Il taccuino di Marcia n° 1

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Il Taccuino di Marcia Anno 2013 numero 1 Branca RS Zona di Bologna Hike E Deserto

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Per i capi della branca Rover e Scolte dell'Agesci Zona di BOlogna

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Il Taccuino di Marcia Anno 2013 numero 1 

Branca RS

Zona di Bologna

Hike

E

Deserto

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Iniziamo dal regolamento…….

Art. 26 – HIKE

L’hike è un momento di avventura irrinunciabile nel percorso in Branca R/S, vissuto dai rover e dalle scolte che da soli partono per una breve route. Esso è un’occasione significativa per apprezzare il dono di un tempo per riflettere con se stessi e pregare individualmente, dominare le proprie paure, sentire il bisogno e scoprire la gioia dell’incontro con l’altro sulla strada.

Viene vissuto in uno stile di severa essenzialità, sperimentando la dimensione di povertà. L’hike è un prezioso mo-mento di vita interiore, occasione per riflettere sul proprio Punto della strada, per offrirne poi il risultato al confronto con i Capi o con la comunità. Il tipo di hike, la sua durata e la meta da raggiungere sono commisurati al percorso del ragazzo nella sua progressione personale. Particolari esigenze della comunità, delle persone o delle situazioni pos-sono consigliare che tale esperienza venga effettuata a coppie, conservandone le caratteristiche essenziali.

Art. 27 – DESERTO

Il deserto è un’esperienza individuale di preghiera ed ascesi, uno spazio di silenzio per un tempo prolungato che predispone all’ascolto e alla meditazione. L’esperienza di deserto è occasione significativa di maturazione spirituale in continuità con il cammino quotidiano di preghiera, di revisione e sintesi della propria vita. In questo senso può costituire un essenziale momento preparatorio al Punto della strada.

 

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Quindi leggendo il regolamento e il manuale della branca RS potremmo riassumere il tutto così:

Hike

Breve route

Incontro con se stessi

Incontro con Dio

Incontro con gli altri sulla strada

Essenzialità

Sperimentazione di povertà

Punto della Strada

Condivisione con capi e comunità

Avventura

Il tipo di hike,la sua durata e la meta da raggiungere sono commisurati al percorso del ragazzo nella sua progressio-ne personale.

Cosa viene dato al rover e scolta: Un percorso preciso Un equipaggiamento ridotto al minimo Soldi sufficienti per eventuali mezzi di trasporto Alcune pagine per la riflessione tratte dalla Bibbia e altri testi Indicazione su eventuali contatti da prendere L’hike è prezioso momento di incontro e di scambio, ma anche di vita interiore, occasione per riflettere sul proprio “Punto della Strada”, per offrirne poi il risultato al confronto con i Capi o con la Comunità. La missione dell’hike è la stessa(anche se su scala diversa) che Gesù ha dato ai suoi apostoli (Mc 6,7) La partenza dell’HIke avviene per tutti contemporaneamente ed è un bene se preceduta da una liturgia penitenziale o da alcune letture su: Missione Preghiera Esodo Il ritorno sarà celebrato con la Messa comunitaria dove nel corso dell’offertorio tutti offriranno a Dio il senso profon-do delle esperienze fatte. Deserto

Esperienza individuale di preghiera

Ascolto e meditazione

Momento preparatorio al PdS

Maturazione spirituale

Revisione e sintesi della propria vita La durata varia da 2-3 ore fino ad un massimo di una giornata intera.

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HIKE Dopo aver preparato con cura la struttura dell’hike cucendola sui singoli RS oppure su tutta la comunità è consigliato iniziarlo o con una cerimonia oppure con una liturgia penitenziale per significare che ci riconosciamo peccatori davanti a Dio e ai fratelli.

Vediamo nel dettaglio un esempio di cerimonia del mandato in Hike.

Liturgia della parola

Let1 Dal primo libro dei Re (19,9-13)

Allora Elia entrò nella caverna per passarvi la notte, quand’ecco il Signore gli disse: “Che fai qui, Elia?”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita”. Gli fu detto: “Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore”. Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spac-care i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuo-co. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco sentì una voce che gli diceva: “Che fai qui, Elia?”

Solo1 Il Signore è il mio pastore:

non manco di nulla;

su pascoli erbosi mi fa riposare

ad acque tranquille mi conduce.

Mi rinfranca

mi guida per il giusto cammino,

per amore del suo nome.

Se dovessi camminare in una valle oscura,

non temerei alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastro

mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa

sotto gli occhi dei miei nemici;

cospargi di olio il mio capo.

Il mio calice trabocca.

Felicità e grazia mi saranno compagne

tutti i giorni della mia vita,

e abiterò nella casa del Signore

per lunghissimi anni.

Let3 Dal vangelo di Matteo (13,44-46.51-52)

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cer-ca di perle preziose; trovata una perla di grande valo-re, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

Avete capito tutte queste cose? ”. Gli risposero: “Sì”. Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.

Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.

(Mt 6,21)

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Chiamata per nome per la

consegna dei segni  

(Capo) Un pane e una mela… il cibo essenziale per camminare leggeri, non appesantiti dalle molte preoccupazioni della vita; segno della vita dura e povera del viandante. Un pane da mangiare e da avanzare perché possa esse-re condiviso con tutti al momento dell’incon-tro.

(Capo) La cartina… indica oggi la strada per non perdersi, ma ci richiama con semplicità alla scoperta, lettura e interpretazione delle pro-poste che Dio con la sua parola fa a ciascuno di noi.

(Capo) Una pietra. Dura, fredda, pesante. Inca-pace di portare il seme germinato. Una pietra nelle mani di un uomo diventa casa, cattedra-le, ponte, luogo di incontri e passaggi. Gesù è la nostra pietra angolare.

(Capo) Dei fogli. Nel deserto ci si sente soli. Soli con sé e i propri pensieri. E allora il deserto è insuperabile. Accanto ai tuoi pensieri poni le parole di Dio. Te ne consegniamo alcune. Ti siano di conforto, consolazione, sprone, inter-rogativo...

Capi È ora il tempo di partire,

il tempo di fare silenzio attorno a noi

di pensare alla nostra realtà

al nostro modo di costruire la realtà.

È ora il tempo di partire

di tracciare la nostra personale strada

di cercare nuovi incontri.

È ora il tempo di partire

per ritrovare le forti aspirazioni

la potente passione

che un giorno ci ha spinto in avanti sulla strada.

È ora il tempo di partire

per riconoscere e confessare

la forza dei miei desideri.

È ora il tempo di partire

sapendo che si tratta di andare verso

qualcosa o Qualcuno;

 

 

Silenzio e partenza solitaria e libera

(qui i capi escono)

ATTENZIONE!!!! 

Questo è solo un’esempio di come potrebbe  

essere stru urata una cerimonia di mandato 

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Quando sono debole

è allora che sono forte:

LA FRAGILITÀ  

Fragilità: può apparire un tema per lo meno strano per una traccia di hike al CFM R/S… Magari più logico riflette-re sulla spiritualità della strada, o sul servizio, sulla comunità… temi “più nostri”… Il tema ci è stato “suggerito” dalla “realtà” di vita che stiamo vivendo.

La difficoltà economica fa vedere come nessuno è autosufficiente, capace di autosostenersi. Sembra quasi che non vi sia più “speranza”…

Siamo in una società “competitiva”. Fin dalla scuola bisogna essere il primo. Bisogna guadagnare per essere ap-prezzato; bisogna riuscire per poter sperare di ottenere un buon impiego che procurerà potere… in ogni settore si tratta di fare carriera per avere di “più”, più beni, più riconoscimenti, più influenza… e il rischio è che questo valga anche per la vita cristiana… La parola “merito” è usata anche a sproposito. La competizione non è solo negativa. Sviluppa le energie, le capacità, spinge a dare il meglio di sé… la ricerca dell’eccellenza conduce all’eccellenza… ma per uno che vince quanti perdono, si scoraggiano, non possono sviluppare le proprie capacità?...

Prova a portare la perdita di speranza e la “competizione” nella tua vita quotidiana. Che ne è dei miei insuccessi? Delle mie sconfitte e imperfezioni? Degli abbandoni subiti? Delle mie scelte fatte con coraggio, apertura e a volte interrotte?... Che sono diventati i miei successi, le mie realizzazioni?...

Prova a portare la perdita di speranza e la “competizione” nell’educare… che succede? Chi può dirsi/farsi educa-tore? Quali gli obiettivi del mio educare? A quale uomo o donna educare?

Prova a portare la perdita di speranza e la “competizione” nella vita di fede? Chi è discepolo di Gesù? Quale chie-sa? Quale Do?... e il mio peccato ripetuto?...

L’idea ti che proponiamo è quella di vedere “debolezza-fragilità-limite” come categoria dello spirituale, come “atteggiamo” con cui sostenere, da un lato, la propria provata debolezza e, dall’altro, rapportarsi alla debolezza altrui da “deboli”. Senza confondere debolezza-fragilità con umiltà o con spirito di servizio… Categorie “morali” spesso usate da chi è nella condizione di “forte”…

“Fragilità”, dunque: come definirla e percepirla? Nella parola emerge una radice di contenuto chiaro: frangere, ossia spezzare, ridurre in frammenti. Fragile è dunque ciò che può spezzarsi. In questo generalissimo livello, fra-gilità è qualcosa che di per sé non si caratterizza né come problema né come risorsa, ma, più semplicemente, come uno stato o un limite della materia e degli organismi viventi.

Molti termini circolano nell’uso corrente come sinonimi per indicare delle condizioni problematiche. Proviamo a rammentarne alcuni. In ambito economico-giuridico sovente parliamo di marginalità, di precarietà-provvisorietà o di “nuove povertà”… In ambito sanitario si sono diffusi modi di dire quali: soggetti a rischio, disagio, prevenzio-ne… In ambito culturale si impiegano termini quali crisi… In questi contesti si parla di “fragilità” come “problema”. È vissuta come un’emergenza da fronteggiare o rimuovere o una condizione limitante da cui affrancarsi o da oscurare, ma non certo da assumere e attraversare…

Vorremmo provare a guardare alla “fragilità umana” come a una risorsa, come una ragione e motore di comporta-menti. Non per anestetizzarla ma per approfittarne della sua presenza invasiva per far nascere una virtuosa ricer-ca del vero senso della vita umana. In altre parole: partire dalla personale fragilità come “punto di forza” per mo-dellare nuovi e più accettabili stili di vita, all’insegna della vera umanità e condivisione che purtroppo pare difetta-re anche nella Chiesa.

La questione non è quella del “Fragile – maneggiare con cura” (come spesso facciamo nel servizio educativo e nel servizio verso i più poveri), ma del “Fragile – maneggiare con amore”… Un conto è mettersi a curare… un altro entrare in rapporto d’amore, diventare vulnerabile, lasciare cadere le proprie maschere e barriere…

Prima di iniziare a riflettere ti invito a fermarti a pregare brevemente con queste o altre parole tue.

Ed ora alcuni esempi di tracce: 

TRACCIA 1 

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1. Una preghiera per partire Il nome di Dio è Padre:

PERCHÉ DONA LA VITA

ED È IL CREATORE,

PERCHÉ È TENEREZZA OFFERTA

A TUTTI GLI ABITANTI DELLA TERRA.

Il nome di Dio è Figlio:

PERCHÉ È L’INVIATO DEL PADRE,

IL CRISTO GESÙ, IL FRATELLO DI TUTTI GLI ABITANTI DELLA TERRA.

Il nome di Dio è Spirito Santo:

PERCHÉ È IL SOFFIO D’AMORE

DEL PADRE E DEL FIGLIO,

E DONA LA SANTITÀ DI DIO

A TUTTI GLI ABITANTI DELLA TERRA.

IL NOME DI DIO RISUONA

NELLA MIA VITA.

E IO CREDO CHE DIO È (segno della croce)

PADRE E FIGLIO E SPIRITO SANTO. AMEN.

Gesù, Signore nostro,

tu mi chiami a convertirmi al vangelo.

Sento il peso della mia fragilità,

ma tu puoi vincere

la durezza del mio cuore

col tuo sguardo di misericordia.

Fa’ vivere in me la grazia del battesimo

che mi ha trasfigurato in te.

Il mio cuore convertito

sia dono d’amore ai fratelli. Amen.

2. Quando io sono debole È quando sono debole che mi trovo ricondotto al “debito originario”, alla verità di essere creatura, verso la

“cura” che mi ha colto nel palmo della mano. La deboleza mi fa riscoprire da essere frutto di qualcuno e non certo di me stesso…

Quando sono debole, il mio sentire e il mio sapere si trovano incapaci di “costituire” l’altro (dentro una diagno-si, un calcolo di risorse, un progetto, una programmazione didattica, ... ), e vengono orientati a riconoscerlo. Ne colgono mistero e dignità. E ci cogliamo esposti e capaci d’una presenza, nuda e semplice, pur se soste-nuta da competenza (ciò che sappiamo e le nostre tecniche).

Accogliere la mia debolezza mi rende capace di nuova fraternità non più segnata da rapporti di forza o autori-tà, da tutele formali, da fatiche relazionali, da legami affettivi o di sangue… Una “fraternità nell’umano che è comune”, un comune debito – cioè – verso un dono d’origine e originario...

Pare, a volte, che si stia innescando una dinamica che rende più difficile la vita e il recupero di dignità perso-nale e di progetto soprattutto per chi è più fragile, per chi fa fatica a crescere. Servono luoghi in cui ci si pos-sa fermare un poco per incontrare persone che ascoltano, che aiutano a sciogliere i fili di tensioni e delusioni, che fanno provare intelligenze e capacità in legami, progetti e servizi costruiti insieme. Luoghi nei quali ritro-vare gusto di fare e gusto di imparare, e il senso della propria dignità personale. Luoghi nei quali fermarsi un poco, sentendosi amati e sollecitati con attenzione, per poi ripartire nella vita, nel lavoro, nelle relazioni, nel mondo. Per ripartire in un progetto di vita.

Con semplicità prova a metterti davanti a te stessa/stesso

Dove scorgo la mia fragilità

Quanto mi è “di peso” o mi blocca

Quanto la so integrare nella mia vita

Quando l’ho sentita una risorsa

Mi ritrovo ad “amarla”, “curarla” o “comba erla”? 

……… 

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3. Quale forza si può esprimere nella debolezza? La Parola di Dio da subito ha fatto i conti con la “fragilità”. Il cristianesimo è nato da un Dio che da ricco si è fatto povero, si è spogliato… ha scelto la via della debolezza per combattere il male dentro e intorno all’uomo. Ha fatto del “servizio”, del mettersi sotto la modalità pratica per cambiare le sorti dell’uomo… Lasciati avvolgere da queste parole di San Paolo…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando sono debole è allora che sono forte (2Cor 12, 10)????

Che ti dice una simile affermazione di Paolo?

 

2Cor 12,5-10

Di me stesso invece non mi vanterò fuorché delle mie debolezze. 6 Certo, se volessi vantarmi, non sarei insensato, perché direi solo la verità; ma evito di farlo, perché nessuno mi giudichi di più di quello che vede o sente da me.

7 Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. 8 A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. 9 Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. 10 Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quan-do sono debole, è allora che sono forte

4. Una proposta di fede a partire dal limite-fragilità L’annuncio cristiano? Comincia di qui: Dio ti ha messo al mondo; e non si può fare un figlio per abbando-

narlo poi sulla strada. Dio ci ha amati per primo (1Gv 4,16); non fa preferenza tra persone a modo e gente comune (Rm 2,11); è benevolo anche con gli ingrati e i malvagi (Lc 6,35); e splende come il sole, uguale sui buoni e sui cattivi (Mt 5,45).

Tutto comincia dall’amore: ma non «l’amore che noi abbiamo avuto verso Dio, ma l’amore che Dio ha avuto per noi» (1Gv 4,10).

E subito la gente per bene si incattivisce: «Non conta nulla – allora – che uno si prodighi a far bene, mentre l’altro si prostituisce con tutte le infamie?».

È l’acida obiezione che faceva anche il fratello onesto contro il padre che aveva reintegrato nei suoi diritti il figlio prodigo (Lc 15,25).

Oppure l’obiezione dei braccianti piegati in due dalla fatica, per dieci ore filate, sotto un sole orientale, quando si sono visti pagati dall’agricoltore con la stessa paga di quelli che avevano cominciato a lavorare solo nel tardo pomeriggio (Mt 20,12).

Chi obietta così, non ha capito niente di cosa significhi per Dio amare per primo. La pensano da commercianti: io do una cosa a Dio, giustizia vuole che Dio ricambi una cosa a me.

L’apporto imprevisto dell’amore di Dio fa saltare ogni bilancio scritto in termini di dare e avere. «Cristo è morto per noi quando eravamo ancora peccatori: questa è la prova che Dio ci ama. Noi eravamo nemici suoi, eppure Dio ci ha riconciliati a sé mediante la morte del Figlio suo» (Rm 5,6.10).

Tu vai benissimo...

La gente come noi l’hanno abituata a sperare di entrare in paradiso per il rotto della cuffia, se tutto va bene. E anche in paradiso, che si accontenti di un posticino in loggione, buona grazia se l’ha scampata bella.

Ma «se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi: perciò come potrebbe non darci ogni cosa insieme a lui? E chi potrà accusare quelli che Dio ha scelti?» (Rm 8,31-33). Niente e nessuno ci potrà strappare dall’amore che Dio ci ha rivelato...» (Cf. Rm 8,39).

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L’idea che proprio non si vuol mandar giù è che Dio ha scelto la gente comune, e abbia invece rifiutato quelli che non solo si vantano di essere a posto con tutti i comandamenti, ma che ne osservano anche qualcuno in più (Lc 18,9-14). Dio riesce a trarre i suoi santi perfino dalle pietre, cioè dai cuori più induriti (Mt 3,9).

A credere si comincia di qui. Come dire: tu vai benissimo per quel Dio che ti ama proprio perché tu sei tu. Mai

credere di aver perso l’occasione buona. Non solo puoi, ma devi sperare di diventare santo. Non sperarlo non è un atto di umiltà, è una colpa di sfiducia nei confronti di Dio.

Non ci ha amati per scherzo. Gesù è sceso sempre più a fondo nella nostra stessa impotenza. Per questo Gesù ha preso su di sé la nostra maledizione (Gal 3,13), bandito dalla città santa per morire tra banditi (Eb 13,12).

«Gesù divenne così più abominevole di me» (B. Pascal).

«Così profondamente in basso volle calare, che in futuro ogni caduta sarebbe stata un precipitare in lui. Ed ogni rigagnolo di amarezza e di disperazione d’ora in poi si sarebbe inabissato nella sua più pro fonda voragine» (H.U. von Balthasar). Non certo per restare nell’abisso: Gesù, accogliendo la nostra miseria, la trasforma nella sua divinità, con la forza della sua risurrezione.

Gesù raccoglie proprio quello che noi disprezziamo. Prende su di sé il peggio di noi, per trasformarlo nella sua divinità, con la forza della risurrezione. Credere è niente più di questo.

L’idea centrale è la scelta della debolezza: «Cristo perde per vincere», «uccide la morte morendo di croce», «trae la medicina da ciò che il nemico aveva adoperato per colpire». È il tema della pasqua.

L’idea «inedita» è che perfino il peccato può essere mutato in occasione di bene (=conversione). È l’idea sot-tintesa nel termine «redenzione».

Forse l’affermazione cristiana più paradossale è che il male si può redimere. Non solo il dolore. Non ci vuol molto a capire che dalla sofferenza innocente può anche venirne fuori la sublimazione… Ma avere il corag-gio di affermare che può essere riciclato anche quello stupido spreco di energie che chiamiamo peccato; e che perfino l’infame, il ladro, il corrotto, l’oppressore, possono recuperare le possibilità di vita che hanno offese; dire che «da quella caduta il Signore potrà ricavare del bene» (s. Teresa): ecco l’affermazione che lascia scandalizzati, più che stupiti.

I non credenti sono spietati contro il peccato. «Nell’insieme, scrive Sigmund Freud, assai poco di buono ho riscontrato tra gli esseri umani. In base alla mia esperienza essi sono, in maggioranza, pattume». Il di-sprezzo verso la razza umana è esso stesso uno dei peccati più diffusi nel mondo. Beninteso, il mondo è perfino divertito davanti alle solite «scappatelle»… Ma nel caso dei delinquenti e dei grossolani, si diventa non meno feroci dei farisei. L’unica soluzione contro la volgarità diventa, allora, quella di amputare i corrotti, di gettare le mele marce (o per lo meno di fargliela pagar cara).

La replica evangelica capovolge la scelta umana: invece di amputare il male, prova ad adoperarlo come occasione di bene.

A Pietro che gli suggeriva di evitarsi la fatica con il facile miracolo prepotente, così da non dover lottare con la croce, Gesù risponde con insolita veemenza: «Va’ dietroa me, satana. Sei un ostacolo per me, perché ragioni come gli uomini» (Mt 16,23). Gesù non rifiuta, ma accoglie nella sua carne il dramma che domina la storia umana. Così lo trasforma dal di dentro – lo «converte», cioè lo ricicla – senza amputazioni violente.

E ai suoi discepoli propone la soluzione della croce, che sta appunto in questo: non presumere di potersi evitare la prova e lo stesso fallimento; accettare umilmente i propri e gli altrui limiti, non per tollerarli ingoiando indifferenti i cammelli, magari dopo aver filtrato il moscerino; altro è fare d’ogni erba un fascio e darsi a vivere da dissoluti; altro è prendere atto che il peccato, una volta commesso, è lì in mezzo ai pie di, inutile fingere che non ci sia. La soluzione non può essere che partire proprio dal livello cui si è giunti, accettando di lavorare attorno alla materia corrotta per convertirla. Non abbiamo altro che la nostra

povera vita per diventare santi. Se si aspetta di averne un’altra tutta innocente, non ci si convertirà mai. Non solo questo, ma anche questo insegna Gesù – che si è abbassato lui stesso al nostro livello, per mostrare che non ci sono situazioni disperate – quando lancia il suo manifesto: «Se qualcuno vuol venire con me... prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24-25). Anche i «nemici» (e cioè i peccatori, gli infami) vanno amati al punto di accogliere solidariamente il loro peccato, per fare insieme la strada della conversione.

Dice il non cristiano: beato quello che sa realizzarsi più degli altri. Dice Gesù: beato quello che sa accettare sé e gli altri come siamo fatti. Ma non nel senso della rassegnazione…È il caso di ricordare che nessuno riesce a mettere in pratica il proprio ideale? Ma la faccenda seria non è tanto quella di misurare la distanza tra ideale e pratica. È molto più preoccupante se si sbaglia perfino a scegliersi il modello. Prendere in par-tenza lucciole per lanterne.

Sono da compiangere quelli che si prendono a modello gli eroi. Eroe è il tipo che si ripromette: «Quando non saprai cosa sia il meglio, segui sempre la parte più difficile, e non sbagli mai».

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Di questo passo non è mai finita. C’è sempre qualcosa di ancor più eroico da fare. Puoi sempre dare di più e prendere di meno. Sarai di continuo sotto la maledizione di una legge verso la quale ti troverai sempre in debito (Gal 3,10). È questa legge che Cristo ha tolto di mezzo, inchiodandola alla sua croce (Col 2,14). Il suo peso è leggero e il suo giogo è soave (Mt 11,30). «Cristo ci ha liberati per farci vivere effettivamente nella libertà» (Gal 5,1).

Il modello cristiano. Gesù propone come modello il fanciullo (Mt 18,4). Oppure propone se stesso in quanto mite e umile (Mt 11,29). Oppure propone la gente stessa che gli stava davanti, in quell’incande-scente discorso che si chiama della montagna. Beati i poveri, incomincia: quelli cioè che non hanno moti-vo di vantarsi, tra l’altro giudicati effettivamente come mediocri da tutti quelli che gli stanno sopra (e c’è sempre un povero Fantozzi più in basso di noi, sul quale ridere cattivi!). La qualità che li costituisce pove-ri è che essi subiscono, senza restituire violenza a violenza. Hanno fame di giustizia, perché capiscono come stanno male quegli altri poveretti come loro, cui nessuno bada, ma che loro trattano con misericordia.

Evidentemente, poco o tanto, sono emarginati dal giro che conta. Ma proprio questo permette ai loro occhi di vedere con distacco ciò che è giusto e ingiusto, perché non sono presi dal gioco delle ambizioni. Non si accorgono del valore della loro tenacia: soffrono e forse stentano, protestano e magari si accasciano, ma intanto ricominciano ogni giorno a tirare la carretta, sempre lì al loro posto; perché non hanno tempo per lisciarsi di continuo le ferite, e piuttosto reagiscono col coraggio dei semplici, sopportano senza mollare, lottano con l’energia stessa della vita. Le beatitudini (che qui abbiamo tradotto con un linguaggio un po’ volgarizzato) non fanno l’elogio dei rassegnati. Nella rassegnazione c’è un cedimento disfatto e stanco che non trovi in quelli che sono costretti a ricominciare sempre da capo a vivere la nuova giornata. Solo i poco intelligenti squalificano il coraggio dei resistenti come servilismo e sottomissione. Perché mai la nonviolenza, il realismo, la pazienza, dovrebbero essere scambiate per viltà? È pacifico che anche il povero rischia di continuo l’avvilimento: ma la nota dominante elogiata nelle beatitudini è la dignità di chi fa fronte alla situazione senza evasioni e senza stizze puerili, compiendo così (magari a sua insaputa) la volontà di Dio.

Il contrario del credente non è l’ateo, è quella sorta di «ricco» maledetto da Gesù (Lc 6,24). E in quel passo evangelico viene chiamato ricco quello che noi chiameremmo il materialone, un tipo che non si degna neanche di voltarsi finché non gli parlano di soldi o di godimenti. Oppure c’è il ricco (anche questo dato per perso dal vangelo) che si vanta di essere di più, più bravo, più serio, più religioso, più impegnato («Il fariseo se ne stava in piedi e pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio perché io non sono come gli altri uomini, ladri, imbroglioni, adulteri. Io sono diverso anche da quell’agente delle tasse. Io digiuno due volte alla settimana e offro al tempio la decima parte di quello che guadagno», Mt 18,11).

Chiaro che qui la ricchezza non è solo affare di economia. Tant’è vero che anche chi non ha conto in banca è comunque sotto il peso di queste sentenze. Facciamo i conti in tasca ai due tipi di ricchi cui si è appena accennato (e saranno conti in tasca nostra!). - Il ricco materialista è riconoscibile da questi fatti: non sa stupirsi, non sa ammirare, non capisce niente fuori delle cose di tutti i giorni (tipica la sua espressione: «sto al pratico, bado al sodo, il resto non mi interessa»). Sa anche essere splendido in fatto di regali e forse di solidarietà. Ma non gli parlino di interiorità, di tenerezza, di compassione, di spiritualità. È per questo che il vangelo parla di «impossibilità» che si converta. Gli manca il cuore, «perché dove sono le tue ricchezze, là c’è anche il tuo cuore» (Mt 6;21). - Ma c’è anche la ricchezza di quelli che ormai si sentono arrivati, giusti, e cioè a posto con tutte le leggi umane e divine, senza che nessuno debba insegnargli niente. In sostanza: la differenza tra il ricco e il credente è la carità. Possono anche esserci persone che capiscono poco di religione, ma hanno il cuore disponibile a fare la volontà di Dio. Per questo sono salvati in quel giudizio di Dio che il vangelo descrive con tanta emozione (Mt 25,31). Non si creda, però, che la carità sia solo nelle opere buone: in fondo, è così facile allungare il nostro sovrappiù! Per «carità» si intende l’abitudine di mettere al centro non noi stessi, ma gli altri. Il segno conclusivo, infatti, è la misericordia, la tolleranza anche dei malvagi (=perdono dei nemici), la compassione, la tenerezza, la dedizione, il distacco da sé. Si può essere ricchi, cioè condannati, e osservare, ciò nonostante, tutti i comandamenti; può essere invece che si pecchi contro i comandamenti per fragilità, e ciò nonostante si sia buoni. Dio guarda il cuore, non le opere: «infatti dall’intimo, dal cuore dell’uomo, escono fuori le cose cattive che lo fanno diventare impuro» (Mc 7,20-23). Non è ciò che è esterno all’uomo che lo fa di ventare puro o impuro (ivi). Il “ricco” è l’unico caso in cui Gesù si mostra pessimista sull’uomo… - E. Fromm ha meritato l’applauso dei suoi tanti lettori con la famosa tesi: quel che conta non è «avere» molte cose, quello che conta è «essere» una persona riuscita. Questa è soltanto una mezza verità. Lo scopo della vita non è lavorare per mettere dei beni al sole, come negarlo? Ma non è neanche darsi da fare per diventare qualcuno, con tanta cultura, tanto equilibrio, tanta virtù, tanta distinzione. Se anche fossi l’uomo più eccellente della terra, ma fossi solo in un’isola, che me ne farei di «essere» il migliore? Soffrirei come Adamo prima che gli fosse donata Eva. Credete, si vive non per avere, nemmeno per essere, ma per dare e per ricevere. Il massimo è soltanto la carità.

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Se sei arrivata/o fino qui prova a riflettere come è il tuo rapporto con te stessa/o, con l’altro e con Dio. Come lo stai co-struendo. Che cosa ti rassicura. Cosa non ti piace. Che donna/uomo di pare di stare diventando. Come sei come ca-po… Che ne pensi delle tue fragilità

5. Una preghiera per chiudere O Dio, faccio fatica ad ammetterlo,

ma spesso mi sento piccolo e fragile di fronte al mistero della vita.

Ti supplico, dunque:

se lo sconforto mi assale, non lasciare che mi disperi;

se le preoccupazioni mi pesano, non permettere che mi schiaccino;

se sono deluso e “a terra” rialzami, perché non diventi amaro e scontroso.

Quando il buio mi circonda guidami verso casa, un passo per volta.

Quando il dubbio fa vacillare la mia fede, calma il groviglio dei miei pensieri.

Quando mi sento inconcludente e arido, donami nuova energia per ricominciare.

Signore, salvami.

Allunga la tua mano e abbracciami! Amen.

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TRACCIA 2 

“TU SEI PIETRO E SU QUESTA PIETRA….”

Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo! Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo! Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza. Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità! Nulla ho visto al mondo di più oscurantista, più compresso, più falso e nulla ho toccato di più puro, di più generoso, di più bello. Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porte della mia anima, quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure. No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te. E poi, dove andrei? A costruirne un'altra? Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò, sarà la mia Chiesa, non più quella di Cristo. Sono abbastanza vecchio per capire che non sono migliore degli altri. L'altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: "Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi, non è più credibile". Mi fa pena! O è un sentimentale che non ha esperienza, e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri. Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra... La credibilità non è degli uomini, è solo di Dio e del Cristo. Forse che la Chiesa di ieri era migliore di quella di oggi? Forse che la Chiesa di Gerusalemme era più credibile di quella di Roma? Quando Paolo arrivò a Gerusalemme portando nel cuore la sua sete di universalità, forse che i discorsi di Giacomo sul prepuzio da tagliare o la debolezza di Pietro che si attardava con i ricchi di allora e che dava lo scandalo di pran-zare solo con i puri, poterono dargli dei dubbi sulla veridicità della Chiesa, che Cristo aveva fondato fresca fresca, e fargli venire la voglia di andarne a fondare un'altra ad Antiochia o a Tarso? Forse che a Santa Caterina da Siena, vedendo il Papa che faceva una sporca politica contro la sua città, poteva sal-tare in capo l'idea di andare sulle colline senesi, trasparenti come il cielo, e fare un'altra Chiesa più trasparente di quella di Roma cosi spessa, così piena di peccati e così politicante? ...La Chiesa ha il potere di darmi la santità ed è fatta tutta quanta, dal primo all'ultimo, di soli peccatori, e che pecca-tori! Ha la fede onnipotente e invincibile di rinnovare il mistero eucaristico, ed è composta di uomini deboli che brancolano nel buio e che si battono ogni giorno contro la tentazione di perdere la fede. Porta un messaggio di pura trasparenza ed è incarnata in una pasta sporca, come è sporco il mondo. Parla della dolcezza dei Maestro, della sua non-violenza, e nella storia ha mandato eserciti a sbudellare infedeli e torturare eresiarchi. Trasmette un messaggio di evangelica povertà, e non fa' che cercare denaro e alleanze con i potenti. Coloro che sognano cose diverse da questa realtà non fanno che perdere tempo e ricominciare sempre da capo. E in più dimostrano di non aver capito l'uomo. Perché quello è l'uomo, proprio come lo vede visibile la Chiesa, nella sua cattiveria e nello stesso tempo nel suo co-raggio invincibile che la fede in Cristo gli ha dato e la carità dei Cristo gli fa vivere. Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo Papa- Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che avere fondato la Chiesa sulla tomba di un tra-ditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nella umiltà e nella coscienza della propria fragilità. No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una roccia così debole, perché ne fonderei un'altra su una pietra an-cora più debole che sono io. ...E se le minacce sono così numerose e la violenza del castigo così grande, più numerose sono le parole d'amore e più grande è la sua misericordia. Direi proprio, pensando alla Chiesa e alla mia povera anima, che Dio è più grande della nostra debolezza. E poi cosa contano le pietre? Ciò che conta è la promessa di Cristo, ciò che conta è il cemento che unisce le pietre, che è lo Spirito Santo. Solo lo Spirito Santo è capace di fare la Chiesa con delle pietre mai tagliate come siamo noi!... E il mistero sta qui. Questo impasto di bene e di male, di grandezza e di miseria, di santità e di peccato che è la Chiesa, in fondo sono io... Ognuno di noi può sentire con tremore e con infinito gaudio che ciò che passa nel rapporto Dio-Chiesa è qualcosa che ci appartiene nell'intimo. In ciascuno di noi si ripercuotono le minacce e la dolcezza con cui Dio tratta il suo popolo di Israele, la Chiesa. A Ognuno di noi Dio dice come alla Chiesa: "Io ti farò mia sposa per sempre" (Osea 2, 21), ma nello stesso tempo ci ricorda la nostra realtà: "La tua impurità è come la ruggine. Ho cercato di toglierla, fatica sprecata! E' così abbondan-te che non va via nemmeno col fuoco" (Ezechiele 24, 12).

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Ma poi c'è ancora un'altra cosa che forse è più bella. Lo Spirito Santo, che è l'Amore, è capace di vederci santi, im-macolati, belli, anche se vestiti da mascalzoni e adulteri. Il perdono di Dio, quando ci tocca, fa diventare trasparente Zaccheo, il pubblicano, e immacolata la Maddalena, la peccatrice.  

E' come se il male non avesse potuto toccare la profondità più intima dell'uomo. E' come se l'Amore avesse impedito di lasciar imputridire l'anima lontana dall'amore. "Io ho buttato i tuoi peccati dietro le mie spalle", dice Dio a ciascuno di noi nel perdono, e continua: "Ti ho amato di amore eterno; per questo ti ho riservato la mia bontà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine Israe-le" (Geremia 3 1, 3-4). Ecco, ci chiama "vergini" anche quando siamo di ritorno dall'ennesima prostituzione nel corpo, nello spirito e nel cuo-re. In questo, Dio è veramente Dio, cioè l'unico capace di fare le "cose nuove". Perché non m'importa che Lui faccia i cieli e la terra nuovi, è più necessario che faccia "nuovi" i nostri cuori. E questo è il lavoro di Cristo. E questo è l'ambiente divino della Chiesa...

TRACCIA 3

La terza traccia è basata sulla figura di Mosè descritta nei capitoli 2,3 e 4 dell’Esodo. Mosè come figura legata al coraggio di dire si nonostante venga da fallimenti. E’ come se Dio gli avesse dato una seconda possibilità e lui ha avuto il coraggio di coglierla perché si è sentito investito di una fiducia immensa.

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DESERTO TRACCIA 1

IL PERDONO 1. “Pensavo fossimo davvero amici, abbiamo condiviso un sacco di cose insieme; invece, ora che ha cambiato

paese e amici, non si è più fatto sentire…”

“D’accordo, abbiamo litigato. Ma possibile tocchi sempre a me fare il primo passo?”

Quando l’amore incontra la colpa, l’errore e l’offesa, l’amore è perdono: per potere perdonare occorre sapere amare.

Qual è il tuo primo istinto di fronte ad una colpa, ad un errore di un altro o ad un’offesa subita?

2. “Stavolta l’ha fatta proprio grossa…andare in giro a raccontare le mie confidenze!

Questa non gliela perdono proprio…”

Perdonare è difficile e chiedere perdono pure. A nessuno piace farlo. Colui che perdona deve dimenticare qualcosa che ferisce l’animo e colui che chiede perdono deve umiliarsi e riconoscere di avere sbagliato. Né l’offeso, né a chi ha recato l’offesa piace andare incontro all’altro.

Cosa è per te il perdono? Come ti rapporti ad esso?

3. “Ha sempre fatto il prepotente con gli altri… ma adesso è in difficoltà. È il momento buono per vendicarsi, per ricambiare i torti subiti…”

Il perdono deve essere profondo, non può rimanere a livello delle parole, deve scendere nell’intimità del cuo-re per evitare che tra le pieghe dell’anima sopravvivano sentimenti di rancore.

Non si può fingere di avere perdonato mentre il desiderio di vendetta continua a stare in agguato, nella rab-bia e nell’amarezza, attendendo l’occasione propizia per spargere il veleno. Il perdono deve essere genero-so.

Chi dice di perdonare ma non dimentica, non è generoso.

Riesci a perdonare gratuitamente o solo in modo condizionato?

4. “Continuano a prendermi in giro… Va bene dimenticare una, due volte, ma se continuo così penseranno che mi lascio mettere i piedi in testa!”

Perdonare è un “processo”: di solito il perdono si ottiene poco a poco. In primo luogo ci vuole un atto di vo-lontà per decidere di perdonare e dimenticare, poi guariranno i sentimenti e, infine, la memoria.

Sono convinto dell’importanza del perdono? Perché?

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5. “Uno dei più grandi atti di bontà di Gesù è il sacramento della penitenza. Gesù conosceva la nostra debolez-za. Sapeva che qualche volta avremmo usato male della nostra libertà, e avremmo offeso gravemente Dio. Per questo egli, oltre al Battesimo, stabilì un altro sacramento, la Confessione, col quale avremmo potuto otte-nere il perdono e l’amicizia di Dio sempre”. (Don Bosco)

“Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli. E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai".(Lc 17,4)

Gesù ci invita a perdonare sempre e ci dà l’esempio, morendo in croce, come a volerci dire che ogni volta che c’è perdono Lui c’è e ci mostra chi possiamo essere noi.

Riesci a vivere il perdono conciliandolo con la tua fede? Il tuo cuore è capace di ascoltare le parole non dette del prossimo e andare oltre ai fatti che hanno ferito?

Signore Gesù Cristo,

insegnami

che perdonare è la virtù più grande del forte

e che la vendetta è il segno primo del debole.

Insegnami

quell'amore che è sempre paziente e sempre gentile;

mai geloso, presuntuoso, egoista o permaloso.

Insegnami

l'amore che prova gioia nella verità, sempre pronto a perdonare,

a credere, a sperare e a sopportare.

Se offenderò qualcuno,

donami la forza per domandargli perdono.

Se qualcuno mi offenderà,

donami la forza per concedergli il mio perdono.

Infine, quando tutte le cose finite si dissolveranno e tutto sarà chiaro,

che io possa essere stato il debole

ma costante riflesso del tuo amore perfetto.

Amen

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TRACCIA 2 

Carissimo,

oggi più che mai l’uomo vive nel rumore, nella civiltà delle parole, e non sa più cos’è il silenzio.la vita nasce nel silen-zio, l’uomo muore nel silenzio, Dio s’incontra nel silenzio. E, oggi più che mai, il silenzio è indispensabile per la vita degli uomini: esso ti stimola a pensare, ti serve per non sbagliare, ti dispone ad ascoltare, ti aiuta a pregare. È neces-sario, nella vita, avere dei momenti di silenzio, e noi lo sappiamo bene: tacere di sé è umiltà, tacere degli altri è cari-tà, tacere in certi momenti è saggezza, tacere nell’insicurezza è prudenza, tacere quando tutto va storto è pazienza. L’uomo autentico ama il silenzio, medita nel silenzio, decide nel silenzio. Non devi avere paura del silenzio: esso è maestro di verità, è gusto di profondità, è pace, gioia, serenità. È il luogo per mettersi in contatto con Dio, è il lin-guaggio, a volte, per capire Dio.

Proviamo, allora, a fare il deserto.

Un giorno due persone si sono amate più del solito e tu hai cominciato a vivere. Sei nato per vivere. Ma, che cosa è vi-vere? Vivere è tante cose messe insieme: è respirare se stessi, è respirare gli altri, è respirare la natura, è respira-re Dio. Pensandoci bene, nessuno ti ha chiesto se volevi vivere, e tu non sei neppure il signore della vita. Vivere è un dono. Qualcuno ti ha dato la mente per pensare: vivere è cercare la verità, è scoprire sempre qualcosa, è capire sempre di più. Ma soprattutto, vivere è amare. Qualcuno ti ha dato il cuore per amare: vivere è accorgersi degli altri, è avere un amico, è regalare un sorriso. Qualcuno ti ha dato la volontà per agire. Vivere è decidersi di fare il bene, è promuovere la pace, è lottare per la giustizia. Ad ogni uomo piace vivere, ma non tutti sanno vivere.

E secondo te, che cosa è “vivere”? (prova a scriverne qualche altro significato, a parte quelli su elencati)

C’è stato un momento della tua vita in cui ti sei chiesto, più che mai, a cosa servisse la tua vita?

C’è stato un momento in cui hai sentito che la tua vita fosse inutile?

C’è stato un momento in cui hai sentito forte e pressante il valore della vita e che la tua vita ha realmente un sen-so che non avresti mai immaginato?

Essere uomini significa avere bisogno degli altri, avere bisogno di gente che ti dà una mano, di gente che ti capisce, di gente che ti aiuta a vivere. significa avere bisogno di amici. Significa avere bisogno di persone con cui crescere. L’amicizia è qualcosa di sacro, un sentimento che unisce gli uomini e riempie di gioia la vita. Essa è stima, è fiducia, condivisione, impegno. Essere amici significa volersi bene e non sentirsi soli quando si è nel bisogno. L’amicizia è un tesoro. Ma sapevi che è una strada che ha percorso anche Dio?

Tu sai di non poter vivere da solo, di non poter essere felice da solo, di non poterti salvare da solo: il contatto con gli altri arricchisce, il rapporto con Dio ringiovanisce. Tu esisti soprattutto perché Dio da sempre ti ha pensato. Hai una missione che Lui solo conosce. Egli può aiutarti a dare un senso alla tua vita, ad impegnarla per qualcosa che vale, a vivere non per comandare ma per servire gli altri, non per godere ma per amare. Tu sei debole come creatura, ma sei forte in quanto amico di Dio: Egli può darti una mano per vivere la vita come dono, per accogliere tutti come fratel-li, per rifiutare ogni violenza. Nessuno ti è amico come Dio. Egli vuole aiutarti a cessare di fare il male, ad imparare a fare il bene, a non perdere mai la speranza. Dio è un amico che sa essere fedele come nessun altro. Un amico da non perdere!

Hai mai sentito Dio come amico?

Se sì, quando lo hai sentito particolarmente vicino? Dove lo cerchi, sicuro di poterlo incontrare? Cosa ti dà, lui, che sai che gli altri non possono darti? Cos’è che maggiormente apprezzi, di un amico come Lui? Quando, in particolare, ti rivolgi a Lui?

Se no, perché lo senti lontano? Non credi che ti stia accanto, attimo dopo attimo, con premura ed amore?

Leggi: Lc 12,22-32

Gv 15,15

Lc 12,4.6-7

Mt 26,36-46

Mt 26,47-50

Lc 14,12-14

Lc 10,38-41

Gv 11,5

Gv 12,1-4

Quali caratteristiche cogli, attraverso questi brani, in “Gesù amico”

E in coloro che sono i suoi amici?

Ci sono altri passi del Vangelo in cui hai potuto cogliere qualche ca-ratteristica di Gesù che te lo ha fatto sentire più vicino?

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Rifletti:

Più di ogni altro luogo Betania è, nel Vangelo, la dolce casa dell’amicizia, il luogo dell’intimità, dell’accoglienza. Ma-ria, Marta e Lazzaro accolgono Gesù con gratuità ed in lui riconoscono il povero da ristorare, il pellegrino da acco-gliere,l’ospite cui offrire il meglio di sé, ma soprattutto il vero Maestro da ascoltare, l’amico con il quale stare cuore a cuore. In quella casa Gesù non soltanto riceve, ma porta la sapienza, la pace e la serenità, offrendosi come amico e Salvatore. Con ciascuno dei tre fratelli egli si incontra in modo unico ed irripetibile: da Marta riceve le premure verso la sua umanità, ella lo ristora amabilmente dalle fatiche del suo cammino; da Maria riceve la contemplazione, l’ardore dell’amicizia che sa perdere il proprio tempo, che sa accogliere l’amico nel cuore, ascoltando la sua parola e custo-dendola come bene prezioso; da Lazzaro ascolta la soavità del silenzio, delicata espressione d’amore da parte di colui che semplicemente gode di rimanere alla presenza dell’amico. Gesù instaura con ogni amico un rapporto pro-fondo e soavissimo: apriamogli la porta del nostro cuore, perché entrando trovi in noi una dimora accogliente, una piccola ed ospitale Betania.

Prega:

Signore Gesù, Figlio di Dio, ricolmaci del tuo santo Spirito,

perché diventiamo la tua Betania profumata di nardo, dove gli intimi segreti del tuo cuore

possano essere accolti e custoditi in tutta purezza. Possa tu trovare in noi amici generosi disposti al servizio,

ascoltatori silenziosi della tua Parola, anime ardenti che nell’ora suprema dell’amore,

l’ora della croce, sappiano dirti con un gesto di vera adorazione

quanto ci sia dolce e di caro (poiché tu stesso l’hai fatto per noi)

vivere la tua vita e morire la tua morte. Amen.

E in Clan, come vivo (se la vivo) l’amicizia nella comunità di Clan?

Avverto la gioia di avere qualcuno, degli amici con cui giocare e crescere insieme e a cui confidare difficoltà e problemi per sentire da loro parole di incoraggiamento e di speranza?

La mia amicizia vuole il bene dell’altro, o si basa sul mio “tornaconto” e sul mio interesse?

Aiuto gli altri in Clan a migliorare, a progredire, oppure il mio esempio è per loro di ostacolo e non si rivela d’aiuto per la loro crescita?

Nella scelta del “gruppetto” in Clan sto attento a non escludere chi forse aveva maggior bisogno d’amore, di comprensione e di aiuto?

Mi sento amico, in Clan, anche di chi non la pensa come me?

Nel gioco e nello svago ho come mia preoccupazione quella di far gioire i miei compagni di strada, o quella di fare valere le mie doti e le mie ambizioni?

Sento il bisogno di condividere, con gli altri membri del Clan, momenti forti come quello della Confessione o della Comunione?

Cosa significa, per me, crescere con gli altri membri del Clan?

C’è qualcuno di loro a cui avrei voluto dire qualcosa che non ho mai detto? (prova a farlo ora, scrivendo un biglietto o una lettera, o decidendoti finalmente di parlare a lui/lei)

Cosa penso di ognuno di loro?

Ho mai dato a qualcuno di loro dei consigli per la loro crescita? Non penso che, durante il punto della strada, la maturità di un Clan e di ognuno dipenda anche dalla capacità di dare consigli, correggere fraternamente, esal-tare i pregi, ringraziare per qualcosa…?

C’è qualcuno che ritengo antipatico?

Quando dico che tutti in Clan hanno un proprio ruolo e una propria importanza, lo dico perché è una cosa scontata o perché lo penso veramente?

Penso che in Clan ci sia più bisogno di alcuni che di altri?

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Cosa devo, nel mio essere diventata più grande, a Valentina, Paola, Massimo, Alessandro, Tiziana, Veronica, Gaetano, Francesco, Vincenzo, Chiara, Giulia, Cetty, Valeria?

Cosa avrei dovuto dare ad ognuno di loro (e specialmente ai novizi) che non gli ho dato?

E il mio rapporto con ogni singolo Capo, su cosa è basato?

Infine, rifletti su tutto quello che lo scoutismo ha significato per te in tutti questi anni. Pensa a cosa significa “Promes-sa”, “Partenza”, “Firma della carta di Clan”. Prova a fare il tuo personale punto della strada. Quindi leggi:

Come sarei se non fossi stato scout?

Non saprei fare la torta alla frutta e alla crema,

avrei fatto lunghe vacanze al mare,

non avrei bevuto il latte fresco di mucca,

non avrei visto qualcuno accettarsi una gamba, segare una mano, pugnalarsi un palmo,

avrei la pancia (beh, avrei più pancia di adesso!),

non suonerei la guitar,

avrei suonato il violino, io il piano!

avrei perso il fascino dell’uniforme,

avrei avuto interi sabati pomeriggio liberi, gran pacchia!

sarei finita in chissà quali pasticci!

non avrei sviluppato potentissimi anticorpi,

non saprei come si monta una tenda, si accende un fuoco, si fa una legatura,

non avrei preso tanta pioggia,

avrei continuato ad odiare il camminare,

non farei servizio,

non avrei rischiato la vita in hike,

non avrei le ginocchia insensibili al freddo,

non sarei più andato a Messa,

avrei dato importanza a cose che non sono poi così importanti.

Prova, adesso, a scrivere un testo del genere, sullo stesso argomento, in base a quella che è stata la tua esperien-za.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ma nella riunione di zona del 4 novembre 2013 cosa abbiamo fa o? 

Ci siamo divisi in pa uglie e abbiamo simulato la preparazione di 3 hike e 3 deser  partendo dalla cerimonia del mandato in 

Hike. 

Ecco il risultato dei lavori di gruppo: 

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