IL RAPPORTO MADRE-FIGLIO IN LETTERATURA · Decisiva e fondamentale sul piano dell’esperienza...

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IL RAPPORTO MADRE-FIGLIO IN LETTERATURA

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IL RAPPORTO MADRE-FIGLIO

IN LETTERATURA

DESTINATARIO

Intendo presentare il percorso didattico relativo al rapporto madre-figlio in

letteratura a una classe V del Liceo socio-pedagogico Alessandro Manzoni di Varese. Si

tratta di una classe, composta solo da ragazze, con profilo scolastico medio-alto.

Ho pensato di affrontare tale tematica perché nella vita di ognuno di noi è di fondamentale

importanza il rapporto instaurato con la figura materna sin dai primissimi anni di vita

CONTENUTI

§1. Agli inizi della nostra letteratura

Decisiva e fondamentale sul piano dell’esperienza esistenziale, la relazione madre e figlio

ha nella letteratura, fino alle soglie del 900, grande spazio.

Ci sono alcune eccezioni, anche molto significative, come la lauda drammatica di Jacopone

da Todi, Donna de paradiso, in cui Maria piange e si lamenta ai piedi della croce. Al centro

della lauda stanno l’umana sofferenza della Madonna e la sua intesa materna e carnale con

il figlio crocefisso.

Nei versi 40 e seguenti:

O figlio, figlio, figlio,figlio, amoroso giglio!

Figlio chi dà consiglioal cor me’ angustiato?

Figlio occhi iocundi,figlio, co’ non respundi?

Figlio, perché t’ascundiAl petto o’si lattato?

la ripetizione, nelle invocazioni di Maria, del termine-chiave “figlio”, oltre al significato

teologico di fondere il momento della Passione con quello dell’Incarnazione, sottolinea la

dimensione pienamente umana di Cristo attraverso il legame di sangue con la Madonna. In

particolare risulta intenso il richiamo all’allattamento, l’immagine del figlio dagli occhi

giocondi , il figlio che appare come un giglio.

Diversamente accade in Dante: nella Divina Commmedia il rapporto madre/figlio è

esempio primario di sollecitudine. Basti pensare a Virgilio e Beatrice la cui premura nei

confronti di Dante è costantemente esemplata proprio sul rapporto madre/figlio, di cui è

sublime incarnazione Maria.

E se Beatrice è “materna” per definizione, meno evidente è la “maternità” di Virgilio:

eppure il rapporto intenso d’affetto che si instaura con la guida, è del tutto simile a quello

che esiste tra il piccolo e sua madre:

volsimi a la sinistra col respittocol quale il fantolin corre a la mamma

quando ha paura o quando elli è afflitto,

per dicere a Virgilio: 'Men che drammadi sangue m'è rimaso che non tremi:conosco i segni de l'antica fiamma'.

Ma Virgilio n'avea lasciati scemidi sé, Virgilio dolcissimo patre,

Virgilio a cui per mia salute die'mi;

né quantunque perdeo l'antica matre,valse a le guance nette di rugiada

che, lagrimando, non tornasser atre.

(Purg. XXX 43-54)

In altri luoghi Dante esprime con intensità il desiderio dei figli di riabbracciare, dopo la

resurrezione della carne, il corpo della madre:

Tanto mi parver subiti ed accortie l’uno e l’altro coro a dicer “Amen!”che ben mostrar disio de’corpi morti;

forse non pur per loro, ma per le mamme,per li padri e per li altri che fuor carianzi che fossero sempiterne fiamme.

( Par. XIV 62-66)

In età moderna, nei ceti aristocratici, i rapporti tra genitori e figli erano caratterizzati da

distacco affettivo nei confronti soprattutto degli infanti e in seguito l’educazione era

delegata ai collegi.

Significativo appare a questo proposito il passo di Pietro Verri, nei Pensieri miei

pericolosi:

….qual è il destino ordinariamente de’ figli dei nobili di Milano? Eccolo. Se la madre potesse

ancora prima de’ nove mesi sbrigarsi senza suo pericolo del peso che porta nel ventre se ne

sgraverebbe come d’un escremento…. Nato appena quel pezzo di carne si consegna all’arbitrio di

una levatrice la quale gli comprime il cranio a suo modo…. Lo maneggia come un cuoco farebbe a

un pezzo di fegato, te lo lava spietatamente con vino acqua e sapone, e l’infelicissima creatura

tormentata atrocemente grida come nelle mani di un carnefice mentre la madre e il padre

sorridono dicendo che fa il suo mestiere col gridare. Si stringe nelle fasce, dove senza poter aver

moto, costretto a giacere come un tronco in un’ immobile positura, prova il bambino strazio

veramente crudele. Poi con cinque lire al mese si liberano i parenti della seccatura di ascoltare

tali gemiti, bandiscono dal tetto paterno l’innocente, l’avventurano ad un’ incognita contadina….

Più tardi che si può si permette che ritorni nella casa paterna il piccolo villanello; si allontana ben

presto di nuovo relegandolo in un collegio o chiudendolo entro di un monastero, sin che, fatti

giovani, ritornano in quella casa donde non avrebbero mai potuto partire. Il padre e la madre non

considerano altrimenti i figli se non come peso, come una diminuizione del loro patrimonio….

L’amaro sfogo autobiografico di Verri testimonia con efficacia quale fosse il

modello familiare sino ad allora diffuso nelle famiglie aristocratiche: un modello

fortemente intriso di elementi religiosi, dominato dai rapporti d’autorità, da un concetto

assoluto della patria potestà, in cui il bambino veniva considerato solo come un essere

incline all’errore e al peccato, da correggere fino a che si era in tempo. Non diversa è la

figura della madre in Leopardi, come testimonia nel capitolo IV dello Zibaldone:

Io ho conosciuto inizialmente una madre di famiglia che non era punto superstiziosa, ma

saldissima ed esattissima nella credenza cristiana, e negli esercizi della religione…. E parlava di

queste disgrazie con una freddezza marmorea.

Fra Sette e Ottocento il rapporto andrà modificandosi e la vecchia struttura della

famiglia patriarcale, fortemente gerarchica e basata su rapporti asimmetrici, verrà

abbandonata a favore di una diversa concezione della famiglia e dell’infanzia, influenzata

dalle più avanzate correnti europee e in particolare di Rousseau: un’ idea di famiglia basata

sull’amore reciproco, sia tra coniugi, sia tra questi ultimi e i figli, e sul rispetto per la

libertà e lo sviluppo naturale del bambino.

Sino a questo momento è privilegio dei ceti popolari l’esternazione dell’affettività.

Ne è un esempio Agnese, la madre di Lucia nei Promessi Sposi, modello di buon senso e

affettività popolari; il suo carattere sbrigativo, velato da un riserbo proprio delle persone

abituate ad una vita semplice, la porta ad agire per aiutare la figlia nel raggiungimento

della felicità.

Agnese e Lucia

I rapporti cambiano ancora, all’insegna dela complessità, fra Ottocento e Novecento, con

il diffondersi della struttura familiare moderna, e la riflessione di Sigmund Freud sulle

relazioni familiari e il rapporto madre-figlio cessa di essere considerato in termini

idealizzati e viene calato nel vivo di una inquietudine psicologica non priva di ambivalenze

e contraddizioni .

§ 2. La madre tra valori religiosi e valori laici

Prendo in esame due poesie, La madre di Ungaretti e A mia madre di Montale per

sottolineare come il rapporto madre-figlio possa essere affrontato secondo una prospettiva

religiosa o laica.

La madre

“E il cuore quando d’un ultimo battito Avrà fatto cadere il muro d’ombra,Per condurmi, Madre, sino al Signore,Come una volta mi darai la mano.In ginocchio, decisa, 5Sarai una statua di fronte all’Eterno,Come già ti vedevaQuando eri ancora in vita.Alzerai tremante le vecchie braccia,Come quando spirasti 10Dicendo: Mio Dio, eccomi.E solo quando m’avrà perdonato,Ti verrà desiderio di guardarmi.Ricorderai d’avermi atteso tanto,E avrai negli occhi un rapido sospiro” 15

Questa poesia, che fa parte della raccolta Sentimento del tempo, è stata scritta da Ungaretti

nel 1930, subito dopo la morte della madre. Il lutto spinge il poeta a riflettere sulla propria

stessa morte e immagina così di presentarsi, dopo morto, alla presenza di Dio e di

attenderne il perdono perché la madre possa di nuovo guardarlo e sorridergli. I valori

cattolici sono ben evidenti nell’immagine dell’aldilà segnato da un muro d’ombra,

nell’accettazione serena della morte (Mio Dio, eccomi) e nella richiesta di perdono . Solo

dopo che Dio avrà concesso il suo perdono, la madre potrà

ricongiungersi affettivamente al figlio.

La poesia si presta tuttavia anche ad un’ interpretazione psicanalitica nel senso che la

figura divina sembra assumere su di sé i caratteri paterni del detentore della legge morale:

solamente ottenendo il riconoscimento del perdono, il poeta può legittimamente aspirare a

un contatto con la madre. In tal senso, il padre/Dio è anche colui che separa il figlio dalla

madre ostacolando la relazione edipica. Adeguarsi e sottomettersi alla legge morale

significa per il figlio avere accesso infine al rapporto con la madre nella forma sublimata

nel finale della poesia.

Alla prospettiva religiosa di Ungaretti si contrappone l’interpretazione di Montale

con la poesia A mia madre (contenuta nella raccolta “La bufera e altro”) in cui la perdita

della madre, avvenuta nel 1942, viene rielaborata dal poeta in modo tale da indurlo a

riscoprire il valore terreno dell’esistenza nella sua irripetibile materialità.

A mia madre

Ora che il coro delle coturniciti blandisce nel sonno eterno, rottafelice schiera in fuga verso i clivivendemmiati del Mesco, or che la lottadei viventi piú infuria, se tu cedi 5come un'ombra la spoglia(e non è un'ombra,o gentile, non è ciò che tu credi)chi ti proteggerà? La strada sgombranon è una via, solo due mani, un volto, 10quelle mani, quel volto, il gesto d'unavita che non è un'altra ma se stessa,solo questo ti pone nell'eliso

folto d'anima e voci in cui tu vivi;

e la domanda che tu lasci è anch'essa 15un gesto tuo, all'ombra delle croci.

La poesia è costruita su due lunghi periodi: nel primo Montale riflette un preciso momento

della rielaborazione del lutto, nel secondo rivela positivamente la sua fede laica.

La poesia si apre con un’immagine dell’autunno, stagione della vendemmia, quando le

coturnici, uccelli della famiglia dei fagiani, si spostano in stormi (vv. 1-4) verso le pendici

del Mesco, un promontorio non lontano da Monterosso, dove morì la madre di Montale.

Tra l’altro sappiamo che la madre del poeta morì proprio in novembre e l’autunno è una

metafora della morte anche in altri testi montaliani.

La storia personale si proietta sullo sfondo della storia collettiva mediante il duplice “ora”

(vv: 1 e 4) che sembra voler collegare il lutto privato con le vicende della guerra.

Il tema della poesia viene annunciato alla fine del periodo con una domanda (vv. 7, 8): se

tu abbandoni (cedi) il tuo corpo come fosse un’ombra, o forse non credi sia un’ombra, chi

difenderà il tuo ricordo ? La madre ha fede, è credente e lo intendiamo in due punti: nei

versi 7 e 8 ella crede che il corpo sia un’ombra, cioè l’aspetto solo esteriore di una realtà

più vera, quella dell’anima e della sua immortalità; nel verso 10 ritiene che la morte sia la

sola via che conduce a una vita eterna diversa da quella terrena. Alla fede della madre

Montale contrappone la sua prospettiva laica fondata sul valore terreno dell’esistenza che

si concretizza su “quelle mani, quel volto”, quel gesto. (vv: 10, 11 ); l’unica vita futura dei

morti è nella memoria dei vivi e solo in questa la madre sopravviverà . Solamente i ricordi

concreti delle persone che abbiamo conosciuto, impressi nel ricordo dei viventi,

garantiscono la vita oltre la morte; pertanto Montale non parla di paradiso cristiano, ma di

“eliso” pagano che coincide con la memoria .

Le poesie analizzate hanno in comune il motivo della morte della madre, ma

notevoli appaiono le differenze: Ungaretti concepisce la vita come un’ombra e condivide

con la madre la fede religiosa che invece Montale respinge. Nella poesia di Ungaretti

sembra esserci una tensione verso l’aldilà, in Montale invece verso l’aldiquà, il mondo

terreno con i particolari fisici della donna e i suoi gesti. La poesia di Ungaretti tende al

sacro, lo stesso nome Madre è scritto con la lettera maiuscola, è priva di elementi concreti

della realtà naturale che sono invece presenti, numerosi, in Montale come a voler denotare

anche geograficamente il luogo del ricordo (le Cinque Terre ).

Pare che la rielaborazione del lutto induca il poeta a riscoprire un tempo, un luogo, una

civiltà da contrapporre al presente.

Anche la poesia di Umberto Saba , (1883-1957), Preghiera alla madre, della

raccolta Cuor morituro (1925-30) appartiene alla prospettiva laica e terrena, ma a

differenza di Montale che punta sull’aspetto materiale della memoria, Saba è interessato al

significato psicologico profondo rappresentato dalla figura della madre.

Preghiera alla madre

“Madre che ho fatto soffrire (cantava un merlo alla finestra, il giornoabbassava, sì acuta era la penache morte a entrambi io m'invocavo) 5madre ieri in tomba obliata, oggi rinata presenza ; che dal fondo dilaga quasi venad'acqua, cui dura forza reprimeva, 10e una mano le toglie abile o incautal'impedimento;presaga gioia io sentoil tuo ritorno, madre mia che ho fatto,come un buon figlio amoroso, soffrire. 15

Pacificata in me ripeti antichimoniti vani. E il tuo soggiorno un verdegiardino io penso, ove con te riprenderepuò a conversare l'anima fanciulla,inebbriarsi del tuo mesto viso, 20

sì che l'ali vi perda come al lumeuna farfalla. È un sogno,un mesto sogno; ed io lo so. Ma giungerevorrei dove sei giunta, entrare dovetu sei entrata 25- ho tanta gioia e tanta stanchezza! -farmi, o madre,come una macchia dalla terra nata,che in sé la terra riassorbe ed annulla”. 30

Per meglio comprendere la lirica è bene conoscere alcune notizie relative alla biografia di

Saba: l’unione dei suoi genitori dura pochissimi anni; quando il poeta nasce il padre ha già

abbandonato la famiglia e il bambino viene affidato ad una balia, Peppa Sabaz, dalla quale

prenderà lo pseudonimo e con la quale rimarrà per alcuni anni, ricordandoli come felici e

sereni. Successivamente la madre lo rivorrà con sé imponendogli un’educazione rigida e

severa. .

Il poeta si rivolge direttamente alla madre ormai morta, rievocando l’angoscia dei propri

anni adolescenziali : “Madre che ho fatto soffrire” ai vv.1 e 2, e ancora nei vv. 14 e 15:

“madre mia che ho fatto, come un buon figlio amoroso soffrire”.

Viene messa subito in evidenza il motivo della sofferenza, la “sì acuta era la pena” del v. 4

; infatti la sofferenza è un effetto inevitabile del rapporto madre-figlio, quasi una

conseguenza dello stesso vincolo d’amore. (Vedremo in seguito nel percorso come questo

risvolto del rapporto filiale sia presente anche in altri autori, quali Pasolini e Romano) La

madre morta, dimenticata da anni, ”ieri in tomba obliata” (v. 6), riacquista nel figlio uno

spazio significativo grazie alle cure psicoanalitiche , “ una mano le toglie abile o incauta

l’impedimento” (vv.11 e 12) e nel presente risulta “oggi rinata presenza”, che dal profondo

della psiche emerge come una sorgente d’acqua. Il recupero della memoria della figura

materna comporta un bisogno profondo di ricongiungersi a lei evidente nei vv. 17-20: io

penso che il tuo soggiorno sia un giardino verde dove la mia anima di fanciullo possa

conversare con te, ubriacarsi del tuo viso triste. Inoltre il riaffiorare della figura materna

nella coscienza del poeta può compiersi perché sono venuti meno le ragioni di tensione e il

senso di colpa che avevano caratterizzato il rapporto con lei. La rielaborazione del ricordo

della madre può essere dunque, nel presente, ragione di gioia (v. 13) e non di angoscia; ora

che la madre è morta, pare affiorire nel poeta un desiderio di ricongiungersi a lei, di

ritrovare l’unità del rapporto madre-figlio perduta nella vita adulta. La preghiera rivolta

alla madre, presente nel titolo, consiste appunto in questo desiderio di annullamento, in cui

regressione infantile e dissolvimento della morte sono la stessa cosa Nella similitudine

finale la madre è paragonata alla terra che ha prodotto una “macchia”, la vita del figlio, e

che la riassorbe in sé annullandola nella morte.

§ 3. La madre fidanzata e la madre tormento

Giorgio Caproni (1912 -1990) e Pier Paolo Pisolini (1922-1975) ci offrono due

rappresentazioni originali della madre. In entrambi i casi il rapporto con la madre è

considerato in prospettiva post-freudiana, ossia vi è una piena consapevolezza

dell’ambivalenza insita nel rapporto madre-figlio; tuttavia i due poeti risolvono tale

ambivalenza in modo diverso.

Benchè appartenga agli anni dell’ermetismo, la poesia di Caproni ne resta distante; il suo

linguaggio poetico può essere accostato a quello di Saba per il fatto di mettere al centro

delle sue liriche la vita quotidiana, le semplici occasioni di incontro con le persone, ma a

differenza di Saba, cela i suoi sentimenti troppo dolorosi sotto il veloun’ironia che rende la

sua poesia molto gradevole.

Ultima preghiera

“Anima mia, fa' in fretta.Ti presto la bicicletta,ma corri. E con la gente(ti prego, sii prudente)non ti fermare a parlare 5smettendo di pedalare.Arriverai a Livorno,vedrai, prima di giorno.Non ci sarà nessunoancora, ma uno 10

per uno guarda chi esceda ogni portone, e aspetta(mentre odora di pescee di notte il selciato)la figurina netta, 15nel buio, volta al mercato.Io so che non potrà tardareoltre quel primo albeggiare.Pedala, vola. E bada(un nulla potrebbe bastare) 20di non lasciarti sviareda un'altra, sulla stessa strada.Livorno, come aggiorna,col vento una tormapopola di ragazze 25aperte come le sue piazze.Ragazze grandi e vivema, attenta!, così sensitivedi reni (ragazze che hanno,si dice, una dolcezza 30tale nel petto, e taleenergia nella stretta)che, se dovessi arrivarecol bianco vento che fanno,so bene che andrebbe a finire 35che ti lasceresti rapire.Mia anima, non aspettare,no, il loro apparire.Faresti così fallirecon dolore il mio piano, 40ed io un'altra volta Annina,di tutte la più mattutina,vedrei anche a te sfuggita,ahimè, come già la vita.Ricòrdati perché ti mando; 45altro non ti raccomando.Ricordati che ti dovrà apparireprima di giorno, e spia(giacché, non so più come,ho scordato il portone) 50da un capo all'altra la via,da Cors' Amedeo al Cisternone.Porterà uno sciallettonero, e una gonna verde.Terrà stretto sul petto 55il borsellino, e d'erbegià sapendo e di marerinfrescato il mattino,non ti potrai sbagliarevedendola attraversare. 60Seguila prudentemente,allora, e con la menteall'erta. E, circospetta,buttata la sigaretta,accòstati a lei soltanto, 65anima, quando il mio pianto

sentirai che di piomboè diventato in fondoal mio cuore lontano.Anche se io, così vecchio, 70non potrò darti mano,tu mórmorale all'orecchio(più lieve del mio sospiro,messole un braccio in giroalla vita) in un soffio 75ciò ch'io e il mio rimorso,pur parlassimo piano,non le potremmo mai diresenza vederla arrossire.Dille chi ti ha mandato: 80suo figlio, il suo fidanzato.D'altro non ti richiedo.Poi va' pure in congedo”.

La poesia “Ultima preghiera” fa parte della raccolta “Il seme di piangere”, in particolare

della sezione Versi livornesi che porta la dedica “A mia madre: Anna Picchi” e che

raccoglie ventidue componimenti di varia lunghezza, scritti tra il 1954 e il 1958, tutti

dedicati alla figura di madre. La raccolta è una sorta di biografia immaginaria in cui il

figlio rievoca la figura della madre ancora giovinetta, in un periodo in cui egli non era

ancora nato, sulla base dei racconti e delle fotografie di famiglia.

Caproni sceglie di utilizzare un modello letterario antico, riprendendolo da una nota

ballata di Cavalcanti, “Perch’io no spero di tornar giammai”. Si tratta infatti di un

modello esemplare della poesia d’amore, in cui il poeta invia un componimento per

salutare la donna amata e indica alla propria anima il dovere di rendere omaggio alla

donna. Subito, dall’incipit, vengono introdotte le due classiche istanze liriche: un io e un

tu, ma si tratta di due istanze che appartengono allo stesso soggetto: “Anima mia…ti

prego” (vv. 1-4) . Il soggetto lirico è sdoppiato, diviso; la poesia si presenta come un

monologo in cui l’io lirico si rivolge alla propria anima perché metta in atto il suo piano (v.

40) . L’anima assume la forma di una persona , le sono attribuite azioni (va in bicicletta ), e

atteggiamenti (fuma), che non siamo certi abituati a collegare alla parte spirituale

dell’uomo. Qui, invece, in un linguaggio popolare e dimesso, “ fa in fretta“ (v. 1),

“corri”(v. 3), “pedala”(v. 18), come fosse una persona fidata , all’anima viene affidato il

compito di fare un viaggio .

Anche se sono due parti dello stesso soggetto, l’anima e colui che la manda hanno

qualità contrastanti: come ho appena detto l’anima è contrassegnata da elementi che

appartengono alla sfera dell’attività e dal movimento, mentre l’io è vecchio e stanco (v.

70), impossibilitato ad agire, non può realizzare il suo piano se non attraverso l’anima.

Il viaggio che l’anima deve intraprendere è rappresentato come concretamente reale: si

tratta di arrivare a Livorno, prima dell’alba (vv. 7-8); qui l’anima dovrà aspettare qualcuno,

una “figurina netta” (v. 15), che dovrà uscire da un portone, ma l’io ha scordato quale (vv.

49-50). Il viaggio, attraverso la notte, con l’arrivo alla meta all’alba sembra essere qualcosa

di estremamente importante per l’io, che è molto preoccupato dai possibili ostacoli che la

sua anima incontrerà sul cammino; l’ammonisce a non fermarsi per strada (v. 5), a non

farsi distrarre (vv. 20-22) e soprattutto a non lasciarsi rapire dal “bianco vento” che fanno

le ragazze livornesi “aperte…grandi e vive” (vv. 25-27) . Solamente se l’anima non si

lascerà sviare da tutti questi ostacoli il piano dell’io si avvererà (vv. 37-40) .

A questo punto della poesia cogliamo due importanti informazioni: infatti veniamo a

sapere chi è la persona che l’anima deve incontrare tra i vivi: “e io un’altra volta Annina,

di tutte la più mattutina, vedrei…” (vv. 41-43). Quella che era stata anticipata al verso 15

come “figurina netta”, si rivela dunque come figura femminile, con nome proprio, al

diminutivo, Annina, nome che appare una volta sola nell’intero componimento. Si notino i

diminutivi “figurina” e del nome proprio, volti a sottolineare il carattere affettuoso.

Nei versi successivi l’io rivolge ripetutamente raccomandazioni all’anima: per ben

due volte viene ripetuto l’imperativo “ricordati” (vv. 45, 47); poi le spiega dove dovrà

cercare Annina (vv. 51-52), e come sarà vestita (“Porterà uno scialletto nero, e una gonna

verde. Terrà stretto sul petto il borsellino…”) (vv. 53-54). In questo modo l’anima non si

potrà sbagliare quando la vedrà; le istruzioni e le raccomandazioni dell’io all’anima

diventano sempre più minuziose e ansiose: “seguila perdutamente” (v. 61), “ con la mente

all’erta” (vv. 62-63), “circospetta……accostati” (vv. 63, 65) , mentre l’io per la prima

volta descrive il suo stato d’animo, quello d’un vecchio stanco e angosciato (vv. 66-70) .

Nell’ultima strofa della poesia viene rivelato cosa dovrà fare l’anima una volta avvicinato

Annina: cingerle la vita (vv. 74-75) e sussurrarle poche parole (“Dille chi ti ha mandato:

suo figlio, il suo fidanzato”) (vv. 80-81).

Ho voluto soffermarmi sulla poesia di Caproni perché l’autore capovolge la

situazione tradizionale del rapporto madre e figlio e rappresenta non il ricordo della

vecchia madre da parte del figlio adulto, come abbiamo visto nella poesia di Ungaretti, ma

un figlio vecchio e stanco che va alla ricerca della giovane madre attraverso il “go

between” della propria anima che non è altro che una proiezione del proprio desiderio di

tornare anche lui giovane al tempo in cui era giovane sua madre.

Solo così gli è possibile compiere questo viaggio alla ricerca del tempo perduto e ridurre il

tempo ormai irrimediabilmente passato a uno spazio concreto e misurabile che si può

coprire in una notte; ciò che permette il transfer da tempo a spazio è appunto la scissione

del poeta in due parti . Più il poeta si allontana dalla sua infanzia e diventa vecchio, più

l’immagine della madre si fissa in lui in quella di una giovane donna; di una figurina che

diventa immagine mitica della gioventù e della vita .In questa dimensione onirica e in

questo mondo mitico dell’infanzia e di uno spazio fuori dal tempo, il poeta può diventare il

“ fidanzato della figlia”.

L’ultima poesia che prenderemo in considerazione è indicativa di un rapporto

affettuoso, ma allo stesso tempo tormentoso.

Per meglio comprendere la poesia di Pasolini , “Supplica a mia madre”, compresa nella

raccolta “Poesie in forma di rosa” (1964), è utile conoscere alcune notizie biografiche

relative all’autore e tener conto della sua personalità geniale che lo portò a compiere una

vita fuori dagli schemi . Sin dall’infanzia emerse in lui un attaccamento particolare alla

madre, di origine friulana, con la quale ebbe un rapporto quasi di simbiosi; nei confronti

del padre, tenente di fanteria, sorsero numerosi contrasti.

Tali rapporti sembrano essere alla base di un profondo conflitto edipico al quale è

riconducibile la stessa esperienza omosessuale del poeta.

Supplica a mia madre

“E' difficile dire con parole di figlio ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere: 5è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.Sei insostituibile. Per questo è dannataalla solitudine la vita che mi hai data.E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame d'amore, dell'amore di corpi senza anima. 10Perché l'anima è in te, sei tu, ma tusei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:ho passato l'infanzia schiavo di questo sensoalto, irrimediabile, di un impegno immenso.Era l'unico modo per sentire la vita, 15l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.Sopravviviamo: ed è la confusionedi una vita rinata fuori dalla ragione.Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…”. 20

Il componimento, che si presenta con una struttura di distici di versi lunghi a rima baciata,

sembra voler contenere in una forma solida l’esplosione dell’angoscia, della dannata

solitudine cui il poeta è condannato a causa della insostituibilità della madre (vv. 7-8 ). Si

noti come uno dei temi della poesia sia il contrasto tra la “grazia” della madre ( v. 6) da

cui nasce l’angoscia per il poeta, espressa con parole forti e “ciò che è orrendo conoscere”

( v. 5), dannata “schiavitù” (v. 12) ; eppure il contrasto tra grazia e condanna è solo

apparente; infatti esiste un rapporto logico tra le due: la grazia della madre la rende

insostituibile, stabilisce tra madre e figlio un legame troppo forte, esclusivo che determina

la solitudine e la diversità del poeta . Questi può solamente rivolgersi a “corpi

senz’anima” (v. 10) dato che l’anima è legata alla grazia della madre. Il timore del poeta è

che la madre possa voler morire per sottrarsi alla relazione con un figlio di cui disapprovi

le scelte di vita, “la confusione di una vita rinata fuori dalla ragione” (vv. 16-17) . Nel

finale prevale l’immagine del poeta legato alla madre: “Sono qui, solo con te,” (v. 20)

come illuso di avere nel futuro uno spazio per un amore in cui anima e corpo coincidano.

La poesia di Pasolini, come quella precedente di Caproni, svelano il groviglio

intricato di sentimenti che caratterizzano il rapporto madre-figlio: il tormento di Pasolini è

originato dalla dinamica bisogno-dipendenza nei confronti della madre; Caproni, invece,

nel tentativo di restituire la madre alla propria giovinezza, di farla vivere come una

ragazza, posa su di lei uno sguardo non tanto da figlio, quanto da ragazzo innamorato.

§ 4. Lalla Romano madre in “Le parole tra noi leggere”

Sino ad ora abbiamo preso in considerazione testi poetici con il motivo del rapporto

madre-figlio visto dalla parte del figlio; ora analizzeremo il romanzo “Le parole tra noi

leggere” di Lalla Romano, in cui il rapporto è osservato dalla parte della madre.

Alcuni versi di una poesia di Montale (“le parole/tra noi leggere cadono Ti guardo/ in un

molle riverbero”) danno il titolo al romanzo Le parole tra noi leggere del 1969, con il

quale la scrittrice vince il Premio Strega e arriva al grande pubblico, che, a sua volta, si

rispecchia nella tematica attualissima a fine anni Sessanta riguardo la difficoltà di

comunicazione tra genitori borghesi e figli difficili o contestatori o ribelli.

Come sostiene la stessa Lalla Romano in una intervista a Vittorio Sereni nel 1968:

“…….il libro a cui sto lavorando adesso doveva essere per me………come qualcosa di

completamente diverso dagli altri miei libri…è in un certo senso più autobiografico di tutti

gli altri perché è nato dalla volontà di aggirarsi intorno a mio figlio come uno che si

aggira intorno a una montagna per trovare la maniera di scalarla. Questo è il nucleo del

mio libro. Il girare intorno a un personaggio vicinissimo e al tempo stesso lontanissimo,

come solo una persona così intima ed estranea come un figlio può essere. Cioè un

personaggio estremamente interessante per me, non in quanto figlio, ma in quanto uomo,

in quanto persona”.

Nel romanzo la madre dice tutto del figlio, anticonformista, antireligioso, introverso, restio

a socializzare. Piero è così ribelle alle convenzioni da scegliere da subito la posizione di

sconfitto.

La madre dice tutto di sé, madre un pò invadente e persecutoria, anche se per nulla

autoritaria, orgogliosa del proprio figlio (lo presenta come un esteta e quasi se ne

compiace), al tempo stesso disillusa. Un figlio geniale per certi aspetti; Piero sin da

piccolo manifesta la passione, con una precisione artigianale, per la costruzione di oggetti

misteriosi muniti di cardini, lucchetti che stanno ad indicare segretezza, difesa .

La sua stessa camera è munita di cardine e gancio di chiusura per contrattare le

visite e difendere la privacy .

Successivamente viene attratto dalle armi, che disegna con una tecnica rigorosa, e dai treni,

tanto da manifestare il desiderio di voler fare il capostazione, una volta adulto.

Nella prima infanzia di Piero, la madre è poco presente per impegni diversi, la scuola,

l’università, la pittura; ma c’è Maria, la donna di casa, non distratta da altri compiti ed

interessi e poi c’è anche la nonna materna, nella quale il bambino trova tutto quello che

non c’è nella mamma , così impegnata tutto il tempo a leggere e a studiare “La nonna -

mia madre - assomigliava un po’ a me nel lasciarsi trasportare dalle emozioni, ma in

modo più discreto. Non aveva la mia violenza nella tenerezza, né la mia ira. Anche lei però

come Maria si arrendeva a tutti i suoi estri, e lui la amava come amava Maria e come

adesso per un certo verso ama sua moglie …Mi vuol portare in montagna, mi fa giocare

alla guerra, mi insegna a maneggiare la spada “, scriveva mia madre”.

“Quando lo lavo al mattino e lo vesto, mi dice: è papà che mi veste, è papà che mi lava“.

Suo padre si prendeva cura di lui per sollevare Maria - io ero già uscita per la scuola - ma

non solo per quello. Lo faceva anche giocare…”.

Possiamo dunque dedurre che la ”mamma che non c’è“ faccia soffrire il piccolo Piero;

all’età di due anni, affacciato alla ringhiera della casa di Boves, durante un’assenza della

mamma, la nonna ricorda abbia detto:

“ C‘è l‘erba, ci sono i fiori ,ma la sua mamma non c‘è. ”Per Lalla Romano quello sarebbe

l’unico grido del cuore…non solo di quegli anni ma di tutto il corso della vita”.

Il percorso di crescita e maturazione del ragazzo viene documentato nel romanzo con

abbondanti inserti, come le minute conservate dei temi scolastici o le lettere inviate al

padre con minuziosi ragguagli sulle spese affrontate per riparazioni e migliorie

all’isomoto. Anche con la madre c’è una fitta comunicazione epistolare, nella quale Piero

non le si rivolge mai con il consueto ”cara mamma”, preferendo invece cara Mina. Solo

nelle pagine finali del romanzo, quando il prete incontrato in ospedale, in occasione di un

malore, gli dice di essere fortunato ad avere una madre che si prende cura amorevolmente

di lui, Lalla per la prima volta si sente la mamma. Le lettere di Piero alla madre sono quasi

violente, anche lo stile burocratico mette in evidenza il loro carattere di durezza. In

particolare, in una lettera che Lalla Romano considera quasi come un testamento, scritta da

Piero all’età di quindici anni, dopo essere stato respinto in quinta ginnasio, il giovane dice

di non essere felice, di non essere affatto attirato da ciò che la gente fa per vivere, si

domanda se non si possa fare qualcosa d’altro e comunque sopravvivere. In un’altra

occasione le rivela di essere negato per il latino e di desiderare di finire al più presto gli

studi che gli angustiano l’esistenza.

E’ un figlio difficile, anticonformista, tendenzialmente asociale (sin da bambino

non vuole salutare né farsi baciare, risulta selvatico; ai complimenti degli adulti risponde di

non essere un bambino, ma un uomo), è ribelle all’insegnamento familiare e scolastico.

“Le sue trasformazioni sono sempre state lentissime, impercettibili e grandiose…”. I suoi

tempi, non sono stati età storiche, bensì ere geologiche. Solo la nonna coglieva in lui indizi

di maturazione poiché lo vedeva con la sua intuizione amorosa.

Dunque un figlio, Piero, che da subito desta pensieri e preoccupazioni, l’abbandono

scontato dell’università, il concorso in ferrovia non affrontato, l’incontro con il mondo

operaio, il rifiuto di un impiego simbolo di mediocrità, sono tutti momenti cruciali che

indicano la sua ribellione per le convenzioni e la scelta della posizione di sconfitto. Voglio

essere l’ultimo perché non posso essere il primo, sosteneva il ragazzo. E la madre si

chiedeva se questo non fosse la stessa ambizione rovesciata dell’essere arrivista e

conformista.

Lalla Romano scrive di suo figlio “così diverso da me” in modo tale da poterlo leggere

(come dice lei stessa leggere un quadro) come un personaggio ermetico e problematico. Le

pagine talvolta risultano spietate, ma probabilmente questa spietatezza era necessaria per

scrivere di un figlio e poterlo leggere.

Piero ha collaborato con la madre nella ricerca di documenti (lettere, temi di scuola,….)

ben evidenti nelle pagine, ma non voleva assolutamente che si scrivesse di lui, non voleva

essere nominato; in questo Piero era molto coerente. Infatti tutto è detto già all’inizio, gli

manco di rispetto.

Il conflitto che il libro narra è quello drammatico tra il figlio che ama, però in forme

diverse da quelle che la madre si attende; il suo comportamento è frutto di un‘educazione

molto permissiva e tollerante; d’altra parte la madre ama in un modo che il figlio rifiuta.

Inoltre l’introversione del figlio e la discrezione della madre comportano inevitabilmente

l’incomunicabilità tra i due.

Ne risulta un libro tormentoso ma appassionato per la voglia di amare che trasmette .

FINALITA’

Con il percorso didattico in questione mi propongo di contribuire alla formazione

morale e sociale dello studente, come già ho indicato nelle competenze,sottolineando in

modo approfondito e definitivo la concezione del sapere come bene individuale senz’altro,

ma teso a formare una società moralmente e socialmente fondata sui principi della libertà e

della laicità delle conoscenze.

Inoltre, considerata l’età della classe a cui mi rivolgo, mi piacerebbe che filtrasse l’idea

che, anche il rapporto più difficile e conflittuale con la figura materna, lascia segni

indicibili nella nostra persona; d‘altra parte atteggiamenti e comportamenti sovversivi e

contrastanti creano sofferenza.

Per lungo tempo l’immaginario collettivo ha aderito ad un’idea obbligata della maternità

come dovere-dedizione o come estatica felicità che affonda le sue radici in un

insopprimibile “istinto materno” che solo negli anni Settanta il movimento femminista ha

messo in discussione. In questo contesto è mutato il rapporto madre-figlio, le femministe

hanno rivendicato di non aver più voglia di essere buone madri, di volere una completa

divisione dei compiti e delle responsabilità in tutti i momenti e a tutti i livelli

dell’allevamento e dell’educazione .Di fronte alle estremizzazioni del movimento

femminista, in questi decenni è andato affermandosi un nuovo rapporto madre-figlio .

OBIETTIVI

CONOSCENZE:

- conoscere le peculiarità del linguaggio poetico del 900 (Ungaretti,Montale, Saba);

- conoscere il tema principale dei testi poetici e letterari prescelti;

- conoscere le figure retoriche , la metrica dei testi poetici in questione;

- conoscere la scrittura decisa ,a volte persino crudele, di Lalla Romano;

- saper analizzare un testo poetico non precedentemente studiato e fornire una

propria interpretazione;

- leggere il rapporto madre-figlio come rapporto di sofferenza (Saba,Romano),

come rapporto quasi simbiotico (Pasolini, Caproni,Ungaretti);

- leggere il rapporto madre-figlio, attraverso i percorsi di ricerca, nelle fonti iconografiche

proposte (Segantini, Morisot, Picasso), ma anche in altre trovate interessanti dagli studenti,

nel materiale filmico proposto (Tutto su mia madre di Almodovar).

COMPETENZE:

- rintracciare nei testi proposti gli elementi che diventano modello anche sociale alla base

della formazione delle personalità in fieri;

- cenni storici sullo svolgimento della scrittura prosastica de 900;

- confrontare tra loro testi diversi cogliendone eventuali affinità o divergenze;

- riflettere e interrogarsi a partire dai testi proposti, letterari e non, sulla tematica del

rapporto madre-figlio, per formulare una propria interpretazione personale in

in funzione della rivalutazione della prima cellula sociale, la famiglia;

- acquisire la capacità di collegamento tra una storia individuale e il contesto storico-sociale

di riferimento;

- comprensione dell’interconnessione tra le varie comunicazioni letterarie, iconogafiche e

filmiche;

- capacità di analisi e sintesi.

STRUMENTI e PROBLEMI

Intendo fornire agli studenti un fascicolo di fotocopie con i testi che intendo

analizzare e la riproduzione di immagini iconografiche sulle quali soffermarsi, corredate da

alcune notizie, per contestualizzare gli autori, e da un breve commento.

Le poesie di Ungaretti, Montale sono riportate sull’antologia in uso.

Sarebbe utile poter disporre di un proiettore per avere la possibilità, attraverso diapositive,

di cogliere in modo più analitico le caratteristiche delle opere artistiche proposte.

Relativamente alle difficoltà si può prevedere che, per qualche studente, i testi poetici

moderni possano essere sentiti estranei alla concezione classica della poesia perché non

legati alle regole metriche e prosadiche tradizionali. Sarà dunque necessario educare gli

studenti a nuove regole di scrittura poetica, anche legate a nuovi concetti di armonia e

disarmonia.

METODOLOGIA e TEMPI

Non è funzionale determinare, in termini orari precisi il percorso, a causa

imprevisti: per esempio l’analisi e la comprensione di un testo poetico potrebbe risultare

più difficile di quanto previsto e quindi richiedere di soffermarsi più tempo; i testi proposti

suscitano curiosità, domande che, per quanto possibile, è necessario esaudire.

Intendo iniziare con la lettura attenta di ogni testo proposto, la successiva analisi e

comprensione del contenuto invitando gli studenti a prendere appunti; inoltre nel corso di

tutto il percorso cercherò di stimolare, mediante lezioni partecipate, i ragazzi ad esprimere

le proprie idee.

Prevedo, in linea di massima di articolare il percorso su un arco di tempo di 20-25 ore,

scandito secondo le seguenti sequenze.

Introduzione all’argomento con la consegna del fascicolo, lettura, analisi, comprensione e

commento della laude “Donna de paradiso” e dei vv. danteschi.

Lettura e commento del passo di Verri. Si stimoleranno gli studenti a cogliere, sulla base

degli studi pedagogici da loro seguti, le peculiarità dell’educazione tra 700 e 800 e ad

individuare l’importanza del pensiero di Rosseau.

Prima di presentare le poesie di Ungaretti e Montale riprenderò alcuni cenni sulla poetica

dei due autori (fanno parte della programmazione di italiano); lettura, analisi e commento

delle liriche sottolineando, nel rapporto madre-figlio, la prospettiva religiosa del primo e

quella laica del secondo. Assegnerò agli studenti alcune domande scritte come esercizio di

scrittura e di verifica della avvenuta comprensione.

Prima di passare al nuovo argomento si prenderanno in visione le consegne assegnate per

un confronto. Lettura, analisi, comprensione e commento della poesia di Saba .

Mi soffermerò sulla prospettiva laica del rapporto, corredata, in questo caso, da un

significato psicologico.

Prima di presentare le poesie di Caproni e Pisolini, farò qualche accenno alla loro poetica e

soprattutto alla personalità e all’attività di Pasolini . Si procederà quindi alla lettura, analisi,

comprensione e commento dei testi prescelti, mettendo in rilievo la prospettiva post-

freudiana esplicata nell’ambivalenza del rapporto madre-figlio.

Assegnerò alcune domande scritte sulle quali ci si confronterà nella lezione successiva.

Presenterò la scrittrice Lalla Romano con notizie relative alla sua vita e alla sua ricca

attività di poetessa, scrittrice e pittrice; in seguito passerò alla presentazione del romanzo

“Le parole tra noi leggere” con la lettura e il commento di alcuni passi scelti.

Prenderemo in esame le immagini iconografiche di Segantini, Morisot, Picasso per

conoscere come anche nell’arte pittorica il rapporto madre-figlio possa essere

rappresentato in modi diversi.

Prima di affrontare il momento della verifica sarebbe utile fare il punto su tutte le

dinamiche del rapporto madre-figlio emerse nel percorso, invitare gli studenti ad esprimere

le proprie idee e l’eventuale condivisione di valori e situazioni .

PERCORSI di RICERCA

Il percorso si presta a raccordi disciplinari con altre materie, tra cui storia dell’arte,

pedagogia, psicologia; si potrebbero quindi coinvolgere i docenti interessati per una

programmazione più consona degli autori da trattare.

In particolare, nell’ambito artistico, proporrei le seguenti raffigurazioni :

1) “Le due madri” di Giovanni Segantini (1858-1899)

Nell’osservare questa immagine che riproduce un olio su tela del 1889, dal titolo evocativo

“Le due madri”, sottolineo come il pittore, Segantini, rappresenti la vita, il binomio

inscindibile mucca/vitello affiancata da madre/figlio come figura universale;

un’interpretazione simbolica della maternità. Il dipinto sembra fondato sull’osservazione

veristica risolta in un mirabile esercizio di rapporti luministici; si osservi la luce calda della

lanterna velata dalla carta che illumina le fasce del bambino addormentato e accarezza il

volto della madre assonnata . La sacralità tradizionale, qui, lascia il posto ad un

simbolismo pagano (l’eliso montaliano). Entrambe le madri, quasi dimentiche dei loro

piccoli, appaiono strumenti docili e passivi del ciclo della vita, di una legge di natura che

trascende e accomuna l’universo umano e animale.

2) “La culla” di Berthe Morisot

In questo olio su tela del 1872, conservato a Parigi al Museo d’Orsay ,di Berthe Morisot,

una delle poche presenze femminili di rilievo all’interno del panorama impressionistico,

emerge la madre come figura di dedizione e sacrificio, la madre che dimentica se stessa ed

è pronta a sacrificargli tutto, compresa la vita; si noti lo sguardo della madre, la mano

appoggiata sulla culla.

L’idealizzazione della madre, come figura di sacrificio, traspare pure da alcuni quadri di

Picasso appartenenti al periodo blu (1901-1904): “Madre con il bambino malato” e “Madre

e figlio”.

Nella prima raffigurazione una mano allungata, fuori da ogni proporzione, e con il viso

ricurvo su di lui, sembra proteggerlo. Si può notare come la carnagione dei personaggi sia

umanizzata mediante il pallore dei volti, dai quali emerge il commovente sguardo degli

occhi neri e rotondi .

Sul tema della maternità Picasso si esprime più volte e sempre in modo diverso; nei primi

periodi della sua attività, periodi blu e rosa, la maternità non lascia spazio alla

comunicazione gioiosa (si veda “Madre e figlio” del 1905). Infatti nella seconda immagine

possiamo vedere un ritratto di madre quasi indifferente; lei e il figlio hanno il viso voltato

verso poli opposti, gli sguardi non si incontrano; c’e appena un contatto tra i loro corpi.

Successivamente, anche in seguito alla nascita del figlio Paulo nel 1921, la madre diventa

figura grandiosa e rassicurante (si veda “Maternità” del 1921, “Maternità su fondo bianco”

del 1953).

Il percorso si presta a raccordi con pedagogia e psicologia.

Si potrebbero invitare gli studenti, alla luce degli studi affrontati nelle materie di indirizzo

della scuola, a rivedere in modo diacronico come è stato affrontato il rapporto madre-figlio

in autori come ad esempio Freud, Klein, Winnicot .

La pedagogia tradizionale, agli inizi del 900, subisce un grande scossone davanti

all’affermazione di Freud che la vita dell’individuo e, in modo particolare, quella del

bambino sono influenzate dalla componente libidica e sessuale. Chiaramente questa

concezione sarà fondamentale nell’elaborazione di tutte le teorie pedagogiche e

psicologiche successive.

Proporrei infine di vedere il film “Tutto su mia madre” di Pedro Almodovar, film tortuoso,

legato alla diversità dell’uomo Almodovar. Attraverso improbabili ma universali vicende,

metà favola e metà dramma di vita, il regista esplora le diverse alternative di famiglia

tradizionale; ci confida che non esiste nulla di certo in una morale piena di discriminazioni,

mostrandoci un mondo in cui gli incontri e gli incastri della vita possono creare nuovi ed

originali contesti affettivi che non escludono mai significativi rapporti.

VERIFICA e VALUTAZIONE

La verifica sarà modulata in 10 domande a risposta aperta, alcune delle quali

variamente articolate.

Per la valutazione, ogni domanda, rispetto alla completezza della risposta, avrà un

punteggio massimo di 3 punti, che diventerà 2 o 1 per risposte parziali. Ogni mancata

risposta varrà 0 punti.

Le domande potrebbero essere le seguenti:

1) Quale modello familiare emerge dal passo “Pensieri miei pericolosi” di Verri ?

Quando e in che modo si verificano dei cambiamenti?

2) Commenta il rapporto madre-figlio rispetto alla fede in Ungaretti e Montale.

3) Cosa separa madre e figlio nella situazione descritta nella poesia di Ungaretti?

4) Sempre in questa poesia come viene espresso l’affetto materno?

5) Nella poesia di Montale la morte della madre si inserisce in un contesto più ampio,

quale?

6) Quale concezione dell’esistenza traspare dall’espressione “eliso / folto d’anime e voci

in cui

vivi”?

7) Come viene rappresentata la figura della madre in Saba ?

8) Nella poesia di Caproni quale aspetto assume la madre? Qual è il piano del poeta e come

lo

attua?

9) Perché Pasolini nella sua poesia afferma di assomigliare poco a un figlio? Da che cosa

nasce la

sua solitudine?

10) Sottolinea e dimostra il rapporto particolarissimo, legato anche alle parole, che emerge

da una

lettura attenta, solo apparentamente facile, dei passi di “Le parole tra noi leggere”.

Durante la verifica sarà possibile prendere visione dei testi delle poesie e degli altri passi.

Per la valutazione si terrà presente la seguente tabella:

Punt

eggi

o

Voto

30 10

27/2

9

9

25/2

7

8

23/2

5

7

20/2

2

6

18/2

0

5

16/1

8

4

Il percorso potrebbe costituire traccia di un elaborato scritto compreso tra i diversi titoli del

compito d’italiano, come simulazione dell’esame di Stato.

“Presentare in maniera personale i vari testi studiati nel percorso relativo al rapporto

madre-figlio, confrontandoli tra loro e con la personale concezione sull’argomento da parte

dello studente, attualizzandolo nel contesto sociale e culturale dei nostri giorni.”