IL RAPPORTO CIBO-CITTÀ COME STRUMENTO DI...

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ATLANTE del CIBO 1 5. IL RAPPORTO CIBO-CITTÀ COME STRUMENTO DI SALUTE A cura di Alessia Toldo 5.1 INTRODUZIONE Il rapporto fra cibo, salute e territorio, nello specifico urbano, è un tema di studio e di ricerca che corteggiamo da parecchio tempo, più o meno da quando l’Atlante ha assunto la forma strutturata che presenta oggi. Le ragioni sono tante, e incrociano – come sovente accade – interessi accademici e personali di lunga durata e anche occasioni, come quella rappresentata dalla possibilità – per ora non concretizzata – di collaborare al Piano Cronicità della Regione Piemonte. Sebbene il tema della salute rappresenti una costante trasversale di tutte le nostre ricerche (si pensi in particolare ai lavori sulle mense scolastiche o sulle pratiche di recupero e redistribuzione delle eccedenze) questo tema trova uno spazio ad hoc solo all’interno del terzo rapporto, proprio in virtù della sua complessità. La sua trattazione, soprattutto nell’intersezione con il cibo e con lo spazio, richiede infatti un bagaglio di conoscenza che cominciamo ad avere solo ora, dopo diversi anni di lavoro quotidiano su questi argomenti. E, tuttavia, si tratta ugualmente solo di un primo approccio: un assaggio – per rimanere sul pezzo – di una questione multidimensionale, multidisciplinare, sfaccettata, che si presta ad essere affrontata attraverso diversi approcci e prospettive, talvolta discordanti. In questi termini, il contributo che segue cerca di mettere insieme gli elementi di quello che potrebbe diventare un sistema ampio e articolato, attualmente composto da altri sistemi (quello della salute, quello alimentare, quello territoriale) che richiamano concetti non univoci (cosa sono la salute, il cibo e il territorio?) in costante ricerca di una definizione; che si incrociano e si producono e riproducono reciprocamente; che agganciano scale differenti (da quella micro del corpo, a quelle via via più grandi del quartiere, della città, fino al livello globale) in termini di ricadute e impatti, ma anche di competenze, di strutture di funzionamento e di gestione e, in ultimo, anche e soprattutto di interessi. Per questo motivo, il capitolo procede per passi, a volte incerti, di messa a fuoco dei concetti, dei fenomeni, degli strumenti sottesi a questa lettura – il cibo, la città e la salute - nel tentativo di definire il quadro di riferimento entro cui muoversi e avviare, nei mesi a venire, ricerche più mirate e approfondimenti più specifici. 5.2 CIBO, CITTÀ E SALUTE: DA SOLI E INSIEME, IN CERCA DI DEFINIZIONI Se come geografi, sociologi urbani, pianificatori e designers siamo ormai ampiamente consci della difficoltà di definire oggetti complessi come la città, per quanto concerne il cibo e la salute è, se possibile, ancora più complicato. Solo apparentemente semplici, perché connessi alla nostra vita quotidiana, cibo e salute sono assemblaggi caratterizzati da una pluralità di definizioni, a cui talvolta è più semplice risalire attraverso le “soluzioni”: il modo in cui si interviene su una questione (un problema, o un’opportunità) è sovente utile a comprendere come essa venga effettivamente intesa. 5.2.1 Il cibo Partendo dal primo termine del binomio che ha caratterizzato la nostra ricerca negli ultimi anni, le definizioni di cibo sono - prevedibilmente – molteplici e generalmente agganciate a un qualche attributo che ne specifica meglio la natura: sano, sostenibile, locale, etnico, biologico, super (accompagnato alla traduzione food nella versione inglese); ma anche spazzatura, altamente processato, povero di nutrienti; c’è persino, sempre in inglese, un’espressione che descrive la voglia incontenibile di un particolare cibo: il food craving, inteso come desiderio intenso, incontrollabile e indipendente dalla fame, connesso soprattutto a cibi ricchi di zucchero, sale e grassi (e quindi poco salutari). Facendo un passo indietro, tuttavia, una prima, neutra, definizione di cibo, cercata sull’italianissima Enciclopedia Treccani, ci restituisce l’essenza più generale di questo “oggetto”. Il cibo è il termine generico per indicare tutto ciò che si mangia, eventualmente con la specifica di “all’interno di un pasto”. Mentre la sua accezione figurata chiama in causa l’atto del nutrire, in parallelo ai libri che sarebbero un buon cibo per la mente o la meditazione come nutrimento per lo spirito.

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ATLANTE del CIBO 1

5. IL RAPPORTO CIBO-CITTÀ COME

STRUMENTO DI SALUTE A cura di Alessia Toldo

5.1 INTRODUZIONE Il rapporto fra cibo, salute e territorio, nello specifico urbano, è un tema di studio e di ricerca che corteggiamo da parecchio tempo, più o meno da quando l’Atlante ha assunto la forma strutturata che presenta oggi. Le ragioni sono tante, e incrociano – come sovente accade – interessi accademici e personali di lunga durata e anche occasioni, come quella rappresentata dalla possibilità – per ora non concretizzata – di collaborare al Piano Cronicità della Regione Piemonte. Sebbene il tema della salute rappresenti una costante trasversale di tutte le nostre ricerche (si pensi in particolare ai lavori sulle mense scolastiche o sulle pratiche di recupero e redistribuzione delle eccedenze) questo tema trova uno spazio ad hoc solo all’interno del terzo rapporto, proprio in virtù della sua complessità. La sua trattazione, soprattutto nell’intersezione con il cibo e con lo spazio, richiede infatti un bagaglio di conoscenza che cominciamo ad avere solo ora, dopo diversi anni di lavoro quotidiano su questi argomenti. E, tuttavia, si tratta ugualmente solo di un primo approccio: un assaggio – per rimanere sul pezzo – di una questione multidimensionale, multidisciplinare, sfaccettata, che si presta ad essere affrontata attraverso diversi approcci e prospettive, talvolta discordanti. In questi termini, il contributo che segue cerca di mettere insieme gli elementi di quello che potrebbe diventare un sistema ampio e articolato, attualmente composto da altri sistemi (quello della salute, quello alimentare, quello territoriale) che richiamano concetti non univoci (cosa sono la salute, il cibo e il territorio?) in costante ricerca di una definizione; che si incrociano e si producono e riproducono reciprocamente; che agganciano scale differenti (da quella micro del corpo, a quelle via via più grandi del quartiere, della città, fino al livello globale) in termini di ricadute e impatti, ma anche di competenze, di strutture di funzionamento e di gestione e, in ultimo, anche e soprattutto di interessi.

Per questo motivo, il capitolo procede per passi, a volte incerti, di messa a fuoco dei concetti, dei fenomeni, degli strumenti sottesi a questa lettura – il cibo, la città e la salute - nel tentativo di definire il quadro di riferimento entro cui muoversi e avviare, nei mesi a venire, ricerche più mirate e approfondimenti più specifici.

5.2 CIBO, CITTÀ E SALUTE: DA SOLI E

INSIEME, IN CERCA DI DEFINIZIONI Se come geografi, sociologi urbani, pianificatori e designers siamo ormai ampiamente consci della difficoltà di definire oggetti complessi come la città, per quanto concerne il cibo e la salute è, se possibile, ancora più complicato. Solo apparentemente semplici, perché connessi alla nostra vita quotidiana, cibo e salute sono assemblaggi caratterizzati da una pluralità di definizioni, a cui talvolta è più semplice risalire attraverso le “soluzioni”: il modo in cui si interviene su una questione (un problema, o un’opportunità) è sovente utile a comprendere come essa venga effettivamente intesa.

5.2.1 Il cibo Partendo dal primo termine del binomio che ha caratterizzato la nostra ricerca negli ultimi anni, le definizioni di cibo sono - prevedibilmente – molteplici e generalmente agganciate a un qualche attributo che ne specifica meglio la natura: sano, sostenibile, locale, etnico, biologico,

super (accompagnato alla traduzione food nella versione inglese); ma anche spazzatura, altamente processato, povero di nutrienti; c’è persino, sempre in inglese, un’espressione che descrive la voglia

incontenibile di un particolare cibo: il food craving, inteso come desiderio intenso, incontrollabile e indipendente dalla fame, connesso soprattutto a cibi ricchi di zucchero, sale e grassi (e quindi poco salutari). Facendo un passo indietro, tuttavia, una prima, neutra, definizione di cibo, cercata sull’italianissima Enciclopedia Treccani, ci restituisce l’essenza più generale di questo “oggetto”. Il cibo è il termine generico per indicare tutto ciò che si mangia, eventualmente con la specifica di “all’interno di un pasto”. Mentre la sua accezione figurata chiama in causa l’atto del nutrire, in parallelo ai libri che sarebbero un buon cibo per la mente o la meditazione come nutrimento per lo spirito.

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Fig. 1 - La definizione di cibo Fonte: Enciclopedia Treccani In una prospettiva più complessa, il cibo può essere inteso come un fatto sociale altamente condensato e anche un tipo plastico di rappresentazione collettiva: Appadurai, nel 1981, suggeriva come il cibo “porti” messaggi sociali fra cui rango e rivalità, solidarietà e comunità, identità o esclusione, intimità o distanza, etc. Inoltre, secondo Radcliffe-Brown (1922), per sua natura il cibo è in grado di innescare processi di socializzazione, ossia relazioni (fra soggetti e fra soggetti e spazio) che modificano i contesti entro cui avvengono e, a loro volta, attraverso lo spazio sono prodotte e riprodotte. In questo senso il cibo diventa elemento di identità, di

distinzione; si accompagna a termini come diritto e accesso, a indicarne sì la centralità per la vita umana, non solo per quanto concerne la sopravvivenza, ma soprattutto la dignità e la qualità della vita delle persone.

5.2.2 Il concetto di salute Analogamente agli altri due termini, anche il concetto di salute è caratterizzato da una pluralità di definizioni, che sono evolute nel tempo. La prima, elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1948, definiva la salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale, psicologico, emotivo e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità. Si trattava, per il tempo, di un approccio rivoluzionario per ampiezza e ambizione che, tuttavia, è diventato presto inadeguato rispetto ai cambiamenti della società e, per questo, ampiamente criticato1. Da allora e fino a oggi, il dibattito internazionale sulla salute sembra essersi sviluppato e polarizzato lungo due assi principali: quello biomedico, teso all’individuazione delle cause biologiche delle patologie

(mechanism-oriented theories of disease causation) e quello che considera la salute come un fenomeno sociale, ossia che cerca di comprendere come le patologie si distribuiscano nelle spazio e nel tempo (integrando aspetti sia biologici, sia sociali, all’interno delle

theories of disease distribution) (WHO, 2010a). Questo secondo approccio, che possiamo sinteticamente definire come dei “determinanti sociali della salute” (SDH) inserisce la salute all’interno di riflessioni più ampie riguardanti la giustizia sociale (WHO, 2010 b).

1 La maggior parte delle critiche alla definizione dell'OMS del ‘48 riguardano l'assolutezza dell’attributo "completo" in relazione al benessere. Il primo problema che scaturisce dall’utilizzo e applicazione di questa definizione è che essa contribuisce, seppur involontariamente, alla medicalizzazione della società. Il secondo attiene invece ai profondi cambiamenti demografici e della natura stessa della malattia: nel ’48 le patologie acute rappresentavano il problema principale e quelle croniche implicavano la morte prematura delle persone. Allo stato attuale il numero di persone che convive con malattie croniche è in crescita in tutto il mondo, anche nei contesti più poveri. In questo quadro, la definizione dell'OMS diventa per certi versi controproducente, poiché interpreta le persone con malattie croniche e disabilità come individui definitivamente malati. Il terzo problema concerne l'operatività stessa della definizione. L'OMS ha sviluppato diversi sistemi per classificare le malattie e descrivere gli aspetti di salute, disabilità, funzionamento e qualità della vita. Tuttavia, a causa del riferimento a uno stato che deve essere “completo”, qualsiasi definizione “rimane impraticabile, perché la completezza non è né operativa, né misurabile”.

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I determinanti della salute sono fattori che influenzano lo stato di salute di un individuo e – più estesamente – di una comunità o di una popolazione e possono essere articolati in varie categorie: comportamenti personali e stili di vita; fattori sociali che possono rivelarsi un vantaggio o uno svantaggio; condizioni di vita e di lavoro; accesso ai servizi sanitari; condizioni generali socio-economiche, culturali e ambientali; fattori genetici. Ovviamente eventuali conflitti in merito ai determinanti sociali derivano dalle diverse gerarchizzazioni dei vari modelli concettuali proposti. Per esempio, il modello “ad arcobaleno” proposto da Dahlgren e Whitehead negli anni ’90, è costituito da una serie di strati concentrici, corrispondenti ciascuno a differenti livelli di influenza. Al centro c’è l’individuo, con le sue caratteristiche biologiche (il sesso, l’età, il patrimonio genetico), ossia i determinanti non modificabili della salute.

Fig. 2 - I determinanti della salute secondo Fonte: Dahlegreen e Whitehead, 1993.

I determinanti modificabili, cioè suscettibili di essere corretti e trasformati, si muovono dagli strati interni verso quelli più esterni: gli stili di vita individuali, le reti sociali e comunitarie, l’ambiente di vita e di lavoro, il contesto politico, sociale, economico e culturale. Questo modello concettuale presenta un elevato grado di complessità: la grafica a semicerchi concentrici rivela una gerarchia di valore tra i diversi determinanti della salute (sono i semicerchi più esterni, quelli che rappresentano il “contesto”, a influire maggiormente sullo stato di salute). È un modello concettuale che da una parte riflette la cultura

europea di welfare state fondata sul “diritto alla salute” e dall’altra fa propria la visione “multisettoriale” della tutela della salute contenuta nella Dichiarazione di Alma Ata2 (http://www.saluteinternazionale.info/2009/01/i-determinanti-della-salute-una-nuova-originale-cornice-concettuale/#biblio, ultimo accesso 18 giugno 2019). Un modello più recente (cfr. fig. 3) è quello proposto dalla Commissione sui Determinanti Sociali della Salute (Commission of Social Determinants of Health - CSDH)3,.e presentato all’interno del documento

di sintesi “Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health” del 2008, nel quale sono state raccolte le principali evidenze scientifiche sui determinanti e le premesse politiche per affrontare le disuguaglianze in salute sia tra i paesi, sia al loro interno (WHO, 2008).

2 Si tratta della Conferenza sull'Assistenza Sanitaria Primaria, riunita ad Alma Ata il 12 settembre 1978, che ribadisce come la salute (intesa come stato di completo benessere fisico, mentale sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità) sia un diritto umano fondamentale. Inoltre, si afferma il principio dell’intersettorialità, sottolineando come il raggiungimento del maggior livello di salute possibile sia un risultato sociale la cui realizzazione richiede il contributo di molti altri settori economici e sociali in aggiunta a quello sanitario. 3 La Commission of Social Determinants of Health (CSDH) è stata istituita nel 2005 con l’obiettivo di studiare e sviluppare nuove evidenze sui determinanti sociali della salute, ma anche sollecitare i governi, le istituzioni locali e la società civile per promuovere azioni di contrasto alle disuguaglianze in salute

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Come si vede nella figura che segue, che esplode, in italiano, lo schema precedente, il primo e il secondo gruppo rappresentano i determinanti strutturali, il terzo i determinanti intermedi. Il primo gruppo, connesso al “contesto politico e socio-economico” comprende un ampio insieme di aspetti strutturali, culturali e funzionali del sistema sociale di cui è impossibile quantificare l’impatto sulla salute degli individui. Tuttavia, essi esercitano una forte influenza su come la società distribuisce le risorse tra i suoi membri e di conseguenza sulle opportunità di salute della popolazione. Gli aspetti del “contesto” possono essere riassunti nel seguenti elementi principali: - governance; - politiche sociali; - politiche macroeconomiche; - valori culturali e sociali.

Fig. 3 - I determinanti della salute secondo Fonte: Dahlegreen e Whitehead, 1993 Il secondo gruppo, connesso alla posizione sociale, attiene alla più ampia stratificazione sociale, intesa come l’insieme delle posizioni più o meno vantaggiose che gli individui o i gruppi occupano in una

determinata società, in base al possesso di risorse socialmente rilevanti: - Reddito - Istruzione - Occupazione - Classe sociale - Genere - Gruppo etnico

Fig. 4 - Schema concettuale dei determinanti sociali della salute proposto dalla CSDH. WHO, 2010a; da Rinaldi e Marceca, 2017, pag. 110.

Si tratta, evidentemente, di un concetto relazionale e tendenzialmente gerarchico, poiché le posizioni hanno senso all’interno di relazioni di reciprocità ordinabili (anche se non perfettamente). Questi primi due gruppi costituiscono, insieme, i cosiddetti determinanti strutturali, ossia i fattori che generano la stratificazione sociale e che definiscono la posizione socio-economica degli individui all’interno di gerarchie di potere, prestigio e accesso alle risorse. Il terzo gruppo attiene invece i determinanti intermedi ed è composto da: - le condizioni materiali, ossia gli standard materiali di vita

quotidiana (fra cui la disponibilità di acqua potabile e di cibo

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adeguato, riscaldamento, infrastrutture igieniche, etc) che rappresentano probabilmente il più importante determinante intermedio;

- le condizioni socio-ambientali o psicosociali: lo stress acuto o cronico può essere causa di diverse forme di malattia; la posizione socio-economica di una persona può essere causa di stress a lungo termine e può influire sulla capacità di quella stessa persona di gestire situazioni stressanti e difficili;

- comportamenti individuali come abitudine a fumo, alcol, sostanze, ma anche, elementi che interessano nello specifico, l’alimentazione e l’attività fisica, molto condizionati dalla posizione socioeconomica.

- la coesione sociale, espressa dalla qualità delle relazioni sociali e dall’esistenza di reciproca fiducia e rispetto, di reciproci doveri all’interno della comunità.

- fattori biologici non modificabili: cioè il patrimonio genetico, l’età, il sesso.

- Il sistema sanitario. I due schemi, la cui direzione di lettura è da sinistra verso destra, presentano molteplici meccanismi di feedback, rappresentati da frecce che si spostano in senso inverso. Per esempio la malattia di una persona può influire sulla sua posizione sociale compromettendo le sue possibilità lavorative e riducendo il suo reddito; così come, a livello di comunità, determinate malattie epidemiche (per esempio l’aids in Africa) possono produrre gravi ripercussioni sul funzionamento delle istituzioni sociali, economiche e politiche. Questo approccio, oltre ad averci aiutato ad addentrarci nel significato complesso del concetto di salute, ci permette di cominciare a mettere a fuoco il ruolo altrettanto complesso che il cibo riveste in relazione ad essa. In relazione al contesto, troviamo infatti le politiche, fra cui crediamo sia possibile annoverare anche le politiche alimentari. Nel terzo gruppo, quello dei determinanti intermedi, vi sono le risorse materiali, fra cui la disponibilità di acqua e di cibo adeguato, ma anche i comportamenti individuali, come l’alimentazione. Entrambi questi fattori sono influenzati anche dai determinanti del secondo gruppo, che determinano la stratificazione sociale degli individui.

Infine, l’evoluzione di questo approccio ha uno step ulteriore con il

documento dell’OMS (2013) dal titolo “Review of determinants and the health divide in the WHO European Region: executive summary”, pensato come un punto di riferimento a supporto delle strategie di salute e benessere da perseguire all’interno del nuovo Programma Quadro

Health 20204 che definisce non eque (health inequities) le

disuguaglianze di salute (health inequalities) che sarebbero ragionevolmente evitabili con appropriate misure (cfr. figura 5).

Fig. 5 - Misure per evitare le disuguaglianze di salute Fonte: OMS, 2013. A livello nazionale, l’approccio descritto viene recepito e attuato attraverso il programma nazionale “Guadagnare Salute. Rendere facili le

4 IL documento è frutto del lavoro parallelo di 13 commissioni seguito da un processo di revisione finale coordinato da esperti del University College London Institute of Health Equity e dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

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scelte salutari”5, approvato dal Governo con Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm) il 4 maggio 2007 in accordo con Regioni e Province autonome. Nello specifico, il suo obiettivo principale consiste in un’azione integrata e coordinata sui quattro principali fattori di rischio modificabili (scorretta alimentazione, fumo, alcol e inattività fisica), responsabili da soli del 60% della perdita di anni di vita in buona salute in Europa e in Italia. L’approccio alla base del programma sottolinea come questi fattori di rischio debbano essere intesi e affrontati non solo dal punto di vista sanitario, ma come veri e propri fenomeni sociali. In questo quadro, la strategia identifica quattro aree tematiche di cui una direttamente connessa al cibo e al sistema alimentare (promozione di comportamenti alimentari salutari), mentre la seconda connessa in maniera indiretta, ma fondamentale (promozione dell’attività fisica). Queste strategie sostanziano un altro elemento che ha acquistato un’importanza crescente a livello sia nazionale, sia internazionale: il concetto di “salute in tutte le politiche” (“health in all policies”)6. Con questa strategia, il movimento di promozione della salute ha preso atto7 che la salute delle persone non dipende soltanto dall‘offerta dei servizi sanitari e dagli stili di vita ma anche, e soprattutto, dalla qualità degli ambienti e delle condizioni di vita e di lavoro, dalla disponibilità economica dei cittadini, dalla coesione della comunità e dall‘offerta di servizi pubblici di qualità. In questa logica, è diventato sempre più evidente, come alcuni determinanti di salute siano al di fuori del diretto controllo del settore sanitario. Questo vuol dire che la salute degli individui dipende solo in parte dall’offerta di servizi sanitari per la cura delle malattie. In questa logica, è quindi necessario coinvolgere i diversi

5 A livello internazionale il programma rientra nella cornice della strategia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche “Gaining in health” promossa dall’OMS nell’autunno del 2006 ed è connesso alla più ampia strategia “Health 2020”, la politica sociale e sanitaria comune che focalizza la sua attenzione sui determinanti sociali della salute e sulle relative equità, ponendoli al centro della propria agenda. 6 Per un approfondimento si veda la “8th Global Conference on Health Promotion” di Helsinki (2013) con l’Helsinki Statement e il Framework for Country Action scaricabili dal sito https://www.who.int/healthpromotion/frameworkforcountryaction/en/ 7 Già a partire dalla dichiarazione di Alma Ata sulle cure primarie (1978) e dalla Carta di Ottawa (1986).

settori della società e delle istituzioni per creare alleanze e azioni sinergiche: l’intersettorialità è diventata infatti la condizione fondamentale per agire sui determinanti socio-economici e ambientali delle malattie croniche, oltre che per dare maggior credibilità ai messaggi da veicolare, per consolidare il rapporto tra cittadini e istituzioni, per assicurare un’informazione univoca e completa. In questo quadro, il programma Guadagnare Salute mira alla collaborazione tra i vari Ministeri e all’avvio di una “politica delle alleanze” tra soggetti portatori di interesse e i diversi settori della società (le amministrazioni locali, le organizzazioni, gli enti, le associazioni, le istituzioni, etc). Questa nuova idea di tutela della salute, più ampia e complessa, è stata enunciata in alcuni documenti di indirizzo internazionali e fatta propria da molti Paesi. In Italia, Il Centro Nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie – Ccm ha recepito questo stimolo avviando il progetto “Da Guadagnare Salute a Salute in tutte le politiche8”. Gli obiettivi specifici del progetto sono stati: - mettere in luce le relazioni esistenti fra i bisogni dei cittadini, le

conseguenze che questi bisogni producono sulle condizioni e sugli stili di vita, e sulla salute;

- mettere in luce gli effetti che interventi e politiche di risposta ai bisogni producono su condizioni e stili di vita, e sulla salute;

- trasformare queste conoscenze in consapevolezza dei decisori riguardo al ruolo che le politiche giocano sulla salute dei cittadini, elaborando idonei materiali di documentazione su ogni ambito di politiche non sanitarie.

Il progetto si è concentrato su 5 temi, per ognuno dei quali è stato elaborato un rapporto che valuta l'impatto che le politiche e gli interventi di quello specifico settore sulla salute. - Lavoro e salute; - Stili di vita e salute; - Reddito e salute; - Città e salute; - Mobilità e salute.

8 http://www.ccm-network.it/progetto.jsp?id=node/605&idP=740

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Uno schema che ci è stato molto utile per capire operativamente questo concetto e come esso possa essere operativizzato in relazione al sistema alimentare e alle politiche del cibo è quello che, ispirandosi alla concettualizzazione dell’epidemiologia sociale, individua alcune sequenze le quali rappresentano gli effetti che, a partire da un bisogno umano, si susseguono fino a determinare uno stato di salute particolare.

Fig. 6 – La retroazione dei rischi per la salute sulla percezione del bisogno degli individui Fonte: Rinaldi e Marceca, 2017, pag. 113 In questo quadro, il nostro intento è di provare a leggere il sistema alimentare urbano, nella sua spazializzazione, come un determinante in grado di contribuire alla promozione della salute. E, di conseguenza, proponiamo le politiche locali del cibo (che mettono a sistema le politiche alimentari settoriali, ossia un altro determinante di contesto) come strumenti in grado di integrarsi con le politiche sanitarie per implementare obiettivi di salute.

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5.2.3 Il triangolo cibo-città-salute

Il nesso fra cibo e salute, come abbiamo visto, è stato ampiamente e scientificamente dimostrato. L’alimentazione è, infatti, un determinante

essenziale della salute: il progetto Global Burden of Diseases ha stimato che nel 2013, a livello globale, i rischi associati alla dieta hanno

determinato 11,3 milioni di decessi e 241,4 milioni di DALY (disability adjusted life years), collocandosi al primo posto nella graduatoria dei fattori di rischio. In questa logica, lo stile di vita e le scelte alimentari agiscono in modo decisivo sulla possibilità di evitare l’insorgenza di malattie e di controllarne l’evoluzione. In particolare, la nutrizione è direttamente connessa alle malattie croniche non trasmissibili (in

inglese non communicable diseases – NCDs) come cancro, diabete, patologie cardiovascolari e respiratorie. Queste patologie, caratterizzate da lunghi decorsi, sono causate da una combinazione di fattori genetici, fisiologici, ambientali e comportamentali. In particolare, come abbiamo già visto, le abitudini alimentari rappresentano uno dei quattro principali

elementi di rischio (insieme al fumo, all’alcool e a una scarsa attività fisica) e sono strettamente connesse anche ai fattori di rischio metabolici, costituiti da alta pressione, sovrappeso e obesità, iperglicemia e iperlipidemia (rispettivamente tassi elevati di glucosio e di grassi nel sangue). Tutte insieme, queste malattie sono la causa del 70% delle morti a livello globale (circa 40 milioni all’anno) e del 92% di quelle italiane (WHO, 2017)9. La differenza rispetto a una nutrizione corretta ed equilibrata può avvenire, evidentemente, per eccesso o per difetto. Entrambi i casi possono essere descritti con il termine malnutrizione, che comprende una molteplicità di fenomeni, dalla sottonutrizione (la fame, anche nella sua dimensione occulta) e la sottoalimentazione fino all’estremo opposto, il sovrappeso e l’obesità. Le implicazioni di salute in presenza di una nutrizione non sufficiente (per quantità o scarso assorbimento dei nutrienti) sono evidenti e affliggono, allo stato attuale, più di 800 milioni di persone che sono considerate in condizioni di insicurezza alimentare.

Allo stesso tempo, le implicazioni di salute connesse agli esiti di una nutrizione eccessiva in quantità, o scorretta in qualità – cioè il sovrappeso e l’obesità – hanno assunto proporzioni tali da essere ormai associate all’idea di epidemia, se non addirittura di pandemia. Stime recenti rivelano infatti come i valori di sovrappeso e obesità siano più che duplicati negli ultimi 30 anni, attestandosi su quasi tre miliardi di persone10: di cui 600 milioni di obesi (circa il 13% della popolazione totale) e quasi due miliardi in sovrappeso, (pari al 40% del totale, FAO et al., 2017). Analogamente alla sottonutrizione, anche la malnutrizione per eccesso o per difetto di qualità dei cibi ingeriti può e deve essere letta entro una cornice di disuguaglianze e giustizia sociale, poiché paradossalmente

9 La loro prevenzione rientra nel terzo obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 (assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età). 10 L’obesità viene generalmente individuata sulla base di un solo indicatore, l’indice di massa corporea (body index mass – BMI): quando è compreso fra 25 e 30 indica il sovrappeso, oltre il 30 uno stato di obesità, con diversi livelli di gravità.

CIBO

CITTÀ SALUTE

2. 2. 3. Ambienti obesogenici,

food desert, food environment.

4. Urban Food Planning (di cui la salute rappresenta una delle dimensioni principali)

1. NCDs

Malnutrizione Influenzata anche dai

determinanti ambientali (urbani)

3. La città che cura Anche attraverso il proprio

sistema alimentare e le proprie politiche alimentari

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colpisce le persone in condizione di marginalità socio-economica, tanto nel Sud, quanto nel Nord globale. Il paradosso si spiega, secondo diversi autori, con il basso costo e la grande diffusione di luoghi di approvvigionamento di cibo altamente processato, denso di zuccheri e calorie, ad elevata palabilità, ma povero di nutrienti. L’enfasi sulla facilità di accesso, fisico ed economico, a questi prodotti chiama direttamente in causa il nesso fra cibo e città, che si sostanzia anche nel sistema distributivo suggerendo l’esistenza di alcune combinazioni tra forme del sistema alimentare dominante e spazi urbani in grado di favorire comportamenti alimentari scorretti. In letteratura, questo fenomeno è descritto come ambienti obesogenico (fra gli altri, Caballero, 2007), concettualizzato per spiegare i trend crescenti di sovrappeso e obesità alla luce di alcuni studi in ambito medico, i quali mostrano come questa evoluzione non sia riducibile a sole questioni psicologiche o connesse alle abitudini alimentari e alla dieta (fra gli altri, Prentice e Jebb, 1995; Egger e Swinburn, 1997).

In quest’ottica, l’esposizione ad ambienti alimentari di scarsa qualità, insieme alla tendenza (anche imputabile a forme specifiche dell’ambiente urbano) a non praticare attività fisica, amplificherebbe i fattori di rischio individuali per l’obesità, come i bassi redditi, l’assenza di trasporti, le scarse capacità in cucina.

A questo proposito Glanz et al. 2005, elaborano uno schema

concettuale che mostra l’ambiente alimentare (o food environment), cioè lo spazio materiale e immateriale entro cui vengono prese le decisioni relative al cibo, come costituito da diverse variabili in relazione fra loro, in particolare: - variabili politiche, costituite dalle politiche istituzionali e dalle

strategie delle imprese, che definiscono il contesto generale; - variabili ambientali, che corrispondono a un insieme eterogeneo di

elementi di diversa scala (dal nucleo familiare alla città in cui si vive) e di diversa natura (organizzative, legate alla comunità e al singolo consumatore). Da esse dipendono disponibilità e accessibilità di determinati alimenti, a loro volta influenzate dalle informazioni e dalle rappresentazioni collettive provenienti dai media;

- variabili individuali, di tipo socio-demografico, psicosociale e percettivo, che attengono i fattori personali che intervengono nell’orientare le scelte alimentari.

Fig. 7: Le dimensioni del food environment Fonte: rielaborazione da Glanz et al., 2005, p. 331

Un altro riferimento - trattato in dettaglio all’interno del paragrafo sulla distribuzione alimentare – che sostanzia il nesso fra cibo e città e che ha evidenti implicazioni in termini di salute, è quello del food desert. Questo concetto, ormai ampiamento utilizzato tanto nei discorsi pubblici e politici, quanto nell’ambiente accademico, individua quelle aree tipicamente urbane e principalmente Nordamericane, caratterizzate da una popolazione in condizione di marginalità socio-economica a cui non è garantito accesso a cibo fresco, sano e nutriente (Shaw, 2006). In letteratura, il fenomeno della desertificazione alimentare è stato posto in relazione diretta sia con il tema delle disuguaglianze sociali, sia in relazione agli effetti del mancato accesso a un certo tipo di cibo sull’alimentazione e sulla salute pubblica, riproponendo la relazione fra salute e disuguaglianze. Da un lato, infatti, molti studi rivelano come i deserti alimentari si trovino con più frequenza in corrispondenza dei quartieri in condizione di svantaggio socio-economico (fra gli altri, Walker et al. 2010) facendo così emergere una significativa iniquità socio-territoriale nell’accesso al cibo. Altri lavori, invece, si concentrano sul rapporto fra accessibilità agli esercizi commerciali e comportamenti

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e abitudini alimentari (fra gli altri, Rose e Richards, 2004; Story et al., 2008). In particolare, da questi studi sembrerebbe anche emergere una relazione fra presenza di food desert e condizioni diffuse di sovrappeso e obesità che tuttavia merita, allo stato attuale, di essere ulteriormente approfondita. Vi sono anche diverse critiche legate a questo concetto: in primo luogo, per quanto concerne il suo utilizzo in contesti che non siano quelli nordamericani; in seconda battuta, le interpretazioni più comuni dei food desert sono talvolta osteggiate poiché tacciate di essere espressione di un “paternalismo neoliberista” che, da un lato, tende a patologizzare i food desert come anomalie all’interno di un sistema alimentare altrimenti funzionante; e, dall’altro, patologizza i residenti, rappresentandoli come consumatori irrazionali piuttosto che cittadini, stato –quest’ultimo– che ne riconoscerebbe il diritto a richiedere, in luogo di un supermercato, condizioni lavorative migliori, programmi di assistenza alimentare, o alternative produttive al cibo industriale (Shannon, 2014). Il nesso fra cibo e città è anche alla base delle politiche locali del cibo. Il suo riconoscimento come elemento centrale nelle agende urbane è infatti il punto di partenza dell’Urban Food Planning, termine ombrello sotto cui troviamo una molteplicità di strumenti (strategie urbane del

cibo, piani locali del cibo, food policy council) che testimoniano la presa di coscienza delle città di quanto il cibo e il sistema alimentare siano, di fatto, temi di politica urbana. L’evoluzione delle politiche locali del cibo rivela come il tema della salute non solo rappresenti un elemento cardine della pianificazione alimentare urbana (sebbene non esista un modello univoco di politica locale del cibo). L’interesse per questa tema viene considerato, per certi versi, come l’abbrivio di questo nuovo approccio. Le città nordamericane, pioniere nell’Urban Food Planning, hanno infatti cominciato a occuparsi di politiche del cibo proprio in relazione alla salute pubblica (Morgan, 2015), in particolare per quanto concerne il contrasto all’obesità e alle patologie connesse alla abitudini alimentari (si vedano, per esempio, le politiche di Bristol e di Toronto).

Fig. 8: Temi del rapporto fra cibo e città nei diversi contesti geografici. Fonte: rielaborazione da Calori e Magarini, 2915, p. 46. Allo stesso tempo, anche le realtà del Sud del Mondo indirizzano le loro politiche alimentari verso temi che riguardano la salute, declinati in particolar modo in relazione all’insicurezza alimentare (sia in termini di sotto-nutrizione sia, coerentemente con il doppio carico della malnutrizione, di sovrappeso e obesità). Una prima e rapida rassegna di alcune politiche locali del cibo avviate a livello internazionalemostra come la salute sia sempre presente nei vari documenti, sebbene declinata in forme diverse. Infine, all’interno di questo quadro, un ruolo fondamentale è svolto anche dal Milan Urban Food Policy Pact, il primo patto internazionale sulle politiche del cibo che coinvolge direttamente le città, attraverso la sottoscrizione da parte dei sindaci11.

11 https://www.milanurbanfoodpolicypact.org/signatory-cities/

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Box 1– Il Milan Urban Food Policy Pact Avviato nel 2014 su iniziativa della città di Milano e lanciato alla fine di Expo nell’ottobre 2015, a giugno 2019 il Patto conta l’adesione di 193 municipalità di piccole, medie e grandi dimensioni, in rappresentanza di oltre 500 milioni di cittadini di tutto il mondo. In termini operativi, il quadro d’azione proposto, finalizzato alla promozione di sistemi alimentari più sani, equi e sostenibili, è costruito sulla base delle tante esperienze di pianificazione alimentare avviate in tutto il mondo. Gli interventi suggeriti sono quindi da considerarsi come singole opzioni di un elenco da cui ogni città dovrebbe attingere per ricomporre un’agenda operativa coerente al proprio contesto, alle proprie esigenze e ai propri obiettivi. In questo senso, il MUFPP può configurarsi come uno strumento contemporaneamente politico, teorico-metodologico e di indirizzo, in grado di connettere in rete un insieme crescente di città, favorendo il confronto e a circolazione di indicazioni utili al livello locale, ma anche per innovare la governance alimentare anche a scala globale (Dansero e Nicolarea, 2016). Tuttavia, è bene ricordare che, trattandosi di un impegno volontario e non vincolante, esiste il rischio che il Patto venga inteso come una semplice e innocua

dichiarazione di intenti e che l’adesione delle città molte delle quali si

avvicinano per la prima volta ai temi della pianificazione alimentare non generi ricadute reali sui territori. Per questa ragione, è necessario un duplice impegno, sia da parte delle città nell’attuare le indicazioni del patto, sia da parte del coordinamento internazionale del MUFFP per il monitoraggio costante della sua attuazione (Dansero et al., 2017).

Il tema della salute è presente, ovviamente, all’interno del testo del Patto: il riferimento esplicito è (i) all’onere elevato in termini di salute dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione; (ii) in relazione alle diete sostenibili (con particolare attenzione alle scuole, centri di assistenza, mercati e mezzi di informazione); (iii) e ai i sistemi di controllo alimentare. Il riferimento al cibo sano è invece presente negli impegni sottesi alla sottoscrizione dello stesso12 e si ritrova nelle azioni in relazione agli aiuti alimentari (azione 14 e 17) e all’alimentazione

12 “Lavorare per sviluppare sistemi alimentari sostenibili, inclusivi, resilienti, sicuri e diversificati, per garantire cibo sano e accessibile a tutti in un quadro d’azione basato sui diritti, allo scopo di ridurre gli scarti alimentari e preservare la biodiversità e, al contempo, mitigare e adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici”.

scolastica (azione 15), nel novero degli interventi di giustizia sociale ed economica. Inoltre, la salute, declinata come dieta sostenibile e nutrizione

(sustainable diets and nutrition) è presente anche nelle indicazioni per il monitoraggio delle aree urbane co 10 indicatori: - Indicator 7: Minimum dietary diversity for women of reproductive

age; - Indicator 8: Number of households living in “food deserts”; - Indicator 9: Costs of a nutritious food basket at city/community

level; - Indicator 10: Individual average daily consumption of meat; - Indicator 11: Number of adults with type 2 diabetes; - Indicator 12: Prevalence of stunting for children under 5 years; - Indicator 13: Prevalence of overweight or obesity among adults,

youth and children; - Indicator 14: Number of city-led or supported activities to

promote sustainable diets; - Indicator 15: Existence of policies/programmes that address

sugar, salt and fat consumption in relation to specific target groups;

- Indicator 16: Presence of programmes/policies that promote the availability of nutritious and diversified foods in public facilities;

- Indicator 17: Percentage of population with access to safe drinking water and adequate sanitation.

Come si evince dall’elenco, alcuni di questi sono specificatamente intesi

per città del sud globale (si pensi allo stunting infantile) mentre altre sono più trasversali rispetto ai diversi contesti geografici. In termini operativi, si segnala che molti di questi dati non sono disponibili, per esempio per quanto riguarda Torino, ma più in generale le città italiane, alla scala urbana. Un elemento importante da considerare quando si affronta questo tema in relazione al territorio riguarda infatti la disponibilità di dati e l’eventualità di ricorrere a proxy per sopperire alla mancanza di informazioni. Il nesso fra città e salute apre un altro spazio di conoscenza, dialogo e temi potenzialmente ampissimo, caratterizzato da una molteplicità di approcci, di competenze e di interessi. Considerata la natura esplorativa

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di questo primo contributo, abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione su alcuni elementi centrali e particolarmente interessanti rispetto al nostro obiettivo, in termini di discorsi, politiche e pratiche. Nel dibattito accademico, soprattutto internazionale, il tema della salute in città, o meglio delle città sane (healty cities) ha riferimenti di lunga data. La narrazione della città sana, e soprattutto della città che può essere pianificata in un’ottica di salute, è un discorso fatto proprio anche dalle istituzioni internazionali e nazionali, basti pensare ai progetti Urbact dell’Unione Europea legati, fra cui “Healthy cities: from Planning to action”. Il progetto propone la creazione di una rete di città per approfondire il rapporto tra salute e ambiente urbano, analizzando in che modo la pianificazione urbana influisca sulla salute degli abitanti e proponendo azioni per valutarne l'impatto sulla salute. In questo quadro vengono affrontati temi come la pianificazione urbana definita “innovativa” (walkability, densità, greening, policentrismo urbano etc); ma vengono affrontati anche temi connessi nello specifico al ruolo dello spazio urbano e della mobilità in termini di salute. Analogamente, questo discorso è alla base della nascita nel 1988 e dello sviluppo di progetti come la rete internazionale Healty Cities, promossa dall’OMS, che aggrega oggi più di 1.300 città (di cui circa 70 in Italia) in 30 paesi. La rete, che si configura come un vero e proprio movimento, ha come quadro di riferimento la Carta di Ottawa (1986) che oltre a ridefinire il concetto di salute afferma la stretta relazione che lega la salute con le città e la Dichiarazione di Zagabria (2008) per le Città Sane, che esprime l’impegno per la salute e l’equità in salute in tutte le politiche locali; i determinanti della salute e la necessità di lavorare in collaborazione tra organizzazioni pubbliche, private, volontarie e del settore comunitario. Gli obiettivi della rete sono: - la salute in tutte le politiche, attraverso l’ integrazione tra le

politiche di gestione diretta della salute e le politiche strategiche che hanno influenza sulla salute dei cittadini;

- la promozione dello sviluppo delle città fondato su equità, sostenibilità e sulla persona, al suo valore e alle sue esigenze;

- la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche anche attraverso il sostegno e la valorizzazione delle esperienze e le progettualità di tutti gli attori del territorio supporto ai sani stili di vita fornendo condizioni e opportunità

- Il supporto ai sani stili di vita fornendo condizioni e opportunità Box 2 – Che cos’è una citta in salute per la Rete delle Città sane? Le città sane, nell’ottica della Rete, sono definite da un processo, e non da un risultato. In questa logica, una città sana non è quella che ha raggiunto uno stato di salute particolare, ma piuttosto che consapevole della propria salute e si sforza di migliorarla. Quindi qualsiasi città può ambire ad essere una città sana, indipendentemente dal suo stato di salute attuale. I requisiti fondamentali per raggiungere questo status sono un impegno per la salute, un processo e una struttura per raggiungerlo. Considerato il quadro di riferimento, una città in salute – nelle definizioni della Rate - è anche una città capace di creare e migliorare continuamente l’ambiente fisico e sociale, accrescere le risorse della comunità che consentono alle persone di sostenersi a vicenda nell'esecuzione di tutte le funzioni della vita, sviluppando il loro massimo potenziale. L’OMS Europa raccomanda, a questo proposito, un approccio che ponga la salute al primo posto nell'agenda politica e sociale delle città e a costruire un forte movimento per la salute pubblica a livello locale. Sottolinea fortemente concetti come equità, governance partecipativa e solidarietà, collaborazione intersettoriale per affrontare i determinanti della salute. L'attuazione e la riuscita di questo approccio richiedono un'azione innovativa che affronti tutti gli aspetti della salute e delle condizioni di vita e un'ampia rete di connessioni tra i membri della rete, in un’ottica di diffusione capillare di politiche e pratiche. In questa sua formulazione, l’idea di una città sana è pienamente in linea con il quadro politico europeo Salute 2020 e l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. A livello nazionale il progetto Città Sane nasce nel 1995 come movimento di Comuni per poi diventare, nel 2001, Associazione senza scopo di lucro. Oggi, i Comuni che aderiscono alla rete sono oltre 7013. I

13 I comuni aderenti alla rete sono: Alfianello, Ancona, Anzola dell'Emilia, , Arzignano, Aviano, Avigliana, Barletta, Bergamo, Bitetto, Bologna, Bolzano, Bovino, Budoia, Cadelbosco di Sopra, Cagliari, Caneva, Capo d'Orlando, Cassano delle, Murge,

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principali progetti e le attività promosse nell'ambito del Progetto Città Sane - OMS sono ideati, definiti e co-progettati in stretta collaborazione con Aziende Sanitarie, Amministrazioni Pubbliche, Università, Scuole, Associazioni di categoria e volontariato, realtà economiche e produttive pubbliche e private interessate al tema della promozione della salute, con partenariati attivati secondo le esigenze e le finalità delle azioni. E i temi principali attengono a questioni come il Fumo, l’alcool, l’alimentazione, la salute del cuore, i diritti, la terza età, patologie come l’aids, la sicurezza in tutte e sue dimensioni, la prevenzione, la coesione sociale, il benessere fisico, la mobilità, le condizioni dei diversamente abili, la salute mentale, l’infanzia e l’adolescenza, il disagio, la solidarietà sociale e tutto quello che incide ed influenza uno stato di salute inteso non solo a livello medico/sanitario, ma anche sociale, psichico, fisico e relazionale. Un elemento interessante della rete riguarda la circolazione delle buone pratiche e l’assegnazione, una volta l’anno, del premio “l’Oscar della salute”. Una prima e breve verifica, giusto per capire il ruolo del cibo all’interno di questi progetti, rivela come, per esempio, dei 24 premi assegnati nel 2018, 7 siano direttamente connessi al cibo: 3 sui temi del recupero delle eccedenze, 2 sugli orti, e 2 sulla salute legata al cibo in ambienti specifici, come la scuola. Infine, un riferimento importante sul rapporto più generale fra salute e città è dato dal progetto di ricerca che prende forma nello studio

“Quarant’anni di salute nella città di Torino”, realizzato dalla Rete di Epidemiologia del Piemonte e dal Centro regionale di documentazione per la promozione della salute DORS. Il volume è l’esito di un poderoso lavoro articolato attorno a 4 ambiti: il primo ripercorre l’andamento della salute a Torino negli ultimi 40 anni, attraverso un’analisi della mortalità secondo le caratteristiche socio-economiche individuali e rivolge lo

Cassano Magnago, Castelbuono, Castiglione delle Stiviere, Chiesina Uzzanese, Cisternino, Conegliano, Cornedo Vicentino, Cortona, Cremona, Curtatone, Fara In Sabina, Ferrara, Firenze, Fiumicello, Foggia, Genova, Giovinazzo, Isera, L'Aquila, Latina, Mareno di Piave, Milano, Modena, Mogliano Veneto, Molfetta, Noicattaro, Nonantola, Noventa padovana, Ostiglia, Padova, Palermo, Palo del Colle, Pavia, Ponte di Piave, Reana del Rojale, Sacile, Santeramo In Colle, San Vito al Tagliamento, Segrate, Siena, Terlizzi, Tollo, Tolmezzo, Torino, Torrenova, Trevi, Trivignano Udinese, Troina, Udine, Venezia, Zero Branco.

sguardo, da un lato alla dinamica delle trasformazioni che hanno investito la città nelle ultime quattro decadi e dall’altro al confronto con altre realtà europee. La seconda parte mette in evidenza le differenze geografiche di salute interne alla città e la loro relazione con le caratteristiche urbanistiche, sociali e di sicurezza di ciascun quartiere. La terza sezione descrive la relazione esistente tra determinanti sociali e salute. Infine l’ultimo capitolo analizza l’impatto della crisi negli ultimi anni sulla salute dei torinesi. La seconda parte, più direttamente connessa al ruolo della città nelle dinamiche si salute, può essere brevemente sintetizzata affermando come, in una visione per quartieri, conti di più chi si è, un po’ meno dove si vive e un po’ meno ancora se i propri vicini sono simili a noi. In particolare, l’ordine di grandezza dell’incidenza di queste variabili (le caratteristiche socio-economiche individuali; le caratteristiche socio-economiche del quartiere in cui si vive e la vicinanza ai propri simili) è riportato nella figura di seguito:

Fig. 8 – L’incidenza delle diverse caratteristiche sulla salute Fonte: Stroscia et al., 2017, pag. 5 Per descrivere lo svantaggio dei vari quartieri lo studio ha utilizzato un indicatore composito che tiene conto contemporaneamente di cinque dimensioni, i cosiddetti ‘attributi di qualità urbana’: (i) lo stato socio-economico individuale; (ii) la sicurezza urbana; (iii) la struttura urbanistica; (iv) l’offerta di servizi e (v) la sicurezza stradale.

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Il risultato è una classifica ‘in negativo’ che mette in evidenza i quartieri in cui si accumulano più problemi con un potenziale effetto sulla salute: il primo della lista, in cui si concentrano maggiori criticità è Barriera di Milano, seguito da Madonna di Campagna-Lanzo, Lucento-Vallette, Rebaudengo-Falchera, Aurora e Lingotto. Al contrario, i quartieri in cui tali problemi sono ridotti al minimo sono Vanchiglia, San Salvario e il Centro.

Fig. 9 – La classifica dei quartieri in relazione agli attributi di qualità urbana Fonte: Stroscia et al., 2017, pag. 3

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