vertà e l’umile lavoro di Gesù”. Ci sidomanda: può una persona dal tem-peramento avventuroso, a volte eccen-trico, lasciarsi trasformare in una crea-tura nuova? Sì, l’Onnipresente operasconvolgimenti nella vita degli uominie delle donne… Mi sembra di cogliereche il Signore agisce con la stessa in-tensità in ciascuno di noi; e allora? Al-lora ci lascia liberi di scegliere la me-diocrità o la santità… Il dilemma è chemolte volte si preferisce la tiepidezzaper paura, per disamore. Fratel Carloha fatto spazio poco alla volta all’A-more e la Passione vera ha trionfato…Con la semplicità che diventa suo di-stintivo diffonde il Vangelo a Taman-rasset fra i Tuareg, uomini e donne deldeserto; si sente molto vicino a loro,impara la lingua iniziando uno straor-dinario lavoro linguistico e scrivendoun dizionario francese-tuareg e vice-versa. Abitando fra queste popolazionine assume usi e costumi con rispetto“Sto preparando una piccola dimorafra i Tuareg. Questo non è un inizio difraternità come a Béni-Abbès, ma unacapanna senza terra da coltivare, dovepotrò vivere pregando, costruendocorde e scodelle in legno per gran par-te dell’anno, senza dipendere dalla ter-ra”. Il deserto lo attrae, diventa parteintegrante della sua spiritualità: “Biso-gna attraversare il deserto e restarvi un

certo tempo per ricevere lagrazia di Dio: è là che ci sisvuota, che ci si allontana da tutto ciòche non è Dio, che si svuota completa-mente la propria anima per lasciaretutto lo spazio solo a Dio... Gli ebreihanno attraversato il deserto, Mosè viha vissuto prima di ricevere la sua mis-sione. È indispensabile... È un tempodi grazia... È un periodo attraverso ilquale ogni anima che vuole portarefrutto deve necessariamente passare...All’anima serve questo silenzio, questoraccoglimento, questo oblio di tutto ilcreato; così Dio stabilisce il suo regnoe forma lo spirito interiore, la vita inti-ma, la conversione dell’anima nella fe-de, nella speranza e nella carità… Piùtardi l’anima produrrà dei frutti, esat-tamente nella misura in cui l’uomo in-teriore si sarà formato”.

Vangelo e silenzio in lui camminanoinsieme e, oltre alla Parola di Gesù, unaltro punto forte è senza dubbio il pri-mato che dà alla Santissima Eucaristia.A Beni-Abbès, Charles aveva stabilitoun regolamento di vita in cui la pre-ghiera occupava il primo posto: SantaMessa e azione di grazie, Breviario, ViaCrucis, Rosario... Ma l’adorazione dellaSantissima Eucaristia prevale netta-mente: vi consacra tre ore e mezzo algiorno, ripartite in tre pause di silen-zio. Nel suo diario, si legge: «Maggio1903 – Sono trent’anni oggi che hofatto la prima Comunione, che ho ri-cevuto il Buon Dio per la prima volta...Ed ecco che tengo Gesù fra le mie mi-serabili mani! Lui, mettersi nelle mie

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mani! Ed ecco che, giorno enotte, godo del santo taberna-

colo, Gesù è per così dire un mio benepersonale! Ecco che ogni mattina con-sacro la Santa Eucaristia, che ogni serado con essa la benedizione!». Tutta lasua vita si può riassumere nella convin-zione che il Cristo Eucaristico è il Cri-sto dei poveri, per questo pone al cen-tro l’adorazione del Santissimo Sacra-mento.

Com’è tipico per ogni percorso disantità, non gli mancarono prove fisi-che e spirituali. Nell’inverno 1907-1908 arriva per lui l’ora della purifica-zione; una notte oscura in cui sembraprevalgano le ombre. La stanchezza ela solitudine minacciano la sua esisten-za, appesantita dalla miseria, dalla sic-cità, dalle incomprensioni… Si ammalaa causa delle estenuanti privazioni.Tutto è apparentemente buio… maDio non lo abbandona: sono i Tuareg,fratelli musulmani, a prendersi cura lui.L’Amore donato viene prima o poi re-stituito ed è così che si dilata la frater-nità. Da questa “notte” intuisce cheGesù ha sempre diretto tutto, permes-so tutto: “Pregate per me perché ioami, pregate per me perché io ami Ge-sù. Pregate perchè io ami la Sua croce,non per se stessa, ma come mezzo,come il solo cammino per glorificareGesù. Il chicco di grano non portafrutto se non muore”.

Charles De Foucauld segue Gesù,gli dona la vita con quello spirito di an-nientamento che può vivere solo chi, aimitazione, si fa servo come Colui che

si è fatto Servo. I fratelli della Congre-gazione che vuole fondare devonoguardare a Nazareth, alla Croce nuda,e lo dirà spesso negli scritti: “Cancel-larci, annullarci, ecco il mezzo più po-tente che possediamo per unirci a Ge-sù e far del bene alle anime; san Gio-vanni della Croce lo ripete ad ogni ri-ga. Quando si vuol soffrire e amare, sipuò molto, si può il massimo che sipossa al mondo. Si sente che si soffre;non sempre si sente che si ama ed èuna grande sofferenza in più; ma sisa che si vorrebbe amare e voleramare significa amare.

Si trova che non si ama abbastan-za ed è verissimo: mai si amerà abba-stanza; ma il Signore, che sa con chefango ci ha impastati e che ci amapiù di quanto una madre possa ama-re il suo figliuolo, ci ha detto, Lui chenon mente, che non avrebbe respintochi a Lui venisse…. Non bisogna maiesitare a domandare i posti dovemaggiori siano pericolo, sacrificio,possibilità di dedizione; lasciamo l’o-nore a chi lo vuole, ma rischio e penareclamiamoli sempre.

Come cristiani siamo tenuti a darel’esempio del sacrificio e della dedizio-ne. È un principio al quale bisogna es-sere fedeli sempre, con semplicità,senza domandarci se in una similecondotta s’insinui l’orgoglio. È il nostrodovere; quindi compiamolo e preghia-mo il nostro Diletto, lo Sposo della no-stra anima, che ci conceda di compier-lo in totale umiltà e con pienezza d’a-more per Dio e per il prossimo”.

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Animazione Liturgica

Per ben tre volte (1909-1913) si re-ca in Francia per presentare il suo pro-getto di Unione dei fratelli e delle so-relle del Sacro Cuore, un’Associazionedi laici per l’evangelizzazione dei po-poli: cristiani ferventi di ogni condizio-ne, capaci di far conoscere attraversol’esempio la religione cristiana e di farvedere il Vangelo nella loro vita. Siamointanto nel 1914 e le ripercussioni del-la I Guerra Mondiale arrivano fino aTamanrasset; fratel Charles si ritira inun fortino ma il 1 dicembre del 1916,durante una rivolta, viene fatto prigio-niero e ucciso.

La sua morte è il riassunto della suavita: muore solo e nel silenzio. Lo stes-so giorno aveva scritto a sua cugina “Il

nostro annientamento è i lmezzo più potente che abbia-mo per unirci a Gesù e per fare il benealle anime.” Il silenzio del deserto loavvolge e diventa canto… Un cantoraccolto in seguito da molte personeche vivono la sua spiritualità, comunitàdi uomini e donne che sul suo esem-pio s’ispirano all’unico modello: Gesùdi Nazareth.

Charles De Foucauld è stato beatifi-cato a Roma il 13 novembre del 2005;il 1 dicembre ne ricordiamo la memo-ria liturgica. Questo nostro fratello haamato Gesù in ogni uomo, senza di-stinzione alcuna; ha amato condivi-dendo quello che era, semplicementefratello universale.

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Bibliografia

A. Furioli, Charles de Foucauld. L’amicizia con Gesù, Milano, Ancora, 2002.

L. Rosadoni, Charles de Foucauld fratello universale, Torino, P. Gribaudi, 1991.

R. Bazin, Charles de Foucauld: esploratore del Marocco, eremita nel Sahara. Milano, Ed. Paoline 2006.

www.charlesdefoucauld.org

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LECTIO DIVINA NEI TEMPI FORTI

AVVENTOTema: Le profezie messianichemartedì 4 dicembre 2007martedì 11 dicembre 2007martedì 18 dicembre 2007

QUARESIMATema: Il libro di Tobiamartedì 12 febbraio 2008martedì 19 febbraio 2008martedì 26 febbraio 2008martedì 4 marzo 2008martedì 11 marzo 2008

guida: mons. Marco Frisina

Sede: Pontificio Seminario Romano Maggioreore 18,30 - 20,00

Ingresso libero, non occorre prenotazione.

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GIORNATA DI FORMAZIONE E FRATERNITÀ

Sabato 24 novembre 2007Sede: Santuario di S. Maria del Divino Amore, ore 8,30-17,00Tema: Cristo, Parola fatta carne

Sabato 31 maggio 2008Sede: Auditorium, Nuovo Santuario Santa Maria del Divino Amore, ore 8,30 - 17,00Tema: “Maria e la Chiesa”

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