Il sistema della parentela negli Stati Uniti contemporanei

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Talcott Parsons Il sistema della parentela negli Stati Uniti contemporanei A cura di Luca Guizzardi ARMANDO EDITORE

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Talcott Parsons

Il sistema della parentelanegli Stati Uniti contemporanei

A cura di Luca Guizzardi

ARMANDOEDITORE

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Indice

Presentazione 7 di Luca Guizzardi

Il sistema della parentelanegli Stati Uniti contemporanei 57 di Talcott Parsons

Nota bio-bibliografi ca 90

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Presentazione

Per una sociologia post-parsonianadella parentela: un brogliaccio introduttivo

di Luca Guizzardi*

«La famiglia sono nonni, zii, cugini, ni-poti… la famiglia è una storia».

(dal fi lm Almanya. La mia famiglia va in Germania, 2011)

1. Parsons: il problema (del sistema) e il dilemma(dell’individuo). Una delle ultime lezioni di Lévi-Strauss

Le scienze sociali hanno sempre manifestato un inte-resse per lo studio della parentela e della famiglia parti-colarmente forte e persistente. Solitamente, la sociologia e la demografi a si limitano a occuparsi della famiglia co-niugale perché essa è il prodotto della società moderna, il modello concreto e reale che caratterizza il nostro tem-

* Dedico questo lavoro ai miei parenti che ci sono sem-pre. Ringrazio Riccardo Prandini che, chiacchierando, buttò là l’idea di tradurre questo bel saggio di Parsons.

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po e la nostra società mentre gli etnologi, gli antropologi e gli storici allargano il loro interesse alla (sola) paren-tela perché è la chiave di lettura e di comprensione del-le società primitive, lontane e remote nel tempo e nello spazio. Il confi ne tra tutte queste discipline è diffi cile da delineare e da fi ssare, così il rischio di una confusione tra sociologia, antropologia, etnologia ed etnografi a quando ci si dedica a studiare la parentela è facile. Lo sforzo di Parsons è quello di dare più spessore all’approccio so-ciologico allo studio della struttura della parentela cer-cando di sviluppare quella che diverrà, storicamente, la prima teoria sociologica della famiglia e della parentela della società moderna.

La prima versione del saggio, qui tradotto, risale al 1943 e venne pubblicata non in una rivista di sociologia ma di antropologia, la American Anthropologist – inclusa poi successivamente nella raccolta Essays in Sociological Theory del 1949. Appena quarantenne, Parsons aveva già al suo attivo una quarantina di pubblicazioni; sei anni prima aveva visto la luce la sua prima opera fon-damentale che, poi, sarebbe diventata una pietra miliare della sociologia contemporanea, The Structure of Social Action. A Study in Social Theory. Anche la sua carrie-ra accademica era ben avviata – lavorava già da diverso tempo ad Harvard dove, nel 1946, avrebbe fondato il Dipartimento di Social Relations. Le idee e le rifl essioni elaborate e proposte nell’articolo in questione sono ra-dicate all’interno di un quadro concettuale e teorico già ben delineato nella mente di Parsons. Le sue rifl essioni non sono solo osservazioni sul moderno, osservazioni sulla società occidentale statunitense che stava vivendo sia la drammaticità del secondo confl itto mondiale sia una nuova fase di industrializzazione. Non sono neppu-

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re solo constatazioni delle trasformazioni a cui la famiglia della middle-class stava andando incontro, la nucleariz-zazione, l’isolamento strutturale, la defi nizione dei ruoli. È un testo molto semplice ma, allo stesso tempo, mol-to complesso. Con linguaggio chiaro e lineare, Parsons coglie le caratteristiche peculiari del sistema parentale statunitense alias occidentale spiegandoli, con maestria non comune, al lettore. Come lo stesso Parsons chiarisce al termine del suo articolo1:

questo breve articolo non vuole essere un’analisi esaustiva del sistema parentale americano o della sua interdipendenza strutturale con gli altri aspetti della nostra struttura sociale. Pochi problemi connessi a ciò sono stati qui affrontati. Si è cercato di fornire un’analisi descrittiva della struttura parentale così come essa si presenta e di illustrare l’importanza di una precisa e profonda conoscenza di tale struttu-ra ai fi ni della comprensione dei molti problemi di funzionamento della società americana e delle sue patologie laddove, nell’insieme, gli studiosi della famiglia americana hanno fallito nel medesimo ten-tativo.Questo paper vuole essere un contributo atto a col-mare questo gap nell’armamentario del nostro lavo-ro analitico.

Pur partendo dall’analisi terminologica, egli cerca di studiare la struttura della parentela e i ruoli che ne derivano. Se l’inizio avvicina Parsons a L.M. Morgan, il quale è stato il primo a realizzare un precisa e accurata analisi della terminologia della parentela2, l’originalità dell’oggetto scelto allontana i due: il sistema parentale

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occidentale nord-americano ed europeo3. Parsons, per primo, rispetto agli altri antropologi ed etnografi , rivol-ge l’attenzione ai sistemi parentali di tipo multilineare quando l’attenzione andava quasi esclusivamente ai si-stemi parentali di tipo unilineare. Curiosamente, dopo qualche anno dalla pubblicazione del saggio in questione e sulla medesima rivista, l’antropologo G.P. Murdock4, recensendo un articolo pubblicato l’anno precedente sullo stesso giornale, articola tutta la sua critica rifacen-dosi ai concetti espressi da Parsons seppur senza citarlo. Anche se Parsons parla di kinship mentre Murdock di kindred, quest’ultimo ribatte i due punti principali della teoria parsonsiana: la nuclearizzazione della famiglia e l’indeterminatezza del gruppo formato dai parenti colla-terali i cui confi ni “possono essere indefi niti e vaghi”5. Il problema centrale rilevato da Murdock, ma già sollevato da Parsons, è proprio quello derivante dal fatto che

la parentela collaterale, a differenza del lignaggio o del clan, non forma dei gruppi discreti ma è caratte-rizzata da sovrapposizioni e da appartenenze inter-secanti causando, così, un problema che le società con sistemi parentali bilaterali hanno mentre quelle con sistemi parentali unilineari non devono risolvere e cioè la soluzione a obbligazioni che confl iggono allorquando è prevista la partecipazione a entrambi i gruppi di parentela6.

Ecco il problema sistemico! Dare, prestare aiuto, cooperare ma con chi e, soprattutto, fi no a che punto? Questa questione, in Parsons, è il problema della kin-ship loyalty. Cosa succede non solo se non si deve dare – imperativo funzionale – ma anche se si eccede nella

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cooperazione, nella fusione in una sola entità (familiare o parentela che sia)? E, come si vedrà nel corso delle pagine seguenti, i vari approcci antropologici, etnografi -ci, e sociologici soprattutto, trattano – volenti o nolenti – proprio di questo. Ho defi nito ‘sistemico’ il problema della kinship loyalty perché va a toccare il sistema nella sua interezza e non solo la quiete della coppia coniugale. Da una parte, quindi, la parentela, dall’altra la famiglia nucleare. Non entro nel dibattito, soprattutto antropo-logico, sull’universalità o meno della famiglia nucleare – universalità sostenuta con forza e vigore da G.P. Mur-dock. Voglio solo cogliere l’occasione per un breve rife-rimento a uno degli ultimi scritti di Lévi-Strauss.

Come si sa, nella sua opera Le strutture elementari della parentela (pubblicata nel 1949, un anno dopo quel-la di Murdock, La struttura sociale, nella quale vengono sostenute tesi diametralmente opposte), il grande antro-pologo francese, criticando l’eccessiva esaltazione attri-buita alla famiglia monogamica e contestando l’univer-salità della famiglia nucleare, arriva a dimostrare che, al contrario, la monogamia è «il limite delle poligamie nelle società in cui, per ragioni assai diverse, la concorrenza economica e sessuale raggiunge forme acute»7, cioè è una poligamia mancata e la famiglia nucleare, anziché essere l’elemento su cui la società ha sempre costruito strutture parentali più complesse e ampie, «corrisponde piuttosto a un equilibrio instabile tra due estremi, che non a un bisogno permanente ed eterno che derivi dalle necessità più profonde della natura umana»8.

La chiave di lettura dell’antropologia della parentela di Lévi-Strauss non è la famiglia quanto il matrimonio, lo scambio matrimoniale: il sistema di parentela si costitui-sce in funzione dello scambio matrimoniale:

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lo scambio – e di conseguenza la regola di esogamia che lo esprime – ha, di per se stesso, un valore socia-le: fornisce il mezzo per legare gli uomini tra loro e per sovrapporre ai legami naturali della parentela i legami della colleganza matrimoniale retti dalla re-gola, che sono ormai artifi ciali perché sono sottratti alla casualità degli incontri o alla promiscuità della vita familiare9.

Infatti, se il matrimonio endogamico tende a imporre un limite al gruppo e a discriminare al suo interno, quel-lo esogamico, al contrario, spinge verso una coesione più grande e più estesa. Così Lévi-Strauss riprende alcune ipotesi relative a un’opposizione primitiva fra le due for-me di matrimonio e che fanno del matrimonio esogamico l’origine del matrimonio individuale moderno. Tenendo ferma questa idea perché fondamentalmente giusta – come egli stesso scrive – l’esogamia dev’essere ricono-sciuta come l’elemento di gran lunga più importante e «non è esagerato dire che essa costituisce l’archetipo di tutte le altre manifestazioni a base di reciprocità, e for-nisce la regola fondamentale ed immutabile che assicura l’esistenza del gruppo come gruppo stesso»10.

Regolando lo scambio di quel bene, di quel valore per eccellenza, sia dal punto di vista biologico sia dal punto di vista sociale, senza il quale la vita non sarebbe altri-menti possibile, la donna, l’esogamia, in ogni sua forma (diretta o indiretta, globale o speciale, immediata o diffe-rita, esplicita o implicita, chiusa o aperta, concreta o sim-bolica), è la forma necessaria dello scambio perché «è lo scambio, e sempre lo scambio, che risulta essere la base fondamentale e comune di tutte le modalità dell’istituto matrimoniale»11.

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Dopo quasi sessant’anni, Lévi-Strauss12 mantenendo la sua originaria idea dello scambio, ritorna parzialmente sui suoi passi. Già al tempo de L’uomo nudo, egli cita il caso di certi organismi unicellulari, le amebe, che, qua-lora non riescano singolarmente a trovare nutrimento, tendono a unirsi, dando vita a un corpo pluricellulare col quale raggiungono la fonte di sostentamento. Attra-verso la secrezione di sostanze, esse, attirandosi recipro-camente, si uniscono in un solo essere. Si tratta, quindi, di una cooperazione che segna il passaggio alla sociabi-lité – come la chiama Lévi-Strauss. Non è uno scambio. Andiamo a leggere Lévi-Strauss: «la vita sociale appare come il risultato di un’attrazione tra gli uni e gli altri ma non fi no al punto in cui l’attrazione, divenuta imperiosa, li porta a mangiarsi»13 come invece accade tra le amebe. Non c’è solo lo scambio che dà origine alla società. Non tutto, nella società può essere scambiato, afferma Lévi-Strauss nel suo Apologo – come aveva già notato nella Struttura, non si può sposare chiunque su cui si hanno dei diritti. Ma, subito dopo, per non negare tutto il lavo-ro di una vita, Lévi-Strauss afferma che se non c’è scam-bio non ci può essere la società. Ora, Godelier si inter-roga su come tenere assieme queste due proposizioni, su cosa non possa essere scambiato. Sembra un paradosso: non tutto è oggetto di scambio ma se non c’è lo scambio non c’è la società. Per risolvere questo paradosso, Gode-lier inserisce la dimensione del tempo, il tempo ritmato, scandito dal/del circuito del dono e la risposta che dà è estremamente intelligente: non c’è solo l’obbligo del dare, ma anche quello del trattenere ciò che va conser-vato per poi trasmetterlo alle generazioni successive14. A questo pensiero io aggiungerei, con assoluta modestia, anche il seguente: non solo occorre unirsi quando ce n’è

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bisogno ma non bisogna eccedere altrimenti si annulla l’altro (lo si mangia). Bisogna trattenere non soltanto per le generazioni successive ma bisogna anche trattenersi (dal dare, dal fondersi) affi nché l’altra generazione possa non essere soffocata.

Nella Struttura, c’è l’angoscia che il dono non sia con-traccambiato:

non si può dunque isolare un singolo matrimonio da tutti gli altri matrimoni passati e futuri che hanno avuto o che avranno luogo in seno al gruppo. Ognu-no di essi è il punto di arrivo di un movimento che, appena raggiunto questo punto, deve capovolgersi per svilupparsi in una nuova direzione: se appena il movimento si arresta, tutto il sistema di reciprocità ne resterà scosso. Il matrimonio, dunque, è la con-dizione necessaria perché la reciprocità si realizzi, ma contemporaneamente mette ogni volta in rischio l’esistenza della reciprocità: che cosa avverrebbe in-fatti se una moglie venisse ricevuta senza che una fi glia o una sorella fossero date?15.

Nell’Apologo, leggo l’angoscia derivante dal fatto che, eccedendo nella fusione e nella cooperazione per la vita di tutti, alcuni membri possano soccombere. La lettura che propone Godelier è una lettura fondata sull’asse della fi liazione e della discendenza – trattenere per trasmettere e la trasmissione è un dono senza ritorno perché annulla il tempo della restituzione diretta e im-mediata, mentre quella di Lévi-Strauss fa leva sull’asse dell’alleanza e dell’affi nità – lo scambio delle mogli. Si legge in Godelier

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non ci sarebbe la società umana se lo scambio non esistesse e se un certo numero di cose non venisse-ro sottratte allo scambio per essere conservate fuori della circolazione delle persone e dei beni e trasmes-se da coloro i quali le possiedono alle generazioni successive16.

Però, Godelier, come detto, non tiene in debita consi-derazione anche il fatto che non bisogna eccedere nel dare altrimenti l’attrazione, la fusione in un solo corpo (sociale) diventa mortale in quanto fagocita le altre componenti. Quando la sociabilité eccede il punto in cui prevale l’avidi-tà, i singoli organismi cominciano a mangiarsi tra di loro.

Se l’obbligo del dono reciproco defi nisce l’asse dell’alleanza coniugale; se l’obbligo del non dare per conservare e trasmettere defi nisce l’asse della fi liazione e della discendenza; se c’è l’obbligo ad arrestarsi nel dare aiuto sotto il punto in cui la cooperazione diventa “fa-gocitazione” delle altrui identità, queste tre dimensioni non possono essere lette come separate ma come stretta-mente legate tra di loro. Come? La trattazione qui espo-sta sulla parentela cercherà di dimostrarlo.

2. La profondità della lezione di Parsons:il (latente) problema telico

L’interesse che porta Parsons a occuparsi del sistema parentale americano è mosso, come egli stesso precisa, da due scopi. Il primo è quello relativo allo studio e alla comprensione della famiglia nucleare e del suo posto all’interno della struttura sociale più ampia; il secondo è quello relativo al fatto che il sistema parentale nord-ame-

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ricano stesso è di grande utilità per analizzare il sistema e il funzionamento della parentela in generale.

A livello generale, la parentela nord-americana (oc-cidentale, potremmo dire) è un sistema aperto, coniu-gale e multilineare (open, multilineal, conjugal system) – i tre elementi fi ssati da Parsons. È un sistemo aperto perché – dal punto di vista della terminologia – non vi è alcuna differenza tra i “consanguinei” e gli “affi ni”: lo zio è tanto il fratello della madre quanto il marito del-la sorella della madre (lo zio acquisito). È multilineare perché – dal punto di vista della terminologia – non vi è alcuna differenza tra la linea di ascendenza-discendenza paterna e quella materna: il nonno è tanto il padre della madre quanto il padre del padre. È coniugale perché è un sistema fatto esclusivamente dal concatenamento di «coppie di famiglie coniugali ciascuna delle quali ha un membro in comune» (p. 63).

A livello terminologico, quindi, le due parole più im-portanti e ricorrenti sono “famiglia”, per indicare l’uni-tà coniugale, “parente”, per indicare, indistintamente, chiunque sia un parente.

Lo studio che sviluppa Parsons non è un esercizio di pura analisi lessicale. È uno studio profondamente ana-litico che ruota tutto attorno a un elemento. Elemento che non è dato né dalla famiglia, né dal coniugio, né dal-la terminologia. E neppure l’individuo è questo elemen-to. Qual è? Ego. Ego non è il semplice individuo della middle class nord-americana. Ego, nella teoria parson-siana, è l’orientamento allo scopo del sistema della per-sonalità, ossia è l’orientamento alla realtà17. Senz’altro, possiamo rappresentarci concretamente ego come una persona con due gambe, due braccia, che esce di casa per sposarsi e per far fi gli. Ma le analisi di Parsons sulla

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parentela si riferiscono non tanto a ego come un’indivi-dualità defi nita da una persona, quanto a ego come la capacità del sistema della personalità d’organizzazione rispetto al mondo esterno, inteso come ambiente, e alla cultura comune, la quale viene incorporata attraverso il processo di identifi cazione con gli oggetti18. È il simbolo del padre che rappresenta questa modalità di organizza-zione regolare

attraverso il proprio padre come modello di ruolo, un ragazzo impara successivamente a diventare un padre in un’altra famiglia. L’identifi cazione, pertan-to, vuol dire internalizzazione del modello di ruolo generalizzato19.

Bisogna rammentarsi la seguente indicazione: per Parsons, il ruolo è il luogo dell’interpenetrazione tra la struttura della personalità individuale e il sistema socia-le20 – questo punto ci servirà più avanti.

Per rappresentare la struttura della parentela nord-americana, Parsons ritiene utile ricorrere alla metafora della cipolla: man mano che si procede verso gli strati più esterni, aumenta la “vaghezza” terminologica, l’indefi ni-bilità come egli stesso la chiama. Il cuore della struttura, il cerchio più interno, non è costituito, come erroneamen-te si potrebbe credere, da una sola famiglia ma dalle due famiglie coniugali di ego: quella di origine, formata dai propri genitori e dall’eventuale fratria e quella di procre-azione, formata dall’altro coniuge e dall’eventuale prole. Man mano che si va verso gli strati più esterni, nel nostro sistema parentale, il lessico parentale, pur potendo tro-vare, in linea di principio, illimitati strati della “cipolla”, non va oltre il cerchio più esterno formato dagli affi ni – i

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parenti del proprio coniuge ai quali è legato da vincoli di consanguineità e che si “acquisiscono” col matrimonio. Infatti, se per i membri del cerchio più interno, formato dall’intersecazione dei due nuclei coniugali ai quali ego appartiene, i termini non sono affatto equivalenti a quel-li che servono per indicare ogni altro relative esterno a questo cerchio – il “fratello” non è il “cugino” maschio, il “padre” non è lo “zio”, la “madre” non è la “zia” – per gli strati più lontani e remoti, il nostro vocabolario della struttura parentale riconosce solo due elementi: nella li-nea di ascendenza/discendenza, il prefi sso “bis” che vie-ne reduplicato all’occorrenza (bis-bis-nipoti, bis-bis-bis nonni, etc.) e il “grado” con cui i “collaterali”, sono cu-gini (cugino di primo, secondo, terzo, n. grado). Ma, per Parsons, il cerchio più esterno non è affatto irrilevante nella struttura complessiva della parentela. Tutt’altro. È ciò che rende “aperto” il nostro sistema parentale: ogni unione coniugale unisce due gruppi parentali tra i quali, fi no a quel momento, non vi era alcun vincolo parentale e che si ritrovano “parenti” tra di loro solo in quello spe-cifi co matrimonio.

Ora, quindi, la centralità dell’unità coniugale nel pensiero parsonsiano sta diventando più chiara. Ego è – come scrive Parsons nell’articolo – «il solo membro comune di queste due famiglie» (p. 64).

Perché è così importante? Perché – e per seguire il fi lo conduttore di questa nostra introduzione – il pro-blema, detto in soldoni, è quello della fedeltà. A qua-le delle due famiglie devo dimostrare la mia fedeltà? A quella che mi ha fatto nascere e mi ha cresciuto o a quella che sto formando con la persona che, liberamente e per amore, ho scelto? In termini concreti, ciò vuol dire: devo dare la precedenza al mio lavoro col quale contribuisco

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al reddito della mia famiglia o devo rinunciarvi per po-ter accudire i genitori anziani? Posso continuare a farmi mantenere dai miei genitori all’alba dei quarant’anni e con una mia famiglia sulle spalle perché non ho ancora trovato un lavoro all’altezza delle mie aspettative, della mia preparazione? Questa questione della fedeltà non ri-guarda soltanto gli scambi, gli aiuti; tocca la stessa iden-tità di ego. L’altra faccia del problema è (la lezione di Lévi-Strauss): l’eccessiva cooperazione tra soggetti porta a effetti contrari – alcune identità vengono meno. Nel senso: dov’è una moglie e madre se ella ha un sovraccari-co di lavoro di cura rivolto ai propri genitori?

A livello di sistema sociale, Parsons colloca la paren-tela e la famiglia nel sottosistema della latenza o del man-tenimento del modello – il sistema fi duciario – perché le funzioni delle famiglia «vanno interpretate non come funzioni svolte direttamente nell’interesse della società, ma nell’interesse della personalità»21.

Tale sottosistema è il sistema fi duciario. Il sistema fi -duciario è la zona di interpenetrazione tra il sistema cul-turale e il sistema sociale ed esso comprende strutture d’azione e processi nei quali il sistema culturale si arti-cola con specifi che funzioni del sistema sociale e «queste specifi che funzioni sono relative all’istituzionalizzazione di modelli culturali rilevanti nella società»22.

E il sottosistema fi duciario è così strutturato:

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Sistema costitutivo (religione civile)

(l)

Comunità morale

(i)

Sistema della razionalità (funzioni cognitive)

(a)

Sistema telico

(g)

Figura 1: Il sistema fi duciario (fonte: Parsons e Platt 1973, p. 20)

Tralasciando gli altri tre sottosistemi del complesso fi duciario, andiamo direttamente a quello telico perché è lì che Parsons colloca la parentela23. Scrive Parsons

il sistema telico, dal lato del sistema culturale, ri-guarda il simbolismo espressivo. Laddove i modelli di valore sono concezioni o “modelli” del desiderabi-le, così da assumere rilevanza normativa per l’azione sociale, la dimensione espressiva interessa i desideri delle personalità individuali, degli organismi e anche delle collettività24.

Questi desideri hanno per oggetto gli oggetti di ogni dimensione della realtà – quella culturale, sociale, psico-logica, organica, non-umana, fi sica – e le relazioni degli attori umani con questi mondi. Le modalità espressive di questa simbolizzazione riguardano sia un signifi cato negativo sia uno positivo: ciò che è temuto e ciò che è desiderato.

Se il sottosistema fi duciario è il luogo primario e fon-damentale dell’interpenetrazione tra il sistema sociale e quello culturale attraverso l’istituzionalizzazione dei va-lori, a sua volta «il sottosistema che noi chiamiamo telico

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è quello che attribuisce maggior enfasi all’ulteriore inte-grazione con la personalità individuale»25.

Questa ulteriore integrazione si focalizza sulla funzio-ne di raggiungimento della meta, funzione che è del siste-ma della personalità a livello del sistema generale d’azio-ne. A livello del sistema sociale, tale funzione appartiene al sottosistema politico, cioè la modalità di organizzare le componenti rilevanti del sistema sociale relativamente a una delle sue funzioni fondamentali, l’effi cacia dell’azio-ne collettiva diretta al conseguimento degli scopi della collettività26. Non solo è importante sapere come i valori culturali vengono istituzionalizzati all’interno del siste-ma sociale, ma lo è anche sapere come avviene specifi -catamente l’articolazione tra quest’ultimo e quello della personalità. Per fare questo, Parsons riprende la teoria freudiana del “principio di realtà” riformulandola. Così facendo, per Parsons, il processo catettico è alla base della capacità dell’individuo di prendere parte a proces-si collettivi istituzionalizzati di raggiungimento di scopi: l’individuo impegna se stesso in performance che la socie-tà sanzionerà positivamente. Il primordiale focus – parole testuali di Parsons – della funzione telica nella società è stato il sistema di parentela, il quale provvede alla con-nessione con le motivazioni degli individui. Infatti

i sociologi comunemente pensano che una funzione primaria della parentela e, soprattutto, della moder-na famiglia nucleare, sia quella di ordinare le mo-tivazione degli individui in relazione ai loro ruoli sociali27.

Inoltre,

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la direzione dello sviluppo della parentela, nella no-stra società, è stata di “de-differenziazione”, quella che veniva chiamata parentela “estesa” si è ristretta e ha lasciato la famiglia coniugale relativamente isolata con relazioni di parentela lasche e allo stesso tempo molte funzioni sono state trasferite dalla famiglia ad altre agenzie28.

Pertanto, anche se si potrebbe sostenere che la fa-miglia non sia un sistema sociale vero e proprio ma solo una collezione di personalità interagenti

noi crediamo che i caratteri distintivi della famiglia come sottosistema della società siano intimamente connessi alla sua peculiare relazione con la persona-lità e alle sue funzioni in favore di questa29.

La funzione è doppia: la stabilizzazione della perso-nalità adulta nelle relazioni di ruolo-performance e di so-cializzazione, processo col quale i bambini interiorizzano il modello culturale della società arrivando ad assumere il ruolo di adulto integrato col resto della società stes-sa. Per gli adulti, il sistema telico garantisce «la gestione delle tensioni emotive che, altrimenti, metterebbero a rischio la prestazione di ruolo»30. Così,

in questa prospettiva, un aspetto particolarmente signifi cativo dell’isolamento della famiglia nucleare nella nostra società è, ancora, il fatto di accentuare la stretta distinzione di status tra i membri e i non-membri della famiglia. In particolare, i coniugi sono spinti l’uno verso l’altro e, corrispondentemente, i loro legami con i membri delle rispettive famiglie di

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orientamento, soprattutto con i genitori e i fratelli e le sorelle adulti, risultano indeboliti. L’aspetto nega-tivo, in quanto fonte di tensione, delle conseguenze che ne derivano, può vedersi nel fatto che la famiglia di procreazione e, in particolare, la coppia coniu-gale, si trovano in una situazione “strutturalmente priva di sostegno”. Nessuna delle due parti ha un qualsiasi altro parente adulto cui potersi, di diritto, “appoggiare per sostenersi” in modo paragonabile a quella che è invece la posizione del coniuge31.

E quest’affermazione racchiude proprio il senso te-lico della parentela quale complesso simbolico espressi-vo fornito alle azioni individuali. Agli occhi di Parsons, l’isolamento strutturale della famiglia coniugale rispet-to alla rete parentale è un qualcosa di molto profondo: appartiene a quella sfera che tocca i delicatissimi mec-canismi latenti del mantenimento del modello. Cercare di modifi care ciò è andare a colpire la società nel suo profondo. È colpire la produzione culturale e simboli-ca e l’integrazione della personalità nel sistema sociale. Nella trattazione parsonsiana non c’è in discussione la semplice trama degli scambi tra parenti, ma la simbolo-gia che c’è dietro e che va oltre l’atto dello scambio. La strumentalità di uno scambio di favori tra ego e un suo parente deve essere ricollegata alla simbologia espressiva che è latente. Non tutto può essere scambiato. Non tutto può essere dato. Ciò che non può essere dato dagli altri parenti è quanto ricade nel ruolo di ego: è il lavoro di ego che non può essere prestato. Fintanto che il sistema (sociale) è perfettamente integrato e funziona, ogni sot-tosistema è in grado di realizzare la propria funzione in modo positivo. Non a caso, verso la fi ne del suo artico-

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lo, Parsons si riferisce a un problema che avrà la società americana – ed è proprio nella capacità predittiva che si misura la cifra di uno studioso – e che deriva dalla condi-zione degli anziani. Ma, oggi, possiamo allargare questo problema al problema della conciliazione lavoro-fami-glia, della protratta permanenza dei giovani in famiglia, della cura dei fi gli, etc. Per Parsons, non è una soluzione naturale il genitore anziano che va a vivere col proprio fi glio e la sua famiglia. Ma, senza alcun dubbio, anche la famiglia lunga del giovane adulto non è una condizio-ne naturale32. Non sono condizioni naturali perché è la stessa identità di ruolo a divenire incerta e, con essa, la capacità di gestire le tensioni emotive. Un esempio per tutti: la madre che deve dividersi tra la propria occupa-zione, il lavoro domestico, il lavoro di cura della propria famiglia, il lavoro di cura del proprio genitore anziano. Per risolvere il problema della fedeltà non basta la pro-messa d’amore (romantico) fatta al marito. Ciò che per Parsons era “interdetto”, oggi, è ricercato: una promessa e una prestazione di cura non anonima e non sistemica.

La famiglia nucleare, perché possa essere autonoma e indipendente, deve isolarsi – secondo Parsons – e, di conseguenza, i rapporti parentali esterni alla singola uni-tà coniugale non possono che essere laschi. Quello che Parsons, quindi, non era in grado di vedere, è proprio la possibilità di pensare ai rapporti parentali non con occhiali dicotomici o della logica binaria (sistemica, per l’appunto).

L’isolamento e l’indipendenza della famiglia nuclea-re dal resto della parentela sono imperativi funzionali sistemici. La parentela non è più una categoria indefi -nita, indefi nibile, ma è un sottosistema al quale la fami-glia non può non rapportarsi perché ogni ego ha il suo

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sistema parentale alle spalle e ogni ego, col matrimonio, istituisce un nuovo sistema parentale. Ora, però, la si-stematizzazione della sociologia della parentela operata da Parsons viene fatta nel solco del funzionalismo. La famiglia si privatizza così come la parentela. Entrambe si specializzano nelle loro funzioni – per la prima sono quelle di stabilizzazione della persona adulta e di socia-lizzazione dei bambini mentre per la seconda riguarda, più in generale, il simbolismo espressivo connesso con le motivazioni individuali – ma perdono la capacità di fare altro perché ci sono altri sistemi con altre funzioni. Per esempio, la famiglia non è più in grado di produrre assi-stenza e cura non in modo occasionale. O quanto meno, la famiglia non dovrebbe farlo. La parentela si privatizza diventando sempre più una mera questione simbolica-espressiva.

3. Parsons ha scoperchiato il vaso di Pandora?

3.1. La querelle tra Mitchell e Murdock

Grazie all’attenzione di Parsons rivolta al nostro si-stema parentale occidentale e moderno, il dibattito in sociologia comincia a interessarsi alla parentela in modo più preciso. E i primi passi sono stati proprio di critica nei confronti delle analisi condotte da Parsons. Paralle-lamente, nelle altre scienze sociali, come l’antropologia e l’etnografi a, il dibattito va articolandosi sempre più e Mitchell lo sintetizza così

tradizionalmente, sono due i principali approcci allo studio del funzionamento della parentela: (1) lo stu-

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dio di gruppi parentali organizzati o “corporate”; (2) lo studio dei legami parentali dalla prospettiva sociale di Ego. Mentre il primo approccio esamina l’organizzazione e le inter-relazioni dei gruppi pa-rentali “corporate”, come per esempio la famiglia estesa, il lignaggio, il clan, il secondo approccio esa-mina la natura e l’ampiezza delle relazioni di Ego con la parentela33.

Ma questo dibattito è segnato da una querelle molto importante tra Mitchell e Murdock, portata avanti sulle pagine della American Anthropologist e dalla quale la so-ciologia ha tanto da imparare.

La mossa d’apertura è l’articolo di Mitchell da cui ho appena tratto la precedente citazione. L’idea di fondo di Mitchell con la quale egli si presta a criticare l’intera scuola antropologica anglo-sassone e, così, il suo mag-gior esponente, Murdock, è molto semplice: la nozione di parentela non dev’essere usata solo riferendosi alle strutture di parentela cognatica o più in generale a grup-pi di parentela organizzati, ma dev’essere estesa a tutte le società in quanto la struttura di parentela è la rete di individui ego-centrata.

Per chi segue il primo approccio, quello della paren-tela come “corporate group”,

condividendo gli stessi avi e la stessa identità fi si-ca (corporelle) e sociale, i membri di un lignaggio costituiscono tutti insieme una sorta di individuo collettivo, una sorta di “persona morale” secondo l’espressione di Meyer Fortes presa da Maine e da Max Weber, che agisce come individuo unico, un corporate group che “non muore mai” non soltanto

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perché i suoi membri sono rimpiazzati da altri ma perché possiedono terre, titoli, diritti che devono essere conservati e trasmessi intatti di generazione in generazione34.

Il secondo approccio allo studio della parentela ri-scontrato da Mitchell è quello che considera la parente-la come ego-centrata. Seguire questo approccio evita di commettere due grossi errori – ci dice Mitchell – in cui gli antropologi cadono: lo studio della parentela limitato solo ai sistemi di tipo cognatico e ritenere ego ugualmen-te legato tanto al ramo paterno quanto a quello materno in termini di obbligazioni. I due approcci – o, come li defi nisce lo stesso Mitchell – i due sistemi di riferimen-to, quello del corporate group e quello della rete, sono complementari e non, come invece erroneamente hanno inteso la maggior parte degli studiosi, in competizione perché «lo studio delle relazioni parentali di Ego e quel-lo dello studio della parentela come corporate group si riferiscono a differenti ordini di relazioni sociali»35.

Si tratta, per Mitchell, di una distinzione analitica quella fra la parentela intesa come corporate group e quella intesa come rete ego-centrata.

In realtà, lo sforzo di Mitchell è diretto soprattutto a criticare la teoria di Murdock – e vedremo tra poco le risposte di Murdock date alle questioni sollevate da Mitchell. Però, ciò non toglie che Mitchell contribuisca a delineare in modo molto chiaro e, soprattutto, attua-le nonostante i cinquant’anni circa che ci separano, un modello alternativo a quello della corporate group. Per Mitchell la preziosa lezione che può essere presa da Mur-dock rileggendone il suo pensiero, è che la parentela più che essere uno specifi co tipo di struttura sociale presente

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in certe società e assente in altre è «un termine generico che indica la rete ego-centrata di parentela»36. Ciò non vuol dire – precisa Mitchell – che il concetto di paren-tela non possa essere oggetto di formulazioni strutturali. D’altro canto, nota sapientemente Mitchell, gli stessi an-tropologi ci hanno dimostrato la possibilità di identifi ca-re sistemi di parentela attraverso l’approccio “di rete”. Ma, sfortunatamente, questi stessi antropologi

hanno sempre lavorato con l’esplicita assunzione che i legami parentali siano caratteristica specifi ca dei sistemi di tipo cognatico e con l’implicita assun-zione conseguente che Ego sia legato da obblighi parentali in modo uguale sia al ramo paterno sia al ramo materno37.

L’approccio che Mitchell avanza si fonda su cinque premesse o assunzioni basilari: i) la parentela è un tipo di struttura sociale che deriva dall’analisi delle relazioni parentali di ego; ii) la parentela è un approccio metodo-logico valido per ogni società; iii) la parentela non è solo questione di categorie lessicali o di termini linguistici ma è la modalità con cui ego prende parte al proprio gruppo parentale; iv) la parentela è un termine generico che può essere applicato a diversi tipi di struttura; v) la parente-la come rete ego-centrata e la parentela come corporate group hanno differenti sistemi di riferimento ma non per questo sono reciprocamente incompatibili.

Ora, una lettura frettolosa di Mitchell potrebbe in-durre a ritenere che, per lui, la parentela sia ciò che ego decide essa sia scegliendo i propri parenti. Se il primo ap-proccio può essere collocato nell’ontologia (sociale) del collettivismo, un’errata interpretazione dell’approccio di

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rete avanzato di Mitchell potrebbe indurre a collocarlo nel solco dell’ontologia (sociale) individualista. Mitchell non commette lo sbaglio di passare da un estremo all’al-tro: da “la parentela come gruppo pre-strutturato, pre-determinato imposto a ego” – una sorta di confl azione verso il basso: la struttura socio-culturale che impone a ego la sua parentela – a “la parentela come gruppo scel-to da ego” – una sorta di confl azione verso l’alto: ego sceglie individualmente i proprio parenti, magari inclu-dendo nella cernita anche individui con i quali non ha alcun rapporto parentale pre-visto38. Mitchell non rifi u-ta la concezione del “corporate group” per abbracciare ciecamente quella diametralmente opposta, “occasional group”. Sarà Murdock, incredibilmente, a farlo. Mi spie-go.

Nella brief communication di Murdock alle critiche sollevate da Mitchell e a lui indirizzate, Murdock fi ssa bene questa dicotomia: occasional kin groups – il paren-tado – in contrapposizione a corporate kin groups39. I pri-mi, a differenza del clan e del lignaggio, non sono gruppi circoscritti e distinti ma

sono caratterizzati dalla sovrapposizione e dall’ac-cavallamento e l’appartenenza incrociata solleva un particolare problema nelle società con la discenden-za bilineare e che quelle con discendenza unilineare non conoscono – cioè la gestione pacifi ca tra ob-blighi confl ittuali quando è richiesta, da entrambi i gruppi, la partecipazione40.

Un altro modo per formulare il dilemma parsonsia-no della fedeltà. Per Murdock, quindi, non c’è una via di mezzo. O la parentela è quella del corporate group,

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un’identità collettiva strutturata e stabile nel tempo, o la parentela non può avere un’altra forma perché – come Murdock spiega ne La struttura sociale – il parentado non può agire come una collettività:

non può compiere una vendetta di sangue contro un altro parentado se essi vengono, per caso, ad avere membri in comune. Inoltre, un parentado non può essere proprietario di terra o di altri beni, e questo non solo perché non è un gruppo – salvo che dal punto di vista di un individuo particolare – ma an-che perché non ha alcuna continuità nel tempo41.

Ciò che Murdock non è in grado di fare è osservare il parentado non con gli occhiali della teoria del corpo-rate group. Rimanendo all’interno di questa ontologia, Murdock ritiene il parentado una sorta di equivalente strutturale e funzionale del lignaggio

il parentado è paragonabile grosso modo al lignag-gio, non soltanto per le dimensioni approssimativa-mente uguali, ma anche per il fatto che le relazioni genealogiche di ego con tutti i suoi membri sono note e riconosciute42.

Per cogliere la specifi cità del parentado occorre usci-re da quell’ontologia – come propone per l’appunto Mitchell.

Infi ne, la querelle ha un terzo momento conclusivo, la risposta di Mitchell alle obiezioni sollevate da Murdock: una brief communication nella quale Mitchell elabora ul-teriormente la sua proposta con non poca lungimiranza sociologica. Mitchell riprende due punti che egli reputa

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essere i più importati e già esposti nel primo articolo. Pensare la parentela come rete ego-centrata fa della pa-rentela stessa un concetto altamente generale che può essere riferito a tanti tipi strutturali di parentela. Ed ecco la prima argomentazione, la rete ego-centrata è condizio-nata da diverse variabili – questo punto era stato fi ssato nel primo articolo di Mitchell, ma in questo secondo la-voro viene indicato come il punto più importante. Queste variabili sono: i) fattori biologici (il sesso e l’età di Ego e quelli degli altri parenti in vita); ii) fattori ecologici e tecnici (la distanza geografi ca tra parenti, le modalità di comunicazione, etc.); iii) fattori sociali (la nomenclatura della parentela, la forza dei legami di mutuo sostegno, l’esistenza di norme e sanzioni, etc.); iv) fattori psico-logici (i sentimenti di ego verso i vari parenti e la sua volontà o meno di assumersi responsabilità, etc.). Sono variabili di diversa natura: diverse realtà – quella socia-le, quella biologica, quella culturale, quella psicologica – da cui emerge questa struttura reticolare della paren-tela. Indubbiamente, il realismo sociale qui andrebbe a nozze43! La parentela non può essere solo una real-tà biologica (la sola discendenza, la sola fi liazione, etc.) neppure una pura realtà sociale (come, invece, lo è per Durkheim). La parentela non può essere nemmeno solo realtà psicologica (i parenti che Ego nomina come tali). La rete parentale emerge proprio dalla combinazione di questi elementi, di queste diverse realtà. Rete parentale, non sistema parentale – da notare questa specifi cazione in quanto verrà ripresa tra poco. Il secondo punto è una conseguenza logica di questa posizione. La dicotomia di Murdock (o gruppo domestico o niente parentela, tutt’al più una forma contingente e occasionale, un actualized group) non può che essere rifi utata da Mitchell perché

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egli abbraccia una visione che non è assolutamente si-stemica bensì reticolare. Mitchell, ed è bene chiarirlo, non nega affatto l’esistenza di questi gruppi occasionali o assemblaggi parentali ad hoc, ma così come la struttura della parentela intesa come gruppo domestico e la rete parentale ego-centrata sono due livelli di analisi differen-ti, allo stesso modo, questi gruppi indicano un altro livel-lo di analisi44. Così come non possiamo comprendere la parentela tenendo in considerazione solo la dimensione strutturale, allo stesso modo «non possiamo compren-dere il modello delle relazioni parentali del singolo indi-viduo guardando semplicemente a con chi ha cenato la sera di Natale»45.

Lo stesso principio di parentela è «un fattore di orga-nizzazione nella creazione di gruppi sia permanenti sia temporanei per la realizzazione di attività economiche, sociali e rituali»46.

Per una sociologia della parentela, la proposta antro-pologica di Mitchell è estremamente rilevante e da acco-gliere in pieno. Da accogliere e da sociologizzarla – se mi si passa questo brutto termine. Per studiare la parentela, anziché seguire un approccio collettivista o un approccio individualista, bisogna adottare il paradigma di rete47.

È chiaro, almeno a me così sembra, che per Mitchell il concetto di rete parentale vada oltre il concetto di si-stema parentale (il corporate groupe), in quanto la pri-ma non deve coincidere naturalmente con il secondo, in quanto la rete parentale include il sistema parentale senza rischiare di essere, a sua volta, compresso a siste-ma. Cosa comporta, dunque, leggere il sistema parentale come una rete? Mitchell, implicitamente, ha già rispo-sto a questa domanda: il sistema parentale, dal punto di vista della network analysis, è la dimensione analitica

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della rete stessa in quanto indica i nodi che uniscono e che allontanano e fi ssa i circuiti e i meccanismi attraver-so i quali si esprime tutta la fenomenologia della paren-tela48.

Per Mitchell, ed è un punto di notevole rilevanza sociologica, gli individui non dipendono solo dalle ca-tegorie della parentela ma appartengono a delle reti. Attraverso l’analisi della rete ego-centrata, è possibile cogliere realmente e concretamente come la struttura della parentela sia un vincolo e una risorsa, al contempo, rendendo possibile l’emergenza delle interazioni.

C’è un punto, però, che Mitchell ignora completamen-te ma che, probabilmente, è il passo in più che potrebbe completare il suo paradigma di rete. Anziché ritenere ego, in quanto nodo della rete, un singolo individuo, ego è un individuo-in-relazione. Cioè, ogni nodo della rete, anziché essere ogni singolo individuo, è un fascio di rela-zioni. Questo punto che ritengo fondamentale, in realtà, potrebbe essere estrapolato nella parte fi nale della sua brief communication in quanto il corollario che Mitchell pone alla sua proposta va proprio in questa direzione. Il corollario è la prospettiva del life-cycle con cui “mappa-re” – come dice lo stesso Mitchell – cioè “strutturare” la stessa rete ego-centrata49. La rete, in questo modo, di-venta un qualcosa di dinamico, non di statico, di aperto, non di chiuso. Sarebbe interessante accostare la mappa-tura della struttura della parentela che fa Parsons nel suo articolo con quella della rete che fa Mitchell a conclusio-ne del suo articolo, perché dal semplice raffronto è pos-sibile cogliere proprio tutta la diversità dei due approcci. Mi limito solo a un punto. Entrambi si riferiscono a ego. Ma entrambi hanno due “visioni” di ego ben diverse: si-stemica quella di Parsons, umanistica quella di Mitchell.

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Inoltre, legare la rete della parentela a una prospettiva del ciclo di vita introduce un forte elemento costrittivo strutturale: non è un ego completamente libero da ogni qualsivoglia legame e di seguire ogni qualsivoglia desi-derio nell’eleggere i propri parenti, ma è un ego costret-to ad avere certi legami piuttosto che altri. Come poi la rete – non la struttura – dei suoi legami viene a prendere forma è questo che – non solo per Mitchell – è ciò che dev’essere studiato. In questo modo

la struttura della parentela di un individuo comincia a prendere forma non appena scopriamo il nume-ro e le posizioni genealogiche dei suoi 1) parenti in vita; 2) parenti vicini in termini spaziali; 3) parenti effettivi, cioè quelli con i quali egli mantiene qual-che rapporto; 4) parenti più familiari, cioè quelli con i quali ha rapporti più frequenti; 5) parenti stretti, cioè quelli con i quali egli è in costante rapporto50.

Infi ne, e poi lasciamo Mitchell51 e la sua impressio-nante attualità sociologica, sollevando un ultimo punto sulla natura dei rapporti parentali «indagando su que-stioni più specifi che relative alle relazioni affettive, socia-li ed economiche con i parenti è allora possibile delinea-re la struttura della parentela di Ego»52.

L’analisi dei reticoli sociali non può prescindere dagli scambi e dalla circolazioni dei beni che avviene attraver-so la rete stessa.

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3.2. Il sospetto dell’etnografi a sulla realtà – sociologica – della parentela

Mitchell, quindi, rompe con la tradizione antropo-logica ed etnografi ca anglo-sassone proponendo una prospettiva allo studio della parentela completamente originale e che non ha nulla in comune con i presuppo-sti e i principi fi no a quel momento predominanti. Ma qualche anno prima di Mitchell, un tentativo simile di rottura venne fatto da un etnologo, Freeman, il quale – per così dire – radicalizza l’idea di Murdock secondo cui il parentado è una forma contingente e occasiona-le priva di alcuna struttura. Nel suo articolo, tra l’altro premiato con un encomio del 1961, On the concept of the kindred, Freeman avanza l’ipotesi che il concetto di “kindred”non abbia alcuna validità sociologica, ossia non sia un gruppo nel senso sociologico del termine «ma piuttosto una categoria di parenti cognatici, un insieme (set) di persone che hanno in comune la caratteristica di essere tutti imparentati in vario grado con una stessa persona»53.

Per Freeman, il parentado54 – perché è l’accezione che egli dà alla parentela – non è una realtà sociologica perché è una realtà puramente biologica – il legame di sangue – che fonda una realtà morale – e non sociale – di obbligazioni reciproche: «c’è un’obbligazione morale per i parenti cognatici di supportarsi reciprocamente, e su questa base alcuni tipi di gruppi temporanei di azione costituiscono la parentela (kindred) dell’individuo»55.

Il problema qual è? È l’indeterminatezza e la vastità di questa categoria di “parenti cognatici”. Ecco perché i vari membri non riescono ad avere una percezione collet-tiva del gruppo; il gruppo stesso non è una unità discreta

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e autonoma – afferma Freeman. Anche laddove il paren-tado ha un riconoscimento giuridico, legale e formale «non accade che tutti i membri del proprio parentado emergano come gruppo-in-azione»56.

Ma, qualora si faccia leva su quell’obbligo morale, ecco che l’indeterminatezza e la vaghezza si risolvono in determinatezza e azione. Il riconoscimento dei parenti cognatici a cui chiedere (o dare) aiuto viene fatto – dice Freeman – non tanto facendo ricorso a una linea gene-alogica dimostrabile, quanto a una presunzione di con-sanguineità per via, per esempio, dell’età, della memoria, della vicinanza. Quindi, si può scegliere tra tutti i propri parenti quelli a cui chiedere. È lecito supporre, pertanto, afferma Freeman, che tanto più i rapporti siano stretti e frequenti quanto più l’individuo tenda a fare affi damen-to ulteriore su questi per eventuali necessità o, semplice-mente, a stringere ulteriormente i rapporti. Inoltre, ed ecco il punto più interessante, tale riconoscimento passa attraverso quella regola morale – naturale, mi verrebbe da defi nire seguendo Caillé57 – della reciprocità e che potremmo defi nire in chiave più moderna così: la reci-procità è un aiuto che concretamente Ego dà ad Alter, in un quadro di solidarietà nella consapevolezza che l’Alter farà lo stesso nel momento in cui Ego ne avrà bisogno58. Nuovamente, c’è la questione, annosa, dello scambio.

3.3. Il paradosso: nessuno è parsonsiano,tutti sono parsonsiani

Accanto alla teoria – strutturalista – della parente-la come corporate group, comincia a prendere forma e a diffondersi un approccio che fa della struttura della

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parentela non un qualcosa di pre-dato e pre-costruito rispetto all’individuo e che plasma l’agire dell’individuo stesso, ma una rete di interazioni intessuta dall’indivi-duo59. La sociologia della parentela scoprirà la validità di questo secondo approccio soltanto circa quarant’anni più tardi!

Ma perché è così importante il paradigma di rete? Perché è l’unico che permette di superare il paradigma della differenziazione (binaria, funzionale) sistema/am-biente – Parsons/o famiglia nucleare o parenti – e quel-lo dell’autopoiesi dei sistemi – Luhmann/la parentela è rumore nell’ambiente del sistema-famiglia60. Il limite principale delle critiche che l’antropologia e l’etnologia britannica hanno indirizzato a Parsons61 deriva proprio dall’aver, implicitamente, rafforzato la visione dicotomi-ca di fondo: parentela vs famiglia nucleare. Per esempio, anche il modello di “famiglia estesa” che Townsend ri-scontra diffusamente nel quartiere londinese di Bethnal Green – formata da tre generazioni, quella dei nonni, quella dei fi gli e quella dei nipoti – viene descritta anco-ra col riferimento alle “categorie” del paradigma strut-turalista – come rileva saggiamente Déchaux62 – e, di conseguenza, molte delle questioni che essa solleva e che Townsend stesso non riesce a risolvere sono dovute al fatto che non si tratta più di corporate group fac-simile ma di reti. Un po’ più di spazio vuole essere riservato alle critiche a Parsons che provengono dalla sociologia.

In ordine temporale, la primissima critica implicita e indiretta a Parsons è di Floyd Dotson, del 195163. Si tratta di uno studio empirico sulla famiglia della working-class del distretto urbano di New Haven volto a confutare la teoria secondo cui il processo sociale dell’urbanizzazio-ne segna la progressiva perdita di importanza dei gruppi

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primari che viene, invece, acquisita dai gruppi seconda-ri. Parsons non viene mai citato e neppure la sua teoria della parentela viene tirata in ballo. Ma le conclusioni a cui giunge Dotson sono una chiara smentita di questa, in quanto egli arriva a mostrare che per la maggior parte degli individui della working-class non sono le voluntary associations ma i parenti a fornire le occasioni di socialità e la risposta ai bisogni di compagnia e di svago64.

Rivolgiamo la nostra attenzione, quindi, alle critiche realmente indirizzate a Parsons. Leggendo i soli titoli di alcuni di questi studi, The help pattern in the middle class family, Parental aid to married children: implications for family functioning, Kin family network: unheralded struc-ture in current conceptualizations of family functioning65, Occupational mobility and extended family cohesion, Ge-ographic mobility and extended family cohesion66, si rica-vano già i tre principali argomenti attorno ai quali si van-no a strutturare le critiche a Parsons: gli scambi e gli aiu-ti, il superamento dell’isolamento della famiglia nucleare letta come scelta dicotomica “o famiglia o parenti” per andare verso una struttura più reticolare, un nuovo mo-dello di famiglia, quello della famiglia estesa modifi cata. Ecco che, allora, le critiche che vengono mosse a Par-sons partono proprio dalle preoccupazioni che Parsons stesso esprime negli ultimi capoversi del suo articolo qui tradotto. Se là Parsons esprime perplessità sulla tenuta della struttura telica qualora il problema della cura degli anziani diventasse (e lo diventerà, come ben sappiamo) sistemico e gravando in modo disfunzionale sulla tenuta e sulla solidarietà – nella sua accezione – della singola uni-tà della famiglia nucleare, qua, in questi articoli, si cerca proprio di dimostrare che «la famiglia della middle class […] non è una unità indipendente e isolata come gene-

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ralmente si pensa. Legami affettivi ed economici unisco-no ancora le famiglie generazionali e danno stabilità alle loro relazioni»67.

Molto vicina alle idee di Mitchell e di Freeman, la famiglia estesa modifi cata di Litwak è il primo tentativo – e riuscito – sociologico della dimostrazione che l’iso-lamento della famiglia nucleare non è l’unica garanzia alla sua indipendenza e autonomia. La famiglia estesa, o allargata, tradizionale, quella fondata sulla prossimità geografi ca, sulla dipendenza economica dei suoi mem-bri dall’autorità del capo famiglia, di solito il maschio, se bene si adatta alla pre-modernità, non si adatta alla moderna società industriale. Occorre modifi carla – pro-pone Litwak. In che modo? Anche se Litwak non lo fa consapevolmente in quanto è, alla fi ne dei conti, pur cri-ticandolo, un parsonsiano-funzionalista, introducendo il concetto di “rete” o quello che con tale concetto solita-mente si esprime. Infatti, la famiglia estesa modifi cata si differenzia da quella tradizionale per il fatto che «non pretende né la contiguità geografi ca, né la dipendenza economica, né una struttura gerarchica dell’autorità» e da quella nucleare isolata parsonsiana per il fatto che “attribuisce importanza e continuità all’aiuto”68. La fa-miglia estesa modifi cata è, allora, un insieme di famiglie nucleari legate tra di loro sulla base dell’uguaglianza e sul-la rilevanza dei legami come valore in sé tra le quali inter-corrono scambi e aiuti reciproci rilevanti e continui. In altre parole, la famiglia estesa modifi cata dà all’individuo le risorse e i mezzi per realizzare scopi sociali69.

La prossimità geografi ca non è più un pre-requisito in quanto grazie alle moderne tecnologie di comunicazione, i parenti possono ugualmente avere frequenti contatti e – Simmel docet – essendo il denaro la forma principale

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dell’aiuto dato, esso “riduce” alquanto le distanze o le lontananze. Riprendendo alcuni punti della teoria par-sonsiana, per Litwak la famiglia estesa modifi cata non ostacola più la mobilità professionale, in quanto il ruolo professionale ormai è indipendente dai caratteri ascritti-vi e gli aiuti che vengono dati riguardano soprattutto il sostegno rivolto dai genitori ai fi gli alla loro formazione e realizzazione educativa e professionale. L’interrogativo di fondo che anima le ricerche di Litwak è quello di ri-cercare se nella società urbana e moderna vi siano ancora delle strutture che realizzano quelle funzioni proprie dei gruppi primari70. La famiglia estesa modifi cata realizza proprio questa funzione di integrazione – ecco perché prima ho detto che Litwak è, alla fi n fi ne, parsonsiano – tra l’individuo e il sistema occupazionale attraverso gli scambi e i supporti che intercorrono. Se per Parsons, la trama degli scambi e degli aiuti dev’essere ridotta al mi-nimo altrimenti entra in crisi l’intera struttura sociale, per Litwak questa trama non può non entrare in crisi perché è proprio ciò che è funzionale all’integrazione e all’ordine sociale. Litwak, però, non a differenza di Parsons, non è stato abbastanza sibillino, lungimirante, in quanto “incastrato” in questa visione squisitamente romantica-funzionalista: gli scambi non arriveranno mai a essere un problema del sistema e dell’individuo.

È con il lavoro di Sussman che la sociologia della parentela subisce decisamente una svolta verso il para-digma reticolare dedicato «al funzionamento della rete parentale e familiare americana e alla matrice di aiuti e servizi tra i membri della parentela»71.

Se la teoria sociologica enfatizza il carattere dell’iso-lamento della famiglia nucleare, in realtà molte ricerche empiriche rivelano

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l’esistenza e il funzionamento di un sistema parenta-le esteso della famiglia e bene integrato all’interno di una rete di relazioni e di reciproca assistenza tra le linee bilaterali parentali trasversale a più generazio-ni […]. Il ruolo della rete parentale della famiglia è di supporto, non coercitivo, nei suoi rapporti con la famiglia nucleare72.

In altre parole, la parentela è una struttura di opportu-nità, la cui base è la reciprocazione73, di famiglie nucleari che si scambiano favori e aiuti non tanto per “dovere” e “obbligo” fi ssati quanto per la libertà del dono74. La realtà empirica, non quella teorica, precisa Sussman, di-mostra come sia la family network a essere il familismo urbano emergente. In generale, si tratta di un aiuto: i) liberamente e volontariamente dato per ragioni di affetto e non perché previsto da regole e da leggi; ii) presta-to sia dai genitori ai fi gli che dai fi gli ai propri genito-ri; iii) rivolto a supportare e a sussidiare i membri della famiglia più che a infl uire direttamente con la carriera professionale e lavorativa; iv) destinato ad aumentare a causa delle trasformazioni verso cui la società stessa sta andando (allungamento della vita, un nuovo ruolo dei nonni, etc.)75. Non c’è più il corporate group che usa i suoi membri per la propria unità e la propria perpetua-zione ma c’è una rete di legami, liberi e volontari. Non c’è più il corporate group ma famiglie nucleari legate tra di loro disinteressatamente interessate76.

La defi nizione di parentela come “struttura di possi-bilità” a servizio dell’individuo e della sua famiglia nu-cleare, nonostante il tentativo, riuscito, di superare Par-sons, fanno di Sussman un fortemente parsonsiano-fun-zionalista e che “maschera” come approccio pragmatico.

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Per Sussman, la parentela è valorizzata come strumento che permette il pieno sviluppo delle potenzialità delle sue unità77. Così Sussman

il sistema della parentela lavora effi cientemente all’interno del framework del complesso sistema burocratico ed economico col suo ethos rivolto a incoraggiare e favorire le abilità, la sua ideologia dell’uguaglianza, la sua aspettativa che gli individui “liberi come uccelli” vadano laddove ci siano le op-portunità per migliorare se stessi lasciandosi dietro il loro ambiente familiare. La struttura contemporanea della parentela è una struttura di opportunità perché accetta le priorità della società burocratica e, senza porgli troppe richieste, offre all’individuo i mezzi per arrivare (achieve), il più velocemente possibile e nel modo più effi ciente, a vedere ricompensati i suc-cessi dei propri sforzi nella società burocratica78.

Sussmann, al pari di Litwak, non si interroga sugli effetti negativi, sui mali, che questi scambi potrebbero causare per la stabilità dell’ordine sociale, ma ne vede solo la bontà. Se, per Parsons, la bontà dell’isolamento della famiglia nucleare è legittimata perché così l’indivi-duo può risolvere funzionalmente il problema telico, per Sussman e per Litwak la bontà della rete parentale deriva dal fatto che, con la rete parentale, la famiglia nucleare si adatta meglio alla società e l’individuo realizza meglio le sue potenzialità.

L’affermazione di Sussman secondo cui «la compren-sione della famiglia come sistema sociale funzionale in-terrelato agli altri sistemi della società è possibile solo se si rigetta il modello della famiglia nucleare isolata»79 è

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giusta, ma viene sviluppata sempre all’interno del para-digma funzionalista della differenziazione sociale.

Ora se si vuole seguire il paradigma reticolare80, non bisogna solo limitarlo alla famiglia ma alla società stessa. Salvare capre e cavoli – tenere il paradigma della dif-ferenziazione sistemica per la società e quello reticolare per la parentela – è un nonsense. Invece, per entrambi occorre cambiare paradigma e assumere quello della dif-ferenziazione relazionale per la società81.

4. Dopo Parsons: qualche punto per iniziare

Con questa introduzione ho focalizzato la mia atten-zione esclusivamente su Parsons e sul suo approccio. Riconosco che per cercare di delineare una sociologia della parentela82 – la speranza racchiusa nel titolo della presente introduzione – non sia suffi ciente. Per esempio, occorre misurarsi con la teoria (della pratica) di Bour-dieu, con la scuola di M.A.U.S.S.; occorre misurarsi con i processi di integrazione e di globalizzazione – la defi ni-zione dei legami parentali e il riconoscimento di strutture diverse dal (nostro) modello occidentale, il ruolo delle rete parentali transnazionali83; occorre misurarsi con le nuove forme di procreazione che aprono non solo a nuo-ve forme familiari ma anche alla necessità di ridefi nire le fi gure parentali coinvolte – basti pensare al caso di cop-pie lesbiche e gay incrociate per avere un fi glio84; occorre misurarsi con le più generali trasformazioni che stanno avvenendo in seno alla famiglia (le famiglie ricostruite, la diffusione dei nuclei mono-genitoriali, la crescita dei single e delle convivenze) e che inevitabilmente ricadono sulla struttura parentale; occorre misurarsi con il “mon-

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do” nascosto della produzione di servizi di cura e con l’economia “invisibile” degli aiuti scambiati che ormai sono un’alternativa all’offerta pubblica istituzionale, alle soluzioni private di mercato e agli armonizzatori sociali soliti. E, prima ancora di tutto questo, bisogna misurasi con i “classici” del pensiero sociale e con i “fondatori” della sociologia venuti prima di Parsons: Engles, Dur-kheim, Weber, Simmel.

Ma credo all’adagio, chi ben comincia è a metà dell’opera: occorre partire anche da un approccio che sia realmente valido e fruttuoso. Rimanere all’interno dell’approccio parsonsiano non serve: fi ntanto che si ra-giona in termini dicotomici e sistemici, in termini della specializzazione funzionale e della chiusura delle singole sfere (la famiglia rispetto alla parentela, la parentela ri-spetto alla società), non si è affatto a metà dell’opera.

Come defi nire, sociologicamente, la parentela? Az-zardo la seguente ipotesi: la parentela è quel reticolo nel quale la famiglia è naturalmente inserita e che costituisce un’apertura simbolica che pone una mediazione struttura-le fi ssando il posto di ego nella dinamica dei sessi, delle età e delle generazioni85. Molto brevemente, provo a svilup-pare i vari punti:

– reticolo…: la parentela non è un sistema sociale chiuso, atto o specializzato a svolgere solo deter-minate funzioni, ma è un insieme di relazioni in-tersecate in nodi (l’individuo con la sua famiglia);

– …nel quale la famiglia è naturalmente inserita…: ogni famiglia non può prescindere da una rete pa-rentale da cui proviene e una a cui dà vita;

– …che costituisce un’apertura simbolica…: il riferi-mento di senso sia nelle relazioni intersoggettive – il nome di famiglia, quell’avo in comune, la casa

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di famiglia dove i bis-nonni sono nati, etc. – che fanno della parentela quel determinato gruppo (di mondo vitale), sia nelle relazioni strutturali cioè nelle relazioni con le sub-culture di appartenenza e con la società più in generale e che fanno della parentela un’istituzione sociale – per esempio, lo scontro tra la sub-cultura dei matrimoni pre-com-binati dai parenti e la libertà di scelta del partner della società occidentale;

– …che pone una mediazione strutturale: legami cre-ati da aspettative reciproche – l’aiuto vicendevole nel badare ai propri fi gli, etc. – e dalle aspettative maturate dalle altre sfere sociali;

– …fi ssando il posto di ego nella dinamica dei sessi, delle età e delle generazioni: il posto di ego, all’in-terno di questa rete, è una relazione dinamica con l’Altro.

Questa defi nizione impedisce di:a) perdere la parentela in una defi nizione allargata di

famiglia;b) pensare alla famiglia come la semplice contrazio-

ne della parentela;c) fare della parentela un fatto meramente struttura-

le o un fatto meramente individuale;d) mantenere un ordine tra la realtà sociale, quel-

la naturale, quella simbolica senza ridurli l’uno nell’altro ma relazionalmente ordinati.

In questo modo, non si deve più pensare al rappor-to tra la famiglia, nodo della parentela (ma a sua vol-ta rete), e la parentela, la rete (ma a sua volta nodo) in modo sistemico-binario-funzionale, ritenendo che l’una si defi nisca per la negazione dell’altra e per la propria prestazione sistemica.

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Presentazione

Se la parentela è rete, anche la società lo è. Cioè: se-guire un approccio reticolare per la parentela e uno si-stemico per la società non è una mossa corretta – come si è visto in riferimento al dibattito sociologico sorto attorno all’articolo di Parsons. Se si segue l’approccio reticolare, famiglia e parentela non vengono più assunte come due sfere “privatizzate” chiuse l’una verso l’altra, in quanto la seconda è una minaccia all’autonomia e all’indipendenza della prima, rimanendo, però, nel solco della società della differenziazione funzionale, si sposta il confi ne sistemico solo un po’ più in là: non più attor-no alla famiglia ma attorno alla rete famiglia-parentela facendone sempre una questione privata, auto-referen-ziale, di chiusura affettiva.

Invece è lo spazio, e il tempo, della rete, degli scambi che vengono attivati e di quelli che non vengono attivati, di quelli che possono o non possono essere attivati da ego86, tra la famiglia, la parentela e la società, a confi gu-rare la specializzazione di queste sfere. Ecco l’altra metà del lavoro che (mi) resta da fare.

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NOTE

1 Ivi, p. 88. Colgo l’occasione per precisare che alcuni punti del-la lettura parsonsiana sono già presenti nella sociologia statunitense attraverso la descrizione fatta da Louis Wirth, nel 1938, dell’urba-nesimo quale modo di vita, L. WIRTH, L’urbanesimo come modo di vita, Roma, Armando, 2009.

2 L.M. MORGAN, Systems of Consanguinity and Affi nity of the Human Family, Washington, Smithsonian Institution, 1971. Come nota Godelier, Morgan ha attribuito all’antropologia uno dei suoi oggetti di studio più cari, la parentela, fornendole anche uno stru-mento di ricerca, il questionario sulla genealogia, e una prima serie di risultati scientifi ci relativi ai principi e alle regole seguite dalle so-cietà non europee per organizzare e stabilire i legami di discenden-za e le alleanze tra gli individui e i gruppi. Con Morgan, quindi, si interrompe quella lunga tradizione fatta di studi etnografi ci esegui-ti liberamente e in assoluta discrezionalità da missionari, militari, amministratori, commercianti residenti nelle colonie. Il principale limite di Morgan, evoluzionista, però è stato quello, presentando la famiglia nucleare, occidentale e monogamica come il modello razio-nale e lo stadio a cui non si può non giungere, di non considerare questa forma una modalità culturale etnocentrica al pari di tutte le altre, M. GODELIER, Métamorphoses de la parenté, Paris, Fayard, 2004.

3 Circa trent’anni dopo, attraverso la strada dell’analisi della terminologia parentale, Wordick arriva a concludere che il sistema parentale statunitense può essere considerato come un modello a sé stante grazie alle tre regole logiche su cui si fonda e che permet-tono di identifi care lo status di alcuni gradi di parentela altrimenti indeterminabili, FRANK J.-F. WORDICK, Another View of American Kinship, in «American Anthropologist», 75, 1973, pp. 1634-1656.

4 G.P. MURDOCK, The Kindred, in «American Anthropologist», 66, 1, 1964, pp. 129-132.

5 Ivi, p. 130 (nostra trad.). 6 Ivi, p. 131 (nostra trad.). 7 C. LÉVI-STRAUSS, Le strutture elementari della parentela, Mila-

no, Feltrinelli, 1969, p. 82. Godelier ritiene che quest’opera abbia

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Presentazione

spostato l’intero discorso antropologico sulla parentela in una zona di alta turbolenza scientifi ca.

8 C. LÉVI-STRAUSS, The Family, in H.L. SHAPIRO (ed.), Man, Culture and Society, New York, Oxford University Press, 1960, p. 273.

9 C. LÉVI-STRAUSS, Le strutture, cit., p. 615.10 Ivi, p. 616.11 Ivi, p. 614. L’incesto, per Lévi-Strauss, non è tanto la regola

che vieta di prendere quanto la regola che obbliga di dare: è la re-gola del dono per eccellenza.

12 Mi riferisco soprattutto a due scritti: Postface, in «L’Hom-me», 154-155, 2000, pp. 713-720 e a Apologue des amibes, in En substances. Textes pour Françoise Héritier, Paris, Fayard, 2001, pp. 493-496. Bisogna ammettere che l’idea esposta nell’Apologo è già presente ne L’uomo nudo (p. 652) ma è solo nell’Apologo che Lévi-Strauss rifl ette in un certo qual modo (che vedremo tra poco) sullo scambio. Sarebbe alquanto interessante leggere soprattutto le ultimi pagine de Il totemismo oggi, ove Lévi-Strauss, riprendendo il Tratta-to sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza di J.-J. Rousseau, pone come chiave del totemismo la pietà, l’identifi cazione in altri.

13 Ivi, p. 496 (nostra trad.).14 M. GODELIER, Métamorphose…, cit., p. 458 (nostra trad.).15 C. LÉVI-STRAUSS, Le strutture…, cit., p. 626.16 M. GODELIER, Métamorphose…, cit., p. 458 (nostra trad.). 17 T. PARSONS, R.F. BALES, Famiglia e socializzazione, Milano,

Mondandori, 1974, p. 436. 18 T. PARSONS (ed. or. 1952), The Superego and the Theory of

Social Sytems, in Id., Social Structure and Personality, New York, The Free Press, 1964, pp. 17-33, p. 30.

19 T. PARSONS (ed. or. 1954), The Father Symbol: An Appraisal in the Light of Psychoanalytic and Sociological Theory, in Id., Social Structure and Personality, New York, The Free Press, 1964, pp. 34-56, p. 47 (nostra trad.).

20 Per esempio, T. PARSONS (ed. or. 1958), Social Structure and the Development of Personality: Freud’s Contribution to the Integra-tion of Psychology and Sociology, in Id., Social Structure and Perso-nality, New York, The Free Press, 1964, pp. 78-111.

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21 T. PARSONS, R.F. BALES, Famiglia…, cit., p. 22.22 T. PARSONS, G.M. PLATT, The American University, Cambrid-

ge, Massachusetts, Harvard University Press, 1973, p. 18 (nostra trad.).

23 Per una spiegazione perfettamente articolata della complessa struttura sistemica della realtà rimando a P. DONATI, Teoria relazio-nale della società, Milano, FrancoAngeli, 1991 (cap. 4) e al saggio introduttivo di R. PRANDINI, Talcott Parsons e la cultura della società, in Id. (a cura di), Talcott Parsons, Milano, Bruno Mondadori, pp. 1-98.

24 T. PARSONS, G.M. PLATT, The American…, cit., p. 20 (nostra trad.).

25 Ibidem (nostra trad.).26 T. PARSONS (ed. or. 1963), Sul concetto di potere politico, in

Id., Classe, status e potere, Padova, Marsilio, 1970, pp. 87-138. Sul-la categoria del sistema politico e sulla relazione tra sistema della personalità e sistema sociale come suo elemento di base, rimando al bello studio di M. BORTOLINI, L’immunità necessaria. Talcott Parsons e la sociologia della modernità, Roma, Meltemi, 2005, p. 155 e ss.

27 T. PARSONS, G.M. PLATT, The American…, cit., p. 21 (nostra trad.).

28 T. PARSONS, R.F. BALES, E.A. SHILS, Working Papers in the Theory of Action, Glencoe, The Free Press, 1953, p. 265 (nostra trad.).

29 Ibidem (nostra trad.).30 T. PARSONS, G.M. PLATT, The American…, cit., p. 21 (nostra

trad.).31 T. PARSONS, R.F. BALES, Famiglia…, cit., pp. 25-26. 32 T. PARSONS, I giovani nella società americana, Roma, Arman-

do, 2006. Sul fenomeno del giovane adulto rimando al primo stu-dio che, nell’ambito sociologico italiano, l’ha analizzato in modo preciso, E. SCABINI, P. DONATI (a cura di), La famiglia “lunga” del giovane adulto. Verso nuovi compiti evolutivi, Milano, Vita e Pen-siero, 1989.

33 W.E. MITCHELL, Theoretical Problems in the Concept of Kin-dred, in «American Anthropologist», 65, 2, April, 1963, pp. 343-354, p. 346 (nostra trad.).

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Presentazione

34 M. GODELIER, Métamorphose…, cit., p. 128 (nostra trad.).35 W.E. MITCHELL, Theoretical…, cit., p. 346 (nostra trad.).36 Ivi, p. 349 (nostra trad.). 37 Ibidem (nostra trad.).38 Per le teorie confl attive rimando all’illuminante testo di M.S.

ARCHER, La morfogenesi della società. Una teoria sociale realista, Mi-lano, FrancoAngeli, 1997.

39 G.P. MURDOCK, The Kindred, in «American Anthropologist», 66, 1964, pp. 129-132.

40 Ivi, p. 131 (nostra trad.). 41 G.P. MURDOCK, La struttura sociale, Milano, Etas Kompas,

1971, p. 61. 42 Ibidem. 43 Intendo riferirmi soprattutto a quello critico relazionale,

A.M. MACCARINI, E. MORANDI, R. PRANDINI (a cura di), Realismo so-ciologico. La realtà non ama nascondersi, Genova-Milano, Marietti, 2008.

44 Una simile tripartizione viene fatta anche da Shimizu nel suo tentativo di studiare il sistema parentale giapponese mostrando la necessità di superare i classici approcci antropologici della paren-tela come semplice corporate group, A. SHIMIZU, On the Notion of Kinship, in «Man», 26, 3, 1991, pp. 377-403.

45 W.E. MITCHELL, The Kindred and Baby Bathing in Academe, in «American Anthropologist», 67, 4, 1965, pp. 977-985, p. 981 (nostra trad.).

46 Ibidem (nostra trad.).47 Per i successivi azzardi avanzati faccio riferimento in partico-

lare modo alla formulazione del paradigma di rete sviluppato da P. DONATI, Teoria relazionale della società, Milano, FrancoAngeli, 1991, pp. 101 e ss. e a quello dell’interazionismo strutturale di M. FORSÉ, L. TRONCA, Interazionismo strutturale e capitale sociale, in Id., Capi-tale sociale e analisi dei reticoli, numero monografi co di «Sociologia e politiche sociali», 8, 1, 2005, pp. 7-22. Collettivista, certamente, Mitchell non è. Indubbiamente, si potrebbe collocare Mitchell nel solco dell’individualismo e, in tal caso, e assumendo una terminolo-gia più sociologica e più moderna, Mitchell pende decisamente più verso una microfondazione che verso una microriduzione come spie-

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gazione (rimando a A. PANEBIANCO, L’autonomia e lo spirito. Azioni individuali, istituzioni, imprese collettive, Bologna, il Mulino, 2009, p. 27 e ss. ) – cioè è più per un individualismo debole che per un indi-vidualismo forte. Una spiegazione che fa della parentela un gruppo occasionale, un assemblaggio ad hoc, allora sì che si tratterebbe di un tentativo di ridurre completamente la struttura della parentela alla sommatoria delle azioni dell’individuo.

48 P. DONATI, Teoria relazionale…, cit., p. 103. 49 Qualcosa di simile è stato fatto da Cumming e Schneider stu-

diando la sibling solidarity, in E. CUMMING, D.M. SCHNEIDER, Sibling Solidarity: A Property of American Kinship, in «American Anthro-poligist», 63, 1961, pp. 498-507.

50 W.E. MITCHELL, The Kindred…, cit., p. 983 (nostra trad., no-stro cor.).

51 Oltre alla critica di Murdock rivolta a Mitchell, ve ne sono state anche altre. Per esempio, B. Cox, per il quale Mitchell non approfondisce le funzioni attorno alle quali si crea le parentela, propone anche non solo di considerare il fatto che le funzioni della rete parentale ego-centrata varino in funzione delle caratteristiche di ego stesso, ma pure il fatto che il numero dei soggetti può variare in ragione delle funzioni, B. COX, Comments on Mitchell’s Concept of Kindred, in «American Anthropologist», 66, 1964, pp. 1177-78.

52 Ibidem (nostra trad.).53 J.D. FREEMAN, On the Concept of the Kindred, in «The

Journal of the Royal Anthropological Institute of Great Britain and Ireland», 91, 2, 1961, pp. 192-220.

54 Defi nibile come gruppo di parentela centrato su Ego e che in-clude solo quei parenti cognatici che sono riconosciuti per scopi sociali, M. ARIOTI, Introduzione all’antropologia della parentela, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 133 e ss.

55 J.D. FREEMAN, On the concept…, cit. (nostra trad.).56 Ivi, p. 202 (nostra trad.).57 A. CAILLÉ, Y-a-t-il…, cit. 58 Così spiega P. Donati la reciprocità dello scambio di utilità e di

equivalenti né di doni reciproci per riconfermare il senso di appar-tenenza a una comunità, in P. DONATI, La società delle opportunità e delle responsabilità nell’ottica di una governance sussidiaria, paper

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Presentazione

presentato al seminario “Verso una società sussidiaria? Teorie e pra-tiche della sussidiarietà in Europa”, Bologna, 1-2 dicembre 2009.

59 Non è un caso che l’idea di reticolarità si sia diffusa all’interno dell’etnografi a e dell’antropologia inglese e non in quelle francesi in quanto, a livello generale, lo strutturalismo di stampo britannico culmina proprio con l’analisi reticolare, mentre quello di stampo francese rimane più che altro un movimento intellettuale alquanto generale, A. MARYANSKI, J.H. TURNER, The Offsprings fo Functiona-lism: French and British Structuralism, in «Sociological Theory», 9, 1, 1991, pp. 106-115.

60 Per maggior precisione, ecco le parole di Luhmann: «le fami-glie ora devono essere fondate daccapo a ogni generazione. Ciò che ora viene chiamato in un senso più scolorito “parentela”, viene vi-sto piuttosto come disturbo potenziale, in ogni caso non come aiuto per il matrimonio e la condotta del matrimonio», in N. LUHMANN, Amore come passione, Trieste, Asterios Editore, 2001, p. 184.

61 Segnalo gli studi empirici più importanti: P. WILLMOTT, M. YOUNG, Family and Class in a London Suburb, London, Routledge & Kegan Paul, 1960 e Family and Kinship in East London; E. BOTT, Family and Social Network, London, Tavistock, 1957; P. TOWNSEND, The Family Life of Old People. An Inquiry in East London, London, Penguin Books, 1957. Una rilevantissima scoperta realizzata dalle indagini antropologiche, quelle di Willmott e Young in particolar modo, riguarda la centralità della fi gura della madre – non si trat-ta del matriarcato –: una sorta di struttura matri-focale. Una bella ricerca recente sulle famiglie ricostruite rileva come la fi gura della madre occupi il ruolo centrale nella mediazione, S. CADOLLE, Être parent, être beau-parent. La recomposition de la famille, Paris, Odile Jacob, 2000.

62 J.-H. DÉCHAUX, La parenté dans les sociétés occidentales mo-dernes: un éclairage structural, in «Recherches et Prévision», 72, 2003, pp. 53-63.

63 F. DOTSON, Patterns of Voluntary Association Among Urban Working-Class Families, in «American Sociological Review», 16, 5, 1951, pp. 687-693.

64 Mi si potrebbe far rilevare che mentre Dotson si riferisce alla working-class, Parsons, nel suo articolo, si riferisce alla middle-class.

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È un’obiezione che non solo accetto ma sono il primo a indirizzar-mela. Non si tratta di una sottigliezza semantica in quanto succes-sive ricerche hanno dimostrato proprio la differenza tra il modello di socievolezza della classe media e quello della classe operaria. Ri-mando a una delle prime, quella di G.A. Allan, la quale per l’appun-to riscontra che se gli appartenenti alla classe media sviluppano le proprie amicizie con non parenti che essi incontrano in una varietà di contesti relativamente vasta, gli appartenenti alla classe operaia tendono a trovare gli amici soprattutto tra i parenti, G.A. ALLAN, Sociologia della parentela e dell’amicizia, Torino, Loescher, 1982.

65 Il primo di M.B. SUSSMAN, in «American Sociological Re-view», 18, 1, 1953, pp. 22-28; il secondo e il terzo di M.B. SUSSMAN, L. BURCHINAL e pubblicati entrambi in due numeri consecutivi della rivista «Marriage and Family Living» nel 1962 (24, 3, pp. 231-240 e 24, 4, pp. 320-332).

66 Questi ultimi due articoli sono per opera di E. LITWAK e ap-parsi in due numeri della «American Sociological Review» nel 1960 (25, 1, pp. 9-21 e 25, 3, pp. 385-394).

67 M.B. SUSSMAN, The help pattern…, cit., p. 28 (nostra trad.).68 E. LITWAK, Occupational mobility…, cit., p. 10 (nostra trad.)69 Così E. LITWAK in The Use of Extended Family Groups in the

Achievement of Social Goals: Some Policy Implications, in «Social Problems», 7, 3, 1960, pp. 177-187.

70 E. LITWAK, I. SZELENYI, Primary Group Structure and Their Functions: Kin, Neighbors, and Friends, in «American Sociological Review», 34, 4, 1969, pp. 465-481.

71 M.B. SUSSMAN, L. BURCHINAL, Kin Family Network…, cit., p. 231 (nostra trad.).

72 Ivi p. 240 (nostra trad.).73 M.B. SUSSMAN, The Urban Kin Network in the Formulation

of Family Theory, in R. HILL, R. KÖNIG (eds.), Families in East and West, Paris-Le Haye, Mouton, pp. 481-503, p. 493 (nostra trad.).

74 Sulla discussione del perché la normativa stessa dovrebbe guardare ai legami familiari con gli occhi del ciclo del dono piutto-sto che con quelli del ciclo dello scambio – come dice testualmente la Bartlett – rimando per l’appunto a K.T. BARTLETT, Re-Expressing Parenthood, in «The Yale Law Journal», 98, 1988, pp. 293-340. Ri-

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Presentazione

mando anche a J. FINCH, J. MASON, Obligations of Kinship in Con-temporary Britain: Is There Normative Agreement?, in «The British Journal of Sociology», 42, 3, 1991, pp. 345-367.

75 M.B. SUSSMAN, L. BURCHINAL, Parental Aid to Married Chil-dren: Implications for Family Functioning, in «Marriage and Family Living», 24, 4, 1962, p. 332.

76 La logica del dono, dell’incondizionailtà condizionale espres-sa bene da A. CAILLÉ, Il terzo paradigma. Antropologia fi losofi ca del dono, Torino, Bollati Boringhieri, 1998 e da R. PRANDINI, Opening Gift. Offrire la fi ducia. Rifl essioni sulla possibilità del ‘legame’ socia-le, in L. BOCCACIN, D. BRAMANTI, Dare, ricevere, fi darsi, numero mo-nografi co di «Sociologia e politiche sociali», 3, 2, 2000, pp. 79-118.

77 Parafrasando R. PRANDINI, M. BORTOLINI, Il diritto alla Privacy come diritto soggettivo. Semantica della neutralizzazione e struttura della società, in A.M. MACCARINI, R. PRANDINI (a cura di), Trasforma-zioni del diritto e soggettivizzazione del sociale, numero monografi co di «Sociologia e politiche sociali», 4, 1, 2001, pp. 74-132. La bella lettura che i due autori fanno di Parsons mi serve per sviluppare queste mie considerazioni.

78 M.B. SUSSMAN, The Urban Kin…, cit., p. 494 (nostra trad.). Sarebbe molto interessante approfondire il parallelo tra Sussman e il Parsons che tratta delle motivazioni delle attività economiche, del super-ego, del simbolo del padre.

79 M.B. SUSSMAN e L. BURCHINAL, Kin Family Network…, cit., p. 240 (nostra trad.).

80 È anche l’idea sviluppata da Déchaux ma limitata alla sola dimensione epistemologica e della teoria sociale pratica anziché estenderla anche a quella più ontologica, J.H. DÉCHAUX, La parenté dans…, cit.

81 P. DONATI, Quale conciliazione tra famiglia e lavoro? La pro-spettiva relazionale, in Id. (a cura di), Famiglia e lavoro: dal confl itto a nuove sinergie, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2005, pp. 31-84 e So-ciologia della rifl essività. Come si entra nel dopo-moderno, Bologna, il Mulino, 2011. A una posizione simile penso si possa ricondurre il contributo dato alla sociologia della parentela da un antropologo, M. OTTENHEIMER, The Current Controversy of Kinship, in «Czech Sociological Review», 9, 2, 2001, pp. 201-210.

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82 Nel 2003, un numero del Journal of Cognition and Culture è dedicato alla discussione sulla caduta della parentela, così è inti-tolato l’articolo di P. Sousa che è stato l’oggetto dei vari contributi raccolti, P. Sousa, The Fall of Kinship. Towards an Epidemiological Explanation, in «Journal of Cognition and Culture», 3, 4, 2003, pp. 265-303. Qual è la posizione del concetto di ‘parentela’ all’interno dell’antropologia, è una categoria che ha una sua ragione di essere, che esiste nella realtà o no? La sociologia dovrebbe fare altrettanto e non dare per scontato la realtà sociale di questa categoria. In-dubbiamente, i principi del realismo fi ssati da R. BHASKAR ne La possibilità del naturalismo, Genova-Milano, Marietti, 2010, posso-no fornire alla sociologia i punti per come articolare la discussione.

83 La bibliografi a è sterminata su questo punto. Segnalo solo tre articoli recenti particolarmente interessanti: E. BECK-GERNSHEIM, Transnational Lives, Transnational Marriages: a Review of the Evi-dence from Migrant Communities in Europe, in «Global Networks», 7, 3, 2007, pp. 271-288; M. HERZFELD, Global Kinship: Anthropo-logy and the Politics of Knowing, in «Anthropological Quarterly», 80, 2, 2007, pp. 313-323; N. FONER, J. DREBY, Relations Between the Generations in Immigrant Families, in «Annual Review of Sociolo-gy», 37, 2011, pp. 545-564.

84 A. CADORET, Genitori come gli altri. Omosessualità e genito-rialità, Milano, Feltrinelli, 2008; E. GRATTON, L’homoparentalité au masculin. Le désir d’enfant contre l’ordre sociale, Puf, Paris, 2008.

85 Sviluppo questa defi nizione seguendo P. DONATI, Manuale di sociologia della famiglia, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 118 e ss. e R. PRANDINI, La famiglia italiana tra processi di in-distinzione e ri-distinzione relazionale. Perché osservare la famiglia come relazione sociale ‘fa la differenza’; P. DONATI (a cura di), Il paradigma rela-zionale nelle scienze sociali: le prospettive sociologiche, Bologna, il Mulino, 2006, pp. 115-158, p. 146 e ss.

86 Rimando a J. FINCH, J. MASON, Passing On. Kinship and In-heritance in England, Abingdon, Routledge, 2000, dove gli autori propongono il relazionismo rifl essivo (refl exive relationism) anziché l’individualismo rifl essivo per studiare come ego costruisce la pro-pria rete parentale.