Il pulque delle popolazioni messicane. Dalle origini ai periodi coloniali

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Giorgio Samorini

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Immagine di copertina:rafgurazione della pianta di Agave (maguey) chiamataquámetl(da Francisco Hernández,1571-6,HistoriaNatural de Nueva España, Libro VIII, Capitolo LXXXII)

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Triana EdicionesPlaza Don Salesiano Ubaldo 9, 2B41010 Sevilla (España)

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Indice

p.

Il maguey e il pulque .......................................................................... 4La preparazione del pulque ..................................................... 6

Il pulque nei periodi pre-ispanici ..................................................... 12Associazioni simboliche .......................................................... 13Modalità d'uso .......................................................................... 17Aspetti mitologici ed etnostorici ............................................ 21Usi rituali .................................................................................. 24Il quinto pulque ........................................................................ 32

Il problema degli additivi del pulque ............................................... 35Il pulque nei periodi coloniali ........................................................... 46

AppendiciI - Mito d'origine del maguey ................................................. 53II - La leggenda di Xóchitl ....................................................... 55III - L'ubriachezza di Quetzalcoátl ......................................... 59IV - La classicazione dei maguey di Hernández ................. 65

Note ...................................................................................................... 72Bibliograa …...................................................................................... 77

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Il maguey e il pulque

Il pulque è un prodotto della ermentazione della lina di alcune specie di piantesucculente del genere Agavedella amiglia delle Agavaceae,1estesamente coltivate indiverse regioni del Messico. Il nome generico azteco dell'agave erametl, quello della linanecutli, mentre quello del pulque eraoctli. Diusi nomi messicani sonomagueyperl'agave eaguamielper la lina.

Le numerose specie di agave sono state una onteinesauribile di acqua, miele, bevande alcoliche, aceto,nonché di prodotti maniatturieri e medicinali, al puntoche il gesuita José de Acosta nel 1590 (Libro IV, Cap.

XXIII) descrisse il maguey comeel árbol de lasmaravillas(“l'albero delle meraviglie”). E' anche vero,come scrisse Alejandro de Humboldt (1822, IV, IX), che“la maggior parte dei popoli civilizzati ha ricavato le suebevande dalle medesime piante che costituiscono labase della sua alimentazione, le cui radici o semicontengono il principio zuccherino unito alla sostanzaamilacea”, e tale è stato anche il caso delle piante diagave nel Messico precolombiano.Le piante di maguey sono state usate sin dalla remotaantichità come onte di acqua, in particolare nelle estesearee aride del Messico, e n verso la ne del 1800 inalcune regioni sono state l'unica onte idrica. Durante ilsecolo XVIII alcuni villaggi messicani, ra cui Tlayaca-

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specie di Agaveamiglia delle Agavaceae

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pan, Malinalco, San Pedro Ostotepec, si sottrassero alle tasse del maguey e del pulqueimposte dal governo coloniale, dando come concreta motivazione il atto che le piante delmaguey erano ancora utilizzate in quei luoghi come unica onte di acqua e non per laproduzione di pulque (Hernández Palomo, 1979: 4-5).Un altro utilizzo d'importanza storica del maguey u come onte saccarina, in quantodalla sua lina, atta evaporare, si ricavava una sostanza dolciastra, di color scuro,chiamatamiele di maguey, ampiamente usata nei tempi pre-cortesiani, accanto ai prodottizuccherini già noti a quei tempi ricavati dalle api e dalla canna da zucchero. Laconcentrazione di zuccheri in alcune specie di maguey raggiunge quella della canna dazucchero, ma nei tempi coloniali e in quelli successivi la loro estrazione non raggiunsemai il valore economico della canna da zucchero, per via dell'esteso utilizzo del magueyper la preparazione della bevanda inebriante del pulque.I Nahua utilizzavano tutte le parti della pianta per diversi scopi maniatturieri: dalleoglie si ricavava carta e un tessuto per vestiti, oltre ad essere impiegate come buoncombustibile; dalle sue bre rigide si otteneva un lo – noto in Europa col nome di pita–con cui si costruivano uni, corde e stoe; con le spine si acevano aghi, spilli e chiodi; laradice cucinata era un alimento nutriente; dalla lina si ricavavano, oltre al pulque e almiele, un aceto e certi pani di zucchero (cr. ad es. Motolinía,Historia, III, 19, 439-448;Hernández,Historia, VIII, LXXI).Per quanto riguarda le proprietà medicinali, sia le parti della pianta che la lina e ilpulque sono stati impiegati per il trattamento di un cospicuo numero di inermità, unatto riportato già dai primi cronisti europei. Sahagún (XI, VII, 74) segnalava l'esistenzadi una specie di maguey chiamatateómetl(“maguey divino”), caratterizzata dall'aver gli

orli delle oglie di color giallo, il cui succo delle oglie cotte era usato nella preparazione diuna medicina utile per coloro che sorivano di ricadute da malanni. In un passosuccessivo (XI, VII, 155) riportava che il succo della oglia arrostita del maguey giovaneriposta sulle piaghe le cura, così come la oglia del maguey seccata e macinata, mescolatacon resina di pino e collocata sulle parti del corpo doloranti allieva la soerenza. AncheHernández (Libro VIII, Cap. LXXI) aveva riportato che le oglie cucinate e inapplicazione topica avoriscono la chiusura delle erite, curano le convulsioni e calmano idolori sici, mentre la lina “avorisce le regole, calma il ventre, provoca l'urina, pulisce ireni e la vescica, rompe i calcoli e lava le vie urinarie”. Motolinía (III, 19, 444) riportava

che la oglia

“è molto salubre per una coltellata o per una piaga resca, presa una oglia egettata nelle braci ed estratto il succo così caldo è ottimo per il morso di vipera;

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devono prendere da questi maguey piccoli della dimensione di un palmo e la radiceche è tenera e bianca ed estrarvi il succo, e mescolato col succo di assenzi di questaterra, e lavare la morsicatura, poi guarisce; questo io l'ho visto sperimentare edessere vera medicina; ciò si intende quando la morsicatura è resca”.

L'uso medicinale della lina di maguey più diuso ra le varie popolazioni messicaneera nel trattamento delle aezioni gastriche e renali (Hernández Palomo, 1979: 12).Il pulque veniva ampiamente impiegato come liquido madre dove arvi disciogliervi i

 vari prodotti medicinali. Sahagún (XI, VII, 155) riportava che “il maguey di questa terra,specialmente quello chiamatotlacámetl,2è molto medicinale in ragione della lina che sene estrae, il cui pulque viene mescolato con molte medicine da assumere per bocca”.Motolinía (Trat. III, 19, 440) scriveva che “tutte le medicine che si devono bere sono dateai malati con questo vino; posto nella sua tazza o coppa vi gettano sopra la medicina cheapplicano per la cura e salute del malato”. Martín de la Cruz (1552, F55r e F60r) riportava

che nel pulque venivano versati i vari medicinali utili per il trattamento dei pidocchi ecome lattogoghi, mentre per acilitare il parto dava la seguente ricetta: la partoriente “puòbere un preparato nel pulque di sterco macinato di alco e di anatra e un poco di codadell'animale chiamatotlacuatzin[piccolo marsupiale]. Il pulque deve essere dolce” (ibid.,F57v). Ancora oggigiorno il pulque viene usato tradizionalmente per scopi curativi.Guerrero (1985: 72) ha riportato che “in uno dei quartieri di Itzmiquilpan, nello statomessicano di Hidalgo, vidi come a una persona punta da un ragno diedero da bere pulquecon disciolto dell'escremento umano, un atto che provocò un grande vomito,assicurando i amiliari che con quello gettava via il veleno del ragno.”

La preparazione del pulque

Le specie di maguey ( Agave) sono numerose e non tutte sono utili per ricavarne ilpulque.1Francisco Hernández (1571-6) ne riportò 18 specie. L'areale di coltivazione delmaguey pulquerosi estende su tutti gli altipiani centrali del Messico, dove il terreno è perlo più argilloso, duro e poco umido. Anche nei luoghi umidi il maguey da pulque cresce

rigoglioso e vi viene coltivato, ma la bevanda che se ne ricava è di qualità ineriore ed èchiamata in questo casotlachique.La pianta del maguey deve avere un'età di almeno 6-10 anni (a seconda della speciecoltivata e delle modalità di coltivazione) afnché produca sufcienti quantità di lina e

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una concentrazione di zuccheri del 10%. Quando raggiunge la maturità siologica, lapianta produce la parte sessuale: dal suo centro si erge un lungo usto che può raggiun-gere l’altezza di 6-8 metri con in cima il ore; questo usto oriero è chiamatobohordooquiote.

Quando la pianta sta per orire le grandi oglie radicali, che sino a quel momento erano

inclinate verso il terreno, si alzano e si avvicinano ra loro, mentre la parte centrale dellapianta assume un colore verde chiaro e si gona. E' questo il momento tanto atteso per“castrare” (capar) la pianta con lo scopo di estrarre la lina con la quale produrre ilpulque. L'operazione viene eseguita da una persona esperta, la quale taglia le spine lateralidelle oglie vicine al “cuore” (mexollotl), che viene quindi asportato con un cucchiaioaflato (íztetl, “unghia”). La parte tagliata via è chiamata “uovo” ed è usata come cibo,cotto o stuato in diversi modi; ha un sapore gradevole e leggermente amaro. Una volta“castrato” il maguey, si possono iniziare a raspare le pareti del oro praticato al centro perottenere l’aguamiel, che viene succhiato con l’acocote, una specie di zucca. Quando la lina

è stata estratta, si raspa il ondo del tronco con un raschietto di metallo, ottenendo cosìdel materiale broso (carnaza) che serve da oraggio per i maiali (Guerrero, 1985: 70).I cicli lunari erano e sono tutt'ora importanti per la raccolta dell'aguamiel.La pianta

 viene “castrata” quando la luna è crescente e il usso di uoriuscita del liquido varia aseconda delle asi lunari.

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Pianta di Agavecon il lungo usto oriero (quiote)

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E' stato erroneamente ipotizzato che il raccoglitore diaguamiel(chiamatotlachiquero, voce nahua che proviene datlaxiki, “raschiare il maguey”), nel succhiarlo con l'acocote,contamini con la sua saliva la lina appena succhiata, inducendo in tal modo unaermentazione di tipo insalivata; tuttavia, ad una più attenta osservazione dell'operazionedi suggere la lina, la zucca (acocote) dalla parte del succhiatore ha una orma leggermenterigona che impedisce alla lina di raggiungere le sue labbra. La zucca usata per la suzione

 viene atta seccare e vengono praticati due ori alle sue due estremità; la parte estrema piùlarga è appoggiata alle labbra deltlachiquero, mentre a quella più esile viene applicato uncorno di toro perorato ed è in tal modo inserita nel oro praticato nella pianta pieno dilina.

Il naturalista Francisco Hernández (Libro I, Cap. XXV)descrisse la pianta dell'ococotli, in alcune regioni delMessico chiamata anchexalacotli, orendone un disegnoe riportando che “con i suoi internodi gli indios estrag-gono il vino dimetldalle cavità praticate nel tronco enelle quali distilla”.Una volta estratto l'aguamiel, iltlachiquerotappa conuna pietra o con delle oglie della medesima pianta iloro praticato nel suo centro – oro chiamato picazón –onde evitare che qualche animale vi si introduca perberne la lina. La pianta continua a produrre lina permolto tempo (sino a sei mesi), producendone giornal-mente 3-4 litri, una quantità che è periodicamente

raccolta daltlachiquero(Guerrero, 1985: 70-1). Inpratica, nella cavità praticata si accumula la quantità dilina che la pianta aveva preparato per ar crescerel'enorme usto oriero.

Il pulque che inizia a ermentare, spumeggiante, è chiamatoitzli. A ermentazionematurata la bevanda è chiamata pulque bianco, in nahuatiçauctli. La raccoltadell'aguamielè eseguita mediamente due volte al giorno, una alla mattina e una alla sera;in alcuni casi si eettuano tre raccolte diarie, come riportava Humboldt (IV, IX):“comunemente ogni pianta produce tutti i giorni quattro decimetri cubici di lina, che

equivalgono a 8cuartillos,3tre all'alba, due a mezzogiorno e tre al tramonto”. Dovevaapparire davvero un evento straordinario (unamaravilla) alle antiche popolazionimessicane questa abbondanza di liquido prodotto da una pianta che cresce in ambientiaridissimi e più volte rocciosi, dove l'acqua era introvabile.

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La pianta dell'acocotli (da Hernández, I, XXV)

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La lina viene trasportata nei luoghi di ermentazione del pulque chiamatitinacal, doveè depositata in olle di argilla, tini di legno o in caratteristici recipienti di cuoio di buemontati su un supporto di legno, chiamatitoros(“tori”). In questi contenitori viene

lasciata una piccola quantità di pulque vecchio, chiamato “piede” o “madre” del pulque, innahuaxinaxtli, che acilita l'innesco della ermentazione alcolica. In breve tempo si vienea ormare un “pulque soave”, dolciastro; con l’aumentare della ermentazione la bevandaacquista una maggiore gradazione alcolica, diventando un “pulque orte”.La pianta del maguey “castrata” per la raccolta della lina è destinata a morire e le sueparti seccate vengono usate per lo più come carburante per il uoco. Prima di morire,attraverso le sue radici la pianta a germinare attorno a se numerose plantule (chiamatemecuateomesontet), che vengono raccolte dai coltivatori e ripiantate in luoghi e adistanze adatte per ar crescere nuove piante per le uture raccolte di lina.

Ruiz de Alarcón (1629, III, I) riportò una maniera “superstiziosa” (seguendol'interpretatiocattolica) per il trapianto delle plantule di maguey dalle aree non coltivate aicampi coltivati. I nativi si premunivano di tabacco, che usavano in qualunque occasionerituale e a cui “afdavano” il compito che stavano per svolgere; quindi raccoglievano unbastone aguzzo con il quale aerravano i piccoli maguey e nel mentre rivolgevano al

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Sinistra: Untlachiquero(raccoglitore di maguey) estrae la lina (aguamiel) dalla piantadel maguey succhiandola mediante una zucca allungata perorata (acocote) (da Guer-rero, 1985).Destra: disegno di estrazione dell'aguamiel dal maguey, di Claudio Linati,1828,Trajes civiles, militares y religiosos en México, lamina 38, riportato in HernándezPalomo, 1979, g. 2.

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bastone la seguente orazione:

“Forza, che è già tempo, spiritato, la cui elicità sta nelle acque, andiamo chedobbiamo aerrare ed estrarre la stimabile donna, quella ordinata in otto, che devoandare a piantarla, voglio metterla in un luogo molto adatto e molto ertile che le ho

pulito, lì devo riporla dove le piacerà stare e alla quale oro la miglioria del nuovoluogo”.

La pianta del maguey era chiamata la “stimabile donna” in rierimento a Mayáhuel, ladea del maguey da cui questa pianta originò, come riportato più avanti negli aspettimitologici; Alarcón considerava l'ordinamento in otto come una maniera di disporre ilcampo coltivato in lari di otto piante, ma quest'interpretazione è discutibile.4

Con la venuta degli Spagnoli e le lorotecniche di distillazione in Messico, dal

pulque si iniziò a distillare un liquorechiamatomezcaloaguardiente di maguey.In realtà, per la produzione dimezcalsiutilizzano specie di agave dierenti daquelle usate per la produzione di pulque. Lacombinazione dimezcalconaguamielsichiamachinguiritoochínguere. Si bevemolto nella regione del Mezquital, raDurango e Zacatecas.

Nelle piante del maguey vivono diversianimali ineriori, ra cui larve e vermi. Inparticolare, vivono due vermi, l'uno di colorrosso (chiamato attualmentechinicuil) el'altro di colore bianco o dorato (chiamatoanticamentemeocuili), che sono utilizzaticome additivi, più che altro olkloristici, delmezcal, specie nello stato messicano di

Hoaxaca, principale centro produttivo delmezcal. Nei tempi moderni a questi vermi sono

attribuite proprietà arodisiache, non conermate tuttavia scienticamente. Questianimaletti sono noti sin dai tempi pre-ispanici, come conermano le note a loro riguardoriportate da Sahagún (Historia, XI, V, 81-82) e da Motolinía (Historia, III, 19, 447). Già aquei tempi era costume tostarli, aggiungervi sale e mangiarli. Ancora oggigiorno nello

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Tina di pulque con in evidenza la spumabianca prodotta dalla ermentazione(da Hernádez Palomo, 1979, g. 5)

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stato di Hoaxaca sono tostati e macinati con sale, ricavandone una miscela chiamatasalde gusano, usato come condimento. In un rapporto del 1791, il naturalista AntonioPineda rieriva dell'uso di vermi del maguey chiamatitecolio, di color carneo, che

 venivano a quei tempi tostati, ridotti in polvere e mescolati nel pulque; tuttavia, nelrapporto non è stato specicato né il motivo né l'area geograca di presenza di talepratica (Wilson, 1963: 508).

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Il pulque nei periodi pre-ispanici

In lingua nahua le piante di agave erano chiamate col nome genericometl. Il vocabolomagueysembra essere originario delle Antille; una considerazione già presente nellecronache del periodo della Conquista. Ad esempio, Motolinía (III, XIX, 440) riportavache “ Metlhè un albero o cardo che nella lingua delle isole si chiamamaguey”. HermánCortés, il conquistatore degli Aztechi, rieriva che nel mercato di Temixtitan (Tenoch-titlan) aveva visto vendere “miele ricavato da certe piante che chiamano nelle altre isolemaguey”.5 Probabilmentemagueyderiva direttamente dai termini tainomegueyemagheihche designano le piante di agave.6

Per quanto riguarda l'etimologia della parola pulque, essa è stata oggetto di controversie

per via di un errore di inversione cronologica da parte di alcuni scrittori del passato,chiarito in seguito da Cecilio Robelo (1948: 451-4) e ridiscusso da Gonçalves da Lima(1986: 13-4). Clavijero (1807: 435) aveva notato come il termine pulqueosse presenteanche nella lingua araucana del Cile, dove designa una bevanda ermentata ricavata dallemele, e la ritenne quindi originaria del sud America, pur non riuscendo a spiegare comeosse giunta presso le popolazioni messicane di lingua nahua. In realtà urono gliSpagnoli a portare dal Messico questo termine in sud America. La parola pulqueè moltoprobabilmente un barbarismo dei medesimi Spagnoli, derivante dal termine azteco

 poliuhqui, che designava la bevanda nel suo stato avariato. La bevanda del pulque,chiamata dagli Aztechioctlioiztacoctli(“vino bianco”), si conserva per poco tempo einizia ad avariarsi dopo 24-36 ore, diventando poliuhqui; i primi Spagnoli, all'udirerequentemente quest'ultimo termine, lo avranno verosimilmente considerato in manieraerronea come la parola azteca per la bevanda, trasormandolo quindi nel barbarismo

 pulque.

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Associazioni simboliche

Per quanto riguarda l'uso rituale e religioso del pulque, la principale onte di inormazioniè l'opera di Bernardino de Sahagún,Historia General de las Cosas de Nueva España,

compilata nel trentennio 1547-1577, di cui qui è utilizzata principalmente la versionecurata da Ángel María K. Garibay.Il pulque era utilizzato in diverse este religiose, nei riti battesimali, nelle este delraccolto, così come nei numerosi sacrici umani che si svolgevano nel corso di tutto ilcalendario religioso azteca. Ma non a tutti era concesso bere pulque, così come apparechiaro, pur dai dati conusi dei primi cronisti, che v'era una rigida dierenziazioned'utilizzo di diversi tipi di pulque – e conseguenti dierenti eetti inebrianti: dai pulqueriserbati alla casta prelatizia, a quello specico per le vittime umane destinate ai sacrici,ai pulque permessi al popolo in determinati momenti collettivi. I primi cronisti spagnoliriportarono scene di ubriachezza collettive che spesso sociavano in stati di delirio, diurore e di prostrazione, probabilmente dovuti, più che all’eetto alcolico del pulque (chedi per se non supera i 4 gradi), all’aggiunta alla bevanda di particolari vegetali che neraorzavano e ne modicavano gli eetti.Nella preparazione della bevanda erano impiegate diverse specie di maguey,riconosciute dai Nahua come “maguey bianco”, “maguey grande”, “maguey divino”,“maguey azzurro”, ecc., ciascuna delle quali produceva un tipo distinto di pulque e questadierenziazione era destinata ad aumentare con l’aggiunta, come detto, dei diversiadditivi e rinorzanti. Una siatta variabilità nella qualità del pulque e nelle relativeproprietà psicoattive, si rispecchia nella moltitudine di divinità associate a questabevanda. Esse corrispondono alla amiglia deicentzontotochtlin, i “quattrocento conigli”,“i numerosi dei del pulque”, che possono tutti essere individualmente denominati “due-coniglio” (ome tochtli); questo era il nome generico degli dei del pulque. Nella culturanahua il numero quattrocento era impiegato come orma aggettivale indicante “molti” o“moltitudine”.Il coniglio era strettamente associato alla luna e all'ebbrezza. Come presso altrepopolazioni americane, i nahua ritenevano che le macchie scure che si vedono sulla acciadella luna piena rafgurassero un coniglio. Nei Codici la luna è rafgurata simbolica-mente come un vaso riempito di un qualche liquido e al suo interno è disegnato il più

delle volte un coniglio o, più raramente, una piccola conchiglia o una pietra ocale.Secondo la cosmogonia nahua, il coniglio u scaraventato sulla accia della luna daPapátzac, una delle divinità del pulque (González Torres, 1972).

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L'associazione ra il maguey e la luna u osservata daitlachiqueros, i raccoglitori diaguamiel, che avevanonotato una sua maggiore auenza nei periodi di lunacrescente, e quest'associazione è ben evidenziata neiCodici in alcune rafgurazioni della pianta del maguey.NelCodice Vaticano B(originario di una regione diPuebla o Tlaxcala), all'interno di un maguey è disegnatoun recipiente rovesciato – rafgurante la luna – ornato digioielli e pieno di un liquido dove si vede un pesce chebeve sul ondo del recipiente. Il liquido rappresentato èquasi certamente l'aguamiel. Anche in una amosa edenigmatica rafgurazione nelCodice Borgiadella dea del

maguey, Mayáhuel, è rafgurato un pesce che succhia dal suo seno.Gonçalves da Lima (1986: 134) ha interpretato la presenza di questi pesci in associazionecol maguey considerando che “nella peregrinazione nahua il maguey u una onte disopravvivenza ondamentale come portatrice di lina, assunta sia come bevanda che comealimento.” Ma quest'interpretazione sembra essere inadeguata e la relazione ra pesce emaguey è probabilmente più proonda, sebbene resti inspiegata. Guerrero (1985: 79) oreuna considerazione che può risultare utile per lacomprensione di questa associazione simbolica.Ancora oggigiorno “i conoscitori del pulque,quando la bevanda è di ottima qualità, diconoche 'è latte della vergine' o che 'è come il latte

della vergine', senza che queste espressioni sianoconsiderate blaseme. Si tratta di un’espressioneolclorica, popolare, vernacolare e anonima,appresa per trasmissione orale e trasmessa digenerazione in generazione dall’epoca prei-spanica e relativa, con tutta sicurezza, allarappresentazione della dea Mayáhuel in orma dimaguey divinizzata e umanizzata, e la cui secre-zione, l’aguamiel, u chiamata 'latte di Mayahuel'

per allattare un pesce, come è possibile vederenelCodice Borgia”. Le piante di maguey erano viste come rappresentazioni della guraemminile di Mayáhuel.Come osservato da Ruiz de Alarcón (1629, III, I), i contadini dediti alla coltivazione del

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Rafgurazione della luna nelCodice VaticanoB, p. 29

Rafgurazione di Mayáhuel che allatta

un pesce,Codice Borgia, 16

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maguey e alla raccolta del pulque seguivano diverse “superstizioni” durante le varieoperazioni agricole. Dopo aver praticato la “castrazione” per la raccolta dell'aguamiel,rivolgevano la seguente orazione al cucchiaio di rame che serviva per raschiare la cavitàappena ricavata al centro della pianta:

“Forza, che è già tempo, ai il tuo lavoro, chichimeco vermiglio. Forza, ora raschiae pulisci la tua opera, devi entrare nel luogo del cuore della donna una di otto inlare, ai in modo che abbia la carnagione molto pulita e lascia che pianga, chediventi melanconica e accia molte lacrime e suda in maniera che esca un ruscellodalla emmina una di otto in lare”.

 L'aguamielche uoriesce dalla cavità è considerato il pianto della donna-pianta, diMayáhuel, per via della sua “uccisione” causata dall'asportazione del suo “cuore”. SecondoAlarcón “una di otto in lare” si rierisce alla maniera di disporre il campo di coltivazione

in lari di otto piante. Tuttavia Johansson (1996: 82) analizza un canto nahua dedicato aldio del pulque Tezcatzoncátl in cui questa divinità viene aggettivata come “lare di venti”;“una di otto in lare” e “lare di venti” hanno entrambi la radice nahuatecpantli, che è unaggettivo neutro per contare le persone (o le divinità) di venti in venti sino ad arrivare aquattrocento, un numero che riporta direttamente alle 400 divinità del pulque. Quindi,queste orme aggettivali numeriche, lungi dal rappresentare disposizioni delle piante delpulque nei campi, sarebbero associate a modalità di enumerazione delle divinità delpulque che ci risultano comunque criptiche.Come già anticipato, il coniglio era strettamente associato anche con l'ebbrezza indotta

dalle piante e dalle bevande psicoattive e, di conseguenza, con il pulque. Nello statomessicano di Hidalgo odiernamente si tramanda la credenza popolare che il primoubriaco u un coniglio che si avvicinò a una pianta di maguey, “saziò la sua sete, si sedettesul suo corpo raccolto, si dondolò e rimase disteso, scena che da quel giorno anche moltiuomini rappresentarono, rappresentano e continueranno a rappresentare” nel bere ilpulque (Guerrero, 1985: 33). Fra i Totonachi vi sono rierimenti a un uso rituale di pulquemiscelato con sangue di coniglio (ibid., :58). Presso gli Aztechi v'era la maniera di dire“quel tale si inconigliò”, per rierire di una persona che aveva subito un grave incidente,come cadere da un dirupo o addirittura uccidersi a causa della sua ubriachezza. V'era

anche il modo di dire che “quell'ubriacatura è il suo coniglio”, per intendere che a quel talela bevanda inebriante a in quello specico modo (Sahagún, IV, IV, 8).Sahagún (in buona parte in I, XXII, 3) riporta diversi nomi di dei del pulque: Tezcat-zóncatl, Izquitécatl, Yiauhtécatl, Acolhoa, Tlilhoa, Pantécatl, Yzquitécatl, Toltécatl, Papáz-

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tac, Tlaltecaiooa, Ometochtli, Tepoztécatl, Chilmalpanécatl, Colhoatzíncatl. Nell'icono-graa queste divinità si riconoscono per l'insieme congiunto dei seguenti caratteri:tengono in mano un'ascia di ossidiana, sul naso portano un monile a orma di mezza lunacrescente e sul capo un pennacchio di piume di airone e di quetzal, hanno orecchierettangolari, portano un ventaglio sulla schiena, delle campanelle nei piedi e indossanosandali di gomma. Ognuno di questi caratteri rappresentato isolatamente non è indicativodegli dei del pulque (Maher, 1997).

Il monile indossato al naso di queste divinità rappresenta un graema chiamato yacametztli(Naso-Luna); è un glio dalle origini arcaiche e comuni per le culture azteca emaya ed è indicativo della luna crescente. Nelle sue varie evoluzioni grache lo si ritrovaanche nell'iconograa maya per indicare la bevanda delbalché.Lo yacametztlieraoriginalmente associato all'idromele, sia presso i Maya che presso gli Aztechi, un atto chedimostra una connessione concettuale ra la primissima bevanda alcolica ricavata dalmiele d'api e le bevande alcoliche maggiormente elaborate delbalchée del pulque, dove

 venivano aggiunti ingredienti rinorzanti l'eetto psicoattivo: per ilbalchéla corteccia diunLonchocarpuse per il pulque le radici diocpatlie altri ingredienti tutt'ora indetermi-nati dal punto di vista botanico. Gonçalves da Lima (1986: 39) ha inerito che “primadella scoperta dell'ocpatliil pulque era una bevanda che quasi non si distingueva molto

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Sinistra: Tepoztecatl, divinità del pulque.Codice Magliabecchiano, oglio 49r (in Bankmann, 1984, g.11, p. 318).Sopra: Tezcatzoncatl, una delle divinitàdel pulque.Codice Fiorentino, libro I, appendice, cap.

16, ol. 40 recto

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dal vecchio idromele, ottenuto dalla diluizione del mieledi api, e ci u una ase in cui le due bevande si conuseromolto probabilmente in una medesima designazione,quella molto antica diquauhnecutli, miele d'albero, ilmiele uido delle api.”

Modalità d'uso

La preparazione del pulque da parte di personale specializzato, che Sahagún per lo piùriunisce sotto il generico nome di “osti”, doveva rispettare un insieme di precetti e tabù.Ad esempio:

“gli osti si cimentavano nel are un buon vino, e per questo si astenevano dalledonne per quattro giorni, poiché ritenevano che se si ossero avvicinati a una donnain quei giorni il vino si sarebbe acetato e danneggiato; si astenevano anche durantequei quattro giorni dal bere pulcre, incluso il miele da cui si a, nemmeno bagnandoil dito in esso portandolo alla bocca, sino a che non si osse dato inizio il quarto

giorno alla cerimonia detta sopra.Avevano come auspicio che, se qualcuno beveva il vino, anche solo poco, primache si eseguisse la cerimonia di apertura degli orci come sopra detto, che gli sisarebbe storta la bocca da un lato, per colpa del suo peccato.” (Sahagún, I, XXI, 21-22).

Il pulque era bevuto in un bicchiere caratteristico, chiamatoometochtecomatl(Vaso-Due-Coniglio) o più semplicementeoctecómatl, abbricato per lo più in pietra o, più rara-mente, in argilla. Il recipiente, che aveva una orma grezzamente rotondeggiante, si inne-stava sopra tre piedi ed era dotato di due manici opposti con una caratteristica orma diali di aralla.L'immagine di questo recipiente è presente in numerosi contesti iconograci; sugliscudi dei guerrieri così come nello stemma degli dei del pulque – l'ometochtlauiztli– alcui centro è ben riconoscibile anche il simbolo della mezza luna crescente, lo yacametztli.

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Yacametzli, geroglico del pulque. DalCodice Magliabecchi, XII, 3, 4 verso

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bicchiere per il pulque simile al precedente, chiamatotzicuiltecómatl, anch'esso di pietra,che aveva quattro lati e tre piedi.

Ogni volta che veniva preparato il pulque, la primaproduzione, chiamatauitztli, era oerta come primiziaa Huitzilpopochtli ed era versato neglioctecómatl, dadove i vecchi a cui era permesso bevevano con dellecanne (Sahagún, IV, XXI, 5). Gonçalves da Lima (1986:39-40) ha atto notare come in una ase arcaica dell'usodel pulque non esisteva ancora l'octecómatl, bensì erano

usati contenitori per il miele d'api, un atto che coner-ma l'associazione precedentemente indicata ra il pul-que primitivo e il più antico idromele.Sempre Sahagún (I, XXI, 13), nel descrivere leimmagini abbricate per le divinità, riporta lo stranouso di contenitori per il pulque atti con certe zucche eche erano poi ritualmente considerati di pietra:

“Orivano anche a queste immagini del vino,

ooctlio pulcre, che è il vino della terra; e i vasiin cui lo orivano erano atti in questa manie-ra: ci sono alcune zucche lisce, rotonde, lentig-ginose, ra il verde e il bianco o maculate, che sichiamanotzilacayotli, che sono della grandezza

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Mantelli con disegno di bicchiere per il pulque. Dettaglio del Foglio46r delCodice Mendoza(in Backmann, 1984, g. 9, p. 318)

Tiçocyahuacatl, capo guerriero,Codice Mendoza, dettaglio oglio 65r(in Bankmann, 1984, g. 12, p. 318)

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di un grande melone; ciascuna di queste veniva tagliata a metà e vi estraevano ciòche v'era dentro e ne risultava una specie di tazza, e vi versavano il suddetto vino e lamettevano davanti a quella immagine o a quelle immagini, e dicevano che quelleerano vasi di pietre preziose che chiamanochalchíhuitl.”

In diversi casi il pulque non veniva bevuto direttamente dai bicchieri, bensì medianteuna cannuccia ( piaztli). Ad esempio, durante la esta dedicata agli dei del pulque, inparticolare a Izquitécatl, che avveniva nel segnoce mázatlnella seconda casaome tochtli(Due Coniglio), nel patio del templo veniva collocato un grosso orcio che era mantenutosempre pieno di pulque e chiunque, durante questa esta, poteva berne mediante dellecannucce (Sahagún, II, XIX, 4). E' anche il caso dei prigionieri che erano costretti a bereun particolare tipo di pulque, ilteoctli, con delle cannucce poco prima di essere sacricati.La motivazione dell'uso delle cannucce non è compresa, ma è possibile avanzare un'ipo-tesi in base ai numerosi dati aneddotici moderni per i quali l'assunzione di bevande

alcoliche mediante cannucce induce un'ebbrezza più veloce e più potente di quella indottabevendo direttamente dal bicchiere.7E' quindi possibile che nel mondo azteco ai prigio-nieri in procinto di essere sacricati venisse dato da bere con le cannucce per velocizzareil sopraggiungere dell'eetto inebriante, che è come dire il sopraggiungere della possessio-ne divina, e ciò vale anche nel caso degli altri bevitori di pulque appartenenti al prelato oal popolo.Sahagún ha descritto una cerimonia dei cantori dei templi, durante la quale venivanodistribuite 203 cannucce, che erano tutte piene, ad eccezione di una sola che era interna-mente cava, quindi utilizzabile per succhiare un tipo di pulque specico per questa occa-

sione; il ortunato che aveva in mano la cannuccia cava era il solo a godere quel giornodegli eetti della bevanda:

“QuestoOme tochtzinera come maestro di tutti i cantanti che avevano il compitodi cantare nei cu [il tempio del dio]; badava che tutti venissero a are il loro compitoneicu. Facevano una certa cerimonia con il vino che chiamanoteooctli, nel tempoche dovevano are il loro compito; questa cerimonia era guidata dal pachtécatl;questi aceva attenzione ai bicchieri in cui bevevano i cantanti, di portarli, darli eraccoglierli, e di riempirli di quel vino che chiamavanoteooctliomacuiloctli, emetteva duecentotre cannucce delle quali solo una era perorata, e quando lo

bevevano quello che azzeccava la canna perorata solo lui beveva e nessun altro;questo veniva atto dopo aver cantato” (Sahagún, II, Apendice IV, 3).

Esistono alcuni rierimenti alla pratica di introduzione del pulque nel corpo per via

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rettale mediante clistere. Tale pratica, apparentemente insolita, era diusa ra lepopolazioni americane precolombiane ed era impiegata per l'assunzione di diversiinebrianti, non solo le pozioni alcoliche quali il pulque nahua e ilbalchémaya bensì

 vegetali quali il tabacco, il peyote, le dature, l'ayahuasca, ecc. (si veda De Smet, 1985).Díaz del Castillo (1575, Cap. CCVIII), il principale storiograo e testimone dellaConquista, riportò: “Riguardo agli ubriachi, non so che dire, tante sono le immondezzeche ra loro [i nativi] accadevano; ne dico solamente una qui, che incontrammo nellaprovincia di Pánuco, che si riempivano il retto mediante alcune cannucce e si riempivanoi ventri di vino di quello che si aceva presso di loro, nel medesimo modo in cui da noi si

 versa una medicina”.8La cittadina di Pánuco si trova nella regione degli Huastechi(nell'attuale stato messicano di Veracruz), una popolazione che era considerataparticolarmente dedita all'ubriachezza – come scrisse Sahagún (X, XXIX, 125) – e allepratiche di introduzione rettale delle droghe psicoattive (De Smet, 1985: 20). Anche unautore anonimo che scrisse attorno al 1530 (AA.VV., 1963: 326-7) riportò per la regionedi Pánuco che “hanno le loro bevande per ubriacarsi: hanno una grande quantità dipulque ricavato dai maguey … usano il peccato neando gli indios: quando sono nelleloro ubriachezze e este, quello che non possono bere per bocca, se lo anno versare dalbasso con un imbuto”.9In questo passo viene quindi aggiunta l'inormazione chel'assunzione rettale del pulque veniva eseguita quando i nativi non riuscivano più a berneoralmente.10

Aspetti mitologici ed etnostorici

Volgiamo ora lo sguardo sugli aspetti mitologici ed etnostorici inerenti il maguey e ilpulque. Nella maggior parte dei casi gli dei del pulque sono considerati degli esseri umanidivinizzati, degli eroi, sebbene nel mito siano tutti considerati gli di un’unica divinitàemminile, Mayáhuel, la dea della pianta del maguey. Nell'aspetto etimologico questonome sarebbe costituito damee yaualli, “maguey perorato” (Lehman, 1938: 108, cit. inGonçalves da Lima, 1986: 14), indicativo dell'attribuzione della scoperta della perora-zione del maguey per la uoriuscita dell'aguamiela questa gura emminile, anch'essa inseguito divinizzata. La sua storia si intreccia con quella della peregrinazione storica che il

popolo dei Méxica intraprese, guidata da un sacerdote chiamato Mécitli, dalle terresettentrionali verso sud, sino a raggiungere la Valle del Messico. Qui i Méxica si stanziaro-no ondando Tenochtitlan, sulle cui rovine è sorta la moderna Città del Messico.

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Nel racconto della peregrinazione (ad es. Sahagún,X, XXIX, 12, 106) è riportato che, quando nacquecolui che sarebbe divenuto il sacerdote-guida delpopolo Méxica, u chiamatocitli(“coniglio”) e lo sidepose sopra una oglia di maguey. In tal modo eglisi irrobustì e gli u attribuito il nome di Mécitli(dame, orma abbreviativa dimetl, “maguey” ecitli,“coniglio”). Quando divenne il condottiero del suopopolo, i suoi vassalli lo chiamarono Méxica (consostituzione dellaccon lax), cioè “Maguey-Lepre”.La complessa relazione simbolico-mitologica che iMéxica intrecciarono ra maguey, pulque e coniglio èdunque presente già agli albori dell’etnostoria dellaciviltà azteca.Seguendo il racconto, ad un certo punto dellaperegrinazione, quando i Méxica raggiunsero il ter-ritorio dei Mixtechi, la donna di nome Mayáhuel

scoprì il procedimento della perorazione del maguey con lo scopo di arne uoriuscire lalina; successivamente, un uomo di nome Patécatl scoprì i germogli e le radici delle pianteche raorzano gli eetti del pulque, mentre l’elaborazione e il perezionamento della

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Codice Borbonico, 8, Mayáhuel, in

Gonçalves 1986: 220

Sinistra:Codice Frjévári-Mayer, 28 – Mayáhuel, in Gonçalves 1986: 133.Destra:Codice Laud,

9 – Mayáhuel, in Gonçalves 1986: 149

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bevanda urono attribuiti ad altri quattro uomini: Teputzécatl, Quatlapanqui, Tliloa ePapaztactzocaca (Quatlapanqui è anche il nome di uno dei quattrocento dei del pulque).Questi elaborarono il primo pulque sul monte chiamato Chichinauhia, che da quelmomento u ridenominato Popozonaltépetl, che signica “monte spumoso”, in rieri-mento all'abbondante spuma prodotta dal pulque (Sahagún, X, XXIX, 12, 120-1). Tuttiquesti personaggi urono in seguito divinizzati e Patécatl u identicato con lo sposodivino di Mayáhuel.Austin (1973: 73) ha evidenziato la contrapposizione simbolico-religiosa ra Mayáhuel,dea del pulque giovane pre-ermentato, in pratica dea dell'aguamiel,e Pathécatl, divinitàdel pantheon azteca responsabile del processo di ermentazione: sarebbe quindi quest'ul-timo il vero dio dell'ebbrezza associata alla bevanda.Tornando al racconto nahua della peregrinazione del popolo Mexica, la scoperta delpulque sarebbe stata invenzione alquanto recente. Ma la leggenda di Xóchitl (cr. Appen-dice II), d'origini tolteche, arebbe retrocedere questa scoperta ai tempi del regno diTecpancaltzin, cioè ra il 990 e il 1042 d.C. In realtà il pulque sembra essere statoconosciuto dagli Otomi sin dalla più remota antichità e v'è da sospettare che siano statiquesti i veri scopritori della bevanda. Fra gli Otomi della Valle del Mezquital la divinitàdel pulque era chiamata Yudó (Guerrero, 1985: 25). Presso gli attuali discendenti diquesta antica popolazione dell'altopiano centrale del Messico si tramanda un raccontosulle origini del pulque in cui è descritto come u un piccolo roditore, una tuza, a raspareil tronco di un maguey mediante la sua “proboscide” ungente da cucchiaio e a arne diconseguenza uoriuscire l'aguamiel. La tuza tornava periodicamente alla pianta per bernela lina così raccoltasi nella cavità raspata. Osservando il comportamento di questo

animale gli Otomi scoprirono come produrre il pulque (Martín del Campo, 1938: 13). Unsiatto mito d'origine di un inebriante, in cui nella sua scoperta umana è coinvolto unanimale, è credibilmente più antico dei racconti etnostorici nahua e toltechi, in cui nellascoperta sono coinvolti dei personaggi umani (c. Samorini, 1995). Del resto, i ritrova-menti archeologici arebbero retrodatare la scoperta del pulque ad almeno il I secolo a.C.In diversi giacimenti nella valle di Tulancingo sono stati ritrovati pezzi di ossidiana e dialtri minerali che gli archeologi hanno riconosciuto come raschiatori utilizzati per scavarele piante di agave, insieme a cenere bianca di queste specie vegetali, rammiste a spine diqueste medesime piante (Guerrero, 1985: 24-5). Ancora, in giacimenti antropici delle

grotte di Tehuacán, nello stato messicano di Puebla, sono stati rinvenuti rammenti dioglie di agave arrostite datate al 6000 a.C. (Wolters, 1996:28), che dimostrano, se non unasiatta antichità per la bevanda del pulque, un rapporto molto antico con la pianta“pulquera”. Nei territori più settentrionali gli Indiani Apache sapevano ricavare una

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bevanda ermentata da piante di agave, chiamatatizwin(Barrows, 1967: 75); questa sco-perta poteva essere originata da interscambi culturali con popolazioni meridionalioppure essere rutto di inventiva autonoma.Il pulque non u quindi prerogativa degli Aztechi e nemmeno u scoperto da questapopolazione del Messico centrale. Era noto ad esempio anche ai Taraschi (Purepechi),come riportato nellaRelación de Michoacán, opera anonima del XVI11secolo che trattadella storia di questo popolo e del loro regno coevo a quello azteco. Una delle divinità delpanteon purepecha era Taras Upeme (arés Úpeme), dio dell'ebbrezza indotta dalpulque; egli era zoppo, poiché in un tempo mitologico gli altri dei, mentre erano ubriachi,lo gettarono giù sulla terra ed egli cadendo si azzoppò. Guerrero (1985: 53-4) lo relazionacon la divinità azteca Tezcatlipoca, per via del piede sacricato. NellaRelación de

 Michoacán(Anonimo, 1541, Libro II, Cap. XIX) sono rieriti due tipi di “vino” di maguey,uno rosso e l'altro bianco, evidenziando in tal modo una dierenziazione nella prepara-zione della bevanda anche presso i Purepechi.Sempre per quanto riguarda gli aspetti mitologici, ci è pervenuto un mito d'origine delmaguey, di stampo tezcocoano, dove la pianta viene atta originare dalle ossa interratedella dea vergine Mayáhuel, che era stata divorata dalletzitzimine, spiriti tenebrosidell'aria che scendevano sulla terra per terrorizzare gli uomini e per mangiarli. Letzitziminela divorarono poiché la vergine si era accoppiata con il dio dell'aria Ehécatl,dopo che entrambi si erano trasormati in due rami di un medesimo albero. Tutto ciòaccadde ai tempi cosmogonici subito dopo la creazione dell'uomo da parte degli dei, edEhécatl programmò tutto ciò con lo specico scopo di rallegrare l'uomo donandogli unabevanda inebriante, il pulque (si veda Appendice I).

Usi rituali

Il pulque non poteva essere bevuto all'inuori del ristretto ambito rituale o cerimoniale incui era concesso, pena il castigo severo, che di requente risultava nell'uccisione istantaneae pubblica di chi si era permesso di inrangere la regola. Sahagún (II, XXVII, 56) riportòche a coloro che venivano colti in ragrante nel bere pulque quando non era loroconcesso, i giudici ( petlacalco) sentenziavano la pena di morte, procedevano alla loro

uccisione pubblica e ne tagliavano le mani, che portavano poi al mercato per esibirle insegno di monito. In un altro passo (III, VI, 1) viene specicato che, nel corso dell'edu-cazione dei giovani che avveniva neltelpochcalli(casa degli dei), questi:

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“avevano il compito di spazzare e pulire la casa; e nessuno beveva vino [pulque], aparte solamente coloro che erano già vecchi bevevano il vino molto segretamente ebevevano poco, non si ubriacavano; e se appariva un ragazzo ubriaco pubblicamenteo se lo incontravano con il vino, o lo vedevano caduto nella strada o che andavacantando, o era accompagnato con altri ubriachi, questo, se eramacegual[di origine

povera] lo castigavano bastonandolo no ad ucciderlo, o gli davano di garrottadavanti a tutti i ragazzi riuniti, perché prendessero esempio e paura di ubriacarsi; ese era nobile colui che si ubriacava gli davano di garrotta segretamente.”

Il pulque poteva essere liberamente bevuto in ogni momento solo dalle persone anzianee nei contesti rituali dai sacerdoti e dai guerrieri. IlCodice Mendozariporta l'età di 70anni per iniziare a bere senza restrizioni, mentre il rancescano Juan de Torquemadariportava l'età di 50 anni (Corcuera de Mancera, 1991: 30). In alcune cerimonie il pulquepoteva essere bevuto anche da adulti già sposati e in alcune altre da tutta la comunità,

compreso il caso dove veniva atto assumere ai bambini. Nei contesti rituali l'ebbrezzaindotta dal dosaggio socialmente accettabile di pulque (non più di quattro tazze; cr. ilparagrao “Il quinto pulque”) era nota col termine specico ditlauana(ibid.: 17). Oltrealle cerimonie pubbliche che si svolgevano nei templi, alcune cerimonie erano private e dinatura più proana, dove una amiglia invitava nella sua casa un gruppo di amici percelebrare determinati eventi quali ad esempio un matrimonio. Durán (Libro II, Cap.XXII), che scriveva tuttavia circa 80 anni dopo la Conquista, riportò che durante i tempiprecolombiani il pulque poteva essere bevuto dagli individui sposati e con gli già grandicon lo scopo che i gli, che non potevano assolutamente bere, avrebbero così potuto

accompagnare a casa i genitori ubriachi. Il medesimo autore aggiunse un'ulterioreconsiderazione, di dubbio valore - come del resto la precedente - anche perché non sitrova menzione di ciò in Sahagún e in altri attenti cronisti:

“V'era anche un'altra legge, non di gente barbara bensì di gente politica,lungimirante e consapevole, che colui che non avesse avuto vino [pulque] delproprio raccolto non poteva ubriacarsi sino a cadere a terra, e a ciò davano duemotivazioni: una era afnché tutti si dessero a coltivare e seminare maguey e l'altraera perché in caso non avessero avuto gli che li potevano accudire quandobevevano in casa altrui, lo avrebbero dovuto berlo nella loro casa e questo avrebbe

evitato gli inconvenienti del non trovare la via di ritorno a casa o di cadere nelcammino o di uccidersi o di litigare con qualcuno o di commettere un qualchedelitto che bevendo nella propria casa non avrebbero commesso” (Durán, Libro II,Cap. XXII, p. 209).

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Sebbene l'ubriachezza da pulque osse deplorata e il suo utilizzo all'inuori dei contestiistituzionalmente stabiliti venisse duramente perseguito, la gura dell'ubriaco doveva inun qualche modo essere rispettata dagli altri, poiché considerata impossessata dalladivinità: “inoltre ritenevano che colui che parlava male di questo vino o mormoravacontro di questo, gli sarebbe capitato qualche disgrazia; lo stesso di qualunque ubriaco,che se qualcuno mormorava contro di lui o gli aceva degli aronti, qualunque cosa ollequesto dicesse o acesse, dicevano che doveva per questo essere castigato, poiché dicevanoche quello non lo aceva lui, bensì il dio, o meglio il diavolo che era in lui, che era questoTezcatzóncatl, o qualcuno degli altri (dei del vino)” (Sahagún, I, XXII, 2); e in un passosuccessivo (4): “Si deduce chiaramente che non avevano peccato coloro che erano ubria-chi, quantunque ossero gravissimi peccati; e si congettura ancora con pieno ondamentoche si ubriacavano per are ciò che avevano nella loro volontà e che non gli venisse impu-tato a colpa e che ne venissero uori senza castigo.”La società azteca non poteva del resto essere totalmente priva di ubriaconi, poiché siriteneva che le persone nate in determinati giorni considerati unesti, della casaometochtlidel segnoce mazatl, ossero inevitabilmente dediti nella loro vita al bere; Sahagún(IV, IV, 1-8) ore una particolareggiata descrizione della gura dell'ubriacone “pernatura”, condannata dalla sorte astrologica a ungere da mentore di quanto sia insana una

 vita dedita all'alcol. Si diceva che gli ubriaconi nascevano in questi giorni del 2-Coniglioed è probabile che il condizionamento culturale di questa credenza guidasse il destinodegli individui nati in queste date.Un'altra categoria che poteva, anzi era obbligata a bere il pulque, era rappresentata dalle

 vittime destinate ad essere immolate durante i riti religiosi. Il motivo di questo apparente

“riguardo” nei conronti delle persone sacricate – spesso in maniera terribilmentedolorosa, con lo squarciamento del petto per estrarne il cuore ancora palpitante, o cottisulle braci, o scorticati vivi, ecc. – era associato direttamente al concetto che l'ebbrezzaindotta dal pulque, così come da qualsiasi altro inebriante, era interpretata come unapossessione divina, cioè la divinità scendeva e si stabiliva nel corpo della persona ebbra.Vericato che i sacrici umani erano intesi come oerte alle divinità, era ritenutoopportuno che l'immolato osse già posseduto dalla divinità nel momento della suamorte.E' stato evidenziato che uno dei motivi per cui si drogava la vittima umanadestinata al sacricio era perché in tal modo avrebbe evitato di proerire lamenti nel

momento del sacricio (Heyder, 1995), ma tale motivazione appare superciale. Delresto, la relazione ra sacricio umano ed ebbrezza del sacricato, presente non solo ragli Aztechi bensì diusa presso numerose culture di tutti i continenti, non sembra siastata sinora oggetto di studi specici.

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Nei riti che prevedevano il sacricio dei guerrieri catturati in battaglia, poco prima diessere immolati veniva loro dato da bere uno speciale tipo di pulque, ilteoctli(“pulquedegli dei”, come riportato da Sahagún, IX, XIV, 1). Nelle este in onore di Xipe Totec e diUitzilopochtli celebrate nel secondo mese del calendario azteca:

“arrivava uno di quelli che aveva prigionieri da uccidere e trascinava il suoprigioniero per i capelli sino alla pietra dove lo dovevano accoltellare; lì gli davanoda bere il vino della terra o pulcre, e quando il prigioniero riceveva la chicchera di

 pulcre, la alzava in direzione dell'oriente e in direzione del settentrione, e indirezione dell'occidente e in direzione del mezzogiorno, come per orirla verso lequattro parti del mondo; dopodiché beveva, non con la chicchera, bensì con unacanna cava, succhiando” (Sahagún, II, XXI, 20-21).

In diverse occasioni i prigionieri, prima di essere sacricati, dovevano cimentarsi in

una lotta con i guerrieri aztechi, sebbene si trattasse di lotte impari, più cerimoniali chereali, poiché i prigionieri venivano armati di scudo e di una mazza ornata di piume inluogo delle punte di ossidiana come nelle reali armi da guerra. Anche in queste occasioniai prigionieri, prima della “lotta”, veniva dato da bere ilteoctli. Nel caso in cui venivanosacricati gli schiavi, poco prima che il sole tramontasse questi venivano portati al tempiodi Huitzilopochtli, dove era dato loro da bere ilteoctlie “dopo averlo bevuto tornavanoindietro: erano già molto ubriachi, come se avessero bevuto molto pulcre, e non liriportavano a casa bensì li portavano in una delle parrocchie che si chiamavano Pochtlano Acxotlan; lì li acevano vegliare per tutta la notte cantando e ballando” prima di essere

sacricati (Sahagún, IX, XIV, 1-2).Anche presso i Taraschi (Purepechi), che similmente praticavano il sacricio umano,parrebbe essere stato presente il costume di inebriare con il pulque le persone destinate alsacrico. Lo si può dedurre da un passo dellaRelación de Michoacán(Anonimo, 1541).Nel capitolo XXXIII, Parte II, viene riportata la cattura di uno dei gli del re (cazonci) daparte dei suoi nemici. Quando i nemici si rendono conto di aver catturato il glio del re,di nome Tamapu-checa, si impauriscono e decidono di liberarlo. Ma questi si oppone,preerendo il destino di tutti i prigionieri, cioè quello di essere sacricato, poiché eracredenza presso i Purepechi che una persona veniva atta prigioniera perché era stata

scelta dagli dei per il sacricio ed era quindi cosa inutile cercare di suggire al propriodestino. Nel cercare di convincere coloro che lo avevano catturato di non liberarlo,Tamapu-checa disse: “Gli dei del cielo sanno già come sono catturato e mi hanno giàmangiato. Datemi del vino [pulque], che voglio ubriacarmi”; tale intenzione di “bere

 vino”, rientrando nell'esortazione a non liberarlo e a sacricarlo, troverebbe spiegazione

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nel costume di ubriacare col pulque i destinati al sacricio.Ogni quattro anni si svolgeva una esta particolare in onore del dio del uoco, Xiuhte-cutli o Ixcozauhqui; la esta era chiamata pillaoanoo pillauano, che signica “ubriachezzadei bambini”, dove veniva dato da bere pulque ai giovani ragazzi e anche ai puerperi; inquesta occasione veniva praticato il rito della perorazione delle orecchie dei bambini edelle bambine:

“In questo atto di ubriachezza tutti bevevano il pulcre, uomini e donne, bimbi ebimbe, vecchi e ragazzi, tutti si ubriacavano pubblicamente e tutti portavano pulcrecon sé e gli uni davano da bere agli altri, e gli altri agli altri; scorreva il pulcrecomeacqua in abbondanza, e tutti portavano alcuni bicchieri che avevano tre piedi equattro angoli, che chiamavanotzicuiltecómatl, con questi bevevano e davano dabere; tutti andavano molto con gli altri, e si prendevano a pugni e cadevano a terraubriachi uno sull'altro e altri andavano abbracciati gli uni con gli altri verso casa; e

questo lo consideravano buono perché la esta richiedeva ciò.” (Sahagún, II,XXXVIII, 8; rierimenti anche in I, XIII, 11).

In un altro passo (II, XXXVII, 33-36) Sahagún ore maggiori dettagli di questa esta: labevuta del pulque avveniva dopo la perorazione delle orecchie, che veniva praticata aibambini che erano nati durante gli anni precedente la esta che, come detto, si svolgevaogni quattro anni. In occasione della perorazione delle orecchie i genitori sceglievano ipadrini dei loro bambini (detti “zii”,tetla). Terminata l'operazione:

“tornavano a casa e là i padrini e le madrine mangiavano, tutti insieme, ecantavano e ballavano, e a mezzogiorno i padrini e le madrine tornavano nuova-mente alcu[il tempio del dio] e si portavano i loro gliocci e gliocce e portavanoanche il pulcrenelle loro brocche. Poi cominciavano unareito[canto con danza] eballando si portavano sulle spalle i loro gliocci e gliocce e davano loro da bere del

 pulcreche portavano con alcune piccole tazze e per questo chiamavano questa estal'ubriachezza dei bimbi e delle bimbe; questo ballo durava sino alla sera. (37) Quinditornavano alle loro case e nel patio delle loro case acevano nuovamente il medesi-moareitoe tutti quelli della casa e i vicini bevevano pulcre”.

E' probabile che il pulque dato da bere ai bambini avesse qualità inebrianti blande; restail atto che presso le popolazioni tradizionali è un luogo comune di una certa requenzaare assumere gli inebrianti ai bambini in certe occasioni ben controllate. Per quantoriguarda il pulque, Guerrero (1985: 71) ha osservato ancora oggigiorno il costume di dareda bere questa bevanda ai neonati per motivi di carenza di risorse idriche: “in alcuni

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 villaggi della Valle del Mezquital, dove le piogge sono scarse, l’unica bevanda è il pulque.Così, molte donne dissetano i loro bambini con il pulque, mettendo in ammollo il ditomignolo nel pulque e dandolo poi da succhiare al bimbo”.

In diverse occasioni, prima della bevuta delpulque da parte di chi in quelle occasioni eraautorizzato a bere, veniva sparso un poco dellabevanda come oerta alle divinità. Era il caso, adesempio, della esta che si svolgeva ogni anno allane del mese diciottesimo, chiamato izcalli,dedicata al dio del uoco Xiuhtecutli: gli anziani,prima di bere, versavano un poco di pulque neiquattro angoli della casa dove si svolgeva la esta,afnché il dio lo potesse bere e gustare (Sahagún, I,XIII, 10). Era rigore che nessuno bevesse pulqueprima di are l'oerta alla divinità. Questa oertaera chiamatatlatoyaualiztli,che signicalibatioo

 gustamientoe consisteva, sia nelle case private chenei templi, nel versare nei quattro angoli del oco-lare un bicchiere di pulque. Anche Durán (Libro II,Cap. XXII) riporta il costume di orire il pulqueagli dei, in particolare al dio del uoco: “a volte loorivano in vasi posti davanti [al uoco], altre volte

spruzzandolo sul uoco con una specie di isopo[utensile liturgico usato nelle chiese per spargerel'acqua benedetta] e altre volte spargendolo attornoal uoco”.

Una esta importante era quella che cadeva il giorno 2 tochtli (2-Coniglio), dedicata aldio Itzquitécatl ma in realtà a tutti gli dei del pulque. Seguiamo la traduzione letteraria,seppur conusa, di Zeler del testo di Sahagún (VII, Libro V, cap. 5 dell'edizione acsimiledi Paso y Troncoso, rip. in Gonçalves da Lima, 1986: 199-200):

“Ed essi dicono che quando giungeva nella serie il segno giornaliero di2 tochtli,iniziava una esta al signore dei conigli, che si chiama Itzquitécatl. E sebbene sinomini solo questo, sono tuttavia inclusi tutti gli dei conigli del vino.Itzquitécatl era così molto venerato. Essi collocavano la sua immagine nel suo

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Anche al bambino la madre a assag-giare un poco di pulque bagnando ilmignolo e mettendolo ra le sue labbra

(da Guerrero, 1985, p. 117)

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tempio, gli portavano le oerte, cantavano in suo onore e suonavano musica diauto, così iniziavano. E di ronte alla sua immagine gli ponevano una olla di pietrachiamataometochtecómatl[la-Olla-due-Coniglio]; è piena sino a che non si sparge, erisplende il pulque. In questa c’è un piaztli[canna per succhiare], una zuccaperorata, unmamazço[canna di piuma vuota] con il quale bevono sempre coloro

che entrano lì, per are requentemente una visita. Ma, i veri bevitori erano glianziani, le anziane, gli avventurieri, gli audaci, quelli che mai cedono per timore,quelli che mettono in gioco le loro teste e i loro petti, cioè, che loro, arrivando allaguerra, potessero qualche volta essere condotti come prigionieri; o allora che, seossero tornati in patria, potessero portare con loro prigionieri, che comprendesseroche erano in errore, che dovevano morire. E il pulque ch’essi bevevano non nivamai, non spariva mai: sempre lo versavano i sacerdoti del pulque, i Signori delPulque, tutti i preparatori del pulque di tutte le parti apparivano lì dove si preparavail pulque, nel suo tempio. Dove allora si ormava il pulque nuovo,uitztli, quandoqualcuno aveva aperto nuovo [maguey], poi riempiva quello in primo luogo con il

tlachique. “Spargere liquido” (tlatoyaua) si chiamava questo, si oriva iltlatoyahuaaItzquitécatl, gli si spargeva iltlachiquein suo onore. Ma non solo nel tempo di questaesta si sparpagliava il pulque, bensì continuamente, come un’oerta per lui neltempio.”

Tornando alle este dedicate al dio del uoco Xiuhtecutli nel mese diizcalli, al decimogiorno di questo mese si svolgeva una prima esta, dove veniva costruita una statua deldio alla quale venivano presentate diverse oerte, ra cui la cacciagione che i giovaniavevano appena catturato, che veniva gettata nel uoco presente davanti alla statua. In

questa occasione gli anziani bevevano un tipo di pulque chiamatotexcalceuia(Sahagún,II, XXXVII, 10). Al ventesimo giorno del medesimo mese si svolgeva una seconda estadedicata al medesimo dio, dove veniva costruita un'altra statua, chiamata Milíntoc. Anchein questa occasione gli anziani bevevano il medesimo tipo di pulque:

“Terminato di mangiare questi piccoli pani e l'altro cibo, i vecchi bevevano poi il pulcre; questa bevanda la chiamavanotexcalceuiloe la bevevano lì, nel medesimooratorio, dov'era la statua del Milíntoc, che chiamanocalpulco[una specie di tempiodi quartiere], e coloro che acevano vino di maguey che chiamavanotlachiqueotecutlachique, avevano il compito di portare il pulcreda bere a loro volontà; lo porta-

 vano nelle giare o chicchere e lo versavano in unlebrillo[un contenitore per liquidi]che era lì, davanti alla statua. Coloro che bevevano questo pulcrenon si ubriacavano”(ibid., II, XXXVII, 18).

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Il pulquetlachiqueera un pulque di bassa qualità ed è orse per ciò che gli anziani inquesta occasione non si ubriacavano. Il nometexcalceuia o texcalceuiloera attribuito alpulquetlachiquebevuto in occasione di queste este del dio del uoco. Da ciò si deduceuna certa complessità non solo nei tipi di pulque bensì anche nella terminologia ad essiassociata, che sembra si dierenziasse pure in base ai diversi momenti rituali in cui

 venivano bevuti. E' orse questo il caso anche della esta che si svolgeva durante le calendedel settimo mese, chiamatotecuilhuitontli, e dedicata alla dea del sale Uixtocíhuatl.Terminati i sacrici umani, alla mattina tutti tornavano a casa, mangiavano e sidivertivano e “la gente che lavorava col sale beveva copiosamente il pulcre, sebbene non siubriacasse” (ibid., II, XXVI, 19). Il atto che non si ubriacassero poteva essere dovuto altipo di pulque bevuto o orse badavano a berne in maniera da non ubriacarsi. Ma nelpasso successivo Sahagún rierisce di alcuni che in realtà in quell'occasione si ubriacavanoe diventavano litigiosi e inne si gettavano a terra a dormire dove capitava. Dopodiché:

“Il giorno dopo bevevano il pulcreche era rimasto; lo chiamavanocochioctli. Ecoloro che la notte precedente, essendo ubriachi, avevano litigato o si erano presi apugni con gli altri, che lo riconoscevano stando già con la mente lucida e dopo averdormito, invitavano a bere coloro che avevano maltrattato coi atti o con le parole,afnché gli perdonassero ciò che avevano atto e detto di male, e agli oesi nel beregli si svaniva la rabbia e perdonavano volentieri le loro oese” (ibid., II, XXVI, 20).

Anche in questo caso ci troviamo di ronte a un dierente termine con cui venivachiamato il pulque, quello non bevuto e rimasto il giorno dopo, ilcochioctli.Altri tipi di

pulque venivano usati in occasione dei riti battesimali, dove potevano bere la bevandasolamente le persone anziane. Sempre Sahagún ci ornisce dati eloquenti:

“E di notte i vecchi e le vecchie si riunivano e bevevano pulcree si ubriacavano.Per realizzare questa ubriacatura mettevano davanti a loro un cantaro di pulcre, ecolui che serviva versava in un orcio e dava a ciascuno da bere, a suo ordine, sino aconclusione. Alle volte davano pulcreche si chiamavaíztac octli, che signica pulquebianco, che è quello che zampilla dai maguey e altre volte davano pulcrestregato conacqua e miele e cucinato con la radice che chiamanoayoctli, che signica pulcrediacqua, che era custodito e preparato dal signore del convitto già da alcuni giorni.

(13) E il servitore, quando vedeva che non si ubriacavano, tornava a dare da bere insenso contrario alla mano sinistra, iniziando dagli ultimi.” (ibid., IV, XXXVI, 11-13).

Ancora, nel corso delle este e dei sacrici che si svolgevano durante le calende del mese

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quindicesimo, che si chiamava panquetzaliztli, dopo il sacricio dei prigionieri e deglischiavi, oltre che agli anziani era concesso bere il pulque anche alle persone sposate e aiprincipi; ma in questa occasione si trattava dimatlaloctli, “che signica pulcreazzurro,perché aveva un colore azzurro” (ibid., II, XXXIV, 45).

Il quinto pulque

Nel racconto in parte etnostorico e in parte mitologico della peregrinazione del popolodei Mexica (gli Aztechi), dalle regioni nordiche del Messico al luogo dove ondaronoTenochtitlan, la utura capitale del loro impero sulle cui rovine si estende ora Città delMessico, è riportata l'invenzione della bevanda inebriante del pulque. Come soprariportato, una donna di nome Mayáhuel scoprì il procedimento della perorazione dellapianta del maguey ( Agavesp.) per arne uoriuscire la lina (chiamataaguamiel), mentreun uomo di nome Patécatl scoprì il metodo di raorzare la bevanda mediante l'aggiuntadi additivi vegetali. Queste gure urono in seguito divinizzate ed entrarono a ar partedel complesso pantheon degli dei aztechi.Bernardino de Sahagún (X, XXIX, 12, 121), uno dei cronisti spagnoli che descrissero lastoria della peregrinazione dei Mexica, prosegue la narrazione riportando che, subitodopo l'elaborazione del primo pulque sul monte Popozonaltépetl, i suoi inventori viorganizzarono un banchetto a cui u invitata tutta la popolazione. Ad ognuno dei convita-ti urono versate quattro tazze di pulque, evitando di mescere la quinta, onde evitarel'ubriachezza generale.In questo passo è presente un importante concetto della cultura nahua sui limitidell'ebbrezza socialmente accettata; il numero quattro è direttamente associato allequattro direzioni spaziali della cosmograa nahua e il superamento delle quattro tazze dipulque, rappresentato dal quinto pulque, ilmacuiloctli, era indice di un'ubriachezzainsana. Più in generale, presso diverse popolazioni autoctone americane il numero cinqueè simbolo dell'esagerazione e dell'eccesso.Sahagún (X, XXIX, 12, 122) riporta che, nel corso del medesimo banchetto, il principedei Cuextechi volle bere il quinto pulque e per questo si ubriacò giungendo a denudarsi dironte a tutti. Appena si rese conto di ciò, il principe u sopraatto dalla vergogna e uggì

con il suo popolo.Il motivo della denudazione a seguito dell'ubriachezza alcolica è diuso presso diverseculture umane; basti qui ricordare il passo biblico in cui Noè, dopo essere sceso dall'arcache lo salvò insieme a tutti gli animali dal diluvio universale, si ubriacò col vino ottenuto

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dalla vigna che aveva piantato; in seguito alla sua ubriachezza si denudò e i suoi gli locoprirono con un mantello (Genesi, 9, 20-23).Tornando almacuiloctli, il quinto pulque, Sahagún (X, XXIX, 12, 125) riporta che lapopolazione dei Cuextechi era nota per essere particolarmente dedita all'ubriachezza, per

 via di quell'atto originale del loro principe che sul monte Popozonaltépetl bevve il quintopulque; ciò diede origine ai modi di dire “quel tale ha bevuto il quinto pulque” o “haibevuto il quinto pulque?”, in rierimento a comportamenti umani bizzarri o deliranti.Il tema del quinto pulque è pure presente in un passo degli Annali di Cuauhtitlan, cheanno parte del cosiddettoCodice Chimalpopoca(Anonimo, 1558-1570), un documentopost-cortesiano datato attorno al 1558-1570, noto anche comeHistoria de los Reynos deColhuacan y de México.Questo documento tratta eventi etnostorici databili ra il 635 e il1519 d.C. Il passo in questione a parte della storia di Quetzalcóatl, qui inteso come unuomo, un principe-sacerdote che governava sui Toltechi. Essendosi riutato di aresacrici umani, come richiestogli da avversari religiosi, questi, rappresentati dalle guredi “stregoni” di Tezcatlipoca (nelle vesti di Huitzilopochtli), Ihuimécatl e Toltécatl(quest’ultimo uno degli dei del pulque), decisero di insidiargli il trono, con lo scopo dipromuovere la caduta di Tula. Si accordarono quindi per ubriacarlo con il pulque. Dopoessere riusciti ad entrare nel palazzo ove risiedeva Quetzalcóatl, lo convinsero a bere laspumosa bevanda in quantità sufciente per ubriacarsi, cioè raggiungendo la quantità dicinque tazze. I tre “stregoni” ecero quindi ubriacare anche tutti i cortigiani, compresaQuetzalpétatl, la sorella di Quetzalcóatl. In seguito a ciò, Quetzalcóatl u preso dallosgomento e dalla vergogna per ciò che aveva atto e uggì via, intraprendendo un viaggioche terminò raggiungendo il mare e bruciandosi in un rogo; dopo la sua morte si

trasormò nella stella del mattino.12Questa storia è raccontata anche da Sahagún (III, IV),dove tuttavia non si precisa la quantità di pulque bevuta da Quetzalcóatl e non viene attorierimento al quinto pulque (si veda l'Appendice III).Come considerazione a latere del tema qui esposto, ritroviamo Tezcatlipoca coinvoltocon il pulque in un altro racconto mitologico riportato nellaRelación de Meztitlándel1579 di Gabriel de Chávez: il dio del pulque Ome Tochtli era preoccupato poiché la suabevanda provocava la morte a coloro che la bevevano. Richiese quindi l'aiuto diTezcatlipoca, il quale sacricò Ome Tochtli. Poco dopo il dio del pulque resuscitò e daallora gli uomini si possono ubriacare senza pericolo. Vediamo quindi Tezcatlipoca

rendere il dio del pulque immortale, allo stesso modo in cui contribuì alla utura rinascitadi Quetzalcóatl come stella del mattino ubriacandolo col medesimo pulque (Graulich &Olivier, 2004: 137-8).Il concetto delle quattro tazze di pulque come limite massimo per una bevuta “sana”

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della bevanda non sembra essere statauna prerogativa della cultura nahua. Visarebbero rierimenti a tal riguardo,sebbene non espliciti, nel testo basilaredella cultura tarasca (purepecha), laRelación de Michoacán. Nel capitoloXVI, Parte II, che tratta della primamoglie di Taríacuri,cazonci(re-sacer-dote) dei Purepechi, due uomini lediedero da bere sino ad ubriacarla, perpoi approttarne sessualmente. Neltesto è letteralmente riportato che “lediedero da bere ogni quattro volte”. Inun altro passo (Capitolo XXVI, ParteII), è descritta la decisione di Taríacuridi ar uccidere suo glio Curátamepoiché era diventato un ubriacone.

Inviati a tale scopo dei sicari, questi avvicinarono Curátame con lo scopo di ubriacarlo equindi di ucciderlo: “gli diedero da bere quattro tazze, e poi altre quattro, ed egli siubriacò”. Pur non essendo esplicitato in orma aperta, in questi casi di “bere ogni quattro

 volte” o di mescere quattro più quattro tazze di pulque sembra riettere il concetto disuperamento del limite delle quattro tazze come prova dello stato di ubriachezza.Dalla documentazione riportata dagli autori del periodo della Conquista, pur in

maniera conusa, si evincerebbe un secondo signicato da ascrivere almacuiloctli, il“quinto pulque”: non come la quinta tazza della medesima bevanda, bevuta successi-

 vamente alla quarta e alle precedenti, bensì come un particolare tipo di pulque, dallaormula probabilmente mantenuta segreta, utilizzato dalla casta prelatizia in determinaticicli rituali.Il concetto di limite di quattro tazze di pulque oltre il quale v'è il bere smodato esocialmente inaccettabile ricorda quello simile presente presso la cultura greca del limitedi tre crateri di vino miscelato. Il cratere era il recipiente dove il vino puro veniva misce-lato con acqua secondo determinate proporzioni, 2:3, 3:2, 2:1 ra acqua e vino (Catoni,

2010: 28). Nella catalogazione proposta da Eubulo e riportata da Ateneo (Deipnosofsti, II,36b, rip. in Lissargue, 1989: 56) si evince la proonda conoscenza che i Greci avevano neiconronti dei diversi gradi dell'ebbrezza alcolica:

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Texcatlipoca ore pulque a QuetzcalcoátlCodice Fiorentino, lib. 3, . 12r

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“Per gli uomini assennati io mescolo tre crateri:il primo che essi bevono è per la salute,il secondo per il piacere e il desiderio,il terzo per il sonno.Bevuto questo, i saggi convitati si accingono a tornare a casa.

Il quarto cratere non appartiene più alla nostra inuenza, ma alla violenza,il quinto al rastuono,il sesto alla processione bacchica,il settimo agli occhi pesti,l'ottavo è per il testimone d'accusa,il nono per la collera,il decimo a uscire di senno.”

Presso i Greci il luogo del bere collettivo per eccellenza era il simposio, dove partecipa- vano solo uomini ed eventuali eebi o prostitute e suonatrici, ma non le altre donne dellasocietà. Bere vino puro, “bere come uno Scita”, era considerato immorale e in un qualchemodo “selvaggio” (Lissargue, 1989).

Il problema degli additivi del pulque

Durante la preparazione del pulque venivano aggiunti degli additivi, di natura per lo più vegetale, che avevano dierenti scopi e che possono essere ricondotti alle seguenti quattrocategorie:

1) additivi per prolungare i tempi di conservazione della bevanda;2) additivi per raorzare l'eetto inebriante della bevanda mediante incremento della suaconcentrazione alcolica;3) additivi per modicare l'eetto inebriante della bevanda mediante aggiunta di principiattivi dierenti dall'alcol;4) additivi aromatizzanti.

Oggigiorno persiste una notevole conusione ed enigmaticità nei conronti di questiadditivi, per ragioni ravvisabili principalmente, nella opinione di chi scrive, nei seguenti

attori: a) durante i tempi precolombiani alcuni di questi additivi, in particolare quelliappartenenti alla terza classe sopra denita, erano mantenuti rigorosamente segreti dallaclasse prelatizia ed erano utilizzati solamente dal prelato e/o dalla classe dominante dellasocietà azteca; b) i cronisti successivi alla Conquista conusero requentemente gli scopi

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per i quali venivano aggiunti gli additivi, in particolare senza distinguere lo scopo diprolungare il periodo di conservazione della bevanda da quello di potenziarne gli eettipsicoattivi. Si deve tener conto che la maggior parte di questi primi cronisti appartenevaal prelato cattolico, già predisposto preconcettualmente e acculturato sull'esistenza dipiante che procurano visioni “diaboliche” associate al enomeno della “stregoneria”dell'Europa medievale, accanitamente perseguito dalle istituzioni inquisitoriali (si veda ades. Warren, 1979).Questa conusione dei primi cronisti u tramandata e reiterata nei secoli successivi e isaggi pur seri e approonditi degli studiosi moderni della cultura nahua non anno altroche riproporre lo stato conusionale precedente. Da notare che gli additivi di questabevanda urono oggetto di ampie discussioni negli ambiti politici e amministrativicoloniali e inuenzarono signicativamente la storia del proibizionismo e la produzionedel pulque, in particolare durante il XVIII secolo (si veda oltre, “Il pulque nei periodicoloniali”). Nel presente studio chi scrive non aspira a una soluzione di tale problematica,mediante identicazione di questi additivi, bensì si limita a ocalizzare le cause e ipercorsi di quel problema di carattere etnobotanico a tutt'oggi insoluto qui denito comeil “problema degli additivi del pulque”.Dalle onti antiche è ricavabile una complessa terminologia associata alla bevanda delpulque, che viene elencata di seguito; v'è da tener conto che esiste una notevole conusio-ne e contraddizione dell'interpretazione da dare a questi termini presso gli studiosimoderni, oltre che ra gli autori antichi. La principale onte di inormazione è l'opera diSahagún:

uitztli, indicava la lina oaguamielappena uoriuscita dalla pianta;octli, il nome generico del pulque;iztacoctli, “pulque bianco”, privo di qualunque additivo;tiçaoctli, apparentemente una specie di pulque bianco o un suo sinonimo;tlachique, il pulque di bassa qualità, ma sempre privo di additivi, ricavato da piante dimaguey che producevano una lina scadente, o perché prodotta da specie botaniche di

 Agavedierenti dalle buone specie pulqueras, oppure perché prodotta da piante dimaguey da pulque coltivate in terreni e ambienti savorevoli;tecutlachique, probabile sinonimo ditlachique, riportato in Sahagún (II, XXXVII, 18);

 poliuhqui, indica la bevanda nel suo stato avariato e da cui probabilmente i primiSpagnoli ricavarono per raintendimento la parola pulque;teoctli, “pulque divino” o “pulque degli dei”, riservato, orse non unicamente, alle vittimeumane destinate ai sacrici;

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texcalceuiaotexcalceuilo, citato in Sahagún, II, XXXVII, 10, usato nel corso delle estededicate al dio del uoco Xiuhtecutli nel mese diizcalli; orse questi vocaboli eranoattribuiti al pulquetlachiquebevuto in occasione di queste este del dio del uoco;cochioctli, citato da Sahagún (II, XXVI, 20), probabilmente era l'octlinon bevuto erimasto il giorno dopo la esta che si svolgeva durante le calende del settimo mese,chiamatatecuilhuitontli, e dedicata alla dea del sale Uixtocíhuatl;ayoctli, “pulque di acqua”, riportato sempre da Sahagún (IV, XXXVI, 11-13), sarebbe un“ pulcrestregato con acqua e miele e cucinato con la radice”;matlaloctli, “ pulcreazzurro” per via del suo colore (Sahagún, II, XXXIV, 45);macuilloctli, “quinto pulque”, la quinta tazza di pulque intesa come superamento dellequattro tazze socialmente accettate; ma può indicare anche un tipo specico di pulque,dalla ormula mantenuta segreta e riservata al prelato;tlachiualoctli, “pulque articiale”.

La dierenziazione dei tipi di pulque si evidenzia in numerosi passi degli autori antichi; valga come esempio un passo, già riportato, della descrizione di Sahagún (IV, XXXVI, 11-13) dei riti battesimali nahua:

“Alle volte davano pulcreche si chiamavaíztac octli, che signica pulque bianco,che è quello che zampilla dai maguey e altre volte davano pulcrestregato con acqua emiele e cucinato con la radice che chiamanoayoctli, che signica pulcredi acqua,che era custodito e preparato dal signore del convitto già da alcuni giorni. (13) E ilservitore, quando vedeva che non si ubriacavano, tornava a dare da bere in senso

contrario alla mano sinistra, iniziando dagli ultimi”.

Un semplice metodo per rinorzare l'eetto inebriante della bevanda era quello digettare nel pulque bianco puro una pietra ardente che era chiamatatezontle; tale metodo,che aveva la chiara unzione di attivare la ermentazione, veniva usato nei pulque diqualità ineriori – ad esempio quello ricavato da piante di maguey cresciute in luoghiumidi, caratterizzati da una povertà di zuccheri – e che erano chiamati pulquetlachique.Il pulque si mantiene per un periodo che non supera le 24-36 ore, dopodiché sidecompone e non è più bevibile. Il problema della conservazione della bevanda u quindi

molto sentito sia nei tempi arcaici che in quelli coloniali. Per ritardare la sua cagliatura edecomposizione vi si gettavano delle erbe speciche, di cui una era il popotle, rimastabotanicamente indeterminata. In base a rapporti scritti di rati e medici della ne del1600 quest'erba era considerata “la peggiore e la più velenosa” di tutte quelle che simettono nel pulque. Si teneva nei tini per 10 o 12 ore ed era usata esclusivamente in

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inverno “con lo scopo di non viziare e di non ar prendere corpo al pulque”. La suaunzione era molto pratica per il trasporto in quanto bloccava la decomposizione. Aquesto scopo si usava anche la calce (Hernández Palomo, 1979: 27-8).Francisco Hernández (1571-6), nella sua monumentale opera sulle piante e animalidella “Nueva España”, cita alcune altre piante che venivano mescolate nel pulque. Una diqueste era l'itlanexillo(“piede di lepre”), una pianticella simile al capelvenere, le cui oglieerano impiegate per trattare la dissenteria e di cui si mescolavano col pulque le radici colpreciso scopo di “dargli orza e maggiore efcacia per stravolgere la mente” (Libro III,Cap. XL); ci troveremmo quindi nel caso 3 della nostra classicazione iniziale.13Un'altrapianta era l'arbusto delquauhchílzotl(“legno di peperone vecchio”), “la cui radice“mescolata conmetlproduce vino” (Libro III, Cap. CL).14In questo caso è probabile chel'aggiunta nella lina della pianta del maguey (metl) avesse lo scopo di acilitare la suaermentazione (caso 2).Sahagún è stranamente parco di dati circa gli additivi del pulque e sembra rierire dinon meglio precisate radici aggiunte nella bevanda in un solo passo ra i numerosissimiche dedica al pulque, e precisamente dove descrive il lavoro di colui che prepara e vende ilpulque: “il miele [aguamiel] cuocendolo o bollendolo prima di tutto, e riempe cantari ocuoi per custodirlo, e questo dopo che ha radici” (X, XX, 4).Ma la pianta maggiormente citata dagli autori antichi e la più enigmatica dal punto di

 vista della sua determinazione botanica e delle sue unzioni in relazione alla preparazionedel pulque è l'ocpatlioquapatli. Motolinía (I, II, 55) riportava che “prima che il loro vinolo cuociano con alcune radici che vi gettano, è chiaro e dolce come idromele. Dopo cottosi a spesso ed ha un cattivo odore, e coloro che con quello si ubriacano, molto peggio.” In

un altro passo (III, XIX, 440) aggiunge che dall'aguamiel“cotto e bollito al uoco, si ricavaun vino dolciastro limpido, che bevono gli spagnoli e dicono che è molto buono,sostanzioso e salubre. Cotto questo liquore in orci come si cuoce il vino e gettandovi delleradici che gli indios chiamanoocpatl, che signica medicina o condimento del vino, siricava un vino così orte che a coloro che ne bevono in quantità ubriaca ortemente”. Sene dedurrebbe quindi che la unzione dell'ocaptlera di rinorzante gli eetti inebrianti delpulque.NelCodice Telleriano Remense(ol. 15) viene riportato che “questo Patécatl è signore diquesti tre giorni e di alcune radici ch’essi gettavano nel vino, poiché senza queste radici

non si potevano ubriacare pur quanto ne bevessero”. Va ricordato che il nome Patécatlderiva dalla radice nahuatl pátli, che signica “medicina”. Secondo Gonçalves da Lima(1986: 136) il signicato etimologico dioc.patliè “medicina del pulque” e sarebbe questala ragione per cui al nome di Patécatl u attribuito il signicato etimologico di “quello

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della terra della medicina”. Ciò apparirebbe come un'ulteriore conerma del atto chePatécatl u lo scopritore dell'eetto inebriante “completo” del pulque, dove le radici del-l'ocpatlisvolgevano un ruolo signicativo se non addirittura imprenscindibile.Juan Bautista Pomar, nella suaRelación de Tezcocodel 1581 (cap. XXV, si veda Vázquez,1991: 95-6), rierisce sia di una radice chiamatacuauhpatli, sia della radice dell'ocpatli,che vengono messe nel succo di maguey prima di arlo bollire e ricavarne il “vino”.Pedro Sanchez de Aguilar (1639), in unaCedula contra el Pulque, rieriva: “Io sonoinormato che gli Indios nativi di questa Nueva España anno un certo vino che si chiamaPulque, nel quale dicono che nei periodi che anno le loro este e per tutto il restodell'anno vi gettano una radice, ch'essi seminano con lo scopo di gettarla nel suddetto

 vino, per orticarlo e argli prendere maggior sapore, con il quale si ubriacano” (Váz-quez, 1991: 37). In un'altraCedula dell'anno 1545 in cui si vieta il vino agli Indios, ilmedesimo autore rieriva del “vino della terra con radici” (ibid., p. 38). Da notare chequesto autore rieriva che la pianta che dava queste radici veniva coltivata dai nativi.Durán (Libro II, Cap. XXII) ore ulteriori dati interessanti: in un primo passo rieriscedei tavernieri che nel momento in cui:

“gettavano la radice” nel pulque e questo iniziava a bollire mettevano incenso neibracieri e orivano cibo alla divinità. In un passo successivo a notare come “quelloche chiamano pulque che anno gli Spagnoli di miele nero e acqua con la radice,quelli [gli Aztechi] mai l'ebbero né seppero are sino a che i negri e gli Spagnoli loinventarono e così questo vocabolo pulque non è vocabolo messicano bensì delleisole, come mais e nagua e altri vocaboli che portarono da Española. Il vero vino di

questi [gli Aztechi] era diaguamieldel maguey dove vi gettano dentro la radice eche usavano non solo per le loro este e ubriachezze ma anche per le loro medicine,come usano oggigiorno poiché realmente medicinale”.

Nonostante Durán non sia sempre attendibile, in quanto contamina requentemente idati ricevuti dai suoi inormatori con sue deduzioni personali, la possibilità espressa inquesto suo passo, cioè che si siano presentate variazioni di tecniche di preparazione e dinuovi additivi dopo la Conquista, magari importate dalle Antille, non è da scartare apriori. Durán a notare la dierenza ra “pulque bianco con radice”, di schietta origineazteca o comunque tradizionale, e pulque di “miele nero con radice”, che sarebbe statoinventato altrove e importato in seguito ai ussi migratori inter-mesoamericani conse-guenti all'arrivo degli Europei. Egli prosegue aermando che “Il suo [del pulque azteco]nome eraiztac-octli, che signica vino bianco e comprendo che gli hanno aggiunto ilbianco per dierenziarlo da quello che si a da miele nero perché è indemoniato e puzzo-

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lente e nero orte e aspro, senza gusto né sapore, come essi medesimi conessano, e contutto questo come lo bevono più requentemente e li rende più irragionevoli e uriosi per

 via della orza che ha rispetto al loro proprio essendo il loro più leggero e medicinale”. E'evidente l'apporto dell'interpretatiocattolica nell'associare il colore nero del “miele” nontradizionale (cioè non azteco) al demonio, quel medesimo “demonio” che lo steso Duránnon esita in altri numerosi passi del suo trattato ad associare a divinità e pratiche religioseazteche.Un rierimento a delle radici aggiunte al pulque lo troviamo in un mito d'origine delmaguey, di stampo tezcocoano, che ci è pervenuto attraverso laHistoire du Mechique,opera di un anonimo autore del XVI secolo (si veda l'Appendice I). Nella parte nale delracconto è riportato: “Da questo [il maguey] gli indios anno il vino che bevono e con ilquale si ubriacano, sebbene non è a causa del vino, bensì per via di alcune radici chechiamanoucpatlich'essi mescolano con quello”.Un'attenzione particolare deve essere data al lavoro di Francisco Hernández, il botanicoe proto-medico che negli anni '70 del 1500 per volontà del re di Spagna Filippo II diresseuna spedizione scientica nei nuovi territori americani conquistati dagli Spagnoli e che uautore di un'importante opera di classicazione delle piante e degli animali dellaNuevaEspaña. Questo autore (Libro XVI, Cap. LII) identica l'ocpatli(“condimento del vino”)con ilquapatli(“medicina del monte”) otlapatli(“medicina piccola”) e riporta che questapianta mescolata con il “vino dimetl” ne aumenta la orza inebriante. Tuttavia, adierenza degli altri autori, rierisce che la parte utilizzata era la sua corteccia e non laradice. Inoltre, riporta che anche quando viene aggiunta ad altre bevande liquorose neaumenta gli eetti inebrianti. Da notare che nella descrizione Hernández rierisce che

questa pianta ha dei baccelli, un atto che a sospettare che appartenga alla amiglia delleLeguminosae.15 Un'ulteriore notizia utile per l'identicazione dell'ocpatli/quapatliHernández la ore nel trattare un suo sinonimo, lotzotzocolxóchitle una pianta afne,“anch'essa appartenente alle specie di acacia” (Libro XXIV, Cap. X):

“Lotzotzocolxóchitlè un arbusto che i messicani chiamanoquapatli, nome sottocui lo abbiamo descritto in altro luogo. Dicono i panucensesche è utile in manieraammirevole contro la tosse. Nasce nella sua terra un'altra specie chiamatatziquá-huitl, quasi del medesimo aspetto, di temperamento reddo, astringente e secco,

anch'esso appartenente alle specie di acacia e il cui decotto dice la medesima genteche cura le ulcere della bocca, pulisce e consolida i denti, e sana le ulcere putridedovuta alla consumazione di carne corrotta”.

Questi dati anno quindi ipotizzare che ilquapatliodocpatliosse una leguminosa,

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nella cui amiglia rientrano numerose piante dalle accertate proprietà psicoattive, presentianche nelle Americhe. In eetti, in diverse Relazioni Geograche nel centro del Messico ein Oaxaca l'ocpatloquapatleè identicato con la corteccia di Acacia angustissima(Mill.)Kuntze (Corcuera de Mancera, 1991: 122).In un altro passo della sua opera (Libro XVI, Cap. LIII), Hernández cita un'altra piantadal medesimo nomequapatli, caratterizzata dall'essere un'erba piccola con oglie simili aquelle del susino ma più grandi e il cui decotto applicato sulla testa calma i dolori alleorecchie. Ma si tratta evidentemente di una pianta dierente da quella precedente, nono-stante sia chiamata con lo stesso nome di “medicina del monte”.Ricapitolando, Hernández consideravaquapatli,ocpatli,tlapatlietzotzocolxóchitlsinonimi di una medesima pianta utilizzata come additivo del pulque; altri autori invececonsideravano come due distinte piante ilquapatlie l'ocpatli. Ilquapatli(ocuapatle) uoggetto di diverse controverse nel corso del XVIII secolo, considerato demoniaco oingrediente positivo e necessario per la preparazione del pulque a seconda dell'ignoranza,del pregiudizio o della convenienza – anche economica – del vescovo, dell'alcade odell'asentistadi turno.Clavijero (1780-1: Libro VII, p. 435), che può essere considerato l'ultimo in ordinecronologico ra gli autori antichi, riportò che l'ocpatlio “rimedio del vino” serviva “peracilitare la ermentazione e dar più orza alla bevanda”. In questa rase sembra essereassorbito uno stereotipo interpretativo delle unzioni dell'ocpatlielaborato nel corso delXVIII secolo e dovuto alla probabile conusione ra diversi ingredienti vegetali, conusio-ne orse addirittura indotta intenzionalmente per nascondere proprietà inebrianti di undeterminato additivo, un tempo ritenute segrete.

La complessità degli additivi del pulque aumenta considerando il cosiddetto “quintopulque”, ilmacuiloctli. Come esposto più sopra, ilmacuiloctliera considerata la dose dipulque che eccedeva le quattro tazze socialmente accettate; dalla quinta tazza in poiregnava la violenza e la ollia. Tuttavia, vi sono rierimenti a unmacuiloctlicome un tipospecico di pulque. In un passo della sua opera (II, Appendice IV, 3) Sahagún sembraconsiderarlo un sinonimo delteoctli(“esta delmacuilloctli, 'Il Quinto Pulque', ch'essichiamavano diteucotli, 'Pulque-degli-Dei'”). Ilteoctli– dateo, “dio” eoctli, “pulque”,quindi “pulque degli dei” – era uno speciale tipo di pulque che veniva dato da bere aiprigionieri in procinto di essere sacricati. Anche al successivo paragrao 17 di Sahagún

 v'è una chiara identicazione ramacuiloctlieteoctli; la traduzione di Garibay ornisce:“QuestoOmetochtli pantécatl[un tipo di sacerdote] aveva il compito di procurare il vinoche si chiamavamacuiloctli, oteooctli, che era usato nella esta di panquetzaliztli”. Tutta-

 via, Gonçalves da Lima (1986: 116-7) traduce questo passo in un modo signicativamente

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dierente: “Il sacerdote di Ometochtli Patécatl preparava ilmacuilloctlie lo passava alsacerdote degli dei del pulque Toltécatl. Questo lo doveva are [trasormare nel]teucotli, il

 vino degli dei; ilmacuilloctlisi consumava nella esta di Panquetzaliztli”. Da ciò siinerisce chemacuiloctlieteoctlinon sono nomi della medesima bevanda, comeapparirebbe dalla versione di questo passo data da Garibay e dal primo passo citato diSahagún, bensì “erano pulque preparati specicatamente per i sacerdoti, essendo ilteoctliunmacuilloctlimodicato” (ibid. :117). Al paragrao 33 della medesima Appendice IV deltesto di Sahagún è descritta la unzione del sacerdote Yzquitlan, che aveva il compito dicurare il vestiario dell'ofciante e anche “il pulque degli dei,teuoctli, e riceveva la linadolce del maguey,necutil, che terminava di uscire [dal maguey] e che ancora non erapiccante” (seguendo la traduzione di Gonçalves da Lima, 1986: 117); questo studioso nededuce che l'aguamielottenuta dallo Yzquitlan serviva per l’elaborazione delteoctli,impiegando orse un ingrediente vegetale specico, “unocpatlipersonale dei dirigentireligiosi”.Per Rätsch (2005: 28 e 46) l'ocpatliè probabilmente identicabile con Acaciaangustiolia(Mill.) Kuntze. Il vocaboloocpatlsignicherebbe “droga del pulque” e nellospagnolo messicano contemporaneo il nome vernacolare di questa acacia sarebbe palo de

 pulque(“albero del pulque”). Un'altra specie, Acacia albicansKunth sarebbe stata usatacome additivo del pulque.Resta il atto che durante i periodi coloniali si diuse un insistente proibizionismo neiconronti degli additivi del pulque, poiché ra di questi v'erano ingredienti che nepotenziavano gli eetti in maniera signicativa e che urono prontamente classicaticome prodotti demoniaci da parte del clero, in quanto riconosciuti da questi afni alle

piante “stregoniche” europee. Ma essendosi diusa anche la conusione ra additivirinorzanti l'eetto inebriante e additivi necessari per la ermentazione del pulque o per lasua conservazione, si giunse in diversi casi a proibire tutti gli additivi di natura vegetale,creando ciò non pochi problemi nella sua produzione. In diversi casi si giunse a decreticontraddittori ra le diverse istituzioni coloniali e mentre ilcuapatleveniva venduto sottolicenza nei mercati delle principali città, compresa Città del Messico, governanti di areeagricole ne proibivano il commercio e l'utilizzo come ingrediente del pulque. Nel 1720,nella giurisdizione di Huejotzingo il viceré marchese di Valero dovette imporsi con undecreto specico in avore del libero utilizzo delcuapatlee contro la decisione ritenuta

arbitraria dell'asentistalocale (Hernández Palomo, 1979: 29).Secondo Hernández Palomo (1979: 29) la unzione principale delcuapatleera dipreservare ed evitare la corruzione del pulque, ma questo studioso, nel suo pur brillantestudio sul proibizionismo del pulque durante i periodi coloniali, non ha valutato la

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possibilità che le onti antiche di cui si è avvalso recassero già conusioni di determina-zione per ciò che intendevano comecuapatle.Al pulque venivano aggiunti diversi altri ingredienti, molti dei quali con lo scopo diaromatizzarlo. Nel 1791 il naturalista Antonio Pineda estese un rapporto sulle diversebevande in uso in Messico, di cui numerose a base di pulque, dove venivano aggiuntianice, arance, ananas, mandorle, ecc. La maggior parte di queste bevande urono elabo-rate nei tempi coloniali e inuenzate dalla cultura spagnola. Interessanti le bevandecopalotile16etolonze, preparate con l'aggiunta nel pulque di semi e rutti dell'albero delPerù, cioèSchinus molleL., della amiglia delle Anacardiaceae, originario del SudAmerica e che gli Spagnoli diusero in Messico (Wilson, 1963). Presso le popolazioniandine il rutto di questo albero è tradizionalmente usato come ingrediente nellapreparazione dellachicha(bevanda ermentata a base di mais), per acilitare la suaermentazione (Rätsch, 2005: 740). I Messicani l'adottarono con il probabile scopo diacilitare la ermentazione in quei pulque, come iltlachique, ricavati da lina di magueypovera in contenuti zuccherini. Ancora, dentro ai tini di ermentazione del pulque

 venivano inseriti i più disparati oggetti, con probabili scopi magici. Ad esempio, nel 1692un inquisitore scoprì in un tino un cannello chiuso con una lucertola viva (HernándezPalomo, 1979: 30).Un'ulteriore associazione di natura etnobotanica della sera simbolica del pulque è ilmalinalli, al contempo pianta e simbolo ad essa associato. La pianta è per lo piùriconosciuta ra gli autori come una piccola graminacea, alquanto efmera, che nasceimprovvisamente subito dopo le piogge estive dopodiché avvizzisce velocemente. Fra gliAztechi era il simbolo dell'efmero, del transitorio, del superuo, della vanità e anche

della ugace allegria causata dal pulque e dallo stato di ubriachezza. Il graema delmalinalliera costituito da un teschio ornato (Corcuera de Mancera, 1991: 23). KuehneHeyder (1995) ha avanzato dei dubbi circa l'identicazione generalmente accettata delmalinallicome una specie di Muhlenbergia, della amiglia delle graminacee, chiamatapopolarmente in spagnolozacate del carbonero,e ha proposto di identicare invece ilmalinallicon l'ocpatli; inoltre, vede per ilmalinalliuna certa relazione con una specie diDatura. Il simbolo del teschio non si addice a una erbetta così efmera e poco importantequale ilzacate del carboneroe sono rierite almalinalliproprietà medicinali che non siaddicono a questa graminacea. In particolare, De La Cruz (1552), pur rafgurando il

malinallicome una evidente graminacea, indica proprietà medicinali nelle aezionioculari (F. 12 v), nelle emme gastriche (F 20 r) e nel parto (F 58 v).Considerando il complesso degli additivi del pulque nel suo insieme, si evidenzial'utilizzo di speciali ingredienti vegetali di natura psicoattiva, di cui alcuni probabilmente

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allucinogeni, per la preparazione di bevande in cui il pulque svolgeva il ruolo di liquidomadre. Siamo cioè qui in presenza di un “Complesso Psicoarmacologico del Pulque”,similmente ad altri conglomerati di conoscenze psicoattive quali il Complesso Dionisiaco,dove il vino aveva valenze di liquido madre per miscelarvi le più disparate erbe psicoat-tive, o il Complesso Psicoarmacologico dell'Ayahuasca, dove alla bevanda “maestro”,l'ayahuasca, vengono aggiunte le più disparate piante psicoattive, tale da aver dato aditoall'elaborazione tribale di un complesso sistema gerarchico di eetti allucinogeni. Indiversi casi questi Complessi Psicoarmacologici sono imperniati su una bevandainebriante di natura alcolica, in quanto le bevande alcoliche sono ottimi liquidi estrattoridei principi attivi delle varie onti vegetali: essendo questi principi attivi estraibili in acqua(idrosolubili) o estraibili in alcol, le bevande alcoliche, per loro natura idro-alcoliche, cioècontenenti sia alcol che acqua, risultano degli ottimi liquidi in cui indurre, conriscaldamento o meno, il passaggio dei principi attivi da oglie, radici, cortecce al liquidoin seguito da bere. Ecco quindi che l'articolata soluzione al problema degli additivi delpulque è da ricercare internamente al Complesso Psicoarmacologico strutturatosi attor-no a questa bevanda.Un caso simile si vericò con lachichaandina, prodotta mediante il processo diinsalivazione dei chicchi di mais, per la quale si può similmente parlare di un “Complessopsicoarmacologico”. A questa comune bevanda sudamericana (che ha un corrispettivoamazzonico chiamatocauime con numerosi altri nomi) venivano aggiunte numerosepiante, diverse delle quali avevano lo scopo di raorzare o modicare l'eetto inebriante.Citiamo qui come unico esempio una onte letteraria della ne del XVI secolo, opera delGesuita Anonimo; in un passo che tratta della preparazione dellachicha, leggiamo: “Altri,

più golosi … vi gettavano nel momento di berla nel bicchiere il succo di una certa erbamedicinale, e diventava così orte, che li inebriava più velocemente. Chiamano questo

 vinoviñapu[dal verbo quechuahuiñani, “iniziare a crescere”] e altrisora, e dicono coloroche lo hanno provato che è pestiero e causa molte malattie. La causa che dà non è dimalattie, poiché non vediamo alcun indio in tutto il regno che sia attaccato dal male diegato o di calcoli, bensì il peccato dell'ubriachezza, della lussuria e dell'idolatria, che sonomaggiori e peggiori malattie.” (Barba, 1968: 177).Molto probabilmente esistevano dierenti tipi di pulque, da quelli permessi al popolo aquelli permessi solo alla casta prelatizia o ai guerrieri, prodotti con ormule quasi certa-

mente mantenute segrete. Ed è nei pulque “prelatizi” che dobbiamo principalmenterivolgere lo sguardo nella ricerca delle onti puramenteenteogene, quali gli additivi dinatura allucinogena. Il contatto più proondo con le divinità era mantenuto riserbato aprincipi e sacerdoti, gli unici che avevano accesso alla spettro completo di conoscenze per

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modicare lo stato della coscienza umana, come ha atto notare in un interessante studiosul pulque Corcuera de Mancera (1991: 17):

“Fra gli antichi messicani era proibito un rapporto popolare, non controllatodall'autorità religiosa, dell'uomo con la divinità. Il pulque era depositariodell'insieme degli dei coniglio, e nell'ingerirlo la persona si abbandonava in modo

 volontario a una possessione divina. Per questo i sacerdoti, gelosi del loro ruolo dimediatori e desiderosi di conservare l'autorità e il potere che questo dava loro,

 vedevano come un pericolo che l'uomo comune uscisse dal loro controllo peringerire una sostanza che era corpo divino”.

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Il pulque nei periodi coloniali

Con l'arrivo degli Spagnoli il pulque perdette la sua posizione di bevanda inebriante aduso cerimoniale e religioso e u velocemente relegato alla posizione di bevanda proana.Dopo neanche un secolo dalla prima visita di Cortés i danni della proanazione dell'usodi questa bevanda si ecero pesantemente sentire nei territori messicani e in ciò cherimaneva della sua popolazione autoctona. Il rate dominicano Diego Durán (Libro II,Cap. XXII), che scrisse nella seconda metà del XVII secolo, studiando le “idolatrie” degliindios e il sistema religioso dei vinti, si accorse e a suo modo si rammaricava dellamancanza del rigido sistema di controllo sull'uso del pulque che avevano adottato gliAztechi, che “non era gente barbara, bensì gente politica, esperta e avveduta”. Fatto sta che

l'alcolismo da pulque dilagò ra i restanti nativi, già decimati dalla brutalità deiConquistadores e dalle nuove malattie da questi portate nellaNueva España.Poco dopo l'arrivo degli Spagnoli in terra messicana l'uso degli inebrianti di naturaallucinogena – peyote, unghi psilocibinici, semi diRivea corymbosa(ololihqui), ecc. -urono proibiti su tutto il territorio dellaNueva España, poiché interpretati come prodotti“diabolici” e ortemente in antitesi alle idee e allo spirito religioso cristiano, seguendo intal modo un cliché comune che dovettero subire tutte le popolazioni del mondocolonizzate dagli Europei. Un atto curioso: per un certo periodo di tempo u vietato il

 vino europeo agli indios, come dimostrano le Cedole Ecclesiastiche degli anni 1539 e1545 (Corcuera de Mancera, 1991: 123), un divieto quasi ironico, vericato che gli indiosnon avrebbero potuto permettersi il lusso di comprare vino europeo.Le bevande autoctone di natura alcolica non subirono generalmente questo erreodivieto; una delle eccezioni u del pulque, per via degli additivi vegetali che vi venivanoaggiunti, alcuni dei quali erano quasi certamente di natura allucinogena o comunque

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raorzavano signicativamente, per gli Spagnoli eccessivamente, le sue proprietà ine-brianti.Tuttavia, come ha atto notare nel suo attento studio Hernández Palomo (1979), lereiterate proibizioni attraverso le Cedole Reali, in particolare degli anni 1529, 1545, 1594,1607, 1637 e 1640, vertevano sulla proibizione dei vari ingredienti vegetali che venivanoaggiunti al “pulque bianco”, cioè il semplice pulque ottenuto mediante ermentazionedella lina atta uoriuscire dalla pianta del maguey, lina nota nei periodi post-cortesianicon il nome spagnolo diaguamiel. Restava quindi implicito il permesso di elaborare ecommercializzare il pulque bianco, che era nulla di più che una blanda bevanda alcolica,con una gradazione del 2-4 % di alcol.Nel 1608 un'ordinanza del Viceré Luis de Velasco impose una prima normativa in attodi commercializzazione del pulque bianco, che prevedeva l'esclusione da tale commerciodi individui estranei alla pura etnia degli “indios” – spagnoli, mestizi, mulatti o negri cheossero – ed erano previste pene severe per chi non avesse rispettato questa condizione,che evidentemente era rivolta alla protezione del sistema di produzione indigeno delpulque. Questa ordinanza prevedeva che per ogni 100 indios venisse nominata unadonna, una india, che doveva avere le caratteristiche di essere anziana, stimata ed'estrazione molto povera, che si sarebbe dovuta are carico della vendita del pulque ra inativi, con la condizione aggiuntiva che in questo commercio non poteva ar coinvolgerespagnoli o indigeni appartenenti all'amministrazione locale. La vendita del pulque eracomunque proibita nei giorni di domenica e in tutti i giorni estivi, compresi i giorni dellaQuaresima.17E' interessante notare come anche nei periodi successivi “nella vendita delpulque non u atta mai allusione agli uomini, bensì si parlò sempre di venditrici, di

indias. Questa presenza della donna è una caratteristica rimasta in gran parte sino ainostri giorni” (Hernández Palomo, 1979: 36).Ma l'ordinanza di Velasco del 1608 rimase eettiva solamente per alcune decine di anni;gli interessi economici nei conronti di un commercio lucroso ecero si che vi siinltrassero gradualmente spagnoli e mestizi, in particolare nella gestione delle

 pulquerias, le locande dove si vendeva e consumava la bevanda; inoltre, il dilagaredell'alcolismo presso la popolazione indigena, congiuntamente al mancato rispetto,alquanto diuso, del divieto dell'uso di additivi orticanti la medesima bevanda, portò leamministrazioni locali e centrali a riconsiderare la normativa sul pulque; già nel 1648 si

hanno notizie della nomina di un “Giudice del Pulque”, che doveva sovrintendere allecontroversie e ai crimini legati al consumo della bevanda, oltre a un irrigidimento neiconronti del suo uso indigeno.L'ordinanza di Velasco, pur redigendo una normativa del mercato del pulque, non

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prevedeva l'istituzione di una tassa sulla bevanda, nel rispetto della più generale regolassata dal re di Spagna di non tassare i prodotti indigeni utilizzati dalla popolazionenativa. Tuttavia, verso la seconda metà del XVII secolo gli amministratori locali, inparticolare quelli dei paesi dei dintorni di Città del Messico, principali luoghi diproduzione del pulque, iniziarono illegalmente a richiedere unimpuestoper tutto ilpulque che veniva trasportato verso la capitale. L'illegalità di questa tassa era evidente e uoggetto di denuncia da parte di diversi amministratori coscienziosi. Si vericarono anchesituazioni di lucro “indiretto”, cioè non mediante una vera e propria tassa, bensì attraversol'ingerenza nel commercio da parte di amministratori locali; u il caso ad esempio delcorregidordi Cuautepec, che nel 1633 obbligò gli indios della sua giurisdizione a

 vendergli il pulque ch'egli rivendeva in seguito a un prezzo raddoppiato. Vericato chenel commercio della bevanda rientravano sempre più individui non appartenenti allarazza nativa, le tasse e le attività lucrative venivano giusticate dal atto che talecommercio esulava dai commerci puramente nativi, che per legge erano esenti da tasse.Tutto ciò portò alla decisione reale di stabilire un primoasientodel pulque nel 1668,cioè una regolarizzazione della produzione della bevanda con tanto di tassaamministrativa, di cui la maggior parte era destinata alle casse reali spagnole. A parte gliindios, che avevano ben poca voce in capitolo, solo il conte di Alba de Liste e il duca diAlbuquerque cercarono di opporsi a questo progetto, considerandolo una violazione delprincipio di esentasse dei prodotti indigeni; ma quando i protti economici associati alpulque urono intuiti dalla Corona, le etiche rispettose nei conronti dei nativi urono daquesta accantonate senza alcuna remora.Vi u solo una brusca interruzione di sei anni, dal 1692 al 1697, che ebbe origine da una

rivolta popolare che si vericò l'8 giugno del 1692 a Città del Messico, repressa il giornosuccessivo dalle orze spagnole del Conte di Santiago, Juan de Velasco. La causa di questarivolta ricadde sul pulque, quale onte di ubriachezza, vericato che si udirono dalla partedei rivoltosi urla del tipo “viva il pulque!” Si deve terne conto che, dal momento in cui,nel 1668, il commercio del pulque u regolarizzato e tassato, il suo uso conobbe unnotevole incremento nella capitale e, nonostante ossero permesse solamente laproduzione e lo spaccio del pulque bianco, era di atto quello adulterato dagli additivirinorzanti, quindi maggiormente inebriante, che veniva consumato e che arricchiva diatto l'erario reale.

Una delle conseguenze della repressione della rivolta u il divieto della produzione, delconsumo e quindi anche del commercio del pulque in tutto il territorio dellaNuevaEspaña. Ma a una più attenta analisi le cause principali della rivolta non erano daascrivere all'ubriachezza da pulque bensì a attori di natura sociale, in primis le

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condizioni di estrema povertà in cui riversava la popolazione della capitale, dovuta anchealla carestia di grano e mais dell'anno precedente causata da cattive condizioni climatiche.Il diuso alcolismo era semmai una conseguenza delle dure condizioni di vita dei nativi.Un altro motivo più concreto della proibizione del pulque si basò sulla constatazione chele pulqueriaserano luoghi di associazione della popolazione, dove indios, mestizo, mulattie negri potevano incontrarsi e produrre quelle “adunate sediziose” che in tutti i tempiurono e continuano ad essere perseguite nei contesti repressivi.La proibizione del pulque del 1692 sembra essere stata eettiva solamente nella capitale,mentre la bevanda continuava ad essere prodotta e consumata nel resto del paese. Maessendo stato ufcialmente vietato, anche il reddito della sua tassazione venne meno; ciòportò dopo alcuni anni all'eliminazione del divieto, con tanto di reinserimento dellarelativa tassa (Hernández Palomo, 1979: 31-84). Fu tuttavia mantenuta l'obbligatadierenziazione ra pulqueriasper soli uomini e pulqueriasper sole donne.A parte il pulque bianco, il pulque “con radici”, cioè con additivi rinorzanti l'eettoinebriante, rimase proibito congiuntamente a numerose altre bevande alcoliche native.Ad esempio, nell'Ordinanza del Conte di Revillagigedo del 1755 vengono vietate “aguar-diente di maguey, di canna, di miele,cantincota,ololinque,mistelascontraatte, vini dicocco, sangue di coniglio,vinguies,mescali,tepache,cruacapo,vingarrote, e molte altresebbene non siano specicate in questa ordinanza, e che si abbricano e usano qualunquesia il loro nome, con seme dell'albero del Perù, ananas, pulque marcio o corrotto o dirutta di tutte le specie, e ingredienti velenosi con l'unico scopo di ubriacare”.18Taledivieto perdurò no a tutto il XVIII secolo e, nonostante venisse motivato per il dilagantealcolismo, il motivo concreto risiedeva nella concorrenza che queste bevande acevano

nei conronti delle bevande alcoliche d'importazione spagnola, in particolare vini edistillati. Il problema di questa concorrenza non era un atto nascosto e u esplicitato dadiversi autori a partire dal secolo XVII; Humboldt (1822, Libro IV, Cap. IX), nei conrontiin questo caso delmezcal, ancora ai suoi tempi rieriva che “il governo spagnolo, inparticolare la Real Hacienda, da molto tempo persegue con rigore ilmezcal, che èseveramente proibito, poiché il suo uso pregiudica il commercio delle acquaviti dellaSpagna.” Ai governanti coloniali non interessava la salute psichica e sica dei nativi, che

 veniva sbandierata solamente in occasione dei suddetti divieti. Per i medesimi motivi eraproibita nellaNueva Españala coltivazione di piante del Vecchio Mondo, ra cui olivi, vite

e gelso, per non intralciare il lucroso commercio intercontinentale di questi prodotti“esotici” europei.Un'altra questione che u reiteratamente discussa durante i secoli da parte deisimpatizzanti e dei detrattori del pulque, riguardava lo stato di salute ra la popolazione

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indigena con o senza pulque, in particolare nel tema della loro riproduttività. Durante ilXVIII secolo un certo rate Diego González dell'Ordine dei Mercedari riportava che “lospopolamento degli indios degli inizi del secolo XVIII era dovuto all’abuso più che all’usodel pulque, assicurando che coloro che non lo bevevano si mantenevano in eccellenticondizioni di salute, e che gli indios del Messico potrebbero vivere così bene senzaprovare il pulque” (Guerrero, 1985: 84). Ancora ai giorni nostri Ángel María K. Garibay, ilcuratore dell'opera di Sahagún, riportava la seguente considerazione di valore opposto aquello del rate mercedario:

“Se vogliamo conservare la razza indigena è necessario che conserviamo questoliquore che la natura ha loro ornito con efcacia. Migliaia di osservazioniaccreditano che nei villaggi dove il pulque non viene bevuto le ebbri distruggono lepopolazioni, mentre queste si conservano dove abbondano i maguey e dove vieneestratto questo liquore molto necessario per nutrire l'indio, rinvigorirlo e preser-

 varlo dalla ebbre putrida alla quale vive esposto per le continue insolazioni di cuisore e per i vili alimenti di cui si nutre.Experto crede magistro: credereall'esperienza” (Garibáy, in Sahagún, 1985: 981).

Come già detto, con l'avvento degli Spagnoli quell'insieme di rigide regole e disettorialità speciche nell'uso del pulque adottate dagli Aztechi di colpo vennero meno.L'uso rituale e religioso si dileguò velocemente, sino ad essere dimenticato. Tuttavia, comeaccadde ad altre onti vegetali psicoattive, in particolare allucinogene, quali l'ololihqui, iteonanacatl, il peyote, non mancarono casi dove l'uso rituale del pulque persistette in

clandestinità, uori dagli sguardi dell'inquisizione. A riprova di ciò, Jacinto De la Serna(1661) riportò diversi casi di “idolatrie” dei nativi messicani perseguiti da lui medesimo oda altri inquisitori spagnoli. Nel paesino di Tenango l'inquisitore venne a sapere di uncuranderoche aveva tenuto in una casa privata un incontro svolto in occasione di unaesta a un santo, dov'egli aveva somministrato ai partecipanti dei unghi allucinogeni(quautlan nanacatl). La statua del santo era collocata sull'altare domestico, davanti alquale v'era un uoco. Stando a quanto rierito da De la Serna (Cap. I, 3) in quell'occasioneoltre ai unghi u assunto dai presenti anche una buona quantità di pulque. Ilcuranderoriuscì a uggire prima di cadere nelle mani del braccio secolare inquisitoriale.In un altro passo (Cap. XV, 2) il medesimo autore rierisce del costume di spargere unpoco di pulque come oerta alle divinità prima di iniziare la bevuta collettiva. Lospargimento del pulque viene chiamato da De la Serna col nome nahuatlatotoiahua, chericorda lotlatoyaualiztlirierito da Sahagún (I, XIII, 10) e più sopra menzionato. L'assun-zione di pulque si svolgeva solitamente in maniera segreta all'interno di case private e di

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ronte all'altare domestico, in occasione di este religiose che ricalcavano quelle anticheazteche. Si riporta qui per esteso il passo di De la Serna, in quanto è un'importante testi-monianza di sopravvivenza di una celebrazione con il pulque che si era conservatadurante la prima ase del periodo coloniale:

“Hanno anche le loro idolatrie con dei semi, e uno di questi è l'Huatli, che è unseme molto precoce a loro disposizione; poiché si semina prima del mais e quandoinizia a spigare da questo seme anno una bevanda a mo' di poleada[bevanda a basedi latte e arina] e alcune tortilla che chiamanoTzoally; questo seme è ciò che èrichiesto dal Demonio, che gliela orono come primizia e di cui a menzione PadreFray Martin di León nel mese tredicesimo del suo Calendario quando acevano estaai monti più alti, che si chiamaTepeilhuitle corrispondente ai primi di ottobre; enell'altro Calendario è questo il mese dodicesimo, che si chiamavaQuecholli,corrispondente al mese di novembre, dal cinque al ventiquattro del detto mese.L'idolatria e l'abuso di questo seme consiste nel atto che nell'azione di grazia che sisia maturato, del primo che raccolgono ben macinato e impastato, anno alcunipiccoli idoli con del ango, dall'aspetto umano e della dimensione più o meno di unpalmo e li ricoprono con quell'impasto [di semi], e per il giorno che li preparanohanno preparato molto del loro vino, che è il pulque, ed essendo gli idoli preparati, econosciuti [sic,conocidos, in realtàcocidos, cotti] li mettono nei loro oratori [altari],come se collocassero qualche immagine e vi pongono candele, incensi e proumi eorono ra i loro mazzolini [di ori] del vino preparato per la dedica nei bicchieri enei piccolitecomate[specie di vaso semiserico a bocca larga, di argilla o ricavato dauna zucca] e che hanno per queste azioni superstiziose, come riportai più sopra(cap. III, 5) e che custodiscono con gran cura, e se no in altri scelti per questo scoporiunendosi tutti quelli di quella aziosità e convitati per questa azione di grazie alDemonio, si siedono tutti in cerchio: posti itecomatee mazzolini di ronte agli idoli,con grande plauso inizia in suo onore e lode, e il Demonio, che tutto è uno, il canto,o musica delTeponaztli, accompagnando questa musica col canto degli anzianisecondo il costume, e in seguito arrivano i padroni dell'oerta e i capi della esta insegnale di sacricio spargono di quel vino, che avevano preso daitecomate, o tutto oparte di quello davanti agli idoli diHuatli: chiamano quest'azioneTlatotoiahua, cheè azione di spargimento, e poi iniziano a bere tutto ciò che è rimasto neitecomate,come prima cosa, e poi bevono dalle pentole di pulque sino a terminarle e da ciòseguono tutte le cose che sono solite accadere nelle ubriachezze; e i proprietari deipiccoli idoli li custodivano con attenzione sino al giorno seguente afnché tutti ipartecipanti alla esta se li mangino a pezzetti come ossero delle reliquie” (De laSerna, 1661, Cap. XV, 2).

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Non sono mancate durante i tempi coloniali, così come in quelli moderni, ormesincretiche ra le antiche credenze e i culti cristiani nei riguardi delle pratiche, della mito-logia e della losoa associata all'uso del pulque. Durante la preparazione del pulqueancora al giorno d'oggi sono praticati alcuni riti, ora cristianizzati: prima di iniziare illavoro i partecipanti si anno il segno della croce davanti all’altare deltinacale la personache dirige i lavori esclama a voce alta “Ave Maria Purissima!”, mentre gli altri rispondono“Senza peccato concepita!”. Vi sono casi i cui queste esclamazioni sono atte con una certamodulazione della voce, a mo' di canto (Guerrero, 1985: 59). Fra i Totonachi dei tempicoloniali e moderni ha un culto importante San Giovanni Battista, chiamato amiliar-mente San Juanito; egli è considerato un grande bevitore di pulque, e anche Gesù èconsiderato un gran bevitore di questa bevanda (ibid., :52). Presso gli Otomi attuali ilpulque è chiamato juaseí, da jua, “dio” esei, “vino”, da cui “bevanda divina”, oppure èchiamato semplicementeseí, mentre le pulquerie sono chiamateseingú, dasei, “vino”,ngu,“casa” (ibid., :25).Oggigiorno le grande aziende magueyere e pulquere sono concentrate per lo più neglistati del México, Tlaxcala e Hidalgo e il pulque è considerata una bevanda volgare, usatadal popolino. Ma no al secolo XIX u bevanda gustata anche dalle classi abbienti e daglispagnoli. Si ha notizia che l'imperatore Massimiliano, quando ancora sul trono delpericolante Regno del Messico, partecipò a un banchetto che gli u oerto e dove ilpulque era la bevanda principale (Guerrero, 1985: 110).

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APPENDICE I

Mito d’origine del maguey

Il seguente mito d’origine della pianta del maguey, di stampo tezcocoano, è riportato inorma poetica nell’Histoire du Mechique, opera di un anonimo autore del XVI secolo,trascritta in rancese nel 1543 da Andrés evet (manoscritto n. 19031 della Biblio-tecaNazionale di Parigi). Secondo Garibay (1985: 16) l'opera originaria u probabilmentescritta da ray Andrés de Olmos. Una versione approssimata del mito dell'origine delmaguey è stata riportata da Castellon (1987: 154-5).

Il racconto è inscritto in un mito cosmogonico nahua, ambientato ai primordidell’esistenza umana e si estende ra i passi 129 e 143 dell'Histoire du Mechique. Meyahuelè Mayáhuel, dea azteca del maguey e ancor prima personaggio emminile protagonistanell'etnostoria e nella mitologia mexica della scoperta della perorazione della pianta delmaguey, processo basilare per la preparazione del pulque (si veda “Il pulque nei periodipreispanici”).

129. Fatto tutto questo [la creazione dell'uomo] ed avendolo gradito gli dei,

questi dissero ra di loro:130. “Ma qui l'uomo sarà triste, se non gli acciamo noi qualcosa perrallegrarlo e afnché prenda gusto nel vivere sulla terra e che ci lodi e canti edanzi”.131. Udito ciò da Ehécatl, il dio dell'aria, questi nel suo cuore pensava doveavrebbe potuto trovare un liquore da dare all'uomo per renderlo allegro.132. Nel pensare a ciò, gli venne in mente una dea vergine chiamataMeyahuel e si recò quindi dov'ella risiedeva insieme ad altre dee, che in quelmomento stavano dormendo.

136. E svegliò la vergine e le disse:136. Che era sorvegliata da una dea, sua nonna, che si chiamava Cicimitl:19

“Vengo a cercarti per portarti sulla terra”.137. Essa acconsentì e così scesero entrambi ed egli nella discesa se la caricòsulle spalle.

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138. E come giunsero sulla terra si trasormarono entrambi in un albero cheaveva due rami, di cui uno si chiama Quetzalhuexotl,20che era quello diEhécatl, e l'altro Xochicuahuitl,21che era quello della vergine.139. Nel rattempo, sua nonna dormiva. Quando si svegliò e non trovò suanipote, chiamò le altre dee che si chiamano Cicime.22

140. E scesero tutte sulla terra a cercare Ehécatl e per questo motivo i rami sidisgiunsero l'uno dall'altro.23

141. E quello della vergine u riconosciuto dalla vecchia dea, che lo prese e,rompendolo, ne diede un pezzo a ciascuna delle altre dee, che lomangiarono.142. Ma il ramo di Ehécatl non lo ruppero, bensì lo lasciarono lì dov'era.Dopo che le dee urono tornate in cielo, Ehécatl riprese la sua ormaoriginaria, riunì le ossa della vergine, le interrò e da lì sorse un albero chechiamanometl.143. Da questo gli indios anno il vino che bevono e con il quale siubriacano, sebbene non è a causa del vino, bensì per via di alcune radici chechiamanoucpatli24ch'essi mescolano con quello (Garibay, 1985: 106-107).

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APPENDICE II

La leggenda di Xóchitl

Questa leggenda è di origine tolteca e viene ancora tramandata nello stato messicano diHidalgo. E' ambientata nelle ultime asi del regno di Tula. Nella versione di Manuel RiveraCambas il glio della bella Xóchitl è chiamato Meconetzin, che in lingua nahuatl signica“glio del maguey”, o meglio “signor ragazzo del maguey”;25è chiamato anche Ce Acatl

Topiltzin Quetzacóatl (“Uno Canna, Nostro Signor Quetzacóatl”), e u l'ultimo sovranodel regno di Tula. Tecpancaltzin u il penultimo re, che governò nel periodo 990-1042d.C. All'interno di questa leggenda è possibile intravedere un mito delle origini delpulque, contestualizzato in un racconto etno-storico della ase nale del regno di Tula.

Versione di Mariano D. Veytia (1718-1780?)(riportata da Ángel María K. Garibay, in Sahagún, 1985, pp. 980-981)

Tecpantcaltzin, ottavo re dei Toltechi, un giorno ricevette un regalo daparte di Papantzin, che era uno dei principali cavalieri della sua corte,consistente in una giara di pulque, la cui elaborazione conaguamielavevaappena terminato di inventare una sua glia chiamata Xóchitl; questa era laportatrice dell'ossequio ed era una giovane di straordinaria bellezza.Al re piacque molto la bevanda, ma piacque molto di più la ragazza che laportava e alla quale diede l'incarico di ripetere l'ossequio appena avessepotuto.Fatto questo, in una delle occasioni in cui gli si presentò, avvalendosi dellasua autorità il re sedusse la ragazza, la ece rinchiudere nel suo palazzotrattandola segretamente con gran riguardo, ed ebbe da ella un glio che uchiamato Topiltzin.Dopo la morte della regina legittima, il re si sposò con Xóchitl e nelegittimò la prole; ma il popolo non volle riconoscere Topiltzin come vero

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successore al trono, e a ciò si oppose Huehuetzin, parente immediato del recolluso con i signori di Xalisco; questi dichiararono al re una guerra cosìcrudele che durò tre anni e due mesi e vi perirono da una parte e dall'altracinque milioni e duecento mila persone; con questa guerra terminò lamonarchia tolteca, dopo essere esistita 397 anni e alla quale seguì quella diAculhua, di cui u ondatore il grande padre Xolotl.Xóchitl morì con gloria sul campo battendosi con i suoi nemici a capo diun corpo di signore che la accompagnavano; suo marito si nascose nellagrotta di Xico, nei dintorni di Amecamecan, per salvare la sua vita.

Versione di Manuel Rivera Cambas (1976)(riportato in orma riassunta da Raúl Guerrero, 1985, pp. 111-3)

Un nobile chiamato Papantzin, dedito alla coltivazione del maguey, riuscìad ottenere miele con il succo di questa pianta. Volle ossequiare con questascoperta il re Tecpancaltzin ed essendosi recato a Tula accompagnato dallasua sposa e da sua glia unica chiamata Xóchitl, u accolto benevolmente. Ilre elogiò il nobile e gli orì come ricompensa la signoria di alcuni villaggi,incaricandolo di inviargli nuovi regali per il tramite di Xóchitl.Soddisatto e pieno di vanità, Papantzin tornò alle sue terre, deciso aperezionare quella nuova industria, senza sospettare che l’entusiasmo del reper la scoperta non era stato sincero; inatti era la bellezza di Xóchitl ad aver

causato al monarca una proonda impressione e, nel percepire ciò, la giovaneera arrossita, aumentando in tal modo il suo ascino agli occhi del re.Il monarca lottava dentro di se ra i suoi doveri di sovrano e le inclinazionidi una passione così repentina quanto violenta; una passione che gli ecedimenticare il decoro del trono, la purezza dei costumi, la pace e anchel’esistenza medesima del regno.Papantzin continuava ad elaborare nuove paste dolci e giunse inne adinventare il pulque. La bella Xóchitl portò un recipiente pieno di questoliquore bianco a Tula, accompagnata dai suoi domestici e dalla sua nutrice

Tepenénetl; la giovane arringò il re, con accento turbato, nel presentargli ilregalo ed ella medesima versò il liquore che gustò tutta la corte. Il re elogiòla ricchezza del pulque, l’intelligenza dell’in-ventore e la bellezza dellagiovane ambasciatrice. Allontanò la nutrice e i domestici, acendoli portatori

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di nuovi regali e onori, e questi urono incaricati di dire al padre dellagiovane ch’ella si era ermata nel palazzo per essere educata da signoreillustri, come corrispondeva al suo rango e al suo merito e a compimentodella promessa che aveva atto a Papatzin nel primo incontro.Chi avrebbe potuto opporsi alla determinazione del re! SommersiPapatzin e la sua sposa da terribili dubbi e da grandi remore, ricevevanomessaggi del re dove venivano avvisati che Xóchitl si manteneva in buonasalute e contenta; ogni messag-gio era accompagnato da preziosi regali ditela, gioielli e metalli lavorati ad arte.Chiamata la nutrice accanto alla bella giovane, entrambe urono traseritein una notte oscura in un palazzo eretto in cima al monte vicino al paesinodi Palpan; il re mise delle guardie afnché nessuno, ad eccezione di semedesimo, potesse entrare o uscire o avvicinarvisi. Dopo nove mesi nacqueun bambino chiamato Meconetzin, “rutto del maguey”, u dato alla luce daXóchitl.Papantzin cercava nel rattempo di scoprire la dimora di sua glia, poichéil re si limitava a comunicargli che era in salute e stava proseguendo la suaeducazione; seppe casualmente che sua glia viveva nel palazzo di Palpan eavvertito che a nessuno era permesso di entrare, si mascherò da contadino, sidipinse e si sgurò il viso e ngendosi zoppo, u a orire ori al villaggio

 vicino; ece quindi conoscenza con uno dei giardinieri reali e questo lo eceentrare. Lì vide sua glia, vicino alla onte, che teneva un bambino ra lebraccia; si avvicinò, si scoprì ed ella rierì dell’oltraggio di cui era stata

 vittima.Il padre dissimulò; risolse che si sarebbe presentato di ronte al monarca egli avrebbe parlato con ranchezza. Così ece ed esigette che il re si sposassecon Xóchitl; insultato e svergognato, il monarca negò di sposarsi, mapromise che avrebbe dichiarato Meconetzin erede della corona.Tecpancaltzin (così si chiamava il monarca) aveva diverse glie e una diqueste si innamorò di un plebeo omacehual, che vendeva peperoni verdi inun mercato vicino al palazzo. Tobueyo26era il ortunato ragazzo, su cui avevassato la sua pas-sione la principessa, al punto di ammalarsi. Tecpancaltzin

ordinò che gli condu-cessero davanti a lui l’ignaro ladro di quel cuore, e glichiese:- Chi sei e da dove vieni?- Sono un contadino e vengo a vendere peperoni verdi. Che mi castighino

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gli dei e mi accia morire sua Altezza. Non sono altro che un inelice che siprocaccia da vivere vendendo povera mercanzia.Quelmacehualsi sposò con la principessa, con grande disgusto dei nobili,i quali esigettero che osse messo a capo dell’esercito, sperando in tal modoch'egli morisse in battaglia; ma egli se ne rese conto e nel primocombattimento si nse abilmente morto.Meconetzin, il glio bastardo, u allora proclamato erede al trono di Tulacon il nome di Topiltzin il Giustiziere. Egli agli inizi governò bene, ma poi sidiede a una vita dissoluta, presagendo la vicina caduta del Regno di Tula.

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APPENDICE III

L'ubriachezza di Quetzalcóatl

Il motivo dell'ubriachezza di Quetzalcóatl con la bevanda inebriante del pulque è inseritoall'interno del racconto etno-storico del regno di Tula, cuore della società tolteca. Fra lacinquantina di passi dei cronisti antichi che rieriscono di Quetzalcóatl di Tula, il temadell'ubriachezza ci è giunto in orma estesa in due versioni: una nell'opera di Sahagúnredatta nel periodo 1547-1577 e l'altra negli Annali di Cuauhtitlan, opera di un autore

anonimo inserito all'interno delCodice Chimalpopoca, datato attorno al 1570. In questoracconto Quetzalcóatl è un principe sacerdote che governa sui Toltechi nella capitaleTula.27Figlio di Totepeuh e Chimalman, egli è chiamato anche Topiltzin o Ce AcatlQuetzalcóatl. Nel racconto etnostorico Quetzalcóatl si inimica una parte del prelato,rappresentato da tre “negromanti”, poich'egli non intende are sacrici umani. I trepersonaggi, di cui uno si chiama Titlacahuan ed è una personicazione di Tezcatlipoca,con uno stratagemma lo anno ubriacare con del pulque, no a ch'egli non perde le staee si abbandona all'allegrezza della sbornia, coinvolgendovi anche sua sorella, sacerdotessadi un tempio di Tula. Svergognato dal comportamento inappropriato ad un principe-

sacerdote, Quetzalcóatl abbandona la città e si dirige verso la riva del mare, raggiunta laquale egli prende uoco (si “auto-crema”) e si trasorma nella stella del mattino. Il mitotermina con il presagio che un giorno egli sarebbe tornato dal mare. Nel primissimoimpatto con gli Spagnoli delle popolazioni rivierasche del Messico orientale, questeinterpretarono i nuovi venuti con siatti vascelli come il ritorno di Quetzalcóatl.

Versione di ray Bernardino Sahagún(riportata nellaHistoria General de las Cosas de Nueva España, Libro III, Capitolo IV, 1-9, versionea cura di Ángel María Garibay, 1985, pp. 196-197, qui tradotta dallo spagnolo)

1. - Venne il tempo che terminò la ortuna di Quetzalcóatl e dei Toltechi. Glisi misero contro tre negromanti, chiamati Huitzilopochtli, Titlacauan eTlacauepan, che ecero molti imbrogli a Tulla [Tula].

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2. - E Titlacauan iniziò per primo a are un imbroglio, trasormandosi in un vecchio molto canuto e basso e recandosi a casa del suddetto Quetzalcóatldicendo ai paggi del detto Quetzalcóatl: “Voglio vedere e parlare al reQuetzalcóatl”. E gli u risposto: “Vattene vecchio, che non lo puoi vedereperché è malato e lo irriteresti e gli daresti pena”.3. - Il vecchio allora disse: “Io devo vederlo. E gli dissero i paggi del dettoQuetzal-cóatl: “Attendi, che glielo andiamo a dire”. Così andarono a dire aldetto Quetzalcóatl di come era venuto un vecchio a parlare loro, dicendo:“Signore, un vecchio è venuto qui domandando di vedervi e parlarvi, eavendolo cacciato via, egli non se ne è andato, dicendo che vi deve vedereper orza”. E disse il detto Quetzalcóatl: “Che entri e venga qui, che lo stoattendendo da molti giorni”.4. - E quindi chiamarono il vecchio, e questi entrò dove stava il dettoQuetzalcóatl, ed entrando il vecchio disse: “Signor glio, come state, ho quiuna medicina perché la beviate”. E disse il detto Quetzalcóatl rispondendo al

 vecchio: “Vieni con elicità mia, vecchio, che è da molti giorni che tiaspettavo”.5. - E disse il vecchio al detto Quetzalcóatl: “Signore, come state di corpo e disalute?”. E rispose il detto Quetzalcóatl dicendo al vecchio: “Sono moltomaldisposto e mi duole tutto il corpo e non posso muovere mani e piedi”. Eil vecchio disse rispondendo al detto Quetzalcóatl: “Signore, vedete lamedicina che vi porto; è molto buona e salutare, e ubriaca chi la beve; se la

 volete bere vi ubriacherà e vi sanerà e vi addolcirà il cuore e vi accorderà dei

lavori e delle atiche e della morte, o della vostra andata”.6. - E rispose il detto Quetzalcóatl dicendo: “Oh vecchio! Dove devoandare?”. E gli disse il detto vecchio: “Per orza dovete andare aTullantlapan,28dove sta un altro vecchio che vi attende, egli e voi parlerete,ra di voi, e dopo il vostro ritorno sarete come giovane e torneretenuovamente come ragazzo”.7. - E al detto Quetzalcóatl, udendo queste parole, si mosse il cuore; econtinuò a dire il vecchio al detto Quetzalcóatl: “Signore, bevete questamedicina”. E gli rispose il detto Quetzalcóatl dicendo: “Oh vecchio, non

 voglio bere”. E gli rispose il vecchio dicendo: “Signore, bevetela, poiché senon la bevete dopo ve ne verrà voglia; per lo meno ponetevela sulla ronte, ebevetene solo un poco”.8. - E il detto Quetzalcóatl l'assaggiò e la provò, e dopo averla bevuta disse:

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“Cos'è questo? Sembra essere cosa molto buona e gustosa; già mi ha guaritoe il malanno se ne è andato, già sono sano”. E una volta di più il vecchiodisse: “Signore, bevetela un'altra volta perché è molto buona la medicina estarete più sano”.9. - E il detto Quetzalcóatl bevve un'altra volta, per cui si ubriacò e si mise apiangere tristemente e gli si mosse e raddolcì il cuore per doversene andare,e non smise di pensare a quello che aveva atto per via dell'inganno e dellaburla che gli aveva atto il detto vecchio negromante; e la medicina chebevette il detto Quetzalcóatl era vino bianco della terra, atto con magueyche si chiamanoteómetl.

Nel corso della peregrinazione verso il luogo chiamato Tlapallan, accadenuovamen-te che Quetzalcóatl si ubriaca con il pulque:

( Libro III, Capitolo XIII, 7-9)7. - E il detto Quetzalcóatl camminando giunse in un altro luogo che sichiama Cochtocan e arrivò un altro negromante che si imbatté con luidicendo: “Dove anda-te?”. E il detto Quetzalcóatl disse: “Sto andando aTlapallan”. E il detto negromante disse al detto Quetzalcóatl: “Andate conortuna; bevete questo vino che porto”. E disse il detto Quetzalcóatl: “Non loposso bere, nemmeno assaggiare un poco”.8. - E il negromante gli disse: “Lo dovete bere per orza, o assaggiare unpoco, poiché a nessuno ra i vivi permetto di dare o ar bere questo vino;

ubriaco tutti. Dai, bevetelo dunque!”9. - E il detto Quetzalcóatl prese il vino e lo bevve con una cannuccia, ebevendolo si ubriacò e si addormentò sulla strada e si mise a russare, equando si svegliò, guardando da un lato e dall'altro, scrollò (scosse) i capellicon la mano, e quindi il detto luogo u chiamato Cochtocan.

Versione degliAnnali di Cuauhtitlan(Codice Chimalpopoca)(E' riportata nei ogli 6 e 7 di questo manoscritto redatto in lingua nahuatl attorno al 1570,

conservato presso il Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico. Qui viene data unatraduzione italiana ricavata dalle traduzioni in spagnolo di Garibay, 1974, pp. 29-32, e in inglese diBierhorst, 1992, pp. 33-6)

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(6:13) Quindi [i maghi] andarono a Xonocapacoyan [luogo-dove-si-lavano-le-cipolle], e si ecero ospitare a casa di un contadino di nome Maxtla[Maxtlaton]; era il guardiano di Toltecatepec [il monte dei Toltechi].Poi cucinarono legumi, pomodori, peperoncini, pannocchie tenere di mais eteneri baccelli di agioli. Fu atto questo per alcuni giorni.(6:16) E visto che li c'erano delle piante di maguey, le chiesero a Maxtla. Insoli quattro giorni prepararono il liquore di maguey e lo rafnarono. Essimedesimi avevano scoperto alcune olle di miele silvestre e con questomescolarono il liquore.29

(6:20) Quindi si recarono alla casa di Quetzalcóatl a Tula. Si portarono tuttociò che avevano preparato: i legumi, il peperoncino e tutto il resto. Portaronoanche il liquore. Quando giunsero, cercarono di parlare con il re, ma leguardie di Quetzal-cóatl non lo consentirono: non li ecero entrare. Per duee per tre volte li respinsero: non urono ammessi. Alla ne u loro chiesto dadove venivano.(6:24) Essi risposero dicendo: “Veniamo dal monte dei sacerdoti, là dalmonte dei Toltechi.”(6:25) Quetzalcóatl udì ciò e disse: “Fateli entrare.”(6:26) Entrarono, lo salutarono e gli orirono i legumi e il resto. Quandoterminò di mangiarli gli pregarono e gli orirono il liquore di maguey.(6:28) Ma egli disse: “No di certo: questo non lo berrò. Sono un uomoastinente. Questo orse è inebriante. Questo orse è mortiero”(6:29) Essi dissero: “Provalo almeno con il dito. E' efcace, è recente.”30

(6:30) Quetzalcóatl lo provò col dito e gli piacque e disse: “Berrò, vecchiomio, ne berrò per tre volte.” E i maghi gli dissero: “Ne berrai anche quattro.”E glie ne diedero no a cinque. Poi dissero al re: “E' la tua oerta verso glidei.”(6:33) E quando egli ebbe bevuto, lo diedero da bere ai suoi vassalli: aciascuno cinque misure.(6:35) E le bevvero e si ubriacarono totalmente. E poi i maghi dissero aQuetzalcóatl: “Principe, per avore canta! Qui c'è il canto che devi intonare.”E il mago Ihuimécatl [Nastro-di-Piuma] gli dettava il canto:

(6:38) “Questa mia casa di piume, questa mia casa di piume di verde quetzal,questa casa di piume nere e gialle dorate di zacuan, questa casa di conchigliarossa,io la devo lasciare, ai, ai, ai!”

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(6:39) E quando già era ben allegro, disse: “Andate a prendere Quetzalpétlat[Preziosa Stuoia], mia sorella, continueremo a bere insieme a lei noall'ubriachezza!”(6:41) I servitori si recarono sul monte di Nonoalco [Vecchie Abitazioni],dove ella stava consacrata al culto dei suoi dei. Le dissero: “Principessa,nobile signora, Quetzalpétlat, Penitente, siamo venuti a prenderti: ti chiamail sacerdote Quetzal-cóatl. Devi stare accanto a lui”.(6:44) Ed ella disse: “Va bene, venerabile paggio, andiamo”. E quando giunse,si sedette accanto a Quetzalcóatl. Poi le servirono il liquore. Furono versatiper lei quattro misure e in più la quinta.5

(6:47) Così Ihuimécatl e il Tolteca la ubriacarono. E così cantarono allasorella di Quetzalcóatl:(6:49) “Sorella mia, dove vai tu, o Quetzalpétlat: beviamo, ai, ai, ai”.(6:50) E quando ebbero bevuto, non dissero più: siamo gente di astinenza.Non scesero più al bagno rituale nel ume; non si punsero più con le spine;31

e non ecero nulla quando spunta l'aurora.(6:53) E quando venne l'aurora del nuovo giorno, si sentirono pieni ditristezza, i loro cuori erano amareggiati. Disse allora Quetzalcóatl: “Ai,sventurato me!” E dominato dalla tristezza da dentro di se lasciò uscirequesto canto:(7:1) “Già non importa la mia sorte nella mia mansione. Qui devoandarmene. E come qui? Qui, si e ancora io canto, sebbene il mio corpoterreno u atto. Aanno e dolore sono la mia eredità! Mai, già, mai

recupererò la mia vita!”32

(7:3) E cantò anche quest'altro canto:(7:4) “Qui mi sosteneva mia madre, quella con la gonna di serpenti;33io erosuo glio, ma ora non accio altro che piangere”.(7:5) E quando terminò il suo canto, i suoi vassalli erano pieni di tristezza esi misero a piangere. E anch'essi si misero a cantare questo canto:(7:8) “Egli ci aveva arricchito nella dolce prosperità: era il nostro signore, ilgrande Quetzalcóatl, che risplendeva come una giada. Rotti sono i legni, lasua casa di penitenza. Potremmo vederlo. Lasciateci piangere”.34

(7:11) E quando terminarono i loro canti i vassalli Quetzalcóatl disse loro:“Vecchi e servi miei: lascio la città; intraprendo il mio cammino. Date ordineche mi preparino una cassa di pietra”.(7:14) E in tutta velocità essi ecero la cassa di pietra. Quando u terminata,

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 vi distesero Quetzalcóatl.(7:16) Ed egli stette quattro giorni in quel coano di pietra. Recuperò la suasalute e si alzò il quarto giorno.35

Disse quindi: “Vecchi miei, miei servitori: andiamo. Chiudete tutto,nascondete tutto ciò che abbiamo scoperto: era ricchezza, era allegria, eratutto il nostro bene e i nostri beni!” Questo ecero i servi. Occultarono tuttodove era il bagno di Quetzalcóatl. Luogo che si chiama oggi Spondadell'Acqua, luogo del muschio acquatico [Atecpan, Amoxco].

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APPENDICE IV

La classifcazione dei maguey di Francisco Hernández

Francisco Hernández u il botanico e proto-medico che negli anni '70 del 1500, per volontà del re di Spagna Filippo II, diresse una spedizione scientica nei nuovi territori

americani conquistati dagli Spagnoli; u autore di un'importante opera di classicazionedelle piante e degli animali dellaNueva España. Di seguito viene ornita la traduzioneitaliana della parte che tratta delle piante di Agaveo maguey, da diverse delle quali imessicani ricavano bevande inebrianti, in particolare il pulque. La seguente traduzione èstata svolta sull'edizione: Francisco Hernández, 1959 (1571-6),Historia natural de NuevaEspaña, 2 voll., Universidad Nacional de México, México D.F. (vol. 1, pp. 348-354)

Libro VIII, Capitolo LXXI

Del METL o magueyGetta uori il METL una radice grossa, corta e brosa,oglie come quelle dell'aloe ma molto più grandi e piùgrosse, in quanto a volte hanno la longitudine simile aquella di un albero medio, con spine da entrambi i lorolati e terminate in una punta dura e acuta; stelo tre voltepiù grande e alla sua estremità ori gialli, oblunghi,stellati nella loro parte superiore, e più tardi seme moltosimile a quello dell'asodelo. Sono quasi innumerevoli gli

usi di questa pianta. Tutta intera serve come legna e perrecintare i campi; i suoi steli sono utilizzati come legno;le sue oglie per coprire i tetti, come tegole, come piatti o

 vassoi, per are papiro, per are lo con cui si abbrica

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calzatura, tele e tutti i tipi di vestiti che da noi si è soliti are di lino, canapa, cotone omateriale simile. Dalle punte si anno chiodi e spine, con le quali gli indios erano solitiperorarsi le orecchie per morticare il corpo quando rendevano culto ai demoni; annoanche spilli, aghi, triboli da guerra e rastrelli per cardare la trama delle tele. Dal succo cheuoriesce e che distilla nella cavità centrale [ottenuta] tagliando i germogli interni o ogliepiù tenere con coltelli diiztli(e del quale a volte una sola pianta produce cinquantaanore), producono vini, miele, aceto e zucchero; questo succo provoca le regole, calma il

 ventre, provoca l'urina, pulisce i reni e la vescica, rompe i calcoli e lava le vie urinarie.Anche dalla radice abbricano corde molto resistenti e utili per molte cose. Le parti piùgrosse delle oglie così come il tronco, cucinate sotto terra (modo di cucinare che ichichimechi chiamanobarbacoa), sono buone da mangiare e sanno di cedro condito conzucchero; chiudono inoltre in modo ammirevole le erite recenti, poiché il suo succo,reddo e umido, diventa glutinoso quando viene arrostito. Le oglie arrostite e applicatecurano la convulsione e calmano i dolori, anche quelli che provengono dalla pesteindiana, soprattutto se si beve il medesimo succo caldo; diminuiscono la sensibilità eproducono sopore. Mediante distillazione si a più dolce il succo e mediante cottura piùdolce e più denso, sino a che si condensa in zucchero. Si semina questa pianta mediantegermogli, che spuntano attorno alla pianta madre, in qualunque suolo, maprincipalmente in quello ertile e reddo. Questa pianta da sola potrebbe acilmenteprocurare tutto il necessario per una vita rugale e semplice, poiché non vienedanneggiata dai temporali né dai rigori del clima, né la siccità l'appassisce. Non v'è cosache dia maggior rendimento. Si a vino dal medesimo succo diluito con acqua eaggiungendovi cortecce di cedro e di limone,quapatlie altre cose per ubriacare

maggiormente, al quale questa gente è in particolar modo aezionata, come se ossestanca della sua natura razionale e invidiasse la condizione delle bestie e dei quadrupedi.Dal medesimo succo senza porlo sul uoco, gettandovi radici diquapatliesposte al soleper un certo periodo di tempo e schiacciate, e tirandole poi uori, si a il chiamato vinobianco, molto efcace per provocare la urina e pulire i suoi condotti. Dallo zuccherocondensato [ricavato] dal medesimo succo si prepara aceto sciogliendolo in acqua che simette al sole poi per nove giorni. Vi sono molte varietà di questa pianta, di cui parleremoin seguito. Dicono che il succo dimetlin cui siano state cotte radici di piltzintecxóchitle dimatlalxóchitlcura i punti delle ebbri.

Libro VIII, Capitolo LXXIIDel MECOZTLI o maguey gialloE' una specie dimetl, ma con i margini delle oglie gialle, spine piccole e nere, oglie

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piccole rispetto a quelle delmetlprecedente, stelo alto due cubiti, largo un dito e di colorrosso, con ore nell'estremità rosso e giallo, e radice ramicata. Il succo di tre o quattrooglie al quale si aggiungono tre peperoni, evacua poco a poco gli umori reddi e crassiattraverso il condotto ineriore e l'urina; gli indios sono soliti amministrarlo alle donnealcuni giorni dopo il parto per rinorzarle. Il succo spremuto delle oglie rosolate diconoche allieva l'asma. E' di natura redda e mucillaginosa. Alcuni lo chiamanocoztícmetlemacoztícmetl, e altrihoéimetl, che signicadi grande utilità. Nasce in luoghi campestri delMessico in qualunque stagione, sebbene orisca solamente in estate. Si semina mediantegermogli che spuntano vicino alla pianta madre.

Libro VIII, Capitolo LXXIIIDel TLACÁMETL o maguey grandeE' una specie dimetlquasi della medesima orma e proprietà degli altri e con i medesimiusi; ma specialmente da vigore e orza alle donne deboli o che sorono troppo. Gli è statodato questo nome per la sua dimensione.

Libro VIII, Capitolo LXXIVDel MEXCÁLMETL o maguey buono da mangiare arrostoE' una specie piccola dimetl, molto spinosa e di un verde molto vivo, le cui oglie simangiano arrosto e sono più saporite delle altre. L'ho incontrata nei montitepoztlanenses.

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Libro VIII, Capitolo LXXVDel MEXÓCOTL o maguey di prugneE' una pianta spinosa e che appartiene anch'essa ai generi dimetl, ma con rutto dolce eacido, numeroso e simile a prugne, da dove viene il suo nome, e raggruppato in una serache assomiglia no a un certo punto a una pigna delle Indie; è della dimensione cheabbiamo disegnato e a volte più grande, ed è pieno di succo commestibile e di saporegradevole. Le oglie sono come dimetl, o meglio come di pigna delle Indie, spinose, ulve,e come appassite. La radice è brosa e spessa, il usto corto, cilindrico e spesso; i rutti

sono oblunghi, brillanti, simili a ghiande, bianchi con giallo e coperti di una membranadentro alla quale è contenuta una polpa molto bianca e, come abbiamo detto, dolce eacida, di una sapore come di pigna delle Indie e piena di semi bianchi inizialmente e poineri, rotondeggianti e un po' duri. Il suo temperamento è reddo e secco. Il ruttomasticato e conservato in bocca cura le ulcere della stessa che originano dal calore. Nascesulle rocce delle regioni calde diTepecuacuilco.

Libro VIII, Capitolo LXXVIDel TEPEMEXCALLIN o maguey del monte

Ha l'aspetto delmetl, ma con spine esili. Schiacciato e mangiato o spalmato, cura learticolazioni private di movimento a causa delle convulsioni dei nervi. E' caratteristico deiluoghi montuosi e rocciosi di regioni calde, come è latepoztlánica.

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Libro VIII, Capitolo LXXVIIDel TEÓMETL o maguey divinoE' una specie dimagueyche si deve includere ra le altre che qui si descrivono, quasi delmedesimo aspetto e proprietà, con radice lunga e brosa e spine esili; le oglie sonolunghe solo due palmi. Il suo succo bevuto o spalmato toglie la ebbre. Nasce in luoghireddi o caldi, alti o campestri.

Libro VIII, Capitolo LXXVIII

Del XOLÓMETL o maguey del servoE' una specie dimetlcon radice ormata come da tre serette unite e con bre rossicce, dadove spuntano oglie con spine scarlatte, rade e che appaiono a partire della parte mediasino alla punta. Il succo spremuto delle oglie, preso in quantità di dieci once, risolve idolori di tutto il corpo e principalmente delle articolazioni, e restituisce il movimentoimpedito. Ma durante il tempo in cui si beve, si deve coprire il corpo con moltaattenzione. Nasce inHuexotzinco, lungo le sponde dei umi.

Libro VIII, Capitolo LXXIX

Del XOTLACTLI o limpidezza di rocciaE' un albero con oglie simili a quelle del lirio ma più larghe, più spesse, molto aspre enemente seghettate, e ore simile a quello delmetl, del quale orse è una specie sebbeneraggiunga la dimensione di un albero; la radice è spessa e si assicura alla terra mediante

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bre rosse. Adorna i giardini dei re e dei caudilli, ma non ha, ch'io sappia, alcun altroutilizzo.

Libro VIII, Capitolo LXXXDel PATI o metl dal quale si anno fli molto fniAssomiglia almetl, ma con oglie più strette, minori, piùesili, purpuree nella loro parte superiore, e radice brosae spessa. E' una specie della detta pita; da essa siabbricano li molto ni molto apprezzati e adatti pertessere tele preziose.

Libro VIII, Capitolo LXXXIDel QUETZALICHTLI o maguey simile al quetzalli o alle

 piume del quetzaltótotlLo QUETZALICHTLI, che altri chiamanometl de pita,sem-bra appartenere alle specie dimetl. Raggiungel'altezza di un albero, ha radice spessa, brosa e che siassottiglia gradualmente, e oglie spinose e simili a quelledelmetl. Si a da questo tutto ciò che si è soliti are dal

metl, ma con i suoi li si abbricano tele più delicate e tenute in maggior stima. Nasce inluoghi caldi diQuauhquechullae Mecatlan.

Libro VIII, Capitolo LXXXII

Del NEQUÁMETL o bevitore di mieleE' una specie dimetlsimile nelle proprietà alle sue congeneri. Lo stelo e il rutto hanno unaspetto singolare; lo stelo ha lo spessore di un braccio, e nella punta, coprendolo da tuttele parti, v'è il rutto, oblungo, con orma di piccole pere; le oglie sono spesse poco più diun dito, aspre nei lati e con punta molto acuta. Nasce in luoghi caldi, come sono iquauhnahuacenses.Vi sono molte altre specie dimetl, alle cui immagini aggiungerò solo i nomi e i luoghi incui nascono, per avere quasi tutte le medesime proprietà ed essendo poco dierentinell'aspetto. La prima si chiamamexoxoctlicioèmetl verde. La secondanéxmetlper il suo

colore cenerino. La terzaquámetlomaguey del monte, ed è scolorito, con radice brosacon aspetto di germoglio spesso e lungo. La quarta si chiamahoitzitzílmetl, ed ha spinelunghe di color porpora, così come le radici. La quinta è iltapayáxmetlomaguey tapaya-xin, quasi uguale al precedente.

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La sesta si chiamaacámetlossiamaguey arundineo, le sue oglie sono più bianche vicinoalla radice e le sue spine e radici rosse. La settima si chiamamaguey negroper il suocolore scuro, sebbene le spine e le radici sono nere ulve. L'ottava è loxilómetlometlcapelluto, con spine e radici rosse e un poco più rade che nelle specie precedenti.

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Note

1In particolare Agave atrovirensKarwinsky ex Salm-Dick e Agave americanaL. e le sue numerose varietà. In Messico sono diuse oltre 130 specie del genere Agave, di cui almeno 25 sonoutilizzate per la preparazione di bevande inebrianti, sia ermentati che distillati (pulque, suguí,mezcal, tequila, pisto, ecc.); da alcune altre specie vengono ricavate bre usate per la abbrica-

zione di tessuti, ra cui Agave sisalanaPerrine e Agave ourcroydesLem.2Iltlacámetlè identicabile con Agave atrovirensKarw.3Ilcuartilloè un'unità di misura per liquidi equivalente approssimativamente a 0,5 litri.4Si veda oltre la discussione di Johansson riportata nel paragrao “Il pulque nei periodi pre-ispanici”.

5Nella II° Carta datata al 1520, cr. Cortés, 2009, p. 138.6Palmer, 1933: 101, cit. in Gonçalves da Lima, 1986, p. 14.7Si veda ad esempio un articoletto dellaDomenica del Corriere, vol. 23 del 17 aprile 1921, p. 5titolato “La paglia che inebria”, così come le numerose discussioni in merito in diversi orum inInternet. L'articoletto della Domenica del Corriere riporta: “Quando ordinate una bevanda

ghiacciata, il cameriere vi porta delle lunghe paglie per succhiarla. Il motivo è semplicissimo:succhiato in questo modo, il liquido può ltrare lentamente giù per la gola, in modo daraggiungere la temperatura del corpo prima di arrivare allo stomaco; in tal modo è di moltodiminuito il pericolo di crampi prodotti dal reddo. Coi vini ghiacciati, invece, le paglie nonsono mai adoperate. Se lo ossero sarebbero assai requenti i casi di solenni ubriacature anche trale persone per bene. Una bevanda alcolica, assorbita attraverso la paglia, provoca una rapidaebbrezza. Quando la birra o il vino sono bevuti col bicchiere, essi raggiungono rapidamente lostomaco e, purché siano bevuti in quantitativi moderati ledono difcilmente il cervello. Seinvece il bevitore si provasse a succhiarli colla paglia, il sottile lo d'alcol ha la possibilitàmassima di annebbiare il suo cervello e presto lo riduce in uno stato di completa sbornia. A un

bevitore indurito u dichiarato un giorno ch'egli non sarebbe riuscito a bere colla paglianemmeno due litri di birra. Siccome tale misura era di molto ineriore al quantitativo che disolito tracannava, egli rise alla proposta e subito accettò la scommessa. La prima bottiglia uportata ed egli la succhiò colla paglia com'era inteso. Poi disse: 'E una, portatemi l'altra'. Nonaveva nito di parlare che cadde a terra ubriaco radicio”.

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Un medico a cui ho esposto la questione ha risposto come segue: “Il enomeno può avere a che arecon la modalità di transito del liquido all'interno della cavità orale.Se si prova a suggere da unacannuccia un liquido qualunque ci si accorge che non vi e' modo di deglutirlo in maniera uidacosi' come accade bevendolo da un bicchiere o a collo da una bottiglia, bensì giunge alle prime

 vie digestive in tre tempi, cioè aspirazione, immagazinamento all'interno della bocca e inne

deglutizione. La soluzione del problema è durante il secondo tempo, cioè nell'immagazinamentoall'interno della bocca: la mucosa della bocca e della lingua nonché il palato sono ricche di

 vascolarizzazione capillare per via della presenza delle papille gustative. Gia' a questo livellol'alcool viene assorbito in grande quantità per arrivare direttamente al cervello bypassando ladigestione enzimatica gastroepatica, accorciando cosi' i tempi e raorzandone il potere ine-briante”.

8Il passo si trova nel vol. 2, p. 370 dell'edizione del 2009 curata da León-Portilla: “Pues deborrachos, no lo sé decir, tantas suciedades que entre ellos pasaban; sólo una quiero aquí poner, quehallamos en la provincia de Pánuco, que se embudaban por el sieso con unos cañutos, y sehenchían los vientres de vino de lo que entre ellos se hacía, como cuando entre nosotros se echa una

medicina”. Il termineembudabanproviene daembudo, “imbuto”, ed evidenzia l'atto di introdu-zione di un liquido; il terminesiesoindica in spagnolo l'ano insieme alla parte nale dell'inte-stino e viene quindi qui tradotto con “retto”.

9Passo riportato nella “Relación de la Conquista que hizo Nuño Beltrán de Guzmán. AnonimaSegunda”, datato attorno al 1530, pubblicata in AA.VV., 1963: 315-327.

10Questa notizia doveva risultare come una singolare curiosità, appetibile per quegli europeiletterati che erano assetati di notizie sul nuovo mondo da poco scoperto dagli Spagnoli.Probabilmente per questo motivo u riportata in diversi scritti ction che urono prodotti nelXVI secolo da autori che non erano mai stati nel nuovo mondo e che si basarono, oltre che sullaloro antasia, sugli scritti di Cortés, Díaz del Castillo e altri veri testimoni della Conquista. Una

certa ortuna ebbe laRelación de la Nueva España, scritta da un autore chiamato ConquistadorAnónimo, che si ece passare per un uomo al seguito della spedizione di Cortés, e di cui ci èpervenuta una traduzione italiana (da un originale spagnolo, orse da Siviglia) datata al 1556,edita a Venezia dalla casa editrice Giunti, inserita all'interno della raccolta di viaggiDelleNavigatione et viaggicurata da Giovanni Battista Ramusio. Il Conquistador Anónimo riportò iltema dell'assunzione rettale del pulque presso le genti native di Pánuco, aggiungendo considera-zioni di cui non sono chiare le origini, se puramente antasiose o se basate su onti orali ascoltatea quei tempi dall'autore: “particolarmente in quella di Panuco adorano il membro che portanogli huomini ra le gambe, & lo tengono nella meschita [moschea, maniera arabizzante perindicare il tempio], & posto similmente sopra la piazza insieme con le imagini de rilievo di tutti

modi di piaceri che possono essere ra l'huomo & la donna, & gli hanno di ritratto con le gambealzate di diversi modi. In questa provincia di Panuco sono gran sodomiti gli huomini et granpoltroni & imbriachi, in tanto che stanchi di non poter bere più vino per bocca, si colcano [sisdraiano a pancia in su] & alzando le gambe se lo anno metter con una cannella per le parti disotto n tanto che il corpo ne puo tenere.” (Conquistador Anónimo, 1986, par. 27, pp. 128-130).

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11In maniera alquanto convincente Baudot (1991: 345-380) ha attribuito il manoscritto a Martínde la Coruña, con una datazione al 1549.

12Nella versione data da Sahagún (III, IV, 6), prima di ubriacare Quetzalcóatl, Tezcatlipoca glipresagì che sarebbe tornato a Tula sotto l'aspetto di un bambino (si veda L'ubriachezza diQuetzalcóatl). Graulich & Oliver (2004: 137) hanno ipotizzato che il pulque osse ritenuto

ringiovanire o addirittura contribuire alla rinascita. Stresser-Péan (1971: 597) ha riportato che ildio huasteco della terra e del tuono era anche il dio dell'ubriachezza ed era capace quandoubriaco di tornare giovane.

13“Ilitlanexillo, che altri chiamanoteatlapallioala di pietra, ha radici assomiglianti a dei capelli dadove nascono steli purpurei, cilindrici e sottili, e in questi oglie piccole a orma di cuore; non hané ore né rutto. Le oglie sono di natura redda, secca e astringente, di sapore dolce e conproprietà per arrestare la dissenteria. Anche la radice è redda, secca e dolce, ma non astringente;si mescola con l'octlio vino di maguey che chiamano pulquecon lo scopo di dargli orza emaggiore efcacia per stravolgere la mente. Alcuni la classicano ra le specie di capelvenere dipozzo. Nasce nella regione calda di Xicotépec” (Hernández, Libro III, Cap. XL).

14“E' loquauhchílzotlun piccolo arbusto simile allo spino cervino, con oglie bianchicce come dileguminosa o di mumularia e ori gialli. La radice mescolata conmetlproduce vino. Lacorteccia, che è simile a quella dell'alcornoquecura le ulceri; tostata e macinata cura lebruciature. E' di natura redda e umida, o un poco calda. E' dolce. Nasce in luoghi montuosi ecaldi, come sono i quauhnahuacenses e i teucaltzincenses” (Hernández, Libro III, Cap. CL).

15“Ilquapatli, che alcuni chiamanotlapatliossia medicina piccola, e altriocpatliossia condimentodel vino, è un arbusto che getta, da alcune radici ramicate, steli ulvi pieni di oglie come dimízquitl, piccole ed esili, e baccelli di dimensione media. La corteccia è rossa, secca e astringente,con amaro un poco dolce, e la sua cottura cura le dissenterie, in particolare se gli si aggiungechichicpatli. La medesima corteccia pulisce perettamente i denti e li consolida, allevia la tosse, a

crescere la carne e mescolata al vino dimetlo a qualche altro liquore provoca l'urina in manieraammirevole, un atto che è stato comprovato per esperienza quotidiana, aumentando inoltre laorza inebriante del vino” (Hernández, Libro XVI, Cap. LII).

16“Copalotile: è un liquore molto usato dagli Indios, molto caldo e dannoso. Si prepara con il semedell'Albero del Peru, quando è colorato, ermentato con Pulquetlachiqueper uno o due giorni”(Wilson, 1963: 506).

17Ordinanza sul pulque di Luis de Velasco, datata al 16 agosto 1608, riprodotta integralmente inHernández Palomo, 1979, pp. 433-5.

18Ordinanza del Conte di Revillagigedo, 1755, riportata per esteso in Hernández Palomo, 1979:438-446.

19Tzitzimitl, essere mostruoso emminile genitrice delletzitzimine.20Signica “Quetzal salice”.21Signica “Albero ore”.22 Tzitzimine, spiriti tenebrosi dell'aria che scendevano sulla terra per terrorizzare gli uomini e permangiarli.

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23L'unione dei due rami sottintende un rapporto copulativo ra Ehécatl e Mayahuel.24La radice dell’upactli, oocpatli(“rimedio del pulque”), è uno degli additivi rinorzanti che venivano normalmente aggiunti alla bevanda durante la ermentazione (si veda Il problemadegli additivi del pulque).

25Dametl, “maguey”,cónetl, “ragazzo” etzin, sufsso reverenziale o diminutivo.26La parte del racconto che tratta della storia del ragazzo plebeo Tobueyo di cui si innamora laglia del re, appartiene a un racconto nahua più noto come “storia di Tohuenyo”. Si tratta di unracconto dalle connotazioni sessuali, di cui una versione è data da Sahagún (III, V-VI) e un'altraè presente nel Codice Matritense (ogli 142-144), quest'ultima presentata e discussa da Léon-Portilla (1963). In diversi casi è stato trascritto erroneamente il nome di Tobueyo, mentre quellocorretto è Tohueyo o Tohuenyo, la cui etimologia è “ciò che costituisce la nostra oerta”, ma ilcui signicato corrente presso i Nahua era quello di “orestiero” o “straniero”. Nel raccontooriginale la glia del re si innamora del ragazzo dopo averlo visto al mercato e piùspecicatamente dopo aver visto il suo pene. La ragazza in conseguenza di ciò sore di mald'amore e il re obbliga Tohuenyo a giacere con lei con lo scopo di guarire sua glia. Tohuenyo

diventa quindi lo sposo della principessa, ma ciò genera malumore ra i toltechi e il re decidequindi di inviare il suo nuovo genero in guerra, speranzoso che ne rimanga ucciso. MaTohuenyo ne esce vincitore e viene quindi accolto dal re e dalla popolazione come un grandeguerriero, meritevole della sua posizione di genero reale. Nella versione data nel CodiceMatritense viene specicato che Tohuenyo è in realtà un travestimento di Titlacahuan-Tezcatlipoca, che altro non è che uno dei tre stregoni-dei che si cimenteranno nel cacciareQuetzalcoátl, principe-sacerdote regnante sui Toltechi, dalla sua città Tula. Quetzalcoátl vieneatto ubriacare con il pulque dai tre stregoni e per questo abbandonerà la città per raggiungere lariva del mare, dove si trasormerà nella stella del mattino (si veda L'ubriachezza di Quetzalcoátl).Esiste quindi un sottile legame semantico ra la leggenda di Xóchitl e il racconto mitologico ed

etnostorico di Quetzalcoátl, uniti dal tema del pulque.27Più precisamente, come rierito dal medesimo Sahagún, a Tula v'erano due Quetzalcóatl: ilprimo era la divinità creatrice dell'uomo, considerata a rango di “divinità doppia” e di EssereSupremo; il secondo Quetzalcóatl, Topiltzin Quetzalcóatl, era una specie di personalità religiosa,di principe-sacerdote supremo, in denitiva una specie di “uomo-dio” (cr. Carrasco, 1979). E' aquesta seconda gura di Quetzalcóatl che si rierisce il mitologhema della sua ubriachezza.

28Probabilmente si deve leggere Tlillan-Tlapallan, sebben i testi di Firenze e Madrid danno lalettura del castigliano (Ángel María Garibay).

29Bierhorst traduce con “Essi erano coloro che avevano scoperto i piccoli alveari del miele d'albero[cioè miele d'api] e u con questi che decantarono il pulque”; ma questa traduzione è discutibile,

in quanto non è concretamente possibile decantare il pulque dentro agli alveari delle api; inoltre,Gonçalves da Lima (1986: 39-40) ha atto notare come in una ase arcaica dell'uso del pulque

 venivano usati contenitori per il miele d'api.30Bierhorst traduce con “è una spina”, indicando che probabilmente si tratta di un gioco di parole,in quanto “spina” (huitztli) è un sinonimo di pulque.

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31Pratiche di autolesionismo religioso devozionale azteco, mediante perorazione della pelle conspine di maguey, sono state riportate da diversi autori antichi, ra cui Sahagún (III, III, 4) e glistessi Annali di Cuauhtitlan(IV, 37-39).

32Bierhorst traduce in maniera alquanto dierente: “Mai una porzione [di pulque] era stataconsiderata nella mia casa. Sia pure qui, ah, sia pure qui, qui. Ahimè! Possa il regno soprav-

 vivere. Ahimè! C'è solamente miseria e servitù. Non recupererò mai”.33Bierhorst traduce: “Ah, ella era solita tenermi, ahimè, mia madre, ah, Coacueye, la dea, la nobile”.34Garibay traduce: “Il legno rosso si ruppe: e qui stiamo piangendo”.35Bierhorst traduce in maniera dierente, con un senso opposto a quello dato da Garibay:“Quando si sentì a disagio, disse ai suoi servitori”.

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Finito di editare nel ebbraio 2012per conto di Triana Ediciones, Sevilla

Utilizzato il soware OpenOfce e il carattere open-source Minion Pro Med

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Il pulque è una bevanda psicoattiva ottenuta mediante la fermentazione della linfadi diverse specie di Agave e l'aggiunta di svariati additivi vegetali, utilizzata sin daitempi preistorici dagli Aztechi e da altre popolazioni del Messico centrale. In

questo saggio l'autore espone un approfondito studio sulla storia, le valenzesimboliche, gli aspetti rituali e mitologici di questa bevanda, soermandosi suaspetti poco studiati, quali la somministrazione di un particolare tipo di pulque aiprigionieri in procinto di essere sacricati, l'elaborazione di un complesso sistemadi divieti e di permessi dell'utilizzo della bevanda nella società azteca, il problemadegli additivi del pulque, il concetto del “quinto pulque”, inteso sia come supera-mento del dosaggio limite socialmente accettato, sia come bevanda esclusiva dellacasta prelatizia per il contatto con i “quattrocento conigli” – le divinità del pulque–, sino a giungere al divieto di questa bevanda tradizionale e alla successiva volga-

rizzazione del suo consumo nei tempi coloniali.

Giorgio Samorini, nato a Bologna nel 1957, è un ricercatore specializzato negli aspettifenomenologici delle droghe, in particolare nell'etnobotanica e antropologia delle fontitradizionali psicoattive. Ha collaborato con diverse istituzioni europee, sia nel campo dellaricerca scientica che nella formazione. Fra i suoi libri più noti,Funghi allucinogeni. Studietnomicologici, Animali che si drogano,Gli allucinogeni nel mito. E' curatore del sito web

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