Il sole oscuro

33

description

Irene Barbagallo. È possibile crescere attraverso il dolore? Ci si può riappacificare con se stessi dopo essersi fatti carico di una tragedia che ha sconvolto la propria famiglia? Giada non lo sa, ma è ciò che le chiede la sua parte più profonda senza che lei, una ragazza che sta per diventare maggiorenne, nemmeno se ne renda conto. "Il sole scuro" racconta la sua storia, la storia di un’adolescente che si trova a fare i conti con un passato doloroso che ha cambiato lei e sua madre, i loro rapporti, la quotidianità. Fino a quando alcuni eventi inaspettati la accompagneranno verso una nuova visione della vita. Un romanzo sull’imprevedibilità dell’esistenza umana, a volte tiranna, più spesso portatrice di opportunità da cogliere. E, soprattutto, una storia sul valore del perdono, anche verso se stessi, sui sentimenti autentici e sulla speranza.

Transcript of Il sole oscuro

Page 1: Il sole oscuro
Page 2: Il sole oscuro

In uscita il 27/2/2015 (14,50 euro)

Versione ebook in uscita tra fine febbraio e inizio marzo 2015

(4,99 euro)

AVVISO

Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita.

La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi

preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione

dell’anteprima su questo portale.

La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.

Page 3: Il sole oscuro

IRENE BARBAGALLO

IL SOLE SCURO

www.0111edizioni.com

Page 4: Il sole oscuro

www.0111edizioni.com

www.quellidized.it

www.facebook.com/groups/quellidized/

IL SOLE SCURO Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-861-9 Copertina: immagine Shutterstock.com

Prima edizione Febbraio 2015 Stampato da

Logo srl Borgoricco – Padova

Page 5: Il sole oscuro

Non è forte colui che non cade mai, ma colui che cadendo si rialza.

Johann Wolfgang Goethe

Page 6: Il sole oscuro
Page 7: Il sole oscuro

Alle mie figlie Maria Chiara e Paola con amore, per avermi sempre

incoraggiata e sostenuta.

Page 8: Il sole oscuro
Page 9: Il sole oscuro

7

CAPITOLO 1 A Giada piace l’inverno. Osservare la foschia che sfuma i contor-ni del paesaggio, la nebbia che accende tutto di bianco. Sentire il gelo insinuarsi nei muscoli, nelle ossa, snodarsi attraversando o-gni frammento del suo corpo. Percorre il lungo viale per andare a scuola. La neve dei giorni scorsi è accatastata tra i palazzi, la strada e il marciapiede, due fi-le ininterrotte di un miscuglio di fango e smog. Al centro, il pas-saggio per i pedoni, dove l’acqua del manto bianco disciolto ha lasciato piccole pozzanghere scure e dense di polvere nera. Pro-cede lentamente, anche se ha la versione di latino le prime due ore ed è preoccupata perché è una materia in cui va male. Quelle regole così strane con i cum, i quin, i quominus non sono nelle sue corde, proprio non le entrano in testa. Studia, datti da fare, scaldi la sedia tutto il giorno senza fare niente. A lei piace ascoltare la musica, a volume basso o con le cuffie. Leggere poesie. Lo fa di nascosto, quando la madre è in cucina e lei sente lo sferragliare delle pentole, il rumore della porta del fri-go che fa quel flop gommoso quando lei lo chiude velocemente, con una spinta nervosa e affrettata. Cammina con metodo, la testa china a guardarsi la punta delle scarpe, lo zaino pesante calcato sulle spalle magre, le ginocchia che si flettono con un ritmo regolare. Conta i passi. Serve a di-strarla e a non pensare. Non vuole pensare, non vuole che la men-te scivoli altrove, dove non è ora. Dove potrebbe decidere di far-lo, ancora una volta. Entrare nell’androne di un edificio con il

Page 10: Il sole oscuro

8

portone aperto, rintanarsi dietro l’angolo tra le scale e le cantine, tirare fuori dalla tasca più nascosta della borsa con i libri quel ma-ledetto arnese che lei ama e odia. E usarlo per sentirsi meglio e peggio. Raggiunge la fermata del tram con l’andatura automatica, cercan-do di dominare il senso di soffocamento che la assale sempre più spesso. Ora la incontrerà, come accade ogni mattina, quella compagna di classe che parla sempre, troppo, e che lei cerca di evitare appo-standosi al fondo, accanto alle ultime vetrate del mezzo. Strategia inutile. Jessica la cerca ogni volta, le si avvicina, inizia. Lo fa con tutti, ancora di più con chi parla poco, perché così può riempire ogni spazio per sé, sentirsi al centro: descrivere gli ultimi vestiti che ha comprato all’out-let, raccontare delle sue conquiste, spara-re i suoi pettegolezzi, che cosa ha fatto la tale con il tale, perché ha litigato con una del suo giro. Giada finge di stare al gioco. O-gni tanto un sorrisino stirato, un cenno di assenso, qualche mono-sillabo buttato qua e là. Per fortuna la scuola è vicina, ad appena trecento metri dalla ban-china sulla quale sono scese, sul corso che costeggia il quartiere della Crocetta. Il seppia che predomina sugli altri colori, gli ele-ganti e bassi edifici in stile liberty, i marciapiedi senza una car-taccia o un mozzicone di sigaretta. È il quartiere dei vip torinesi, dopo il centro e la zona collinare dalla parte di corso Moncalieri, dove vivono i ricchi, in ville circondate da giardini curatissimi, con i gazebo, i tavoli e le sedie in legno massiccio. Molti si voltano a guardare Jessica. Altissima, tutta gambe. Il suo inguine arriva alla vita di Giada, che pure ha una statura normale. Ha occhi piccoli e mobilissimi, si fermano per pochi istanti su ogni dettaglio, ma Giada pensa che ci passino sopra senza vedere. I capelli rossi di media lunghezza le accarezzano appena le guan-ce rosee del piccolo viso lentigginoso, sproporzionato rispetto al corpo. La frangia sfilata si apre in ordinate e lisce ciocche, tra le

Page 11: Il sole oscuro

9

quali si intravede una bassa fronte bianca. Jessica è intelligente, ricorda tutto ciò che legge o che vede anche una sola volta. Giada ha lo sguardo fisso, invece, e a scuola non è tra le prime. Si sente mediocre, una che si confonde nella massa, che non ama mettersi in mostra. L’amica continua a inglobarla con le sue tante parole, insistente, senza mai smettere, ma Giada riesce a coglierne soltanto una pic-cola parte. Passano davanti a un’agenzia di viaggi. Dovrebbe entrarci, uno dei prossimi pomeriggi, e chiedere informazioni sugli itinerari sommariamente descritti nei manifesti esposti in vetrina: le Ba-hamas, le Maldive, Cuba. Oppure potrebbe partire all’avventura, una mattina di un qualsiasi giorno, seguendo soltanto il proprio istinto. Fare l’autostop vicino ai caselli autostradali, andare dove le capita, con il suo sacco a pelo e le scarpe comode per fare chi-lometri a piedi. O, ancora, soggiornare in un albergo di fronte al mare, con la spiaggia dalla sabbia chiara e fina. Osservare lo specchio d’acqua con i motoscafi e gli yacht dei turisti, le belle donne distese sul ponte che si abbronzano in topless. Senza pudo-re, con le braccia aperte e gli occhialini neri, la pelle resa lucida dalla crema solare che gli uomini hanno spalmato loro sulla schiena, le risatine di compiacimento. Il mare. Quanto vorrebbe amarlo, ancora. Potrebbe fare tante altre cose, per esempio entrare in quella ga-stronomia take-away di via Po, dove andava ogni tanto con suo padre a comprare i calzoni fritti, gli arancini e le crocchette di pa-tate che a lei piacevano tanto. Si sfila lo zaino dal dorso, lo sistema su una sola spalla e tocca la tasca nascosta. Il suo amico nemico è lì. E si sente più sicura, mentre la sua compagna, ormai arrivate a scuola, ha finalmente chiuso la bocca. Il compito in classe è difficile, se lo aspettava. Prenderà quattro, come sempre, e sua madre le dirà che i suoi sacrifici non sono ri-

Page 12: Il sole oscuro

10

compensati, che è un’ingrata, e che lei lavora tutto il giorno per niente. Oppure scoppierà in una di quelle grasse risate sonore e le dirà che è troppo stanca per parlarne. Poi si agghinderà e uscirà con le amiche per le sue borghesi canaste, o andrà in un dancing, ogni volta uno diverso, per ballare la bossa nova, la bachata e, perché no, un valzer con uno sconosciuto. È un tre, non un quattro, come aveva previsto. Ora dovrà farglielo firmare e sperare che sia di buon umore. «Giada! Sono tornata!». «Ciao, mamma» risponde rincuorata dal tono dei giorni buoni. «Uh, che giornata! Oggi ho venduto un sacco di vestiti, pantaloni e t-shirt. Niente male. E a te come è andata?» chiede da lontano, mentre si libera delle decolleté tacco a spillo e indossa la solita tuta da casa. «Così. Non tanto bene. Il compito di latino…». «Andato male, vero?». «Sì, molto male». «Quanto?». «Tre». «Dai, te lo firmo. Ma prima o poi dovremo fare qualcosa. Domani chiedo alla signora del terzo piano, quella con i capelli nero fumo con cui ogni tanto mi fermo a chiacchierare. Ha un compagno che insegna in un liceo classico. Magari ti dà una mano». «Sì, mamma» risponde Giada sollevata, anche se l’idea di pren-dere lezioni private la mette un po’ in agitazione. È fortunata, è in serata buona. Forse nemmeno si arrabbierà se accende lo stereo per ascoltare Sweet Home Chicago. Può aumen-tare il volume, lei ha voglia di ridere. «E vai!» esclama la madre confermando la sua sensazione. La osserva mentre si sfila le ciabatte lanciandole in un angolo della stanza. Si lascia prendere le mani e strattonare fino al centro del tappeto. Lei si contorce tutta, le mani ondeggiano spostandosi

Page 13: Il sole oscuro

11

tra la testa e il bacino, si muove con energia sulle note di quella canzone così lontana da lei, dalla sua età. Giada la asseconda e balla con lei, ma si sente fuori posto. Fuori tempo. Fuori logica. E senza capire il motivo dell’ilarità di sua madre, che avrebbe do-vuto rimproverarla anziché festeggiare, si lancia anche lei in quel-la girandola di movimenti. Per stordirsi e non pensare a quel sole scuro che ha cominciato a risucchiarla lentamente, ogni giorno un piccolo vortice in più, da quando suo padre è morto improvvisa-mente quattro anni fa.

Page 14: Il sole oscuro

12

CAPITOLO 2 La casa è silenziosa. Giada è stesa sul letto, con gli occhi spalan-cati a guardare il soffitto, le ginocchia sollevate, le braccia rilas-sate e distese lungo gli esili fianchi. I capelli mossi le coprono appena le orecchie, una massa sparpagliata che circonda un viso senza espressione. Pensa, anche se non vorrebbe. Non si può non pensare. Appena si impone di non pensare, pensa di non pensare. Ed è un controsenso, un pensiero. Come tanti altri. Meglio alzar-si. Infila le scarpe da casa che le ha regalato sua madre: due stiva-letti bassi di pelo rosa, con la suola di stoffa pesante. Morbidi sui piedi e sulle caviglie. Avverte un senso di tepore, un tocco caldo e protettivo che si irradia in tutto il corpo. È una sensazione che conosce. Papà che la tiene in braccio quando, tra una caduta e l’altra, sta imparando ad andare in bicicletta. Papà che la fa ridere con le sue smorfie. Papà che la consola quando, a scuola, qualche compagna le fa i dispetti e lei è triste tutto il giorno finché lui tor-na a casa e tutto diventa leggero. Papà che la fa sentire al sicuro e la abbraccia. Papà che le dice “ti voglio bene”. Si sfila la maglietta bianca, abbassa i pantaloni blu della tuta. Slaccia il reggiseno, si osserva allo specchio. I bottoncini marroni dei capezzoli risaltano sul torace chiaro. Ha un seno piccolo, da taglia prima, il corpo lungo e i fianchi bassi. Si avvicina all’immagine riflessa e guarda con attenzione il proprio volto. Vorrebbe avere occhi più grandi, anziché quelle due piccole fes-sure dalle ciglia corte, il naso alla francese, con la punta legger-mente all’insù, la bocca carnosa. Si domanda se sia figlia di sua madre. Non le somiglia per niente. Lei è procace. Gli uomini la

Page 15: Il sole oscuro

13

guardano. Ha un petto alto, rotondo e sodo, la vita sottile, una schiena dritta e regolare, gambe slanciate e tornite. I capelli. Gia-da vorrebbe stirarli, una compagna di classe lo ha fatto, ma il ri-sultato è pessimo. Diventano opachi e crespi, sembrano di stoppa. Invece i capelli di sua madre sono dritti di natura. Le toccano le spalle creando una piccola onda. Li tinge di biondo e il lungo ciuffo scomposto copre le sopracciglia castane e una parte degli occhi azzurri. Ogni tanto, con due dita della mano destra lo sco-sta, ma ben presto i capelli tornano a ricoprirle lo sguardo. E lei ripete il gesto senza mai stancarsi. Fino a qualche mese fa Giada non capiva perché non si decidesse a tagliarlo regolarmente. Ora sa che è un movimento sensuale, un richiamo erotico. Sua madre piace agli uomini. Le telefonano, la cercano. Ne conosce molti nei locali che frequenta e alcuni le chiedono il numero di telefo-no. Spesso lei ne dà uno falso, qualche volta quello vero, ma ri-sponde soltanto le prime volte. Così si sente desiderata senza do-versi impegnare con chi non le interessa. E bella. Giada si vede orrenda. Magra come suo padre, gli occhi hanno le iridi quasi ne-re, troppo grosse rispetto al bianco appena visibile delle cornee. Tra un po’ arriverà il ragazzo che deve darle lezioni private. Sua madre lo ha già conosciuto in casa della vicina. Le ha detto che è un ex-alunno del suo compagno. Ha ventitré anni e frequenta l’ultimo anno di lettere classiche. «È bravo. Fallo entrare in sala da pranzo, così avete più spazio anche per i libri. Io torno per cena. Hello!». Forse farà in tempo, prima che arrivi, a salutare il suo sole scuro, così le farà meno male e la lascerà in pace per un po’, quel tanto che basta per fare la conoscenza di Gerino, così si chiama. Già il nome le sembra poco serio, da bambino viziato e capriccioso, ma potrebbe sbagliarsi. In fondo lei si chiama Giada e non ha nulla di prezioso. Poche parole, non saprà e non vorrà dire di più. È lui che deve parlare, spiegare. Spera che non la interroghi come la prof a scuola, per capire da dove cominciare.

Page 16: Il sole oscuro

14

È ancora seminuda. Con i pantaloni arrotolati sotto le ginocchia raggiunge la sua camera a piccoli passi squilibrati. Le viene quasi da ridere, sembra un pagliaccio con due gocce nere al posto degli occhi, una maschera malinconica e allegra che diverte e intristi-sce, lo sguardo piangente e le labbra su cui il rossetto porpora di-segna un sorriso che arriva alle orecchie. Il letto è in disordine, con la coperta abbassata sotto il guanciale e lo stampo del suo corpo tra le pieghe del tessuto. Lo raccatta dallo zaino, apre il fazzoletto di carta in cui è avvolto, lo serra con entrambe le mani e ritorna davanti allo specchio. Ha bisogno di luce. Accende la lampada a stelo posta nell’angolo tra le due porte delle stanze da letto e, con il pollice destro, lo sfila dalla custodia. La lama è lunga una decina di centimetri, larga un paio. Sul metallo lucente delle righe oblique corrono parallele alla punta, dove un angolo acuto potrebbe incidere la pelle coriacea di un elefante. La plastica rossa che fa da impugnatura ha uno spa-zio vuoto centrale in cui scorre un binario. Il pulsante nero ne re-gola l’uscita e il rientro. Giada va in bagno, poggia il taglierino sulla mensola posta di fianco al lavabo, apre il mobiletto dove sono custodite le medici-ne, prende del cotone idrofilo e lo imbeve di acqua ossigenata, strofina il ferro più volte. È un gesto consueto, un’infezione po-trebbe rivelare il suo segreto, che custodisce gelosamente da più di tre anni. Getta l’ovatta nel bidoncino dei rifiuti, posto tra la ca-bina-doccia e il bidè, facendo attenzione a nasconderla bene sotto i tamponcini con i quali la madre si strucca. Ora è pronta, non le resta che tornare davanti allo specchio grande, a figura intera, e cominciare. Il ventre ha segni della lunghezza di un pollice, in via di guarigione. Lo ha fatto la settimana scorsa, dopo una sfuriata di sua madre. Giada era tornata a casa in ritardo, una decina di minuti dopo l’ora di cena. Le scaloppine si erano raffreddate e le foglie di manigot sembravano cotte. Mentre sua madre, strana-mente rimasta in casa, guardava la televisione, si era chiusa in

Page 17: Il sole oscuro

15

bagno per farsi una doccia e, sotto il getto fumante, si era procu-rata dei piccoli tagli intorno all’ombelico. L’acqua che scrosciava sul suo corpo diventava rosa, un rosa caldo e pieno, e lei non sen-tiva il dolore delle ferite. Da quelle leggere aperture, appena ac-cennate perché il sangue non fuoriuscisse in quantità abbondante, sentiva sgorgare anche la rabbia verso se stessa. A piccoli fiotti la vedeva incanalarsi verso il foro di uscita della doccia. Andare via, allontanarsi, fluire libera, annullarsi, scomparire. Almeno per un po’. Deve sbrigarsi. Sono quasi le cinque e Gerino suonerà alla porta da un momento all’altro. Stavolta inciderà la pelle intorno ai ca-pezzoli. Non li vede nessuno. Giada è vergine e non le importa molto di fare l’amore. Ci pensa ogni tanto, quando le compagne di classe ne parlano e dicono che fare sesso è un’esperienza unica e che bisogna iniziare presto perché è una delle cose più belle del-la vita. Affonda la punta intorno al capezzolo sinistro. Sei tagli che partono vicini e poi si allontanano, il disegno di un sole buio con i raggi rossi. Il sole che ha dentro, scuro come la sua colpa.

Page 18: Il sole oscuro

16

CAPITOLO 3 L’esame di terza media è terminato e Giada è stata promossa con la media del sette. La fine del mese di giugno regala giornate di un sorprendente nitore. Il cielo azzurro è un quadro di cristallo abbagliante e il sole pieno stira il paesaggio, rendendolo chiaro e preciso, dilata i palazzi, le strade, le chiome degli alberi nei lunghi viali di Torino, dove l’inverno ha passato la sua mano di grigio denso. «Andiamo al mare nel fine-settimana?» propone il padre durante la cena. «Sìììì!» rispondono insieme Giada e sua madre. «Oddio, che mi metto? I copricostumi dell’anno scorso sono fuori moda. Che figura ci faccio?» esclama sua madre con la solita e-spressione civettuola che ha fatto innamorare suo padre, circon-dandolo di un’atmosfera di semplice e felice ingenuità. «Comprane degli altri. Domani andate insieme a fare shopping. Prendete dei costumi nuovi e qualcosa da metterci sopra. Non chiedermi di accompagnarvi, però!» Giada sorride spensierata. L’anno scolastico è finito, suo padre è rilassato perché in azienda gli affari vanno molto bene, e lei ha soltanto voglia di svagarsi. La madre riempie l’ambiente con le sue risate, pulite come l’aria che entra dalle finestre aperte. È un alito che ha il sapore delle vacanze e della libertà. Desiderio d’estate, di abbronzatura, di bagni, di nuotate. Le piacciono l’odore del mare, quel fiato di sale che scatena i sensi, il venticel-lo che le asciuga premuroso il corpo sudato, spettina la chioma ribelle rendendola più naturale. L’acqua fredda che ristora la

Page 19: Il sole oscuro

17

pelle arsa, la schiuma delle onde che le massaggia la schiena, le lunghe bracciate per raggiungere il largo dove pochi si avventu-rano e dal quale il litorale è una cartolina in cui tutto è piccolo e lontano, dove nessuno la osserva e il corpo galleggia senza peso. In un volo che non ha bisogno di ali. Non è un’esperta nuotatrice, ma se la cava. Non ha mai voluto frequentare un corso, come sua madre le aveva proposto da bambina. Il suo papà le ha insegnato a stare a galla. Qualche decina di metri senza toccare il fondo con i piedi, la pallanuoto oltre la boa, i tuffi dal materassino. Partono il sabato mattina per raggiungere Spotorno, il centro balneare più vicino. L’albergo è accogliente e intimo, senza in-dugiare nell’inutile e spesso scostante eleganza. Mangiano bene, trofiette al pesto artigianale e frittura mista di pesce. Il vino bianco locale è leggero. Anche Giada ne beve due dita, mentre pregusta il pomeriggio distesa sulla sabbia ghiaiosa, a poca di-stanza dal bagnasciuga, per sentire la frescura e la canzone del mare. Lo sciacquio ripetuto delle piccole onde che arrivano quasi a toccarla, il loro ritmo regolare che non ha tonalità, soltanto il suono della natura che non ha bisogno di strumenti per essere armonia. Dopo aver trascorso un’oretta in camera, ripone nella borsa da spiaggia il telo, il portamonete con degli spiccioli, il cellulare e un libro di poesie d’amore di Hikmet. Non ha ancora finito di leggerlo perché, quando trova una poesia che la colpisce, la ri-legge tante volte fino a impararla a memoria. Si è fermata lì, ci si rigira dentro come in un plaid morbido che non vuole abbando-nare, la ripete a voce alta, lentamente, per prolungare l’incanto. Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni

Page 20: Il sole oscuro

18

non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto. Lei ha ancora tanti mari da scoprire e da navigare. Tutti i giorni della sua vita, un’adolescenza che diventerà giovinezza, poi età adulta e infine vecchiaia. Spera di vivere a lungo, spera che an-che i suoi genitori vivano a lungo, che diventino molto vecchi e lei li accudirà e li curerà. Forse avrà dei figli che cresceranno forti e sani. E avrà giorni belli, il giorno dopo più felice del pre-cedente, e aspettare il domani, non ancora vissuto, le darà l’attesa gioiosa di un tempo nuovo migliore. E avrà un amore, come tutte le ragazze, e quanto di bello vorrà dirgli sarà sempre più intenso, e ogni giorno le parole saranno più magiche e pro-fonde. I genitori si siedono sulle sdraio sotto l’ombrellone, chiacchiera-no sottovoce. «Metti la crema!» le raccomanda sua madre mentre lei si prepa-ra per stendersi a prendere il sole. «Sì, mamma, non preoccuparti». Le ore trascorrono lente fino al tramonto, quando il cielo sembra dividersi in due. L’orizzonte sul mare è nitido e il sole declina creando tutt’intorno un’aureola fiammeggiante. A nord, dove le Alpi Marittime degradano verso la striscia di terra che costitui-sce la Liguria, pesanti nuvole si abbassano con lentezza, gonfie e minacciose. Una foschia spessa sfuma i contorni delle alture, na-scondendone la vegetazione nel pieno del suo rigoglio. «Pioverà» esclama sconsolato suo padre che non si è ancora tuf-fato, ma già immagina la nuotata rigenerante della mattina dopo. «Oh no! Speriamo che stanotte il tempo si aggiusti. Forza, Gia-da, comincia a riporre le tue cose. Hadrian, andiamo? Tra un po’ servono la cena».

Page 21: Il sole oscuro

19

La notte è fredda, dagli infissi della finestra entrano soffi che si-bilano sottili, i vetri tremolano creando sinistri e prolungati brontolii. Giada dorme male, è agitata, fa sogni strani. Mare in tempesta, onde alte come case, barche affondate. Si sveglia presto, si alza e si dirige in bagno. A piedi nudi, per non svegliare i genitori che ancora dormono, il padre con una mano sul fianco della mamma. Il suo nome è Carmela, ma lei lo ha voluto trasformare in Lilly e Giada sa perché ha cambiato nell’inglese Hadrian il nome vero di suo padre, Adriano, che è più dolce anche a dirsi. Usa saluti inglesi, ogni tanto un “please”, un “come in”. Così si sente all’altezza del suo compagno che ha una laurea in economia e commercio, mentre lei ha interrotto gli studi a diciotto anni, dopo avere ripetuto due volte il terzo anno di ragioneria. Quando torna in camera si sono alzati tutti e due e hanno tirato su la tapparella. Non piove, poche nuvole sparse si spostano ve-loci e coprono il sole a intervalli irregolari. «Pensavo peggio» esordisce il padre dopo averle dato un bacio sulla guancia. Raggiungono la spiaggia libera con il presentimento di potercisi fermare poco. Il vento è impetuoso e il mare mosso. Lo sciabor-dio dei marosi si avverte già a parecchi metri di distanza, prima ancora di attraversare il lungomare dove i turisti passeggiano o si fermano nei bazar per acquistare i souvenir. Il tempo incerto non ha scoraggiato i villeggianti che affollano la spiaggia. Due ragazzini giocano con i tamburelli al limite del mare, dove la superficie di sabbia e sassolini è incastonata di conchiglie vuote, e mostra delle larghe buche poco profonde. Al-tri camminano lentamente lungo lo stesso percorso. Le signore in bikini castigato o con costumi interi si dedicano alla loro passeg-giata salutare, facendosi massaggiare i polpacci dalle piccole onde che arrivano al limite dell’arenile. Ad appena qualche me-tro il mare è agitato. Alcuni coraggiosi si sono già immersi e gio-

Page 22: Il sole oscuro

20

cano a farsi sospingere dall’acqua mossa, con la schiena che ab-braccia l’orizzonte e il viso rivolto verso la terraferma, ridendo divertiti a ogni spinta delle correnti. «Prendo il sole, prima che il tempo cambi» avvisa Giada, che si è liberata velocemente dei pantaloncini in jeans e della canotta blu. Si allontana dai genitori e apre il grande asciugamano che la accoglie. I suoi si siedono più lontano, sugli sgabelli che si so-no procurati in albergo. Ogni tanto Giada li osserva. Il padre legge il quotidiano, ne tiene fermi i margini per via del vento. Sua madre ha gli occhi chiusi, la testa leggermente sollevata verso il sole, a tratti pallido o torrido. «C’è qualcuno, là al largo, che non riesce a tornare!» urla im-provvisamente una signora. Hadrian e Lilly si alzano di scatto. Il telo di Giada si è ripiegato su se stesso, privo del peso del suo corpo. Molti curiosi raggiun-gono il bagnasciuga, mettono una mano aperta sulla fronte per riparare lo sguardo dalla luce perlacea e osservare meglio quel punto lontano. Pochi attimi per rendersi conto che quel corpo è in grave difficoltà. Scende e riaffiora, il capo continua ad andare sott’acqua e a riemergere per brevi istanti, prima di scomparire di nuovo. Hadrian rivolge il suo sguardo verso l’asciugamano vuoto, che il vento ha accartocciato come un foglio di carta pressato tra le mani, avvolgendolo intorno ai sassi che Giada vi ha disposto so-pra e, senza un attimo di esitazione, corre verso quel puntino. Si getta nell’acqua grigio-verde. Deve sbrigarsi. Deve procedere in fretta. Non c’è un secondo da perdere. Nuota al limite delle pro-prie forze. È lei, è Giada. A pochi centimetri di distanza la testa è sotto, soltanto le braccia spuntano dalla superficie dell’acqua, che è inaspettatamente tranquilla. È arrivato, è accanto a lei. La ragazza si aggrappa al suo collo con l’energia prorompente del panico. Tossisce in modo convulso, riprende fiato, si agita tutta. Hadrian non sa come tenerla ferma. Ha il cuore che batte impaz-

Page 23: Il sole oscuro

21

zito, il respiro è corto e affannato, anche lui annaspa con la testa sommersa, spinta dai movimenti incontrollati di sua figlia, ma deve farcela. In qualche modo riesce a girarla di spalle e a tirar-la con una mano stretta intorno a un braccio. Nuota sul dorso so-lo con le gambe, sperando di riuscire ad arrivare a riva. A poca distanza dal gruppo di persone che hanno seguito la scena, dove ormai si tocca, lascia la presa. Lilly raggiunge sua figlia, pallida ma viva. «Mamma» sussurra Giada, poi si lascia andare, esausta. Le met-te le mani sotto le ascelle e la sospinge all’asciutto. Hadrian, in-vece, è immobile. L’acqua è bassa, un ragazzo gli si avvicina e, come Lilly con Giada, lo trasporta sulla riva. Ha gli occhi aperti e inespressivi, il viso bianco, la pelle gelida di mare. I soccorsi arrivano dopo pochi minuti. Il medico cerca di rianimare a lungo il corpo stremato, ma il sole della sua vita si è spento. Come quel cerchio lassù, in alto, nascosto dalle nuvole che ora hanno tap-pezzato ogni spiraglio. L’ultima immagine che Giada ricorda.

Page 24: Il sole oscuro

22

CAPITOLO 4 «Ciao, io sono Gerino» si presenta con tono allegro appena Giada apre la porta. «Entra pure, andiamo in sala da pranzo. Ah, io sono Giada». «La mia prima allieva. Spero di essere all’altezza». «Con me ci vuole poco. Mi sa che dobbiamo iniziare da rosa-rosae». Sta bene, è rilassata e serena. Il seno brucia e ha macchiato l’imbottitura del reggiseno, ma non si vede. Lo tocca, per accer-tarsi che il pullover non sia bagnato e che nulla trapeli all’esterno. Come temeva, il suo nuovo insegnante comincia a farle delle do-mande. A volte lei risponde, più spesso taglia con un “non lo so”, finché lui le propone una breve versione dal latino. È un brano di Valerio Massimo, “Forza d’animo di un padre”. I tagli sul seno cominciano a farsi sentire con dei battiti che se-guono il ritmo del suo cuore e lei li sente rimbombare con forza nelle orecchie, tra le vene dei polsi, sul collo. Conosce quel testo, lo ha tradotto a scuola la settimana prima, ricorda i suoi errori e le correzioni, ma si guarda bene dal rivelarlo. Gerino le porge il li-bro che ha portato, aprendolo alla pagina dell’esercizio, poi la guarda con aria d’attesa. «Beh? Prendi un quaderno, un foglio, qualcosa su cui scrivere, no? E una penna, possibilmente. Ah, anche il vocabolario». Giada ubbidisce di malavoglia. Il tono non le è piaciuto, constata che il tipo sia arrogante e presuntuoso. Sarà dura sostenere le le-zioni con lui, ma non può deludere sua madre. Si arrabbierebbe

Page 25: Il sole oscuro

23

ancora, come fa sempre quando lei non si comporta come vorreb-be. Da allora. Da quattro anni. Da quel giorno. Mentre traduce, Gerino si alza e comincia a camminare avanti e indietro lungo la parete della stanza con la testa china e le mani allacciate dietro la schiena. «Se ti metti una mano nel cardigan sembri Napoleone che studia la prossima guerra». «Ah ah ah. Spiritosa!» risponde lui facendole il verso. «Scrivi, non ti distrarre. Hai mezz’ora di tempo». Giada termina anche prima. «Ho finito!». «Vediamo!» esclama restando in piedi ai margini del tavolo e dando una scorsa veloce al testo. «Bene, è tutto giusto! Ma sei si-cura di avere bisogno di ripetizioni?». «Ho la media del quattro. Tu che ne dici?». «Che sei più brava di me. Ma anche no». «Ma anche no?» chiede Giada. «Ma come parli?». «Vuol dire sì e no, più no che sì». È più sciolto e Giada comincia a divertirsi con quel ragazzo che deve insegnarle le regole di latino e parla come un ragazzino di quindici anni. Fanno un ripasso dei complementi e dei casi e lei dimostra di sa-perne abbastanza per andare oltre la prossima volta. La saluta sorridendo, le chiede se si sia sentita a suo agio e se in-tenda continuare. «Perché? Era una lezione di prova?». «Non impongo la mia presenza se non è gradita. E si impara sol-tanto se chi insegna ci piace. Altrimenti è tempo perso». «Tu non mi hai imposto niente. Sei stato chiamato per un lavoro. Non è una cosa che facciamo perché ci piace. Io ne ho bisogno e tu guadagni qualcosa». «Non cambia niente. Continuo se tu vuoi».

Page 26: Il sole oscuro

24

«Vuole mia madre. E io voglio essere promossa senza debiti for-mativi. L’anno prossimo ho l’esame di maturità. Se arrivo in quinta preparata, è meglio». «Va bene, allora, alla prossima settimana. Ah, lo sai qual è il colmo per un professore di latino? Rifiutarsi di declinare le pro-prie generalità». «Che ridere!» risponde Giada con sarcasmo, mentre chiude la ser-ratura della porta d’ingresso. Si siede sul divano tenendosi il viso tra le mani e si meraviglia di se stessa. Ha parlato, ironizzato e sorriso, si è sentita bene. Nono-stante il disagio iniziale per la prima impressione sgradevole, e il titolo della versione, che l’ha riportata a un passato lacerante, è riuscita a non pensare, e quel Gerino con le sue stranezze, la camminata da condottiero e le frasi da cabarettista, in fondo non è così antipatico come aveva considerato. È particolare, spiritoso. Anche ciò che le ha detto al termine della lezione le è sembrato fuori luogo. Fa spallucce e apre il frigorifero, prende una lattina di birra e beve a piccoli sorsi dopo averla versata in un boccale, ammirandone la soffice schiuma che le segna tutt’intorno alle labbra un ovale di bollicine bianche. Tira fuori la lingua e lecca, facendola roteare. Poi accende lo stereo per ascoltare Someone like you di Marradi. Ogni tanto le piace cambiare genere musicale e passare dalla disco dance a qualcosa di classico e melodico. Il suono del pianoforte addolcisce l’atmosfera e allo stesso tempo la rattrista. In fondo è quello che cerca. La sensazione parte dal plesso solare, come un vuoto, un languore che lentamente si e-spande per arrivare alle gambe e alle braccia, fino a risalire alla testa, che diventa calda e comincia a pulsare come le sue ferite. E non le dispiace quel senso di lievità che la musica le procura, in-tervallato dal suo ritmo vitale. Si sofferma a sentire il suo corpo, i suoni nascosti degli organi, il dilatarsi e il contrarsi dei polmoni, e inspira profondamente, con gli occhi e la bocca chiusi. In quei momenti si isola dal mondo. Esistono soltanto la musica, pop,

Page 27: Il sole oscuro

25

rock, rilassante, meditativa, e lei. Lei che non è bella come molte delle sue compagne e non è corteggiata dai ragazzi, lei che non riesce a soddisfare le aspettative di sua madre che la vuole brava a scuola, ubbidiente e puntuale. Lei che si sente niente quando prende un brutto voto a scuola o fa arrabbiare la mamma, e tutto quando legge le sue adorate poesie, o ascolta le canzoni con le cuffie saldate alle orecchie, sollevandosi verso qualcosa che vor-rebbe raggiungere ma non riesce a focalizzare. Pensa a suo padre, a ciò che sua madre le ha raccontato cercando di non farle pesare la sua colpa. Almeno all’inizio, nei primi mesi dopo la disgrazia. Poi le cose sono cambiate. Sua madre è cambiata. Da donna sem-pre allegra, l’ha vista trasformarsi in una persona lunatica e di-scontinua, che a volte ride a squarciagola contagiandola con la sua ilarità senza ragioni, le dà i buffetti sulle guance, le massag-gia la testa, altre volte alza la voce senza che Giada ne comprenda i motivi, o la rimprovera, la insulta, la calpesta come una cosa i-nutile da eliminare. Il telefono squilla. Giada abbassa il volume e risponde: «Pronto». «Ciao Giada, sono Jessica. Tutto bene?». «Sì sì, grazie». «Senti, sabato faccio una festa per il mio compleanno. I miei mi lasciano la casa libera. Ti va di venire?». «Mah, non saprei. Non so se mia madre mi dà il permesso». «Ma quale permesso? Hai ancora bisogno di chiederlo a tua ma-dre? Dai, ci divertiamo». «Si farà tardi?». «Ma no, mezzanotte, l’una. Comincia alle otto e mezzo, va bene? Vestiti carina». «Non so se…». «Ah, un’altra cosa. Tu ti metti un bell’abitino e vieni una mezz’ora prima, così ti trucco. Ho anche la piastra per i capelli». «Chiedo a mamma. Domani ti dico».

Page 28: Il sole oscuro

26

«Mi raccomando, non fare la bambocciona. Sbatti i piedi per ter-ra. Mica abbiamo otto anni!». «Va bene va bene, ci provo». «A domani mattina, allora. Ciao, timidona!». Un invito a una festa non è per Giada una novità, ma non ha mai partecipato per le difficoltà che sua madre ha sempre creato. Con il tempo i compagni di classe hanno ridotto gli inviti di fronte ai suoi continui rifiuti, fino a escluderla del tutto. Le suona strano che Jessica sia tornata all’attacco e, tutto sommato, la cosa non le dispiace. Uscirà di sera, evento per lei quasi eccezionale, ascolte-rà musica e, forse, ballerà. Non sa ballare, si muove a casaccio cercando di seguire il tempo. Da sola, chiusa nella sua stanza, con le tende ben chiuse perché nessuno possa notarla dai palazzi di fronte. E soprattutto non lo farà di nuovo, come sempre accade quando, il sabato sera, la madre esce con le amiche e lei resta in casa a rimuginare e a contrarsi su se stessa.

Page 29: Il sole oscuro

27

CAPITOLO 5 Sente il rumore della chiave che si contorce nella serratura. Scatti nervosi e stonati, il modo di aprire che ha sua madre nei giorni peggiori. Sa già che le dirà di no, ma deve provare, ha promesso a Jessica che le darà una risposta domani. Entra senza salutare, le passa davanti ticchettando sulle scarpe con i tacchi sottili, getta la borsa sul divano, accanto a lei, senza notarla. Invisibile. È così che si sente Giada quando lei ha quei periodi di chiusura verso il mondo, e l’unico mezzo per sentirsene parte è sbattere contro di lei il suo rancore. Un capro espiatorio sempre a disposizione e maledettamente facile da usare. Lilly non è cattiva. Lei lo è. L’ha privata del suo compagno, dell’uomo comprensivo e accomodan-te che coglieva i suoi bisogni, esaudiva i suoi desideri, la spalla su cui poggiarsi sempre, e con il quale avrebbe accordato tutta la vi-ta. «Mamma, quel ragazzo è venuto». «E com’è andata?» le chiede mentre si sfila le scarpe camminan-do, le prende in mano e raggiunge la camera per cambiarsi. È una prassi che Giada detesta. Lei parla e sua madre va avanti e indietro, si sveste tra un passo e l’altro, si riveste entrando e u-scendo dalle varie stanze, si strucca con la radio accesa. Sta zitta, non può rispondere urlando per farsi sentire, aspetta che la rag-giunga e si sieda accanto a lei. Vorrebbe parlarle da vicino, guar-darla negli occhi, anziché piroettarle dietro per farsi ascoltare. Finalmente entra nel cucinino, apre un pensile, comincia a ma-neggiare con le pentole. «Allora?» le domanda con un tono che sembra di sfida.

Page 30: Il sole oscuro

28

«Credo bene. Ha chiesto se voglio continuare». «Ha chiesto a te se vuoi continuare? Ma tu pensi che stiamo gio-cando?». «No, lo ha chiesto lui». «Quello non chiede niente. Come diavolo si chiama? Ah sì, Geri-no. Lui fa. Lo pago per questo. Tu piuttosto, perché non sei in camera tua a studiare? Mica mi spezzo la schiena per vederti se-duta a cincischiare!». «Ho già fatto tutti i compiti». «My God, almeno potevi apparecchiare la tavola! Non sono la tua serva. Muoviti, svegliati, renditi utile. Sei una parassita» strepita con la voce che diventa sempre più urlante, in un crescendo di note stridule dal timbro acuto. È come il rumore del gesso sulla lavagna quando passa sulla superficie liscia con l’angolo sbaglia-to. Fa venire i brividi, un tremolio che parte dalle gambe e arriva veloce ai timpani, li sbatte, li fa vibrare. Vorrebbe mettersi le ma-ni sulle orecchie e scappare, ma si sente bloccata. Sa di meritarse-lo. Avrebbe dovuto preparare la cena, industriarsi in cucina, lava-re l’insalata, impanare due fettine. O farsi trovare con la testa bassa sulla scrivania a ripassare la grammatica latina. «Vai, vai in camera tua, ché tra un po’ mangiamo». Giada si alza e ubbidisce. Ha un po’ di tempo per ascoltare musi-ca. Chiude la porta dietro di sé e accende lo stereo con il dvd che ha comprato la settimana scorsa. Musica italiana, le canzoni di Grignani, “La mia storia tra le dita”. A volume bassissimo, senza le cuffie, per sentire la voce di sua madre nel caso in cui dovesse chiamarla. Si stende sul letto, come fa sempre, avverte l’odore dolciastro della carne che sfrigola sulla ghisa, i passi della madre tra i fornelli e i cassetti con la tovaglia e le stoviglie. Passi lunghi e affrettati, poi più lenti, come balzi di predatore che insegue la sua vittima per dare sfogo ai suoi bisogni primordiali, sedare l’istinto della fame e infine, una volta terminato l’attacco, soffer-

Page 31: Il sole oscuro

29

marsi gonfio dell’orgoglio vincente e saziarsi con lentezza e vo-luttà del corpo che ha sconfitto. C’è un vuoto davanti ai suoi occhi e quella canzone lo ingiganti-sce. Il soffitto e le pareti non hanno colore. È un bianco che di-venta grigio, dapprima chiaro, poi più grigio, più grigio ancora. Nero. Sfumature che cambiano di intensità, irregolari e in movi-mento, come nuvole di mare, quando i gabbiani volano altrove, perché sentono che arriva la tempesta, e vanno a ripararsi. Forse anche lì, tra quei grigi dei muri, da qualche parte è nascosto il so-le, ma lei non sa dove sia. Sarà scuro per sempre. Per lei e per sua madre, che ha perso il giallo e il rosso della vita ed è rimasta sola, cercandoli oltre le pareti di quella casa senza mai riuscirvi. Cenano in silenzio, entrambe tese. Giada non ha il coraggio di parlarle dell’invito di Jessica. Dirà all’amica che ha un altro im-pegno e lo aveva dimenticato, oppure che ci andrà, e poi, qualche ora prima della festa, le telefonerà per avvisarla che le è venuta la febbre alta. Taglia la carne a pezzetti piccoli, striscioline di pochi millimetri, per intenerirla e mandarla giù vincendo il senso di nausea. Non le piace la carne. Pensa all’animale ucciso. Su you-tube ha visto dei video in cui i vitelli vengono legati in corridoi talmente stretti da non potersi muovere. Li ammazzano con una pistola particolare o li sgozzano per dissanguarli. Loro capiscono che stanno per morire, si agitano, si gettano sulla pietra, si rivol-tano nel poco spazio che hanno a disposizione. Hanno paura. De-ve essere tremendo sapere che si sta per morire, di lì a poco. Chissà se sua padre l’ha sentita, quella paura. Ogni tanto Lilly la guarda per pochi secondi, riaffonda la forchet-ta nel piatto, infilza un pezzo grosso di bistecca e lo porta alla bocca mordendone parti più piccole. Potrebbe mangiare con le mani, con le zampe, o direttamente abbassando la testa sul tavolo, come fa la leonessa, guardandosi intorno ogni tanto, cauta e guar-dinga, per assicurarsi che non vi siano iene nelle vicinanze, che potrebbero impossessarsene. Prende il bicchiere, beve un dito di

Page 32: Il sole oscuro

30

vino rosso, lo ripone sul tavolo e lo accarezza a lungo, lo alza di nuovo, lo pone sulla guancia, quel piccolo bicchiere da osteria con le righe tutte verticali che ne seguono l’altezza. Osserva an-cora Giada, ma stavolta ha uno sguardo dolce e protettivo. La belva si è accorta del suo cucciolo, l’istinto famelico si è attenua-to. È tempo di tenerezze. Scosta il ciuffo fermandolo dietro l’orecchio. Ora ha occhi che spaziano largo. Allunga un braccio e le accarezza la testa. «Ti voglio tanto bene». Giada è abituata ai suoi cambiamenti d’umore. Le sorride, piena di gratitudine per quel ritorno. «Anch’io, mamma». È il momento giusto, lo aspettava, ed è arrivato prima di quanto sperasse. «Ho fatto i compiti, con Gerino la versione è andata benissimo. Ha detto che sono brava. Forse. Magari più di lui. No, scherzava. Insomma, ti volevo chiedere una cosa». «Che cosa, baby?». «Sabato Jessica festeggia il compleanno. Mi ha invitata». «Chi ci sarà?». «I compagni di scuola, poi non so». «E i genitori? Ci saranno i genitori?». «Credo di sì» azzarda mentendo. «Dovrai portarle un regalo. A che ora è la festa?». «Dalle otto in poi. Per l’una dovrebbe finire». «Domani le compri qualcosa. Un libro? Che ne pensi? O un brac-cialetto d’argento?». «Il secondo che hai detto. Non è una che ama i libri». «Eppure a scuola è brava. O no?». «Sì sì. Si vede che è un dono di natura». «Non siamo tutti uguali. A te piace leggere e a scuola non sei una cima. Ma che ci importa? Tu sei la mia bambina». «Grazie, mamma. Domani le dico che ci vado».

Page 33: Il sole oscuro

31

«Però ora sistemiamo la cucina. E tu mi aiuti a lavare i piatti». Giada non se lo fa ripetere due volte. La mamma insapona, lei ri-sciacqua e ripone nello scolapiatti. I corpi vicini che si sfiorano, l’acqua che schizza nel lavello e le bagna, le piccole risate per gli spruzzi inaspettati. Lilly che fa le facce strane, chiude un occhio e poi l’altro per evitare che il detersivo glieli faccia lacrimare, le braccia che si muovono in sincronia, come in una catena di mon-taggio ordinata e precisa. I piatti risuonano con il rumore caldo della ceramica, i tin tin dell’armonia. Lei la sente, ne gode fino in fondo. È il momento buono nell’altalena dei giorni, quando il suo sedile si alza, sua madre lo solleva, lo porta in alto. E da lì è tutto più chiaro, anche quel cielo buio e pesante che schiaccia lo sto-maco, vi si annida come un masso di granito, toglie l’aria, com-prime il diaframma. La abbraccia stretta, sua madre, per augurarle la buonanotte. Le prende le mani. «Scusami per prima. A volte sono nervosa, lo sai». «Lo so. Sei stanca, lo capisco. Al negozio hai tanto da fare e nes-suno ti aiuta». «Non è solo per il negozio» risponde abbassando la testa e la vo-ce. Giada non ribatte. Sa che cosa vuole dire. Lo sa bene. Tutto sommato ammira sua madre che, a quarantacinque anni, dopo che la vita l’ha picchiata così duramente e senza alcun preavviso, si cura come ha sempre fatto. Ha i capelli con un bel taglio giovani-le, senza un accenno di ricrescita, lo smalto sulle unghie, veste bene, mette il profumo. Ha comprato la licenza per aprire un ne-gozio, ha rilevato una piccola boutique, dedicandosi a quel lavoro con la determinazione di non soccombere, di vincere un dolore che ha preso altre strade, senza che lei se ne rendesse conto. Di continuare a darsi un senso. Fine anteprima.Continua...