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Cesit Centro Studi sistemi di trasporto collettivo “Carlo Mario Guerci” Piazza Bovio 14 80133 Napoli Working paper series n. 11 2012 1 IL PROJECT MANAGEMENT NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: LEVA PER IL CAMBIAMENTO O MECCANISMO BUROCRATICO DI CONTROLLO? Paolo Canonico, Ernesto De Nito, Gianluigi Mangia, Vincenza Esposito Premessa e obiettivi del paper Il paper si concentra sulle implicazioni organizzative derivanti dall'applicazione di una logica di project management all'interno di una Pubblica Amministrazione. In particolare, l'obiettivo principale può essere sintetizzato nella comprensione degli effetti che derivano sui meccanismi di controllo. Partendo da questo obiettivo, si deve preliminarmente prendere atto della grande rilevanza che il tema del PM ha nel dibattito manageriale, soprattutto in ragione della assai significativa importanza “pratica” e “operativa” (Whittington et al., 1999), particolarmente evidente in alcuni settori specifici (ad esempio, secondo un'opinione assolutamente consolidata, nelle società di ingegneria, nelle società di consulenza, nelle imprese con cicli di produzione su commessa...) (Ekstedt et al., 1999). Oltre a ciò, si consideri che lo studio del project management ha anche un marcato significato operativo, in ragione degli effetti che si producono sui livelli di performance, nelle organizzazioni che vi fanno ricorso.

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Working paper series n. 11 2012

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IL PROJECT MANAGEMENT NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: LEVA PER IL CAMBIAMENTO O

MECCANISMO BUROCRATICO DI CONTROLLO?

Paolo Canonico, Ernesto De Nito, Gianluigi Mangia, Vincenza Esposito

Premessa e obiettivi del paper

Il paper si concentra sulle implicazioni organizzative derivanti dall'applicazione di una

logica di project management all'interno di una Pubblica Amministrazione. In

particolare, l'obiettivo principale può essere sintetizzato nella comprensione degli effetti

che derivano sui meccanismi di controllo.

Partendo da questo obiettivo, si deve preliminarmente prendere atto della grande

rilevanza che il tema del PM ha nel dibattito manageriale, soprattutto in ragione della

assai significativa importanza “pratica” e “operativa” (Whittington et al., 1999),

particolarmente evidente in alcuni settori specifici (ad esempio, secondo un'opinione

assolutamente consolidata, nelle società di ingegneria, nelle società di consulenza, nelle

imprese con cicli di produzione su commessa...) (Ekstedt et al., 1999). Oltre a ciò, si

consideri che lo studio del project management ha anche un marcato significato

operativo, in ragione degli effetti che si producono sui livelli di performance, nelle

organizzazioni che vi fanno ricorso.

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Per quanto riguarda, più in particolare, la pubblica amministrazione, si deve riconoscere

come l'implementazione di progetti all'interno della pubblica amministrazione (PA)

rappresenta oggi un tema di grandissimo interesse: vi è, infatti, l'esigenza di una

profonda riforma delle logiche organizzative della PA avvertita in maniera più o meno

simile nei diversi paesi OCSE (Arnaboldi et al. 2004).

Partendo da queste considerazioni, si può ben comprendere come, negli ultimi anni, il

numero delle conferenze accademiche e degli incontri professionali sul tema

dell'efficienza del PM anche in contesti di Pubblica amministrazione sia fortemente

cresciuto (FORUMPA, 2008). Vi è infatti un corpo molto consistente di ricerche che

negli anni si sono consolidate sullo studio delle organizzazioni per progetti, partendo

dall'idea che sia possibile guardare ai progetti come ad uno strumento organizzativo per

incrementare il grado di flessibilità all'interno di contesti burocratici e marcatamente

funzionali (Buchanan e Boddy, 1992; Andersen, 2008). In particolare, alcuni studi

hanno evidenziato come, al di là di una logica frammentata relativa all’implementazione

di singoli strumenti, l’organizzazione per progetti sia in grado di sostenere un processo

di cambiamento, attraverso il raggiungimento di un obiettivo finale di maggiore

efficacia del nuovo sistema organizzativo (eliminando l’idea del controllo burocratico in

itinere relativo a singoli step), e coerente con la cultura e gli assunti di fondo che la

nuova forma organizzativa vuole realizzare (Partington, 1996).

In quest’ottica il cambiamento organizzativo viene raggiunto attraverso una logica di

progetto, in cui una struttura temporanea (il gruppo di progetto) viene costituita per

analizzare e organizzare un nuovo sistema di attività, preservando nel contempo il

funzionamento ordinario del sistema fino a quando una migliore divisione di compiti e

responsabilità non si sia stabilizzata.

Secondo altri autori, invece, il ricorso a soluzioni organizzative di project management

produce un effetto opposto determinando un incremento del grado di burocraticità e di

rigidità (Robertson e Swan, 1998; Clegg, 2004; Hodgson, 2004).

Nonostante il crescente rilievo per i practitioners, è molto interessante notare che a

parte gli studi che possono essere ricondotti alla matrice teorica della New Public

Management School, non sono molti comuni le ricerche focalizzate sul PM all'interno

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del settore pubblico e della Pubblica amministrazione (Crawford et al., 2003). Appare

quindi necessario un approfondimento sulle implicazioni organizzative derivanti dal

ricorso a forme di PM all'interno della pubblica amministrazione, impostando il

ragionamento in termini di flessibilità potenziale e di adattabilità (Volberda, 1998).

In quest'ottica, molte pubbliche amministrazioni stanno attraversando un processo di

riorganizzazione, adottando nuove strategie e modelli organizzativi differenti,

maggiormente coerenti con le sfide della competizione crescente. Anche in Italia, si

assiste a processi di cambiamento interni alla PA che cerca di individuare ed

implementare nuove soluzioni organizzative per gestire progetti complessi (Rebora e

Minelli, 2007).

1 Lo scenario teorico di partenza

Il settore pubblico deve fronteggiare oggi l'esigenza di un rapido e consistente

incremento dei livelli di efficienza, anche nell'esigenza di sostenere una contrazione

della spesa pubblica, incrementando allo stesso tempo la qualità dei servizi erogati.

In questo senso, le riflessioni teoriche riconducibili al modello del New Public

Management rappresentano un punto di riferimento nel fornire indicazioni relative alle

soluzioni ed ai modelli operativi per la gestione del cambiamento organizzativo (Ferlie,

1996; Bordogna, 2003; Campos e Lateef, 2006).

Crawford et al. (2003) affermano che l'incertezza rappresenta una delle caratteristiche

principali di cui tenere conto anche per la comprensione delle logiche di funzionamento

delle pubbliche amministrazioni. L'analisi delle logiche del PM all'interno delle

pubbliche amministrazioni può essere utilmente collegata al tema dei miglioramenti di

performance, in termini di efficienza e di efficacia ed anche alla esigenza (economica e

sociale) di modelli organizzativi più snelli, leggeri e piatti.

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E’ vero infatti che, in concomitanza con gli sviluppi teorici del NPM, in molti Paesi i

governi hanno provato a incentivare e stimolare il ricorso al project management

(Arnaboldi, 2004).

La proliferazione delle certificazioni professionali indirizzate alla gestione dei progetti

ed alla standardizzazione delle tecniche manageriali evidenzia, in misura crescente negli

ultimi anni, una forte attenzione delle organizzazioni al project management,

identificato nella pratica come supporto utile per affrontare la crescente complessità dei

problemi che il contesto moderno propone.

Lo studio del project management nelle discipline organizzative ha assunto quindi negli

ultimi anni, a livello internazionale, un orizzonte molto ampio, comprendendo contributi

estremamente diversificati tra loro.

La visione tradizionale che ancorava tali studi all’analisi degli strumenti e delle

soluzioni organizzative di supporto alla gestione per progetti è stata gradualmente

affiancata da interpretazioni del fenomeno maggiormente robuste in termini di

elaborazioni e riferimenti alla teoria organizzativa.

In particolare, alcuni autori (Söderlund, 2000; Bredillet, 2008) hanno contribuito a

evidenziare come gli studi sul project management possano pragmaticamente

avvantaggiarsi da una potenziale cross fertilization partendo dalla consapevolezza delle

finalità e degli assunti di base che li hanno ispirati e che li collocano nei differenti filoni

della ricerca organizzativa.

E’ possibile ragionare sugli scopi e sulla valenza dei contributi teorici sul project

management, ispirandosi a due possibili chiavi di lettura:

1) la prima analizza le finalità organizzative relative alla costituzione e alla conduzione

del progetto studiato (Turner e Muller, 2003)

2) la seconda ripercorre e mette in luce la collocazione delle opzioni teoriche che

ispirano lo studio del progetto (Söderlund, 2004).

In questo articolo si utilizzerà una prospettiva di analisi del project management basata

sul suo potenziale utilizzo all’interno dei processi di cambiamento organizzativo,

ragionando dunque sul binario degli scopi (più o meno esplicitati) relativi alla

costituzione e alla conduzione del progetto (Turner e Muller, 2003; Partington, 1996).

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E’ utile peraltro richiamare che tale oggetto di studio è stato affrontato in letteratura sia

partendo da una prospettiva mainstream, nella quale l'idea principale può essere

associata all’identificazione analitica ed oggettiva delle soluzioni organizzative, dei

sistemi di controllo e delle competenze manageriali di supporto alla gestione dei

processi di cambiamento, sia invece da una posizione critical, in cui i temi collegati alla

progettazione organizzativa sono definiti in funzione dell'obiettivo attribuibile alle elites

manageriali di incrementare la propria capacità di controllo e dominio su sistemi di

attività particolarmente complessi (Hodgson e Cicmil, 2006).

La contrapposizione con il mainstream proposta dal filone critical è spesso

autodichiarata con toni strumentalmente enfatici per rimarcare un maggiore potenziale

esplicativo di quest’ultimo, a fronte delle difficoltà del primo (Stacey, 2000). Peraltro la

schematizzazione che vede nel filone mainstream una esclusiva tendenza alla

normatività e alla prescrittività può finire con lo schiacciare un dibattito molto aperto

anche su quel versante, evidentemente tutt’altro che omogeneo e coeso.

Gli studi mainstream sul project management nei processi di cambiamento

organizzativo hanno ad esempio via via adottato metodologie di stampo interpretativista

e rivalutato la dimensione culturale e l'esigenza di innovazione, determinando uno

spostamento del focus di analisi da una logica più marcatamente hard centrata sulla

pianificazione e sulla ricerca di criteri formali di ottimizzazione, a favore di una visione

diversa più soft e maggiormente focalizzata sul coordinamento e sul ruolo rivestito dalle

risorse umane.

Tale evoluzione ha contribuito allo sviluppo di una visione interdisciplinare del concetto

di project management, fatta di pratiche che opportunamente integrate dovrebbero

consentire una efficiente gestione delle diverse fasi di attività, nel rispetto dei vincoli di

tempo, costo e qualità, prestando la giusta attenzione a temi quali il controllo del

rischio, all'efficacia della comunicazione.

Alcuni autori (Bresnen et al., 2003; Winter et al., 2006) hanno indagato l'effettiva

utilità della strumentazione tradizionalmente utilizzata per la gestione dei progetti e lo

sviluppo di percorsi di cambiamento. Nella loro visione, il focus si dovrebbe spostare

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dal problema della misurazione dei livelli di efficienza alla comprensione della natura

dei progetti come archetipo organizzativo.

Volendo studiare la relazione tra project management e cambiamento organizzativo il

nodo da affrontare risiede indubitabilmente nella comprensione degli effetti di maggiore

o minore burocratizzazione prodotta dall'introduzione di una logica di progetto (Clarke,

1999; Hobday, 2000; Hodgson, 2004; Lindkvist, 2006). Il maggiore problema è che

nonostante i punti di contatto tra le organizzazioni project based e le organizzazioni

adhocratiche, non è semplice definire esattamente la relazione tra PM e burocrazia.

Su questo in particolare si è soffermato il focus della prospettiva critical, che tende ad

esasperare i rischi di porre un'enfasi troppo marcata sugli aspetti razionalistici e sulla

intenzionalità dell'azione, evidenziando come in entrambi i casi si tratta di aspetti che

nei fatti non ricorrono nella realtà.

Seguendo l'opinione di Linehan e Kavanagh (in Winter et al. 2006), è possibile

distinguere due dimensioni ontologicamente differenti quando si passa a ragionare sulla

natura del progetto: being and becoming. I due autori non affermano che l'approccio

being sia sbagliato, ma che piuttosto è necessario includere anche l'altra prospettiva del

becoming, al fine di poter meglio comprendere e descrivere la realtà empirica dei

progetti. In particolare, quando si approfondisce lo studio degli effetti del PM sui

meccanismi di controllo è importante sottolineare la presenza dei due aspetti ora

richiamati. Infatti, Hodgson afferma (2004, p.88): “Project Management can be seen

[..] as a bureaucratic system of control based on the principles of visibility,

predictability and accountability. […]. At the same time, Project Management draws

upon the rhetoric of empowerment, autonomy and self-reliance central to post-

bureaucratic discourse”. Secondo questa visione, il project management rappresenta

una soluzione per integrare la natura burocratica del controllo con lo scambio di

conoscenza potenzialmente rinvenibile all'interno dei gruppi di lavoro.

2 Gli effetti prodotti dal PM sui sistemi di controllo

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3.1 Gli effetti prodotti dal PM sui sistemi di controllo

Il tema del controllo è da tempo al centro del dibattito scientifico in quanto considerato

quale variabile essenziale per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi (Kirsch,

1996). Secondo Kirsch (1996), è possibile distinguere due categorie principali di

meccanismi di controllo:

formale (basato sull’osservazione del comportamento e/o la verifica dei risultati) e

informale (clan e self-control).

I meccanismi di controllo formali sono direttamente correlati alla possibilità di gestire

informazioni. In particolare, quelli collegati alla dimensione comportamentale sono

basati sul controllo dei processi di trasformazione, dove la variabile chiave è la

conoscenza. Ouchi (1979) afferma che solo quando si ha una perfetta conoscenza del

processo, è possibile implementare questa tipologia di meccanismi. I sistemi di

controllo basati sul risultato sono, invece, collegati alla possibilità di misurare i risultati

dell’organizzazione.

Lindkvist et al. (1998:40) sostengono che la frequente adozione di “tests and other

similar forms of formal control mechanisms can create a sense of shared responsibility

for vital sub-parts of the system and encouraged interfunctional dialogue and

compromise”.

Esiste una relazione diretta tra il grado di formalizzazione e di standardizzazione e la

possibilità di adottare sistemi di controllo formali (Walton, 2005).

I meccanismi informali si basano sull’adozione di norme sociali e valori culturali. Ouchi

(1979) identifica il concetto di clan come meccanismo sociale atto a controllare i

membri dell’organizzazione. E’ evidente che, seguendo questa ipotesi, i valori comuni

giocano il ruolo principale, producendo una sorta di isomorfismo nel comportamento

dei membri.

L’ultima tipologia definita come self control (Kirsch, 1996) rimanda all’idea di self-

management: ciascun membro dell’organizzazione definisce in modo autonomo il

proprio comportamento, i propri obiettivi, monitora il proprio lavoro e, se necessario, si

premia o si sanziona (Kirsch, 1996).

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La concettualizzazione del controllo manageriale all’interno della gestione dei progetti

può essere realizzata enfatizzando aspetti differenti, dalla standardizzazione del

comportamento (procedure, regole formali) alla cultura organizzativa e all’identità

individuale. Generalmente, nella retorica manageriale, maggiore enfasi è data al disegno

ed all’implementazione di meccanismi di controllo burocratici ed impersonali, in cui

l’elemento culturale è meno evidente (Alvesson, Wilmott, 2002). La cultura e l’identità

sono tipicamente considerati dagli accademici come un modo per “liberare” gli

individui dal controllo centralizzato e burocratico (Ezzamel, Wilmott, 1998).

All’interno degli studi sul project management, seguendo l’idea di controllo formulata

da Clegg e Courpasson (2004), è possibile identificare tre tipologie:

� Reputazionale;

� Calculative;

� Professionale.

Il primo è costituito da due differenti componenti: il primo di tipo gerarchico e il

secondo “alla pari”. Il controllo reputazionale utilizza l’alta reputazione dei membri per

mantenere determinate posizioni e marginalizzare le altre con bassa reputazione, è

normalmente utilizzato in grandi network, dove non sono condivisi valori e principi

comuni.

La categoria dei meccanismi di controllo “calculative” include sistemi di accounting che

sono introdotti per misurare la performance degli individui all’interno del gruppo di

progetto. Questi meccanismi, in quanto collegati alle prestazioni, possono essere

focalizzati sia sul comportamento sia sui risultati (Kirsch, 1996).

In alcuni casi possono essere gestiti da persone esterne al project team, impattando sia

sui processi di apprendimento, sia su dinamiche interne. Clegg e Courpasson (2004)

scrivono: “In project management the aim of external calculative control over the

project is to ‘gain enough known-how to reduce the impact of a potential surprise’

(Landau and Stout, 1979)”.

Se si utilizza la prospettiva calculative è possibile guardare al project management,

come ad uno strumento per tenere sotto controllo i costi nel rispetto degli obiettivi di

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qualità e tempo. Come sostenuto da Clegg e Courpasson (2004): “Control procedures

are pervasively and powerfully embedded into the regular and efficient reporting of

actions and decisions made. Reporting is essential to the project objectives and is

considered by the governing bodies an indication of the successful operation of the

project”.

Secondo Arnaboldi et al. (2004), i meccanismi di controllo formale sono necessari al

fine di incrementare l’efficacia del progetto. Arnaboldi et al. (2004: 221) affermano:

“Two further instruments helped in avoiding project failure: continuous communication

and the definition of a management control system. Both formal and informal

communications, such as official reports and frequent meetings, allowed the circulation

of information at all levels, informing constantly on the results of the project. The

defined measurable indicators was fundamental: particularly for convincing the steering

committee and maintaining the needed commitment.”

La natura dei meccanismi di controllo professionale può essere spiegata considerando il

fatto che il funzionamento di un gruppo di progetto implica l’introduzione di una

supervisione professionale reticolare (Clegg e Courpasson, 2004). A prescindere dal

controllo esercitato dal team leader sui singoli componenti, è evidente che ciascun

membro del gruppo esercita una sorta di sorveglianza sugli altri.

E’ possibile sostenere che all’aumentare della longevità del gruppo, dell’intensità della

conoscenza condivisa, della fiducia reciproca, aumenta l’efficacia dei meccanismi di

controllo di tipo professionale. Questa affermazione è coerente con il pensiero di Rico

et al (2008).

Inoltre, il controllo professionale può essere considerato uno strumento di supervisione,

i project leader (ma anche ciascun membro del gruppo) può influenzare il

comportamento degli altri membri verso una direzione desiderata.

La comprensione dei meccanismi di controllo all’interno del project managament può

essere migliorata introducendo ed approfondendo la nozione di project team. Seguendo

questa prospettiva di analisi è possibile fare riferimento ad una distinzione nota in

letteratura manageriale tra Collectivity of Practice (CiP) e Community of Practice (CoP)

(Lindkvist, 2005; Bragd, 2003).

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Secondo Lindkvist (2005) le CiP sono generalmente formate da individui che non si

sono mai incontrati, che sono spinti ad iniziare un rapido processo di socializzazione in

un tempo limitato, e che sono responsabili di attività specifiche all’interno del progetto.

Le CiP rappresentano una modalità di coordinamento utilizzata da specialisti funzionali

che sono proiettati verso la realizzazione del loro compito e sono collegati l’uno l’altro

da relazioni d’interdipendenza. La natura occasionale degli incontri tra i partecipanti

enfatizza l’idea di una forma di collettività di pratica che non tende a creare sistemi

condivisi di interpretazione della realtà, ma risponde a bisogni di integrazione.

Da un punto di vista strettamente operazionale, è opportuno che le CiP lavorino sulla

base di un piano realistico accettato dai partecipanti e cronologicamente definito nelle

sue varie fasi e nei ruoli di ciascun membro.

Un ulteriore tema è il sistema di regole che definisce il funzionamento delle CiP in

relazione agli obiettivi del progetto e alla circolazione di informazioni, ai meccanismi di

comunicazione e ai tempi di realizzazione. Le procedure previste all’interno del gruppo

di progetto potrebbe riferirsi alle regole interne già utilizzate all’interno delle

organizzazioni, e potrebbero essere codificate in documenti relativi al progetto (De Nito

et al.).

Invece, le caratteristiche essenziali di una CoP sono rappresentate dall’importanza delle

componenti relazionali. Le CoP sono basate su strutture sociali semi-formali, o

completamente informali e su meccanismi sociali di condivisione della conoscenza

(Bragd, 2003).

In questi contesti, i membri delle CoP partecipano alla costruzione di una identità

condivisa e di un costrutto sociale che rinforza il processo di identificazione (Chanal,

2000).

Un secondo elemento da evidenziare concerne le variabili strutturali relative alla

costruzione del gruppo di progetto. In particolare si fa riferimento al fatto che i membri

sono selezionati prima di tutto in funzione di una esperienza comune vissuta con i

colleghi che già conoscono da anni e con i quali hanno già collaborato in casi

precedenti.

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L’idea di CoP si collega al concetto di thinkering (Bragd, 2003; Ciborra, 1994) che

riconosce un’importanza predominante alla pratica quale strumento di apprendimento.

Bragd (2003) afferma: “Tinkering is looking for a local fit, intuitively, between the

questions asked and received. Studying a problem, an idea, hearing something during

lunch, or listening to someone in a meeting, the project team … [tinkers]…with the

possible solutions”.

Il concetto di tinkering si riferisce ad una dimensione dinamica del processo di

interpretazione della realtà portato avanti dai membri del gruppo, che in modo continuo

ridefiniscono l’insieme delle regole di comportamento e i propri parametri di

valutazione sulla base delle esperienze accumulate, dando vita ad un continuo processo

di re-interpretazione. In questo senso, si esprime una dimensione collettiva che è

possibile ritrovare nell’idea di mixed practice zone, che Bragd (2003) definisce come

spazio organizzativo all’interno del quale i partecipanti discutono, negoziano e

condividono esperienze ricostruendo significati in linea con gli obiettivi del progetto.

L’interpretazione duale del project team può essere collegata alla natura dei meccanismi

di controllo così come definita da Clegg e Courpasson (2004).

Nelle CiP, infatti, la debolezza della dimensione relazionale impatta direttamente sui

bisogni di formalizzazione e standardizzazione di regole e procedure al fine di

controllare il comportamento dei partecipanti. La rilevanza dei meccanismi di controllo

di tipo calculative è strettamente correlata all’opportunità di sfruttare l’accountability

degli individui e di sviluppare azioni di monitoraggio.

Nelle CoP la presenza di relazioni di scambio tra gli individui favorisce la creazione di

un modo comune di fare lezione e di esprimersi.

Ciò implica che all’interno delle CoP, i meccanismi di controllo di tipo professionale

sono molto più rilevanti perché ciascuno conosce gli altri membri del gruppo ed è in

grado di valutarlo in termini di competenze e di effettiva partecipazione (Wenger,

1998). In questo senso, meccanismi di coordinamento di tipo implicito (?) diventano

essenziali per spiegare le dinamiche interne al gruppo. Il funzionamento delle CoP è

coerente con la creazione di una supervisione professionale collettiva/reticolare.

Secondo Cohen e Sims (2007), l’idea del meccanismo di controllo professionale può

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essere collegata al concetto di clan (Ouchi, 1979). Come sostiene Kirsch: “to implement

clan control, the organizational group cultivates common values, philosophy and

approaches to problem solving within the clan” (1996: 3).

Considerando la terza categoria di meccanismi di controllo, sia all’interno delle CiP sia

delle CoP è importante sottolineare il ruolo potenziale dei meccanismi reputazionali.

Seguendo questa prospettiva, l’elemento più importante da considerare è legato alla

fonte della reputazione nelle due differenti situazioni. Nelle CiP il ruolo della gerarchia

sembra essere molto rilevante, mentre, al contrario, nelle CoP la competenza potrebbe

essere la base della reputazione individuale.

Metodologia

La ricerca empirica si basa su un singolo caso studio, in quanto questo approccio

sembra coerente con la volontà di approfondire in profondità la comprensione del

fenomeno oggetto di studio, e in generale è preferibile nelle situazione di cambiamento,

o quando si presentano situazioni particolari (Yin, 1981, 1984).

Per investigare le relazioni tra PM e meccanismi di controllo all’interno della PA scelta

si è deciso di adottare il metodo dell’osservazione diretta.

Era necessario, infatti, andare oltre la semplice descrizione delle procedure, degli

artefatti, delle regole e dei comportamenti che si rilevano tramirte delle interviste.

Inoltre era essenziale provare a neutralizzare gli effetti prodotti dalla pratica

manageriale.

Uno degli autori ha così partecipato allo sviluppo di un progetto POR Campania come

membro formalmente designato. Questo ha implicato una costante partecipazione agl

incontri che saranno descritti nella sezione dedicata all’approfondimento del caso.

4. Caso di studio. Il Progetto POR Campania

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4.1 Note introduttive sul POR Campania

Le regioni in ritardo di sviluppo sono sostenute finanziariamente dall’Unione Europea

attraverso ingenti risorse gestite a livello locale. Negli ultimi decenni la Commissione

Europea ha contribuito attivamente allo sviluppo delle aree del Mezzogiorno di Italia

finanziando i Programmi Operativi Regionali per le regioni dell’Obiettivo 1 tra cui vi è

anche la Regione Campania.

La Campania mostra tassi di sviluppo che si colloca in generale al di sotto dei valori

medi europei: la crisi dell’industria pesante, non contrastata da nuovi investimenti, ha

determinato una crescita del tasso di disoccupazione superiore alla media del

Mezzogiorno pari al 25% nel 1999; il settore dell’edilizia ha sofferto un serio declino a

seguito della fine dei finanziamenti speciali destinati alla ricostruzione e alla

stagnazione degli investimenti pubblici; il settore pubblico continua ad avere un impatto

molto rilevante sulla struttura produttiva di questa regione; la produttività del settore

agricolo è stata in declino negli anni novanta, in contrasto con le tendenze di altre aree

del mezzogiorno e del territorio nazionale.

Il POR stabilisce le priorità di intervento nell’utilizzo delle risorse comunitarie

attraverso un complesso processo di negoziazione tra la Regione e la Commissione

Europea, alla fine del quale le risorse economiche vengono anticipate in vista di

periodici momenti di controllo e con la condizione di una loro restituzione nel caso in

cui essi non siano spesi nei tempi e nei modi fissati dal correlato piano finanziario.

Il POR è un programma multi-progetto, articolato in aree di intervento definite “Assi“

(per esempio Risorse naturali, Società della conoscenza, ecc.). articolati al loro interno

in “Misure”. Una Misura è un insieme omogeneo di progetti supportati da un

ammontare definito e autonomo di risorse finanziarie.

Le risorse stanziate come supporto agli investimenti nel settore agricolo in Regione

Campania per il periodo 2000-2006 (che si conclude con la rendicontazione nel 2008)

ammontano a 3.825 Bilioni di Euro, rispetto ad un budget complessivo del POR

Campania pari a 9.216 bilioni di Euro.

4.2 Il Progetto

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In questa sede si intende analizzare il modello di implementazione del POR Campania

2000-2006 nell’unità divisionale “Area di Coordinamento Agricoltura”, che impiega

circa 1.300 dipendenti.1 Nella struttura organizzativa dell’Area, al primo livello sono

rinvenibili 22 unità divisionali definite “Settore”: ognuna di esse è focalizzata su una

specifica area di interesse (per esempio, Infrastrutture per l’agricoltura, Turismo

agricolo, Foreste, ecc.). In questa sede si propone l’analisi di uno specifico Settore

denominato “Interventi sul territorio” che è responsabile dello sviluppo delle

infrastrutture di supporto all’agricoltura e allo sviluppo rurale (l’unità analizzata

gestisce, ad esempio, la costruzione di nuove strade e di sistemi idi irrigazione che sono

cruciali in queste aree, data la rilevanza della produzione agricola).

Dal 2000 la gestione del POR è regolata da un set di regole fissate dall’Unione Europea

che ha imposto un radicale processo di cambiamento nelle unità regionali destinatarie

dei finanziamenti europei e responsabili della loro gestione.

I principali cambiamenti indotti dall’applicazione delle suddette regole negli uffici della

Giunta Regionale della Campania sono stati:

l’introduzione della figura di Responsabile di Misura;

la separazione tra il ruolo dell’istruttore tecnico e di referente amministrativo nella

gestione di ogni singolo progetto;

la creazione di una procedura ad hoc di controllo per la certificazione della regolarità

delle spese e del grado di avanzamento degli investimenti;

la creazione di un sistema di controllo strategico finalizzato a verificare il

conseguimento dei macro-obiettivi fissati dal Programma;

la definizione di meccanismi di coordinamento delle attività di programmazione e

controllo come un sistema informativo dedicato (SIM) e una conferenza (definita

COSAM) dei soggetti che implementano ogni singolo progetto di investimento

(Misura).

Ogni progetto di investimento è articolato in tre fasi:

1.Analisi del progetto, valutazione tecnica e allocazione delle risorse;

2.Gestione amministrativa e controllo in itinere e finale;

3.Certificazione della regolarità delle spese.

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Le Misure che rientrano nelle competenze dell’Unità Interventi sul territorio sono state

assegnate a 7 manager (Responsabili di Misura) autonomi nella gestione degli interventi

cofinanziati ma che, contemporaneamente, sono sottoposti gerarchicamente ai Manager

delle 20 unità divisionali (Settori) in cui si articola l’Area di Coordinamento.

La nostra unità di analisi, il Settore Interventi sul territorio, come le altre, mostra una

struttura funzionale.

Per sviluppare le attività di progetto, il Manager di Misura è supportato da un Team di

misura composto da 6 persone che gestiscono le attività generali di amministrazione dei

progetti.

L’Analisi tecnica che precede l’allocazione delle risorse è svolta da un gruppo di staff

interno gestito direttamente dal Manager di Misura o da consulenti esterni incaricati ad

hoc per i singoli progetti, ma che tuttavia collaborano in modo ricorrente con il

Responsabile della Misura durante l’intero ciclo di vita del programma.

In merito alla gestione della fase amministrativa dei progetti e al controllo dei risultati,

si è assistito ad un importante cambiamento nel corso degli anni. In una prima fase la

separazione tra Unità Tecnica e Unità Amministrativa era solo formale, poiché il MM

gestiva, in sostanza, direttamente entrambe le fasi. Nella seconda fase subentra, invece,

una forma di controllo reciproco sulla regolarità delle azioni e sulla capacità di rispetto

dei tempi fissati dal programma. Tale controllo deriva dalle regole formali imposte

dall’Unione Europea per l’utilizzo dei Fondi Strutturali e dagli elementi qualitativi e

quantitativi di monitoraggio definiti dal Responsabile di Misura in accordo con il

Responsabile del Programma in fase di programmazione.

L’abilità di conseguire gli obiettivi fissati è verificata nel corso di incontri di

coordinamento trimestrali (definiti COSAM per un acronimo italiano).

Attraverso l’osservazione partecipata svolta durante l’intero ciclo di vita del progetto,

focalizzata specificamente sui cambiamenti organizzativi occorsi nella struttura

complessiva dell’Area, è possibile descrivere nel seguito i principali risultati del

funzionamento del POR Agricoltura nel periodo 2000-2008.

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L’introduzione della logica del Project Management

L’avvio del Programma POR nell’Area Agricoltura ha determinato lo sviluppo di una

logica di azione riconducibile a quella del Project Management in una struttura che è

caratterizzata da un modello organizzativo fortemente orientato ai canoni delel

organizzazioni funzionali e burocratiche.

Dal punto di vista formale, il POR è caratterizzato di per sè, infatti, da una chiara

definizione degli obiettivi: per ogni specifica tipologia di intervento esiste una set di

risultati tecnici ed economici da raggiungere.

Il Responsabile di Misura è un vero e proprio capo progetto in quanto è un

formalmente responsabile di tutti gli aspetti relativi alla gestione degli interventi inclusi

in una stessa misura e provvede al reporting periodico sui risultati raggiunti al

Responsabile del Programma.

Ogni Misura è realizzata con il supporto di un Team di Misura.

Il progetto POR Agricoltura è stata supportato dall’introduzione di tipici strumenti di

PM, come i sistemi di misurazione e controllo finalizzati al monitoraggio e alla

rendicontazione di ogni misura.

Anche i sistemi di gestione delle risorse umane sono stati modificati per rinforzare

l’attenzione del management sul Programma. Più in generale, i sistemi gestionali

utilizzati per supportare i manager di line (che hanno una responsabilità più ampia della

sola gestione del POR) hanno adottato la regola di considerare con particolare enfasi le

attività incluse nel POR sino a giungere ad una chiara convergenza di alcuni di essi, ad

esempio, i sistemi di valutazione delle performance dei dirigenti e della produttività dei

collaboratori, verso le dinamiche e gli obiettivi del Programma.

Il ruolo del Project manager

Le circostanze contingenti di sotto-dimensionamento del personale dell’Area e di forte

ritardo nell’adeguamento della legge di organizzazione degli Uffici alle più moderne

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esigenze gestionali dell’Ente, hanno creato una discrasia tra la logica di funzionamento

del POR adottata a partire dal 2000 e la logica organizzativa formale vigente nell’intera

Area di Coordinamento. In particolare, alcuni contrasti più evidenti sono emersi nella

definizione del ruolo di Responsabile di Misura (RM).

Ogni RM è, infatti, responsabile dei risultati raggiunti in termini idi spesa, ma non è

anche gerarchicamente sovra-ordianto alle risorse che compongono il suo gruppo di

progetto. Nello specifico caso del Settore indagati il RM è subordinato alle persone che

egli supervisiona, ed ha forti problemi nel rimarcare la sua autonomia nella gestione

degli investimenti cofinanziati dall’Unione Europea.

Il RM è, in effetti, responsabile di obiettivi che non ha negoziato con il Responsabile del

Programma e per i quali egli non può controllare o scegliere le risorse umane necessarie

per la loro implementazione; talvolta il RM non è addirittura in grado di controllare

direttamente gli strumenti più direttamente collegati al monitoraggio del programma

(come accade, ad esempio, nel caso del sistema informativo dedicato al POR e gestito

da un’unità specializzata, verso il quale il RM è un destinatario finale senza nessun

potere di accesso e controllo).

Il RM è evoluto dunque nel tempo verso una figura di coordinatore “debole” delle

attività di progetto che formalmente egli gestisce in collaborazione con il manager

d’Area.

Il Project Team

Nell’ambito delle fasi tipiche di ogni progetto di investimento, è previsto che il RM

coordini un Project Team.

Tuttavia, la definizione di mansioni specializzate all’interno del gruppo, che è stata

rilevata nel corso del programma non risponde ai principi di PM come sembrerebbe;

essa piuttosto è un intervento di organizzazione del lavoro finalizzato gestire, in un

ottica di “controllo del clima organizzativo”, incentivi economici che possono essere

concessi solo sulla base della partecipazione formale alle attività di progetto. Queste

persone si occupano essenzialmente delle attività generali di supporto alla Misura,

mentre le reali attività tecniche sono gestite dal RM e quelle amministrative in una

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prima fase sono state gestite dal RM e attualmente sono gestite da un’unità

specializzata.

Solo in alcune misure RM interagisce con le risorse che operano nel suo team molto

spesso solo a tempo parziale.

Ciò determina che non è possibile individuare nel team formale di misura un vero

gruppo di gestione del progetto.

Meccanismi di coordinamento e controllo nel POR

La formalizzazione del ruolo di RM e la strutturazione di meccanismi di coordinamento

e controllo ad hoc ha anticipato la creazione, dopo i primi due anni gestione del

Programma, di un vero gruppo di progetto, definito COSAM, che può essere

identificato come una collettività di pratica secondo l’impostazione adottata nella prima

parte di questo lavoro.

La COSAM è un gruppo costituito da persone con competenze tecniche omogenee

(RM), che esercitano ruoli differenti, che hanno obiettivi autonomi, ma che devono

anche operare insieme per raggiungere gli obiettivi dell’intero programma POR.

Dati gli alti livelli di specializzazione delle mansioni e di standardizzazione delle

attività di progetto, nella COSAM i RM possono periodicamente presentare i risultati di

spesa raggiunti in ogni Misura, analizzare i gap rispetto alle previsioni iniziali e definire

le azioni per correggere tali scarti.

Nel tempo, la COSAM si è trasformata in un momento organizzativo in cui i RM usano

incontrarsi e discutere le iniziative comuni da negoziare con il Manager del POR, allo

scopo di proteggersi dai continui tentativi di incremento della standardizzazione delle

attività e di rinforzo dei meccanismi di controllo intrapresi dal Responsabile del

Programma per accrescere il sua capacità di intervento sulle singole Misure.

Considerazioni finali

Alla luce delle precedenti informazioni fornite, possiamo evidenziare alcuni risultati

della ricerca.

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In primo luogo, la logica della programmazione e della misurazione delle attività

nell’Area Agricoltura deriva dall’adozione e dallo sviluppo di alcuni tipici strumenti di

PM. Il POR ha costituito, infatti, l’occasione per introdurre in un modello organizzativo

fortemente burocratico nuove routine ispirate ai principi del PM quali la chiara

definizione degli obiettivi di lavoro, la specificazione formale dei ruoli e delle

responsabilità gestionali, il controllo formale periodico basato su indicatori quantitativi

e qualitativi predefiniti e il suo collegamento alle politiche della valutazione delle

prestazioni e dell’incentivazione delle risorse umane.

L’implementazione del PM, tuttavia, ha mostrato alcuni problemi proprio in riferimento

ad alcuni canoni organizzativi propri del PM .

A fronte dell’incremento del livello di formalizzazione degli obiettivi e degli strumenti

di programmazione e di controllo, cui potevano corrispondere maggiori gradi di

autonomia operativa per il RM ed il suo team, si è assistito, invece, ad un incremento

del livello di standardizzazione e di formalizzazione delle attività interne al gruppo

formale di progetto e ad un più alto livello di specializzazione delle mansioni (con

riferimento alle mansioni tecniche, amministrative e di supporto). In queste condizioni il

successo di ogni RM e dell’intero Programma POR è dipeso dallo sviluppo di nuove e

maggiori competenze di coordinamento e di controllo di tipo “calculative” (Clegg and

Courpasson, 2004) che può essere ricondotte all’utilizzo della COSAM.

In effetti, la COSAM rappresenta la creazione di una collettività di pratica in cui sono

presenti meccanismi di controllo formali focalizzati sul monitoraggio dei risultati

raggiunti e sull’analisi collettiva delle cause di successo e di fallimento dei progetti.

Nel gruppo COSAM è possibile evidenziare, tuttavia, anche elementi di controllo

informale di tipo “reputazionale”. Il comportamento dei membri del gruppo è apparso,

infatti, auto-regolato e ispirato a schemi e valori che erano emersi dall’esperienza

comune di lavoro.

Spesso, infine, nel caso del RM che possono appartenere a diversi livelli gerarchici, la

fonte del controllo non è la gerarchia in sé, ma la differenza di risorse finanziarie che

essi possono gestire, che a sua volta dipende dalla distribuzione delle risorse effettuata

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dal Responsabile del POR e dal successo che ogni RM consegue nella gestione del suo

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