Il RINASCIMENTO MEDIO o MATURO A VENEZIA · assenza di disegno, e per questo meglio fusi con lo...

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Il RINASCIMENTO MEDIO o MATURO A VENEZIA (STORIA DELL’ARTE CLASSI IV B, C, E - prof.ssa M. Lisa Guarducci) VENEZIA NEL ‘500 TRA LUCE E COLORE. Dopo la caduta della repubblica di Firenze nel 1530 (Lanzichenecchi di Carlo V), solo la Repubblica di Venezia mantiene la sua autonomia politica. Nel secolo del consolidamento dei grandi stati nazionali (Spagna, Francia, Inghilterra) e della creazione dei principati assoluti italiani, la Serenissima ribadisce ancora una volta la sua diversità, a cominciare dai rapporti da sempre privilegiati con l’Oriente bizantino piuttosto che con l’Europa (messi in crisi dalla scoperta dell’America con la nascita di nuove rotte commerciali). Il ricco ceto borghese veneziano (mercanti, armatori, banchieri) vive uno dei momenti di maggior splendore intensa attività edilizia; raffinatezza della vita sociale. Estrema vivacità degli ambienti intellettuali: negli eleganti salotti, patrizi e intellettuali si incontrano; si diffonde il gusto umanistico del collezionismo (opere classiche, bizantine, ma anche moderne, ovvero fiorentine: n.b. tra il 1499-1500 Leonardo è in città). Nel campo della pittura i protagonisti saranno GIORGIONE, proveniente dalla scuola di Giovanni Bellini, e TIZIANO. Riallacciandosi alla tradizione coloristica veneziana (appresa a partire dai mosaici bizantini), essi sviluppano un nuovo modo di percepire la realtà e riprodurla: non attraverso lo strumento razionalizzatore del disegno, tipico dei fiorentini, ma esclusivamente tramite il colore, l’armoniosa gradazione delle sue tonalità, lo studio delle sue possibili giustapposizioni accostando colori diversi senza mescolarli fra loro. Da Tiziano discenderanno i principali pittori del tardo Rinascimento veneziano, TINTORETTO e VERONESE; nell’architettura il maggior esponente sarà ANDREA PALLADIO. GIORGIONE (1477/78 -1510) Di lui abbiamo poche notizie certe e nessuna opera firmata (a Gabriele D'Annunzio appariva "piuttosto come un mito che come un uomo"). Frequenta la bottega di Giovani Bellini, dal quale apprende il gusto per il colore e l’attenzione al paesaggio. Amava la musica. Dipinse quadri da cavalletto per una selezionata committenza patrizia (circolo di Asolo, legato a Caterina Cornaro e luogo in cui Pietro Bembo ambienta Gli Asolani, dialogo in prosa sull’amore che ebbe grande successo nelle corti rinascimentali), preferendo soggetti laici rispetto a quelli religiosi. Le sue opere le conosciamo attraverso la descrizione (specie di diario) delle principali collezioni veneziane fatta tra il 1521 ed il ’43 da Marcantonio Michièl, Notizie d'opere di disegno, sulla scia delle Vite vasariane. Ancora oggi permangono dubbi sull’attribuzione di alcune opere (sue o di Tiziano?). Già il Vasari riconosceva la difficoltà di interpretare i soggetti, spesso ispirati a un mondo fantastico che, pur traendo spunto dalla realtà, la trasfigura. Fu sempre il Vasari il primo a sottolineare il rapporto tra lo stile di Leonardo e la maniera di Giorgione: l'attenzione di Giorgione per i paesaggi sarebbe stata influenzata dalle opere di Leonardo di passaggio in laguna nel 1500. Per la pittura di Giorgione si parla di tonalismo o pittura tonale. E’ una tecnica artistica tipica della tradizione veneta del XVI sec., legata a una particolare sensibilità del colore steso tono su tono, in velature sovrapposte che realizzano un morbido effetto plastico e di fusione tra soggetti e ambiente. Il colore diventa così l'elemento costituente del volume e dello spazio prospettico. Vittore Carpaccio, Leone di San Marco (dettaglio), 1516 Autoritratto come David, 1509 ca.

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Il RINASCIMENTO MEDIO o MATURO A VENEZIA (STORIA DELL’ARTE CLASSI IV B, C, E - prof.ssa M. Lisa Guarducci)

VENEZIA NEL ‘500 TRA LUCE E COLORE. Dopo la caduta della repubblica di Firenze nel 1530 (Lanzichenecchi di

Carlo V), solo la Repubblica di Venezia mantiene la sua autonomia politica. Nel secolo del consolidamento dei grandi stati nazionali (Spagna, Francia, Inghilterra) e della creazione dei principati assoluti italiani, la Serenissima ribadisce ancora una volta la sua diversità, a cominciare dai rapporti da sempre privilegiati con l’Oriente bizantino piuttosto che con l’Europa (messi in crisi dalla scoperta dell’America con la nascita di nuove rotte commerciali). Il ricco ceto borghese veneziano (mercanti, armatori, banchieri) vive uno dei momenti di maggior splendore → intensa attività

edilizia; raffinatezza della vita sociale. Estrema vivacità degli ambienti intellettuali: negli eleganti salotti, patrizi e intellettuali si incontrano; si diffonde il gusto umanistico del collezionismo (opere classiche, bizantine, ma anche moderne, ovvero fiorentine: n.b. tra il 1499-1500 Leonardo è in città). Nel campo della pittura i protagonisti saranno GIORGIONE, proveniente dalla scuola di Giovanni Bellini, e TIZIANO. Riallacciandosi alla tradizione coloristica veneziana (appresa a partire dai mosaici bizantini), essi sviluppano un nuovo modo di percepire la realtà e riprodurla: non attraverso lo strumento razionalizzatore del disegno, tipico dei fiorentini, ma esclusivamente tramite il colore, l’armoniosa gradazione delle sue tonalità, lo studio delle sue possibili giustapposizioni accostando colori diversi senza mescolarli fra loro. Da Tiziano discenderanno i principali pittori del tardo Rinascimento veneziano, TINTORETTO e VERONESE; nell’architettura il maggior esponente sarà ANDREA PALLADIO.

GIORGIONE (1477/78 -1510)

Di lui abbiamo poche notizie certe e nessuna opera firmata (a Gabriele D'Annunzio appariva "piuttosto

come un mito che come un uomo"). Frequenta la bottega di Giovani Bellini, dal quale apprende il gusto per

il colore e l’attenzione al paesaggio. Amava la musica. Dipinse quadri da

cavalletto per una selezionata committenza patrizia (circolo di Asolo,

legato a Caterina Cornaro e luogo in cui Pietro Bembo ambienta Gli

Asolani, dialogo in prosa sull’amore che ebbe grande successo nelle corti

rinascimentali), preferendo soggetti laici rispetto a quelli religiosi. Le sue

opere le conosciamo attraverso la descrizione (specie di diario) delle

principali collezioni veneziane fatta tra il 1521 ed il ’43 da Marcantonio

Michièl, Notizie d'opere di disegno, sulla scia delle Vite vasariane. Ancora

oggi permangono dubbi sull’attribuzione di alcune opere (sue o di

Tiziano?). Già il Vasari riconosceva la difficoltà di interpretare i soggetti,

spesso ispirati a un mondo fantastico che, pur traendo spunto dalla

realtà, la trasfigura. Fu sempre il Vasari il primo a sottolineare il rapporto

tra lo stile di Leonardo e la maniera di Giorgione: l'attenzione di Giorgione per i paesaggi sarebbe stata

influenzata dalle opere di Leonardo di passaggio in laguna nel 1500. Per la pittura di Giorgione si parla di

tonalismo o pittura tonale. E’ una tecnica artistica tipica della tradizione veneta del XVI sec., legata a una

particolare sensibilità del colore steso tono su tono, in velature sovrapposte che realizzano un morbido

effetto plastico e di fusione tra soggetti e ambiente. Il colore diventa così l'elemento costituente del volume

e dello spazio prospettico.

Vittore Carpaccio, Leone di San Marco (dettaglio), 1516

Autoritratto come David, 1509 ca.

Pala di Castelfranco (1504-05). Sacra Conversazione con S. Liberale e S.

Francesco, per il duomo della propria città natale. Novità: la scena sacra è posta sullo sfondo aperto di un paesaggio e non in un interno. Trono e parapetto sembrano un allestimento teatrale provvisorio. Il paesaggio non è accessorio, ma è parte integrante del dipinto. L’effetto di profondità che se ne ricava non è reso dalla prospettiva geometrica disegnata, cioè costruita secondo precise regole come per i fiorentini (Brunelleschi), ma suggerita attraverso il colore: usando tonalità di colore più calde (con preponderanza di rossi e gialli) o più fredde (con prevalenza di azzurri e verdi), che costruiscono una modulata scala di sfumature che danno l’illusione della profondità (pittura tonale o tonalismo, frutto dell’esperienza del colore del Bellini e del disegno fiorentino leonardesco). I personaggi appaiono assorti, in meditazione, modellati per masse di colore e assenza di disegno, e per questo meglio fusi con lo spazio naturale che li contiene.

La tempesta (1505-10). Olio su tela (tecnica già nota nel Medioevo, perfezionata nel Quattrocento nelle Fiandre, giunta a Venezia grazie al pittore Antonello da Messina). Tra i personaggi non vi è apparente dialogo (Sono Adamo ed Eva che allatta Caino? Il fiume è il Tigri,

uno dei rami del fiume del Paradiso? Le rovine simboleggiano la morte? La città lontana è l’Eden, irrimediabilmente perduto? Almeno 28 sono le diverse

interpretazioni date nel corso del tempo). n.b. illusione di uno spazio prospetticamente infinito. Figure e paesaggio, come in Leonardo, sono tra loro perfettamente amalgamati. Il titolo rimanda alla sensibilità romantica per il paesaggio e la natura; la marginalità delle figure è altrettanto moderna.

Venere di Dresda (1510 ca.). innocenza del volto e languida

rilassatezza del corpo di una donna, prima che di una dea. Il

fascino è tutto nell’inconsapevolezza della sua straordinaria

bellezza, oltre che di quella della natura. Nel paesaggio forse ha

collaborato Tiziano. n. distanza dalla Venere statuaria,

disegnata, fredda e razionale del Botticelli (1485 c.)

Vecchia (1508?). Il cartiglio ammonisce “Col tempo”, amara riflessione sulla vecchiaia (e/o sulla vanitas). Il busto ruota verso sinistra, la testa verso destra: ciò accresce l’ intensità espressiva. Il colore è steso direttamente sulla tela.

I 3 filosofi (1508 ca.). Già definiti nelle

fonti antiche come filosofi, le 3 figure

possono rappresentare anche astronomi

o matematici nelle 3 età dell’uomo (i

Magi?). Vesti e pose diverse hanno forse

significato simbolico. La grotta sulla

sinistra è di atmosfera leonardesca.

Tramonto (1508 ca.). In un ampio paesaggio

compaiono gli episodi di S. Giorgio e il drago

a destra, di S. Rocco ferito in primo piano, di

S. Antonio abate nella caverna. Protagonista

è il paesaggio, che echeggia la prospettiva

aerea leonardesca e anticipa riflessioni

sentimentali di gusto pre-romantico.

TIZIANO (1488/90 - 1576)

←Apollo e Marsia (1570-76 ca., Repubblica Ceca). Dal 18 marzo al 4 settembre 2016 l’opera è esposta a New York al MET Breuer alla mostra Unfinished: Thoughts left visible, che attraverso 197 opere indaga il tema del “non finito”. I curatori affermano che con essa inizia l’arte moderna (vedi fotocopia)

*Fin da giovane sorprende per la spontaneità con cui padroneggia i colori. Alla bottega di Giorgione ne assimila talmente i modi che molte loro opere sono ←ancora di dubbia attribuzione. Al contrario del maestro, si applica anche nel disegno. Il colore sarà steso in modo rapido, a volte anche impreciso, senza disegni preparatori e con poco scrupolo dei contorni: la pittura risulta immediata e di forte espressività. *Ludovico Dolce, storico cinquecentesco, dirà di Tiziano che “cammina di pari passo con la natura: onde ogni figura è viva, si muove, e le carni tremano”. Per Giorgione, Tiziano era pittore “fin dal ventre di sua madre”. *Ritrattista insuperabile, lavora per i potenti: a Ferrara per gli Este; a

Mantova per i Gonzaga; a Urbino per i

della Rovere; è

amico di

←Ludovico

Ariosto e di

Pietro Aretino→,

che lo introduce

anche nelle corti

europee; dal 1533 è ‘pintor primero’ (pittore

ufficiale) di Carlo V (che si chinò per raccogliergli

il pennello caduto - Bologna 1530) e lavorerà anche per il figlio Filippo II (sarà ad Innsbruck, a Milano,

ad Augusta); ’46 è a Roma presso papa Paolo III e lavora per i Farnese↑.

* Ebbe un'efficiente e bene organizzata bottega. L’Amor sacro e l’Amor profano. Tiziano fu

un grande interprete del tema mitologico, spesso risolto in chiave simbolica con significati ancora oggi difficili da interpretare. Qui la bellezza olimpica delle due giovani donne in primo piano, dalle quali ci distrae l’amorino che gioca con l’acqua, si contrappone al paesaggio naturalistico di derivazione giorgionesca sul fondo, dove il cielo striato di nubi dorate del tramonto apre il cammino a quello sentimentale ottocentesco.

Concerto campestre (1509), Louvre

* L’Assunta dei Frari, 1516-18. (690x360) L’opera, commissionata a Tiziano dai francescani del convento dei Frari come pala d'altare, rinnova l'impostazione compositiva adottata fino ad allora. Accolta con stupore per le novità, ebbe una prima reazione di rifiuto poi rimossa a seguito dell’interessamento dell’ambasciatore austriaco che si offrì di acquistarla: «pittori goffi e lo sciocco volgo, che insino allora non avevano veduto altro che le cose morte e fredde di Giovanni Bellini…le quali erano senza movimento e senza rilievo, dicevano della detta tavola un gran male». Passata l'invidia, si iniziò a riconoscere il capolavoro per il suo valore, in cui confluivano «la grandezza e terribilità di Michelangelo, la piacevolezza e venustà di Raffaello e il colorito proprio della natura» (L. Dolce). L’opera mostra i temi portanti della pittura di Tiziano: colore, luce, movimento. La composizione si articola su tre fasce sovrapposte: in basso gli Apostoli (uomini vigorosi, energici, per i quali fecero da modello i barcaioli della laguna), al centro Maria, in alto l’Eterno. Si noti l’espressione intensa e dolcissima della Madonna e il diffuso naturalismo.

* Pala Pesaro, 1519-26. (478×268 cm; olio su tela: minor costo, maggiore agilità nella preparazione e facilità del trasporto rispetto alla tavola). Fu commissionata dal vescovo Jacopo Pesaro, sulla scia del successo dell’Assunta. I santi sono Pietro, Francesco e Antonio da Padova; intorno ci sono i personaggi della famiglia Pesaro. Importante la novità compositiva: la Madonna non è più al centro; la scena si sviluppa lungo una diagonale da sinistra a destra (come una pagina scritta). I personaggi a destra sono tagliati in modo da suggerire una realtà estremamente più grande e complessa di quel che si vede. La chiave di Pietro è appoggiata negligentemente sullo scalino: poteva suscitare scandalo. Si avverte un incremento della luminosità in direzione della Madonna. Il

bambino che si volge verso l’esterno è l’invenzione che Tiziano adotta per coinvolgerci nella sacra rappresentazione: il fedele si sta trasformando in spettatore.

* Venere di Urbino, 1538. cfr. con la Venere di Giorgione. Qui

l’ambientazione è all’interno di una casa patrizia (l’unico segno

di natura è sullo sfondo, oltre l’abitazione). Venere non è sola,

ma con 2 fantesche che stanno cercando gli abiti nel cassone.

Ai suoi piedi c’è un cagnolino, che fa più pensare ad una donna

che ad una dea. La dea di Giorgione sembra inconsapevole

della sua nudità (è ad occhi chiusi), questa di T. è cosciente e

guarda negli occhi chi le sta di fronte. Colore ambrato delle carni,

biondo dorato dei capelli. Il colore determina la successione dei piani.

* Paolo III Farnese e i nipoti, 1546. Forse spunto dal Leone X di Raffaello.

Attenzione sulle psicologie dei 3 personaggi. Pennellate sempre più

rapide e meno precise, per abbozzare le forme più che per definirle

dettagliatamente; sono presenti zone incompiute: cfr. non finito

michelangiolesco. La ‘pennellata sporca’ prelude all’ultima fase: colore

steso addirittura con le dita! (anticipo della pittura en plein air

impressionista).

*←Ritratto di Carlo V a cavallo

* ←Incoronazione di spine, ’75

*←Autoritratto, 1560ca. Non finito di Tiziano da mettere in parallelo col non

finito michelangiolesco Pietà↓, 1576

* G. VASARI, Le Vite, 1568 “Andando un giorno Michelagnolo et il Vasari a

vedere Tiziano in Belvedere, videro in un quadro, che allora avea condotto,

una femina ignuda figurata per una ←Danae, che aveva in grembo Giove

trasformato in pioggia d'oro [ora a Napoli, Gallerie di Capodimonte], e molto

come si fa in presenza, gliele lodarono. Dopo partiti che furono da lui,

ragionandosi del fare di Tiziano, il Buonarruoto … dicendo che molto gli

piaceva il colorito suo e la maniera, ma che era un peccato che a Vinezia non

s'imparasse da principio a disegnare bene e che non avessono que' pittori

miglior modo nello studio. "Con ciò sia" diss'egli "che se quest'uomo fusse punto aiutato dall'arte e dal disegno,

come è dalla natura, e massimamente nel contrafare il vivo, non si potrebbe far più ne meglio, avendo egli

bellissimo spirito et una molto vaga e vivace maniera" ... Ma è ben vero che il modo di fare che tenne in queste

ultime [opere] è assai diferente dal fare suo da giovane Con ciò sia che le prime son condotte con una certa finezza e

diligenza incredibile e da essere vedute da preso e da lontano, e queste ultime, condotte di colpi, tirate via di grosso e

con macchie di maniera, che da presso non si possono vedere e di lontano appariscono perfette”,

LA CRITICA OTTOCENTESCA. * E. DELACROIX, Journal, 1854 e 1857 “Egli commuove, credo, non per la profondità

delle espressioni, ne per una grande comprensione del soggetto, ma per la semplicità e la mancanza di affettazione. In

lui le qualità pittoriche sono portate al punto massimo: quel che dipinge, è dipinto: gli occhi guardano e sono animati

dal fuoco della vita. Vita e ragione sono presenti ovunque”.

* H. TAINE, Voyage en Italie, 1866 “Ha avuto il dono unico di fare Veneri che sono donne reali, e colossi che sono

uomini altrettanto veri: voglio dire, il talento d'imitare le cose così da vicino perché l'illusione abbia a prenderci, e di

trasformarle così a fondo da svegliare il sogno dentro di noi. Nella stessa beltà nuda ha espresso la cortigiana,

l'amante d'un patrizio, la figlia del pescatore indifferente o voluttuosa, e al tempo stesso una potente figura ideale

... Ai piedi del piccolo, sublime Olimpo su cui siede qualche figura greca ... il pittore ha preso possesso della grande

terra popolata dove si rinnova incessante lo sboccio delle cose. L'accidentale, l'irregolare, tutto gli serve: sono una

parte delle forze che fanno colare la linfa umana; le bizzarrie, le deformazioni, gli eccessi presentano un loro

interesse così come la fioritura e gli splendori; suo unico bisogno è di sentire ed esprimere la spinta irresistibile della

vegetazione interna che solleva la materia bruta e la drizza con forme vive sotto il calore del sole”.