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Un’Associazione che tende a riunire tutti coloro che, nel comune e sempre vivo attaccamento all’Alma Ma- ter Studiorum, conservano e conserveranno una tradizio- nale dolce memoria di Pisa. Un sodalizio di ex studenti che, ovunque e comunque, vogliono rimanere idealmen- te «cittadini pisani» in forza di uno speciale e quasi fau- stiano «jus juventutis». Un impegno istituzionale verso l’Ateneo con intenti non solo affettivi ma anche concretamente rivolti a so- stenerne il prestigio per sempre migliori fortune. Associazione Laureati Ateneo Pisano A.L.A.P. – Area Vecchi Macelli, via Nicola Pisano 25, 56126 Pisa e-mail: [email protected] – sito web: www.alap-pisa.it Orario apertura sede: lunedì e mercoledì, 15.30-18.30 Telefono 050/544182; cellulare 334/2521741 c/c Postale 14152565 - C.F. 80011740505 BancoPosta IBAN: IT46X0760114000000014152565 BIC: BPPIITRRXXX 2-3.15 (119) Anno XLV - Mag.-Dic. 2015 Suona lento e grave. Il suo don, don, don... si sparge nell’aria assonnata: mentre la città si scopre dalla sua coltre di nebbia bianca mattutina. È la sveglia dello studente. da Antonio Cella, Il Campano, 1947 IL RINTOCCO DEL CAMPANO Rassegna periodica dell’Associazione Laureati Ateneo Pisano

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Un’Associazione che tendea riunire tutti coloro che,nel comune e sempre vivoattaccamento all’Alma Ma-ter Studiorum, conservano econserveranno una tradizio-nale dolce memoria di Pisa.Un sodalizio di ex studentiche, ovunque e comunque,vogliono rimanere idealmen-te «cittadini pisani» in forzadi uno speciale e quasi fau-stiano «jus juventutis».Un impegno istituzionaleverso l’Ateneo con intentinon solo affettivi ma ancheconcretamente rivolti a so-stenerne il prestigio persempre migliori fortune.

Associazione Laureati Ateneo PisanoA.L.A.P. – Area Vecchi Macelli, via Nicola Pisano 25, 56126 Pisa

e-mail: [email protected] – sito web: www.alap-pisa.itOrario apertura sede: lunedì e mercoledì, 15.30-18.30

Telefono 050/544182; cellulare 334/2521741 c/c Postale 14152565 - C.F. 80011740505

BancoPosta IBAN: IT46X0760114000000014152565BIC: BPPIITRRXXX

2-3.15 (119) Anno XLV - Mag.-Dic. 2015

Suona lento e grave. Il suo don, don, don...si sparge nell’aria assonnata: mentre la città si scopre

dalla sua coltre di nebbia bianca mattutina.È la sveglia dello studente.

da Antonio Cella, Il Campano, 1947

IL RINTOCCODEL CAMPANORassegna periodica dell’Associazione Laureati Ateneo Pisano

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IL RINTOCCODEL CAMPANORassegna periodica dell’Associazione Laureati Ateneo PisanoAutorizzazione del Tribunale di Pisa n. 4 del 12.4.1972

DIRETTORE RESPONSABILEBrunello Passaponti

REDAZIONELorenzo Gremigni (Segretario di redazione)Gino AlabisoRenzo CastelliOtello LenziVincenzo Lupo BerghiniMaurizio VagliniFabio Vasarelli

ALAPORGANI ASSOCIATIVI 2015-2017Presidente: Paolo GhezziVicepresidenti: Francesca Fiorentini, Lorenzo GremigniSegretario: Mario MesseriniTesoriere: Enzo GuidiConsiglieri: Evita Ceccarelli, Michele Froli, Virginia Messerini, Luca Morelli, Franco Mosca, Brunello Passaponti, Francesco Porcelli, Attilio Salvetti, Gabriella Stori, Maurizio VagliniLuigi Sartoni (cooptato con incarichi speciali)

Collegio dei Sindaci Revisori:Effettivi: Renzo Castelli, Otello Lenzi, Margherita PucinoSupplente: Leonardo Ferri

Collegio dei Probiviri: Lucia Calvosa, Enrico Maria Latrofa, Alberto Lucchesini

Consulente: Maria Rita Battellino

DELEGAZIONI:Belgio: Giancarlo Gianfranchi - BruxellesFriuli: Livio Piccinini - UdineLazio: Mirto Busico - Roma

CONSOLATI:La Spezia: Carla Cherchi - La Spezia«Plumbinensis»: Oberdan Lenzi - PiombinoVersilia: Otello Lenzi - Viareggio

Finito di stampare nel mese di dicembre 2015in Pisa dalle EDIZIONI ETS - Piazza Carrara, 16-19, I-56126 [email protected] - www.edizioniets.comtel. 050/29544 - 050/503868 fax 050/20158

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SommarioCari amici lettori, … (di Brunello Passaponti) 4

A Paolo Dario il Campano d’Oro 2015 (B.P.) 6

Il sacro tesoro delle reliquie: un aspetto meno noto del Duomo di Pisa(di Maria Luisa Ceccarelli Lemut) 24

L’eterna saggezza degli antichi proverbi (di Edda Bresciani) 33

Il prefetto Vincenzo Peruzzo: guidò la rinascita di Pisa dopo la liberazione (di Giuseppe Meucci) 37

Sapienza: si va verso la sua riapertura (b.p.) 47

Giuseppe Viviani e il dipinto della Madonna Addolorata per la chiesa dei pescatori di Tellaro (di Maria Guya Brunetti) 50

Quando l’Italia era terra d’emigrazione (di Vincenzo Lupo Berghini) 56

È scomparso Sergio Donadoni, egittologo insigne, Campano d’Oro 1981(di Edda Bresciani) 59

Mario Incisa della Rocchetta, re dei purosangue e dei grandi vini (di Renzo Castelli) 65

Riccardo Felici, il figlio segreto del Foscolo (di Gino Alabiso) 72

La singolare vicenda della lapide al goliarda Stravizio (di Otello Lenzi) 74

Grande successo di Otello (b.b.a.) 77

Le divertenti serate estive degli incontri di vernacolo dell’Alap (l.g.) 78

Recensioni (B.P., O.L.) 80

Il Ricordo (L.G.) 83

AlapNotizie 85

In copertina: Il professor Paolo Dario riceve dal presidente dell’Alap Paolo Ghezzi la medaglia e lapergamena del Campano d’Oro 2015.

In quarta di copertina: Avanguardie della V Armata americana del generale Clark fanno il loro in-gresso, dalla Porta Nuova, in piazza del Duomo il 2 settembre 1944, giorno della liberazione di Pisa.

Foto: Alap, G. Alabiso, Archivio Opera del Duomo, E. Bresciani, M.G. Brunetti, R. Castelli, M.L.Ceccarelli Lemut, Edizioni ETS, L. Gremigni, O. Lenzi, V. Lupo Berghini, G. Meucci, B. Passa-ponti, Università di Pisa.

Per quanto riguarda le immagini pubblicate sul presente fascicolo, l’editore resta a disposizione degliaventi diritto non potuti reperire.

Disegni: N. Gorreri.

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Cari amici lettori, con questo fascicolo si chiude la

mia direzione del Rintocco del Cam-pano. Come scrissi quando mi pre-sentai a voi nel 2009, appena nomi-nato dal consiglio direttivo dell’A-lap, per me è stato un grande onoreed anche una responsabilità moralenon indifferente assumere la guidadella rivista in avvicendamento aduomini come Ranieri Favilli, FabioTronchetti, Rodolfo Bernardini eGuido Gelli che nel passato si erano

succeduti nell’incarico. In questi sette anni ho svolto il mio ufficio con grandeimpiego di energie e risorse personali, con dedizione totale, spendendomi,posso dirlo, senza riserve. Ritengo che ora sia giunto il momento di passare iltestimone. Ciò per un crescente senso di stanchezza che mi fa sentire l’impe-gno progressivamente più gravoso e sempre più penalizzanti e poco sopporta-bili le difficoltà e ed i contrattempi che esso porta con sé (ma che probabil-mente negli ultimi tempi sono andati accentuandosi). Inoltre perché ritengoche in una responsabilità editoriale ad un certo punto il cambiamento si im-ponga. Idee originali, energie fresche, visioni personali innovative, sensibilitàe prospettive diverse non potranno che ravvivare e rendere più interessanti icontenuti dei fascicoli che vi vengono periodicamente proposti. Dentro l’Alapnon mancano certo risorse d’intelligenza e di cultura, forse anche più in lineacon il modo di essere attuale della nostra associazione, per rispondere al me-glio a questa domanda.

Nell’accomiatarvi da voi, voglio anzitutto ringraziare la redazione ed i col-laboratori della rivista. Se essa ha mantenuto fino ad oggi l’apprezzamento,in più modi e da più provenienze testimoniatoci, che aveva saputo guada-gnarsi in passato ciò innegabilmente è dovuto al lavoro di squadra per laprogettazione dei contenuti editoriali ed alla qualità degli articoli che hannoscritto, a titolo rigorosamente gratuito, i diversi autori le cui firme sono a voitutti ben note.

Cari amici lettori, …

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Un sentito ringraziamento è dovuto anche ai nostri sponsor, che non sto quiad elencare ma che certamente ognuno ricorderà per le inserzioni, mai banalie spesso graficamente eleganti, apparse sulle nostre pagine. In questi sette an-ni la pubblicazione della rivista non ha gravato di un euro sulla tesoreriadell’Alap, cosa assai importante viste le magre finanze dell’associazione, etanto è stato ottenuto in virtù della generosità dei nostri sostenitori.

Infine un saluto a voi, cari amici lettori. Spero abbiate colto con piacere edinteresse i contributi e le proposte che il Rintocco vi ha presentato nei vari fa-scicoli di questo periodo. La redazione ha messo grande impegno per rinverdi-re il ricordo dei grandi Maestri, delle tradizioni e della storia della nostrauniversità sullo sfondo della città che da secoli la ospita nonché per suscitarel’attenzione su alcuni degli eventi più significativi della vita stessa dell’ate-neo ai giorni nostri. In tal modo si è cercato di rafforzare «il comune attacca-mento all’Alma Mater Studiorum» e di ravvivare una «dolce memoria di Pi-sa» così com’è nelle finalità istitutive dell’Alap. Rimanete sempre affezionatial Rintocco del Campano che continuerà la sua bella avventura editoriale aldi là delle persone che possano assumerne pro tempore la responsabilità dellaguida.

Brunello Passaponti5

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La solenne cerimonia nei restaurati Arsenali repubblicani

Dal mondo antico al futuribile. IlCampano d’Oro dell’Alap passaquest’anno dalle mani della grandeegittologa Edda Bresciani (premiatacome si sa nel 2014) a quelle dell’e-sperto di fama internazionale di ro-botica Paolo Dario. Ancora: da unalucchese ad un livornese che, en-trambi, di Pisa hanno onorato, con iloro studi e le loro ricerche, la suauniversità.La cerimonia di conferimento si è

tenuta agli inizi di dicembre nei lo-cali degli Arsenali repubblicani, direcente «riaperti» dal Presidentedella Repubblica Sergio Mattarellanel corso della sua visita ufficiale aPisa. Questi imponenti edifici neiquali venivano realizzate le imbarca-

zioni militari e commerciali nel pe-riodo di Pisa repubblica marinara,furono semidistrutti dai bombarda-menti alleati nell’agosto del 1943, ri-manendo quindi inutilizzati, allo sta-to di veri e propri ruderi, fino ai gior-ni nostri. Adesso, ristrutturati dal co-mune di Pisa con ben appropriati la-vori durati oltre tre anni, per un im-pegno finanziario di quasi 5 milionidi euro, in parte coperti dal contribu-to di fondi europei, sono tornati anuova vita con la prospettiva di esse-re utilizzati come spazi aggregativied espositivi al servizio della città. Ilconferimento del Campano d’Oro aPaolo Dario ha costituito il primo im-portante incontro pubblico che si ètenuto in quei locali dopo l’inaugura-zione del Presidente Mattarella.La cerimonia è stata aperta dai

saluti del rettore dell’università diPisa Massimo Augello e del sindaco

A Paolo Darioil Campano d’Oro 2015

Il prestigioso riconoscimento dell’Alap al «laureato dell’anno del-l’università di Pisa» è andato per il 2015 allo studioso di famainternazionale di robotica; ha rinunciato ad importanti offerte dilavoro da Germania, Cina e Giappone preferendo privilegiare lestrutture di ricerca della nostra università e della Scuola Sant’An-na; il complesso dei centri di eccellenza germogliati intorno allesue ricerche fa di Pisa un riferimento mondiale nel campo dellarobotica biomedica e bionica.

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di Pisa Marco Filippeschi, cui è se-guita la Laudatio tenuta dal profes-sor Franco Mosca, emerito dellaScuola di medicina del nostro ate-neo e membro del consiglio direttivodell’Alap. Subito dopo, il presidentedell’Alap, Paolo Ghezzi, ha letto lamotivazione del conferimento e con-segnato al premiato la medaglia e lapergamena del Campano d’Oro2015. La conversazione del profes-sor Dario ha preceduto l’omaggiomusicale del coro dell’università di

Pisa, diretto dal maestro Stefano Ba-randoni, con l’intervento del con-tralto Francesca Pagni e della piani-sta Silvia Mannari. A chiudere lagiornata, un’elegante apericena, te-nutasi negli stessi locali degli Arse-nali repubblicani, curata dall’istitu-to alberghiero «Matteotti» di Pisa eresa particolarmente piacevole dalcontributo dei prodotti del territorioofferti dalla «Bottega del Parco» edai vini offerti dal «Consorzio To-scana Sapori».

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Uno sguardo d’assieme del salone dei restaurati Arsenali repubblicani, in zona Cittadella, dove si ètenuta quest’anno la cerimonia di consegna del Campano d’Oro.

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Questi i principali passaggi della cerimonia.

L’introduzionedi Massimo AugelloRettore dell’Università di Pisa

Una grande galleria di laureatiinsigni dell’università di Pisa

Gentili autorità, cari colleghi, si-gnore e signori,porgo a tutti voi il più cordiale

benvenuto alla cerimonia di conferi-mento del «Campano d’Oro» – giun-to alla 44esima edizione – che que-st’anno viene assegnato al professorPaolo Dario, ordinario di Roboticabiomedica alla Scuola SuperioreSant’Anna, nonché direttore dell’i-stituto di Biorobotica della stessaScuola e direttore del Polo Sant’An-na Valdera.Il nome del professor Dario va ad

aggiungersi alla galleria di laureatiinsigni dell’università di Pisa chehanno ricevuto questa onorificenza,a partire dallo storico Roberto Ri-dolfi, premiato nel 1971, e fino adarrivare all’egittologa Edda Brescia-ni, selezionata per l’edizione delloscorso anno. Sono uomini e donne discienza e di cultura, intellettuali,imprenditori di successo e artisti fa-mosi; tutte figure di straordinariospessore che hanno dato lustro all’a-teneo e alle istituzioni accademichedella città.Con questa iniziativa oggi, si ani-

mano gli spazi espositivi degli Arse-

nali repubblicani, dopo gli interventidi riqualificazione e l’inaugurazionedi alcune settimane fa, alla presenzadel Capo dello Stato, Sergio Matta-rella. Tra le principali testimonianzedel passato marinaro della nostracittà, gli Arsenali repubblicani sonoallo stesso tempo parte integrantedel progetto della Pisa che verrà, es-sendo inseriti in un percorso dalleenormi potenzialità culturali e turi-stiche che comprende gli Arsenalimedicei – con il museo delle Anti-che navi romane – l’area dei Vecchimacelli – dove uno Science Centerintitolato a Galileo Galilei affianche-rà il museo degli Strumenti per ilcalcolo – e il rinnovato Orto botani-co, che diventerà sede del sistemamuseale dell’università.

L’importanza delle ricerche del professor Paolo Dario

Anche le ricerche del professorPaolo Dario – che oggi premiamo –aprono una finestra sul nostro futu-ro, fatto di robot che ci accompagne-ranno nell’arco della vita, aiutando-ci in molte attività quotidiane e svi-luppando un’autonoma «intelligen-za» al servizio dell’uomo.Oltre a incarnare il nostro deside-

rio di un futuro migliore, l’ingegne-ria robotica è già attualmente un’in-dustria in piena espansione, con un

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giro di affari globale che è stimato incirca 27 miliardi di euro e con unastraordinaria capacità di produrreinnovazione. In questo settore, l’Ita-lia ha un ruolo significativo e Pisa,con le sue diverse istituzioni, emer-ge a livello internazionale comecentro di riconosciuta avanguardia.L’ultima conferma, in ordine di

tempo, arriva dal «Sole 24 Ore» dipochi giorni fa, che in un inserto de-dicato al mondo dei robot ha segna-lato come sedi di eccellenza nel no-stro paese – insieme all’Istituto Ita-liano di Tecnologia di Genova e alLaboratorio di intelligenza artificia-le del politecnico di Milano – sia ilCentro di ricerche in Bioingegneriae robotica «Enrico Piaggio» dell’u-

niversità di Pisa sia l’istituto di Bio-robotica della Scuola SuperioreSant’Anna, diretto, come ricordavoall’inizio, dal professor Paolo Dario.Le due strutture hanno un’origine

comune, che deriva dalla tradizioneche Pisa vanta nel campo dell’inge-gneria e che ha come momento fon-dativo l’istituzione nel lontano 1965– e dunque esattamente 50 anni fa –del «Centro per l’automatica», natonella facoltà di Ingegneria con l’o-biettivo di svolgere studi e ricerchesull’automazione nell’industria.Il centro, che venne intitolato a

Enrico Piaggio, fu fortemente volutodall’allora rettore, il professor Ales-sandro Faedo, che ne fu anche ilprimo direttore. 9

Il rettore Massimo Augello nel suo intervento alla cerimonia di consegna del Campano d’Oro.

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Dopo alterne fortune, il centroPiaggio si è rilanciato definitiva-mente tra la fine degli anni ’70 e glianni ’80, grazie innanzitutto all’im-pulso dato da due bioingegneri, col-leghi e amici quasi coetanei – i pro-fessori Danilo De Rossi e Paolo Da-rio – che hanno lavorato a lungofianco a fianco per creare i presup-posti degli attuali successi pisaninel campo della bioingegneria edella robotica; il primo continuandoa operare all’interno dell’ateneo, ilsecondo spostando i suoi interessialla scuola Sant’Anna.

La proficua collaborazione tra università di Pisa e scuola S. Anna

Nella scuola S. Anna, il professorDario è rimasto un convinto sosteni-tore del dialogo e della collaborazio-ne tra le due istituzioni sia sul pianodella ricerca, sia soprattutto suquello della didattica.Ha così assicurato un significati-

vo supporto al corso di laurea delnostro ateneo in Ingegneria biome-dica, che è nato nel 2001 per inizia-tiva di alcuni docenti di alto valore,tra i quali mi limito a ricordare iprofessori Brunello Ghelarducci,Franco Mosca e naturalmente Dani-lo De Rossi.Più recentemente, il professor

Dario ha contribuito alla nascitadella laurea magistrale congiuntatra l’università di Pisa e la scuola

Sant’Anna in Ingegneria bionica.Tenuto in lingua inglese e aperto astudenti internazionali, questo cor-so ha puntato su una qualità di in-segnamenti particolarmente eleva-ta, per andare incontro alle esigen-ze di alta professionalità e compe-tenza tecnologica richieste dai set-tori dell’industria, della sanità e deiservizi.

Il solido rapporto con i centri di eccellenza sul territorio

Importanti ricadute sull’alta for-mazione, oltre che sul fronte dellaricerca, ha avuto il solido rapportocostruito dal professor Paolo Dariocon il centro di eccellenza Endo-Cas, istituito nel 2003 nell’ambitodi un progetto finanziato dal Miur,con il concorso dell’università diPisa, della scuola Sant’Anna, delCNR, della Regione Toscana e del-l’AOUP, oltre che con il sostegnodella fondazione Arpa del professorMosca.Tre anni dopo, il progetto ha dato

vita a un centro permanente di ri-cerca, all’interno dell’ospedale diCisanello, sull’elaborazione delleimmagini radiologiche 3D per lapianificazione, navigazione e simu-lazione chirurgica polispecialistica.A esso si è poi affiancata una strut-tura finalizzata alla formazione distudenti, medici e infermieri, la cuimissione è quella di creare a Pisa ilprimo centro italiano di formazione

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avanzata mediante simulazione inmedicina, sull’esempio di analogheesperienze europee e statunitensi.Studioso di rilievo internaziona-

le, come testimoniano i prestigiosiriconoscimenti ricevuti e le colla-borazioni con istituti e gruppi di ri-cerca di molti paesi, il professorDario è stato tra coloro che più han-no spinto per rafforzare un approc-cio multidisciplinare che dall’inge-gneria si allargasse innanzitutto al-la medicina e alla biologia, e peraprirsi al dialogo e al confronto conle più varie discipline sia scientifi-che che umanistiche. L’interesse dimostrato dal profes-

sor Dario per i progetti innovativiche si andavano via via realizzandoall’interno del mondo accademicopisano è stato uno degli aspetti at-traverso cui si è manifestata la suapiù generale attenzione per la diffu-sione e la valorizzazione delle com-petenze nel nostro territorio. Non acaso, l’istituto di Biorobotica, cheha la sede principale a Pontedera,ha costruito una rete capillare di la-boratori a Peccioli e a Volterra, non-ché a Livorno, per quanto riguardala robotica marina.

L’attenzione allo sviluppo industriale e applicativo delle ricerche

Nel corso della carriera, il profes-sor Paolo Dario ha dimostrato unaparticolare propensione per lo svi-

luppo industriale e applicativo dellesue ricerche, che hanno portato allacreazione di circa 50 brevetti inter-nazionali e di numerose imprese adalta tecnologia. In ciò rappresentaun esempio di cosa significhi, inconcreto, la cosiddetta «terza mis-sione» dell’università, che le nostreistituzioni hanno posto a fondamen-to della loro attuale azione.A questo proposito, sono profon-

damente convinto che il nostro si-stema universitario e della ricercadebba riuscire sempre più a intera-gire con la realtà esterna, facendoemergere il contributo che esso por-ta allo sviluppo sociale, culturale edeconomico della società e chieden-do maggiore attenzione per l’enormepotenziale di crescita che è nellenostre istituzioni.

Il rettore Massimo Augello si congratula con ilprofessor Paolo Dario.

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In definitiva, il professor PaoloDario si è dimostrato per moltiaspetti un «lucido visionario», ri-uscendo a tracciare in anticipo sen-tieri poi battuti dai più all’internodelle nostre istituzioni. Con la suaattività, ha saputo indicare a tuttinoi il percorso da seguire per rinno-vare e accrescere il prestigio di cuile università pisane godono nelmondo, partendo dalla capacità diprogettare e di muoverci come unsistema coeso.

Il ringraziamento all’Alap

Prima di concludere, voglioesprimere i miei sentiti ringrazia-menti all’Alap e al suo presidente,Paolo Ghezzi, per l’impegno profusonell’organizzazione di questo even-to, oltre che nelle altre iniziative mi-rate a riunire i laureati dell’ateneo,a rafforzare i sentimenti di apparte-nenza e condivisione, a mantenerevivo il legame fra le diverse genera-zioni di ex studenti, favorendo loscambio di esperienze e il trasferi-mento di conoscenze dai più anzianiai più giovani.La rete dell’Alap, strutturata nel-

la seconda metà degli anni Sessan-ta, con il suo straordinario insiemedi eccellenze nei diversi campi del-le istituzioni, delle professioni edella ricerca, costituisce un indub-bio valore di cui l’università di Pisaè sinceramente orgogliosa.Grazie.

Il saluto della città di Pisadi Marco FilippeschiSindaco del comune di Pisa

Il sindaco di Pisa ha porto il salutodella città a tutti gli intervenuti ed haricordato come il recupero degli Ar-senali repubblicani, dove con il con-ferimento del Campano d’Oro si tie-ne la prima cerimonia pubblica im-portante, abbia voluto anche testi-moniare quanto il futuro di Pisa ab-bia radici profonde che non possonoessere dimenticate. «È da questaconsapevolezza – ha detto Filippe-schi – che deve muovere un rinnova-to impegno dell’intera società, a co-minciare dalla politica». Filippeschisi è poi soffermato sull’importanzadelle ricerche effettuate in questi an-ni dal professor Dario, «uno studiosoche ha rifiutato importanti offertegiuntegli da Germania, Cina, Giap-pone preferendo privilegiare le strut-ture della nostra città». E Pisa, hasottolineato il sindaco, esprime tuttala sua gratitudine a questo importan-te studioso che dando lustro all’uni-versità lo dà, al tempo stesso, allacittà di cui essa è parte inscindibile.

La laudatiodi Franco MoscaEmerito di Chirurgia nell’università di Pisa

Il primo incontro con Paolo Dario

Ringrazio l’Associazione Laureati

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dell’Ateneo Pisano per avermi con-cesso l’onore ed il piacere di lodareoggi il professor Paolo Dario a cuimi legano quasi 30 anni di cono-scenza, collaborazione e di sinceraamicizia. 1986 per l’appunto. Misembra ieri Paolo. Un problema cli-nico: la riabilitazione e la protesiz-zazione di pazienti amputati. Riferi-mento nazionale è Budrio, RegioneEmilia Romagna, 6-8 mesi di attesa,quando la riabilitazione deve co-minciare subito dopo l’intervento.Ma perché non farci da noi a Pisa leprotesi? Il professor Luigi Donato, acui mi rivolsi per consigli, diceprontamente: Paolo Dario. Il primo incontro, lungo, di reci-

proca presentazione e conoscenza

avviene nel piccolo laboratorio alSant’Anna.Lì per lì pensai di aver sbagliato

interlocutore perché mi parve chePaolo Dario volasse già troppo in al-to per considerare di occuparsi disemplici protesi di plastica, lavoroartigianale ad appannaggio di tecni-ci e calzolai, quelli che peraltro atutt’oggi mandano avanti efficace-mente: i laboratori di protesizzazio-ne di Emergency a ridosso dei teatridi guerra. In realtà Paolo Dario dimostrò

molta attenzione, ben oltre la corte-sia di forma.Si fece apprezzare da subito per

le salienti caratteristiche della suapersonalità: l’innata gentilezza, la

Il professor Franco Mosca pronuncia la laudatio del premiato.

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calma, il sapere ascoltare, la curio-sità, la lucidità, il voler capire pervalutare e prontamente proporre.Fu evidente l’interesse sincero

per i problemi sociali. Non a caso lariabilitazione sarà uno dei suoi filo-ni più felici ed apprezzati.

Un viaggio a Roma dagli esiti insperati

Ed a proposito di riabilitazione tiricorderai, Paolo, di un viaggio aRoma alla sede centrale dell’Inail.Ente commissariato. Un usciere perogni porta, uno sull’altro a non farnulla.Un commissario incompetente,

piuttosto disinteressato. Al ritornocommentammo amareggiati, convin-ti di aver toccato con mano i segni diun evidente declino istituzionale,con il fondato sospetto che carrozzo-ni di quel tipo chissà quanti ce n’e-rano in quel di Roma.In ogni caso, batti e ribatti, l’Inail

ti affidò strutture a Viareggio e Li-vorno per la riabilitazione. Graziealla credibilità che ti deriva dallaforza delle idee, dalla non comunecapacità di presentarle (nella comu-nicazione sei imbattibile) e soprat-tutto di tradurre rapidamente le pa-role in fatti, conquistando gli inter-locutori.Dal piccolo laboratorio nell’edifi-

co storico del Sant’Anna, all’ultimopiano del Seminario in Piazza SantaCaterina. Un grande stanzone un

manipolo di ricercatori concentratisul loro lavoro. Ed un prototipo dinavigatore per orientare il chirurgonel corso dell’intervento.E poi ancora il verme per colon-

scopia e le prove di funzionamentosul colon di bovino, a S. Piero a Gra-do nella chirurgia sperimentale diSan Piero in collaborazione con ilCNR di Donato. Il dispositivo è poipassato ad una spin-off in Valderaper essere sviluppato fino alle ap-plicazioni cliniche.

L’avvio del corso di laurea in Ingegneria biomedica

Alla fine degli anni ’90 si imma-gina di aprire, all’università di Pisa,un corso di laurea in Ingegneria bio-medica. Nell’ufficio del compianto Mario

Campa, preside illuminato (Campada subito aveva fatto sua la nostraproposta) alle riunioni erano pre-senti con Dario gli ingegneri dell’u-niversità di Pisa, professori De Ros-si e Giusti, il professor Ghelarducci,presidente del corso di laurea inMedicina e chirurgia. Nel 2001 ilcorso parte con 75 iscritti. Un suc-cesso crescente. Negli ultimi 3 annile domande sono state stabilmenteoltre 300. Peraltro si tratta preva-lentemente di donne attente e parte-cipanti alle lezioni, una buona ga-ranzia per un futuro più roseo.Un bel giorno Paolo Dario al rien-

tro dagli Stati Uniti mi telefona per

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parlare «sollecitamente» di una no-vità culturale-organizzativa di cuiaveva appena preso conoscenza, co-gliendone subito la grande rilevan-za. Ora, Paolo non si agita mai, simantiene lucido e calmo, ma quellavolta lo sentii appena appena su digiri. Si trattava di questo: la «costaest» degli USA e nel breve ovvia-mente la «costa ovest» si stavano at-trezzando per aprire centri di forma-zione innovativi con i chirurghi acrescere accanto agli ingegneri e vi-ceversa. Si prevede, disse, che entroil 2020 queste saranno le figure pro-fessionali nel futuro chirurgico. Unaparentesi a questo punto. Devo direche già qualche anno prima duranteun convegno in cui Paolo Dario fuinvitato a parlare di tecnologie echirurgia, ascoltandolo divertitopensai che se qualcuno fosse entra-to in sala in quel momento e non co-noscesse l’oratore sarebbe stato si-curo che a parlare fosse un chirurgo.Del resto chirurghi ed ingegnerihanno molte caratteristiche in co-mune e l’interlocuzione tra loro è fa-cile per natura.Dunque avevamo a Pisa un ante-

signano del nuovo modello futuribi-le: l’ingegner Paolo Dario. Ma c’è dipiù: avevamo in casa un chirurgocon spiccate attitudini ingegneristi-che Andrea Pietrabissa, che, connostro grande cruccio, non sono ri-uscito a trattenere a Pisa prima chescadesse la sua idoneità alla primafascia della docenza universitaria.

La creazione del centro di eccellenza EndoCas

In un anno fu preparato un pro-getto di centro di eccellenza Endo-Cas per la chirurgia assistita alcomputer che fu promosso e finan-ziato lautamente dal MIUR, realiz-zato logisticamente in poco tempo inmodo che i ingegneri, medici (chi-rurghi, radiologi, cardiologi, aneste-sisti) informatici, economisti, fiancoa fianco potessero produrre buonaricerca, creare tecnologia ed attrarrefinanziamenti. Tutto ciò è avvenutoed anche questa volta Paolo Darioed il suo gruppo sono stati di impor-tanza basilare. A tutt’oggi il centro,diretto da Mauro Ferrari e coordina-to dall’ingegner Vincenzo Ferrari acui l’università di Pisa ha assicuratouna posizione di ricercatore, stabi-lizzando il sistema altrimenti preca-rio, si avvale del professor AlfredCuschieri, ispiratore di ricerche,progetti e sempre un riferimento si-curo. Sir Alfred Cuschieri è chirur-go e scienziato di livello mondiale,pioniere della chirurgia mini-inva-siva che ha insegnato ai giovani chi-rurghi del nostro gruppo, venendoad aggiornarci più volte l’anno an-che per lunghi periodi, come profes-sore a contratto fin dal 1986, annodella costituzione del nostro gruppo.Diversi giovani allievi hanno tra-scorso lunghi periodi presso il Suocentro inglese ambito da tutto ilmondo. Sir Alfred venne così in

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contatto con Paolo Dario ed il suogruppo già poderoso e ne colse lacaratura e le potenzialità e quandopoi si apri il centro di eccellenzaEndoCas accettò di trasferirsi a Pisacon il meccanismo della chiamataper chiara fama. Divenne professoredi Chirurgia al Sant’Anna, il tuttograzie alla lungimiranza di RiccardoVaraldo, Luigi Donato, Paolo Dariocon il pieno accordo della facoltà diMedicina della nostra università.Oggi è evidente cosa questa si-

nergia abbia significato in termini

di produzione e progresso scientifi-co, organizzativo, finanziario perl’accesso regolare ed importante afondi europei, nazionali, regionali,locali che ancora oggi consentono didare lavoro e qualificazione a deci-ne di giovani. E quanto abbia signi-ficato in termini di visibilità ed ac-creditamento internazionale. Guardiamo ancora avanti, oltre.

Quante volte ci siamo detti che Pisava spesa come la città dei saperi edoggi possiamo dire dei saperi e delletecnologie. Pisa e dintorni. La nostra

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I protagonisti della cerimonia di conferimento del Campano d’Oro 2015: da sinistra, il sindaco diPisa Marco Filippeschi, il professor Paolo Dario, il presidente dell’Alap Paolo Ghezzi, il rettore del-l’università di Pisa Massimo Augello ed il professor Franco Mosca.

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Silicon Valley: Pisa, Ponsacco, Pon-tedera centro Piaggio, S. Anna,spin-off territoriali su fino a Volter-ra, passando da Peccioli del sindacoMacelloni, capace e lungimirante.Che iniezione di fiducia è l’inizia-

tiva di aprire un corso di laurea ma-gistrale in Ingegneria bionica, uni-versità di Pisa e scuola Sant’Anna in-sieme. Il futuro è sinergia e sistema.Ancora una volta Danilo De Rossi epoi Giovanni Corsini e Landini.

Il Paolo conviviale

Non inganni l’aspetto quasi asce-tico di Paolo, a tavola con lui, cheama il buon cibo ed il buon vino, siparla di tutto meno che di banalità.Sedersi a tavola non solo per man-

giare, ma per mangiare insieme.Convivio dunque. Si parla di lettera-tura, di poesia, di politica, quella no-bile intesa come servizio; propositivoe critico senza asservimenti strumen-tali estranei alla sua personalità.Alla «Festa di mezza estate» nel-

la casa di Lorenzana, colline tosca-ne, un angolo di paradiso terrestre èun piacere vedere gli allievi, i colla-boratori con le loro famiglie, lattan-ti, bambini, in un clima sereno diamicizia, distensione, appagamento,serviti da Paolo e Laura con altri fa-migliari. Una gioia ed un sottile pia-cere pensando a te, Paolo, alla tuafamiglia ed a quanti con affetto egratitudine ti guardano riconoscentied ammirati.

Lorenzana è un buon ritiro, semai ti ritirerai, per dedicarti allacampagna ma dovrai applicarti unpo’ di più perché lì ancora non hairaggiunto i tuoi abituali standard diefficacia, lasciatelo dire da un con-tadino come me. Ma si sa, nessuno èperfetto.

Il professor Dario ed i giovani

Per i giovani, Paolo Dario, deveessere l’esempio, la dimostrazionevivente che di facile non c’è nulla,ma che molto è possibile. La sele-zione meritocratica rigorosa nel ri-spetto degli interessati e delle isti-tuzioni. La capacità di circondarsidi persone capaci per valorizzarlecreando per loro opportunità di la-voro e, possibilmente, a casa nostra.Da quel manipolo di ricercatori

della prima ora allo stuolo di allievia cui hai aperto strade ed autostradesenza chieder in cambio nulla senon l’impegno. Vera e sana Accade-mia. Eccoli qui oggi in tanti, felicidi festeggiarti, con la professoressaChiara Carrozza in testa.

Il «Discorso di un uomo»

Concludendo, leggerò alcuni bre-vi passi del «Discorso di un uomo»e vedremo alla fine, a sorpresa, chiè quest’uomo. Poche righe che daanni leggo a studenti o nei convegniogni qual volta mi capita di parlaredi tecnologie:

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L’avidità ha avvelenato i nostri cuori,ha precipitato il mondo nell’odio, ci hacondotti a passo d’oca a fare le cose piùabbiette, abbiamo i mezzi per spaziare, maci siamo chiusi in noi stessi.

La macchina dell’abbondanza ci ha da-to povertà, la scienza ci ha trasformato incimici, l’avidità ci ha resi duri e cattivi,pensiamo troppo e sentiamo poco. Più chemacchinari ci serve umanità, più che abili-tà ci serve bontà e gentilezza, senza questequalità la vita è violenza e tutto è perduto.

L’aviazione e la radio hanno riavvici-nato le genti, la natura stessa di questeinvenzioni reclama la bontà nell’uomo,reclama la fratellanza universale, l’unio-ne dell’umanità.

Perfino ora la mia voce raggiunge mi-lioni di persone nel mondo, milioni di uo-mini, donne e bambini disperati, vittimedi un sistema che impone agli uomini ditorturare e imprigionare gente innocente.

A coloro che mi odono, io dico, non di-sperate!

L’aviazione, la radio. Datato, sia-mo infatti nel 1939: sono passati ap-pena otto anni da quando (1931) daColtano, oggi dimenticato, la più po-tente stazione ricetrasmittente delglobo, creata da Guglielmo Marconi,invia il segnale che accende la lucealla statua del Cristo Re a Rio. L’uo-mo del discorso è il piccolo barbiereebreo protagonista del film «Il Gran-de Dittatore» di Charlie Chaplin.Per la sua straordinaria somiglianzacon Hitler e con questi scambiatoper puro caso si trova catapultato suun enorme podio ad arringare unostuolo sterminato di soldati.È il messaggio dunque di Charlie

Chaplin, quello di «Tempi Moder-ni», con macchine dai giganteschiingranaggi in cui si impiglia un pic-colo uomo affannato, tragicamenteesilarante.Geniale preveggenza. Le tecnolo-

gie, la frammentazione delle compe-tenze che esse comportano, specia-listi e super specialisti possono met-tere in crisi il rapporto medico-pa-ziente, la continuità terapeutica, mi-nare l’empatia necessaria per unabuona gestione del paziente.Al professor Paolo Dario, inge-

gnere umanista, dedico questa bre-ve lettura, la dedico a te Paolo perl’esemplare personificazione dellospirito che informa il messaggio diChaplin: tecnologie ed umanesimo eche il progresso sia per tutti.

Un «grazie» dal profondo del cuore

Professor Dario, caro Paolo, ti di-co grazie con orgoglio di amico. Trai tanti «grazie» che questa laudatiocontiene, ce n’è uno particolare,speciale.Grazie per aver resistito ad allet-

tanti proposte di trasferirti all’esteroper lavorare comodamente: tappetorosso, fondi, già tutto pronto. Quandome lo confidasti tanti anni fa, comeseria opportunità, ebbi un sussulto.Invece facesti la scelta più difficile efinanche aleatoria: quella di giocar-tela in casa e lavorare per Pisa, per ilterritorio, per il nostro amato Paese,

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19senza abbandonare quanti avevanogià creduto in te ed in te riposto fon-date speranze. Così facendo hai po-tuto dimostrare ai giovani che il co-raggio, l’impegno ed il sacrificiopossano pagare anche a casa nostra,dando loro un importante messaggiodi fiducia. Impagabile.Grazie Alap, grazie a tutti gli in-

tervenuti.

La proclamazionedi Paolo GhezziPresidente dell’Associazione Laureati Ateneo Pisano

Un punto di riferimento per intere generazioni di studiosi

Paolo Dario è senza dubbio uno

dei principali artefici dello sviluppotecnologico e applicativo nel settoredella robotica mondiale. Oggi è di-rettore dell’istituto di Bioroboticadella Scuola Superiore Sant’Anna edel Polo Sant’Anna Valdera, ma lesue esperienze accademiche si sonosviluppate presso numerose univer-sità, fra le quali la Brown Universitye la University of Pennsylvania, ne-gli Stati Uniti; l’École PolitéchniqueFédérale di Lausanne in Svizzera, ilCollège de France, la Waseda Uni-versity in Giappone, la Tianjin Uni-versity e la Zhejiang University inCina. Le sue ricerche internazionali, i

suoi studi e le sue pubblicazioniscientifiche sono divenute punto diriferimento per intere generazioni di

Il professor Paolo Dario ed il presidente dell’Alap Paolo Ghezzi al momento della consegna dellamedaglia e della pergamena del Campano d’Oro 2015.

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ingegneri, medici e tecnici del setto-re anche se a Paolo Dario si deve untributo particolare per il grande in-tuito nello sviluppo industriale e ap-plicativo della robotica e delle ricer-che correlate. In particolare nel set-tore biomedico. Infatti, i principaliinteressi di ricerca di Paolo Dario so-no nel campo della Biorobotica e del-la Robotica per chirurgia, per mi-croendoscopia e per riabilitazione. Isuoi studi e le relative conseguenzeapplicative hanno consentito innova-zioni essenziali in settori quali la mi-crochirurgia rendendoli meno invasi-vi e riducendone le conseguenze peri pazienti. È fuori dubbio che la suaesperienza di studioso abbia avuto ri-flessi importanti sulla qualità dellavita dell’intera umanità rendendo al-cune procedure chirurgiche e endo-scopiche di applicazione comune.

Il prestigio internazionale

La sua produzione scientifica èstata enorme e numerosi i suoi bre-vetti internazionali. È stato ed èmembro del Comitato Editoriale dinumerose riviste internazionali, frale quali le IEEE Trasnsactions onRobotics and Automation, il Journalof MicroMechatronics, il Journal ofRobotic Systems; il Journal of Robo-tics and Mechatronics; AdvancedRobotics; Autonomous Robots; Bio-medical Microdevices; l’Internatio-nal Journal of Humanoid Robotics. È stato membro della Internatio-

nal Foundation of Robotics Re-search, ed ha ricevuto alcuni fra ipiù prestigiosi premi internazionaliin robotica tra cui il «Joseph Engel-berger Award». Paolo Dario è statosenza dubbio un precursore e unariconosciuta autorità di livello mon-diale in una materia, la robotica,che avrà sviluppi applicativi semprepiù evidenti, sempre più vicini allaquotidianità di ciascuno e fortemen-te collegati alle possibilità di svi-luppo aziendale nei settori dell’in-novation technology.È con grande orgoglio che l’Alap,

nel riconoscere le straordinarie dotidi docente e ricercatore nonché l’ele-vata qualità umana, gli conferisce il«Campano d’Oro» per l’anno 2015.

La conversazionedi Paolo DarioCampano d’Oro 2015

Un successo che nasce da lontano

Dopo i saluti a tutti gli intervenutialla cerimonia ed i ringraziamentiall’Alap e all’università di Pisa perl’alto riconoscimento che gli è statoappena attribuito, il professor Darioricorda che il motto del suo istituto«trasformare i sogni in realtà» è sta-to di guida per lui ed i suoi collabo-ratori attestando la concretezza pro-pria degli ingegneri al servizio dellaricerca e della società civile.Rievoca la sua infanzia e la sua

giovinezza a Livorno, sottolineando

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l’importanza per la sua formazionedei valori trasmessigli dalla fami-glia, dalla scuola e dallo scoutismocattolico a cui ha aderito fin da gio-vanissimo. Ha avuto la fortuna ditrovare, in tutte queste realtà, sicureguide e tanti buoni esempi concretiper cui ha presto maturato la convin-zione di doversi impegnare nella vitaper non sprecare i propri talenti e didoversi sempre adoperare per farqualcosa al fine di lasciare il mondomeglio di come ciascuno lo trova.Dopo il liceo Scientifico nella sua

città natale, un passaggio fondamen-tale è stata l’iscrizione all’universitàdi Pisa per la laurea in ingegneria.In entrambe le esperienze ha trovatoprofessori di grande valore che ricor-da ancora con stima e affetto. Poi labella avventura della ricerca, muo-vendo i primi passi fra istituto di

Macchine della facoltà di via Dioti-salvi, il centro Piaggio di Pontederae l’istituto di Fisiologia clinica delCNR pisano. Grandi uomini discienza hanno contribuito a sostene-re i suoi progetti ed a valorizzare lesue qualità: ricorda in particolareLucio Lazzarino, Alessandro Faedo,Luigi Donato, Danilo De Rossi ed ilgenovese Vincenzo Tagliasco.

L’approdo alla Scuola Sant’Anna

Il professor Dario ricorda poi ilsuo trasferimento, nel 1987, allaScuola Superiore Sant’Anna dovesviluppa con grande dedizione e parisuccesso i laboratori di biotica, oggifiore all’occhiello della ricerca pisa-na. Anche in questo passaggio delsuo intervento, Dario menziona lepersone che sono state importantinella realizzazione dei suoi progettiper «trasformare i sogni in realtà» ecioè i professori Francesco DonatoBusnelli, Riccardo Varaldo, Pierdo-menico Perata e Maria Chiara Car-rozza. Quest’ultima è presente in sa-la e riceve un caloroso saluto dalpremiato che sottolinea di averlaavuta vicino prima come allieva, poicome collega e quindi come suo mi-nistro dell’Università e della ricerca.

Un futuro all’insegna dell’ottimismo

In chiusura il professor Dario af-ferma con orgoglio che si può fare

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Il professor Paolo Dario tiene la sua conversa-zione nel corso della cerimonia.

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ricerca di qualità e di eccellenza dilivello internazionale anche in Italiaed in piccole città come Pisa. E con-seguentemente si può fare qui an-che formazione di alto livello, tantoche i giovani che escono dalle no-stre scuole di robotica biomedica ebionica sono apprezzati in tutto ilmondo e spesso assorbiti dalle piùgrandi realtà accademiche e produt-tive del pianeta. Conclude infine la

sua conversazione spargendo altriraggi di ottimismo dicendosi con-vinto che, tra gli oltre 1000 allieviche ha avuto negli anni, vi sono per-sone eccezionali, anche più brave dilui, ed in grado di ricevere il testi-mone della missione scientifica percontinuare per molto tempo ancoraa «trasformare i sogni in realtà».

B.P.

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Il Coro dell’università di Pisa nel corso della sua applaudita offerta musicale in chiusura di cerimonia.

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Albo del Campano d’Oro

1971 Roberto Ridolfi storico umanista1972 Franco Rasetti fisico, paleontologo e botanico1973 Enrico Avanzi agronomo1974 Enzo Carli storico arti figurative1975 Gilberto Bernardini fisico1976 Mario Tobino scrittore1977 Alessandro Faedo matematico1978 Fortunato Bellonzi storico arti figurative1979 Guido Pontecorvo genetista1980 Carlo Azeglio Ciampi governatore banca d’italia1981 Sergio Donadoni egittologo1982 Leonetto Amadei presidente corte costituzionale1983 Lucio Lazzarino ingegnere industriale1984 Vittorio Branca letterato1985 Ranieri Favilli agronomo1986 Carlo Rubbia premio nobel per la fisica1987 Geno Pampaloni scrittore1988 Francesca Duranti scrittrice1989 Carlo Sgorlon scrittore1990 Giuseppe Giangrande grecista1991 Enrico Magenes matematico1992 Sabino Cassese giurista1993 Tristano Bolelli glottologo1994 Università di Pisa nel 650° della fondazione1995 Alfonso Desiata manager1996 Luigi Donato cardiologo1997 Giulio Battistini ingegnere elettrotecnico1998 Dante Della Terza italianista1999 Giuliano Amato giurista2000 Tiziano Terzani giornalista e scrittore2001 Serafino Garella clinico medico, nefrologo2002 Pierfrancesco Guarguaglini manager2003 Marcello Spatafora diplomatico2004 Marcello Pera presidente del senato2005 Enrico Mugnaini neurobiologo2006 Elio Toaff rabbino capo2008 Remo Bodei filosofo2009 Antonio Cassese giurista2010 Fabrizio Michelassi chirurgo2011 Lamberto Maffei neurofisiologo2012 Andrea Bocelli tenore2013 Vando D’Angiolo industriale2014 Edda Bresciani egittologa2015 Paolo Dario ingegnere robotico

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Diverse antiche testimonianze legate al culto dei martiri ed allastessa figura del Cristo sono conservate e venerate da secoli nellacattedrale pisana; tra di esse il sangue dell’icona del Signore,l’anfora biansata di porfido che si ritiene utilizzata nel miracolodelle nozze di Cana, il crocifisso di Nazareth; il particolare signi-ficato di taluni oggetti che non sono reliquie stricto sensu ma cherivestono importanza nella storia della chiesa primaziale.

Introduzione

Un aspetto della cattedrale pisana poco noto al grande pubblico è rappre-sentato dal sacro tesoro costituito dalle reliquie.Con il termine reliquie s’intendono i resti mortali dei santi o anche gli og-

getti ad essi collegati, come strumenti del martirio, abiti, utensili, e tuttoquanto la tradizione cristiana riferisce alla Vergine o a Cristo. L’uso di con-servare e venerare le reliquie nacque con le origini del Cristianesimo e de-rivò dal culto dei martiri, a sua volta connesso con le onoranze prestate aidefunti. La testimonianza più antica è offerta dalla lettera inviata alle Chie-se dell’Asia per riferire il martirio di san Policarpo, vescovo di Smirne, il 22febbraio 156, ove si legge «noi degnamente onoriamo i martiri come imita-tori del Signore». Dopo il martirio, i discepoli ne raccolsero le ossa «piùpreziose delle gemme di gran costo e più stimate dell’oro», «e le ponemmoin un luogo più conveniente» ove «il Signore ci concederà di celebrare ilgiorno natalizio del martire», la sua nascita al Cielo.Con la pace costantiniana del 313 e la conseguente aumentata diffusione

di chiese, dai primitivi altari lignei, mobili, si passò a quelli fissi di pietra,simbolo di Cristo, pietra angolare su cui dev’essere innalzato il tempio spi-rituale dei fedeli. All’altare vennero in seguito associate le reliquie deimartiri per il crescente sviluppo del culto liturgico dei martiri, per l’unione

Il sacro tesoro delle reliquie un aspetto meno noto del Duomo di Pisa

di Maria Luisa Ceccarelli Lemut

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mistica con Cristo di coloro che per testimoniarlo hanno versato il propriosangue, membra gloriose del Cristo glorioso, per il desiderio, radicato neisentimenti religiosi del tempo, di restare nella comunione dei defunti me-diante un pasto sacro imbandito presso la tomba. Si vollero perciò collocarele reliquie del martire là dove la comunità celebrava l’eucarestia.Ciò portò ad una febbrile ricerca di reliquie, ma la Chiesa romana fino al

VII secolo vietò la traslazione dei corpi dei santi e di staccarne parti: le lorotombe erano inviolabili. Alle richieste di chi desiderava un elemento tangi-bile cui rivolgere la propria devozione si inviavano reliquie ex contactu,panni (brandea, palliola) che avevano toccato il sepolcro o pezzetti di telaintrisi nel sangue o fialette con l’olio delle lampade accese presso la tomba.Invece in Oriente e nell’Italia settentrionale le traslazioni e il frazionamentodei corpi dei martiri divennero comuni sin dal IV secolo.

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L’immagine di queste reliquie conservate nella cattedrale pisana, è tratta da: W. Dolfi, Le Reliquiedel Duomo di Pisa, Bandecchi&Vivaldi, Pontedera (PI) 2004, p. 224.

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Nel segno del mare

Anche la cattedrale di Pisa si è dotata nel corso del tempo di un numerostraordinario di reliquie di ogni genere. Considereremo qui alcune delle te-stimonianze più antiche e anche taluni oggetti, che non sono reliquie in sen-so stretto, ma rivestono un particolare significato nella storia dell’edificio.Le reliquie più antiche appartengono al tipo per contatto: si tratta di tre

ampolline vitree attribuibili ai secoli VI-VII, affini a quelle del tesoro delduomo di Monza: le due dotate di cartiglio fanno riferimento alla Terra Santa.Veneranda antichità è attribuita al marmo con tracce rosse, conservato in

un cofanetto della metà del XV secolo ora nel Museo dell’Opera del Duomo,legato al presunto sbarco di san Pietro alla foce dell’Arno intorno agli anni42-44, prima tappa del suo itinerario verso Roma. La chiesa eretta in quel

luogo, voluta dallo stes-so Principe degli Apo-stoli, sarebbe stata con-sacrata sul finire del Isecolo dal successoreClemente I, dal cui na-so, durante la cerimoniasarebbero cadute alcunegocce di sangue, impri-mendosi in modo inde-lebile sul pavimentomarmoreo.La leggenda agiogra-

fica sul presunto sbarcodi san Pietro mette inrealtà in evidenza le re-lazioni marittime trami-te della cristianizzazio-ne della città nel III se-colo, e il forte vincolocon la Chiesa di Roma.Le relazioni marittimefurono anche il tramiteper l’arrivo del culto diun buon numero di santie delle loro reliquie.

Cofanetto reliquiario di san Clemente, conservato nel museodell’Opera del Duomo di Pisa (immagine tratta da Dolfi, op.cit., p. 193).

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Reliquie e culti «portati di Sardegna»

Un posto di rilievo nella nostra cattedrale hanno i santi sardi Efisio e Po-tito, Cisello e Camerino, i due ultimi associati con Lussorio o Rossore, ilmartire dell’inizio del IV secolo venerato a Forum Traiani, odierna Fordon-gianus. Secondo un testo pavese trecentesco il re longobardo Liutprando(712-744) avrebbe portato dalla Sardegna a Pavia nella chiesa di San Pietroin Ciel d’Oro, oltre al corpo di sant’Agostino, anche quelli di Rossore, Ci-sello, Camerino, Robustiano, Marco e del vescovo Appiano. Il culto di Ros-sore (insieme con Cisello e Camerino) è presente sulla costa pisana e in am-bito portuale: la chiesa a lui dedicata sorgeva alle attuali Cascine Nuove,allora presso il mare, e verosimilmente proprio dalla nostra città transitaro-no le reliquie di questi santi nel viaggio verso Pavia.Rossore, Cisello e Camerino sono stati assunti come patroni in età mo-

derna dai canonici della cattedrale, ai quali l’arcivescovo Angiolo Fance-schi donò le reliquie di Rossore e Camerino ritrovate nel 1786 nel palazzoarcivescovile sul luogo della distrutta cappella episcopale di San Giorgio, asei braccia di profondità all’interno di un’arca marmorea, verosimilmenteun sarcofago romano, di cui mancano ulteriori notizie: insieme con le reli-quie furono trovate tre lamine plumbee, provenienti dalla chiesa di SanRossore, che attestavano la consacrazione dell’edificio nel 1106 e la pre-senza ivi dei resti dei due santi e le successive traslazioni, sempre all’inter-no di quella chiesa, avvenute nel 1157 e nel 1178.Grande importanza nell’ambito della cattedrale ha assunto il culto dei

santi Efisio e Potito, anch’esso proveniente dalla Sardegna e presente nelduomo pisano già nel primo quarto del XII secolo. Il culto di Efisio è docu-mentato in Sardegna dall’ultimo ventennio dell’XI secolo: forse un martirevissuto in età dioclezianea a Nora, non lontano da Cagliari, nel cui subur-bium si troverebbe il martyrium. A lui è stato associato Potito, martirizzatoinvece a Sardica nella Dacia inferiore, presentato dalla Passio (risalentenelle recensioni più antiche al IX secolo) come un fanciullo tredicenne de-capitato intorno al 160, trasformato poi nell’Apulia in santo militare bizanti-no. Il culto di questo martire orientale, attestato a Napoli nel IX secolo, haraggiunto la Sardegna, ove si è sviluppata la tradizione della sepoltura pres-so quella di Efisio.Nella cattedrale pisana dai due santi stessi si denominò il braccio destro

del transetto: le loro statue ornano ancora le nicchie ai lati dell’altare, a si-nistra sant’Efisio, di Giovanni Battista Lorenzi, del 1592, a destra san Po-tito, di Paolo Borghesi Guidotti da Lucca, terminata nel 1616. Ora il il

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transetto è dedicato a san Ranieri, il cui corpo dal 1688, dopo la proclama-zione a patrono della città, riposa sull’altare.A Efisio e Potito fu intitolata, almeno dall’inizio del Duecento, la cappel-

la all’interno del palazzo arcivescovile e ad essi è dedicata la cappella gran-de o delle ordinazioni, fatta costruire in quel medesimo edificio dall’arcive-scovo Francesco Frosini intorno al 1711 e affrescata dai fratelli Melani(1739-1744). I due santi furono anche protagonisti di un ciclo in sei riqua-dri dipinto nel corridoio meridionale del Campo Santo da Spinello Aretinotra il 1390 e il 1392, la prima raffigurazione pittorica della loro leggenda.Degli affreschi – già in cattivo stato prima che l’incendio del 27 luglio 1944li danneggiasse gravemente – conserva immagini riprese prima della IIguerra mondiale l’Archivio fotografico dell’Opera della Primaziale Pisana;una visione del ciclo è offerta dalle incisioni di Carlo Lasinio (1806-1812),conservatore del monumento, esposte nel Museo dell’Opera del Duomo.

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L’altare di san Ranieri nel braccio destro del transetto della cattedrale pisana; le statue che ornanole due nicchie laterali sono quelle di sant’Efisio (a sinistra) e san Potito (a destra).

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Dall’Oriente e da Roma

L’inventario del canonico Giovanni Battista Totti (post 1573 ante 1595)riporta reliquie di tre santi legati al contesto delle relazioni marittime, Ana-stasia, Ermolao e Agata, i cui resti più consistenti si trovano in realtà in al-tre chiese. Le reliquie di sant’Anastasia sarebbero state portate a Pisa nellachiesa di San Paolo a Ripa d’Arno da Guglielmo, vescovo di Populonia, nel1085. Di questa martire di Sirmio nell’Illirico non si sa niente di certo oltreil nome: le sue reliquie furono traslate verso il 460 a Costantinopoli nellachiesa dell’Anàstasis, che poi da lei si denominò. Il culto si diffuse a Roma,dove le fu dedicato il titulus Anastasiae, già esistente dal IV secolo, tra ilPalatino e l’Aventino, in una zona abitata da orientali, mercanti e marinai.Ben chiaro è il tramite marittimo: le reliquie, portate a Pisa dal vescovo diPopulonia, dove verosimilmente il culto era giunto per mezzo di mercanti emarinai romani, furono collocate in una chiesa posta nell’area sulla riva si-nistra del fiume ove fervevano le attività portuali.Nel medesimo edificio di San Paolo a Ripa d’Arno si conserva tuttora il

preteso cranio di sant’Agata, la celebre martire di Catania, il cui culto si dif-fuse molto presto a Roma, ove nel V secolo esisteva una chiesa a lei dedica-ta. Anche in questo caso pensiamo ad un tramite romano per l’arrivo a Pisa,probabilmente all’inizio del XII secolo, dopo che a Catania furono rinvenutele sue reliquie, e intorno alla metà del XII se-colo fu eretto, nell’ambito del complesso mo-nastico vallombrosano di San Paolo a Ripad’Arno, l’oratorio ottagonale a lei intitolato.Di Ermolao, prete martire di Nicomedia,

legato alla leggenda agiografica di san Panta-leone, il vescovo Pietro depose nell’anno pi-sano 1110 nella pieve di Calci il braccio si-nistro, come attesta un’epigrafe sul pilastro adestra dell’altare maggiore. Sul braccialed’argento che fascia la reliquia una scritta ingreco, coeva alla traslazione, attesta la pro-venienza dalla chiesa dei Santi Ciro e Gio-vanni di Costantinopoli: l’arrivo a Pisa è col-locabile nell’ambito degli accordi con l’im-pero di Bisanzio nell’ottobre 1111, con cui siponeva fine alle tensioni suscitate dall’attac-co compiuto nel 1099 alle isole bizantine di

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La cappella di sant’Agata, costruitanell’XI secolo dai monaci della chiesadi San Paolo a Ripa d’Arno, cui eracollegata da edifici medievali, demo-liti dopo la seconda guerra mondiale.

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Leucade e Cefalonia dalle navi pisane dirette in Terra Santa in sussidio del-la I Crociata: in questo contesto i Pisani potrebbero aver ottenuto, magaridallo stesso imperatore, anche un trasferimento di reliquie.

Reliquie dei santi ed imprese d’oltremare dei Pisani

La vicenda di Ermolao riporta all’Oriente e alle Crociate: legate alla par-tecipazione pisana alle imprese d’oltremare sono le reliquie dei santi Ga-maliele, Nicodemo e Abibone, che secondo l’erudito Raffaello Roncioni (†1618) sarebbero state donate ai Pisani l’anno 1100 dal condottiero crociatoGoffredo di Buglione. Nicodemo è il membro del Sinedrio ricordato dalVangelo di Giovanni, Gamaliele il maestro di san Paolo e Abibone suo fi-glio. Secondo una leggenda largamente nota nel Medioevo, nel 415 il preteLuciano avrebbe avuto la rivelazione del luogo in cui si trovava, a KefarGamlã, una ventina di miglia a Nord di Gerusalemme, il corpo di santo Ste-fano protomartire. Insieme con lui erano sepolti Gamaliele, che aveva prov-veduto alla tumulazione del martire, Nicodemo, che presso Gamaliele ave-va trovato rifugio, e Abibone, morto ventenne, figlio secondogenito di Ga-maliele e compagno di Saulo di Tarso alla scuola del maestro ebreo. Dei tre,

Abibone è un personaggio leggendario. Nellanostra cattedrale le loro reliquie sono collo-cate nel quarto altare destro, opera marmoreadi Stagio Stagi (1532-1535).Con i corpi santi pervennero anche oggetti

carichi di significato religioso, come il vasodi porfido, ritenuto uno di quelli adoperatinel miracolo delle nozze di Cana, che si am-mira nel presbiterio della cattedrale, un’an-fora biansata, unico esemplare in porfido ditale tipologia, risalente probabilmente al IVsecolo d.C. La forma ad anfora con anse a vo-luta è ritenuta allusione simbolica al sacrifi-cio di Cristo, e il rosso cupo del porfidoavrebbe la doppia valenza di memoria delsangue e di colore riservato all’imperatore.Siamo di fronte ad uno di quei numerosi vasinoti come «idrie di Cana», realizzati in mate-riali pregiati, di provenienza orientale. La

L’Idria di porfido, che si trova nelpresbiterio del Duomo di Pisa.

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sua presenza è segnalata nei più antichi inventari della cattedrale a noi per-venuti, come vas Epiphanie, dotato di un coperchio circondato da una fasciadecorativa: per mezzo di una catena di ferro stagnata veniva calato per esse-re esposto alla venerazione dei fedeli nella festività dell’Epifania, cui la li-turgia collega anche il battesimo di Cristo e il miracolo di Cana.A Pisa esisteva un’altra idria, marmorea, nella chiesa di San Paolo a Ri-

pa d’Arno, proveniente dalla cattedrale, di cui dal tardo Settecento si è per-sa ogni traccia.Oltre al vaso di porfido, Roncioni menziona un Crocifisso che, dopo la

presa di Gerusalemme nel 1099, i Pisani avrebbero rinvenuto a Nazarethsotto le rovine di una chiesa dedicata alla Natività di Maria. A Pisa fu postosull’altar maggiore della cattedrale, donde nel 1362 fu trasferito nella cap-pella dell’Annunziata, nel transetto sinistro. Il manufatto esiste ancora, con-servato nel Museo dell’Opera del Duomo, proveniente dalla chiesa di San-t’Anna, ove si trovava dal 1595. Opera di ambito francese sudoccidentaledella seconda metà del XII secolo, faceva parte diun gruppo di Deposizione: sicuramente presente nel-la cattedrale pisana nel 1191, potrebbe anche pro-venire dalla Terra Santa, ove erano attive maestranzefrancesi, ovviamente non in relazione alla I Crociatama eventualmente agli eventi precedenti la III.Legata alla partecipazione alla I Crociata è la co-

siddetta Croce dei Pisani, quel crocifisso che, se-condo la leggenda cinquecentesca, mentre venivadato l’assalto alle mura di Gerusalemme, si sarebbevoltato a incitare i Pisani (e da qui verrebbe l’uso diportare processionalmente la croce rivolta versol’arcivescovo). I Pisani non parteciparono all’asse-dio di Gerusalemme, ma giunsero sulle coste sirianecon una consistente flotta di 120 galee più di un me-se dopo.Al medesimo contesto crociato Roncioni collega-

va la porta sinistra della facciata del duomo, andataperduta nell’incendio del 1595: bronzea con riqua-dri di storie evangeliche ad agemina, di produzionecostantinopolitana, era ritenuta dono di Goffredo diBuglione nel 1100. Invece la porta di destra, an-ch’essa scomparsa e verosimilmente lignea, sarebbegiunta con l’impresa balearica del 1113-1115.

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La cosiddetta Croce deiPisani, conservata nelmuseo dell’Opera delDuomo di Pisa.

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Il sangue dell’icona di Cristo

Un grande arricchimento del patrimonio di reliquie avvenne con la con-sacrazione della ricostruita cattedrale il 26 settembre 1118 ad opera del pa-pa Gelasio II, che nell’altar maggiore avrebbe riposto numerose reliquie,provenienti sia dalla precedente cattedrale sia dagli scrinia papali e appar-tenenti a pontefici dei primi secoli o a martiri romani o venerati a Roma. Traqueste reliquie è qui da considerare il sangue dell’icona del Signore, legatoad una leggenda agiografica utilizzata nel II concilio di Nicea del 787 tra gliargomenti a favore del culto delle immagini dopo l’iconoclastia dei decenniprecedenti. A Beirut un buon cristiano, al momento di cambiare casa, di-menticò un’immagine che rappresentava l’intera figura di Cristo. Il nuovoinquilino, un ebreo, non fece caso all’icona finché non glielo fece notare unsuo correligionario, che lo denunciò agli anziani. Questi vollero ripetere sudi essa i tormenti inflitti a Gesù nella passione ma, quando una lancia tra-passò l’effige, dalla tavola sgorgò sangue ed acqua: gli Ebrei, non ancoraconvinti, decisero di provare il liquido su alcuni malati, che guarirono. Difronte al prodigio l’intera comunità ebraica si convertì e trasformò la sinago-ga in chiesa del Salvatore. La leggenda si diffuse largamente in Europa, ar-ricchendosi di particolari, come l’attribuzione dell’immagine all’opera diNicodemo e l’invio alle diverse Chiese di ampolle con il liquido sgorgatodall’effige: una è attestata ad Oviedo all’inizio dell’XI secolo. A Pisa l’am-polla proveniva dalla precedente cattedrale e quindi risaliva almeno all’XIsecolo.

Bibliografia essenziale

M.L. Ceccarelli Lemut - G. Garzella, «Mirabilia Domini in pelago». Cristianizzazione,culti e reliquie a Pisa (III-XIII secolo), in Dio, il mare e gli uomini, «Quaderni diStoria Religiosa» 2008, Verona 2009, pp. 155-183.

M.L. Ceccarelli Lemut - S. Sodi, Per una riconsiderazione dell’evangelizzazione dellaTuscia: la Chiesa di Pisa dalle origini all’età carolingia, in «Rivista di Storia dellaChiesa in Italia», L (1996), pp. 9-56.

Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, a cura di dom F. Cabrol - dom H.Leclercq: IV/1, Paris 1920, P. de Puniet, Dédicace des églises, coll. 374-405;XIV/2, Paris 1948, H. Leclercq, Reliques et reliquaires, coll. 2294-2359.

W. Dolfi, Le reliquie del Duomo di Pisa, Bandecchi&Vivaldi, Pontedera (PI) 2004.

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La prisca sapientia dell’Egitto

Fra i generi che fanno il vanto dell’antica letteratura dell’Egitto, le Istru-zioni di saggezza (o Testi sapienziali, o Saggezze, o Insegnamenti di saggez-za, o Massime di saggezza come si possono trovare indicati presso gli autorimoderni) si susseguono dall’Antico Regno fino all’epoca greco-romana,dunque su un arco di più millenni. Anche un autore cristiano come S. Ago-stino non esitava ad attribuire alla sapienza egiziana una preminenza addi-rittura su Mosè; nel mondo occidentale, dal rinascimento in poi, l’Egitto an-tico era considerato il primo creatore e detentore della prisca sapientia, cioèdi una cultura e di saperi di riconosciuta superiorità.

Le Istruzioni di saggezza

Le Istruzioni di saggezza egiziane si presentano sotto forma di consiglirivolti da un padre al figlio, o da maestro a scolaro, per istruirlo sulla con-dotta da tenere nella vita. L’ideale etico sul quale poggiava la costruzionedell’intero pensiero egiziano antico, in ogni settore – religione, politica,

L’eterna saggezza degli antichi proverbi

di Edda Bresciani

Scena di vendemmia: il vino era un dono di Osiri (scena dalla Tomba di Nakht, Nuovo Regno).

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rapporti sociali e familiari – era il concetto di Maat «equità, equilibrio, or-dine (cosmico, sociale, interpersonale)» un concetto al quale si conformavanaturalmente anche la produzione sapienziale. Il termine egiziano per indi-care gli Insegnamenti, era esplicito: sb3yt «Istruzione», «Ammaestramen-to», collegato con sb3 «istruire» e sb3t «scuola»; in alternativa, si trova l’e-spressione metaforica «strada di vita», strada di saggezza per la vita.

L’Insegnamento di Ankhscscionqi

Ho scelto l’Insegnamento di Ankhscscionqi (in demotico, V-IV sec. a.C.;cfr. E. Bresciani, Letteratura e poesia dell’antico Egitto. Cultura e società at-traverso i tempi, Einaudi, 2007, pp. 825-846) per mostrare come la tematicadidascalica utilizzi la forma di «proverbi»; l’autore del testo, coinvolto sen-za colpa in un complotto contro il faraone e messo in prigione, volendo con-tinuare a istruire il figlio, è costretto ad usare come materiale scrittorio ipezzi delle anfore (ostraka) con cui gli veniva consegnato il vino. È notevole in questo Insegnamento una visione egoistica e pratica, e la

frequenza di proverbi di sapore popolare, ovvio, familiare e contadino, cheaccetta spesso l’amara necessità; ci può sorprendere la validità eterna econtraddittoria dei proverbi dell’antichità egiziana.

La mascherata degli animali e il mondo dell’incontrario. Settore satirico del «Papiro satirico-eroticodi Torino» - particolare [tratto da Edda Bresciani (a cura di), La Piramide e la Torre. Due secoli diarcheologia egiziana, Edizioni Cassa di Risparmio di Pisa, Pisa 2000].

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Chi l’ha morso un serpente, ha paura di un rotolo di corda.L’ubriachezza di ieri non allontana la sete di oggi.Un coccodrillo non muore d’indigestione, muore di fame.E meglio stentare dalla fame che morire d’indigestione.Un serpente che mangia non ha veleno.Meglio una nobile sconfitta che un mezzo successo. Il sibilo del serpente vale più che il raglio dell’asino.La madre è quella che mette al mondo,la strada è quella che dà un compagno.Donna è danno: non si allontana dall’albero senza averlo scortecciato.Gran dama di giorno, donna di notte.Una donna amata, quando è lasciata è lasciata. Di notte, non c’è figlio di faraone.Un tessitore non è estraneo alla trama.Chi smuove la pietra, gli cadrà sui piedi.Per chi ha corso, è bello sedersi; per chi è stato seduto, è bello alzarsi.Un toro non è partorito da un toro.Un ladro ruba di notte, ma è riconosciuto di giorno.Non c’è [raglio d’asino] che raggiunga il cielo. L’uomo che ha acquistato denaro per la prima volta, mangia, beve e sperpera.Meglio la mutezza che la troppa scioltezza di lingua. Meglio stare seduti che lavorare a cose inutili.Se l’ortolano va a pescare, il suo [orto] va in malora.Chi vive, la sua erba cresce comunque;non c’ è misero eccetto colui che è morto.Meglio la morte che il bisogno.È più dolce l’acqua per chi la dà che il vino per chi [lo riceve]. Non bere acqua in casa di un mercante, te lo metterà in conto.

Un consiglio sempre attuale di dieta

Per me, trovo che si potrebbe adottare per una dieta dimagrante questoconsiglio proverbiale:

Se sei affamato, mangia quello che ti disgusta,così sarai saziato dall’averne disgusto.

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Réclame francese, dell’inizio del XX secolo, di un medicinale contro la costipazione intestinale, in-centrata su Tutankhamon.

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Nominato prefetto di Pisa dal capo del governo Ivanoe Bonomiall’indomani della liberazione, trova una città semidistrutta daibombardamenti e stremata da ogni sorta di stenti; subito al lavoroper ricostruire le strutture amministrative e sociali con pochi mezzima con un impegno senza riserve e di grande efficacia; in un suopuntuale diario dell’esperienza pisana il racconto vivo dell’allu-vione dell’Arno nel novembre del ’44; gli appassionati interventiper la chiusura del campo di concentramento di Coltano coinvol-gendo anche il cardinale di Milano Ildefonso Schuster; l’addio aPisa con belle parole di affetto per la città.

Un diario che aiuta la memoria dei fatti

Nel settembre del ’44, cinquegiorni dopo la liberazione della cit-tà, arrivò a Pisa da Roma un perso-naggio che avrebbe lasciato un se-gno positivo nella storia difficile etratti drammatica del primo dopo-guerra pisano. Già all’indomani del-l’arrivo degli Alleati sull’Arno, il go-verno provvisorio presieduto da Iva-noe Bonomi, aveva pensato bene dimandare a Pisa un rappresentantedel nuovo stato che si andava for-mando con il compito di cominciarea ricostruire quella macchina stata-le che era stata spazzata via dalla

Il prefetto Vincenzo Peruzzoguidò la rinascita di Pisa dopo la liberazione

di Giuseppe Meucci

Il prefetto Vincenzo Peruzzo.

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guerra, come gran parte della città. E il compito toccò al prefetto VincenzoPeruzzo, un civil servant d’altri tempi che onorò al meglio il suo incarico la-sciando, fra l’altro, un bel diario della sua esperienza di pubblico funziona-rio. Un documento prezioso quel diario che, nel capitolo dedicato a Pisa, cirestituisce l’immagine della città all’indomani della guerra e si aggiunge al-le tante altre testimonianze che conosciamo. E ricordare quei giorni chefanno parte del nostro vissuto è sempre utile, aiutati in questo caso dallamemoria del Peruzzo.

I terribili momenti del passaggio del fronte a Pisa

Nella terribile estate del ’44, all’avvicinarsi degli americani al fronte del-l’Arno, i fascisti che comandavano in città, dal podestà al prefetto, se l’era-no data a gambe lasciando Pisa nel caos. A tentare di dare un minimo di or-dine a una situazione divenuta ingestibile, fra le cannonate degli alleati e lerappresaglie dei tedeschi, era rimasto soltanto l’arcivescovo Gabriele Vetto-ri e un viceprefetto che però si era rintanato nella Certosa di Calci e si guar-dava bene dal mettere piede in città. Il risultato è che alla vigilia dell’arrivodelle prime truppe alleate, avvenuto il 2 settembre, a Pisa si moriva di famee non solo. E non c’era nessuno che tentasse di organizzare una sia pure la-

bile parvenza di vita civi-le. Un inferno, insomma,dove il giovane avvocatoMario Gattai, personaggionon compromesso con ilfascismo, ebbe l’incaricodal viceprefetto autoesilia-to a Calci, di svolgere lafunzione di commissariostraordinario del comunenel bel mezzo della bufera.E per capire di che buferasi trattasse basta pensareche alla fine di giugno, nelgiro di soli due o tre giorni,ci furono ben 32 bombar-damenti aerei e che dametà luglio gli Alleati si

Un’immagine del bombardamento cui venne sottoposta Pisail 31 agosto 1943. In tutto, la città subì 55 bombardamentiad opera degli aerei alleati prima della sua liberazione, av-venuta nel settembre 1944.

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erano avvicinati all’Arno tanto da iniziare a cannoneggiare la città. Un verocaos dove il giovane Mario Gattai, un esponente cattolico il cui nome erastato suggerito dall’arcivescovo Vettori, tentava di muoversi avendo a chefare con i tedeschi in ritirata ma che ancora comandavano in città. Ed erano«padroni» con cui non era facile trattare, dai quali non arrivavano soltantoordini di rastrellamenti indiscriminati, ma anche razzie, furti, vere angherienei confronti della popolazione. Poi il 2 settembre la liberazione e il 7 set-tembre ecco che sullo scenario pisano compare Vincenzo Peruzzo che duegiorni prima è stato nominato prefetto di Pisa, dopo essere stato ufficialenella guerra del 15-18, impegnato sul Monte Grappa, e poi aver svolto altriincarichi a Roma negli uffici del ministero degli Interni.

In jeep e sotto la pioggia da Roma a Pisa

Già il viaggio da Roma a Pisa di Peruzzo ci dice molto di quella che eral’Italia alla fine dell’estate del ’44. Intanto non c’erano mezzi pubblici equindi lui per raggiungere la sua sede di lavoro è costretto a chiedere unpassaggio al Comando Militare Alleato di Roma che, giusto il 6 settembredoveva far partire un’autocolonna verso il fronte ancora attestato sull’Arno.Peruzzo sale così a bordo di una jeep scoperta, insieme a un agente di Psche gli fa da scorta e da at-tendente, si mette la vali-gia fra le gambe e parte.Ovviamente le strade sonoquelle che sono ed è im-pensabile raggiungere Pi-sa in una sola giornata.L’ufficiale che comandal’autocolonna decide di se-guire la strada che rag-giunge Siena, scelta comeprima tappa del viaggio,passando per Viterbo e ilpasso di Radicofani. Ed èqui che c’è il primo impre-visto. Proprio sul passo siscatena un violento tempo-rale con tuoni, fulmini e

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Questa immagine rende l’idea delle condizioni in cui avve-niva l’attraversamento dell’Arno nel 1944. Qui vediamo leavanguardie alleate entrate in città il 2 settembre mentreoltrepassano il fiume sui resti del ponte ferroviario a Porta aMare. Le stesse difficoltà incontrerà il prefetto Peruzzo alsuo arrivo a Pisa qualche giorno dopo.

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pioggia a scrosci, tanto che il nuovo prefetto di Pisa arriva a Siena, dove tra-scorrerà la notte, con ancora indosso gli abiti zuppi d’acqua.Il giorno dopo è finalmente a Pisa. Ma lasciamo a lui la parola, così come

descrive il suo arrivo in città nel diario di cui abbiamo parlato che è statorecentemente stampato da Pacini per iniziativa della Società Storica Pisa-na, a cura di Carla Forti, cui dobbiamo altre pregevoli pubblicazioni sullaguerra e il dopoguerra a Pisa: «Veramente magnifico l’ingresso del nuovoPrefetto! Arrivo del tutto sconosciuto, senza trovare alcuno al mio arrivo incittà. A San Miniato calco per la prima volta il suolo della provincia di Pisa.È tutto un succedersi di rovine lungo il percorso San Miniato-La Rotta-Pon-tedera. Giungo nella città da Porta Fiorentina, ma la macchina non può pro-cedere oltre per mancanza di ponti sull’Arno. Ho subito la sensazione pre-cisa dei danni ingenti subiti dalla città, che ha l’aspetto di una città morta.Quasi tutte le case a sud dell’Arno sono a terra. È uno spettacolo raccapric-ciante. Si attraversa l’Arno su di una barchetta, poi a piedi si arriva in città.Quali e quante rovine. Sono, però, molto calmo e sereno. Penso che dovròlavorare a fondo e mi sorregge una gran fede. Mi aveva accompagnato neltraghetto il marchese Lucifero, Ministro della Real Casa, che nello stesso

Ecco come si presentavano molti quartieri della città all’arrivo a Pisa del prefetto Peruzzo: questa èla Via Roma, nella parte sud, verso il ponte Solferino, a sua volta andato completamente distrutto.

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giorno era arrivato a Pisa… Prendo intanto alloggio in un appartamento di -sabitato in via San Lorenzo n° 16, sulla porta era scritta la parola «Mines».La mia prima visita è per il venerando arcivescovo monsignor Vettori, vec-chio presule che, durante il periodo d’emergenza, ha fatto tanto bene allapopolazione. Il mio incontro con lui è davvero commovente ed è per me mo-tivo di grande conforto».

Subito all’opera per la riorganizzazione sociale della città

Ma che cosa può fare un prefetto appena arrivato in una città prostratacome Pisa? Una città divisa in due da un fiume che non si può attraversarese non in barca dopo che i tedeschi in ritirata hanno fatto saltare i ponti; do-ve ci si muove a fatica fra le macerie delle case bombardate; dove non esistepiù un luogo in cui insediare gli uffici della prefettura, evacuata in fretta efuria ed ora ospitata nell’antico convento certosino a Calci? Ebbene, il pre-fetto, che nel nostro caso è Vincenzo Peruzzo, intanto riesce a ritrovare l’a-gente assegnatogli come scorta che, appena arrivato a Pisa, si era perso frale macerie e aveva trascorso la notte chissà dove. E questo gli procura unagran soddisfazione, perché a quell’agente si era affezionato. Poi si procuraun ufficio dignitoso che non quello provvisorio e fatiscente dove ha trascor-so la sua prima notte pisana in via San Lorenzo, e il comando militare allea-to gli assegna una stanza fino a poco tempo prima occupata da un uscierenel palazzo del Genio Civile in piazza dei Cavalieri. A quel punto Peruzzo comincia a ricostruire un minimo di organizzazione

sociale nella città. Conferisce l’incarico di presidente della Cassa di Ri-sparmio all’onorevole Arnaldo Dello Sbarba, un vecchio socialista, che pri-ma del ’22 era stato sottosegretario nell’ultimo governo di Giolitti e ministrodel Lavoro nei due governi Facta; nomina presidente degli Ospedalieri Ri-uniti di Santa Chiara l’industriale Enrico Scerni, di origine genovese, che aPisa aveva grossi interessi terrieri ed era già al vertice dell’Associazionedegli Agricoltori; si occupa inoltre di ricostituire il vertice della Provincia,visto che in comune c’è già un commissario straordinario che è il giovaneMario Gattai. Per la Provincia, dopo essersi guardato un po’ intorno, Peruz-zo propone al comando militare alleato di nominare presidente l’avvocatoAldo Fascetti, democristiano, affiancato da due persone non compromessecon il regime: l’albergatore Andrea Piegaia e l’avvocato Stelio Sossi. Per ilresto la preoccupazione maggiore in quei primi giorni pisani di VincenzoPeruzzo è far sì che vengano puntualmente rispettati gli ordini del comando

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alleato che insiste affinché sia versato all’ammasso fino all’ultimo chicco ilgrano raccolto. Poi avrebbero pensato loro a ridistribuirlo.Insomma, Vincenzo Peruzzo cerca di darsi da fare innanzitutto per sfa-

mare i pisani rimasti in città e quelli che cominciano a rientrare dallo sfol-lamento. Poi trova anche il tempo per accompagnare Umberto di Savoia, dapochi mesi nominato Luogotenente generale del Regno, in visita in piazzadel Duomo e nel Camposanto colpiti dalle bombe nel luglio precedente.Umberto arriva in incognito, chiede di incontrare il prefetto, si informa suidanni subiti dalle città e dai monumenti, poi allarga le braccia e riparte.

Il racconto della disastrosa alluvione del novembre ’44

In quel drammatico autunno del ’44 quello che proprio non ci voleva eraun’alluvione. Eppure in quella Pisa disastrata non mancò neppure unadelle periodiche sfuriate dell’Arno. Il 3 novembre, dopo giorni e giorni dipioggia, l’Arno invase la città, complici anche la mancanza delle spallettein ampi tratti dei lungarni, perché colpite dal cannoneggiamento degli al-

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Una visione apocalittica del lungarno Pacinotti e di quello che era il Ponte di Mezzo, così ridotti daicannoneggiamenti degli alleati dall’altra sponda e dalle mine dei tedeschi in ritirata. Con le spallet-te dei lungarni rase al suolo, nel novembre del 1944 la piena dell’Arno, nemmeno tra le più violentenella storia del fiume, portò all’esondazione delle acque che invasero tutto il centro storico, portan-do ulteriori danni e disagi ai cittadini già duramente provati dai quattro anni di guerra.

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leati o saltate insieme ai ponti quando i tedeschi in ritirata li buttarono giùtutti con la dinamite. In altri momenti quella piena si sarebbe ricordata co-me una delle tante passate senza far danni, ma con i Lungarni in quellecondizioni l’acqua dilagò in tutto il centro storico, soprattutto a nord, arri-vò fino a Porta Nuova, in piazza del Duomo, a Porta a Lucca. Vincenzo Pe-ruzzo non ha mai visto una cosa del genere e così la racconta: «Cerco di fartamponare i punti di infiltrazione dell’acqua con sacchetti di sabbia, ma ilrimedio è inefficace. Pisa in poche ore è in balia dell’Arno. Sembra di vi-vere in piena laguna. In qualche punto l’acqua raggiunge i due metri emezzo. Disgraziatamente non abbiamo a disposizione alcun mezzo natante.Solo verso le dieci riusciamo ad avere un anfibio dei Vigili del Fuoco. Al-lora mi reco a visitare le vie del centro. La gente rifugiata ai piani più altidelle case, vuol sapere se saranno distribuiti il pane e l’acqua. Do assicu-razione che a queste necessità sarà provveduto con la massima urgenza.

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Una foto storica dell’alluvione del 1944 a Pisa con le acque dell’Arno che ristagnano in piazza delDuomo. Il prefetto Peruzzo organizzò gli interventi d’emergenza muovendosi in città con un mezzoanfibio dei Vigili del fuoco. Racconta egli stesso, nel suo diario, che a un certo punto cadde in ac-qua e potè continuare la sua opera grazie al provvidenziale prestito che ebbe di abiti asciutti percambiarsi.

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Nel pomeriggio, sempre in barca, mi reco a visitare l’ospedale di SantaChiara. A un tratto perdo l’equilibrio e cado nell’acqua. Sono costretto achiedere al professor Toniolo il prestito di un vestito per non buscarmi unapolmonite. Di fronte al terribile spettacolo di quella inondazione mantengoi nervi a posto e non mi preoccupo che di trovare qualche rimedio atto adalleviare le sofferenze del popolo».

Gli interventi per il campo di concentramento di Coltano

Ma, al di là di questo o di altri aneddoti che dicono molto sulla vita a Pisain quel periodo, l’attività svolta da Vincenzo Peruzzo fu certamente merito-ria. E non soltanto nell’opera di ricostruzione della città, a cominciare dallesue strutture politiche e amministrative, ma anche per altre iniziative nellequali si impegnò a fondo. Basta pensare al campo di concentramento diColtano dove, a partire dal ’44, gli americani avevano rinchiuso più di tren-tamila tra soldati ed esponenti vari della repubblica di Salò.

Un vero inferno aveva preso for-ma oltre quei reticolati invalicabilidove vivevano in condizioni dis-umane, annota Peruzzo: «Ragazzi ditredici anni rastrellati lungo le stra-de dell’avanzata alleata, vecchiinermi, mutilati di guerra, ammalatidi malattie veneree e di tubercolosibisognosi di cure, soldati già prigio-nieri di guerra che erano riusciti afuggire dalla Germania». E tutto in-torno, accampate alla meglio, si ra-dunavano centinaia di persone ve-nute da tutta Italia: madri, spose,sorelle degli internati che cercava-no invano di avere notizia dei lorocongiunti. Peruzzo, dopo aver vistodi persona, quella che era la realtàdi Coltano scrisse una relazionedettagliata al Presidente del Consi-glio, che era Ferruccio Parri, de-scrivendo quello che non esitò a

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Un’altra immagine dell’alluvione dell’Arno del1944: questa è la via Santa Maria che apparepiù come un canale di Venezia che come unastrada di Pisa.

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definire uno «spettacolo triste, anzi tremendo, per il quale tutti invocanoprovvedimenti urgenti atti a rimediare un tale stato di cose». E, concluse,«Più come italiano che come Prefetto, insisto perché siano adottati i prov-vedimenti da me richiesti». Cioè l’immediata chiusura del campo. Per otte-nere questo risultato Peruzzo non esitò a coinvolgere anche l’arcivescovo diMilano, il cardinale Ildefonso Schuster, che, oltre ad appoggiare la richiestadi Peruzzo per l’immediata chiusura del campo, si adoperò per far giungerea Coltano, tramite la Pontificia Commissione di Assistenza, generi di con-forto e medicinali che, in quello che non pochi non esistarono a definire unvero e proprio lager, mancavano del tutto. Finalmente, dopo tante denunce,nell’autunno del ’45 il famigerato campo di concentramento di Coltano fudefinitivamente chiuso e gli oltre trentamila prigionieri di guerra, che viavevano trascorso alcuni terribili mesi, rimessi in libertà.

Il toccante commiato dalla città di Pisa

Circa un anno dopo, nell’ottobre del ’46, Vincenzo Peruzzo lasciò Pisa. Ilsindaco Italo Bargagna gli espresse «la riconoscenza di Pisa per l’opera me-ritoria svolta per la rinascita della città». E aggiunse: «Nelle case e nelleopere pubbliche ricostruite c’è il segno della sua volontà e del suo lavoro.Nella mente e nel cuore dei pisani rimarrà sempre visto il ricordo della suabontà e della umana comprensione dimostrata nello svolgimento del suo al-to ministero».Vale la pena rileggere oggi le parole con le quali il prefetto Vincenzo Pe-

ruzzo concluse il diario dei suoi giorni pisani: «Nel lasciare Pisa provai unsenso di profondo e vivo dispiacere, quasi un senso di sofferenza, perché midistaccavo da una città che ormai amavo. E da una provincia che aveva datoa me la possibilità di valutarne a pieno le grandi sue qualità: la tenacia nellavoro, la civile disciplina che sapeva vivificare con il culto ed il rispettodelle gloriose memorie. «Per tutte queste considerazioni sentivo che Pisa sarebbe ritornata ad es-

sere presto un cantiere sonante di opere e di lavoro. Durante il viaggio versola città di Verona, mia nuova destinazione, ripetevo a me stesso, con l’animoun po’ triste e cogitabondo: quando sarò lontano da te, cara Pisa, ti penseròspesso con cuore di amico e sarà per me un conforto, anzi una vera consola-zione, poter dire un giorno a me stesso: anch’io ho lavorato per te, con lastessa passione e con lo stesso affetto e amore che avrei avuto per il miopaese natale».

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Vincenzo Peruzzo, che era nato nel 1894 a Cismon del Grappa, provinciadi Vicenza, in una famiglia di modeste condizioni, dopo aver lasciato Pisaandò a ricoprire l’incarico di prefetto di Verona. Quindi fu nominato prefet-to di Venezia e poi di Roma, fino al 1957. Dopo quell’anno lasciò l’impor-tante incarico nella capitale e fu nominato Consigliere di Stato. È morto nel1973.

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Trovata l’intesa fra gli enti interessati al restauro e consolidamento delpalazzo della Sapienza, sono finalmente partiti i lavori che porteranno allariapertura dell’edificio entro la fine dell’estate prossima. Le opere compor-teranno un impegno di 13,660 milioni di euro ripartiti tra l’Università di Pi-sa (la quale partecipa con un contributo di 4,760 milioni di euro), il mini-stero dell’Università, il ministero dei Beni culturali (dal quale dipende laBiblioteca Universitaria che ha sede nello storico palazzo) la Regione To-scana e la Fondazione Pisa (ex Cassa di Risparmio).

Com’è noto il 29 maggio del 2012 un’ordinanza del sindaco di Pisa dispo-se la chiusura a tempo indeterminato della Sapienza per ragioni di sicurezza,dopo che un’apposita commissione tecnica aveva accertato alcune criticitàstatiche della struttura. Queste, originate fondamentalmente dall’eccessivocarico costituito dagli oltre 600.000 volumi della Biblioteca Universitaria fu-rono aggravate in maniera decisiva dalle scosse di terremoto verificatesi incittà nei giorni precedenti e nel giorno stesso dell’ordinanza.

Dopo anni di malinconica chiusura lo storico palazzo sta dunque per ri-aprire i suoi massicci portoni e la vita d’ateneo riprenderà al suo interno.Quando ciò accadrà sarà un grande giorno per l’Università e per tutta la cit-tà di Pisa. (b.p.)

Sapienzasi va verso la sua riapertura

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Anche il cielo volle piangere…

Cinquant’anni fa, esattamente domenica 17 gennaio 1965, un cieloplumbeo scaricò su Pisa torrenti d’acqua mentre una piccola folla di amiciaccompagnava in silenzio attraverso strade semideserte Giuseppe Vivianinella sua ultima passeggiata. Gli amici ben conoscendo l’animo ed il carat-tere del grande artista, vollero inquesto modo rendergli l’estremoomaggio: un funerale che fosse an-che un’ultima passeggiata in quellestrade che gli furono care, dove lasua lunga figura apparve spesso incerca di personaggi e d’ispirazioni edove la sua storia più intima e leesperienze d’arte gli permisero diconsolidare il gioco delle più audaciricerche espressive. Anche il cielovolle piangere velando con le sue la-crime gli imponenti monumenti dellaPiazza dei Miracoli quando gli amicivi sostarono per l’estremo saluto.Scompariva con Giuseppe Vivia-

ni una delle più grandi figure del-l’arte contemporanea: incisore, pit-tore, scrittore e poeta, continuatoredi quella tradizione toscana cheunisce le parole, i segni ed i coloriper esprimere con modi diversi eparalleli le proprie ragioni umane epoetiche.

Giuseppe Vivianie il dipinto della Madonna Addolorataper la chiesa dei pescatori di Tellaro

di Maria Guya Brunetti

Giuseppe Viviani, ripreso con il fucile da cac-cia, seduto su un pontile a Marina di Pisa, unacittadina che ha molto amato e che è stata diispirazione per diverse sue opere. È una fotomolto emblematica dell’artista.

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La fama internazionale dopo una lunga e travagliata carriera

Nato ad Agnano Pisano il 18 dicembre 1898, adagio, adagio, quasi disoppiatto Viviani si era fatto strada e si era imposto fra gli artisti contempo-ranei dopo una lunga e travagliata carriera. I suoi valori espressivi e formalitrovarono il loro giusto riconoscimento attraverso le sue esposizioni e conl’assegnazione dei più importanti premi. È presente con la sue opere in ol-tre 150 musei in ogni parte del globo.Il riconoscimento dello Stato italiano, che ne acquistò l’intera opera gra-

fica eseguita nel corso della vita, fino al 1959, per essere esposta agli Uffi-zi di Firenze, assunse particolare valore in quanto nessun artista fino adallora aveva proprie raccolte in un museo nazionale. È interessante leggerele note bibliografiche di Viviani per rendersi conto di come i critici piùcompetenti, le gallerie d’arte e i musei internazionali e nazionali hannoparlato della sua arte.

Il dipinto della Madonna addolorata per la malattia e la guarigione della mamma

Di carattere schivo e diffidente non amava presentare personalmente ipropri lavori. Da uno scritto di Adelina Ferrini Policardo riporto quanto se-gue: «Nel mese di marzo dell’anno 1958, avendo la sua anziana mamma su-perata una malattia, Giuseppe Viviani dipinse il quadro di una Madonna Ad-dolorata pensando di collocarla nella chiesa dei pescatori che si trova a Tel-laro a picco sul mare, nella quale si era trovato per caso a pregare durante lamalattia della madre. Si rispecchiava nel quadro l’incanto di Tellaro con lesfumature suggestive e delicate di un surrealismo castigato che, unendo airicordi e ai suoi simboli la storia più intima del suo amor filiale, si consolida-va in audaci ricerche espressive nel volto triste della Madre di Gesù.«Occorreva però che il parroco di Tellaro che custodiva le chiavi della

Chiesa fosse disposto ad accettare l’ex voto rendendosi ben conto del suovalore e lo ponesse ben in luce e difeso da una solida protezione onde evita-re manomissioni e furti. Per evitare un eventuale rifiuto e che si potessepensare ad una stravaganza di un artista sconosciuto e non si accettasse ilquadro con i riguardi che l’opera e l’artista meritavano, Giuseppe Viviani miinvitò a precederlo per mettere al corrente il sacerdote del dono e del curri-culum del suo autore. Per lui che si proclamava Principe di Boccadarno,uscire dai confini della propria città e da quel limitato territorio che corre

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tra la foce dell’Arno e quella diCalambrone dove tutti lo cono-scevano, era come sentirsi sen-za sostegno, per questo anchequella volta aveva desiderato ilmio intervento. Trovai il sacer-dote in canonica impegnato adinsegnare la dottrina ai bambiniche si preparavano per la primaComunione; come gli accennailo scopo della mia visita, affret-tò la fine della lezione e mi se-guì sulla piazzetta del paese do-ve Giuseppe Viviani con unacoppia di amici e con sua mo-glie, la dolce e paziente signoraElda, erano in attesa. Per buonasorte il parroco già conosceva ilnome dell’artista ed era al cor-rente del valore delle sue opere,così, fatte le presentazioni, nonoccorsero laboriose trattativeperché Giuseppe Viviani otte-nesse con piena soddisfazioneciò che aveva desiderato».

La mostra in S. Matteoinaugurata dal Presidente Gronchi

La solitudine che cercava, spesso la trovava a Marina di Pisa dove trascor-se gran parte della sua vita tra le sue reti da pesca ed i suoi fucili da caccia.Nella tasca della sua cacciatora erano sempre presenti carta e matite perchéera più facile che si fermasse in un viottolo ad ascoltare il mormorio dei pini edisegnare qualcosa che gli era piaciuto piuttosto che sparare ad una lepre.Nel 1960, esattamente il 12 giugno, si concretizzò un avvenimento che

forse Viviani aveva sognato tutta la vita: in occasione del Giugno Pisano,l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, inaugurò una suamostra personale presso il museo di San Matteo.

Giuseppe Viviani a Tellaro il giorno della consegnadel dipinto della Madonna Addolarata destinato allalocale chiesa dei Pescatori. Accanto a lui la moglieElda e, seduti nella barca, gli amici Maria Guya Bru-netti (autrice dell’articolo) e il dottor Servello chenell’occasione accompagnarono l’artista.

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La proclamazione a Cittadino Benemerito Pisano

Viviani era ormai al culmine della sua carriera artistica, affermato e co-nosciuto in tutto il mondo come uno dei massimi artisti contemporanei. Fuall’epoca, titolare della cattedra di Incisione all’accademia delle Belle Artidi Firenze. Finalmente nel giugno del 1963 Viviani ebbe il dovuto omaggiodella sua città. Egli fu proclamato «Cittadino Benemerito Pisano» con que-sta motivazione ufficiale: «A Giuseppe Viviani, artista che ha saputo rag-giungere nella sua produzione maturatasi sempre più attraverso gli anniquella ‘circular melodia’, segno sicuro di genio, di lirismo, di fantasia, diumanità che vibrano nelle linee e nei colori dei suoi quadri, incisioni, e di-segni donde si eleva chiara la voce che l’arte ed i valori dello spirito sono lamusicale necessità dell’ansia meccanica della nostra era».E disse di lui Jean Cocteau: «Giuseppe Viviani est un maître de ce réali-

sme irréel qui sera un jour le signe de notre epoque. Un pied sur le sol, un

In occasione del «Giugno pisano» del 1960, il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi inau-gura, al museo di San Matteo, la mostra personale di Giuseppe Viviani. Alle spalle di Gronchi, siscorge il senatore Giacomo Picchiotti.

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autre dans le vide, il en résulte cette démarche boiteuse propre aux poètesaprès leur lutte avec l’ange» («Giuseppe Viviani è un maestro di questo reali-smo irreale che un giorno sarà il segno dei nostri tempi. Un piede in terra,uno nel vuoto, il risultato è questa zoppicante andatura propria dei poeti dopola loro lotta con l’angelo»).A Pisa, da un’ala dell’antico teatro Redini, Giuseppe Viviani si era ricava-

to una stanza tutta per sé e la chiamava il suo studio. Ma era difficile per unestraneo capire come egli vi potesse lavorare, tanta era la confusione ed ildisordine perché l’artista non permetteva a nessuno, neppure alla devotaconsorte, che pure gli era tanto cara, di toccare le sue cose. Più che una stan-za sembrava un magazzino di vecchie robe fuori uso o meglio, come ebbe adefinirla un suo critico: «la stiva di un battello». Fra tante cose restava po-chissimo spazio per muoversi, pure Viviani riusciva a tirar fuori quelle sueopere pulite e perfette, quasi suggerite appena dal mondo vero e palpitantenel quale il suo carattere schivo e solitario lo guidava con fine sensibilità.

I messaggi di poesia e di bellezza che ha trasmesso con la sua arte

Una delle sue ultime opere è una cartella di trenta litografie a più colori,ognuna narra una storia personalissima e segreta. In questi ultimi anni il si-lenzio della sua città nel ricordarlo fa tornare alla mente i versi di una suapoesia, velata di una sottile ironia, che scrisse nel libro Poesie scherzose diMaria Malagrazia:

Mi voglion morto/ Per concimare l’orto/ Quello di casa mia/ E quello di mia zia/ Leautorità non mi vedon volentieri/ Quelle di oggi, come quelle di ieri/ Mi guardan male iparenti/ Amministratori, delinquenti/ Serve assassine senza denti/ I notari e gli avvoca-ti/ Fetenti consumati/ I colleghi mi guardan biechi…

È la traduzione in versi dell’amarezza di non trovare un giusto riconosci-mento al suo operare proprio nelle persone che più gli erano vicine. Sepolto con il suo fucile più caro ed un’orchidea, riposa nella chiesa di

San Francesco a Pisa. A distanza di tanti anni dalla sua morte i cari fanta-smi che lievitarono nell’animo di Giuseppe Viviani, le visioni del suo mon-do incantato ci trasmettono, col suo ricordo, messaggi profondi ma ancorpiù esattamente decifrabili di poesia e di bellezza.

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Marco Rossi

Comunicare in camice biancoBreve viaggio nella relazione medico-paziente

Edizioni ETSpp. 156, ¤ 15,00

Questo “breve viaggio” offre un punto di vista sul tema dellacomunicazione medico-paziente, frutto dell’esperienza sulcampo dell’autore. Vi sono riportati spunti, pensieri, dubbi,emozioni, riflessioni che l’esperienza diretta ha sollecitato e se-dimentato nella sua mente sull’argomento. Accanto, sono illu-strati sinteticamente argomenti connessi con questa importantecomponente del “mestiere di curare”: dal linguaggio verbale enon verbale all’anamnesi, all’empatia e ai modelli di relazione medico-paziente; dagli aspettidella formazione del medico, sino al ruolo stesso della comunicazione medico-paziente nel fa-vorire l’efficacia della terapia. Conclude il libro una selezione commentata di sonetti in verna-colo pisano, che offrono spunti divertenti ma anche sagaci sull’argomento.

Pietro Verissimo Ruschi

Nil Difficile VolentiUna vicenda millenaria: i Ruschi da Como a Pisa

Edizioni ETSpp. 256, ill., ¤ 25,00

La lunga e travagliata storia di una famiglia, quella dei Ruschi,funge da tramite tra realtà diverse e lontane fra loro: quella diComo, Lugano, Locarno, Bellinzona, feudi della casata in epocamedievale, quella di un primo ma breve soggiorno pisano du-rante il periodo visconteo, quella del più che secolare e appar-tato rifugio, ospiti dei Malaspina, a Monti in Lunigiana e, dallametà del ’500, quella del definitivo insediamento a Pisa. In questa città i Ruschi, nel corso deisecoli, ebbero illustri accademici, assunsero le massime cariche pubbliche e molti di loro ve-stirono l’abito di cavalieri del S.M. Ordine di Santo Stefano P. e M. Nell’Ottocento, alcunimembri della famiglia divennero protagonisti nella vita pisana e toscana: Giovanni Battista fumaire di Pisa in età napoleonica, Francesco fu gonfaloniere Pisa e di Vicopisano e Rinaldo,fermo sostenitore dell’Unità d’Italia, divenne deputato al primo Parlamento nazionale a Torinoe poi senatore del Regno. Anche nel secolo scorso un altro Francesco fu deputato al Parlamen-to del Regno. I palazzi e le ville di campagna appartenute alla famiglia custodiscono cicli di af-freschi fra i più importanti della pittura pisana del ’700.

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Sulla banchina del porto

Quando l’Italia era terra d’emigrazione verso il Nuovo Mondo. Qui siamosulla banchina di un nostro grande porto (potrebbe essere Napoli o Paler-mo) dove facevano scalo i piroscafi delle compagnie di navigazione che ge-stivano il collegamento marittimo con i paesi dell’America del Nord e delSud: ma prevalentemente queste masse di disperati in cerca di occupazioneoptavano, all’epoca, per gli Stati Uniti che a tutti sembravano un grandepaese in continua espansione. Il soggetto rappresentato nell’immagine chevi proponiamo qui a fianco, oltre ai meriti più strettamente artistici, è sen-z’altro degno di un’attenta osservazione per meglio capire il fenomeno so-ciale «emigrazione» che da noi si era fatto sentire pesantemente dopo l’uni-tà d’Italia, soprattutto nelle regioni del Sud.La banchina ci appare letteralmente piena di tanti nostri connazionali in

attesa dell’arrivo del sospiratissimo piroscafo che li condurrà a destinazioneoltre l’Atlantico. Osserviamo bene le figure dei partenti. Tanti sono in piedie conversano tra loro; gli argomenti non mancano: casa, famiglia, il paesecostretti a lasciare, la spesa occorsa per il biglietto del viaggio e i soldi dapoter spendere, con oculatezza, per un primo impatto dopo sbarcati. Altri,seduti per terra, qualcuno anche del tutto sdraiato per un briciolo di riposo.Si vedono, ed è naturale, anche tante donne, in compagnia dei rispettivimariti, pezzuola in testa, sciarpa al collo, giubba e gonna, quella di tutti igiorni, e poi, attorno, bambini anche in tenera età. Uno scenario reale, nien-te è lasciato dal pittore a fronzoli; la descrizione è perfetta.

Al segnale di partenza della nave, tutto un vocìo di addii

Guardiamo meglio, ecco che ci pare di sentirne le voci, un parlare sommes-so, uno alla volta, da brava gente, con una tradizione alle spalle di rispetto e

Quando l’Italia era terra d’emigrazione

di Vincenzo Lupo Berghini

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Angiolo Tommasi,

Em

igra

nti [Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea].

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educazione. Ma a questo parlare sommesso, improvvisamente segue un col-lettivo alto vociare, eccitato, che sovrasta tutti i rumori del sito, perché èapparso all’orizzonte un nero fumo, quello dei camini della nave che sta perentrare nel porto. Tutti allora sono in piedi, fagotti e bagagli in mano, a met-tersi disciplinatamente in coda per salire su quella scala, che è come seaprisse la porta di casa. Poi, il tempo che ci vorrà; una ventina di giorni dinavigazione e forse di più, se il mare s’incattivisse. Adesso con il segnale dipartenza della nave sarà un gran vocìo di addii, di saluti, per questa nostraItalia, che si è costretti ad abbandonare perché non ce la fa a sfamare tutti isuoi figli.

Il pittore livornese Angiolo Tommasi

L’immagine, tratta dal III fascicolo 1896 della rivista «La Vita Italiana»,riproduce un dipinto del pittore livornese Angiolo Tommasi che in qualchemodo ci richiama ai giorni nostri nei quali il fenomeno dell’emigrazione, ov-viamente con connotazioni sue proprie e ben diverse, è di stringente attuali-tà. Angiolo Tommasi (Livorno 1858 - Torre del Lago 1923) studiò all’acca-demia di Firenze, fino a quando il Fattori, che lo aveva conosciuto e l’ap-prezzava, gli consigliò di lasciar perdere quel tipo d’apprendimento per an-dare in campagna a dipingere dal vero, scoprendo la luce in tutte le sue sfu-mature e i colori naturali del paesaggio. Il pittore stabilitosi poi definitiva-mente a Firenze, ebbe contatti con i «macchiaioli» e particolarmente con ilLega, di cui subirà profondamente l’influenza.Tra le sue opere più note vengono citati il grande quadro «Studio dal Ve-

ro», del 1885, che raffigura mirabilmente un gruppo di contadini inginoc-chiati davanti ad una chiesa di campagna (a Crespina, nel Pisano) nel mo-mento solenne della benedizione, e questo dipinto «Emigranti» che destòsubito interesse sia nel pubblico in genere sia nella critica d’arte. Lo Statoitaliano dispose subito per il suo acquisto e perciò dal 1896 in poi divennedotazione permanente della Galleria d’Arte Moderna della capitale.

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Il padre dell’egittologia italiana si è spento a Roma nell’ottobrescorso all’età di 101 anni. Laureato da allievo della Scuola Nor-male con Annibale Evaristo Breccia, si era specializzato a Parigied a Copenaghen ed aveva insegnato nelle università di Milano,Pisa ed infine Roma «la Sapienza». Fu tra i protagonisti negliscorsi anni ’60 del salvataggio internazionale dei templi egizi diAbu Simbel dopo la costruzione della diga di Assuan. La figuradel grande Maestro nel ricordo di un’allieva, a sua volta insignitadel Campano d’Oro nel 2014.

Una vita scientifica piena di importanti riconoscimenti

Fabrizio Sergio Donadoni si è spento a Ro-ma all’età di 101 anni.Era professore emerito di egittologia del-

l’Università «La Sapienza» di Roma; sociodell’Accademia Nazionale dei Lincei, del-l’Accademia delle Scienze di Torino, dellaPontificia Accademia di Archeologia, sociodell’Académie des inscriptions et belles-let-tres e dell’Institut d’Égypte; era dottore ho-noris causa della Université Libre di Bruxel-les. Ottenne il Premio Feltrinelli per l’Ar-cheologia nel 1975 e nel 2000 fu fatto Cava-liere di Gran Croce al Merito della Repub-blica italiana.Nel 1981 l’ALAP (Associazione Laureati

Ateneo Pisano) attribuì il riconoscimento del-la pisanità accademica: il «Campano d’Oro».

È scomparso Sergio Donadoniegittologo insigne, Campano d’Oro 1981

di Edda Bresciani

Sergio Donadoni, in una foto deglianni del suo insegnamento all’uni-versità di Pisa.

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In una recentissima intervista, lucida e intensa, per certi versi commo-vente, pubblicata dal giornale «La Repubblica» nel giugno 2015, SergioDonadoni riconosceva che l’Egitto era stata tutta la sua vita. E descriveva lasua vita come fortunata. E lunghissima: «Vorrei piangere. Ma so di nonaverne il diritto. Lunghissima è stata questa mia vita».

La biografia

Era nato a Palermo il 13 ottobre del 1914, figlio del critico letterario Eu-genio (1870-1924; nel 1922 ebbe la cattedra di letteratura italiana nell’U-niversità di Pisa) e di Melina Pastorelli (della quale si ricorda il volume diversi L’ombra del sogno. Poesie, 1911); la figlia, Miriam, sposata a PietroOmodeo, è stata una pianista e una musicologa d’eccezione.Legatissimo alla madre, una donna di grande intelligenza e cultura, il

Donadoni nella intervista che ho sopra citato attribuiva ad una visita fattacon lei del British Museum una spinta alla sua vocazione all’egittologia. Unsuo punto di riferimento è stato anche il Museo Egizio di Torino; la moglie

Anna Maria Roveri ha ricopertodal 1984 al 2004 la soprintenden-za di quella istituzione. A Torinonel 1986 promosse con altri colle-ghi l’IICE, l’Istituto Italiano dellaCiviltà Egizia.Sergio Donadoni fu allievo della

Scuola Normale Superiore di Pisa;si laureò nel 1935 discutendo lasua tesi con Annibale EvaristoBreccia (1876-1967) che era statodirettore del Museo Greco romanodi Alessandria fino al 1932, gui-dando contemporaneamente im-portanti campagne di scavo adAlessandria, nel Fayum, in MedioEgitto ad Antinoe; rientrato in Ita-lia, il Breccia fu professore di sto-ria antica nell’Università di Pisa erettore di questo Ateneo tra il1939 e il 1941.

Il piccolo Sergio Donadoni con il padre Eugenio ela sorella Miriam.

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Borsista a Parigi ancor prima della laurea, il Donadoni ebbe in quel ferti-le ambiente culturale la possibilità di entrare in contatto con gli archeologi-ci francesi e con altre personalità, come Bruno Pontecorvo e GianfrancoContini; qui incontrò Christiane Desroches Noblecourt, con la quale si legòdi amicizia duratura e di stretta collaborazione archeologica; con lei parte-cipò al salvataggio, voluto dall’Unesco negli anni ’60, dei templi di AbuSimbel e di altri templi della Nubia messi in pericolo dalla costruzione del-la grande diga (High Damm) di Assuan.

Il padre dell’egittologia

Sergio Donadoni nei primi anni ’50 insegnò egittologia nell’università diPisa; insegnò papirologia ed egittologia a Milano e poi, ormai professore or-dinario di egittologia, a Roma «La Sapienza» succedendo a Giuseppe Botti.

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Sergio Donadoni negli anni ‘60 fu tra i protagonisti delle operazioni di documentazione e salvatag-gio dei templi della Nubia sotto l’egida dell’Unesco. Qui è ripreso (primo a destra) con alcuni colle-ghi davanti al grande tempio di Ammone di Ramesse II ad Abu Simbel.

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A Pisa è rimasto sempre legato d’affetto e di nostalgia; aveva abitato inVia Roma con la mamma, che ancora a Pisa molti ricordano, ottima e severainsegnante d’inglese.Non è esagerato affermare che Sergio Donadoni sia stato il fondatore, il

grande protagonista e il punto di riferimento dell’egittologia italiana, ma eramolto noto anche in ambito mondiale. Le sue ricerche sulla civiltà e sull’ar-te egiziana hanno applicato a questa discipline, precocemente e in modooriginale, le metodologie proprie della storia dell’arte e della critica lettera-ria. Generazioni di studenti hanno studiato sui suoi «Appunti di grammati-ca egiziana» pubblicati da Cisalpino, Milano 1963.

L’archeologo

Io, che ebbi la fortuna di laurearmi con Sergio Donadoni nel 1955 (sonostata il primo studente laureato in Egittologia in Italia; nella commissione

Sergio Donadoni mentre riceve dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi le insegne di Cavaliere di GranCroce al Merito della Repubblica italiana.

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di laurea c’erano Evaristo Breccia e Giuseppe Botti) potei anche partecipa-re alle missioni donadoniane in Nubia negli anni ’60, e contemporaneamen-te – per le iscrizioni demotiche in Nubia – al «Centre de Documentation»legato all’Unesco. Poi la mia attività archeologica in Egitto, da Assuan a Te-be, nel Fayum, a Saqqara, si svolse indipendente e parallela; ma il legamedi rispetto, ammirazione e affetto col mio Maestro non si è mai interrotto.Nell’archeologia, la sua prima attività lo vide succedere a Evaristo Brec-

cia ad Antinoe, nel Medo Egitto; in seguito ha condotto numerose spedizio-ni per l’Università di Roma e di Milano in Nubia (Ikhmindi, Farriq, Kuban,Sabagura, Tamit, Abu Simbel, Sonki Tino; brevemente a Medinet Madi conAchille Vogliano); è stato attivissimo nel quadro di collaborazione interna-zionale per il salvataggio dei monumenti egiziani in Nubia.Grazie a questo, il Museo egizio di Torino ha ricevuto in prestito perma-

nente il corredo di una tomba predinastica scavata da Donadoni a Tamit, inNubia.La sua sfera d’azione archeologica si è allargata anche oltre l’Egitto, in

Sudan, a Gebel Barkal, nel si-to della città reale di Napata,non lontano dall’attuale Kari-ma, portando alla luce il palaz-zo cerimoniale.Molto densa di soddisfazio-

ni scientifiche è stata la esplo-razione, condotta dal 1970 eche ha durato molte missioni,a Tebe (el Assassif, Gurna),della tomba monumentale (TT27) di epoca saitica apparte-nuta a Sheshonq, un alto per-sonaggio, il soprintendente deltempio di Ammone a Karnak;Sergio Donadoni e la sua équi-pe sono riusciti a restituirel’impianto decorativo del mo-numento, e utilizzando opera-zioni accorte e difficili di re-stauro, che hanno permesso ilrecupero di rilievi di qualitàeccezionale.

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Sergio Donadoni ripreso mentre passeggia sui lungarnidi Pisa.

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L’autore

La produzione di libri ed articoli di Sergio Donadoni comprende libri chesono ancora rappresentativi, validi nel campo dell’egittologia: dalla precoceLa civiltà egiziana del 1940, a L’arte egizia del 1955, alla Storia della lette-ratura egiziana antica del 1957, a Le pitture murali della chiesa di Sonki Ti-no nel Sudan (1968), alMuseo Egizio del Cairo (1969) e un libro recente co-me Tebe del 2002.Innumerevoli, a prova dell’amplissimo arco di interessi del Donadoni, gli

articoli in varie riviste; sono stati riuniti in volume nel 1986 col titolo Cul-tura dell’antico Egitto. Scritti di Sergio F. Donadoni. Non può non essere nominato il volume a più voci internazionali L’uomo

egiziano curato dal Donadoni, uscito dai tipi di Laterza nel 1990 e che haavuto varie edizioni e traduzioni (anche in giapponese!) La cultura di Sergio Donadoni era globale, non solo tecnicamente egitto-

logica; le sue pagine sono di rara eleganza, il suo stile personale, senza ca-dute, mai convenzionale.

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Brillante studente di agraria a Pisa il marchese Mario Incisa co-noscerà in città la contessa Clarice della Gherardesca che divente-rà sua moglie; sui terreni di Bolgheri che furono del conte Ugoli-no impianterà i vitigni francesi da cui nascerà il Sassicaia unodei rossi oggi più famosi e apprezzati in tutto il mondo; l’incontrocon il grande Federico Tesio e l’acquisto dei primi purosangue al-le aste di Newmarket fino alla creazione della «razza DormelloOlgiata» la scuderia dell’invincibile Ribot.

Tra Sassicaia, Nearco e Ribot

Fosse vissuto ai giorni nostri, con ogni probabilità il marchese Mario In-cisa della Rocchetta sarebbe stato iscritto all’Alap. Sia perché laureato inagraria a Pisa, sia perché molto legato per motivi diversi a questa città. Conun personaggio così per amico, i vecchi soci avrebbero avuto la concretapossibilità di bere Sassicaia e di partecipare alle più grandi avventure ippi-che del secolo. Perché Mario Incisa della Rocchetta è stato l’inventore delpiù famoso vino oggi circolante nel mondo e proprietario della più celebrescuderia d’Italia, comproprietario di due cavalli – Nearco e Ribot – che, do-po essere stati grandi e imbattuti in pista, sono ritenuti capostipiti stallonie-ri di livello universale.Le due vicende, come fra poco vedremo, sono strettamente legate poiché

l’una è conseguenza diretta dell’altra nel senso – e qui facciamo già un bre-ve riassunto – che il grande vino (il Sassicaia, per intenderci) nacque suquei terreni di Bolgheri che erano di proprietà della moglie, la contessaClarice della Gherardesca, che Mario Incisa aveva conosciuto a Pisa pro-prio frequentando Federico Tesio, cioè il più famoso allenatore di purosan-gue di quegli anni (e della storia dell’ippica italiana). Davvero un magicointreccio.

Mario Incisa della Rocchettare dei purosangue e dei grandi vini

di Renzo Castelli

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Uno studente di agraria attratto dal mondo dei purosangue

Nel 1921 Mario Incisa, che proveniva da Rocchetta Tanaro, in Piemon-te, studiava all’università di Pisa ed era affascinato dai successi di un altropiemontese, quel Federico Tesio che stava dominando il panorama ippiconazionale. I due frequentavano lo stesso albergo – il ‘Nettuno’ – ma il ca-rattere dell’allenatore era così chiuso che non era facile per il giovane mar-chese farvi breccia. A svolgere un ruolo decisivo in questa storia fu donnaLydia Flori di Serramezzana, consorte di Federico Tesio, la quale, amicadella storica famiglia pisana dei Gherardesca, giunse a combinare un in-contro e poi un’amicizia fra la giovane Clarice e il marchese Mario. I fattisi concretizzarono con un fidanzamento e poi con il matrimonio che avven-ne il 18 ottobre del 1930. Ecco che la storia si fa interessante perché latrama comincia a dipanarsi: stiamo per assistere all’incontro fra la passio-ne per la viticultura, già nota ma inespressa o comunque limitata all’areapiemontese, della famiglia Incisa e i terreni che Clarice della Gherardescaporta in dote nella Maremma, a Bolgheri, laddove Carducci aveva avutouna nonna di nome Lucia alla quale aveva dedicato la bellissima poesia‘Davanti a San Guido’. Erano terreni molto vasti che, ai tempi del conteUgolino, sette secoli prima, venivano coltivati a frumento, quel frumentoche probabilmente fu la vera causa della sua caduta in disgrazia. Secondo

una tesi, ignorata da Dante,le accuse mosse al contenon sarebbero, infatti, statele beghe politiche quanto ilfatto che avesse venduto aipisani il frumento prodottonelle sue terre maremmanea prezzi esorbitanti rispettoa quelli di mercato e, certa-mente, molto più alti delfrumento che proveniva dal-la Sicilia. Comunque fosse-ro andate veramente le co-se, di quei vastissimi posse-dimenti di Maremma eragiunta in eredità alla con-tessa Clarice la sola ‘tenutaSan Guido’.

Il marchese Mario Incisa della Rocchetta con il figlio Ni-colò, ripresi nelle cantine della tenuta di San Guido,presso Bolgheri. Il marchese Nicolò cura attualmente leattività vinicole ed ippiche della famiglia Incisa.

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Le viti, una tradizione del casato Incisa

Come fossimo in un teatro dobbiamo dunque recuperare parte della tra-ma ripartendo dalla passione degli Incisa per il vino in epoca ben anterioreal matrimonio del marchese Mario con la contessa Clarice. Eccoci dunquecatapultati a ritroso a Rocchetta Tanaro dove Leopoldo Incisa, nato nel1792, a vent’anni comincia a interessarsi di viticultura. Lo fa con tale impe-gno che nel 1845 escono un suo studio sulla stagione più adatta allo svinaree una memoria intitolata «Nozioni generali», nella quale viene minuziosa-mente raccontata la situazione dei vigneti di Rocchetta Tanaro. La speri-mentazione e gli studi di Leopoldo culminano nel 1862 e attraggono l�atten-zione dei vitivinicoltori del nord Italia che accorrono in gran numero ad am-mirare, nelle sale inferiori del castello della Rocchetta, ben 175 varietà diviti in vaso. Nel 1869, a 77 anni, Leopoldo pubblica il secondo catalogo«Descrittivo e ragionato» della propria collezione di vitigni italiani e stra-nieri: sono 175 vasi e al numero 92 troviamo il Cabernet Sauvignon, al 145il Cabernet Gris (o Ca-bernet Franc), che,come sottolineerà inseguito il marcheseMario, «sono entrambiusati nei vini di Bordòe sono fra i più prezio-si che io abbia intro-dotto nelle mie coltu-re». Durante gli ultimianni di vita, Leopoldosi fa portare in casa ivasi delle viti per con-tinuare i propri studiprediletti e quandomuore, nel 1871, non-ostante il vivaio gli so-pravviva per un breveperiodo, il catalogo re-sta, per diventare fon-te preziosa di consul-tazione per il pronipo-te Mario.

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Una veduta della tenuta di San Guido, nei pressi di Bolgheri, an-tico possedimento dei Gherardesca portato in dote dalla contessaClarice nel matrimonio con Incisa della Rocchetta. Qui il mar-chese Mario, fra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, sperimentòalcuni vitigni francesi dando vita al Sassicaia. L’annata del ’68 fula prima ad essere immessa sul mercato e subito ebbe un’acco-glienza molto favorevole. La definitiva consacrazione internazio-nale del rosso, ormai tra i più famosi al mondo, si ebbe in unevento espositivo a Londra nel 1978.

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L’avventura del Sassicaia nella tenuta di San Guido

Questi gli antefatti. Con un balzo di sessant’anni, troviamo i due giovanisposi Mario e Clarice prendere possesso, per risiedervi, del castello e delvasto territorio dell’Olgiata, nell’agro Romano, antica proprietà dei Chigi(famiglia dalla quale proviene Mario Incisa per parte di madre) mentre restada capire come utilizzare al meglio la ‘tenuta San Guido’, in Maremma, por-tata in dote da Clarice. Che farne? Nessuno prima di Mario Incisa – che aveva sempre amato i vini francesi

– aveva pensato di far nascere e crescere un vino bordolese in Italia, tantomeno in una zona sconosciuta sotto il profilo vinicolo. La decisione di pian-tare questo vitigno in una zona come quella di Bolgheri e Castagneto Car-ducci, dove gli unici vini prodotti erano quelli bevuti a pranzo, a cena o al-l’osteria dai contadini della zona, dai fattori, dagli abitanti dei borghi disse-minati sul territorio, apparve a molti ‘esperti’ tanto clamorosa quanto dis-sennata. Eppure a Mario Incisa piaceva il podere di Castiglioncello di Bol-gheri, quel podere soleggiato messo su un poggio alto circa 300 metri, dacui si domina tutta la costa e le colline punteggiate da quella macchia me-diterranea dove si mescolano i profumi pungenti del mirto e del ginepro.Quando aveva lasciato scritto il bisnonno Leopoldo era ancor ben chiaronella sua mente e ora non restava che mettere a frutto, magari perfezionan-dole, quelle nozioni. Fu così che Mario Incisa mise a dimora cabernet sau-vignon, cabernet franc e altri vitigni francesi, confortato anche dal suggeri-mento del suo amico duca Averardo Salviati, antica conoscenza pisana egrande appassionato di viticoltura e di agraria in genere. Da lì cominciò,senza neppure avere una cantina attrezzata e un enologo, l’avventura delSassicaia, proveniente da una vigna impiantata in un terreno pietroso (dacui il nome) leggermente più elevato del livello del mare. Tra il 1948 e il 1960, il Sassicaia rimane un vino di dominio strettamente

privato e viene consumato solo nella Tenuta. All’inizio non mancò qualchedelusione nel tentativo di imporlo sul mercato: ad esempio, quando, nei pri-mi anni Sessanta, tutti i maggiori ristoranti di Firenze, rifiutarono questosconosciuto ‘rosso di Bolgheri’ dal nome tanto strano e poco invitante per-ché richiama alla mente l’dea del ‘sasso’. Nel 1968 la commercializzazionedel prodotto comincia però a raccogliere i primi consensi. Intanto il mar-chese aveva introdotto l’uso delle barrique e nel 1978 arrivò la consacrazio-ne internazionale a Londra, quando durante una degustazione ‘alla cieca’, ilSassicaia del 1972, anno molto piovoso, sfidò – vincendo – i 32 migliori ca-bernet sauvignon del mondo.

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La nascita nel 1932 della scuderia Tesio-Incisa

Resterebbe da raccontare una seconda parte della vita di Mario Incisadella Rocchetta, cioè quella sportiva, legata al purosangue. La faremo breveseppure nel mondo dei purosangue sia molto importante. Grazie alla cono-scenza fatta con Federico Tesio già negli anni Venti, il marchese decise diacquistare a Newmarket due purosangue, Polka e Joan Lowell che dette inallenamento a Barbaricina dapprimaa Dante Serani, quindi a WilliamSmith. Ma i risultati erano così mode-sti che Tesio, per stizza nei confrontidi questo nobile così ‘incompetente’,o forse anche per una sua convenien-za in un momento di difficoltà econo-miche, un giorno nella primavera del1932 fece una brusca quanto clamo-rosa proposta al marchese: entrare insocietà con lui nell’intera scuderia dacorsa e nell’allevamento. Fu così cheda quell’anno la giubba, che rimasequella di Tesio (bianca, con croce diSant’Andrea rossa e berretto rossocon pon pon dorato) cambiò nome in‘Tesio-Incisa’. L’immenso Nearcovincerà in suo nome anche il GrandPrix de Paris del 1938 prima di esse-re venduto per 60 mila lire (all’epocaun capitale) a un consorzio inglese.

I fasti nel dopoguerra della «razza Dormello Olgiata»

Nel dopoguerra la scuderia prese il nome di «razza Dormello Olgiata», lascuderia per la quale furono note le imprese di Ribot. Cosa volevano signi-ficare questi due nomi? Dormello era l’area che si estendeva sulle pendicimoreniche del monte Rosa, acquistate tanti anni prima da Federico Tesioper crearvi il suo allevamento dopo aver venduto una sua vecchia proprietàin Brianza. Era una scelta dettata da un’evidenza che Tesio aveva spiegatocosì: «Se su quei terreni stambecchi e camosci possono correre senza danni

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Il marchese Mario Incisa della Rocchetta rice-ve i complimenti dalla regina Elisabetta dopoil successo di Ribot nelle King George VI andQueen Elizabeth Stakes ad Ascot nel 1956.

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alle articolazioni, anche i puledri vi acquisteranno robustezza ossea». I ri-sultati gli hanno sempre dato ragione. In quanto all’Olgiata, abbiamo già vi-sto le sue origini e dobbiamo soltanto aggiungere che, su un poggio dellavasta proprietà, era stata ricavata negli anni un’area per il riposo dei cavallireduci dalle grandi corse.Dopo la morte di Federico Tesio avvenuta il 1° maggio 1954 la responsa-

bilità della gestione della «razza Dormello Olgiata» passerà interamente aMario Incisa e i clamorosi successi di Ribot nel 1955 (fra i quali il suo pri-mo Arc de Triomphe a Parigi) e nel 1956 (le King George ad Ascot e il se-condo Arc de Triomphe) sono interamente suoi. A fianco del marchese Ma-rio Incisa della Rocchetta erano rimasti i figli Orietta, Nicolò ed Enrico maoggi, scomparso il padre, la sorella e il fratello, il testimone nella gestionedell’attività vinicola e dell’allevamento dei purosangue è da anni nelle manidel marchese Nicolò che vi si dedica con la stessa passione del padre (e,per quanto riguarda il vino, del trisavolo Leopoldo).

Il marchese Mario Incisa della Rocchetta con Ribot ed il fantino Enrico Camici dopo la vittoria aParigi nel Prix de l’Arc de Triomphe del 1956.

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La mòlte der Conte ’Golino1

Quello d’ammazza’ lui, lassamo stare,Nun dirrò nulla, era ’n vigliacco ’nfame!Ma’ su’ nipoti, sangue dell’artare,Nun li dovevan fa’ mori’ di fame.

Anco con lui potevan ammollare2.Dovevan dinni: «Voi siete un tegame3,Levàtivi di vi’, potete andare…»E stiaffallo4 ’n esiglio dar reame.

Ma una strage ‘osì’, nun c’è memoria!Che si ’ogliona! Un povero gristiano,Per avenne buscate alla Meloria,

Giustiziall’ a quer modo! Ma Pelsano5

Nun fece guasi la listessa storia?6

Eppure è sempre vivo quer gabbiano!

Renato Fucini

da Le poesie di Neri TanfucioBemporad, Firenze, 1871

1 La morte del conte Ugolino della Gherardesca.2 Lasciar correre.3 Voce popolare che suona come uomo da nulla, vile, sudicio.4 Mandarlo.5 L’ammiraglio Persano.6 Riferimento alla disfatta nella battaglia di Lissa del 1866.

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Fisico insigne e rettore dell’università di Pisa

Chi fu Riccardo Felici? Perché è in-dicato come figlio di padre ignoto? Di-ciamo subito che fu uno dei massimiesponenti della fisica italiana dell’Ot-tocento. Fu presente, inoltre, col gradodi tenente di battaglione, e si battéeroicamente sui campi di Curtatone eMontanara a fianco dei colleghi Otta-viano Fabrizio Mossotti, GiuseppeMontanelli, Leopoldo Pilla, Carlo Mat-teucci, Ranieri Simonelli e tanti altri.Fu rettore all’università di Pisa dal1870 al 1883. Fu inoltre il Maestro diAntonio Pacinotti.Il mistero dell’ignota paternità è stato

dipanato dall’ambasciatore GiovanniFerrero, autore del libro Riccardo Felici,un enigma dello scienziato, per i tipi diETS, la stessa casa editrice che cura lapubblicazione del Rintocco del Campa-

no, libro che è stato recentemente presentato a Palazzo Blu, presente lostesso autore.

Un matrimonio indesiderato con il marchese Bartolommei

Riccardo Felici era nato, scrive Ferrero, dalla relazione del poeta UgoFoscolo con la nobildonna pisana Isabella Roncioni, figlia di Angiolo e

Riccardo Feliciil figlio segreto del Foscolo

di Gino Alabiso

Riccardo Felici

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Dorotea Agostini Venerosi della Seta.Ugo Foscolo amò la fanciulla dallaquale fu riamato con passione. Unamore che però si spense quando Isa-bella andò sposa del marchese Leo-poldo Bartolommei. Un matrimonioche Isabella non desiderava ma alquale fu costretta dai genitori.Dall’unione col marchese Barto-

lommei vennero alla luce altri due fi-gli: Lorenzino ed Enrichetta.Ma dove nacque Riccardo Felici?

Da un documento pare sia nato a Par-ma l’11 giugno 1819. Abbandonatodalla madre, visse la sua infanzia conuna balia, profumatamente pagata. Poi in collegio nel Ducato di Parma, conl’etichetta di «figlio di NN», naturalmente con tanta sofferenza.

Il trasferimento a Pisa e l’impegno nell’università

All’età di 20 anni si trasferì a Pisa per frequentare l’università. Compìstudi prima di ingegneria ma poi si orientò decisamente verso la fisica sottola guida di Carlo Matteucci, di cui fu assistente dal 1846. Nel 1859 divenneprofessore ordinario e direttore del gabinetto di Fisica, subentrando al suoMaestro. Viene ricordato per importanti contributi nel campo dello studiosistematico dei fenomeni di induzione elettromagnetica.Felici si sposò con Elisa Frullini, nel 1854, ed ebbe una figlia, dal nome

significativo di Isabella. Oltre che rettore dell’università di Pisa, fu membrodi varie accademie scientifiche tra cui l’Accademia dei Lincei. Morì a S. Alessio di Lucca l’11 giugno 1902.Di sua madre Isabella Roncioni si sa che dopo il matrimonio col marche-

se Bartolommei ebbe una vita assai irrequieta. Si rivide con Ugo Foscolo,carattere fiero e indomo, alcuni anni dopo la loro relazione, in un incontro,a Firenze, nel salotto di Luisa d’Albany.

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Ugo Foscolo

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L’iniziativa del Consiglio direttivo dell’Alap

Il 26 ottobre 1999, il Consiglio direttivo dell’Alap, presieduto da GuidoGelli, decise di ripristinare una lapide commemorativa del celebre goliardoSalvatore Arcangeli, murata nel 1933 sulla parete laterale della Torre dellaFame, in piazza dei Cavalieri, nel cortile anteriore della Casa dello studente,andata distrutta o sottratta durante l’ultima guerra. Quella lapide, in marmoapuano, era stata donata dallo studente Pepo Giorgini Shiff dell’omonima fa-miglia di Montignoso, attiva nelle vicende risorgimentali. Il contenuto erastato dettato dal goliarda Bruno Imbasciati e così recitava: «SALVATOREARCANGELI/ di Pomarance/ dell’Ateneo Pisano or è un secolo/ scolaro digiurisprudenza/ per non obliate gesta goliardiche/ dai condiscepoli e dalGiusti ribattezzato/ STRAVIZIO/ il Senato del Crocchio goliardi spensierati/su queste vetuste mura/ volle degnamente ricordare/ in occasione della Fe-

sta delle Matricole 1933/ quale pe-renne simbolo/ della ‘baraonda tan-to gioconda’».Ma chi era Salvatore Arcangeli

di Pomarance, vissuto nella primametà dell’Ottocento a Pisa, ove,condiscepolo del Giusti e degli altriche frequentavano il Caffè dell’Us-sero si laureò in Giurisprudenza epoi esercitò l’avvocatura a Pistoia eFirenze? Di lui scrisse il comme-diografo Maso Salvini: «SalvatoreArcangeli di Pomarance, del qualei condiscepoli sintetizzarono i co-stumi nel nomignolo di Stravizio,inventore di facezie e di burle ri-maste celebri».

La singolare vicenda della lapide al goliarda Stravizio

di Otello Lenzi

Una vecchia foto del 1933 riprende Bruno Im-basciati, tra i protagonisti della goliardia pisananell’anteguerra, davanti alla lapide che ricordaStravizio.

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Il ricordo di Renato Fucini

Renato Fucini lo conobbe quando lavorava a Firenze e Stravizio vi eser-citava la professione di avvocato (Non ammazzai nessuno da soldato / ora lostrozzerò come avvocato). Si ritrovavano alla farmacia detta del Porcellinopresso le Logge del Mercato Nuovo ove il Fucini quasi ogni sera si recavaattirato, più che altro, dalla cricca di profondi, arguti e spiritosissimi inge-gni che vi tenevano cattedra. Ricorda in Acqua passata lo scrittore:

Un vero gruppo intellettuale, ma intellettuale sul serio. Capitavano là dentro, diquando in quando, due originali: Pirro Giacchi, prete per combinazione, poeta facile estrampalato, lingua a rasoio e compagnone piacevolissimo per una mezz’ora. Con lui,qualche volta, si incontrava un altro originale della più bell’acqua; un certo tipo cono-sciuto col soprannome di Stravizio, il cui vero nome non l’ho mai saputo. Il suo so-prannome corrisponde alla sua biografia. Che peccato! Tanto ingegno, tanta genialità,tante preziose attitudini, seppellite sotto quel cumulo di disordine e di vizi d’ogni ge-nere. Una sera nacque disputa fra Pirro Giacchi e lui e ne venne fuori la sfida a chi,dei due, avrebbe fatto più presto e meglio un sonetto a rime obbligate. Le rime furonodate più ostiche che fosse possibile: in «inco», in «anco», in «onco», in «unco». Ilsoggetto: «La resurrezione di Cristo». Stravizio finì primo il suo compito e lesse:«Dall’avello sorgea che parea pinco…»Un grido generale d’ammirazione gli troncò la parola e non gli fu permesso di leg-

gere il resto perché, gli fu detto, tutto quello che sarebbe venuto in seguito, sarebbestato a scapito di quel verso stupendo. E dovette fermarsi lì. A Pirro Giacchi non fuaccordato di leggere neanche il primo verso, perché fu ritenuto da tutti che era impos-sibile uguagliare la bellezza di quello del suo avversario. E a Stravizio fu assegnatoper acclamazione il premio della sfida: un ponce bianco con rumme a volontà.

L’interferenza delle passioni politiche

Tornando alla vicenda della lapide, ricordo che per la mia familiarità conl’ambiente carrarese, fu dato a me l’incarico di provvedere alla realizzazio-ne dell’epigrafe, per la quale avevo presto trovato chi ci avrebbe offerto,gratis, una bella lastra di marmo bianco e individuato un laboratorio che,con modica spesa (o anche meno…) ci avrebbe inciso quanto a suo tempodettato dall’Imbasciati; avevo anche fatto ricerche presso il comune di Mon-tignoso su eventuali discendenti di Bepo Giorgini Shiff per coinvolgerli nel-l’iniziativa. Ma la decisione del Consiglio dell’Alap aveva evidentementevarcato la soglia della sede dell’associazione, se alla nostra richiesta si af-fiancò quella di chi voleva murare nello stesso posto altra lapide in ricordo

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del filosofo Giovanni Gentile(per inciso: nel 1994, cinquan-tennio della morte, le Poste Ita-liane avevano emesso un fran-cobollo commemorativo). Que-sti, come sappiamo, era statodirettore della Scuola Normaledal 1928 al 1943 e nel 1897 visi era laureato come internoavendo a suo tempo vinto ilconcorso per l’ammissione;inoltre, dal 1914 al 1917 avevainsegnato presso la nostra uni-versità. A questa seconda ini-ziativa fu data una certa noto-rietà e provocò una violenta le-vata di scudi da parte di chinon la gradiva.Poiché l’iniziativa dell’Alap

aveva preso una piega non pre-vista e tanto meno desiderata, il direttore della Scuola Normale, salomoni-camente, vietò ogni epigrafe. Poté farlo perché la Scuola è proprietaria del-l’immobile (vi ha sede la prestigiosa biblioteca della Normale) sulla cui pa-rete laterale avrebbero dovuto essere apposte le lapidi. Ma così SalvatoreArcangeli e con lui la goliardia pisana sono rimasti senza una testimonianzaimperitura che, peraltro, non avrebbe dato noia a nessuno.

Il filosofo Giovanni Gentile.

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Grande successo, nel dicembre scorso, hanno riscosso le due rappresentazioni al tea-tro Verdi dell’operetta goliardica «Otello, er Moro di Pisa» messa in scena dal Croc-chio Goliardi Spensierati (CGS) in collaborazione con l’Alap. Si è trattato della ripro-posizione della divertente parodia musicale in vernacolo dell’opera shakespeariananel testo riscritto da Lorenzo Gremigni, il quale ha interpretato anche la parte del pro-tagonista accanto agli altri noti «crocchisti» Leonardo Ferri (Desdemona), Marco Gre-migni (Braganzio), Mario Messerini (Jago), Fabio Vasarelli (Cassio) e Fabiano Cambu-le (Zaira, serva di lingua sciòrta). Sotto l’apprezzata regia di Giuseppe Raimo, hanno preso parte allo spettacolo anche ilcoro dell’università di Pisa diretto da Stefano Barandoni; il tradizionale immancabilecorpo di ballo goliardico «28 cosciotti non depilati 28» ammaestrato dalla scenografaSabrina De Cristofaro; l’orchestra dell’università di Pisa coordinata da Manfred Giam-pietro e nell’occasione diretta da un ispirato maestro «Nocciolo» (Bruno Bardi), cheper l’evento ha composto nuove musiche e «rimpolpettato» intramontabili sue vecchiemelodie. Il ricavato delle due serate è stato devoluto all’ospedale di San Gaspare a Itigi (Tanza-nia) tramite la benemerita associazione pisana «Solidarietà Sanitaria». (b.b.a.)

Grande successo di Otello

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Inizialmente prevista all’aperto ma poi tenutasi per ragioni meteo in unampio salone del Centro SMS, la rivincita della «Disfida dei vernacoli pisa-no e livornese» del 15 maggio scorso ha registrato ancora una volta un’af-fluenza massiccia di pubblico in larga parte esterno rispetto all’associazio-ne. Stavolta a fronteggiarsi erano, per Pisa, il poeta Miriano Vannozzi insie-me all’attore Fabiano Cambule e, per Livorno, Doranna Natali, cantante estornellatrice, con Luciano Tarabella, autore di scoppiettanti sonetti satiri-ci. Si è trattato di una serata memorabile per il «tasso di risate» difficilmen-te ripetibile e per il continuo entusiasmo dei duellanti e del pubblico. Pre-sentatore e factotum Lorenzo Gremigni, che alla fine, secondo il verdettodella qualificata giuria, ha proclamato vincitrice Pisa, dopo una «bella» asuon di stornelli e sonetti senza esclusione di colpi.

Sempre il vernacolo, stavolta accompagnato dalle note del «Trio Mandra-gola» (Mauro Redini al mandolino, Alessandro Sodini alla fisarmonica, Vir-ginio Coloru alla chitarra) ha risuonato nella gradevole «Festa d’EstateAlap», che ha avuto luogo nel suggestivo contesto del porto di Pisa presso ilristorante «Fuori Onda» la sera del 17 luglio scorso. Il bel tempo ha con-sentito ai moltissimi soci ed amici intervenuti di cenare all’aperto, con unasplendida vista del porto dal centro del suo bacino. L’incontro conviviale èstato scelto come occasione per presentare a tutti i commensali una nuovainiziativa dell’Alap, il «Menù vernacolo»: un vero e proprio menù poeticoda cui i commensali hanno scelto e «gustato alla carta» celebri sonetti invernacolo a tema, interpretati da Bruno Bardi, Mario Messerini, LorenzoGremigni e Leonardo Ferri. I contributi raccolti, pari a 300 Euro, sono staticonsegnati alla scuola di Musica di Marina di Pisa per l’acquisto di un flau-to traverso. Per il suo interesse, la serata è stata inserita nel programma di«Marenia 2015». (l.g.)

(A fianco riportiamo la vignetta del nostro Nicola Gorreri che sintetizza inmaniera ironica e pungente l’esito della disfida Pisa-Livorno).

Le divertenti serate estivedegli incontri di vernacolo dell’Alap

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[Vignetta di Nicola Gorreri]

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Recensioni

È da 18 novembre nelle libre-rie, dopo aver destato comprensi-bile curiosità nell’anteprima al«Pisa Book Festival», il nuovo li-bro di Renzo Castelli 1000 facceconosciute, edito da ETS. È unacarrellata su mille profili di perso-ne conosciute dall’autore nella suacittà, un numero imponente nelquale sono peraltro compresi an-che 167 nomi di personaggi, e inmolti casi di autentiche personali-tà, dello spettacolo, della politica,della cultura incontrati a Pisa inoltre mezzo secolo di giornalismo.

Con quest’ultimo libro, RenzoCastelli sembra voler concludereil suo racconto sulla città nei suoimolteplici aspetti, un racconto co-minciato con lo sport – la storiadell’ippica pisana (Il paese dei cavalli) e del calcio (Il sogno neroazzurro) – eproseguito con la nascita del fascismo e della Marcia su Roma (Fascisti aPisa) e con gli anni dell’immediato dopoguerra (Pisa, 1944 e dintorni). Neidue ultimi, precedenti libri Castelli aveva descritto la città attraverso la te-stimonianza di «nomi» che avevano visitato Pisa in epoche diverse (Così 36personaggi hanno scoperto la città), infine con un racconto corale di Pisanelle sue forme e nelle sue storie (Il romanzo della città).

In 1000 facce conosciute compaiono sindaci e arcivescovi, uomini discienza e di sport, giornalisti e commercianti, docenti universitari e profes-sionisti ma anche gente comune attraverso la quale Castelli può raccontarevari aspetti della città dal dopoguerra a oggi: l’ennesima testimonianza diun autore che ha vissuto intensamente le vicende pisane in ogni loro detta-glio storico e di costume. Leggendo i brevi profili dei personaggi che Ca-stelli piacevolmente ci propone, un lettore non giovane pisano, o che in

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città abbia soggiornato per periodi importanti, non può mancare di riscoprirefatti, circostanze, incontri, emozioni e di tornare con la memoria, ed un po’ dinostalgia, a rivivere vicende e momenti significativi della propria vita.

Infine, una particolarità che riguarda i lettori del Rintocco: fra le 1000 fac-ce conosciute un buon numero è rappresentato da iscritti all’Alap. L’associa-zione viene anche citata in varie circostanze e di ciò, oltre che dell’interes-sante lettura che ci ha regalato quest’ultimo suo libro, ringraziamo l’autore.

B.P.

Renzo Castelli, 1000 facce conosciute, Edizioni ETS, Pisa 2015, pp. 440, € 22,00.

* * *

Il nostro collaboratore, il gior-nalista parlamentare della RAIFausto Pettinelli, ha recentementepubblicato presso le edizioni LCDLibri di Pontedera la seconda edi-zione, ampliata, di un libro suglieventi bellici nella provincia diPisa nel 1944. Il lavoro, con laprefazione illuminante dell’onore-vole Lelio Lagorio, sulla quale valbene la pena di soffermarsi, corre-dato da un gran numero di fotogra-fie d’epoca provenienti anche daarchivi statunitensi e tedeschi è,non solo, quanto di meglio e piùcompleto sia stato finora pubblica-to sull’argomento, ma richiamapure eventi relativi all’intero con-flitto mondiale e personaggi chehanno vissuto da protagonisti quelperiodo. Si tratta, pertanto, di un rilevante documento che va ben oltre l’in-teresse storico per la provincia di Pisa.

Il lavoro, condotto con la puntualità e l’obiettività dello storico, si svilup-pa dalla metà del 1943 alla prima metà del 1945 e, oltre a figure minori, nemette in evidenza altre importanti come il generale Pietro Badoglio, il gene-

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rale David Dwight Eisenhower, che sarà poi presidente degli Stati Unitid’America, il generale Mark Wayne Clark, il feldmaresciallo Albert Kessel-ring, il maresciallo Harold Alexander, Winston Churchill, il grande statistaa cui, per la sua monumentale opera sulla storia della Seconda Guerra Mon-diale, fu assegnato nel 1953 il premio Nobel per la letteratura. Fra le novitàdi questa seconda edizione, notevole il capitolo sul generale Frido von Sen-ger und Etterlin, che nel luglio 1944 aveva stabilito il suo quartier generalea S. Maria a Monte nella Villa Pozzo e sulla figlia, Maria Josè von Sengermaritata conti Gani. Al generale von Senger, oblato benedettino, antinazi-sta, va il merito del salvataggio dei tesori dell’abbazia di Montecassino: egliera amico del feldmaresciallo Kesselring che lo assecondò in certe sue ini-ziative rischiose, come l’aver salvato 186 ufficiali italiani in Corsica per iquali Berlino aveva ordinato la fucilazione.

Su sollecitazioni della contessa Maria José Gani von Senger, che vive aLondra, Fausto Pettinelli si è impegnato anche recentemente per evitare chesi perpetui un falso storico, sostenuto da certi ambienti viennesi, attestatoanche da una lapide murata nell’abbazia di Montecassino, secondo cui ilmerito del salvataggio di quei tesori sarebbe da attribuirsi al tenente colon-nello Julius Schlegel, austriaco, comandante della Divisione paracadutistiHermann Goering, che requisì quelle opere d’arte per spedirle in Germania.

Si tratta di un libro che ci narra di un’epoca favolosa, anche per chi l’ab-bia vissuta, tanti sono gli anni che ci separano da essa e tanti i mutamenti,anche aberranti, nel frattempo intervenuti; di un’epoca per più di un aspet-to infelice il cui ricordo però è capace di generare nell’animo dei meno gio-vani, particolarmente in coloro che hanno familiarità coi luoghi rivisitati,un avvincente flusso di memorie. Il lettore che non esisteva al tempo in cuiquei fatti si svolsero, oltre che trarne utili insegnamenti, potrà leggerlo co-me un interessante libro di narrativa, come una testimonianza, così come sileggerebbe la cronaca della campagna di Napoleone in Russia o Per chisuona la campana di Hemingway.

O.L.

Fausto Pettinelli, Quando passò il fronte, CLD Libri, Pontedera 2015, pp. 240 +158 ill.ni in b.n., € 22,00.

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Fulvio Muiesan

Il Rintocco ha perduto una delle suepenne più feconde, affezionate e brillanti.Fulvio Muiesan, triestino classe 1918,scrittore, giornalista e poeta, è scomparsoagli inizi di luglio alla bella età quindi dinovantasette anni. L’amicizia con GuidoGelli, risalente al comune impegno romanoin seno all’IRI (della cui sezione editorialeMuiesan era stato caporedattore) lo avevaportato da pensionato a collaborare stabil-mente col Rintocco. Non faceva mai man-care contributi autobiografici garbati e iro-nici nei quali raccontava a puntate la suagiovinezza; una sorta di sorprendente eppurvero romanzo della propria vita in cui assumeva un ruolo centrale l’espe-rienza di studente all’università di Pisa. I lettori degli anni Novanta e Due-mila non possono non ricordare i gustosi Ricordi pisani di un fagiolo terge-stino, animati da spiritosi disegni dell’autore, e i più tardi Andirivieni senti-mentali di un goliarda d’antiquariato, per finire con gli esilaranti, ma sem-pre misurati, Estremi residui mnemonici di un goliarda nonagenario.

Dopo i primi anni di studio a Pisa, Muiesan si era trasferito a Padova an-che per essere più vicino alla famiglia che ancora risiedeva a Trieste. Subitodopo la laurea nell’ateneo patavino, nel 1938, aveva cominciato la carrieradi giornalista, lavorando prima al “Popolo di Trieste” da giovane collabora-tore e successivamente entrando da redattore al “Piccolo Sera”. Con loscoppio della guerra venne richiamato sotto le armi partecipando da ufficia-le agli eventi bellici. Internato negli Stati Uniti, diresse il settimanale per iprigionieri italiani inquadrati nell’Italian Service Units.

Dopo il rientro in patria, Fulvio che è sempre andato orgoglioso di averela tessera numero 1 per anzianità di iscrizione, risalente al luglio del 1940,all’Albo dei giornalisti professionisti del Friuli Venezia Giulia, aveva ri-preso la sua attività di cronista. In questo ambito ha lavorato a Roma per la

Il Ricordo

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Associated Press, per il servizio stampa della Rko Radio Film e per lo Euro-pean Recovery Program, incarichi che lo hanno visto impegnato in Americae in numerose capitali europee. In seguito ha operato per molti anni nel-l’ambito della comunicazione e delle pubbliche relazioni aziendali, in parti-colare, per i Cantieri Riuniti dell’Adriatico e per l’IRI.

Alla prestigiosa carriera giornalistica, Muiesan ha accompagnato l’apprez-zato impegno di poeta in dialetto triestino ed in italiano. La sua vena poeticatraspare qua e là anche negli scritti dedicati al Rintocco ed al ricordo dei gio-vani anni trascorsi da studente a Pisa. Si leggano, a mo’ di esempio, le delica-te ed intense parole con cui esordisce l’ultimo suo contributo pubblicato sulRintocco (n. 2 del 2008): «Noi fratelli e coetanei miei dilettissimi – che abbia-mo passato i nostri anni più verdi in una gelida cameretta d’affitto, tra libri,dispense, foglietti e quadernetti, per ricevere in premio una cartolina precettocon l’indicazione di un reggimento da raggiungere entro ventiquattro ore –sappiamo bene come nulla sia più dolce di un pomeriggio di primavera, quan-do un tiepido sole dona al cielo di Pisa un incantevole azzurro, e dai miracolidel prato emana il quieto splendore degli antichi marmi». Espressioni questedi elevata poesia e di sincero amore per Pisa, una città che aveva fatto brec-cia nel cuore triestino dello scrittore e poeta Fulvio Muiesan.

L.G.

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Nozze d’oro e d’argento con la laurea

Il tradizionale appuntamento incui l’ateneo pisano incontra i suoiex allievi per festeggiare il 25° ed il50° anniversario della loro laurea siè tenuto il 18 ottobre scorso, al Pa-lazzo dei Congressi, con il consuetosuccesso di partecipazioni. L’edizio-ne di quest’anno ha visto coinvolti ilaureati degli anni accademici1964-65 e 1989-90. Tra i premiati,anche i nostri associati GaetanoRizzo, da Pisa, nozze d’oro in medi-cina e chirurgia, e Alessandra Lu-petti, da Rosignano Marittimo (Li-vorno), nozze d’argento ancora inmedicina e chirurgia.Hanno porto il loro saluto agli in-

tervenuti, il rettore Massimo Augel-lo, il sindaco di Pisa Marco Filip-peschi, il presidente dell’Alap Pao-lo Ghezzi e la vicepresidente del-l’Unione industriale pisana PatriziaPacini. Ai festeggiati è stata conse-gnata una medaglia riproducentesul recto l’insegna del Cherubino,emblema del nostro ateneo, e sulverso uno scorcio del porticato dellaSapienza con al centro il monumen-to ai caduti universitari e le scrittein rilievo «A tempo a tempo, chi sasa e chi non sa su’ danno» e «L’U-

niversità degli studi in Pisa ai suoiallievi nel 25° [50°] anno di lau-rea». Tutti inoltre hanno ricevutoun elegante volume, ricco di scrittie di immagini sul passaggio dell’ul-tima guerra sulla città di Pisa. Co-me tradizione, un intermezzo musi-cale del coro della nostra universi-tà, diretto dal maestro Stefano Ba-randoni (presente in sala anche perla ricorrenza delle sue nozze d’ar-gento con la laurea in lettere, con-seguita nel 1990) ha separato laconsegna del riconoscimento ailaureati da 50 anni da quella riser-vata ai laureati da 25 anni. Sonostate eseguite, con l’accompagna-mento al pianoforte di Silvia Man-nari, musiche di Leonard Bernsteinda «West Side Story»: Maria, To-night, One hand one heart, Some-where e America. In chiusura i tra-dizionali inni degli studenti Di can-ti di gioia e Gaudeamus Igitur.La nostra associazione, che è

partner ordinario dell’universitànella promozione dell’evento, ha or-ganizzato il pranzo ufficiale nei lo-cali dello stesso Palazzo dei Con-gressi, dove molti dei premiati si so-no intrattenuti in simpatico conviviocon parenti ed amici intervenuti allamanifestazione.

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La scomparsa del professor Guglielmo Francini

È morto ai primi di ottobre, aGrosseto, sua città di residenza,l’ultracentenario professor Gugliel-mo Francini, nonno materno del vi-cepresidente dell’Alap e segretariodi redazione del Rintocco del Cam-pano, Lorenzo Gremigni. Nato a Fi-vizzano il 5 gennaio del 1914 da unafamiglia di tradizioni mediche (ilnonno era l’insigne anatomista del-l’università di Pisa Guglielmo Ro-miti; il padre, professor Metello, èstato direttore sanitario dell’ospeda-le di Grosseto e poi titolare di unanota clinica privata nella stessa cit-tà) Guglielmo Francini a sua volta silaurea in medicina. Nel periodo uni-versitario è molto attivo a Pisa nelleattività goliardiche e sportive, inparticolare nel nuoto e nel canottag-gio. Si laurea nel 1938 dopo essersitrasferito all’università di Siena e,con lo scoppio nel 1940 della guer-ra, poco dopo è richiamato alle armied impegnato, come ufficiale medi-co della divisione alpina «Julia»,dapprima sul fronte jugoslavo e poinella campagna di Russia. Qui par-tecipa alla disastrosa ritirata a 50°sotto lo zero e alla storica battagliadi Nikolajewka.Dopo la guerra riprende la sua at-

tività professionale e di studio ed ot-tiene le specializzazioni in Chirur-gia generale ed in Urologia nonchéla libera docenza in Chirurgia. Dopo

un impegno pluriennale come pri-mario all’ospedale di Scansano, nel1954, a seguito dell’improvvisamorte del padre, assume la condu-zione della casa di cura in Via DonMinzoni a Grosseto, fondata alcunianni prima dal genitore. Qui perlunghissimo tempo si fa apprezzarecome chirurgo e direttore sanitariorimanendo in attività fino al 2003.Nel 2014 il professor Francini,

contornato affettuosamente dai fa-miliari con largo stuolo di nipoti epronipoti, ha serenamente festeg-giato il centesimo anno di età.A Lorenzo ed alle famiglie Gre-

migni e Francini, ricche di laureatiall’università di Pisa ed alappini dilunga militanza, giungano le affet-tuose condoglianze della redazionedel Rintocco del Campano e di tuttala famiglia dell’Alap.

Il premio «Il Guerriero Pisano» a Maurizio Vaglini

Al collaboratore e membro dellaredazione del Rintocco nonché com-ponente del Consiglio direttivo del-l’Alap, Maurizio Vaglini, è stato as-segnato uno dei premi «Il GuerrieroPisano» per il 2015. Questo ambitoriconoscimento viene assegnatoogni anno dal 2002, da un’autorevo-le e qualificata giuria, ad un certonumero di cittadini pisani di nascitao adozione, che si siano distinti perla loro opera nel campo delle arti,dei mestieri, della scienza, della

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tecnica, della cultura, dell’econo-mia e del sociale contribuendo a da-re lustro e ulteriore fama alla città.Vaglini è stato premiato per la suapubblicistica in materia di monu-menti, istituzioni e tradizioni pisa-ne. Nel corso della cerimonia dipremiazione, tenutasi nel giugnoscorso a Marina di Pisa nell’ambitodel programma di Marenia, sonostate distribuite agli intervenuti co-pie di un volumetto del Nostro daltitolo «L’impresa delle Baleari nellaletteratura».A Maurizio Vaglini vanno i ralle-

gramenti della redazione del Rintoc-co e del Consiglio direttivo della no-stra associazione.

La regata universitaria Pisa-Pavia

La tradizionale regata universita-ria tra Pisa e Pavia si è tenuta que-st’anno, secondo la regola dell’al-ternanza tra le due città, sulle ac-que del Ticino. Il CUS Pisa non èriuscito a imporsi sui pavesi che inacque amiche hanno ottenuto ilsuccesso affermandosi nella primamanche e limitando il recupero de-gli avversari nella seconda: 3’02’’5per Pavia, 3’06’’2 per Pisa sono itempi complessivi delle due fasi digara. Per i pavesi è doppietta dopola vittoria a Pisa dello scorso anno.Pavia sale dunque a 32 affermazio-ni complessive di cui 17 in casa e15 a Pisa, mentre Pisa resta a 18

vittorie di cui 10 sull’Arno e 8 sulTicino. La rivincita sulle acque dell’Arno

nella prossima primavera.

Donazione di libri all’Alap da parte di Lupo Berghini

Con gesto generoso e lungimiran-te il nostro socio onorario VincenzoLupo Berghini, ex direttore della Bi-blioteca comunale pisana e collabo-ratore tra i più assidui e qualificatidel Rintocco, ha voluto donare allanostra associazione un selezionatoinsieme di volumi tratti dalla pro-pria biblioteca e riguardanti princi-palmente temi pisani e connessi al-l’università di Pisa. In tal modo egliha dato ennesima prova del suo at-taccamento a Pisa ed al nostro soda-lizio, già dimostrato da lunghi annidi costante e positivo impegno sullecolonne di questa rivista. Al dottorLupo Berghini giunga un affettuosoringraziamento da parte di tutti noidell’Alap.

Agevolazioni per l’Alap all’ippodromo di S. Rossore

Anche nella stagione di corse2015-2016 l’Alap ha avuto, con po-che altre istituzioni cittadine, l’age-volazione per l’ingresso all’ippodro-mo. Il prezzo del biglietto per i sociAlap sarà quello ridotto (euro 1,50)anziché 3,50. Nella giornata in cuisi disputerà il «premio Alap», an-

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cora da definire sul calendario diAlfea nella primavera del 2016, tut-ti i soci potranno entrare gratuita-mente. Il Ministero delle PoliticheAgricole, dal quale dipendono le at-tività legate all’ippica, non ha anco-ra diffuso ufficialmente il calenda-rio ma da indiscrezioni attendibilisi pensa che ripercorrerà lo schemadelle ultime annate con i convegnidi corse distribuiti alla domenica eal giovedì da novembre 2015 all’ul-tima domenica di marzo 2016. Con-fermati nella stagione autunnale incorso – novembre/dicembre – iGrandi Premi tradizionali e cioè:«Goldoni», «Criterium di Pisa»,«Rosenberg» e «Andred». In pri-mavera il clou dell’intera stagionecon la disputa del classico «PremioPisa».

Pubblicazioni ETS a prezzi scontati

Ricordiamo ancora che la casaeditrice ETS, che dal 1978 ha unacollaborazione con l’Alap per lapubblicazione del Rintocco, mette adisposizione dei nostri associati inregola con la quota d’iscrizione tuttele pubblicazioni del proprio catalo-go con uno sconto del 30% sul prez-zo di copertina. Chi è interessatodeve fare richiesta ad Edizioni ETS,piazza Carrara 19, 56126 Pisa, tele-fono 050.503868, fax 050.20158.La consegna avverrà direttamentenella libreria dell’editore, in piazzaCarrara, per gli associati residentinel comune di Pisa e zone limitrofe;con spedizione senza ulteriori oneriall’indirizzo indicato per gli associa-ti residenti nel resto d’Italia.

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