Il tarocco esoterico

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66 L’ atto di nascita delle speculazioni esoteriche sul Tarocco è costituito dall’VIII volume della monumentale opera Le Monde Primitif dell’il- luminista franco-svizzero Court de Gébe- lin (figura 1). Quando si parla di Taroc- co Esoterico si fa in realtà riferimento ad una congerie di concetti talmente dispa- rata, da destare il dileggio degli studiosi accademici della materia. Occorre quindi fare chiarezza sullo svolgersi degli eventi che, a partire dal 1783, hanno dato ori- gine a ciò che viene chiamato con tale nome. Court de Gébelin e il suo contemporaneo Conte de Mellet, furono i primi ad attri- buire al Tarocco un’origine sapienziale, ma nel fare ciò non inventarono nulla: com’è ormai dimostrato dagli studi stori- ci, essi invece attinsero ad una tradizione preesistente, diffusa nelle Logge Masso- niche settecentesche (1). Tuttavia il Con- te de Mellet e Court de Gébelin non fe- cero alcun riferimento a tale tradizione, ma al contrario attribuirono a se stessi la paternità della scoperta. I due Auto- ri settecenteschi dichiararono che il Ta- rocco non era un semplice gioco di carte come fin allora si era creduto, bensì ciò che sopravviveva della sapienza degli an- tichi Egizi, espresso in forma simbolica. (figura 2). Leggendo tuttavia i loro saggi sull’argomento, si nota che le loro idee al riguardo sono piuttosto confuse e me- scolano più o meno inconsapevolmente l’antico Egitto all’India: come fa ad esem- pio il de Gébelin quando attribuisce l’in- venzione del Tarocco agli Zingari, ch’egli credeva di origine egizia, mentre è ormai Figura 1 (nella pagina precedente): Ritratto di Antoine Court de Gébelin, incisione, 1784 Figura 2 (in basso): “Secret”, allegoria del mondo egizio e dei suoi segreti, acquaforte, anonimo, sec. XVIII Il Tarocco esoterico Storia e Dottrina ANDREA V ITALI SE10_66-77 Vitali.indd 66-67 13/10/2010 15.24.03

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L’atto di nascita delle speculazioni esoteriche sul Tarocco è costituito dall’VIII volume della monumentale opera Le Monde Primitif dell’il-

luminista franco-svizzero Court de Gébe-lin (figura 1).  Quando si parla di Taroc-co Esoterico si fa in realtà riferimento ad una congerie di concetti talmente dispa-rata, da destare il dileggio degli studiosi accademici della materia. Occorre quindi fare chiarezza sullo svolgersi degli eventi che, a partire dal 1783, hanno dato ori-gine a ciò che viene chiamato con tale nome.Court de Gébelin e il suo contemporaneo Conte de Mellet, furono i primi ad attri-buire al Tarocco un’origine sapienziale, ma nel fare ciò non inventarono nulla: com’è ormai dimostrato dagli studi stori-ci, essi invece attinsero ad una tradizione preesistente, diffusa nelle Logge Masso-niche settecentesche (1). Tuttavia il Con-te de Mellet e Court de Gébelin non fe-cero alcun riferimento a tale tradizione, ma al contrario attribuirono a se stessi la paternità della scoperta. I due Auto-ri settecenteschi dichiararono che il Ta-rocco non era un semplice gioco di carte come fin allora si era creduto, bensì ciò che sopravviveva della sapienza degli an-tichi Egizi, espresso in forma simbolica. (figura 2). Leggendo tuttavia i loro saggi sull’argomento, si nota che le loro idee al riguardo sono piuttosto confuse e me-scolano più o meno inconsapevolmente l’antico Egitto all’India: come fa ad esem-pio il de Gébelin quando attribuisce l’in-venzione del Tarocco agli Zingari, ch’egli credeva di origine egizia, mentre è ormai

Figura 1 (nella pagina precedente):Ritratto di Antoine Court de Gébelin,incisione, 1784

Figura 2 (in basso):“Secret”, allegoria del mondo egizio e dei suoi

segreti, acquaforte, anonimo, sec. XVIII

Il Tarocco esoterico

Storia e Dottrina

AndreA VitAli

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dimostrato che pro-vengono dall’India (2).Dopo la proclama-zione dell’origine sa-pienziale ed egizia del Tarocco, gli studi al riguardo si sussegui-rono ma, difettando ancora una precisa conoscenza dei ter-mini storici della que-stione, la confusione aumentò anziché ca-lare. Dopo de Mellet e de Gébelin infatti assistiamo alla fiori-tura della scuola di Etteilla (1738-1791), cartomante e studio-so del Tarocco (figu-ra 3), che ne ribadi-sce l’origine egizia ma con un’ulteriore pre-cisazione: i tarocchi deriverebbero dalla tradizione ermetica fiorita in Egitto e il testo di riferimento per l’interpretazione esoterica delle carte sarebbe il Pimandro, attribuito al semimiti-co Ermete Trismegisto. Quest’opera, che gli studi moderni collocano nella tarda età alessandrina, era allora ritenuta di antichità incommensura-bile. Etteilla riteneva, come anche il de Gébelin, che i cartai medievali avessero completamente alterato per ignoranza le Lame del Tarocco, e si autogratificò del compito di riportarle alla loro supposta forma originaria. Per fare ciò, cambiò l’iconografia e l’attribuzione numerica delle car-te, in tal modo creando un mazzo di Tarocchi fortemente diverso dal modello fondamentale detto “di Marsiglia” (3). Dopo Court de Gébelin

ed Etteilla, ecco apparire nel firmamento dei ta-rocchi l’astro di Eliphas Lèvi (1810 -1875). Già il conte de Mellet aveva fatto riferimento alle sup-poste relazioni fra lettere ebraiche e Arcani Mag-giori, seppure evitando ogni approfondimento; su questa via s’incamminò invece risolutamen-te il francese Eliphas Lévi, il grande fondatore dell’esoterismo ottocentesco (figura 4). Lèvi spostò l’origine delle carte dall’Egitto ad Israele, asserendo che la dottrina sapienziale del Tarocco era interamente cabalistica (4). Dall’epoca di Eli-phas Lévi in avanti, gli studi esoterici sul Tarocco si sono appuntati sull’utilizzo della Cabala al fine di interpretare le Lame, ma occorre precisare che gli studiosi accademici come Gershom Scholem

non hanno mai ammesso alcuna relazio-ne fra tarocchi e Cabala ebraica (5).Preso atto delle scoperte dello Scholem e di altri studiosi, oggi si afferma quindi che in realtà il Tarocco deve essere ricol-legato non alla Cabala ebraica ma alla co-siddetta “Cabala ermetica”: quest’espres-sione designa il frutto della fusione tra l’esoterismo occidentale nel Rinascimen-to, e le correnti della mistica ebraica che iniziavano allora ad essere conosciute dagli studiosi cristiani. Come si esprime Robert Wang: “Quel sistema, sviluppato in Europa dall’epoca del Rinascimento, è una Cabala occidentalizzata. Sorse dagli improbabili tentativi dei filosofi del 15° secolo di incorporare l’essenza del mi-sticismo ebraico nel pensiero cristiano. La storia della modificazione di queste idee dai filosofi del 16°, 17° e 18° secolo è particolarmente interessante. Ma sono gli sviluppi del 19° secolo ad essere par-ticolarmente importanti per noi. Durante quel periodo la Cabala Ermetica, ampia-mente de-cristianizzata, raggiunse la sua più piena espressione con l’Ordine Erme-tico dell’Alba Dorata, Hermetic Order of the Golden Dawn” (6).Dunque l’odierno esoterismo del Tarocco deriva essenzialmente dagli sviluppi otto-centeschi della mistica ebraica, non nella sua valenza originaria quanto nella for-ma spuria che aveva assunto a partire dal Rinascimento, grazie all’opera di studiosi cristiani occidentali. Rimandiamo chi vo-lesse approfondire le connessioni tra Ca-bala Ermetica e Tarocco all’ottimo testo The Qabalistic Tarot di Robert Wang (è richiesta la padronanza dell’inglese, non essendo mai stato tradotto in italiano), oppure all’opera del prof. Enrico Gonza-

Figura 3 (in basso):“Maniére de se recréer avec le jeu de cartes nommées tarots” di Etteilla, Amsterdam, 1783

Figura 4 (in basso): Il Carro, da Dogme et Rituel de la Haute Magie di

Eliphas Levi, Tomo II, Parigi, 1856

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più importanti Sephiroth.Il problema si aggrava considerando che molti esoteristi e altrettanti studiosi accademici addi-rittura ritengono che gli arcani minori non fa-cessero neppure parte del Tarocco originario, ma che siano semplicemente stati aggiunti agli Arca-ni Maggiori in epoca successiva. Come si spiega quindi che la vera simbologia esoterica del Ta-rocco sia attribuita ai semplici Sentieri dell’al-bero della vita, mentre le fondamentali Sephi-roth - senza le quali non può neppure parlarsi di Cabala - vengono assegnate agli arcani minori, che molti esoteristi semplicemente estromettono dal mazzo ritenendo che in realtà non ne faccia-no parte?Il problema è imbarazzante e se l’è posto anche Robert Wang nella sua opera già citata. Ecco la risposta che ne dà: “Nella misura in cui le Carte di Corte e quelle numerali delle Sephiroth sono chiamate Arcani Minori, possono sembrare di minor importanza rispetto agli Arcani Maggiori o Trionfi. Essi hanno tuttavia il più grande si-gnificato, poiché simbolizzano le reali potenzia-lità in noi stessi e nell’universo, con cui ci sfor-ziamo di entrare in contatto consapevole. Se i semi (Sephiroth) sembrano subordinati ai trionfi (Sentieri) è per due ragioni. Primo, il Tarocco è uno strumento d’insegnamento inteso ad age-volare il viaggio soggettivo della coscienza da un centro obiettivo di energia ad un altro. Può essere il carro che ci porta giù per la strada da una città interiore alla prossima. Così i Sentie-ri, benché in definitiva meno importanti delle Sephiroth, sono il nucleo principale del mazzo di tarocchi. Secondariamente, poiché le carte sono usate per la divinazione, descrivono forze in transizione che hanno creato eventi passati, agiscono nel presente e hanno il potenziale per creare eventi futuri. Il Tarocco è meglio usato per divinazione su questioni mondane. Non è particolarmente adatto a fornire risposte di na-tura spirituale profonda perché è radicato in Yet-

zirah, sebbene nell’interpretazione si possa rice-vere visione intuitiva da mondi superiori” (8). Chi ha letto il nostro libro La Via del Sacro. I Simboli dei tarocchi fra Oriente e Occidente, sa bene che non possiamo accettare una simile concezione. I tarocchi sono lo strumento simbo-lico più avanzato che l’esoterismo occidentale - impiegando dottrine non interamente sue - ha saputo creare. Non sono affatto un mero stru-mento di divinazione, che anzi ne costituisce l’impiego minore (9). Perciò non riteniamo fon-data la spiegazione fornita dallo studioso ameri-cano, che al contrario ci appare intrinsecamente contraddittoria e volta a giustificare quella che è palesemente un’attribuzione errata: le fonda-mentali Sephiroth ai semplici arcani minori, e i più trascurabili Sentieri dell’Albero della Vita ai fondamentali Arcani Maggiori del Tarocco. Nel-la nostra opera già citata abbiamo invece avan-zato l’ipotesi di un’origine orientale (dalla zona tibeto-himalayana del subcontinente indiano) del Tarocco, che riteniamo abbia maggiore con-sistenza logica e soprattutto sia foriera di squarci sul significato delle Lame, che ci portano ben più in profondità rispetto all’attribuzione cabalistica. Vediamola in breve sintesi, prima di passare agli elementi a suffragio della tesi.Dobbiamo anzitutto precisare che quando par-liamo di origine orientale del Tarocco ci riferia-mo alla valenza esoterica dello stesso, cioè alla dottrina che cela in sé: l’iconografia delle carte è invece inconfondibilmente occidentale e rivela aspetti precristiani cui accenneremo nel prosie-guo. La dottrina celata nel Tarocco, che Court de Gébelin riferiva all’Egitto ed Eliphas Levi alla Cabala, può essere ritrovata in due sistemi sim-bolici di origine orientale, e cioè gli Shivasutra o aforismi di Shiva di origine induista, e le Tare tibetane di origine buddista. Gli Aforismi di Shi-va sono 78, suddivisi in tre capitoli o “dischiudi-menti” il più importante dei quali si compone di

lez Il Tarocco Cabalistico, disponibile anche in italiano online (7).

Notiamo tuttavia che l’attribu-zione sic et simpliciter delle

carte del Tarocco agli schemi cabalistici cozza contro un

serio ostacolo. Il Tarocco è costituito da 78 carte, suddivise in 22 Arcani Maggiori - cuore e nu-cleo pulsante del vero Tarocco esoterico  - e 56 arcani minori. Questi ultimi sono suddivisi in 40 carte numerali e 16 carte di corte che ripor-tano figure umane. A loro volta, le 40 carte numerali sono suddivise in quat-tro semi di 10 carte ciascuno. La Cabala, tanto ebraica quan-

to cristiano-ermetica, si fonda sul simbolo

dell’Albero della Vita for-mato da 10 Sephiroth e 22

Sentieri (figura 5). Le Se-phiroth sono aspetti o ipostasi

del Divino, i Sentieri sono colle-gamenti metafisici che consentono

il passaggio dall’un aspetto del divino all’altro. Ovviamente le Sephiroth, aspetti o

manifestazioni del Divino, hanno più importan-za dei sentieri, che sono semplici trait-d’union fra di loro; è agevole ricollegare i 22 Arcani Mag-giori del Tarocco ai 22 Sentieri cabalistici, e le 10 carte numerali di ciascun seme alle 10 Sephi-roth. Ma il problema è che in tal modo gli Arcani Maggiori vengono attribuiti ai semplici sentieri, mentre gli arcani minori sono ricollegati alle ben

Figura 5 (in basso):“Canali della Suprema sapienza”, da Oedipus Aegyptiacus di Padre Athanasius Kircher, Roma, 1652

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22 aforismi; segue il secondo dischiudi-mento di 10 aforismi e il dischiudimento minore di 46. Le Tare tibetane sono in numero di 22, ognuna delle quali mo-stra caratteristiche proprie ben definite e possiede una propria preghiera, un pro-prio mantra e così via. In questi sistemi simbolici, che abbiamo dettagliatamente analizzato nell’opera “La Via del Sacro” cui facciamo riferimento, le attribuzio-ni numeriche sono corrette: infatti 22 è il numero cui si riferiscono le Tare ed il principale dischiudimento degli Shivasu-tra, e 10 è il numero cui si riferisce il se-condo e meno importante dischiudimen-to degli Shivasutra.Assegnando alla dottrina del Tarocco un’origine indo-tibetana non stiamo scartando a priori l’ipotesi di un’influen-za successiva della Cabala, come subito spiegheremo; stiamo invece evidenzian-do come in estremo Oriente si trovino sistemi simbolici che non ci obbligano, come la Cabala, a fare equilibrismi logici per effettuare una coerente comparazio-ne col Tarocco. Se quindi l’origine del Ta-rocco è da collocare nell’estremo Orien-te, attraverso quale via sarebbe giunto in Occidente? Lungo lo stesso percorso seguito da un altro gioco di chiara origi-ne esoterica, gli scacchi. Nati in India, si svilupparono successivamente in Persia e nei paesi allora sottoposti all’impero isla-mico, per giungere infine in Occidente. Dove, proprio in Italia all’incirca nello stesso periodo in cui nascevano gli scac-chi, le loro regole furono cambiate per divenire quelle che sono oggi in uso nei Paesi occidentali (nei Paesi islamici tut-tora vigono le vecchie regole, per cui ad esempio Donna e Alfiere hanno movi-

menti diversi da quelli attuali).Dobbiamo quindi supporre che una dot-trina esoterica sorta nel subcontinente indiano abbia attraversato le terre islami-che, dove ovviamente si sarebbe “colora-ta” del misticismo dei Sufi caratteristico di quelle zone e di quei tempi. Giunta infine in Occidente, sarebbe stata incorporata in un mazzo di carte dall’uso puramente lu-dico ma dalla simbologia complessa che si prestava ad un tale impiego; il processo d’incorporazione di tale dottrina sarebbe durato secoli, durante i quali la forma e l’ordine delle carte mutò continuamente fino a raggiungere il modello ideale co-stituito dal cosiddetto “Tarocco di Mar-siglia”. L’iconografia scelta per le carte era in parte precristiana, come si vede specialmente nelle Lame della “Papessa” (figura 6) e della “Forza”(figura 7): la prima utilizza la storia leggendaria della papessa Giovanna per introdurre una fi-gura ben nota agli antichi Misteri Medi-terranei, la gran sacerdotessa oppure la Sibilla; la seconda mostra una concezio-ne della forza come femminile e non ma-schile, che ci riporta alle “Signore delle Fiere” di origine anatolica o cretese.Si deve notare che l’ipotesi dell’origine orientale dei tarocchi non è recente, ed in particolare il maestro Sufi d’origine af-gana Idries Shah (1924-1996) l’afferma decisamente, spingendosi anche a preci-sare quali carte secondo lui si sarebbero maggiormente discostate dal loro origi-nario modello sufico. Idries Shah in par-ticolare riporta l’etimologia della parola Tarocco all’arabo Tariqa, che designava le confraternite Sufi e la loro via spiri-tuale (10). Per parte nostra siamo pron-tissimi ad ammettere un’influenza sufica

Figura 7 (in basso): La Forza, dai Tarocchi di Marsiglia Bernardine

Suzanne, xilografia dipinta a mascherina, Parigi, 1840

Figura 6 (in basso):La Papessa, dai Tarocchi di Marsiglia Bernardine Suzanne, xilografia dipinta a mascherina, Parigi, 1840

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nella genesi dei tarocchi occidentali, ma ritenia-mo che i Sufi non abbiano creato la dottrina del Tarocco, bensì l’abbiano mutuata dall’Oriente. È noto infatti che il misticismo Sufi attinse tanto da quanto sopravviveva della spiritualità medi-terranea di epoca ellenistica, quanto soprattutto dalle dottrine indiane sue contemporanee. È al-tresì facile supporre che nel periodo in cui la dot-trina del Tarocco subiva la sua ultima evoluzione prima d’incarnarsi nelle carte Quattrocentesche, vi sia stato un influsso cabalistico nel senso del-la Cabala Ermetica cui già abbiamo fatto cenno. Proprio in quell’epoca infatti il grande umanista italiano Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) apriva le porte dell’Occidente alle specu-lazioni cabalistiche, iniziando un filone esoteri-co destinato ad avere grande fioritura nei secoli successivi (11).L’influenza prima sufica e poi cabalistica può notarsi nei tarocchi, in relazione alle Tare e agli Shivasutra, nella strutturazione del Tarocco in forma di “scala mistica”. Come abbiamo spiega-to in La Via del Sacro, gli Shivasutra e le Tare espongono la dottrina segreta dal punto di vista del Realizzato, o dell’Illuminato, piuttosto che dell’aspirante che si appresta a percorrere il Sen-tiero; al contrario i tarocchi delineano palese-mente la via spirituale o “scala mistica” dell’uo-mo che vuole raggiungere il proprio dio interiore (12). Proprio in tale spostamento di prospettiva si può intuire l’influenza delle Tariqà islamiche (il termine significa appunto “via” o “regola di vita”) e dell’Albero della Vita cabalistico.La spiegazione esoterica è respinta dagli studiosi accademici sulla base di considerazioni storiche: oggi sappiamo che il Tarocco non è nato in Egit-to o in Palestina migliaia di anni fa, ma appare nell’Italia  rinascimentale in un periodo anterio-re al 1440. Inoltre tale Tarocco era decisamente diverso da quello odierno: benché da quell’epo-ca a causa della fragilità del supporto cartaceo pochi mazzi siano sopravvissuti, e per di più

incompleti, si nota comunque che l’iconografia era profondamente diversa da quella attuale e l’ordine degli Arcani Maggiori era molto vario e mobile. È addirittura attestato un mazzo compo-sto da sei carte di corte anziché quattro: oltre a Fante, Cavallo, Regina e Re c’erano anche una Fantesca e una Cavaliera. Il percorso che por-tò gli Arcani Maggiori, dall’iconografia e ordine numerico incerti e mutevoli del Quattrocento alla forma standard riccamente simbolica del mazzo di Marsiglia, durò fino al XVII-XVIII seco-lo, anche se pare che gli elementi fondamentali fossero già presenti ai primi del Cinquecento nel cosiddetto “Foglio Cary”. Dulcis in fundo, lo stes-so nome delle carte era diverso da quello attuale: per tutto il Quattrocento infatti si chiamarono “Trionfi” mentre il nome “Tarocco”  - sulla cui etimologia gli esoteristi hanno elaborato tante loro speculazioni: Torà, Rota etc. -  non esiste-va ancora, in quanto la sua prima apparizione data all’incirca al 1515 (13). Gli storici traggono dunque da questi dati la conclusione che l’esote-rismo del Tarocco è solo leggenda: è sempre stato semplicemente un mazzo di carte da usare per il gioco. La realtà è tuttavia diversa da quanto sembra.L’evoluzione stessa del modello, che muta per diversi secoli fino a raggiungere la sua forma definitiva col mazzo di Marsiglia tra Seicento e Settecento, porta le carte verso una sempre maggiore complessità simbolica, inconsueta per un semplice gioco di carte. Dai mazzi sostanzial-mente allegorici del Quattrocento si passa a ico-nografie dal contenuto decisamente archetipico, al punto da attirare l’attenzione dello psicanali-sta Jung e del tradizionalista René Guénon, di cui abbiamo riportato le impressioni nei nostri appositi saggi in questo stesso sito. Sembra quin-di che sia stato svolto un complesso lavoro dura-to secoli per far sì che quel che era un semplice gioco di carte ricco di allegorie tardo-medievali, potesse diventare il veicolo di una dottrina se-

greta che non doveva essere immediatamente riconoscibile. Si tratta a ben vedere dello stes-so percorso compiuto da altri Veicoli del Sacro in Occidente: le saghe del Graal nascono come racconti gallesi di cacce e guerre, finché il poeta Chrètien de Troyes introduce in essi il tema del Graal. Come ad un segnale convenuto, in tutta Europa si moltiplicano allora i racconti sul Graal, alcuni puramente narrativi e d’intrattenimento ma altri profondamente esoterici.In Italia contemporaneamente, dal tronco della poesia cortese, fioriscono i Fedeli d’Amore che sotto il velame di versi appassionati celano un ricco simbolismo, su cui si soffermarono Dante Gabriel Rossetti, Giovanni Pascoli e soprattutto Luigi Valli (14). Dalla tarda antichità si svilup-pa in tutto il Medioevo e nei secoli successivi la grande tradizione alchemica, che nel simbolismo delle operazioni sui metalli adombra un profon-do significato esoterico, lungamente studiato da C.G. Jung. A causa delle difficili condizioni spi-rituali in cui cadde l’intero Occidente per l’in-tensa repressione esercitata da un clero spesso violento e fanatico, in tutta Europa dovettero svilupparsi “Veicoli del Sacro”, cioè paradigmi artistici o letterari che consentissero di trasmet-tere significati nascosti sotto un velo simbolico poco trasparente. Questi Veicoli non nacquero subito con tale scopo, ma piuttosto i detentori del sapere esoterico delle varie epoche impiega-rono forme narrative o simboliche già esistenti, adattandole al loro scopo. Accanto a queste opere continuarono a pro-sperarne altre scritte sui medesimi temi, ma da autori che di esoterismo nulla sapevano: perciò esistono saghe cavalleresche che non hanno niente a che fare col Graal, e poesie cortesi che non celano nel loro interno alcun simbolismo esoterico.È indiscutibile che i primi mazzi di tarocchi fu-rono un semplice passatempo, tuttavia i loro simboli ricchi e profondi modellati sul gusto

quattrocentesco attirarono l’attenzione di perso-ne che stavano cercando un nuovo veicolo del Sacro, e a partire dal Cinquecento riuscirono a trasformare le carte in modo da rendere la loro iconografia sempre più rispondente all’insegna-mento che intendevano propagare. Si trattava di uno strumento davvero geniale, perché in grado di trasportare il simbolismo eso-terico in tutti gli ambienti, dai salotti aristocratici alle taverne, mediante un gioco di carte desti-nato a diffondersi ovunque; ciò che né la poesia cortese dei fedeli d’Amore né le saghe cavallere-sche del Graal, né l’alchimia erano fin allora riu-sciti a fare, poiché si rivolgevano ad ambienti più limitati. Queste “persone” che riuscirono a tra-sformare il gioco di carte in un veicolo del Sacro erano evidentemente riunite in potenti consor-terie in grado di trasmettere il sapere esoterico attraverso i secoli. L’ultimo anello conosciuto di quella catena fu Court de Gébelin che, membro delle più importanti Logge occultistiche sette-centesche, rivelò il segreto ma attribuendolo a se stesso; cosa che, come hanno dimostrato gli storici contemporanei Michael Dummett, Thier-ry Depaulis e Ronald Decker, era una semplice bugia o, più probabilmente, la copertura di un segreto iniziatico cui il de Gébelin era tenuto. Accanto a quei sapienti rimasti nascosti, ci furo-no ovviamente semplici maestri cartai che nul-la sapevano di tutto ciò, e i cui mazzi riflettono semplicemente il gusto dei giocatori dell’epoca. Perciò come esistono saghe cavalleresche che erano soltanto un passatempo da castellani, an-che tra i mazzi di tarocchi antichi ve ne sono, che nulla hanno a che fare con l’esoterismo.A questo punto potremmo chiederci: e quando sarebbe avvenuta la trasformazione del mazzo di tarocchi da semplice passatempo, a strumento e veicolo del Sacro? La risposta che ci sentiamo di dare è: quando il nome cambiò da “Trionfi” a “Tarocco”. Quest’ultima parola era priva di signi-ficato riconoscibile, già ai primi del Cinquecen-

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Note

1 - Ronald Decker, Thierry Depaulis

e Michael Dummett, A Wicked pack of cards, Duckworth 1996, pagg. 52-73.

2 - Ibidem, pag. 65.

3 - Ibidem, pagg. 85-86.

4 - Ibidem, pag. 172.

5 - Gershom Scholem, La Cabala,

Ediz. Mediterranee 1982, pag. 205.

6 - Robert Wang, The Qabalistic Tarot, Samuel Weiser Inc. 1987, pag. 3.

7 - www.simbolismoyalquimia.com/il-tarocco-dei-cabalisti.htm8 - Robert Wang, op. cit., pagg. 46 - 47.

9 - Gerardo Lonardoni, La Via del Sacro,

Ediz. Martina 2008, passim.10 - Idries Shah, The sufis, Anchor Books 1964, pag. 449.

11 - Gershom Scholem, op. cit., pag. 199.

12 - Gerardo Lonardoni, op. cit., pag. 13.

13 - Gerardo Lonardoni, op. cit., introduzione di Andrea Vitali,

pag. XV-XVII.

14 - Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore, Luni Editrice,

1994, passim. Testo disponibile online sul

sito

www.classicitaliani.it/index071.htm15 - Court de Gébelin, Il gioco del Tarocco,

Libritalia 1997, pag. 19.

16 -  Gerardo Lonardoni, op. cit., pagg. 13,

con ulteriori dettagli etimologici forniti

dalla competenza dell’orientalista prof.

Flavio Poli, che ringraziamo.

17 - www.tarothistory.com/cary.html

to quando apparve; gli Autori dell’epoca non se la sapevano spiegare e inclinava-no a considerarla un termine per definire ciò che è sciocco e spregevole. Ci furono però anche Autori che invece la ritenne-ro parola che indicava qualcosa di impor-tante e valido. Un nome di origine sconosciuta e forse di significato negativo, applicato al Tarocco, non deve affatto stupirci: gli stessi Alchi-misti dicevano infatti che la loro Materia Prima, uno dei fondamentali segreti della Grande Opera, era talmente spregevole e vile che se si fosse rivelata apertamente agli ignoranti, avrebbe suscitato la più grassa ilarità. Ciò che ha maggior valore, specialmente nei tempi oscuri dell’uma-nità, viene spesso celato sotto umili spo-glie, come il diamante ricoperto di terra per non attirare l’attenzione degli inde-gni. Questo aspetto fu ben compreso an-che da Court de Gébelin (15).La parola Tarocco ha un’evidente somi-glianza con la parola sanscrita “Tara”, che designa una divinità indo-buddista tut-tora molto venerata in Tibet (figura 8). Essa ha ventuno ipostasi (ventidue quin-di in tutto) ed il significato di Tara è “sal-vatrice, traghettatrice” ma anche “pupilla dell’occhio”. Tarocchi sembrerebbe quin-di la forma italiana per indicare “gli occhi di Tara” (16). Coloro che avevano conservato il se-greto della dottrina giunta secoli prima dall’Oriente, ne attribuirono anche il nome alle carte quando iniziarono a mo-dificarle per renderle adatte ad essere il veicolo del Sacro. È interessante rileva-re che proprio ai primi del Cinquecento esistette un mazzo, purtroppo conosciuto solo attraverso una xilografia incomple-ta denominata “foglio Cary”, che ha già

Figura 8 (in basso):Tara Bianca e Assemblea delle 21 Tare, Rilievo in pietra, sec. IX

molte caratteristiche dei mazzi di Marsi-glia dei secoli successivi. Si tratta di un foglio xilografato da cui dovevano venire in seguito ritagliate le carte, rimasto in-tonso. Il foglio riporta sei carte intere e altre quattordici parziali, le quali mostrano un’iconografia che presenta già quasi tutti gli elementi fondamentali del ben più tardo Tarocco di Marsiglia, ed è con-siderato da molti come “l’anello mancan-te” della trasformazione in quest’ultimo dei modelli quattrocenteschi (17).Si può quindi ipotizzare che contempora-neamente al mutamento del nome, ini-ziò il lungo cammino che doveva portare al mazzo standard odierno “di Marsiglia”; tale trasformazione si svolse lenta e inav-vertita finché, con l’avvento dell’Illumi-nismo e finalmente di una ritrovata li-bertà di religione e di pensiero, si ritenne giunto il momento di rivelare una parte del segreto. Solo una parte, tuttavia. Court de Gébe-lin infatti, come abbiamo rilevato nel no-stro articolo citato, fornì spiegazioni solo parziali e contraddittorie. Ci sono inoltre buoni motivi per ritene-re che le Logge all’interno delle quali era custodito il segreto del Tarocco, fossero anche in possesso di aforismi in grado di spiegarne la valenza simbolica, cui sem-bra fare riferimento il Conte de Mellet in una nota al suo saggio. Ma di ciò, e di altre eventuali conoscenze sul Tarocco, nulla è trapelato all’infuori di quanto rivelato dai due autori sette-centeschi.L’opera di svelamento dei più profondi segreti degli Arcani nelle loro valenze ar-chetipiche, ben lungi dall’essere compiu-ta, continua quindi tuttora.

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