Il prodigioso anno del Jiao Gu Lan

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“Il prodigioso anno del Jiao Gu Lan” è un racconto in sei capitoli ambientato nella Bovisa (Milano) dei giorni nostri. Il tempo medio di lettura per ogni capitolo è di 7 minuti. Luoghi, persone e storie ce li hanno ispirati fatti realmente accaduti. Facebook: https://www.facebook.com/Il-prodigioso-anno-del-Jiao-Gu-Lan-1554390681548910/ E. Corbari Verzeletti, F. R. Di Vito, H. Li, M. Martinasco, G. Valentini Lab. di Sintesi Finale, A. A. 2015/2016 (Politecnico di Milano - Scuola del Design) Docenti: M. L. Galbiati, K. Goldoni, F. Piredda, M. Ronchi Cultori: G. Carbone, M. Ciancia, M. Gionfriddo, S. Venditti

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Plug Social TV

presenta

Il prodigioso anno del Jiao Gu Lan

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Progetto E. Corbari VerzelettiF. R. Di VitoH. LiM. MartinascoG. Valentini

Politecnico di Milano - Scuola del DesignA. A. 2015/2016CdLM in Design della ComunicazioneLab. di Sintesi FinaleDocenti: M. L. Galbiati, K. Goldoni, F. Piredda, M. RonchiCultori: G. Carbone, M. Ciancia, M. Gionfriddo, S. Venditti

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Indice

Capitolo 1 | pag. 5

Capitolo 2 | pag. 11

Capitolo 3 | pag. 17

Capitolo 4 | pag. 24

Capitolo 5 | pag. 30

Capitolo 6 | pag. 35

Ringraziamenti | pag. 43

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Capitolo 1

Il giorno non era partito poi in modo tanto diverso dagli altri: fuori pioveva, il giornalaio non gli aveva ancora consegnato il Corriere e il bollitore se ne stava a fischiare sulla caldaia, in attesa che Gianmaria si degnasse di alzarsi e di prepararsi il tè, l’Earl Grey, che non gli pia-ceva affatto ma, tant’è, era l’unico che avesse in casa. Gianmaria, in tutti quegli anni di Bovisa, aveva conosciuto un considerevole nume-ro di persone e, tra queste, molte di quelle importanti non facevano più parte della sua vita: sua moglie, ad esempio, che non l’avrebbe mai lasciato senza il suo tè al gelsomino. Con il telecomando in una mano e “Miss Marple nei Caraibi” nell’al-tra, Gianmaria se ne stava lì, a fissare alla televisione un concerto di lirica, senza ascoltare veramente la musica o le parole.- Va bene, va bene, mi alzo adesso… - disse rivolto al bollitore, ormai stanco di soffiare invano - che se continuo così finirà che l’acqua spa-risce tutta -Eppure, prima di alzarsi davvero, ragionò un altro po’ sul da farsi; poi, finalmente, poggiò il telecomando sul tavolino, si ficcò il libro sotto l’ascella e radunò tutte le forze in suo possesso per scostarsi la coperta all’uncinetto dalle gambe e alzarsi dalla poltrona, che ormai aveva preso la forma del suo possessore.- Oh-oooh, issa! - e fu in piedi, il più era fatto.- Maledetto bastone, sempre tra i piedi quando non mi occorre e sa solo il Signore dove si vada a cacciare quando mi serve.A Gianmaria non piaceva quel bastone e, a dirla tutta, non è che fos-se di fondamentale importanza; ma quel pezzo di legno tutto scheg-giato era stato di sua moglie Caterina, gli ultimi tempi, quando non ce la faceva più a reggersi da sola per andare a fare la spesa giù dal

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fruttivendolo, in via Imbriani. Dopo la sua morte, Gianmaria non aveva voluto buttare via niente che appartenesse alla Caterina, nem-meno quei vecchi fazzoletti ingialliti ereditati da chi sa quale prozio. Nemmeno il bastone, appunto.Una volta individuato, Gianmaria lo afferrò con forza e, tenendolo sospeso da terra, si diresse verso la caldaia, dall’altra parte della stan-za.- ‘Sto maledetto bollitore…fischia fischia e intanto l’acqua è quasi finita… - borbottò.Afferrò il manico di gomma, dimenticandosi del bastone, e andò nel cucinino a recuperare una tazza e una busta di tè: cosa sempre più ardua, visto il caos che regnava sovrano da tempo, in quel vecchio appartamento impolverato. Per la prima volta gli venne in mente la remota possibilità di assume-re una donna che lo aiutasse con le pulizie, ma il pensiero svanì quasi subito: mai nessuno si sarebbe accontentato della misera paga che si sarebbe potuto permettere con la sua pensione. Trovata la tazza, si versò piano piano l’acqua bollente e rimase a fis-sare la bustina di tè rilasciare il colore, lentamente, con volute lente e strane giravolte. Sulla bustina c’era scritto di lasciare in infusione due o tre minuti, ma la Caterina l’aveva abituato a lasciarcela almeno sette, “Il tè delle cinque è più forte e anche la regina lo prende così!”, diceva sempre. Gianmaria sospirò a quel ricordo. Passati quei pochi minuti a fissare la tazza bianca che diventava sem-pre più bollente, la afferrò per il manico e andò a sedersi di nuovo sulla poltrona, il libro sempre sotto l’ascella. Una volta appoggiato il tè sul tavolino, ricominciò a leggere Miss Marple da dove era arrivato la sera prima: sapeva ormai a memoria quel libro, ma non si stancava mai di rileggerlo, anche saltando le pagine che ricordava come più noiose; se avesse voluto, avrebbe potuto riscriverlo da zero, quel ro-manzo. A Roberto, suo figlio, era sempre piaciuto: così la sera, prima di andare a letto, gliene leggeva sempre un capitolo, fino a che non si addormentava e quell’abitudine di addormentarsi con Agatha Chri-stie Roberto l’aveva passata anche a suo figlio, Filippo. Dopo l’incidente, Gianmaria aveva cominciato a rileggersi quel rac-

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Capitolo 1

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conto almeno una volta a settimana, senza mai cambiare, e a lui an-dava bene così.

Driiin- Chi potrebbe essere a quest’ora? Sicuramente, qualcuno che non ha altro da fare.- si disse Gianmaria. - Ah, ma ormai mi sono messo comodo, gli passerà la voglia di citofonarmi.Dopo qualche secondo, però, il citofono si fece sentire nuovamente, più insistente di prima.Qualche sbuffata più tardi, Gianmaria decise che, forse, poteva fare un altro piccolo sforzo e richiudere il libro, appoggiarlo sul tavolino insieme alla tazza, alzarsi, recuperare di nuovo il bastone e fare quei quattro passi che lo dividevano dal citofono, per scoprire chi fosse a disturbare la sua quiete pomeridiana.- Sì? Chi è? - borbottò Gianmaria, con un tono più scocciato di quanto non volesse far trapelare.- Ehm… sì… Signor Gianmaria? Sono Antonio… sono il nipote di Nadio… non so se si ricorda di me…- Ma… Nadio del cinematografo? – si sorprese Gianmaria.- Sì, sì! - Ah… Ma come... Entri, entri. Secondo piano a destra.Subito dopo, si pentì di quell’invito: perché l’aveva fatto salire? Ma-gari era una truffa! O magari vuole soltanto chiedermi qualcosa su suo padre, pensava tra sé e sé. Senza accorgersene era rimasto in piedi a fianco del citofono e non si era reso conto che Antonio era già arri-vato alla porta e stava bussando. Ebbe un ultimo momento di inde-cisione prima di aprirgli, e lo fece ancora non senza qualche dubbio.- Sì? Desidera? – chiese al nuovo arrivato, rimanendo sulla soglia.- Sì, ecco… Signor Gianmaria, posso accomodarmi qualche minuto? Così parliamo con calma della questione… - rispose Antonio, imba-razzato per il tono di Gianmaria.- Ah, sì… venga, venga. C’è un po’ di disordine. Non mi aspettavo visite -, gli rispose lui, sempre un po’ risentito per quella che vedeva come un’invasione.I due si accomodarono nel piccolo salotto, tra riviste e soprammobili

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impolverati, e bevvero una tazza di tè insieme. Per qualche minuto regnò un quasi totale silenzio, eccetto qualche “eh insomma il tè delle cinque è proprio un toccasana”, o un “di questi tempi non si sa più che cosa aspettarsi”.

Finita la tazza di tè, Gianmaria sentì che Antonio iniziava a fremere: era chiaro, doveva dirgli qualcosa.- Avanti - lo esortò - a cosa devo la sua visita, così inaspettata?- Ecco, come forse si ricorderà, io sono andato via dal quartiere molto giovane a causa di un litigio con mio padre e non ci sono più tornato fino alla morte di mio nonno… Mi ha parlato molto di lei, di quando, da giovane, andava ad aiutarlo all’Armenia Films… Forse non lo sa, ma io sono diventato sceneggiatore, mio nonno… sì, lui, prima che me ne andassi, mi ha trasmesso la sua passione per il cinema e io… Io l’ho fatta diventare il mio lavoro.- Molto bello, è stato molto bravo. Ma queste cose… gli affari suoi, insomma… io che c’entro? Conoscevo bene suo nonno e, sì, è stata una grande perdita per me. Anzi, anche per tutto il quartiere, ma, sa, da quando l’Armenia ha chiuso, io non l’ho più frequentato come prima e non so perché si stia rivolgendo proprio…- Sì, ma sì, certo! - lo interruppe agitato Antonio - Ma vede, io non sono qui per chiederle di mio nonno o cose simili… Io vorrei chie-derle un favore che non c’entra con lui, almeno, non direttamente…- Oh, andiamo, signor Antonio… non vorrà mica soldi?! In questo caso si è rivolto alla persona sbagliata in tutti i sensi! - esclamò d’un tratto Gianmaria, imbarazzato e irato nel contempo.- Ma… signor Gianmaria, non farei mai una cosa simile! Allora -, disse Antonio appoggiando con forza la tazza sul tavolino – senta, io sono tornato qui perché voglio organizzare un festival… una cosa piccola, niente di troppo impegnativo… Ma mi servirebbe proprio il suo aiuto…- Il mio aiuto? L’aiuto di un vecchio? E… cosa vuol dire, poi, un festi-val? Perché mi sta dicendo queste cose? - Gianmaria era ormai stanco di quella conversazione e la sua pazienza era giunta al limite.- Signor Gianmaria, sto cercando di organizzare un festival itinerante

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Capitolo 1

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sul cinema e sulle sue radici in Italia e lei, lo sa?, è l’unica persona rimasta che possa raccontare a un pubblico giovane cos’era l’Arme-nia… Purtroppo non ho fatto in tempo a riallacciare i rapporti con mio nonno, se no l’avrei chiesto a lui e non mi sarei mai sognato di scomodarla… Ma, davvero, lei è un tassello importante per la buona riuscita del mio progetto… Certo, glielo sto dicendo ora, ma guardi che ha tutto il tempo per pensarci! Il festival verrà inaugurato l’anno prossimo e non ho fretta di…- No -, lo fermò Gianmaria - Non vada avanti… Capisco cosa mi sta dicendo. Sono un povero vecchio, ma capisco il motivo per cui è ve-nuto fin qui a parlarmi. Non ho bisogno di pensarci oltre… La mia risposta è no.- Ma… signor Gianmaria, ha ancora tanto tempo per pensarci! Capi-sco che la mia richiesta sia un po’ a bruciapelo, ma si tratta di brevi conferenze che dovrà…- Senta, non ha capito? Io sono un povero vecchio e sto bene qui! A casa mia! Nel mio quartiere! La mattina vado a fare la spesa, il po-meriggio guardo un film o leggo un libro. Non vede che non riesco nemmeno a camminare senza il mio bastone?Gli occhi di Antonio continuavano a rimbalzare dalle sue mani, al bastone, al viso di Gianmaria. E intanto Gianmaria si accorse che in testa gli vorticavano i bei tempi all’Armenia Films. Sì, quando aveva sentito quel nome, il cuore gli era saltato in gola, ma la verità gli era subito balzata agli occhi: cosa poteva fare per il festival lui, un povero vecchio? Aveva trovato la sua quotidianità, le sue abitudini e i suoi ritmi e sapeva che non avrebbe potuto reggere a un impegno simile. Antonio cercò ancora di convincere Gianmaria a pensare alla sua proposta e, nonostante il no categorico del vecchio, gli lasciò il suo biglietto da visita. L’incontro si concluse così: Gianmaria lo accom-pagnò alla porta, torno alla sua poltrona, finì il tè e se ne preparò un altro.

- L’Armenia Films, mah… l’Armenia ormai non esiste più e nessuno si ricorda più di noi, nessuno si ricorda più di me…Una volta pronto il tè, Gianmaria appoggiò la tazza al tavolino, il

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bastone allo schienale della poltrona e andò piano e mogio verso il mobile del televisore. Rimase a fissare le videocassette a lungo, e poi, con movimenti lenti ma decisi, ne prese una: “Il fiore di ciliegio”; la guardò per molti secondi, quasi ad assaporarne in anticipo la trama, e la mise nel videoregistratore.

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Capitolo 2

- …anche se Qiang ne era a conoscenza, sua madre cercava di evitare quei discorsi antichi… -

Gianmaria non stava più seguendo, anche se “Il fiore del ciliegio” era uno dei suoi film preferiti. Inutile nasconderlo: la visita di Antonio gli girava ancora in testa e non sapeva come affrontare il dilemma in-teriore che lo stava attanagliando: voleva davvero partecipare a quel festival di, come lo aveva chiamato?, …del cinema itinerante, ma era troppo vecchio per farlo. Sentiva di non avere le forze per affrontare un impegno tanto gravoso.

- Madre, ma io voglio imparare quest’arte, l’arte che ha reso i nostri avi famosi in tutta la Cina per la loro benevolenza! Io voglio partire! -

- Ah… partire, partire, dice bene quello, ma per andare dove? - bo-fonchiò Gianmaria fissando lo schermo senza vederlo. Una delle sue più grandi passioni, fin da ragazzino, era stata il cine-ma. Era solito intrufolarsi negli studi di Armenia Films e sbirciare i film in produzione, tra luci, scenografie e attori che provavano le parti nei camerini. Sì, il giovanissimo Gianmaria si sentiva già parte di quel mondo, sentiva di dover essere presente ogni giorno sui set, sentiva che avrebbe potuto arrivare dove voleva, se solo avesse segui-to il suo sogno. Alla fine, però, il sogno era rimasto tale: Gianmaria non era “arrivato dove voleva”, ma non aveva nessun rimpianto! Aveva avuto una fami-glia, un nipote e una bella casa e si era goduto gli anni più belli della sua vita nel quartiere che amava, tra le cose e le persone che lo faceva-

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no felice. Nessun rimpianto di quello che era stato. Eppure, a tratti, sentiva che forse gli era mancato qualcosa, che avrebbe potuto fare di più, che sarebbe potuto diventare quello che sognava da bambino!

- Qiang, figlio mio, la nostra famiglia sta soffrendo e tua zia Wen è tornata per stare vicino a suo fratello! A tuo padre! Nulla potrebbe sal-varlo, ora! -

Le voci dal piccolo televisore facevano da sottofondo ai suoi pensieri: Gianmaria continuava a fissare lo schermo e riandava al suo passato, a come, piano piano, avesse perso le persone a lui più care: prima sua moglie Caterina, poi suo figlio, in quel maledetto incidente d’auto e ora suo nipote Filippo, che da mesi non si faceva né vedere né sentire e chissà che fine aveva fatto. Ecco, subito dopo la morte di Roberto, Filippo era stato l’unica gioia di quei giorni bui: era ancora alle elementari, Filippo, e non aveva ancora capito appieno cosa fosse successo ai suoi genitori; viveva semplicemente come aveva sempre fatto, ma a casa del nonno, tra un libro di Miss Marple e un film in bianco e nero della collezione del nonno.

- Wen, tu sai i segreti dell’alchimia! Insegnami! L’elisir di lunga vita potrebbe salvare la vita di nostro padre! -

- Tzé! Elisir di lunga vita! Magari esistesse… Non sarei di certo qui a fare la muffa, cari miei! - esclamò ad alta voce Gianmaria. - Ah ah! Elisir di lunga vita… questi cinesi ne inventano una più del diavolo…-L’orologio continuava a ticchettare, il rubinetto a perdere goccia a goccia e lui si ritrovò a pensare che, insomma, con tutte le medicine che i dottori gli avevano prescritto non era possibile che esistesse una disciplina migliore della medicina moderna. - È anche vero che ci sono tutti questi matti che credono alla medici-na alternativa…ma io non ci credo mica! – Scuoteva la testa a dare forza alle sue parole ma, intanto, un altro pensiero si faceva strada nella sua testa: un barlume di speranza era

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cresciuto dentro di lui, una fiammella gli faceva credere ancora che, in un modo o nell’altro, sarebbe riuscito a fare ciò che più gli piace-va, a entrare nel grande mondo del cinema, anche alla sua età. Già, certo, magari, ecco, forse avrebbe potuto partecipare soltanto a una data del festival e alle altre mandare qualcun’altro… O forse non ci sarebbe nemmeno arrivato, all’anno del festival. Gianmaria si trovava ad un bivio, come spesso era successo nella sua vita.

- Qiang, ho viaggiato molto e conosco le lacrime del mondo… questo è l’unico rimedio a cui possiamo affidare nostro padre. Il Jiao Gu Lan, la pianta del paradiso. -

Fu a questo punto che Gianmaria abbandonò il girovagare dei suoi pensieri e si trovò chinato in avanti, verso il televisore: si era con-centrato sul film, cancellando per un momento i rimpianti, il fischio del bollitore e il fracasso assodante dal piano di sotto. Quell’erba del film, quella… “pianta del paradiso”, lui l’aveva già vista… E non inten-deva nel film, no! Intendeva nell’orto!Da un paio di anni a quella parte frequentava Coltivando, l’orto condiviso del quartiere, proprio vicino a casa sua, e lì qualcuno degli ortisti aveva piantato un arbusto molto simile al Jiao Gu Lan. Anzi, troppo simile per non essere la stessa cosa; quella… quell’erbaccia se la ricordava fin troppo bene: d’estate, infatti, recandosi al mercato vi-cino a piazzale Bausan passava proprio lì fianco, e si sentiva un odore acre e intenso che appestava tutta la via. Dopo le prime ricerche, tutti avevano notato che la puzza proveniva da quella strana pianta. Nessuno di quelli che conosceva la sapeva usare, nessuno la sapeva coltivare, nessuno sapeva a che cosa potesse servire, ma in quel momento Gianmaria si sentì certo che si trattasse della pianta del paradiso.Mise il videoregistratore in stand by, si ridestò da quella specie di trance e fece un paio di ragionamenti a mente fredda: “Il fiore del ciliegio” era un film cinese degli anni Ottanta e non vi erano infor-mazioni sulla veridicità della storia che, vista così, sembrava campata

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per aria; la pianta spuntata nell’orto di “Coltivando” era un’erba sco-nosciuta, che lui sapesse, a tutti; casualmente, quella pianta scono-sciuta era presente in un film straniero dove possedeva poteri curativi mai visti. - Io non ci credo, eh… ma, insomma, tentar non nuoce. - Non aveva niente da perdere, pensò Gianmaria. Cosa gli costava scendere, dirigersi a Coltivando e chiedere informazioni intorno al “coltivatore” del Jiao Gu Lan? - No, non mi costa davvero nulla. -Un po’ scettico, un po’ spaesato, e sotto sotto un po’ speranzoso, Gianmaria spense il televisore fermo all’inquadratura della giovane donna, Wen.

I sentimenti che gli correvano per la mente erano i più disparati: spe-ranza e poi scetticismo, felicità e soddisfazione per essere riuscito a collegare tutto, da solo. Ora bisognava solo accertarsi che la storia dell’elisir non fosse una frottola. Lo avrebbe fatto per prima cosa il giorno seguente.Con calma, si alzò, andò in cucina e appoggiò nel lavello la tazza che aveva usato per il tè, mise il bollitore sotto l’acqua fredda e si sciacquò il viso. Quella notte, fece sogni agitati.Il mattino dopo, appena sveglio, pensò che quello sarebbe stato il giorno in cui avrebbe scoperto chi si celava dietro alla pianta del pa-radiso. Il frizzantino della mattina, l’intuizione brillante e l’idea di poter rientrare nell’ambiente che tanto aveva amato da giovane gli stuzzicarono l’appetito, come dopo una corsa al parco. Così, scese e andò dal fornaio, quello buono, questa volta, che si sentiva quasi di buon umore.Dopo aver mangiato una brioches con le noci, quella che gli piaceva di più, Gianmaria andò verso Coltivando, per chiedere, finalmente, informazioni riguardo alla persona che aveva portato nell’orto il Jiao Gu Lan, “la pianta puzzona”, come la chiamavano ormai i cittadini di Bovisa.Arrivato fuori dagli orti non trovò nessuno. Data l’ora, doveva for-

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Capitolo 2

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se aspettarselo, ma intanto la cosa lo scoraggiò: forse, tutti i pensieri che aveva fatto sul Jiao Gu Lan, tutti i progetti che aveva pensato di poter intraprendere grazie alla pianta miracolosa erano tutte fesserie di un vecchio sognatore. Mentre usciva dal campus universitario in cui era inserito l’orto condiviso, incrociò, però, una persona dal viso familiare: era certo di averla vista svariate volte ma non si ricordava dove. La fissò per un minuto di troppo, tanto che fu lei a iniziare la conversazione.- Ha bisogno di aiuto? - - No, cioè, sì… Stavo guardando qui intorno. Io abito laggiù - , rispose, timido e impacciato, indicando la sua palazzina.- Ah! È un nostro vicino allora! Io sono Anna, insegno alle elementari in via Bodio ma mi occupo anche del giardino ogni volta che posso. Vuole diventare un ortista? Ora è un po’ presto, ma… -- Quindi lei conosce le persone che vengono qui a coltivare? -, la inter-ruppe lui, subito un po’ agitato.- Sì, certo, quasi tutti… siamo una bella compagnia, anche se ultima-mente le cose qui… -- Sa chi coltiva quella pianta? Quella là in fondo, che quando fa caldo puzza… - Gianmaria aveva ritrovato la speranza e non stava più nella pelle.- Ehm… sì, certo, la conosco. Ma non è un tipo molto socievole. Se è per lamentarsi dell’odore, non posso farci niente. Non è il primo che viene qui a farcelo presente, ma la signora è inamovibile. La pianta non si tocca. - Anna aveva tirato fuori le chiavi di Coltivando e si accingeva ad aprire il cancellino a Gianmaria, ma lui, ancora una volta, la bloccò e diventò ancora più incalzante:- E chi sarebbe, questa signora? Sa, così posso scambiare due parole con lei: magari un vecchio signore saprà convincerla a levarla di lì. Eh, eh… - Gianmaria voleva nascondere il suo segreto, voleva tenere tutta per sé la sua intuizione.- Non penso che servirà a qualcosa, ma ha un ristorante cinese in zona Bausan. Si chiama Huiling Li e si è trasferita circa due anni fa qui in Bovisa… So solo questo. La trova qui ogni sabato alle 8 precise, non

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un minuto di meno. Se aspetta ancora qualche minuto potrebbe…Signore?! - Anna non aveva fatto in tempo a finire la frase che Gianmaria si era diretto a piazzale Bausan alla ricerca del ristorante di Huiling.- Troppi posti possibili. E poi, a quest’ora non la troverò mai in cuci-na… - borbottò Gianmaria ma un attimo più tardi vide una signora asiatica tutta indaffarata e in abiti da lavoro uscire da via Imbriani e dirigersi dritta verso l’orto di Coltivando. Senza esitare, la seguì.Arrivato a destinazione, Huiling era già entrata e si trovava vicina alla fatidica pianta. Gli occhi di Gianmaria si illuminarono. Si avvicinò cauto ma la donna, indispettita, si girò di scatto e gli disse qualcosa in cinese. Un tono che sembrava dire: “Cosa vuoi? Sto lavorando. Levati di torno.”Gianmaria prese un bel respiro e cominciò a presentarsi, ma Huiling Li, perché proprio di lei si trattava, gli girò le spalle e lo ignorò del tutto. Lui provò allora ad allungare una mano e a sfiorarle la spalla, ricominciando a parlare, ma ne ebbe in risposta uno sguardo così fu-rioso che fece subito marcia indietro e si allontanò.- Gliel’avevo detto che sarebbe stato difficile… - Anna aveva visto la scena dal capanno degli attrezzi e gli si era fatta incontro, scuotendo la testa. Gianmaria la guardò, guardò di nuovo Huiling Li, le mormorò un saluto frettoloso e si diresse a casa, ancora più deciso a raggiungere il suo scopo.

Huiling, intanto, aveva già dimenticato l’intruso. Aveva altro cui pensare. Non aveva passato una buona serata, il giorno prima. Il ma-rito aveva concesso al figlio minore la piena libertà circa il suo futuro e questo lei non poteva accettarlo: dopo tutti i sacrifici a cui si era sottoposta, chi avrebbe mandato avanti l’attività di famiglia?

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Capitolo 3

Eh, sì, Huiling non aveva avuto una vita facile. L’infanzia in Cina le aveva però temprato il carattere fino a renderla simile a quel burbero del suo povero padre; le difficoltà che aveva ritrovato anche in Italia non avevano invece aumentato l’astio verso quel mondo così difficile e ingrato. Per questo non capiva il marito: Dan Chan aveva affrontato le cose come un’opportunità e preso il trasferimento in Italia come un’occasione di riscatto, per lui e per tutta la famiglia, abituata a vivere accontentandosi delle briciole. Dan Chan stava addirittura cercando di dimenticare la sua amata Cina: le famiglie di origine non avevano avuto più notizie da loro, anche se i nipoti cercavano di tenersi in contatto stretto con i non-ni, il padre di Huiling e la madre di Dan Chan, di cui serbavano un tenero ricordo. Per Dan Chan, però, era stato necessario cancellare il loro passato. E non erano la miseria o le difficoltà che pesavano nella sua memoria, no. Era pensare al suo villaggio e vedere con gli occhi del ricordo la fisionomia di una bambina ormai perduta; era ricordare il giorno in cui, al suo villaggio, aveva dovuto dare l’addio alla seconda figlia, durante gli anni dell’obbligo al figlio unico. Così, quando Huiling era rimasta di nuovo incinta, Dan Chan aveva deciso di non sottostare più alle regole imposte dalla politica cinese. Forse, quella poteva essere la spinta giusta per portarli a cercare for-tuna altrove.

E così era stato. Erano partiti. Destinazione: Italia. La figlia perduta, però, gli era rimasta tatuata nel cuore e nella mente e il rimorso non faceva altro che renderlo più chiuso in sé stesso.

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Huiling, dal canto suo, non lasciava quasi mai trasparire un benché minimo sentimento pietoso nei confronti di nessuno. Ma coltivava dentro di sé un misto di rabbia, odio e tristezza, forse più di Dan Chan stesso, sebbene non lo volesse dare a vedere. Ormai, aveva as-sunto il ruolo della donna severa, forte, imperturbabile; era diventata la colonna portante della famiglia e non doveva far trapelare niente che la potesse far sembrare vulnerabile. Lo stesso accadeva nel loro ri-storante, ormai ben avviato: Huiling aveva la fama di essere una stre-ga schiavista e cattiva, anche più di quanto accadesse in realtà, perché poi, si sa, le leggende, passando da una persona a un’altra, crescono fino all’inverosimile.Anche nel quartiere, dunque, non godeva proprio di un’ottima re-putazione: la gente frequentava volentieri il suo ristorante, il cibo era buono e, grazie a Dan Chan e ai suoi due figli in sala, l’atmosfera era piacevole; ma, quando Huiling usciva dalla cucina, la prima cosa che a chiunque veniva in mente vedendole la vena rossa gonfiarsi in fronte, era: “Tra poco scoppierà l’inferno. Le cose da fare sono: in-gozzarsi, chiedere il conto, scappare”.

In realtà, Huiling era severa, ma, quando urlava, era perché era suc-cesso qualcosa di davvero molto grave. Come, appunto, quel fatidico venerdì sera: appena rientrati, Dan Chan le rivelò che il loro figlio maggiore, Dan Tan, aveva intenzione di proseguire gli studi anche dopo le superiori e che lui non avrebbe opposto resistenza al suo volere: il sogno del ragazzo era di diventare un designer! Era un sogno che coltivava da tempo e il Politecnico era proprio a due passi da casa.Quella sera, Huiling urlò come mai aveva fatto prima. I vicini era-no abituati al suo tono di voce della signora, ma questa volta furono contenti di non capire una parola di cinese perché “non vorrei pro-prio essere al posto di quel poveraccio a cui le sta suonando di santa ragione…” - Come ti permetti di dare dei permessi a nostro figlio senza consul-tarmi?! Io mi spacco la schiena sui fornelli per voi dalla mattina alla sera e non vengo nemmeno considerata! -, furono le prime parole

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della donna al marito, quella sera.- Huiling, calmati. Ci siamo trasferiti tanti anni fa per cercare un fu-turo migliore ai nostri figli e, da quando abbiamo aperto il ristoran-te, le cose vanno decisamente meglio. Non penso che… - fece timido Dan Chan.- “Non penso” che cosa? Che cosa?! Io vorrei che a questo ristorante ci tenessi anche tu! È questo il futuro migliore per i nostri figli! - sbraitò.- Ma… Non è quello che Dan Tan vuole. Vorrei che tu capissi che… - - Capire che cosa?! Che dovevi prima chiedere un mio parere?! Lo sapevi, vero, che io non sarei stata d’accordo… - Si continuò a discutere per diversi minuti, fino a che Huiling, troppo stanca per resistere ancora, andò a rifugiarsi in camera da letto. La mattina dopo, Huiling andò, come suo solito il sabato, all’orto di Coltivando, ma con un sentimento di rimpianto e di rabbia insie-me, per la discussione del la sera prima. A passi lunghi e ben distesi, in cinque minuti si trovò all’entrata del campus e, come al solito, ad aspettarla c’era la maestra chiacchierona. Lì vicino, però, stavolta c’e-ra anche un vecchio, gobbo, con il bastone: la raggiunse dopo qual-che minuto, quando aveva appena iniziato a badare al suo amato e prezioso Jiao Gu Lan. Nello stato d’animo in cui era, Huling aveva ancora meno voglia del solito di intavolare una conversazione. Fu fa-cile, comunque, sbarazzarsi di quello sonosciuto.

La prime ore della mattinata passarono in tranquillità, fino a che la si-gnora Anna, la chiacchierona, non chiese a Huiling se fosse in grado di riparare un guasto al sistema di irrigazione che stava cercando di aggiustare da giorni. Huiling non poteva di certo rifiutare un compi-to tanto importante e accettò senza esitazione: in fondo, aveva pas-sato i suoi primi vent’anni di vita nei campi, di certo il sistema non poteva essere tanto diverso da quello che conosceva. Ci avrebbe pen-sato il successivo venerdì pomeriggio: quel giorno, infatti, entrambi i figli erano impegnati, al lavoro, e lei avrebbe avuto un paio di ore libere prima di riaprire. Quel venerdì, arrivò agli orti verso le tre e mezza nel pomeriggio e

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si mise subito al lavoro; per le quattro e mezza aveva terminato. Pre-occupata per il ristorante in mano agli uomini della famiglia, non salutò nessuno dei presenti e corse a lavoro, a prendere di nuovo in mano la situazione.Il sabato seguente, Huiling si svegliò come al solito all’alba, andò a comprare degli ingredienti mancanti in cucina e si diresse all’orto condiviso: Anna era arrivata prima di lei, come al solito, ma al suo fianco c’erano già due o tre altri ortisti. - Cosa ci fanno già qui, quei pigroni? -, pensò Huiling, ma, non ap-pena si fu avvicinata di più al giardino, la situazione gli fu chiara: l’impianto di irrigazione aveva allagato tutto.- Signora Huiling, non poteva dirci che non sapeva come ripararlo?! Guardi che danni! - , esclamò Anna, non appena la vide.Huiling avanzò verso di loro e scosse la testa in silenzio per far capire che, di certo, la colpa non poteva essere stata sua, che lei sapeva come lavorare (mai, per orgoglio o per pigrizia, Huiling aveva detto più di tre parole di fila in italiano). - Ma almeno lo ammetta! Stiamo lavorando tutti per rimettere a po-sto le cose! -Anna stava iniziando a perdere la pazienza, Huiling non l’aveva mai sentita alzare la voce.Dopo aver scosso ancora la testa, Huiling si diresse subito verso il suo Jiao Gu Lan, nell’unico lembo di terra che gli ortisti non stes-sero prendendo in considerazione, e iniziò a rimuovere l’acqua e a trapiantare l’arbusto. Proprio in quel momento, spuntò dall’entrata “quel vecchio signore”.Gianmaria, un po’ confuso, si guardò intorno e intravide la signora cinese piegata a scavare nel fango per cercare di salvare la preziosa pianta del paradiso. Senza badare ai suoi pantaloni buoni appena la-vati, si diresse verso di lei e, dimenticandosi per un attimo del perché fosse lì, iniziò ad aiutarla.Huiling, piacevolmente stupita, gli rivolse uno sfuggente “grazie” alla fine del lavoro.Gianmaria sentiva di avere fatto breccia in quel duro guscio e osò andare oltre.

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- Bella la sua piantina, eh… Meno male che l’abbiamo salvata in tem-po! Eh eh… - fece, scandendo bene le parole.- Signore, io capisco l’italiano -, gli rispose Huiling con un sorriso accennato.- Ah! Perbacco! Ma certo! Non volevo insinuare… - - Va bene, grazie. Arrivederci. – Huiling, ridiventata seria e distante, stava tentando di levarselo dai piedi. A breve avrebbe dovuto andare al ristorante.- Sì, ecco, veramente avrei qualche domanda da farle sul… ora non mi ricordo bene il nome… sulla pianta del paradiso… -Huiling rimase di sasso: mai nessuno era riuscito a capire che tipo di arbusto fosse quello.- Eh eh… - continuò Gianmaria - vede, io sono vecchio e stanco e mi servirebbe davvero un elisir di lunga vita. Sono andato a cercare an-che in biblioteca e ho trovato un libro al riguardo… Sono sicuro che lei sa di cosa io stia parlando e vorrei che mi aiutasse a prepararlo… - Gianmaria forse era arrivato troppo velocemente al dunque, ma vale-va la pena di tentare il tutto e per tutto.Huiling non sapeva cosa rispondere: cosa voleva quel vecchio? Come faceva a sapere dell’alchimia cinese e dei segreti che nascondeva il Jiao Gu Lan? Che cosa poteva dirgli per levarselo subito di torno? Alla donna venne un’idea: - Ah sì. Bene. Ma per aiutarti devi venire a fare assistente nel mio ristorante per almeno… due mesi! Poi ci penso. - Di sicuro, questo l’avrebbe scoraggiato. Gianmaria ci pensò su; alla fine, era un vecchio bacucco e in un ristorante, con i ritmi di uno chef, non sarebbe mai riuscito a reggere una settimana, figuriamoci due mesi! - Ma certo! quando posso cominciare? - Diciamolo, cosa aveva da perdere?Anna, dopo averci dormito su, prese la decisione di andarsi a scusa-re con Huiling perché, in fondo, chiunque poteva sbagliare. Andò, quindi, al suo ristorante per cercare di incontrarla dove lei si sarebbe sentita più a suo agio, ma purtroppo non la trovò. C’era, invece, il marito Dan Chan che, schivo e timido e alle prese con i compiti di sala, iniziò a scambiare qualche parola con Anna, molto interessata

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a conoscere il marito di Huiling, così apparentemente diverso da lei. - Ma quindi lei lavora qui con la moglie! Che bello, un’attività fami-liare! - Esclamò entusiasta Anna.- Ehm sì, sono qui tutto il giorno… - Anna scorse tra le parole di Dan Chan un velo di tristezza; ma l’orologio scorreva e doveva tornare a scuola, dai suoi bambini.- Ma di sicuro avrà qualche momento libero! Sa cosa? Qui vicino c’è la biblioteca, non so se ne è a conoscenza… Hanno una scaffalatura tutta per i libri in lingua originale cinese. Se le va, ogni tanto mi trova anche lì… Che ne dice di continuare la nostra conversazione un altro giorno? - L’entusiasmo di Anna era sempre contagioso, ma non que-sta volta. Dan Chan aveva altro in mente e di certo non pensava di poter usare il suo tempo libero per sé stesso.- Sì, grazie grazie. Non ho tempo, purtroppo, arrivederci. - E congedò velocemente l’ospite, girando i tacchi e continuando a preparare la sala.Anna, tuttavia, non si diede per vinta: - Se vuole possiamo andarci insieme una volta… - - Grazie molto, ma non riesco a trovare un momento libero, non fre-quento molte persone fuori di qua… Non mi sento molto a casa fuori dal ristorante - - Ma lei deve assolutamente venire, allora! Se vuole, le propongo una cosa, magari è un po’ troppo, ma sono sicura che la farà sentire più vicino agli abitanti del quartiere. Nella biblioteca, proprio dopo l’in-gresso, c’è una piccola dispensa e dentro gli abitanti ci possono met-tere le loro ricette preferite con i ricordi che ci associano! Per lei che è ristoratore dovrebbe essere molto interessante… - Anna sperava che questa conversazione potesse far aprire Dan Chan.- Sai, non ho molti amici e vorrei farmene, non so se questa cosa può… -- Ma certo, signor Dan Chan! Poi lei può mettere nei cassetti la sua ricetta con il suo ricordo e sono sicura che si sentirà più vicino alle persone e le persone inizieranno a conoscerla, anche se indirettamen-te… - - Sì, ma non ho tempo. Qui, mia moglie… - Dan Chan si interruppe.

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Capitolo 3

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Non voleva parlare male di sua moglie, ma era tempo che non si con-fidava con nessuno.- Signor Dan Chan, ora devo andare. Ma mi prometta che almeno proverà ad andare in biblioteca e leggerà un ricordo nella cassettie-ra… - - Sì, va bene. Arrivederci. - Dan Chan non sembrava molto convinto, ma non aveva tempo di stare a parlare oltre, quindi congedò Anna e ritornò al suo lavoro.

Il giorno dopo, tuttavia, si recò in biblioteca per cercare di sfuggire per almeno qualche minuto al lavoro nel ristorante. La curiosità la ebbe vinta e Dan Chan iniziò subito a curiosare intorno a quella sor-ta di cassettiera, si guardò intorno, prima a destra e poi a sinistra, in quel luogo in cui si sentiva proprio fuori posto, estrasse un cassetto dalla dispensa, prese un foglietto contenuto in esso e iniziò a leggere. Prima che la biblioteca fosse chiusa, aveva letto la metà delle ricet-te nei cassetti e le aveva sostituite con quelle che gli aveva insegnato suo nonno, nel lontano villaggio in Cina; certo, i suoi foglietti erano pieni di errori e scarabocchi, ma chiunque avesse letto quelle poche righe che aveva scritto, sarebbe potuto entrare in sintonia con Dan Chan e la sua famiglia, nella lontana Cina.

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Capitolo 4

L’alchimia cinese ha una storia lunga e ricca di insidie, ma Huiling non ha timori. Il nonno Gao, nel suo laboratorio in Cina, l’ha con-dotta per mano lungo gli stretti e segreti sentieri della tradizione al-chemica. La famiglia, da quanto tutti si ricordavano, era sempre stata porta-trice dei segreti dell’alchimia waidan, l’alchimia esterna, finalizzata alla preparazione di elisir attraverso la manipolazione di sostanze na-turali: volta per volta, il nonno le aveva insegnato a dare importanza all’ingerimento di questi elisir oppure ai loro significati simbolici. Arrivata in Italia, Huiling si era accorta che per tutti gli occidentali era facile pensare che la waidan fosse uguale alla farmacologia natu-rale che in quel periodo andava così di moda, ma lei sapeva, invece, che in quelle tradizioni orientali c’era molto di più di semplice stu-dio degli elementi: per essere un vero “maestro” waidan, bisognava entrare in contatto con gli elementi e con le forze che ne equilibrano le combinazioni.

Quel vecchio che l’aveva bloccata cercava l’elisir di lunga vita, ma Huiling era consapevole che cercare, semplicemente, un rimedio pronto all’uso, una medicina dagli effetti miracolosi, non avrebbe condotto a niente: nessuno, in quel modo, sarebbe riuscito ad entra-re appieno nella filosofia che le aveva tramandato suo nonno Gao e se quel tipo pensava di poterlo fare era solo uno sciocco.Mentre Huiling scuoteva la testa pensando a lui, Gianmaria, quella sera, era insieme terrorizzato ed entusiasta all’idea di poter avere una seconda possibilità grazie a quello che ormai chiamava tra sé l’elisir magico, ma, un momento dopo, si sentiva un illuso: l’arte alchemica,

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Capitolo 4

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diciamolo, non faceva proprio parte del suo bagaglio culturale e l’i-dea che qualcosa potesse andare storto arrivò improvvisamente e gli fece rimpiangere di aver chiesto aiuto a quella donna. Sulla strada di casa, ripensava alle parole che Huiling gli aveva rivolto dopo che lui aveva accettato di lavorare per lei. Anche se intorno a loro non c’era più nessuno, lo aveva tirato da parte e gli aveva sussurrato:- Tu sei vecchio, non so se ce la fai. Mio nonno era più vecchio di te e mi ha insegnato tutto, ma lui era diverso… era abituato! Tu non fai niente tutto il giorno! Non voglio rallentare per te. -Gianmaria, che si sentiva comunque rincuorato, in quel momento, dalla storia del nonno, rispose:- Certo, non succederà, signora…Signora? - - Sono Huiling Li, ma per te signora Li! -, alzò improvvisamente la voce, quasi offesa che lui non sapesse il suo nome.- Ah!…Ehm, certo…Dunque, signora Li, io sono un povero vecchio, come ha già visto anche lei. Ma, come spero abbia notato, ho un ca-rattere di acciaio. Sa, l’ho ereditato dal mio bisnonno, il generale che nella…- - Ah, sì, sì. Ma io non rallento! - aveva ripetuto lei, di certo non im-paziente di sentire la storia del bisnonno generale. - Domani, sette al mio ristorante. Se non sei puntuale, io non ti apro! Capito? -- Ma certo, ma certo… Ma… domani? Alle sette del mattino? Anche se è domenica? Di certo non mi voglio lamentare, lei è molto gene-rosa e… - Huiling ne aveva davvero abbastanza di tutte quelle parole: era grata al vecchio per averla aiutata quando nessun altro l’aveva fatto, ma si era già pentita dell’accordo fatto: avere un apprendista nel suo pre-zioso ristorante non le andava ancora a genio.Gianmaria, arrivato a casa giusto in tempo per l’ora di cena, mentre si preparava una pastina in brodo, si mise a pensare a cosa avrebbe voluto dire per un uomo della sua età rimettersi in gioco: avrebbe seguito un corso di regia, si sarebbe diplomato e avrebbe insegnato ai suoi coetanei e poi… Ma chi la voleva dare a bere? Passò una serata di sconforto pensando a quella sua matta idea di im-

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parare l’alchimia, che, magari, non avrebbe nemmeno funzionato e l’avrebbe solo stancato. In più, quella storia del ristorante gli avrebbe fatto perdere del tempo prezioso! - Sì, tempo prezioso… Ma prezioso per cosa, santo cielo? Non ho niente da fare, il Filippo non lo sento da settimane, i miei amici non ci sono più… Al diavolo! Facciamo questa cosa, Gianmaria, forza! - ed esclamò queste ultime parole così a gran voce e con un tale impeto che non si accorse del fischio acuto del bollitore, pronto per la sua camomilla. Che, quella sera, ci voleva proprio.

Il giorno dopo, Gianmaria si svegliò di buon ora: temeva le ire della signora Li se fosse arrivato in ritardo al loro appuntamento. Rimase per dieci minuti buoni a fissare il suo guardaroba e arrivò alla conclu-sione che non aveva niente adatto a un lavoro manuale, come poteva essere quello in un ristorante. Così, a malincuore, andò nello sgabuz-zino, aprì la vecchia scala di ferro, tutta traballante, si arrampicò fino in cima ai gradini ed estrasse dallo scaffale più in alto uno scatolone completamente impolverato. Su un lato c’era scritto “Roberto”: era-no i vestiti di suo figlio, quando ancora non era sposato e viveva con lui in quella casa. Ci mise un po’ a scendere, non tanto per la fatica di portare la scatola, quanto per il peso dei ricordi che, sapeva benis-simo, sarebbero precipitati su di lui come la pioggia nel periodo dei monsoni e l’avrebbero travolto senza pietà.Andò in salotto e appoggiò quel maledetto contenitore di memorie per terra; rimase a fissarlo ancora qualche minuto, dopodiché prese coraggio, tirò una bella soffiata per togliere la polvere ancora depo-sitata sulla parte superiore e aprì il coperchio. Non dovette scavare più di tanto tra i vecchi vestiti per trovare quello che più gli sarebbe servito nel suo primo giorno di apprendistato: prese una tuta sgual-cita, delle vecchie scarpe da ginnastica e un cappellino (- Che non si sa mai… -).Si accorse con stupore che non gli aveva fatto l’effetto che credeva: non aveva sofferto così tanto nel rivedere gli oggetti e gli abiti appar-tenuti al figlio: forse, da quando era morto nell’incidente con sua moglie, erano passati abbastanza anni da rendere i ricordi meno duri.

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Anzi, si meravigliò di sentire più forte un’altra mancanza, quella del nipote Filippo, che in modo naturale era riuscito, allora, a fargli com-pagnia e in modo così inspiegabile faceva sentire, ora, la sua assenza.Il tempo stava passando senza che lui se ne accorgesse e, quando die-de un occhiata all’orologio a muro del soggiorno, erano già le sei e mezza. Andò in bagno, si lavò, si vestì e, in dieci minuti, era fuori di casa. Era tanto tempo che non aveva un appuntamento e l’agitazione gli aveva messo il “turbo”.

Fu dopo due passi che si rese conto di aver trascurato una cosa im-portante:- Madonna santissima… Ma qual è il ristorante della signora Li? - Gianmaria si fece prendere dal panico e rimase immobile fuori dal portone di casa; la portinaia iniziò a preoccuparsi e gli si avvicinò, quatta, chiedendogli:- Signor Argenti…? Signor Argenti, tutto bene? - Gianmaria alzò gli occhi e gli balenò in mente l’immagine di Huiling che si allontanava, veloce, da Coltivando il giorno prima.- Signora Sabina, buongiorno! Sa mica dov’è un ristorante cinese in via Imbriani? - - Ah, so miga! Ma va al ristorante cinese, a quest’ora?! - Gianmaria non la stava più ascoltando e filò in direzione di piazza Bausan alla disperata ricerca della sua meta. Era tanto tempo che non gli capitava qualcosa di così emozionante.- Adesso devo pure fare la ricerca del ristorante, pensa te… -, si disse fra sé e sé, con il fiatone per la camminata veloce.Arrivato in piazza Bausan, l’unica possibilità che poteva avere era quella di percorrere tutta via degli Imbriani, fino a trovare il ristoran-te della signora Li. Dopo pochi minuti che gli sembrarono ore, però, scorse una testolina familiare affacciarsi da una finestra sulla strada, guardare a destra e a sinistra e urlargli:- Signore! Quasi in ritardo! Veloce che iniziamo! -Gianmaria aveva il cuore in gola! Ma era contento: non avrebbe im-maginato di avere così tanta fortuna.- Arrivo, arrivo! -

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Per quanto veloce cercasse di andare, la sua camminata era lenta e affannata, ma non si rese nemmeno conto di stare faticando, tanta fu la sorpresa di aver trovato il ristorante così facilmente!Arrivato, salutò educatamente il capo sala, già al lavoro e due giova-notti che, pensò, stavano facendo anche loro apprendistato. Il marito di Huiling e i figli, dopo che fu passato Gianmaria, si scambiarono occhiate di intesa e i due ragazzi si misero a ridere silenziosamente.

Gianmaria entrò in quella che aveva inteso fosse la cucina:- Buongiorno, signora Li! Come andiamo? Ha visto che bella… -- Sì, sì, sì, taglia quelli piccoli piccoli -, lo interruppe lei. La domenica mattina, chiacchierare era l’ultima cosa che le sarebbe andato di fare.Gianmaria seguì con lo sguardo il punto indicato da Huiling e scorse una montagna di cipollotti belli e verdi che aspettavano solo di es-sere tagliati, cucinati e mangiati. Se, ad un primo momento, si sentì scoraggiato per l’incarico, il momento dopo si mise di buona lena su uno sgabellino a pulire quei cinque chili abbondanti di “verdurine piagnone” (- Ma mai piagnone come le cipolle rosse! -).Piano piano, il signor Gianmaria riuscì a tagliare la montagna di ver-dure in un tempo da record e scorse nello sguardo di Huiling un’aria sorpresa e persino, forse, vagamente divertita.- T’è vist? Che laurà, eh? -, le disse ridacchiando, sorpreso lui stesso.- Sì, sì, signore, ora i funghi. Ma non tagliati come i cipollotti. Questi li devi fare come li tagliamo noi… così… -A Gianmaria, pareva quasi di essere tornato a scuola: Huiling pre-se quattro o cinque funghi cinesi e gli fece vedere come pulirli e ta-gliarli, uno alla volta e con cura. Gianmaria sapeva che la sua tenacia avrebbe fatto una buona impressione alla signora Li e notò anche che, dopo un po’ di tempo a tagliare cipollotti, ad affettare funghi, a lavare il riso, Huiling stava iniziando a sciogliersi e a liberarsi della corazza burbera che la caratterizzava.

Mentre lavorava, Gianmaria si ritrovò così di buon umore, che si mise persino a canticchiare una vecchia filastrocca in dialetto mila-nese imparata tanto tempo prima:

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- Mí sont el ras ma de la Bovisae quand la gent la me ved a passàme varden i scarp, i calzon, la camisae disen tucc: a l’è matt de ligà...La sai questa? - Chiese a Huiling, che gli rispose sorridendo e scuo-tendo velocemente la testa.Per pranzo, Gianmaria aveva finito i compiti che gli aveva assegnato e se ne tornò a casa per non disturbare durante il servizio.- Vieni dopo! Alle quattro! - gli urlò Huiling dalla cucina, mentre finiva gli ultimi preparativi.- Ancora?! Ma pensavo di aver finito, per oggi! -, esclamò Gianmaria, sorpreso, confuso e distrutto dal lavoro.- Massimo, quattro e mezzo! - gli rispose a sua volta Huiling.Gianmaria tornò a casa, tutto sudato, si preparò una pastina in bro-do, mangiò e andò dritto sulla sua poltrona: quel pomeriggio, fece il sonnellino pomeridiano migliore della sua vita.

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Capitolo 5

A Gianmaria sembrava, ormai, di essere stato assunto a tempo pieno come aiuto cuoco nel ristorante di Huiling: da un mese e mezzo tutti i giorni arrivava dalla signora Li la mattina alle otto (era riuscito a strapparle un’ora di sonno in più), tornava a casa a mezzogiorno e poi ritornava alle quattro del pomeriggio fino alle sette. I suoi ritmi erano cambiati, le sue abitudini erano cambiate, e anche la sua dieta era cambiata: la mattina, al posto di latte caldo con miele, ora si fer-mava sempre dal fornaio in piazza Bausan a fare colazione con una bella tazza di caffè bollente al ginseng, una brioches al pistacchio e una spremuta d’arancia. Le giornate filavano lisce e si era abituato a quella routine.

Una domenica, però, si fermò sull’uscio di casa per una forte fitta alla gamba e dovette rientrare e sedersi per qualche minuto. Telefonò subito alla signora Huiling che parve prenderla decisamente male.- Ma signora Li… Appena smetterà di farmi male la gamba, esco e arrivo… - le spiegò Gianmaria, nella speranza di impietosirla.- No, no, signor Gianni, subito deve venire! - - Signora Li, ora prendo la mia medicina e arrivo… - le rispose lui, abbattuto per non essere riuscito a resistere al dolore alla gamba.Huiling, però, nonostante la reazione brusca, era preoccupata. In quel periodo si era affezionata a Gianmaria al punto che si era persi-no dimenticata lo scopo iniziale del vecchio “apprendista”, imparare l’alchimia, e aveva semplicemente continuato a insegnargli l’arte del-la cucina cinese senza pensare alla richiesta originaria. Dal canto suo, c’è da dire che anche Gianmaria non aveva più rimu-ginato molto sul suo tanto agognato elisir di lunga vita, se non che

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quel giorno, con quel dolore fastidioso, si trovò a pensare che, forse, era arrivato il momento di chiedere finalmente alla signora Li notizie e informazioni precise su quella scienza antica che tanti affascinava e della quale, in quel momento, sentiva proprio il bisogno.Superata la “crisi”, dunque, Gianmaria andò di buon passo al risto-rante.Aveva in mente, una volta arrivato, di andarsi a scusare con ognuno della famiglia di Huiling per il ritardo, subito dopo, di ricordare a Huling l’impegno preso più di un mese prima. Ad aspettarlo, però, con sua grande sorpresa, non trovò la signora Li su tutte le furie per la sua mancata puntualità: il ristorante era vuoto, non c’erano né Dan Chan, il marito di Huiling e caposala, né i due figli. La faccenda si fece sospetta quando, mentre avanzava cauto verso la cucina, Gian-maria vide che i piani di lavoro erano intonsi e vuoti, senza nemmeno gli attrezzi da lavoro. Ma dov’era la signora Li?- Signora Liiii? Signora Li, sono Gianmaria, scusi per questo ritardo. Non avrei… -- Sì sì sì. Va bene, va bene. – Huiling irruppe nella cucina vestita di tutto punto, pettinata in modo impeccabile e carica di libri.- Tu non sei vestito bene. Da oggi ti vesti bene! E non vieni più tutti i giorni, ma solo domenica alle otto e vai via alle dieci, poi sabato vai a Coltivando e curi il Jiao Gu Lan… Pianta del paradiso! -Gianmaria era esterrefatto: non si aspettava di certo un cambiamen-to così repentino. Dalle lezioni di cucina, un po’ in italiano, un po’ in cinese, non aveva colto alcun riferimento all’alchimia e in certi giorni aveva finito per credere che non gliel’avrebbe mai insegnata.- Ah! Bene! Ma oggi cosa facciamo allora? -, chiese un po’ impac-ciato.- Oggi ti dico cos’è l’alchimia: mio nonno era maestro e mi ha inse-gnato. Io non so se riesco a spiegarti bene in italiano, ma devi capire che è una scienza sacra alla Cina. -Da quel giorno, Gianmaria imparò cosa fosse realmente l’alchimia. Capì che non era solo un surrogato di una qualche strana scienza magica, ma che era fatta di pazienza, di religione ed esoterismo: l’al-

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chimia era la scienza custode di un ordine più elevato e quasi incom-prensibile.Le lezioni proseguivano tra la teoria sui libri, di cui, in realtà, Gian-maria non capiva poi molto, la cura del Jiao Gu Lan nell’orto Col-tivando e le prediche di Huiling per la poca precisione nel seguire i metodi e i rituali di preparazione dei filtri. Le domeniche, la cucina del ristorante di Huiling si trasformava in un laboratorio (per la felicità di Dan Chan e dei suoi figli, che si go-devano, finalmente, le domeniche libere), con tanto di attrezzi del mestiere, provette e libri antichi. Gianmaria era così preso dall’assor-bire quanto più possibile dei suoi insegnamenti, che non si accorgeva del tempo che passava a studiare a casa le tecniche di miscelazione che gli aveva mostrato Huiling quel giorno, o il come tagliare un par-ticolare baccello in modo da non perdere alcun seme. Dopo qualche settimana, chiese persino alla signora Li se potesse portarsi a casa un paio di libri illustrati sui gesti e sulle fasi della pre-parazione del filtro di eterna giovinezza.- Ah ah ah! Perché? Tu adesso capisci il cinese? -, lo prese in giro Hui-ling. Era onorata che fosse così dedito alla disciplina, ma si rendeva anche conto che un vecchio italiano poteva apprendere solo parte degli insegnamenti che aveva imparato lei.- No, signora Li… è che volevo solo sfogliarlo, magari questo pome-riggio… -, rispose timido Gianmaria. Apparentemente a malincuore, ma sotto sotto molto soddisfatta di aver trasmesso a Gianmaria la passione per un tradizione così impor-tate per la cultura cinese, gli cedette uno dei suoi libri e, per quella settimana, lo congedò.La domenica successiva, come al solito, Gianmaria si presentò alle cucine di Huiling, ma anche stavolta notò qualcosa di strano: all’en-trata erano appese delle strane decorazioni: non sembravano le solite scritte in cinese o i pupazzetti dei figli, ma quasi dei… sì, dei talisma-ni, che avevano l’aria di avere parecchi anni. Varcata la soglia della cucina, Gianmaria si sorprese di vedere la signora Huiling vestita con abiti tradizionali, elegante e maestosa, in un abito in seta rosso fuoco e truccata come una diva del cinema.

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Capitolo 5

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Prima che Gianmaria potesse proferir parola, Huiling esclamò:- Ah! Non ti ho detto che era questo il giorno? – A Gianmaria parve che lei gli avesse letto nella mente, ma decide di non dire niente, appoggiò il libro sul piano da lavoro e si sedette sulla sua sedia, quella comoda, adatta al suo mal di schiena.- Oggi è giorno di elisir, signor Gianni. - Finché non l’ebbe sentito, non ci credette: Gianmaria era più felice che mai perché i suoi sforzi stavano per dare un risultato: avrebbe ritrovato le forze che aveva abbandonato alla giovinezza!- In verità non si fa così: tu devi andare a meditare in montagna per giorni, poi tornare e offrire a me pegni d’oro, ma penso che va bene uguale. - Pegni d’oro? Gianmaria era confuso (“Ci mancherebbe solo quello”) ma capì che, oro o non oro, il momento era arrivato: non vedeva l’ora di preparare l’elisir tanto desiderato. Cercò di parlare il meno possi-bile e osservò i gesti rituali della sua maestra.Quando, però, Huiling accese un fuoco nel lavello, Gianmaria iniziò a preoccuparsi. Si alzò di scatto, non aspettandosi tutte quelle fiam-me in poco tempo.- Signora Li… signora… non vorrei interrompere il rito di prepara-zione del… -- Zitto! Ora faccio io, poi fai tu! - Gianmaria si acquattò e non si mosse fino a che il fuoco non raggiun-se un livello ragionevolmente basso e fino a che Huiling non glielo ordinò.- Ora ti alzi, prepari tutto come ti ho insegnato e io controllo che non incendi tutto. - - …lei è molto incoraggiante…-, bofonchiò Gianmaria, combattuto tra l’entusiasmo e la preoccupazione.- Silenzio! Ora lavora! -La quiete che era scesa nella cucina era interrotta solamente dal-lo scoppiettare delle braci nel lavello e dal tagliuzzare incessante dell’apprendista. Il sudore gli scendeva dalle tempie e gli occhiali da lettura gli scivolavano continuamente sulla punta del naso: non li aveva mai portati, ma la precisione necessaria alla preparazione delle

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componenti per l’elisir l’aveva obbligato a comprarne un paio.Dopo mezz’ora di taglia, affetta, sminuzza, schiaccia, estrai, Gian-maria era davvero esausto. Stava usando tutte le sue forze e tutta la sua memoria per ricordarsi i procedimenti che aveva appreso e ora, arrivato quasi alla fine, si era dimenticato del passaggio successivo, quello più importante. Preso dal panico, si appoggiò al mobile della cucina, sempre continuando a mescolare, e chiuse gli occhi, quasi ad invocare gli avi di Huiling, che venissero ad aiutarlo.- …ora mezzo di baccello… - Sentì un sussurro, aprì di scatto gli occhi e, per un attimo, pensò di essere impazzito. Fermò il continuo mescolio e rimase ad ascoltare.- …mezzo di baccello! - La signora Li stava suggerendo a Gianmaria il passaggio successivo e lui la guardò, maestosa e più severa che mai, seduta su uno sgabello e con gli occhi rivolti al soffitto, quasi a voler ingannare sé stessa, a cre-dere a un suggerimento proveniente da un maestro che non era lei.Sorridendo Gianmaria bisbigliò un grazie e continuò.Alla fine, l’elisir fu pronto.Huiling, senza dire una parola, lo verso in una boccetta e glielo porse.- Lo bevi stasera prima di dormire, poi mi riporti la boccetta… Non credere che diventi giovane, ma comunque stai meglio, dopo. – Gli diede l’intruglio magico, si infilò il grembiule e iniziò a rimettere a posto.Gianmaria tremava dalla felicità, non sapeva cosa dire e, in effetti, disse soltanto:- Grazie, signora Li. - e si avvicinò all’uscita delle cucine.- Ora va bene Huiling. - Gianmaria si voltò e le sorrise.- Grazie, Huiling.- Adesso, però, vieni a mangiare al ristorante e porti anche tanta gen-te, eh? - Huiling era decisamente di buon umore.Il giorno dopo, la sveglia di Gianmaria suonò alle 5, ma fu superflua: non aveva chiuso occhio, stava ancora pensando al festival di quel ragazzo. Antonio.

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Capitolo 6

Gianmaria rimase seduto sul letto per parecchi minuti a pensare.Si alzò e andò a guardarsi nello specchio. Non lo faceva da tempo, ma ora si osservò con cura. Le rughe c’e-rano ancora tutte, ma lo sguardo era limpido, la pelle sembrava più riposata e le braccia magre che spuntavano dalla solita canottiera non sembravano più scheletriche, ma, piuttosto, sottili e forti. Raddrizzò la schiena, aspettandosi di sentirla scricchiolare, ma sentì soltanto qualche muscolo tirare benefico vicino ai reni.- Ma chi me lo fa fare di bere quell’intruglio? - Gianmaria si sentiva bene come mai nella vita. Possibile che quell’e-lisir facesse effetto anche solo come talismano? Rimase fermo a guar-darsi e a pensare intensamente a quello che poteva dargli in più il fantomatico elisir di lunga vita.- Ma che sciocchezza… - Si disse, sorridendo.

Si vedono girare un mucchio di ragazzi, da queste parti, ora. Appena spunta un po’ di sole, saltano fuori dalle mura rosse dell’università, dai bar, dai supermercati a sconto fisso. Li guardò e pensò a che cosa vogliono, e a che cosa sanno di questi posti che per tanto tempo ho fuggito come la peste.Mi chiamo Antonio Pivetta e sono tornato qui, dove avevo giurato che non avrei più messo piede. Si cambia, con l’età.Lo diceva mia madre, e non le ho mai dato retta; scrollavo le spalle e uscivo a cercare il mio amico Gianni, che abitava in una casa gialla non lontana dalla scuola. La casa c’è ancora, e mostra un lato nudo lì dove hanno fatto spazio al distributore che cerca inutilmente di

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ingentilirsi con qualche vaso di rododendri impolverati. Gianni, in-vece, chissà dov’è. Chissà dove sono Mario, detto il Lungo, e Gina, Luisa, Roberto, che le ragazze chiamavano “il bellino di via Bodio”, tanto era meglio di noi poveri ragazzotti sgraziati della Bovisa.Forse adesso chiamerebbero così me, che, anche passati i trenta, fac-cio ancora la mia porca figura tra gli amici romani e qualche testa la faccio girare anche oggi, che mi sono messo tutto in tiro per andare a sentire il vecchio Gianmaria. Se mi vedesse Luca, mi prenderebbe in giro, e sarebbe anche geloso.- Non di qualcuno – mi ha detto prima che partissi. – Son geloso di quella città nervosa. Quando torni? E poi, più preoccupato:- Torni?Certo. Certo che torno. Torno da Luca, torno a Roma. Tra un po’. Appena ho sistemato le cose qui. Appena ho digerito questo nuovo slancio che mi ha riportato dove sono stato così male. Sono cambiato, con l’età.Lo ha detto mio padre, di lui, e io non l’ho ascoltato; ho chiuso quell’ultima telefonata senza badare alle parole che erano state pro-nunciate. Le ho ascoltate, le ho sentite, come banali, dette tanto per dire, per riempire uno dei tanti silenzi che hanno punteggiato i pochi incontri e le rarissime chiamate tra me e lui dopo la mia partenza da Milano.- Tua madre vuole vederti –, aveva detto anche, all’inizio della con-versazione, come a giustificare la sua chiamata, una debolezza verso un figlio ormai cancellato dalle sue giornate.- Verrò, prima o poi -, avevo risposto, sfogliando intanto le ultime pagine di una sceneggiatura che allora mi sembrava essenziale per la mia vita, per il mio futuro. - Devo prima finire una cosa -, avevo aggiunto, senza perdermi in troppe spiegazioni.È qui che lui mi ha detto: sono cambiato. È lì che non ho più ascolta-to, perso nelle righe dei dialoghi che mi vedevo davanti e che mi sod-disfacevano ancora meno di quella telefonata. Ho riattaccato subito

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dopo, salutando educatamente, e ho incontrato lo sguardo di Luca.- Sei stato spietato -, mi aveva fatto notare subito, e io avevo alzato le spalle. Con lui posso permettermelo. Lui mi conosce più di chiun-que altro. Sa di mio padre, della furibonda lite di quando, poco pri-ma della mia laurea romana, sono salito a casa a spiegare che, no, non sarei più tornato in quella città fredda e ostile, dove non c’era più niente a trattenermi, dove non avrei potuto continuare quella che ormai sentivo come la mia carriera, il lavoro della vita; dove non avrei portato nessuna famiglia, nipotini, parenti. Il mio posto, lo sentivo bene, era Roma. Roma e il cinema. Roma e Luca. Lo avevo detto a mio padre e ne avevo avuto in cambio una porta sbattuta in faccia. Mio nonno, invece, mi diede un abbraccio e andò a sedersi sulla sua poltrona comoda. Spietato? No. In fondo stavo solo facendo quello cui mio padre stesso mi aveva consegnato.Perché ci sono mille cose che gli posso rimproverare, ma se c’è una cosa che gli devo riconoscere, è proprio questa: di avermi introdotto in un mondo che ancora oggi considero l’unico per me possibile, l’u-nico per il quale vale la pena di battersi e di sbattersi.- Certe volte -, mi ha detto qualche anno fa Luca, mentre ero im-pegnatissimo a trovare i fondi per il progetto della scrittura di un documentario da girare in Sardegna, - certe volte credo che se dovessi scegliere tra me e un copione, non avresti molti dubbi.- Può darsi -, gli ho risposto, e ho riso. Abbiamo riso, sapendo tutti e due che la mia risposta non era del tutto una battuta, ma (forse) la verità. Una verità così vera che, adesso, sono qui anche grazie a Luca, che mi ha spinto prima e sostenuto poi in questo progetto che all’i-nizio sembrava soltanto folle e nostalgico.Sono qui, discendo lento via degli Imbriani, ritrovo la vecchia osteria dove ho mangiato i migliori panini col salame della mia vita, e poi incomincia la sfilza dei Panelandia, Fiorilandia, e un Kasalingo che si sente molto internazionale, mentre espone un “fuori tutto” di coltelli e pentole a pressione. In piazza Bausan, la vecchia fontana mostra le striature verdastre del tempo, e un anziano pancione seduto sul bordo abbraccia amichevole una delle grandi sfere di marmo su cui a volte ci dondolavamo. Chissà se lui si ricorda. Chissà se ha sempre

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abitato da queste parti o ci è arrivato da poco, e per lui ogni strada, ogni piazza, ogni fontana, sono la stessa cosa. E il ragazzino che a momenti si fa mettere sotto dal camioncino verde della spazzatu-ra (alimentato a metano) chissà se conosce le tristezze di chi, come me, era stato catapultato qui da una città di provincia, costretto ad abbandonare i compagni dell’asilo, le corse per strada, le gare in bi-cicletta. Non ho perdonato mio padre per averci costretti qui, in Bo-visa, città nella città. Non l’ho perdonato per lungo tempo. E dopo, quando proprio qui a Milano, proprio lui, mi ha fatto intravvedere la mia strada, portandomi all’Armenia films, ecco, dopo è stato troppo tardi.

Troppo tardi: le parole più inutili in qualsiasi lingua. Eppure è per questo che oggi mi trovo qui. Perché ho accettato il fatto che ciò che sono è nato da queste parti, che sono questi i luoghi e le persone che non devo dimenticare, perché riesco finalmente a guardare le cose da un punto di vista meno acerbo del ragazzo furioso che partì per Roma più di vent’anni fa, e perché voglio che questo posto, questa gente, possa creare qualcosa di buono.L’idea è quella che ho presentato al vecchio brontolone: salvare quel-lo che rimane della memoria dell’Armenia. E perché no?, ho pensato. Non è nemmeno un’idea originale, l’ho detto subito a Luca: mi è ve-nuta in mente quando negli Stati Uniti si sono sciolti in lacrime per la demolizione di tre vecchie palazzine dei mitici Pickfair Studios e quella cretina di Monica si è messa a spiegare che “in America, sì, che sapevano cos’era il cinema”, “in America, sì, che avevano costruito un impero, noi italiani invece…” e banalità al seguito. Noi italiani, invece, le avevo detto, avevamo questo, e le ho tirato fuori la vecchia foto dell’Armenia che mi aveva regalato uno dei cu-stodi: avevo dodici anni, e quella foto una settantina. Mi era sem-brata un tesoro, allora. E lo sembrava ancora in quel momento, con la Monica che osservava senza capire il palazzone e il capannone lì raffigurati.- Teatro di posa -, le avevo indicato, - laboratorio di stampa, e qui, vedi il cartellone?, Milano Films. 1911. E qualche anno dopo Arme-

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nia Films. Credo sia partita da lì, l’idea. Da quella vecchia foto. Ho cominciato a cercare altre notizie, a frugare tra le mie vecchie carte, a impostare una scaletta di lavoro, a pensare a come fare per riunire intorno alla magica vecchia porta dell’Armenia il contributo degli stessi abitanti del quartiere. A pensare di tornare a Milano.Ho parlato di nuovo con il signor Argenti (“il brontolone”, ormai lo chiamo quando telefono giù a Roma) e l’ho trovato cambiato. Sem-brava avesse fatto un bagno nella fontana della giovinezza. Più puli-to, ordinato, più lesto nei movimenti e più guizzante nello sguardo. Gliel’ho detto, mentre mi serviva il solito tè nero come il carbone:- La trovo bene, signor Argenti.E lui mi ha raccontato una storia balorda su un elisir di lunga vita; ha tirato fuori un vecchio film, su una videocassetta, che nemmeno pensavo più qualcuno usasse ancora e ridacchiando mi ha spiegato di aver capito che l’elisir ce lo facciamo noi, giorno per giorno. Mi ha parlato del waidan, e si è lanciato in una spiegazione intricata sui misteri dell’alchimia cinese, e mi ha scritto su un foglietto il nome di un arbusto miracoloso. “Basta coltivarlo, e ci si sente già meglio”, ha detto. E io l’ho lasciato parlare, perché, se questo era il prezzo per averlo con me nel progetto, l’avrei pagato. Mi ha detto che, se voglio, mi porterà in un ristorante cinese, un otti-mo ristorante, e pranzeremo insieme e decideremo cosa fare dei suoi ricordi. Ha tirato fuori la locandina di un vecchio lungometraggio muto su Dante e Virgilio, “L’Inferno”, di cui avevo soltanto sentito parlare e che mi piacerebbe recuperare per il mio festival.- L’ha visto? -, gli ho chiesto.- Ohè, guarda che sono del ’35, mica dell’Ottocento -, mi ha rispo-sto, ma ho visto che rideva. Una bella differenza dal vecchietto mu-sone dell’altra volta.E poi ha tirato fuori una scatola, e c’era la stessa foto che avevo io, quella del teatro di posa, e biglietti del cinema, la fotografia di una eterea giovane inguainata in un abito che sembra di lamé, con una grande falce di luna che le spunta dietro la testa, e un gruppo di per-sone davanti a un teatro di posa che sembra proprio quello dell’Are-

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na… Una miniera.È così che mi sono ritrovato a spiegargli che cosa avevo in mente per quel vecchio quartiere, e il mio festival, e la mia paura di fallire, sta-volta. E lui mi ha guardato e mi ha detto, serio serio:- Dove la gente vive, cresce, studia e lavora, ci sono le basi per costru-ire. - Ci sta, allora? -, gli ho domandato.- Quando si comincia? -, mi ha risposto.

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Epilogo e ringraziamenti

Questo racconto fa parte di “7minuti”, progetto nato dal Lab. di Sintesi Finale (Politecnico di Milano - Scuola del Design, A. A. 2015/2016, CdLM Design della Comunicazione).I fatti e i personaggi descritti non sono realmente esistiti, ma sono stati ispirati dai cittadini del quartiere Bovisa, a Milano.

L’autore Antonio Pivetta è frutto della fantasia del gruppo di lavoro Milano|Hong Kong (Elena Corbari Verzeletti, Francesca Romana Di Vito, Huiling Li, Mario Martinasco, Giulia Vaentini).

Si ringraziano:Plug Social TVImagis HUBColtivandoLa Biblioteca di Dergano-BovisaMoleskine Italia

Fabio Amoroso, per averci supportatoMattia Geraci, per la performance attorialeAnnalisa Ferrari, per la revisione del racconto

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