IL PRIMO - GIUGNO 2012

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Mensile a tiratura regionale Anno 8 - n. 6 giugno 2012 20.000 copie - Distribuzione con La Gazzetta La Cattolica di Campobasso unico centro in Italia a usare questa tecnica d’avanguardia

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IL PRIMO - GIUGNO 2012

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Mensile a tiratura regionaleAnno 8 - n. 6 giugno 201220.000 copie - Distribuzione c o n L a G a z z e t t a

La Cattolica di Campobasso unico centro in Italia a usare questa tecnica d’avanguardia

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sommario

Allegato

DIRETTORE RESPONSABILEFranco Boccia

DIRETTORE EDITORIALEGennaro Ventresca

Registrazione al Tribunale

di Campobasso

n°5/05 del 05/03/2005

BLOB DI A. PICCIRILLOSEDE LEGALEVia Veneto, 113

80054 Gragnano (NA)

Tel. 0874.318092 - Fax 0874.413631

E-mail: [email protected]

E-mail: Amministrazione-Pubblicità[email protected]

www.lagazzettadelmolise.itwww.gazzettadelmolise.com

STAMPA:Castellammare di Stabia

Progetto grafico

Maria Assunta Tullo

In questo numero

RubricheLa voce del padronedi Ignazio Annunziata pag. 4

Piazza salotto di Adalberto Cufari pag. 5

Camera con vistadi Antonio Campa pag. 7

Il Cerinodi Pasquale Licursi pag. 10

Campuascianeriadi Arnaldo Brunale pag. 31

SanitàBollino rosa perl’ospedale di genere

9PoliticaPdl: primarie senza partecipazione

12RicorsiSinistra: due pesie due misure

22SocietàI personaggi ritratti da Michele Praitano

25EconomiaMattone e cementoper il rilancio

27Il ricordoLa storia tristedi Clesilde

28TradizioniAcinielloe la sua caponata

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Il rilancio

dell’agricoltura

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Vita da Diavolo

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Il Tapiro del mesea Ugo De Vivo

Campobasso non è più la cittàdi 50 anni fa, quando io stavodiventando giovane e sognavo

chissà quante cose che poi non si sa-rebbero avverate. La mia città è cam-biata, non poteva non cambiare,perché, con i tempi, tutto cambia. Sein bene o in male, lo ignoro.

Ognuno fa i suoi comodi e la poli-zia municipale sta a guardare: o perimpotenza o per pavidità. Non cisono regole, le prescrizioni eluse, idivieti ignorati. La città capoluogo èdiventata terra di nessuno, dove nonsi sa bene chi comanda e chi obbe-disca. Tutto è lecito, anche l’illecito.

Tutto è lasciato al caso, anche l’impellenza. In certi momenti sembradi stare nella più bieca periferia napoletana, con cumuli di spazzaturaagli angoli, i depliant che svolazzano da tutte le parti, i sacchetti diplastica che corrono spinti dal vento, specie nella zona di Corso Bucci,dove si tiene il mercato ambulante a posto fisso. Non si contano i ca-mion di frutta venduta senza licenza, i fiorai di complemento, nei por-toni degli uffici pubblici c’è un fiorente commercio di biancheria e dicapi con griffe contraffatte. Le basole laviche traballano, i sampietrinidi Piazza Municipio sono sconnessi, ci inciampano facilmente, tantogli uomini che le donne.

In una pietra, di recente, mi sono incagliato anch’io, sbarellandocome un alcolizzato, cadendo e battendo il mento, fortunatamente nonho riportato danni alla testa, l’unica cosa che ancora mi funziona.

Ormai i cittadini accettano senza colpo ferire tutto ciò che gli si paradavanti agli occhi: alberi che si seccano uno dietro l’altro, aiuole cal-pestate da tutti, erbacce che crescono spontaneamente senza che nes-suno vada ad estirparle.

Gli amministratori non sono migliori degli amministrati: hannoquello che si meritano. Ormai sono da considerare una minoranzaquelli che devono la bibita e gettano il vuoto nel cassonetto, sonopochi quelli che usano i preservativi e li gettano tra i rifiuti. Quandoavevamo l’età li facevamo scomparire nel bidone della spazzatura, ipreservativi, avvolgendoli anche con un pezzo di giornale, per nonfarli vedere.

Passeggiare per il corso è diventato un rischio: le auto vi scorraz-zano a tutte le ore, senza che ci sia un solo vigile pronto a elevare lacontravvenzione. In piazza Prefettura ormai è un caos, macchine chevanno, vengono e parcheggiano “a gratis”, mentre altrove si paga. Eanche caro.

C’è poi da fare i conti con i padroni dei cani. I quali padroni diconodi essere innamorati dei loro animali, ma evidentemente se ne infi-schiano delle persone: gli escrementi solo raramente vengono raccolti.I marciapiedi, anche in pieno centro, sono pieno di deiezioni liquidee solide di quadrupedi.

Lance a favore degli amici a quattro zampe ne ho spezzate molte dasempre, e continuerò a spezzarle finchè avrò armi a disposizione.Certi canili-lager gridano vendetta, ma anche le strade sporcate daglianimali a guinzaglio fanno inorridire. Non per colpa degli animali, madei loro padroni. Gli uomini sono più malvagi degli animali se si com-portano come tante volte si comportano.

Rimpiango i giorni in cui Campobasso era una città bonaria, pulita,felice e solidale. Mentre oggi la vedo fredda e indifferente. La sera peril Corso c’è sempre meno gente e ancor meno voglia di socializzare.Solo i giovani, per loro fortuna, fanno gruppo. E spesso superanoanche la misura, specie nelle ore notturne, si attardano a bere bic-chieri ricolmi di birra, mentre discutono a voce alta. Disturbando ilsonno dei residenti le cui proteste cadono nel nulla.

L’EDITORIALE

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di Gennaro Ventresca

Come eri bellaCampobasso

L’Oscar del mesea Franco Mancini

Il professionista ha incassato un lusinghiero suc-cesso giudiziario, a conclusione di una lunga e

tormentata battaglia, in rappresentanza della Re-gione Molise, contro l’ex Carimmo (Cassa di rispar-mio molisana Monti Orsini). L’avvocato, su mandatodell’allora presidente regionale Fernando Di LauraFrattura, è riuscito a trionfare per quel che ri-guarda un contenzioso iniziato nel lontano 1989, incui la Regione vantava un credito nei confrontidell’istituto creditizio. Che la Cassazione ha liqui-dato in 5 milioni e 200 mila euro che dovrà esserecorrisposto da Unicredit che, dopo una serie di fu-sioni, è l’attuale banca di riferimento.

Gioia di brevissima durata per l'avvocato iser-nino, catapultato a Palazzo San Francesco da

una pioggia di voti che gli sono giunti al ballottag-gio. Peccato che De Vivo abbia dovuto fare i conticon quanto gli elettori pentri avevano fatto duesettimane prima, in cui avevano premiato, con unampio consenso, i consiglieri del centrodestra.Emerge che l'anatra zoppa abbia azzoppato anchel'incolpevole De Vivo a cui non resta che tentare diriprovare nella titanica impresa la prossima prima-vera. Per il momento a Isernia c'è il commissario ea De Vivo non resta che il nostro tapiro che foto-grafa il suo stato di attapiramento.

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di Ignazio Annunziata

La voce del padrone

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uando gli occhi della gente e le tele-camere di tre televisioni molisane sisono orientati sul balcone del muni-cipio è successo ciò che nessuno sisarebbe aspettato. O forse si, qual-cuno lo aveva previsto, tanto ghiottaè stata l’occasione per avere una im-mensa cassa di risonanza.

Così quando Di Bartolomeo si èpresentato con il suo abito scuro, no-nostante il sole cocente, sono volatifischi, sommati ad altri fischi. Dandovita alla più clamorosa contestazioneche si sia registrata nei confrontidella classe politica molisana. Speciese non si dimentica che lo stessotrattamento è stato riservato (pertrascinamento) anche a MicheleIorio che, come ogni anno, si è por-tato sul balcone del Municipio, perunirsi ai notabili, per il più bellospettacolo di folla che il Molise vivedurante la bella stagione.

Di Bartolomeo, come si ricorderà,ha saputo con una magica serpen-tina sviare il senso della contesta-zione, addossando la colpa a untranello tesogli dai suoi nemici poli-tici. Fingendo di credere che i fischifossero stati distribuiti tanto al chilo.Per invidia, non certo per demeriti.

Le sue giustificazioni non mihanno convinto. E non sono statol’unico a pensarla così. A me è parsoche la gente (tanta gente) se la siapresa con il sindaco del capoluogonon perché, per ragioni di bilancio,ha dovuto ripiegare su due gruppimusicali minori, ma per il suo modoirritante di gestire la città. Che inmolti casi sembra essere solo sua,incurante delle aspettative della cit-tadinanza.

Certo, se al posto dei due gruppiche nelle serate di sabato e dome-nica di Corpus Domini, fosse salitosul palco Renzo Arbore e la sua or-chestra spettacolo, molto probabil-mente, ci sarebbe stato da parte delpopolo un ampio consenso. Che, a

dir la verità, non avrebbe però co-perte le magagne di Di Bartolomeoche con i suoi modi estemporanei hafatto irritare anche i suoi più fidaticollaboratori.

Sul piano della comunicazione ilsindaco ha sbagliato ogni cosa. Lasua politica è apparsa sempre disfida, senza mai un passo indietro. Ilsuo primo colossale sbaglio lo feceappena dopo l’elezione, in cui, pen-sando di fare una simpatica battuta,dichiarò “urbe et orbi”: “Non tengo isoldi neppure per un gelato”. E lagente che lo aveva votato con tantasperanza rimase letteralmente ge-lata.

Da quel momento le gaffes di Ginosono state quotidiane. Mentre la cittàè andata ogni giorno più indietro, intutti i settori: mai le strade sono statecosì sporche, i marciapiedi così rotti,per non parlare della sconcertantedecisione di riaprire al traffico (invia sperimentale) piazza Prefettura.

Tutte queste cose e altro ancora lagente se l’è legate al dito e appenaha avuto l’opportunità di farglielapagare lo ha fatto, con tutto il fiatoche ha saputo tirar fuori, in quel fe-stival di fischi.

Non so se risulta vero che Di Bar-tolomeo abbia intenzione di candi-darsi alle prossime elezioni. Credoche il suo sia stato solo un sempliceannuncio, la solita sfida guascone-sca, tipica del personaggio. Cheaveva avuto sul piatto la più grossaoccasione della sua vita, per chiu-dere la lunga carriera politica da sin-daco del capoluogo e che invece l’habruciata. Non solo per questione disoldi. Perché per recuperare duebelle menti quali Francesco Pilone eGaetano Mascione ha avuto infiniteoccasioni eppure le ha lasciate ca-dere. Incurante del danno che hafatto all’amministrazione che conti-nua ad andare avanti con figure disecondo e terzo livello.

Non credo che il dissenso

di Corpus Domini fosse legato

alla mancanza di una band di grido

Fischi per fiaschi

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di Adalberto Cufari

Ciò che poteva essere e non è stato

Piazza salotto

Il Progetto “Watercycle” per l’utilizzo produttivo ed ecologicamente sostenibile delle acque reflue

e dei fanghi di depurazione è finito in gloria

D ato per scontato che sul problema acqua non c’ètempo da perdere, le iniziative che tendono a ri-durne lo spreco e ad ottimizzarne l’uso vanno per-tanto doverosamente segnalate e seguite colmassimo interesse.

Tempo fa, a Campobasso, ha avuto luogo un incon-tro tra i partner del Progetto “Watercycle” incentratosulla fornitura di strumenti operativi per avviare inconcreto attività progettuali nel settore idrico. Incre-dibile, ma vero, l’Amministrazione di Palazzo sanGiorgio è stata uno dei partner del Progetto, insiemealle Province di Ferrara e di Brindisi, al Comune diPesaro, e ad alcune municipalità di Croazia ed Alba-nia (il Progetto rientrava tra le scelte comunitarie ri-guardanti la cooperazione transeuropea).

Incredibile, perché Campobasso è il capoluogo ita-liano che con il 62 per cento registra una delle mag-giori percentuali di perdita d’acqua dalla rete idrica,ed essendo una città strabica, ciò che perde a montecerca (inutilmente) di poterlo recuperare a valle. Perquesto aveva creduto, e preso parte, al “Watercycle”che, appunto, sviluppa lo scambio e la condivisionedi prassi e di azioni sperimentali nella pianifica-zione e gestione delle risorse idriche. Sì, ma per mu-nicipalità serie, competenti e intelligenti.

Nell’ambito del “Watercycle” Campobasso avrebbepotuto riutilizzare in maniera virtuosa, ossia in ma-niera produttiva ed ecologicamente sostenibile, leacque reflue e i fanghi di depurazione. In ciò favoritadall’esistenza di tre depuratori in esercizio, e dallabuona qualità dei fanghi prodotti, per via dell’as-senza sul territorio urbano di industrie particolar-mente inquinanti. Infatti i fanghi di depurazionepresentano caratteristiche che ne consentirebberol’uso come fertilizzante in agricoltura, senza parti-colari rischi.

Parliamo di argomenti e di possibilità di cui nes-suno ne sa niente. Di certo non risulta che i fanghiprovenienti dai depuratori di Campobasso vadano afertilizzare le campagne circostanti. Le acque depu-rate, a loro volta, potrebbero essere impiegate per usoirriguo, uso civile (lavaggio delle strade, ad esempio)e per uso industriale (cicli di raffreddamento, lavag-gio macchinari, interventi antincendio). Virtuosità in-teressanti anzi stimolanti, soprattutto per una cittàche per pulire le strade, per irrigare gli orti e la cam-pagna,e per tutti gli usi civili utilizza l’acqua potabile!

Motivo per cui la bolletta all’utente è salatissima. Il Progetto “Watercycle” tendeva anche a questo: a

sensibilizzare i cittadini a considerare l’utilità del ri-ciclo (delle acque depurate e dei fanghi) e renderlipartecipi. Il Progetto sarebbe dovuto pertanto cam-minare e, difatti altrove cammina. A Campobasso lamessa appunto degli strumenti operativi per avviarein concreto le attività progettuali chissà come, echissà perché, è andata a mano a mano perdendomordente.

Per carità di patria omettiamo di indicare i possi-bili responsabili di questo progressivo defilarsi dauna iniziativa da cui l’amministrazione di Palazzosan Giorgio e cittadini avrebbero potuto trarregrosso giovamento. Non vogliamo infierire sullainefficienza delle strutture comunali e sulla conge-nita distrazione degli amministratori verso i progettiche esulano dalla quotidianità con la quale si misu-rano, e solo con quella. Alla meno peggio, e semprecon un fine utilitaristico contingente.

L’adesione al Progetto”Watercycle” era sembratauna scelta intelligente, che andava nella direzionegiusta per contenere l’uso improprio dell’acqua po-tabile che preferiamo invece vada sprecata per il 62per cento, in modo da non perdere il primato in dab-benaggine e stupidità amministrativa.

Il capoluogo regionale mantiene il triste primato della perdita d’acqua

dalla rete di distribuzione ma non fa assolutamente niente

per cambiare le cose

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e donne rappresentano laprincipale utenza dei ser-vizi sanitari. Ma quando siammalano devono fare iconti con ospedali ben poco“a misura di donna”, in cuile peculiari esigenze fem-minili a volte sono trascu-rate. Pensiamo a momenticome il parto, alla feconda-zione assistita, alle malattiesessualmente trasmesse oall’aborto, alla patologielegate all’età, alla meno-pausa, ai tumori, in partico-lare al seno, all’utero eall’ovaio, i disturbi cardiova-scolari, le malattie psichi-che e neurodegenerative.

Oggi, con l'idea proget-tuale posta in campo del-l'integrazione tra Cardarellie Cattolica, si potrebbearrivare anche alla defini-zione del cosiddetto ospe-dale donna.

Già attraverso il progettodei bollini rosa, inseritonell'ambito del progettoIdea donna che ha visto inItalia premiata la Fonda-zione Cattolica, è statomesso in luce un problema:il modello maschile finorautilizzato negli ospedalinon può funzionare ancheper le donne. E non soloper quanto riguarda l’am-bito strettamente femmi-nile, ma anche in altresituazioni che presentanocaratteristiche diverse trauomini e donne.

La medicina di genere inItalia dovrebbe prendereesempio dagli women’s ho-spitals statunitensi, centriorganizzati per le diversitàdi genere.

Anche in Molise l’ospe-dale per le donne è un tra-guardo raggiungibile.

Al di là di chiva blaterandoin queste orecirca la premi-nenza di unastruttura sul-l'altra. Se cioè,il Cardarellideve avere lameglio sullaCattolica o vice-versa. Qui è arri-vato il momento dicompiere delle scelte e difar fare alla sanità molisanaquel salto di qualità tantoreclamato dai cittadini.

Imperativo degli ospedalirosa è l’aspetto psicologicoe sociale. Non siamo piùalla Maternità-Infanzia dellontano 1926 percè, allora,questa aveva un senso lo-gico. Si tratta, piuttosto digarantire alla donna unaserie di interventi che par-

tono dal reparto di Oste-tricia e Ginecologia (gravi-danza a rischio,diagnosiprenatale, PMA, preven-zione depressione puer-perale, prevenzione dannipavimento pelvico, oncologiaginecologica e uro-ginecolo-gia, sterilità coniugale, gi-necologia dell’adolescenza,patologia cervicale, IVG,endoscopia ambulatoriale,ultrasonografia, psico on-cologia), tocchi l'unitàoperativa di GinecologiaOncologica (gruppo multi-disciplinare per trattamentiintegrati completi) e arrivialla Breast Unit (tratta-menti integrati della pato-logia mammaria, prontosoccorso senologico) maanche ambulatori cefalee-vulvodinie e Diabete in gra-vidanza (patologia tiroide,controllo dietetico in gravi-danza). E' tale la vera sfidache si pone in queste orenel mentre si pone l'ideaprogrammatica dell'inte-grazione tra Cardarelli eCattolica.

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di Giuseppe Saluppo

genereBollino rosa

per l’ospedale di genere

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di Antonio Campa

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l Gattopardo narra in modo su-blime l’epopea del Principe Sa-lina, il quale con malinconicodisincanto oppone la sua etica adun mondo che anelando al cam-biamento si affida a chi vuole cheresti immobile.

Una condizione che richiamaquella attuale del PresidenteIorio. Il Principe della politicamolisana guarda con amarezza epaziente continenza ma anchecon molta rabbia i misera-bili che girano intorno, pe-sati al millesimo di grammo,compresi quelli adusi a farla cresta sul raccolto.

Lo Iorismo? Certo che esi-ste, se con il termine si in-tende un blocco di poteresviluppatosi nel tempo in-torno al Presidente. Un fe-nomeno universale, tanto èvero che la definizione nonarriva dalla sinistra, fermaall’abusata formula del po-tere clientelare.

E’ paradossale tuttavia chea lanciare il neologismo siastato l’uomo che meglio hasimboleggiato l’esistenza e lanegazione dello Iorismo. Vi-tagliano ha avuto campo li-bero nella prima esperienzapolitica, ridimensionato daglielettori nelle successive ele-zioni, è stato ripescato ingiunta con incarico di presti-gio da Iorio, uomo coerente, comedimostra la sua vicenda politica.Lo strappo del 97 contro la derivacomunista della giunta Veneziale,non è stato un ribaltino ma il pre-ludio ad una scelta di campo nettae mai rinnegata.

Il venticello che soffia e chequalcuno spera diventi bufera,gonfia problemi di routine quali ilrapporto con alcuni alleati piùambiziosi che capaci e un entou-rage in difficoltà nell’ammettereche Castelpetroso non è il confinedel Molise. Un errore si è rivelatala frammentazione del centro de-stra in gruppi autonomi, strategiain teoria giustificata dalla tipolo-gia dell’ elettore di centro destra,

restio all’allineamento e al noncapisco ma mi adeguo; in realtàlo scopo era più banale, allargareil consenso e contentare i pag-getti. L’obiettivo è stato centratoma a caro prezzo, i feudi molisanidella politica contano ora troppipiccoli Tancredi, i quali nonavendo arte puntano ad avere al-meno una parte.

Nel 2006 fui buttato giù dal lettoall’ultimora per una candidatura

riempi lista. Mi portarono da Iorioa mezzanotte, e gli dissi: Non honulla da chiedere, lo faccio per labandiera. Il Presidente rispose: E’confortante sapere che c’è an-cora chi non cerca agi personali.Nel pranzo con tutti i candidati,Iorio salì in cattedra e tenne unalezione di tattica elettorale degnadella scuola delle Frattocchie.Battete il territorio, la sinistra simuove casa per casa, attenti almodo di votare, i rappresentantidi lista non lascino mai scopertoil seggio. L’approssimazione elet-torale del 2011 é stata in generaleinquietante. Possibile che nes-suno abbia percepito allarmi,quando Frattura ha esplicitato su

un manifesto elettorale l’invito alvoto disgiunto? Pura cialtroneria,altro che Iorismo al tramonto!

Ogni corte ha i suoi servi scioc-chi e il Presidente sa quanti dannifanno. Li tollera perché a voltequel sostegno pur untuoso él’unico conforto. Iorio sa bene peròche non ha giovato il continuo de-nigrare la giunta Melogli in cuioperava sua sorella. Tanto ciechied ottimisti sono stati i cortigiani

da ignorare che al primoturno Rosetta aveva presocirca duemila voti menodella coalizione.

Già, la famiglia. Uno fatanto per tirare su un figlio almeglio e poi se lo vede deni-grato per pochi denari, si ri-trova con una pena interiorepiù dolorosa di quella pub-blica, perché un padre sullariva destra é sempre respon-sabile, anzi colpevole dellacarriera del figlio. Il genio, lecapacità diventano concettievanescenti. Non è così sul-l’altra sponda, dove si puntatutto sui figli d’arte, nati ecresciuti tra le soffici coltridel biancofiore. Chissà cosaavrà pensato il nostro Prin-cipe guardando in tv uno diloro che, dettando il profilodel candidato del centro sini-stra, descriveva se stesso.Cosa avrà pensato consta-

tando che in prima fila a spellarsile mani c’erano uccelli di rovo pa-sciuti nel sottobosco regionale du-rante il suo regno. Tutto cambiperché nulla cambi…

Restando in tema, é sempre inauge l’antica tattica leninista, ba-sata sul denigrare in ogni modol’avversario fino a mascariarlo perabbatterlo e prenderne il posto.Sbagliano tuttavia quelli che dannoper stanco e vinto il Presidente epronto ad infilarsi in un comodoscranno di Palazzo Madama. Sba-glia chi si compiace di aver messoun piede fuori dal camper del vin-citore. Nel fumo della politica, ri-spuntano i fazzoletti rossi ma dieroi a cavallo non se ne vedono.

L’ultimo GattopardoCamera con vista

La condizione attuale di Michele Iorio

evoca quella del protagonistadel romanzo di Tomasi

di Lampedusa, austero e tenace nel restare in piedi in un mondo

che cadeva a pezzi nel segno di un illusorio cambiamento. Rispetto al Principe di Salina,

Iorio si oppone al trasformismocon più rabbia

e minor malinconia.

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Codice bianco è il termine con cui gli operatorisanitari del Pronto Soccorso individuano tuttiquei pazienti che manifestano problemi di lieveendità e che potrebbero rivolgersi al proprio me-dico curante. La limitata gravità delle loro condi-zioni li porta però ad affrontare lunghe attese alPronto Soccorso.

AMBULATORIO CODICI BIANCHI

Per dare loro una risposta più puntuale l’Asremha attivato, in via sperimentale, presso gli ospedalidi Campobasso, Isernia, Termoli e presso lo stabi-limento ospedaliero di Venafro, l’ambulatorio deicodici bianchi, attiguo ai locali del Pronto Soccorso.

L’istituzione dell’ambulatorio dei codici bianchiin via sperimentale intende raggiungere più tra-

guardi importanti: oltre a ridurre i tempi di attesaper i casi con minore priorità e garantire unamaggiore velocità per i casi urgenti, consentiràagli operatori del Pronto Soccorso di lavorare incondizioni migliori. Consentirà inoltre, di racco-gliere alcune informazioni che potranno essereutili per programmare in futuro una risposta ter-ritoriale ai bisogni del cittadino. L’ambulatorio deicodici bianchi si pone quindi l’obiettivo di risol-vere le numerose criticità esistenti quali:

. lunghe attese per i cittadini;

. elevata pressione sul personale sanitario;

. disagi e difficoltà nello svolgimento di attività suipazienti a maggiore criticità;

. incremento rilevante sei costi.

Durante il giorno: rivolgiti a loro con fiducia. E’ il medico di famiglia, infatti, che ti visitaper primo, ti segue periodicamente, suggerisce come stare bene, ti indirizza verso gli specia-listi. Non rivolgerti a lui solo per le ricette! Verifica gli orari di ricevimento e informati sugliorari di disponibilità telefonica, così potrai contattarlo anche oltre gli orari di ricevimento.

Durante la notte è il servizio di continuità assistenziale. E’ aperta dalle 20:00 alle 8:00, nei giorni prefestivi dalle 10:00 alle 20:00e nei festivi tutto il giorno. Non si paga il Ticket per la visita

Chiama il 118 e vai alPronto Soccorso (PS)All’arrivo la gravità del tuo stato

di salute viene valutata da un infermiere specializzato

che ti assegna un codice-colore (triage).

L’Asrem ha attivato, in via sperimentale, presso gli ospedali di Campo-basso, Isernia, Termoli e presso lo stabilimento ospedaliero di Venafrol’ambulatorio dei codici bianchi, attiguo ai locali del Pronto Soccorso.L’utente al quale è stato assegnato dall’infermiere del triage un codicebianco, verrà invitato a recarsi presso l’ambulatorio appositamente isti-tuito e dove verrà preso in carico dal medico dell’ambulatorio.E’ aperto dalle 8:00 alle 20:00 dal lunedì al venerdì. CAMPOBASSO tel. 0874.409613 ISERNIA tel. 0865.442529 TERMOLI tel. 0875.7159472 VENAFRO tel. 0865.907860

Non si paga il Ticket per la visita.

I più gravi passano prima indipendentemente dall’ordine di arrivo ROSSO paziente in pericolo di vita, viene visitato immediatamente

GIALLO paziente grave, viene visitato nel più breve tempo possibile

VERDE paziente non grave, l’attesa può risultare molto lunga

BIANCO il tuo stato di salute non è affatto grave e i tempi di attesa sono sicuramentelunghi e imprevedibili. Inoltre si paga il Ticket per la visita (25 euro).Contatta il tuo medico/pediatra o rivolgerti all’ambulatorio codici bianchi o alla guardia medica.

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Primarie senzapartecipazione

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e la leadership scricchiola, la no-menclatura partitica non trova dimeglio che puntellarla con le pri-marie. La partecipazione dellabase sta tornando di moda, se nonaltro nei discorsi dei leader diquesto o quel partito, arroccati inchiese senza più fedi né seguaci.I partiti sono in crisi, travoltidalla fine delle ideologie e dallacorruzione dilagante, incapaci disostituire ad un pontefice inamo-vibile, ad una visione salvifica, lafatica dell’elaborazione quoti-diana: ormai abbattuti a spallatedalla nuova risma di populisti,avvezzi a tecnologie e linguaggid’avanguardia.

Primarie dunque, come testi-monia un documento in sei puntivarato dal Popolo della libertà conil placet di Silvio Berlusconi, pre-occupato da sondaggi inclementi,i quali certificano la caduta liberadel Pdl, dal 27% a poco più del20%. Eppure il rinsavimento delSultano oltre che tardivo non ap-pare affatto cosciente, semmai in-dotto: l’ennesimo colpo di teatrodi chi mobilità per compattarepiuttosto che per dibattere, perconfrontarsi davvero. Le primarie– in siffatto, stantio contesto – av-valorano la classe dirigente in es-sere, senza metterla mai indiscussione. In altri termini, lapartecipazione così intesa noncertifica un fallimento, non èl’apice di un percorso dibatti-mentale, quanto piuttosto l’ul-tima trovata di una élite chevuole restare abbarbicata allapoltrona, puntando agli applausie all’avallo incondizionato della

platea di simpatizzanti: elettori equadri di partito, mai messi nellereali condizioni di produrre unaqualche discontinuità.

Questa considerazione potrebbetrovare in Molise un autorevoledissidente, Michele Iorio, il qualedeve riprendere il controllo delcentrodestra dopo la pericolosasbandata di Isernia, dove Rosettaè stata bocciata in quanto sorelladel governatore, ma anche per-ché percepita come una cooptatadal vertice: il nome calato dal-l’alto.

Le primarie molisane, per contro– se vere, combattute, leali – po-trebbero restituire una parvenzadi democrazia ad una coalizione

storicamente gestita in assenza dimomenti e luoghi di confronto,sfuggendo a biechi trasformismied aprendo ad un (più) sinceromoto di rinnovamento.

Toccherà a Michele Iorio, però,dimostrare che non si tratta diuna recita, quanto piuttosto delprimo passo per ristrutturare ilPdl, mutando un regno gerar-chico in un soggetto popolare, al-l’interno del quale la criticacostruttiva possa essere la scin-tilla del nuovo corso. Questo chie-diamo al presidente: apertura,sfrontatezza, competizione delleidee e coraggio per andare oltre enon indietro come, invece, vor-rebbero a Roma.

di Aldo Fabio Venditto

Il Popolo della libertàpensa ai gazebo

fingendo di non saperequanto inutile sia una mobilitazione

senza contraddittorio

In Molise tutto dipendeda Michele Iorio

e dalla sua volontàdi innovare piuttosto

che conservare

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“I

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sole” è il nuovo film di AsiaArgento. Girato alle Tremitie con protagoniste le api.Siamo tra le rocce e il maredelle Isole pugliesi. Al centrodella vicenda tre protagonisti, tutti, a loro modo, borderline.C’è una giovane donna (Asia Argento) che ha perso l’usodella parola per un trauma, un dolore terribile, e che sem-bra volersi occupare solo delle api. C’è don Enzo (GiorgioColangeli), prete nonché una sorta di suo tutore. E soprat-tutto c’è lui, Ivan, interpretato dall’attore ceco Ivan Franek,già protagonista di Brucio nel vento di Silvio Soldini e vistorecentemente in Noi credevamo di Mario Martone. Il suoruolo è quello di un immigrato che costruisce un rapporto- fragile, minacciato - con la donna ferita... Le Tremiti e leapi sono gli altri protagonisti del film: le api rappresen-tano una parte della natura che l’uomo ha imparato autilizzare senza snaturare, trovando un compromesso fa-ticoso. Un reciproco ri-spetto che ha imparato acoltivare anche Asia Ar-gento: C’erano 80 mila api– racconta l’attrice - sinoall’ultimo non sapevo comeavrei reagito, non amo gliinsetti, la mia paura piùgrande sono le cavallette,poi ho conosciuto la dedi-zione di questo apicoltore,mi sono accordata alla suacalma e alla sua delica-tezza ed è stato tutto relati-vamente facile, basta avereun timore reverenziale…

L’apicoltore di cui AsiaArgento parla è VincenzoPucci di Santa Croce di Magliano. Un giovane imprendi-tore che ha fatto del suo lavoro una bellissima passione. Omeglio ha fatto della sua passione un gratificante lavoro.Conoscendolo non poteva fare altro che quello. Con le apibisogna restare calmi sempre e bisogna accettare il loromondo senza compromessi. Se entri in un’arnia (l’arnia è ilricovero artificiale dove vive la colonia di api domestiche) eti batte forte il cuore le api ti attaccano come a rendersiconto del tuo timore e delle tue paure. L’ape è forse l’ani-male più intelligente al mondo e lo capisci da come vive eda come organizza la sua vita. L’apicoltore se non conoscequel mondo soccombe e cambia mestiere. Solitamente chifa questo mestiere ha doti umane particolari e in qualchemodo dovrebbe e potrebbe spiegare agli uomini come or-ganizzare la propria vita in relazione alla vita delle api. Noisiamo esattamente il contrario delle api che sono insetticalmi e metodici e hanno una vita organizzata per ogni ne-cessità. Piramidale e senza raccomandazioni. Chi merita stasopra, tutte le altre svolgono funzioni complementari all’al-veare. Senza raccomandazioni. Con loro non puoi scher-zare, devi avere rispetto. Vincenzo Pucci ha parlato con AsiaArgento e le ha spiegato come trattare le api. Non sanno

che sei Asia e quindi potrebbero farti male. Non devi averpaura di loro perché la paura è un sentimento ambiguo,strano e difficile. Vivere dove vivono le api significa nonprovocare rumori, spostare gli oggetti con la calma giusta enecessaria e si fanno pure accarezzare. Se c’è vento meglionon entrare. Il vento le infastidisce e disturba. Le api hannouna dolcezza infinita e chi vive quotidianamente con lorocapisce lo spessore di una organizzazione senza uguali. Nelfilm vivere con le api significa adattarsi a un altro mondo,togliersi un mondo addosso e vestirne un altro.

L’uomo utilizza il miele da circa 12.000 anni. E le api glielo regalano in cambio di serenità. Proprio così, serenità.Pensando a Vincenzo Pucci che vive di solitudine bellis-

sima tra le sue api viene inmente qualcosa che forsecon lui c’entra poco ma ame piace. Pensi, cioè, che leapi hanno vissuto e vivonoin un mondo che nonhanno trasformato, abbrut-tito, manomesso per vivere.Hanno preso cioè senza di-struggere e senza violenza.Così pensi agli uomini e diciche la storia, quella grandenon è altro che distruzionedi tutto quello che ci cir-conda. Mare, terra, cielonon sono più quelli di unavolta e tutto per vivere piùcomodi e senza problemi. A

volte anche meno, ma senza combattere. Tu vedi le api e timuovi tra loro con paura e dolcezza. Senti il piccolo rumoredi una vita organizzata e capisci che solo dentro un sistemadi rispetto e sentimento potrai garantire al tempo di non di-struggere. Gli uomini hanno fatto esattamente il contrario.Ti giri e vedi discariche abusive, mare inquinato, alberimorti, natura in agonia. Questo vedi. Vincenzo mi ha dettoche le api si lasciano anche accarezzare e Asia Argento, conla sua voce d’ape, quando parla di Vincenzo lo fa come separlasse di un extraterrestre. Ti commuove, Asia. Qualcunovenuto da un altro mondo. E nella foto lo stringe come a nonvoler perdere la lezione che questo ragazzo le ha trasmesso.Una piccola lezione, come le sue api. Che in questo casohanno anche attraversato il mare e pare in assoluto silen-zio. Paura del mare. Bisognerebbe imparare non solo dalleapi ma da ogni tipo di animale che ha vissuto sempre nel ri-spetto estremo della natura che li ospitava. Madre Terra. Ei genitori insegnano esattamente il contrario di quello cheinsegnano le api. Insegnano a non essere e ad allontanarsisempre più. Insegnano a vincere senza combattere.

In Ucraina ammazzano cani randagi per non spaventarei tifosi. E arrivederci.

di Pasquale Licursi

Il cerino

Asia Argento e l’apicoltore molisano Vincenzo Pucci

L’apicoltura diAsia Argento

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Niente aeroporto nel Molise. A prescindere dal li-vello. Se non sbaglio, quello che era stato proposto

da Di Pietro era di terzo livello. A Roma si sono detti:Ma andassero pure in treno i Molisani.

Già i treni. Ma siamo proprio sicuri che sia il caso diviaggiare in treno nella nostra regione? Per Ter-

moli spesso il pullman prende il posto delle rotaie; perRoma si susseguono i disservizi e il sovraffollamento.

Si torna a parlare di autostrada e questa volta sem-bra che i soldi ci siano. Ce ne vogliono tanti, oltre

mille milioni. Ma dalla capitale arrivano notizie rassi-curanti: l’opera dovrebbe essere cantierata entro lafine dell’anno.

Resta sempre in alto mare la sistemazione dell’areadel vecchio Romagnoli. Sono decenni che se ne

parla, ma alle parole non seguono i fatti. In compensonon mancano le polemiche, sempre in primo piano.

Non si hanno più notizie neppure dell’interporto. ATermoli era stato annunciato l’importante infra-

struttura, ma non si è ancora giunti a un punto che fac-cia pensare alla risoluzione del problema.

Senza infrastrutture il nostro Molise è destinato a ri-manere sempre al palo. Il trasporto costa troppo e

a nessun imprenditore con un minimo di cervelloviene in mente di investire nella nostra terra.

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aeroportointerportoferrovia

autostrada fondovalle

Una corrente di pensiero, intanto, mira a salvaguardare laSulmona- Carpinone, in nome del suo magnifico aspetto

paesaggistico. In un momento di crisi bruciante c’è chi con-tinua a difendere certe scelte del lontano passato, quando ipolitici facevano passare la ferrovia sotto i loro paesi, anchese scomodi e fuori tratta.

Mi chiedo: se invece di perdersi in parole si fosse usato ilcomportamento del buon padre di famiglia, facendo al-

largare, dov’è possibile, la Bifernina, intervenendo anchesulla soppressione di un buon numero di curve, avremmouna bella strada tra Campobasso e Termoli, in barba a tutti ifaraonici progetti di superstrade e autostrade.

Si scopre che ci vogliano ancora due milioni per comple-tare la Fondovalle del Rivolo di cui si parla da quando ero

studente. Questa volta sembra che ci siano le opportunità chel’opera venga conclusa: il Commissario De Matteis sembraintenzionato a chiudere la stucchevole partita.

Si continua a parlare anche di raccolta differenziata. Manon si va oltre gli annunci. In qualche piccolo comune

bravi sindaci stanno dando il buon esempio. Si spera cheanche le comunità più numerose vengano messe in condi-zione di far partire la differenziata. Il cui funzionamento di-pende non solo dagli amministratori, ma soprattutto daicittadini che dovrebbero fare qualche sacrificio.

ATermoli il mare è sempre più blu. Ma anche questaestate mi par di capire che gli affari non si annuncino

d’oro per gli operatori turistici. La nostra costa malgrado lebuone intenzioni non è riuscita a decollare. Ed è un vero pec-cato, avendo tutte le caratteristiche per farsi apprezzare.

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on bisogna essere né Einaudi né DeGasperi, ne Benito Mussolini cheandò al potere con 35 deputati, perpoter mettere bocca su ciò che sta ac-cadendo nel panorama politico regio-nale, in cui molti si ergono a maestridi democrazia. Guarda caso: i mae-

strini, in questa fase, stanno tuttidalla parte della sinistra. Ove si senteprofumo di vittoria. E, allora, in moltici provano e, magari, ci riprovano.

I “sinistrorsi” ormai si danno tantearie. Così capita di ritrovarseli inpiazza, a manifestare contro le dimis-

sioni dei 18 consiglieri eletti nel cen-trodestra, al comune di Isernia, in cuiil voto disgiunto aveva premiato, oltreogni pronostico, l’onesto Ugo De Vivo,un galantuomo che nei pochi giorniin cui è stato primo cittadino del co-mune pentro, forse mal consigliato,ha commesso tante di quelle cappel-late da determinare l’azzeramentodel consiglio. Con susseguente no-mina del commissario prefettizio. Erinvio dei cittadini alle urne, per laprossima primavera.

Frattura dice delle cose che nonstanno né in cielo né in terra, ma diceanche delle sacrosante verità. Pernon sbagliare denuncia tutto ciò cheavviene sul fronte avversario, che luiconosce molto bene, avendone fattoparte per un certo periodo. Poi hacambiato rotta e si è messo a capo delcentrosinistra. Sfiorando la vittoriaalle regionali.

Frattura che altro dovrebbe fare inuna Regione in cui tutto è a pezzi,dove si vive alla giornata e dove diImu si morirà se non verrà congelatasin dall’anno prossimo?

Plausi per il ricorso al Tar, ma polemiche per la caduta del consiglio comunale di Isernia

di Gegè Cerulli

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Due

N

Sostenitori del centro sinistra in piazza dimentichi di quanto accaduto in Regione

Il sindaco “di un mattino” De Vivo, al cui fianco c’è Paolo Frattura

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La democrazia piace alla sinistra solo quando le è favorevole

pesi e due misureCosì contesta. E dà lezione di demo-

crazia. Utilizzando la politica dei dueforni, tanto cara alla vecchia DC.

Paolo, in pratica, ha fatto tutto ilpossibile per tarpare le ali ai vincitoridell’ultima tornata elettorale. Riu-scendo, con un ricorso ad hoc, a bloc-care il lavoro del Consiglio, limitandoanche quello della giunta. In attesadella sentenza del Consiglio di Statolo sfidante di Iorio sta affilando le un-ghie, per presentarsi a una nuovacompetizione elettorale. In cui speradi poter ricevere il suffragio del po-polo che s’è stancato di vivere allagiornata in una regione che presentainfinite distonie e che offre scarseprospettive ai giovani.

Frattura dice quello che i molisani,e sono sempre più, pensano. I suoibersagli sono quelli dell’uomo dellastrada che ce l’ha con chi è al potere eche ha messo sotto torchio i cittadini,costretti a pagare balzelli dietro bal-zelli per poter ripianare i debiti pre-gressi. Specie quelli fatti nel campodella sanità.

Non fa una piega ciò che Frattura

ha fatto per stoppare il governo delcentrodestra; alcuni dirigenti di par-titi e di liste hanno pasticciato quandosi è trattato di raccogliere le firme e ilTar li ha colti in fallo. Ordinando l’az-zeramento del voto. Salvo vedere ciòche dirà il Consiglio di Stato chedovrà valutare le opposizioni presen-tate dagli avvocati Colalillo e De Pa-scale, per contro del centro-destra.

Ciò che non quadra in Frattura e neisuoi compagni di viaggio è il chiassoche stanno facendo per ciò che è ac-caduto a Isernia. In cui s’è verificatoun caso anomalo, chiamato “anatrazoppa” e che ormai tutti riconosconoin un voto disgiunto che ha eletto, inprima istanza, una maggioranza a in-dirizzo di centro-destra, mentre duesettimane dopo ha promosso sindacoun membro del centro-sinistra. Deli-neando una situazione di netta ingo-vernabilità.

La prima cosa che si sarebbe chie-sto al neo eletto De Vivo e di presen-tarsi dalla signora Rosa Iorio, sconfittama pur sempre a capo di una maggio-ranza, per trovare con lei e con i mag-

giorenti del suo schieramento unmodo per poter rendere potabilel’esito del voto. Invece De Vivo hafatto di testa sua, nominando unagiunta esterna, scelta nella società ci-vile, ma costituita da amici suoi, nocondivisi dai rivali. Per ricaduta ilcentro-destra dei delusi non ha po-tuto far altro che far valere i suoi nu-meri. Perché la democrazia si basa suinumeri, a Isernia, come in qualsiasipaese civile. Da qui la caduta del con-siglio.

Se Frattura ha utilizzato il percorsopiù idoneo per bloccare il consiglioregionale, di cui anch’egli fa parte, cichiediamo perché mai ora si scanda-lizza se, pur per altra strada, lo stessoè accaduto a Isernia. In cui né più némeno si sono comportati come hafatto lui a Campobasso.

Non ci sono piaciuti neppure i pia-gnistei dei suoi sodali che si sonomessi in cattedra per dare lezioni distile a chicchessia. La democrazia hale sue regole. Che non possono pia-cere solo quando sono a noi favore-voli.

Roberto Ruta segue divertito l’intervento di Ugo De Vivo nella piazza di Isernia

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Amodio De Angelis / intervistato da Gennaro Ventresca

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Il settore agricolo? Sarà il primo a ripartire

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l teatro di questa storia è la campagna. La sana cam-pagna molisana, dura, troppo arsa in estate e infan-gata in inverno, in cui chi vi lavora si trova a fare iconti con i numeri che generalmente non tornano.Perché la campagna, intesa come azienda agricola,spesso ti illude e per questo fa scappare i giovani. Iquali giovani vorrebbero qualcosa di più concreto,sono stanchi della politica degli annunci.

L’uomo di cui si scrive in questa pagina più gio-vane non è, ma non va neppure messo nello scaffaledegli arrivati. Ha appena compiuto 51 anni, un’etàimportante, una specie di spartitraffico tra ieri e ildomani. Viene dai campi questo bel signore dal por-tamento eretto, gli occhi chiari come la speranza, ibaffi candidi come la neve. Spuntatigli prematura-mente, forse per conferirgli quell’aria inglese, altroche contadino agiato.

Amodio De Angelisda qualche mese è ilpresidente della Ca-mera di Commercio diCampobasso, dove perotto anni si è costruitoun’immagine e il futuroPaolo Frattura, lo sfi-dante alla Regione diMichele Iorio. Sarà statoper questo che, improv-visamente, quella ca-rica si è riempita difascino, assumendo unpeso forse anche supe-riore a quello reale.

Non è stato facilescegliere il dopo Frat-tura. In tanti hannospinto, del resto era ca-pitato anche prima. E’appena il caso di ricor-dare il rumore che fecela nomina del figlio diFernando Frattura; Vi-nicio D’Anbrosio, unodegli esclusi, se l’è legata al dito così forte da darealle stampe un libro talmente aguzzo nei confrontidel governatore, da diventare in pochi mesi un bestseller. Anche Luigi Zappone digrignò i denti, sen-tendosi bruciato sul filo di lana.

Così, dopo circa otto anni, anche il simpatico Amo-dio De Angelis si è ritrovato a far da sagoma al tiroal bersaglio di quelli che non sono stati in grado diprecederlo nella corsa al bel palazzo che affaccia sulmonumento.

Chi scrive e parla di De Angelis appellandolo comecontadino spesso lo fa mettendoci anche un po’ dilivore. Non certo noi, in questo articolo, che ne vuolemettere in evidenza i lati buoni. E’ appena il caso dipassare alla spiegazione, per non portarla per lelunghe. Di ceppo agrario, Amodio è proprietario diuna bella azienda di una cinquantina di ettari di se-minativo, con al margine un oliveto e un vigneto.L’azienda sorge nell’agro di Palata, un vispo paesellodi 1.700 anime che non ci sta a parlare al passato re-moto, quando gli abitanti erano 5.000 e i giovanipensavano di fissare là la loro dimora.

Nel garage De Angelis ha tre trattori, il più grossosembra una piccola collina; li usa con destrezza, noncerto per farsi fotografare come Tonino di Pietro.Quando c’è da lavorare mi metto in tuta, senzatroppi fronzoli, spiega nel suo ufficio elegante alprimo piano, dove si trova lo stato maggiore dellaCamera di Commercio.

Con tutto ciò che gli capita da fare da quando hamesso insieme la carica di presidente della Coldi-retti, carica che ricopre da 12 anni, e quella di pre-

sidente della Camera di Commercio, di tempo perfare il Cincinnato ne ha ben poco. Ma va ripetuto chei campi sono la sua vita, i solchi le vene della sua esi-stenza.

Sposato e padre di tre figli (Domenico 21, Sara 16,e Simone 10) Amodio si sobbarca da sempre il pesodella pendolarità. Perché, se non lo avete afferratoal volo, Amodio non ha pensato neppure per unistante di lasciare Palata, un luogo che ama, non soloper esserci nato, ma per gli affetti e l’affinità con lasua azienda agraria. Che provoca nell’interessatoqualcosa di indissolubile.

La prima cosa che De Angelis spiega è di non pun-tare a fare politica, anche se gli piacerebbe riviveregli anni giovanili, quando iniziò a frequentare la Col-diretti e a mischiarsi con i maggiorenti della DC che

con quella organizza-zione hanno avuto dasempre un rapporto dicomunione.

Lancia appelli accoratiai giovani che vivono lacampagna, invitandoli adaver pazienza e fiducia;cambiando gli usi e ilmodo di fare impresa, at-traverso l’eliminazionedei costi superflui, sipotrà raggiungere il ri-lancio. Mentre si liscia ilcandido baffo, lanciaquasi un inno di spe-ranza: L’agricoltura siriprenderà presto, restail settore trainante. Cheproduce gli alimenti in-dispensabili per la vita.

Farebbe volentieri ameno di parlare dellaCamera di Commercio,riservandosi di fareprima qualcosa di im-portante, per metterlo

poi sul tavolo. Eppure s’infiamma anche quandogli chiediamo del prestigioso ruolo che gli è stato as-segnato. Tra i compiti principali c’è quello di aprirela barriera autostradale alle imprese, per correresulle strade del mondo. La Camera di Commercio sadi dover dare una spinta agli imprenditori, ma il suoruolo finisce lì. Tocca poi alle singole partite iva in-filarsi nei corridoi giusti.

Parla anche della donne Amodio, riferendosi alleimprese in rosa che sono vere, non fatte da presta-nomi, come si può pensare dall’esterno. Le donnestanno dimostrando di saper cogliere le opportunitàimprenditoriali, anche in una terra con tradizionimaschiliste come quella molisana.

Non ci mette molto Amodio a ricordare le difficoltàdel momento: Se nel 2011 le imprese che hannochiuso sono state rimpiazzate da quelle che hannoaperto, nei primi mesi dell’anno in corso il deficitdelle chiusure sta diventando preoccupante.

La sua va considerata una mission. Mediante laquale poter avere un rapporto giornaliero con le sin-gole imprese, di tutti i settori produttivi. Sperandoche la classe politica possa recuperare in fretta iltempo perduto, nel campo delle infrastrutture. Laviabilità deludente, la mancanza di un interporto,con le ferrovie obsolete che attraversano il Molise,è difficile mantenere il passo dei migliori. Ma non sipuò abbassare la guardia. Equivarrebbe al suicidio.

Una speranza, piccola, ma concreta: Mi sono im-posto di poter accendere un fertile rapporto con lascuola, in modo da mettere direttamente a contattoi giovani con le imprese.

I

Le salite rimarranno, ma l’urgenza di alimenti

rilancerà il settore

La Coldiretti resta il mio mondo

La presidenza della Camera di Commercio

mi servirà per stimolarele imprese a superare

questo momento difficile

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Pietro Modugno di anni 42, barese residente a Maglie (LE); è entrato in Cattolica nel 2003,

con l’apertura del reparto di Chirurgia Vascolare

Pietro Modugno / intervistato da Gennaro Ventresca

Lo affiancano due ottimi medici

molisani: Enrico Maria Centrittoe Mariangela Amatuzio

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La nostra forza? Le cellule staminalilto e con parlata lievemente pugliese, viene presen-tato come un talento della medicina, chirurgia va-scolare per l’esattezza. Vanta due passioni, oltre aquella clinica, la vela e il tennis. Sulla parete del suostudio al primo piano, al dipartimento della Cattolica,campeggiano un paio di enormi foto di mare. Sul ta-volo, intasato di carte e libri, riesce a farsi largo il ri-tratto di famiglia, moglie e figli.

Pietro Modugno ha un cognome che ti fa pensarea due cose: il cantante di Volare e alla sua terra, laPuglia. In quanto a musica lasciamo perdere, per laterra d’origine è facile prenderci in pieno: è nato aBari, vive in provincia di Lecce, a Maglie, 400 chilo-metri precisi da Campobasso.

A 42 anni il dottorModugno, referentedi Chirurgia Vasco-lare della Cattolica,ha messo insiemetante cose interes-santi sul piano pro-fessionale. Andandodi questo passo nonè difficile immagi-nare che presto otardi ce lo porte-ranno via, per asse-gnarlo a una sedepiù prestigiosa.

Modugno, come ilsuo più noto corre-gionale, Domenico,ha fatto in fretta amettere le ali, perVolare, nel blu, di-pinto di blu.

Qui si parla peròdi cose più seriedelle canzonette. Diun uomo e di unreparto d’eccel-lenza che si occu-

pano di problemi vascolari seri, alcuni dei quali sonosaliti al proscenio nazionale per il modo di esseretrattati, come l’espianto e il successivo impiantonello stesso ammalato delle cellule staminali.

Dando uno sguardo alla sua agenda risulta chiaroche per Pietro Modugno tutto è stato sempre secon-dario rispetto alla lotta contro i problemi vascolari.

La conversazione avviene nel suo studio, al ter-mine di due delicate operazioni di routine. Parla abriglia sciolte, senza darsi né importanza, tantomeno arie. Anzi, ci tiene a mettere subito in evidenzaalcune cosette: Enrico Maria Centritto e Marian-gelo Amatuzio (molisani, n.d.r.) sono i miei piùstretti collaboratori. Risulta indispensabile rimar-care il magnifico rapporto di collaborazione con icolleghi degli altri reparti, specie con quelli di car-dio-chururgia.

Da quando è in Cattolica?Dall’apertura, 2003. Avevo 33 anni.

Quali sono le problematiche di cui si occupa?Arteriose, patologie applicate al sistema circola-

torio arterioso.Quanti interventi chirurgici compie in un giorno?Almeno due.Il più lungo quanto dura?Anche 5-6 ore, in genere riguarda l’aorta addo-

minale.Dal 2004 ad oggi quanti interventi sono stati ese-

guiti dal suo reparto?Esattamente 1632 interventi arteriosi, con una

mortalità irrilevante, del 5 per mille e una morbi-lità (complicanze, n.d.r.) intorno al 2 per cento. Ot-tenendo ottimi risultati, tra i migliori d’Italia.Bisogna poi aggiungere l’attività ambulatoriale checi ha permesso di visitare 8.000 malati.

Qual è l’archetipo dell’ammalato vascolare?In genere ha superato i 70 anni e gli uomini sono

tre volte più delle donne.Ci riassuma i dati statistici del suo lavoro.800 carotide, 500 aneurisma aorta addominale,

500 arterioscopia arti inferiori, gli altri sono robaminore.

Qual è l’intervento d’eccellenza che vi ha qualifi-cato?

La sperimentazione delle cellule staminali, tra-piantate in pazienti che erano candidati all’ampu-tazione degli arti.

In quanti usano questo metodo?Solo noi, in Italia, sia per le malattie periferiche

che per il cuore.Perché la lista d’attesa è lunga anche quattro mesi

per un Ecodoppler?Perché da noi ci sono esami fondamentali da ese-

guire, inquadrati a 360°, in modo da poter stabilirele priorità e valutare a puntino la condizione cli-nica generale del malato.

Qual è il segreto del suo reparto?Il contatto continuo con i colleghi del diparti-

mento, il malato viene seguito quasi in equipe, gra-zie al rapporto non solo professionale, ma ancheamicale che c’è tra noi medici che ci conosciamodai tempi in cui eravamo studenti alla Cattolica.

Come siamo messi con la mobilità?Vantiamo una mobilità attiva del 30 per cento: ar-

rivano ammalati dalla Puglia e Campania in modoparticolare.

Qual è l’intervento più delicato che le capita di ese-guire?

Alla carotide, si agisce su uno dei vasi che vannoal cervello che potrebbero generare complicanze,come l’ictus.

Ci detta un titolo?La nostra forza è il trapianto delle cellule stami-

nali.Quante ore al giorno lavora?Non meno di dieci. Sono in Cattolica già alle 7,30

e torno a casa, in città dove abito, solo dopo le 20.Le pesa vivere lontano dalla famiglia?E a chi non peserebbe? Torno dai miei il venerdi

notte, dopo 400 chilometri d’automobile.

A

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In Italia la Cattolica è l’unico centro che usa

le staminali sia per le malattieperiferiche che coronariche

dice il referente di chirurgiavascolare. In nove anni

abbiamo effettuato oltre 1.600interventi arteriosi

con una mortalità irrilevantedel 5 per mille e complicanze

minime, 2%. E poi spiega: Con le staminali

evitiamo di amputare gli arti ad alcuni ammalati

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Gavettone per sconfiggere l’afa

Ludovico Iammarrone in versione B

La croce di Colino

Le foto di

Il riposo di pacche ‘e pertone

al secolo Carmine Presutti

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e Bruno Lauzi e dopo il parrucchiere

Il ricordo di Baranello (foto Saverio Zarrelli)

giugno

Il potatore-acrobata a Sant’Antonio Abate

Lo sceriffo con e senza barba

Massa si affida a Mimino

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Le chiese del capoluogo

Il bravissimo Walter Mussini ha saputo cogliere

con la sua reflex uno scorcio panoramico

particolare della collina dei monti

in cui si evidenziano, tra l’altro, le artistiche

chiesette di San Giorgio e San Bartolomeo

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Pubblichiamo alcuni disegni di personaggi molisani apparsi sulla rivista del Rotary club negli anni Ottanta

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I ritratti di Michele Praitano

L’ex Pm Oscar Mele L’ex questore Riefolo Il giudice Vincenzo Evangelista

Il dott. Franco Tomaro L’arch. Franco Valente Il dott. Antonio Vendemiati

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Come si sa, il dottorMichele Praitano,

dentista in quiescenza,oltre a essere un bene-merito collezionista diopere d’arte, quasi tuttedonate con un recentelascito alla Soprinten-deza alle Belle Arti checon una parte vi haaperto una piccola pi-nacoteca a Palazzo Pi-stilli, nel centro storico,è anche un valentissimoartista. Le sue doti siestrinsecano con i pennelli ma soprattutto nei ritratti. Alcuni dei quali ab-biamo deciso di pubblicare in queste pagine. Per fare cosa gradita ai nostrilettori d’antan e ai familiari e agli amici dei personaggi che qui si possonoagevolmente riconoscere. Si tratta in modo particolare di professionisti, ap-partenuti al Rotary Club, di cui Michele Praitano, per due anni (1987-89), èstato presidente.

Il dott. Nicola Pagliarulo L’avv. Luigi Berti Il dott. Luigi Carnevale

Il dott. Ludovico Nerilli L’on. Francesco Colitto

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di Walter Cherubini

settori trainanti dell’economiamolisana sono tutti in crisi. Unacondizione comune, di questitempi, al resto del paese e del-l’Europa. Le problematiche ap-paiono complesse e variegate,comprendono incongrue sceltepolitiche, incagli burocratici, esi-genze sindacali, difficoltà delleimprese, mancanza di fondi.L’elenco è lungo, la sostanza è chel’economia è ferma. Finito iltempo dello scialo nella Sanità,chiuso per pletora ogni serbatoiooccupazionale nella pubblica am-ministrazione, si deve costatarecome l’agricoltura non riesca araggiungere uno sviluppo omo-geneo sul territorio, anche perchéla produzione locale in generenon vanta peculiarità rispetto allealtre regioni e pertanto la corsa aguadagnare piccoli spazi nel mer-cato è sempre a ostacoli. L’indu-stria soffre ovunque, a maggiorragione in una situazione in cuimolti imprenditori sono stati at-tratti più dagli incentivi messi adisposizione dagli enti che dal-l’effettiva volontà di sviluppareprogetti redditizi e a lungo ter-mine. Un quadro negativo, che sicompleta con la crisi più impor-tante e incisiva per il Molise,quella del settore edilizio.

Chi vuole buttarla in politica in-colpi pure gli amministratori, inverità gli enti locali sono limitatidalle esigenze di bilancio e dallescarse disponibilità che impedi-

scono progetti di sviluppo impo-nenti e doverosi nel settore deilavori pubblici, iniziative che rap-presentano ancora una prioritàassoluta, sia perché il Molise hamolte mancanze da colmare, siaperché le infrastrutture restanostrategiche per l’intera economiamolisana.

Non può esserci provvedimentoefficace contro lo spopolamentoche non comprenda collegamentirapidi e viabilità adeguata. Nonpuò esserci un’equa razionalizza-zione dei servizi sul territorio (sa-nità, poste e così via) se poi nonsi è in grado di garantire sposta-menti rapidi in tempi utili per icittadini utenti. Tutto ciò passanon solo per volontà e capacitàpolitica, né è sufficiente la coper-tura economica finché non si eli-mineranno i laccioli burocratici ei fanatismi che bloccano qualsiasiiniziativa in nome di un idealevago e di solito minoritario.

La strategia di sviluppo del Mo-lise, svincolato dall’assistenziali-smo e dal colonialismo, non potràche ripartire dall’edilizia, creandole condizioni per un rilancio delsettore, storico volano economicodella nostra regione. La domandada un milione di euro è come im-postare la ripresa, in un contestocritico, complicato pure dalla con-correnza di grandi aziendepronte per necessità ad assorbiretutte le risorse disponibili, a sca-pito delle imprese locali. La

prima cosa da fare, è progettareuno sviluppo compatibile nel set-tore, programmando una serie dipriorità da soddisfare in rapportoalle risorse e alla ricaduta bene-fica sugli altri settori economici.Le scelte a quel punto divente-rebbero politiche ma non c’èdubbio che l’autostrada rappre-senterebbe l’infrastruttura pereccellenza da perseguire.

Non bisogna tuttavia dimenti-care il mattone, inteso come svi-luppo dell’imprenditoria privata.L’accesso al credito è un fattoredecisivo, ma ciò non dispensa iComuni dall’individuare gli stru-menti necessari per la ripresa diun’attività che porti lavoro e ri-metta in circolo denaro. E’ veroche in questo periodo di case sene vendono poche mentre l’of-ferta è notevole, ma è indiscuti-bile che esistano forti pressionisulle amministrazioni per limi-tare licenze di costruzione, inmodo da consentire a imprendi-tori e privati di “smaltire” il sur-plus di case da vendere senza ilrischio di svalutare il costo degliimmobili e ridurre le rendite.Anche in questo caso le sceltesono di tipo politico. Puntaresulla concorrenza, che abbasse-rebbe costi e prezzi (come già staavvenendo per necessità) oppuresottostare alla volontà delle pic-cole ma irriducibili lobby che neltentativo di tutelarsi generanostagnazione.

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Casalciprano

Pensiamo ad una notte d’estate. Un cielostellato e potere passeggiare attraver-sando i vicoli dei nostri paesi. A Casal-

ciprano, così, è possibile immergersi in questaatmosfera visitando il Museo etnografico al-l’aperto della civiltà contadina.

Un raro esempio di costruzione di un per-corso suggestivo che si pone dinanzi a quantisi portano nel piccolo paese, appena 500 abi-tanti, al di qua del Biferno.

Si pone dinanzi anche al rapporto con il mo-derno in trasformazione, riportando con forzain primo piano le caratteristiche di una vitascomparsa o in corso di sparizione e l’urgenzadi mettere in campo i caratteri nativi e origi-nari per fronteggiare tanto i processi di muta-mento quanto la sensazione, diffusa tra lepopolazioni, di essere in bilico tra due mondie forse condannate all’estinzione. E di conse-guenza, ha illuminato da altre prospettive ilradicamento, l’appartenenza e la dimensionelocale, suscitando nelle comunità l’esigenza edil bisogno pressante di conservare e docu-mentare il loro passato. Tutto questo dinanziall’erosione sempre più accelerata della vitatradizionale; alla scomparsa rapida degli og-getti e delle suppellettili che ne testimonia-vano il fluire; al tramonto (o profondatrasformazione o uniformarsi) non solo delletecniche ma anche delle coltivazioni. E attra-versando vicoli e strettoie è possibile rivivere

scene di altri tempi eguardare quegli oggetticaduti nel dimenticatoio.

Entrare oggi in questomuseo dell’arte conta-dina è come entrare inuna macchina del tempo

che ci conduce nel Molise del secolo scorso.Museo del vissuto e patrimonio di intere co-

munità.E’ la stanza delle meraviglie dove recupe-

rare la propria ricchezza culturale nella com-prensione di un patrimonio fatto di tradizioni,spesso ormai affidate solo alla memoria deglianziani, che rievocano lo spirito dell’epoca,un ventaglio di sensazioni profonde, odori eimmagini.

E’ il museo che rende testimonianza auten-tica di secoli di vita rurale.

Vuole stimolare la curiosità in questo viag-gio nel tempo con la consapevolezza che per-dere le tracce del nostro vissuto equivarrebbea svuotare la nostra identità del senso deltempo. Il museo etnografico (forse più di altritipi di musei) ha particolarità che ne fanno illuogo deputato non solo della conservazionema soprattutto della rappresentazione dellamemoria di una comunità: memoria del paese,paese della memoria. E si configura come unluogo dinamico, come una macchina capace difar viaggiare il visitatore nel tempo e di con-tenere nel suo spazio evocativo passato e fu-turo: memoria degli antenati e capacità diimmaginare il futuro. Perché il futuro si co-struisce sul passato e si rende intellegibilesolo attraverso la comprensione delle radici dicui è frutto. Una passeggiata a Casalciprano ètutto questo. Provare per credere.

Un tuffo nella memoria della civiltà contadina

Il venditore

Il banditore

di Giuseppe Saluppo

vita nel vicolo

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La storia triste di Clesilde

C

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Sono tre anni che la padrona dell’agriturismodi Guardialfiera ci ha lasciato

i sono storie e storie. Questa è diquelle che toccano il cuore. E’piena di tristezza. Vecchia di treanni, era agosto del 2009. Eppuresembra ieri. L’ha vissuta una fami-glia felice, marito, moglie e quattrofigli. Con un’attività di ristorazioneche va alla grande, il lavoro arrivasin sopra i capelli.

Non c’è tempo di annoiarsi aGuadialfiera, in contrada Colledelle Forche, a pochi metri dallastrada che tutti chiamiamo Bifer-nina. Più giù c’è il lago che favori-sce la soavità del clima. Ovunquesi guardi l’occhio si riposa.

Nel suo appezzamento agrariodi 11 ettari, lascito di famiglia, la si-gnora Clesilde D’Angelo, una bellae guizzante donna moderna, ma conprincipi antichi, decide di aprireun agriturismo che chiama con ilsuo nome, Casale di Clesilde.

La struttura è bella, funzionale eben rifinita; il panorama è godibilee il clima è tra i migliori della re-gione. Al resto pensa lei, Clesildeche si mette ai fornelli, attorniatada un gruppo di donne del paeseche sanno fare la pasta a mano eche conservano le tradizioni culi-narie del passato molisano; pre-para menù succulenti che in frettafanno il giro della zona. Non ci im-piega molto a raccogliere un suc-cesso esagerato, anche perchéintorno a lei ruota l’intera famiglia,

il pacioso e sempre sorridenteSerfino Spugnardi, suo marito e ifigli Rosita (26), Antonella (25),Chiara (24) e Guadenzio (20), IvanMarinaro, il bel marinaio di navimercantili, fidanzato di Chiara.

Serafino sa accogliere con graziae cordialità i clienti e sa comeprenderli per la gola quando portain tavola le specialità della casa.Tutto va a gonfie vele. Sino a chearriva un insospettabile ciclone.Siamo in pieno agosto del 2009, gliimpegni si moltiplicano, Clesilde èimpegnata in cucina a preparareun dolce. Improvvisamente perde isensi, cade sul pavimento. Sipensa a un malore, dovuto allostress. Il nobile cuore di moglie edi madre ha subito un insulto cosìforte che si ferma per sempre.Senza il minimo preavviso muorea 49 anni, tra la disperazione deifamiliari e di chi le ha voluto bene.

Il destino da dolce diventa im-provvisamente tragico. Clesilde la-scia un vuoto che nessuno pensadi poter colmare. C’è un’intera co-munità che la piange, oltre a unafamiglia inconsolabile. Che, asciu-gate le calde lacrime, si rimboccale maniche e prosegue nel solcotracciato dalla donna.

Niente sul piano umano è comeprima, eccetto l’artiglieria di chi hadeciso di non disperdere i suoi in-segnamenti. Il locale continua asommare coperti su coperti, pursenza la mano calda della pa-drona, ma a sera, quando si spen-gono le luci per la famigliaSpugnardi cala una tristezza senzafine, mentre dalle foto esposte suuno specchio di fronte all’in-gresso, Clesilde, come se nientefosse acca-duto, regalaun sorriso ca-rico d’amoreai suoi fami-liari.

(ge.ve.)

La bella signora aveva 49 anni quando morìtra i fornelli,

stroncata da un infarto

ClesildeD’Angelo as-

sieme al maritoSerafino Spu-

gnardi e al gio-vane marinaio

Ivan Marinaro,fidanzato di

Chiara

La famiglia Spugnardi al completo con i quattro figli

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a tradizione l’ha conquistata a tavola.Attraverso una cucina semplice, mapensata. E lavorata senza elabora-zione, per far prevalere la bontà dellamateria prima. Il vino veniva servitoin boccali di terra cotta, porcellanati.Usciva fresco, ricco di bouchè dallacantina. Se la stagione era favorevole,sulla tavola compariva la Caponata,una insalatona fatta con i biscotti difarina, ammestierati con un po’ diaceto bianco e conditi con comma-relle, peperoncini, alici salate, sedano,origano, sale e olio; per decorazioneservivano uova sode, e olive verdi enere, oltre a un ciuffo di prezzemolo.

Non solo Caponata, ma anche mus-sillo, allulleri, trippa e genovese emolto altro usciva dalla cucina di duelocali, uno invernale (Via Torino) el’altro estivo (Fossato Cupo) di Aci-niello.

Per tutti è stato “Mister Caponata”,o più semplicemente Aciniello che

italianizzato sta per Chicchetto.Parlare di Michele Paolino, amante

profondo delle tradizioni campobas-sane come sono, non mi riesce diffi-cile. In pochi ricordano il suo nome ecognome, mentre il marchio Acinielloè rimasto nella mente dei campobas-sani, oltre che sulle insegne dei duelocali che sono rimasti agli eredi,anche se sono stati dati in gestione a

due esercenti, attenti a seguire leorme del vecchio proprietario.

Michele Paolino era un bell’uomo,con una figura rotonda e due baffettiben curati, come erano sempre benimpomatati i suoi capelli pieni dionde. Lo ha affiancato la moglie An-gela De Vivo, una donna di tagliaforte, con una faccia rotonda e liscia euna gran voglia di fatica.

A Fossato Cupo e Via Torino Michele Paolino

è stato l’ultimo cultore della cucina semplice

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Quando c’era Mister Caponata

L

di Gennaro Ventresca

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Ricordando una fetta del passato gastronomico campobassano: Aciniello

In alto Michele Paolino, “Aciniello”, con un boccale di vino

A destra signore campobassane intente a servirsi al tavolo della caponata

In basso Angela De Vivo e il marito Michele Paolino

A lato in basso tavoli imbanditi con le specialità di casa “Aciniello”

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La vulgata attribuisce il nome diAciniello proprio alla vivacità diMichele che, da bambino, amavacorrere per i campi, senza trala-sciare le salite. E nel suo muoversisembrava un Aciniello, capace dirotolare per i pendii, senza farsimale. Fatto è che il nome è diven-tato un marchio che ha avuto unsuccesso che dura nel tempo e cheha saputo superare i cambiamentiimposti dalla moda. Senza rincor-rere né scimmiottare la nouvellecousine Aciniello è rimasto quellodi sempre: vino, caponata, mussillo,trippa e altre pietanze campobas-sane.

Durante la bella stagione la gentedalla città si portava sino a FossatoCupo, per prendere il fresco, fareuna bella merenda o trattenersi perla cena. I prezzi popolari e i tavolisempre occupati.

Michele dopo una bella vita in-tensa si è spento a 83 anni, nel1997; suo figlio Antonio che permestiere (ha fatto l’informatore

medico-scientifico) si è tenuto lon-tano dalla cucina, come del resto lasorella, non ha voluto far disper-dere una storia familiare, nata nel1825 con il trisavolo che portavaproprio il suo nome, Antonio. DaAntonio siamo passati a FrancescoPaolino, quindi ecco un altro Anto-nio, nel 1882, quindi il padre Mi-chele, nato nel 1913. La dinastiadella Caponata finisce in praticacon la morte di Michele Paolino,mentre i locali sono ancora inpiedi. Quello di Fossato Cupo, permano di Antonio, ha di recente su-bito una radicale trasformazione, èstato in pratica rifatto con eleganzae ingrandito. Lasciando la location,la frescura, il forno all’aperto e lapresenza delle portate semplice esaporite di una volta.

A Via Torino, al contrario delpassato, il locale resta aperto tuttol’anno; col bel tempo funzionaanche un gazebo all’aperto. I postisono limitati, mentre i sapori sonoalti.

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Piccole banche crescono

ul tettuccio della sua Mercedes bianca, semprepulita e lucidata, da un paio d’anni non cam-peggia più né la scritta Taxi, né il N. 1. PasqualeDe Soccio, raggiunti i 90 anni, ha deciso di ab-bandonare l’attività. Ma non l’appuntamentocon il suo posto fisso, in piazza Prefettura. Dove,con qualsiasi clima, è sempre presente. Da oltremezzo secolo.

Di coppie di sposi ne ha accompagnate tante.Per questo non ha voluto mancare al suo ultimoviaggio da tassista incallito, per il matrimoniodella nipote Antonella, primogenita di Lucia eRaffaele Di Cesare, due benemeriti della palla-volo campobassana, che si è unita in matrimo-nio con un bel giovane siciliano, di Siracusa cheper l’occasione ha voluto offrire agli invitati al-cuni prelibati dolci della sua terra.

Pasquale, dopo essersi lisciato a dovere il baffoe avergli conferito un colore ancora più scurodel solito, con aria commossa, ma sicura, si è di-retto verso la cattedrale. Pavoneggiandosi comeun giovanotto, mentre invitati e amici del BarLupacchioli lo guardavano con ammirazione.

S

L’ultimo viaggio in taxi

L’ultimo viaggio in taxi

P rocede a tambur battente l’iter procedu-rale per l’apertura della Banca di CreditoCooperativo di Campobasso. Chiusa laprima fase, si è entrati nella fase due.Cresciuto anche il numero dei soci pro-motori, passati da 13 a 17, tra i quali

brilla il nome di MassimoTrivisonno.

La Banca d’Italia pre-tende una raccolta difondi non inferiore ai 5milioni di euro, frutto deicapitali investiti dai socipromotori e dagli azioni-sti. I quali, sia spiegato,hanno il capitale garan-tito: in caso di mancataapertura della banca ver-ranno corrisposti agliazionisti interessi annuidel 2,9 per cento.

La quota minima daversare è di appena mille euro, alla por-tata di tutte le tasche. Va detto che intornoall’apertura della banca del capoluogo c’èun discreto interesse da parte della pic-cola impresa che attende con fiducia chequalcuno possa darle una mano.

Il tassista Pasquale De Soccio assieme alla nipote Antonella e ai genitori della sposa Lucia e Raffaele Di Cesare

Piero Perrino alla Triennale di RomaUna chiave con la serratura. Un telegramma che ti

riempie di gioia. Una gratifica che neppure tiaspetti. Il tempo che corre non inutilmente. Per PieroPerrino il momento è fecondo: da Roma la bella noti-zia. L’artista molisano è stato selezionato per la Trien-nale di Roma 2013, ove dovrebbe prendere parte, apieno titolo, alla manifestazione in veste di espositore.

La sua arte moderna, fatta di tratti forti e folgoranti,gli sta riservando piacevoli sorprese. Certo, l’appun-tamento capitolino è di quelli che ti fanno girare latesta. Non solo per il caldo di questi giorni, ma per glialti contenuti artistici.

Nel frattempo, il pittore di arte astratta, sta espo-nendo a Varazze, in una delle zone più belle e triste-mente martoriate dalla tempesta, presso la mostranazionale Palajacovo, con alcuni suoi incisivi lavori.Strana la vita di Perrino, nato assicuratore, diventatofotografo e, strada facendo, scopertosi artista deipennelli.

Il dott. Angelo Di Setfanopromotore della Banca

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di Arnaldo Brunale

Campuascianeria

SI detti del capoluogo

ignore ràlle lume, sé no raccénnequatte!

Più che un’invocazione, questa è unavera e propria battuta di cattivo gusto.Quando una persona delira ovvero ci dafastidio con le sue esternazioni, allora in-vochiamo il Signore affinché le facciariacquistare il lume della ragione altri-menti, se continua nel suo atteggia-mento, di regalargliene quattro, comequelli che si posizionano solitamente at-torno ad una bara.

So’ rémaste al verde!Questa è una battuta che pronunzia

una persona quando resta senza soldi.Essa ha origini antiche e si ricollega allecandele di cera veneziana adoperatenelle contrattazioni di mercato, che ave-vano alla loro estremità inferiore un pic-colo basamento di color verde. Quandola candela si consumava, raggiungendoquel colore, stava a significare che essapoteva bruciare ancora per pochi minutiprima di spegnersi del tutto e porre finealle trattative.

Sta sempe ‘n triréce come u Giu-vérì ‘n miéze a’la séttémana!

L’origine di questa battuta, molto dif-fusa fra la nostra gente, si presta ad unaserie di ricostruzioni storiche, tutte più omeno attendibili. Chi è abituato a stareal centro delle attenzioni in ogni circo-stanza potrebbe essere paragonato: 1)alla posizione mediale occupata dal Gio-vedì nell’arco della settimana; 2) al can-delabro a tredici braccia posto in bellaevidenza agli ospiti sul ripiano di una ta-vola dalle famiglie ebraiche; 3) alla can-dela più grande, collocata in posizioneintermedia, su un candeliere a due braccisu ci vi sono accese sei candele per lato,sistemato sul fianco sinistro dell’altare du-rante il rito dell’Ufficio delle Tenebre che,ancora oggi, si celebra in alcuni paesi delnostro Molise nella settimana di passioneche precede la santa Pasqua. Durantequesta cerimonia le tredici candele ven-gono spente progressivamente dopo ladeclamazione di ogni salmo dedicato aGesù Cristo. Il cerimoniale sostituisce larecitazione del più classico rosario; 4) adun candeliere messo in bella evidenzasulla tavola di una famiglia a Napoli che,nella smorfia napoletana, è contraddi-stinto dal numero 13.

Stanotte hai chiamate a Biagge!E’ l’affermazione che, solitamente, fa

colui che trascorre una nottata insonneper una indigestione. Il riferimento a SanBiagio è dovuto al fatto che questo santo,essendo protettore della gola, è ritenutoanche il protettore di tutti coloro chesono soliti mangiare molto.

Stenghe passanne le ‘uāie ‘éSanta Féluména!

Esclamazione rassegnata ed al tempostesso addolorata fatta da una personaperseguitata dalle sofferenze. S. Filo-mena è un personaggio leggendario, vis-suto al tempo delle persecuzioni deicristiani, il cui corpo fu rinvenuto nel1802 nel cimitero (catacombe) di Priscillaa Roma. Si vuole che il nome di questasanta sia scaturito da una errata inter-pretazione di una iscrizione riportata sulsuo sepolcro.

Té magne cape ‘é zì Vécienze!Stai attento a spendere tutti i tuoi soldi

ora perché, poi, sarai costretto alla fame!Questo modo di esprimersi ha avuto ori-gine dalla volgarizzazione della frase la-tina capita sine censo con cui, nel dirittoromano, veniva identificata una classesociale a cui appartenevano i più poveriche, per la loro condizione di indigenti,erano esentati dal pagare le tasse alloStato.

Tè ‘na lénga longa ca cé può’ pulì’u furne ‘é Palazze! (Pacchione)

Ha una lingua così lunga (intesa come ilparlare male degli altri) che, per assurdo,con essa potrebbe ramazzare il forno di Pa-lazzo, nota famiglia di panificatori di Cam-pobasso, senza patire danni.

Tè ‘na ‘ócca come a Porta Ca-puana!

Porta Capuana è un varco monumen-tale molto ampio ed importante dellacittà di Napoli. Con questo modo di dire,solitamente, ci si rivolge a tutte quellepersone che non sanno mantenere unsegreto, portandolo a conoscenza di tutticoloro con cui si trovano a parlare.

Tè puozza murì’ ‘é Venerdì Santeaccuscì nisciune té sóna le campanea muōrte!

Fare un augurio del genere ad una per-sona significa volerle proprio male. Il Ve-nerdì Santo, giorno sacro e di lutto per laChiesa Cattolica, è il giorno della mortedi nostro Signore sulla croce, per cui lecampane delle chiese non vengono fattesuonare in segno di rispetto.

Tre so’ le putiénte: u Pape, u Re echi nén tè niente!

E’ un modo di dire che vuole eviden-ziare l’agire assurdo di chi è libero daogni legame ed è privo di ogni avere. Ilsuo stato lo porta ad operare senza pen-sieri, permettendosi cose riservate soloai potenti.

Tu tiè’ la capa tosta? E u padre‘uārdiane té l’ammolla!

Sei un gran testardo, ma non ti preoc-cupare perché c’è qualcuno che è ingrado di convincerti, con le buone o con

le cattive maniere! L’aneddoto riferisce diun padre guardiano di un convento che,fra gli altri impegni a cui doveva atten-dere, aveva quello di raccogliere i fruttidagli alberi che lui stesso aveva coltivatocon duri sacrifici. Uno dei compiti princi-pali era quello di staccare dalle piante ifichi già maturi per farli seccare ed intrec-ciarli, poi, in serti per l’Inverno. Quando siimbatteva in un frutto ancora acerbo eduro, che non avrebbe dovuto cogliere,egli lo prendeva ugualmente profferendonei suoi riguardi questo tipo di afferma-zione, ritenendosi in grado di poterlo uti-lizzare in ugual modo. Nella vita, il detto èripreso ed adoperato ogni qualvolta ci siimbatte in una persona testarda, nel ten-tativo di convincerla ad essere più com-prensiva e disponibile verso gli altri.

U che?Domanda ad effetto che presupponeva

una risposta da parte di chi la riceveva.Solitamente l’interpellato rispondeva: Ustrunze ca si! oppure U belle ‘uā-glione! Questa battuta era in voga neglianni ’40–’50 del secolo passato, soprat-tutto, fra gli imbianchini.

Va’ a fa’ béne! Récette Pacché-tielle!

Pacchétiélle, o Pasqualino che dir si vo-glia, era un personaggio locale vissutoalla fine del secolo diciottesimo, noto perla sua disponibilità ad aiutare gli altri,benché vivesse di piccoli espedienti. Sudi esso sono fioriti vari aneddoti, nonsempre concordi fra di loro e spesso ro-manzati dalle fonti orali locali. Se ne ci-tano solo alcune versioni, probabilmentele più veritiere. Una prima vuole che eglipronunziasse la frase va’ a fa’ béne! sulpatibolo, in tono di rimprovero verso sestesso, prima di essere impiccato. Si rac-conta che, un giorno particolarmenteventoso, volendo aiutare alcune donne astendere il bucato all’interno della Fon-tana Vecchia, luogo in cui era vietato l’ac-cesso agli uomini, ne fu allontanato dalleloro urla, che lo scambiarono per un ma-lintenzionato. Per questo motivo fu arre-stato dalla gendarmeria, processatoanche per altri piccoli delitti, condannatoe giustiziato in piazza. Pare che la suaesecuzione capitale, avvenuta nei pressidell’attuale carcere mandamentale, làdove ora vi è eretto un cippo con su unagrande croce di ferro, sia stata l’ultimaavvenuta a Campobasso. Una secondaversione riferisce che Pacchétielle ebbea dire questa frase, quando la donna acui voleva dare una mano a piegare lelenzuola se ne scappò terrorizzata dal la-vatoio, avendolo scambiato per un ma-lintenzionato.

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di Bernardo Donati

Piazza Dante - La piazza che non c’è

Presunti colpevoliSbattere il mostro in prima pagina

è arte antica. In Europa, furono ifrancesi a lanciare la moda nel se-condo dopo guerra, “Sangre à la unepour epatér le bourgiois” (Sangue inprima pagina per far colpo sullagente). In Italia arrivò negli anni 60,complici afa e noia d’agosto nel gior-nale “La Notte”. La redazione, acorto di notizie, trasformò il giovanerapinatore Luciano Lutring ne “Ilsolista del mitra”.

Mezzo secolo dopo, bisogna riflet-tere sulle disparità di trattamentoche i media riservano ai presunti

colpevoli, che passano dalle velineufficiali ai titoloni. Alcuni con nome,cognome e foto, altri con le sole ini-ziali, altri ancora in modo anonimo.Tutto ciò, non in osservanza di uncodice di comportamento ma a di-screzione di chi dà la notizia.

L’altro aspetto da valutare ri-guarda gli innocenti, quelli cheescono assolti da vicende che liavevano fatti finire sui giornali. Adeccezione dei notabili, di solito a chinon ha commesso il fatto viene ri-servato un trafiletto nelle paginemeno lette. (An.Ca.)

Tonino Perna ha subito un provvedimento restrittivo

apparso spropositato

La struttura nata a fine ‘800 conserva ammirevoli reperti

Museo di Baranello, un gioiello

da valorizzare ittorio Sgarbi, qualche anno fa, definìquello di Baranello uno dei migliorimusei rurali d’Italia. Aggiungendo, dapar suo, che l’unico problema per va-lorizzarlo al meglio sia il conosceredove si trovi Baranello e come si possaraggiungere il comune molisano.

La riprova che l’esposizione, nata afine ‘800 per volere dell’architetto Ba-rone sia davvero pregevole, arrivadalla riuscita iniziativa “Una notte almuseo”, che nel maggio scorso ha sug-gestionato i visitatori giunti fino alcentro storico di Baranello per ammi-rare circa duemila reperti di ogni ge-nere raccolti nei locali del Museo.Bronzi, ceramiche di era protostorica,vasi a figure nere e rosse provenientidalla magna grecia, oggetti etruschi,

orientali, porcellane cinesi ed euro-pee, senza dimenticare quelle italianedi Capodimonte.

La sezione dedicata a dipinti e scul-ture, è nobilitata da opere di LucaGordano e Palizzi, interessante anchela collezione di disegni e progetti del-l’architetto Barone, fondatore dellastruttura nel 1897.

Bene farebbero gli istituti scola-stici a programmare visite guidateper scoprire il gioiello nascosto adue passi da casa; bene farebbero imolisani a organizzare una puntataculturale di qualche ora a Baranello.Al tempo stesso il Museo dovrebbeincentivare l’afflusso, non solo conl’ingresso gratuito già garantito maanche aumentando il limite attuale

di visitatori in contemporanea, fis-sato a quindici.

Il problema gestionale è quello piùimportante, le scarse risorse limitanoe condizionano una programmazionecontinua delle visite gratuite, possibilisolo prenotazione. Una condizionediffusa, per le strutture culturali re-gionali, che pur rappresentandocammei ammirabili spesso restanonascosti alla fruizione del pubblico.Esiste una componente concettuale“èlitaria”, che frena iniziative diapertura al pubblico delle struttureculturali, si tratta però di remore mi-noritarie, facili da superare in pre-senza di un programma organico chevalorizzi al meglio i piccoli cammeiculturali del Molise.

V

In alto, uno dei localidella struttura intitolataal fondatore, architetto

Giuseppe Barone.A destra, un pregevole

piatto in ceramica conservato nel Museo

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arissimo,guardare i milionari è un’attivitàcara ai turisti che vanno in va-canza. Succede anche a mequando esco fuori regione. A Po-sitano mi soffermo sotto la ma-gnifica dimora di FrancoZeffirelli, a Ischia si fa la fila peraffacciarsi nel giardino pieno dipiante esotiche di Luchino Vi-sconti, a San Felice ci spac-ciammo per amici della Magnani,pur di dare uno sbirciata al suoparco che affacciava sul promon-torio del Circeo. Su indicazione diPaolo Oriunno dovevamo snob-bare, invece, a Sant’Angelod’Ischia, la casa di Fred Bongusto,cantante di successo, partito davia Marconi dove ha lasciato,senza rimpianti, amici e parenti.Guardare i milionari è stato unesercizio sempre caro, anche aicampobassani. A casa loro non ladanno a vedere, ma fuori dal Mo-lise cavoli se ci danno dentro. Icuriosi armati di macchine foto-grafiche, telefonini digitali e altrediavolerie tecnologiche scattano,e sognano di essere in quelle case,a dormire sonni comodi, a man-giare aragoste e caviale, come neifilm di maniera.

Ragazzi e ragazze, nei porti turi-stici, ammirano dal basso legrandi barche dei milionari, os-servano le compagnie dei ricchiproprietari e si dicono tra loro:Guardali, sono in buona compagnia,però, magari, non gli si drizza.

I campobassani non sono invi-diosi, tantomeno rancorosi comecertuni che guardano di sottecchichi ha avuto successo, facendofinta d’interessarsi d’altro; sonosognatori, ottimisti, che vorreb-bero essere nei posti dove lorovanno a divertirsi per un giorno oper tutta la vita se fosse possibile.

Di milionari poi non credo chece ne siano molti dalle nostreparti. Solo che non vogliono farlo

sapere. Per ragioni di sicurezza edi riservatezza.

Non ci vuole molto a indivi-duare i veri ricchi della città, sipossono indicare sulle dita di unamano. Ma, attenzione ai profes-sionisti. Sono loro i veri paperoni:guadagnano alla grande, ma inve-stono poco in loco, per non farsiscoprire. Secondo la vulgatahanno esportato capitali nei para-disi fiscali, facendone rientraresolo una parte con lo “scudo fi-scale”.

Tra noi non ci sono vip e vippe-ria, eppure non mancano i soldi.Solo che chi ce li ha non vuolfarlo sapere. Per questo si muovecon circospezione, avendo cura dinon cambiare spesso l’auto cheresta ancora la cartina di torna-sole del benessere.

Erano altri i tempi quelli in cui,noi giovani, passavamo di pome-riggio, all’ora del caffè, davanti alBar Arlecchino per dare unaspiata alla Roll Roys dell’inge-gnere Felice Molinari, il quale ri-deva sempre e si dava un sacco diarie. Quel bar, di fronte al gratta-cielo, gestito dalla famiglia De

Rensis, apparentata per partematerna ai Molinari, era il luogodel benessere. Sembrava un eser-cizio del Sud Africa, vietato aineri. Nessuno del popolo può diredi aver bevuto un caffè in quelbar, pur non essendoci alcun di-vieto. L’impiegato non se la sen-tiva di mischiarsi al ricco:passava, lanciava uno sguardo,sognava, e il caffè se lo andava asorseggiare al Cafè do Brazil.

Succedeva la stessa cosa da Fa-bian. In tanti guardavamo le suemagnifiche vetrine, ma pur po-tendo permetterci, magari a finestagione, di comprare una cami-cia o un pantalone con gli sconti,lasciavamo perdere. Quel negozioche con coraggio Antonio Sianoda Salerno aprì per dare un tonoal nostro capoluogo era fuoridalla nostra portata.

Oggi non esiste più un veroluogo per vip, s’è appiattito tutto.Eppure rimpiango quei giorni incui poter parlare dei ricchi che ciguardavano con sussiego e con lasupponenza che era la loro firma.Ci snobbavano dichiaratamente,ritenendoci figli di un Dio minore.

C

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ATTUALITA’

Lettera a me stesso di Gennaro Ventresca

Quando eravamo figlidi un Dio minore

La Roll Roys di Felice Molinari

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i colma un vuoto, nel panorama giornalistico regio-nale, per merito di Andrea Silvaroli che, dando se-guito a quanto fatto da lui stesso e da altri, hapubblicato il Diario Cinque 2003-2007, rassegnastampa molisana.

Andrea, affiancato da Tonino Scarlatelli (da pocoscomparso) che ne ha diretto la stesura, ha voluto of-frire al lettore uno strumento per riavere, in ordinecronologico, gli accadimenti più significativi del Mo-lise, nei cinque anni presi in considerazione.

La prima cosa che viene da chiedersi a chi si tro-verà a sfogliare le 350 pagine del bel volume, editodall’Habacus Editore, e presentato nell’elegante Saladella Costituzione della Provincia, è la scelta del pe-

riodo (2003-07). Facile la risposta: gli anni precedential 2003 erano già stati coperti dalla Nocera editoricon l’Almanacco del Molise, seconda parte; quellisuccessivi al 2007 da Manocchio dell’Habacus, il 2008curato da Vittoria Todisco e il 2009 e 2010 da AndreaSilvaroli, sempre sostenuto dall’esperienza di ToninoScarlatelli.

Il libro, seguendo la scia degli altri lavori, si fa leg-gere con curiosità e attenzione e risulta essere unaraccolta sapiente non solo per i collezionisti, maanche per chi semplicemente vuole infilare nelloscaffale un volume da cui, con curiosità, potrà attin-gere notizie del passato, cronaca, politica, costume,cultura e sport.

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Salvatore Struzzolino ha lasciato il posto a Italo Stivaletti dopo aver sfilato per 50 anni

Il diavolo dei Misteri

Nero fumo per il trucco, coda vaccina da mordere e la Tunzella da far sorridere

segnano il fascino del personaggio

l diavolo rappresenta da sempre il male. E’ lui indi-cato come il nostro costante tentatore. Eppure il de-positario del male, almeno per una volta, è indicatocome il personaggio più amato dalla folla.

Ai Misteri non c’è niente che regga il passo delDiavolo. E’ lui il protagonista indiscusso della sfilata.La Tunzella ne completa solo l’icona. Sono suoi iflash dei fotografi, l’obiettivo delle telecamere lovanno a cercare in tutte le pose, mentre chi è sulmarciapiedi per la prima volta si interroga se quellacoda vaccina, sporca di nero fumo, sia veramentegradevole e quante ore ci vogliano per digerirla. IlDiavolo e la coda vanno a braccetto da secoli. L’uomotruccato con il costume e la faccia annerita la stringenelle sue mani scure e la morde, facendo piacevol-mente atterrire i presenti. Specie i bambini che sulprincipio piangono, ma poi ci prendono gusto e al-lora acconsentono a farsi fotografare tra le braccia diquell’uomo così spaventoso, ma in qualche modorassicurante, nonostante gli occhi luciferini e le urlache arrivano in cielo.

Salvatore Struzzolino è stato attore dei Misteri, permezzo secolo. Ogni campobassano lo ha identificatocome Salvatore u’ rusce. Nella vita feriale ha fattoper conto del Comune il netturbino, Salvatore, scopae sacchetto, per tenere pulita la città, quando Cam-pobasso era veramente una città candida. Poi,quando arrivava il Corpus Domini i riflettori eranoquasi tutti per lui. Già durante la vestizione c’erauna gragnola do domande per il Diavolo. Che non hamai tradito le attese, sapendo recitare il suo ruolo daconsumato attore.

Per mezzo secolo è diventato famoso come un divodi casa nostra, Salvatore. Tutti a domandargli dellaTunzella, del trucco con il nero fumo e soprattuttodi quella coda vaccina, da mangiare cruda, strappan-dola con gli incisivi, per la gioia degli astanti.

Oggi Salvatore u’ rusce ha 77 anni, è un pensionato.Passa molte ore davanti al Bar Lupacchioli. Il fisico èancora robusto, il sorriso smagliante, i baffi ben cu-rati. Da 7 anni non sale più sulle tavole dei Misteri,per cercare di far sorridere la Tunzella, nel corso dellasfilata. Prova, ovviamente, nostalgia. Perché il passatoci riconsegna alla mente i momenti più belli che in-tendiamo accarezzare con un pensiero gentile.

Iniziò facendo il diavoletto Salvatore Struzzolino,un cognome che ne indica le radici, prima di esserepromosso principe dei diavoli. Ruolo che sarebbeandato a pannaggio di un altro campobassano diquattro quarti, Italo Stivaletti, fratello di Franco,capo-mistero e figlio di Giovanni che è stato un per-sonaggio del popolo, molto noto in passato, ancheper la sua passione sfrenata per la squadra calcisticalocale. Pochi sanno che ci si mette in fila per racco-gliere l’eredità del Diavolo. Che, per il momento, ècustodita al sicuro nelle mani di Italo Stivaletti chenon ha alcuna intenzione di mollarla. (ge.ve.)

Salvatore Struzzolino

Italo Stivaletti

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Rettore che va, Rettore che resta

Il Mix di D’Artagnan

Quei favolosi

anni Ottanta

Aldo Barletta

In occasione dell’inaugura-zione della nuova sede del

Tribunale Civile a Campobasso,è stato “steso” un tappetinod’asfalto sulla corsia prospi-ciente il Palazzo sede dell’isti-tuzione.Trattandosi di un Tribunale,sede in cui si opera secondogiustizia ed equità, sarebbestato il caso di asfaltare tutta lastrada, senza creare una imba-razzante corsia preferenziale.

La foto curiosa

Black Carpet

Una scritta a caratteri scatolaricampeggiava per l’intera altezza

del palazzo di via Pietrunto, sede delquartier generale e dello sportellocon il più alto numero di operazionigiornaliere.

Abbiamo ritrovato una bella fotodella Banca Popolare del Molise. Ap-partiene agli anni Ottanta, i famosianni Ottanta, in cui l’economia cor-reva e la banca locale aiutava le im-prese.

La guida dell’istituto creditizio perdecenni è stata nelle mani dell’ono-revole Francesco Colitto, un valentis-

simo avvocato che ha profuso tutte lesue energie per la Popolare e per lasua professione. Va ricordato chel’onorevole Colitto non guidava l’autoe si faceva trasportare in taxi quandoc’era da raggiungere Roma. Il suo au-tista di riferimento è stato per tutto ilsuo alto magistero Pasquale De Soc-cio, il decano dei tassisti molisani.

I tempi sono cambiati, anche percolpa del vento che a un certo puntoha spinto a favore dei grandi accor-pamenti. Così la Popolare del Molise,così come la Cassa di Risparmio sisono trovate cooptate da istituti piùimportanti. Arrecando un gravedanno economico al ceto imprendito-riale del Molise.

Mentre Aldo Barletta, rettore delMario Pagano, dopo 13 anni di ono-

rata permanenza molisana, lascia il ser-vizio tra infiniti rimpianti, va registrato ilprolungamento di attività del Rettoredell’Università del Molise, Giovanni Can-nata. Il quale Cannata ha ottenuto unanno di proroga, durante il quale contadi completare il magistrale lavoro svoltodurante il suo curriculum molisano.

Va ricordato che Cannata arrivò da Bariin un momento difficile per la nostrauniversità e fu talmente abile da mettersia lavorare alacremente per guidare la

nostra struttura pubblica verso un inspe-rato successo. Sia pur tra mille traversie.

Forse un errore clamoroso Cannata loha commesso quando non ha capito chela Facoltà di Medicina era un lusso che ilMolise non poteva permettersi. Ma solouna parte di quella responsabilità puòdirsi sua: premettero politici, ammini-stratori, dirigenti Asrem, media e opi-nione pubblica per far firmare il decretoall’allora ministro Letizia Moratti.

I conti sarebbero arrivati solo diecianni dopo. E lo stiamo pagando un po’tutti.Giovanni Cannata

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di Domenico Fratianni

Silvia Jovine: la scritturacome gioia di vivere

n debutto importante quello diSilvia Jovine, all’insegna dellapoesia e dell’arte; Silvia portaun nome importante e, per que-sto, il suo volo risulta essereassai significativo e, a primavista, temerario. Ma la giovanis-sima scrittrice libera subito ilcampo, librandosi in volo liberoche dalla terra giunge fino alcielo, con una scrittura sorpren-dentemente ricca di freschezza.

Per chi, come me, l’ha vistabambina tra le braccia dimamma Lilly e papà Carlo e, so-prattutto, accarezzata da quelgrande nonno di nome PeppeJovine, scrittore di razza e gran-dissimo poeta sia in lingua chein vernacolo, mio personalis-simo compagno di viaggio pertanti anni nel mondo della poe-sia e dell’arte figurativa, averetra le mani il primo romanzo diSilvia, mi crea un moto del-l’animo in cui si fondono com-mozione e gioia di guardare adun futuro sempre più ricco disperanza. E, chi scrive questenote, non può non ricordare unaltro grandissimo Jovine dinome Francesco, giustamenteconsiderato un maestro dellaletteratura del nostro Nove-cento.

Silvia, dunque, con la suascrittura solare, mi crea una ten-sione emotiva tremante. Laprima considerazione è che, ilsuo, sia inevitabilmente un de-stino segnato, intrapreso conuna leggerezza sorprendente,tenuto conto soprattutto dellasua giovane età.

Per quelle strane sovrapposi-zioni d’immagini che mi capi-tano quando sono al cavalletto,me la son sentita accanto comeuna pittrice dal sicuro talento,alle prese con la tela bianca, im-macolata, pronta a mescolare icolori della sua anima. E il suoattacco è di chi ha ben compresoche, prima di ogni altra cosa,quello che importa nel campodell’arte (scrittura o pittura chesia) è la spinta fantastica del-l’immaginazione, mista alla con-sapevolezza che la trasposizione

della stessa ansia vitale si tra-muti in immagini compiute, de-finitive. La capacità, cioè, ditrasformare la realtà in un in-venzione metaforica poetica-mente ricostruita (la veritàdell’arte non è tutta in questacapacità di rielaborazione deldato oggettivo, sotto la spinta diuna costruzione fantastica del-l’esistente?).

Silvia Jovine scrive con sor-prendente capacità di visione e,quello che più conta, senza en-fasi, nonostante il romanzo siastato scritto a soli sedici anni.Ecco perché parlo di predesti-nazione.

Silvia scrive (ma potreidire dipinge) senza farsiintimorire dal nome cheporta; lo fa librandosi involo in piena libertà, comese comprendesse che inarte non ci sono scorciatoiedi sorta e che, perciò, valela forza del proprio talento,consapevole che il volo in-trapreso è tanto più valido,più vero, se si ha la consa-pevolezza di planare sani esalvi, in campo libero eaperto.

I suoi segni/colori sugge-riscono l’unione del timbrocaldo di stampo impressio-nistico, con variazioni ten-denti a confluire con uncerto simbolismo, tanto carialle nostre avanguardie ar-tistiche novecentesche. Oraso, che nonno Peppe sor-ride felice.

Rileggo una sua poesiadedicata alla piccolissimaSilvia appena nata, e nonposso non pensare che lasua speranza di vedere ungiorno tornare in qualchemodo il suo canto, si siaconcretizzato attraverso lavoce della sua nipotinaprediletta per continuare asognare un mondo piùdegno di essere vissuto.

Silvia ha dunque spiccatoil volo affinchè continuisempre a cantare i misteridella vita e dell’arte.

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Il Dottore ha conquistato il Nordna volta tanto si parla di Di Iorio, non di Iorio, con la let-tera minuscola. Il Di Iorio in questione è un molisano chevive in Lombardia, a Gussago, un bel paesone di 16 milaabitanti, periferia di Brescia. Qui non si parla di fuga dicervelli, né c’è ragione di credere al classico meridionaleche prende il treno della speranza. Stringendo tra lemani un paio di valigie di plastica, rinforzate con lospago. Il personaggio in questione è un agiato signorecon la laurea in Farmacia che ha avuto la fortuna di af-fermarsi, dopo aver lasciato Campobasso dove è rimastosino al 2007, quando gli hanno comunicato di aver vintola titolarità di una farmacia, nel comune che abbiamo ap-pena ricordato.

In pratica Giampiero Di Iorio ha dovuto solo rasse-gnare le dimissioni dalla Farmacia comunale N. 2 (Cep),dove per lunghi anni era stato direttore. E dove avevaanche conosciuto l’amore, si è sposato con una farmaci-sta che lo ha seguito nella sua esperienza nella terra diBossi.

Giampiero Di Iorio si è affacciato, con un certo suc-cesso, anche nella vita politica molisana. Si ricorderà ilsuo squillante successo alle provinciali, con una valangadi voti catturati in una lista di sinistra, che gli sono statiriversati quasi sostanzialmente dai clienti della farmaciadel quartiere Cep che ne hanno apprezzato la professio-nalità e la carica umana.

Un popolo che non votava si è recato alle urne per so-stenere il “dottore”, come lo hanno sempre chiamato iclienti della farmacia. E grazie ai loro voti Giampiero è

stato anche nominato assessore provinciale, alle politi-che del lavoro.

E’ il caso di ricordare anche il suo attaccamento allosport, e in modo particolare al calcio. Pino Saluppo, con laconquista dell’autonomia calcistica regionale della Figclo volle come Giudice Sportivo, una carica solo nelle ap-parenze semplice. Comminare sentenze e irrogare prov-vedimenti disciplinari non è mai semplice, specie nelmondo del pallone che si avvolge di infinite polemiche.

C’è da ricordare che parallelamente Giampiero Di Iorioè stato uno sfegatato tifoso del Campobasso, seguendo lasquadra di Berardo in casa e in trasferta. Ora che i ra-gazzi con la maglia rossoblù offrono scarsi successi ailoro tifosi Giampiero appare particolarmente piccato. Ela sera della domenica quando si mette al computer perinformarsi dell’andamento calcistico delle squadre delnostro campionato, non può fare a meno di rimpiangereil tempo passato.

Per sua fortuna che gli affari vanno a gonfie vele: Gus-sago è un bel centro, ricco al punto giusto da assicurareguadagni adeguati non solo ai farmacisti, ma anche aiproprietari dei 18 bar del paese.

Giampiero e la sua famiglia, dopo un preventivato disa-gio, si sono ben ambientati al Nord e anche se rimpiangonola terra molisana si trovano a meraviglia. Al “dottore”manca però il Campobasso calcio e se le cose dovesserocontinuare con questo andazzo, sarà difficile poter vederei giocatori rossoblù muoversi sui campi del Nord, comeaccadeva negli anni d’oro. I favolosi anni Ottanta.

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A Gussago, vicino Brescia,

l’ex farmacista del Cepha fatto successo

rimpiangendo i tempi di quando era Giudice

Sportivo della Figc e seguiva il Campobasso

anche in trasferta

Dott. Giampiero Di Iorio

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Zibaldone di Eugenio Percossidi Eugenio Percossi

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Peppe Buongusto è stato a sin-ghiozzi il medico sportivo del

Campobasso calcio. Dentro e fuori ilclub, vuoi per il sovraffollamento diimpegni professionali, vuoi per sceltedi vita. L’anno scorso, tanto per rima-nere ai fatti, è stato ancora al fiancodei rossoblù, al contrario dell’annoprima in cui si era allontanato, perragioni di salute.

C’è una inveterata abitudine delclub di Selva Piana di essere disat-tento con alcuni professionisti locali,tra i quali il medico. Che, in veritànessuno, si accontenta anche di unmodesto rimborso spese. Come avoler dire: anch’io offro il mio contri-buto alla causa rossoblù.

Oggi il dottor Buongusto è fuori (perscelta) dall’ospedale Cardarelli, ove hasvolto una lunga e onorata milizia,prima nel reparto di pronto soccorso epoi in quello di medicina; in quest’ul-tima divisione, negli ultimi anni di ser-vizio, Buongusto, ha occupato il postodi direttore (il vecchio primario).

Chiusa la lunga e proficua attivitàpubblica il medico sportivo, tra i pochiin Molise ad avere le carte in regolaper fare il responsabile medico di unclub di Lega Pro, ha deciso di dedi-carsi al lavoro presso il centro poli-specialistico Ealth center di viaGaribaldi, dirigendo il centro di medi-cina sportiva, unica struttura privataabilitata in regione, che offre presta-

zioni di 1° e 2° livello (valutazionefunzionale atleta e patologia atleta).In pratica le società sanno a questopunto dove potersi appoggiare per levisite specialistiche e per avere le ido-neità dei loro atleti alla pratica agoni-stica. Va ricordato che il costo dellavisita è pari al ticket che si pagapresso la struttura pubblica, vale adire 40 euro.

La finta morte di Michele Libertucci

Svegliarsi e leggere un necrologio col proprio nome deve es-sere stato visto come uno scherzo del destino da Michele

Libertucci, già assessore comunale allo sport, dipendente re-gionale e da sempre presidente del Cral della Regione. Così ca-pita di imbattersi nella lettura di un brutto manifesto e reagirecome fanno quasi tutti gli uomini, toccandosi, per scaramanzia.

Si è trattato, come avrete certamente capito, di un caso diomonimia. Il Michele Libertucci che è deceduto era un moli-sano che ha vissuto in Inghilterra. Niente a che vedere con ilpiù noto “assessore”. Aveva 71 anni il poverino, cinque in

meno del nostro concittadino. Ilquale, sia ben spiegato, gode ottimasalute, si mantiene svelto e snello,cammina come un maratoneta eama passare lunghe ore in campa-gna, ove lavora senza sosta.

Va però spiegato che un manifestodi quel tenore non poteva passareinosservato. Da qui sono scaturiti al-cuni sfottò da parte degli amici. Unodei quali è arrivato da Gino Di Barto-lomeo che appena lo ha incontratoper strada gli ha detto: “Ma tu non erimorto?”. E Michele, di rimando: “Matu non sei venuto al mio funerale”.

Chi ha creduto veramente nella dipartita dell’assessore èstato Pasqualino Gabriele “il paparazzo” de Il Quotidiano delMolise. Che dopo aver letto il manifesto ha dato la notizia aognuno che incontrava. Per fortuna di Michele tutto è finitocon qualche risata e tanti scongiuri.

Michele Libertucci

Quante pizze ha sfornato Sergio Amorosonessuno può dirlo. Neppure lui, per la ve-

rità. In venti anni di mestiere come si fa a te-nere a mente la contabilità? Sergio ha iniziatoa lavorare da Fantacone, in Corso Bucci. Glitoccò il compito del cameriere. Con l’aperturadella Pergola si è convertito in pizzaiolo, conti-nuando il mestiere nello stesso locale, anchequando è stato rilevato da Don Ciccio. Negli ul-timi anni, dopo aver fatto qualche giro anchein provincia (aprì un locale a Molise) è finitoallo Chef, sulla strada dell’ospedale.

La sua numerosa famiglia gli è stata semprevicino, anche quando Sergio ha deciso di orga-nizzare l’edizione molisana della Corrida. Fer-mandosi a nove edizioni. Nel suo curriculum,questa volta per sola passione, si trova ancheuna simpatica esperienza alla radio. Con lopseudonimo di Pollicino, nomignolo che gli è ri-masto attaccato addosso, ha condotto una sim-patica rubrica musicale a Radio Luna. Ora fa ilpensionato, ma rimpiange le sue Margherite,infornate sino a tardi, per il popolo della notte.

Il dottor Giuseppe Buongusto

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Inserto Specialesupplemento de “Il Primo”Anno 8 - n. 6 giugno 2012

Inserto Specialesupplemento de “Il Primo”Anno 8 - n. 6 giugno 2012

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di Giuseppe Di Iorio

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n momento di confronto politico con i cittadini al di fuori di sigle dipartito, di amici-nemici e quant'altro. E ora l' attesa è, natural-mente, sugli atti che il presidente riterrà di adottare. A partire dal-l'azzeramento della Giunta che molti attendono come giusto edoveroso viatico per aprire una nuova strada.

Un cambio di rotta rispetto a quanto fatto fino ad oggi per evitaredi incappare negli errori di sempre. E' la sintesi politica che, conforza, emerge dall'incontro che Michele Iorio ha voluto tessere coni cittadini alla Piana dei Mulini a Colle D'Anchise. Un confrontoaperto, chiaro, lineare per rilanciare i temi caldi del momento: i gio-vani, la partecipazione, l'autonomia.

I cittadini non credono più nella politica né nei politici. E’un fatto.Non credono più nei partiti, che hanno avuto la capacità in questiventi lunghi anni di costruire intorno a sé un vuoto colpevole diidee e di programmi, che ha acuito ancora di più le mancanze per-sonali e la vergogna delle responsabilità penali degli uomini. Un si-stema che è stato violentato e svilito da partiti come cartelliaffaristici, interessati a incrementare la loro forza e potenza econo-mica. Tutto fuorché rappresentare.

Sono colpevoli i dirigenti e gli apparati, fautori prima e schiavidopo, del becero sistema di selezione della classe dirigente, chepremia, lasciando all’oscuro e lontani dal merito i cittadini, le ami-cizie e gli interessi. Michele Iorio, liberatosi dalla zavorra e daiplauditores, è tornato in mezzo alla sua gente per rilanciare la suaazione e il suo programma. Intendiamoci: non abbiamo alcuna sim-patia per un certo nuovismo becero e furbesco.

Non siamo per le esasperazioni manichee, che assegnano il benetutto da una parte, quello dei cittadini. Iorio, però, è apparso sin-cero, rinnovato nella sua volontà di azione, pronto a nuove sfidecon una strategia in mente superando quel vuoto pneumatico diidee e programmi dei suoi avversari interni ed esterni.

Se si vuole recuperare la partecipazione, se si vuole che gli elet-tori non si distacchino dai valori civili e democratici, che non sianosempre più disimpegnati, non si può far prevalere il richiamo degliantichi riti. I partiti possono avere un grande ruolo per riannodareil filo del consenso popolare. Ma a condizione che si innesti in unadimensione partecipativa che ha assunto forme diverse.

Michele Iorio è consapevole di avere lanciato una scommessa dif-ficile, nel momento in cui nessuno è in grado di offrire nuove cer-tezze. Proprio per questo, però, la battaglia è più affascinante eforiera di iniziative.

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Ripensiamo insieme il Molise

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l presidente ha ritenuto di parlare dei veri pro-blemi del Molise, soprattutto del futuro, di cosabisogna fare, anche in questo momento diestrema difficoltà e soprattutto ha puntato sullamanifestazione e per rivolgere un forte invito aigiovani ad interessarsi di politica in maniera seriae partecipata. La situazione in cui si trova la no-stra regione impone una ripartenza, della condi-visione di un percorso futuro che parta dalcoinvolgimento dei soggetti interessati: i partiti,gli eletti, gli amministratori, ma anche i cittadini,le associazioni. Da parecchio tempo oramai l’immagine dei gio-vani è quella del disagio: incertezza per il futuro,precarietà psicologica, ricerca di spazi espressiviautonomi, (molte volte fuori dai luoghi di parte-cipazione), e spinta all’evasione. La politica gio-vanile è poi praticamente inesistente, i giovaniche hanno degli ideali politici sono pochi algiorno d’oggi e non vengono spronati affatto, lavivono come un qualcosa di lontano, inarrivabilee che non gli appartiene, d’altro canto i politicinon fanno nulla per incentivare la loro parteci-pazione. E Iorio si è chiesto: non è che sono gliadulti che non sono capaci di interessare e nonsono capaci di coinvolgerli questi giovani? nonè che troppo spesso sono gli interlocutori deigiovani ad essere troppo poco autorevoli e credi-bili? non è che i ragazzi si tengono lontani dallapolitica perché la sentono un mondo lontano edautoreferenziale? Da qui il richiamo di MicheleIorio proprio ai giovani perchè si riavvicininoalla politica per confrontarsi con chi è alla guidadelle istituzioni per meglio affrontare i tanti pro-blemi del momento. Un Molise di giovani che si interessi davvero diquel che accade, che vuole capire e che vuolepartecipare!

IPerché i giovani

C’è anche un motivo in più nel rilanciodella fase politica di Michele Iorio ed èla questione dell’autonomia regionale.

Di mantenerne in essere l’identità e le peculia-rità. Il Molise ha ricevuto dalla sua autonomiabenefici immensi; siamo passati da una dellezone più arretrate d’Italia, e dunque territorio diconfine e marginale dell’Abruzzo, ad una re-gione, che pur con varie criticità è cresciuta, hacreato benessere, ha trasformato radicalmente ilsuo assetto economico-sociale, garantendo aipropri cittadini servizi e qualità della vita. “Credo- ha ribadito in più occasioni il presidente -siano quindi da rigettare con forza le idee anti-storiche di fusioni o ricongiunzioni con regionilimitrofe. Del resto, se altri territori delle regioniconfinanti hanno mostrato interesse per un pas-saggio al Molise, denunciando poca attenzione emarginalità rispetto alle regioni di apparte-nenza, evidentemente il valore della nostra au-tonomia e della possibilità che abbiamo di

Perché l’auton

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erchè il rapporto diretto con i cittadini? Potrebbeapparire una banalità, un atto dovuto per la politica.E così sarebbe. In un tempo, però, nel quale propriola politica ha dimenticato il confronto e il dibattitol'apertura di Michele Iorio su questo terreno valetta come una nuova sfida. La transizione infinitasta dando il colpo di grazia al rapporto tra cittadinie politica, ma il divorzio non è ancora consumato.Esiste un ultimo margine di conciliazione. E Mi-chele Iorio, da politico navigato, ha saputo fermarsiper tempo, mettere da parte i tanti laudatori di untempo e tornare tra la gente. La classe politica ar-roccatasi su se stessa è diventata autoreferenziale;i cittadini sfiduciati si sono allontanati sempre dipiù rispetto al governo e agli organi di rappresen-tanza; il tutto è finito ingessato nell’armatura delcircolo vizioso. La lettura fatta da Iorio è che i citta-dini non sono insoddisfatti in blocco e di tutta la po-litica, e c’è malcontento e malcontento; c’è moltaindifferenza e non mancano la soddisfazione o lasperanza di un benessere futuro. Gli elettori di chial momento governa sono più soddisfatti di quellidi chi sta all’opposizione, anche se qualche mal dipancia non è escluso. Il fastidio è tanto palese che,mentre da un lato conferma il racconto del males-sere generalizzato – e il serpente allora si morde lacoda –, dall’altro offre ampi argomenti a quanti pre-dicano l’antipolitica e alimentano sofferenze epaure. Pertanto, quella parte della politica che ri-fugge la demagogia – e per fortuna esiste come hadimostrato Michele Iorio – ha fatto bene ad aguz-zare l’ingegno per curare le ragioni di sofferenza.Non è impresa facile: sono ragioni molteplici, ete-rogenee e ardue da coordinare tra loro. A rendereancora più difficile il percorso sono i severi vincoliposti dalle autorità e dai mercati sovranazionali,dalla concorrenza globale e via di seguito. Iorio sache la terapia esiste e comunque va cercata.

P Perché i cittadini

costruire il nostro futuro senza essere zona marginale direaltà più grandi, è ritenuto importante tanto da volernecondividere i benefici. In quest’ottica possiamo immagi-nare un percorso che possa vedere impegnati anche i no-stri Parlamentari e quindi lo Stato centrale per dare lapossibilità ai vari comuni limitrofi di poter disegnare illoro futuro con noi in un’ottica che veda a medio terminela costruzione di più vaste aree omogenee sia per cultura,che per economia e quindi per comunanza di interessistrategici e di prospettive di sviluppo”. E’ chiaro che la vo-lontà espressa di mantenere il senso della piena autono-mia regionale non può non contemplare anche ilpassaggio per fasi progettuali con altre realtà regionali.“Come pure siamo molto interessati ad ipotesi di collabo-razione e di lavoro comune con la altre regioni per realiz-zare iniziative e progettualità di interesse reciproco e diampi orizzonti”. Nell’agenda, però, la strategia program-matica e progettuale deve riguardare, proprio, il manteni-mento della piena autonomia per non finire in ‘bocche’voraci che finirebbero per inghiottire quanto faticosa-mente creato nel corso di questi anni.

onomia regionale

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