IL NUOVO MUSEO EGIZIO DI TORINO FILOLOGIA ARCHEOLOGIA …

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in questo numero: IL NUOVO MUSEO EGIZIO DI TORINO INAUGURAZIONE DELLA PRIMA SEZIONE DEL NUOVO MUSEO FILOLOGIA LA STELE DI SENUANKHUSEDJA ARCHEOLOGIA IN MISSISSIPPI CAHOKIA, ILLINOIS DONNE PIONIERE DELL’EGITTOLOGIA IL VILLAGGIO DEGLI OPERAI A DEIR EL MEDINA ABITAZIONE PER L’ETERNITÀ (PARTE SECONDA) SPECIALE ALBANIA NELLA TERRA DEGLI ANTICHI ILLIRI IL FEMMINISMO NELL’ISLAM ZEINAB AL-GHAZALI L’Arte di Shamira | I papiri di Carla BOLLETTINO INFORMATIVO DELL'ASSOCIAZIONE EGITTOLOGIA.NET NUMERO 6 egittologia.net magazine

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i n q u e s to n u m e ro :

IL NUOVO MUSEO EGIZIO DI TORINOINAUGURAZIONE DELLA PRIMA SEZIONE DEL NUOVO MUSEO

FILOLOGIALA STELE DI SENUANKHUSEDJA

ARCHEOLOGIA IN MISSISSIPPICAHOKIA, ILLINOIS

DONNE PIONIERE DELL’EGITTOLOGIA

IL VILLAGGIO DEGLI OPERAI A DEIR EL MEDINAABITAZIONE PER L’ETERNITÀ (PARTE SECONDA)

SPECIALE ALBANIANELLA TERRA DEGLI ANTICHI ILLIRI

IL FEMMINISMO NELL’ISLAMZEINAB AL-GHAZALI

L’Arte di Shamira | I papiri di Carla

BOLLETTINOINFORMATIVO

DELL'ASSOCIAZIONE EGITTOLOGIA.NET

NUMERO 6

eg i tto log ia .net m a g a z i n e

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Cavaradossi ama la sua Floria, ma guardando ildipinto della Maddalena con il volto dell’Attavantine resta ammaliato e riconosce la magia del di-verso, perché “L’arte nel suo mistero, le diversebellezze insiem confonde”.E del resto è proprio la bellezza che, secondoquanto fa dire Dostoevskij al protagonista de“L’idiota”, salverà il mondo. Ma la bellezza nonporta con se un libretto d’istruzioni, o per megliodire, non ne ha uno solo: ciascuno di noi ha ilproprio, che è il risultato di una somma di fattori,espressione di un vissuto che è solo nostro e sulquale solo i presuntuosi o i superficiali possonosindacare.E potrà sembrare fuori luogo, ma è proprio que-sto che mi è balzato agli occhi, quando nei mo-menti di massima crisi in Egitto, cercavo nel webe tra gli amici di avere notizie attendibili sullagrave situazione politica.Il web, e in particolare Facebook, è diventato dicolpo una lavagna nera con una riga bianca ver-ticale: da una parte i buoni, dall’altra i cattivi.All’improvviso i gay, i musulmani, gli immigrati,gli zingari e qualche altra “categoria umana” cheprobabilmente ora non ricordo, sono diventati unnemico unico contro le radici cristiane dell’Europa.

All’improvviso amare, pregare, vivere la propriavita liberamente sono diventate condizioni chedevono essere meritate, che possono essere vis-sute solo da qualcuno, mentre qualcun altrodeve tacere e obbedire!“Sono già in mezzo a noi!”; “In Europa tra gay emoschee dove andremo a finire!”.Sono solo alcuni dei commenti che ho letto quae là, espressi e proposti da persone che probabil-mente hanno già tutte le risposte e che pensanoche il loro Libretto di Istruzioni sia valido pertutti, che pensano di poter sindacare nel vissutodi un’altra persona senza conoscerne la storiapersonale.In parte invidio chi ha tante certezze perché, alcontrario, io ho sempre tante domande a cui nonso dare una risposta.Ha senso difendere le radici cristiane d’Europacon la forza? O è una contraddizione in termini?Ha senso difendere un’identità nazionale, unapatria, quando il nord del mondo – che costitui-sce circa un terzo della popolazione mondiale –consuma per il suo sfrenato benessere tre quartidelle risorse della Madre Terra, mentre il re-stante due terzi del mondo è costretto a spartirsiil restante quarto?Concetto complesso?Esempio:

se siamo in dodici persone e abbiamo a disposi-zione dodici pizze, secondo l’attuale ordine mon-diale, quattro persone potranno mangiarsi novepizze, mentre le altre otto persone se ne do-vranno spartire tre.

Ma davvero un’Europa che nega gli elementaridiritti a una coppia gay o impedisce di costruireun luogo di culto a una religione diversa daquella cristiana, o che si organizza per respin-gere in massa uomini disperati che fuggonodalla miseria, conseguenza di un nostro compor-tamento irresponsabile che imprime al mondouna pesante impronta ecologica e sociale, saràun’Europa migliore? Più vera? Che si rifà alleproprie radici cristiane?Come ho già detto, ho solo domande. Ma forse vor-remmo che tutti i gay fossero come Dolce&Gab-bana o Elton John, che tutti gli immigrati avesserola statura morale di Martin Luther King, l’animabella di Ghandi e l’esperienza di vita di NelsonMandela. Che fossero cioè economicamente auto-sufficienti e moralmente autorefenziati.Mentre i gay della porta accanto sono malati odepravati sessualmente, e il mediorientale chesta salendo sul nostro aereo, potrebbe avere unabomba non rilevabile dal metal detector infilatanel tacco di una scarpa o in una mutanda appo-

sitamente modificata!Non è che forse, in quella virtuale lavagna neracon la linea verticale, ci siamo iscritti un po’troppo in fretta nello spazio riservato ai buoni?Non è che forse, il nostro Libretto di Istruzionipotrebbe non essere l’unica verità cosmica pra-ticabile dall’intero genere umano?

Invidio Cavaradossi! Lui non aveva dubbi e can-tava alla sua amata Tosca: “Ma nel ritrar costei ilmio solo pensiero, il mio sol pensier sei tu: Tosca,sei tu!”

Cosa c’entra tutto questo con l’Egitto?Probabilmente nulla. Ma sono convinto di unacosa: finché continueremo a suddividerci inbuoni e cattivi utilizzando come riferimento uni-camente il nostro Libretto di Istruzioni, sarà dif-ficile far nascere un sostrato significante, ingrado di sostenere il peso di una pace globaleduratura. Anche nella nostra Ta-Mery.

Per comunicare con noi scrivete [email protected]

Paolo Bondielli

e d i t o r i a l e e d i t o r i a l e

è amabile lo scriba che conosce la sua professione (LEM 122, 5)

RECONDITA ARMONIA DI BELLEZZE DIVERSE

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Paolo Bondielli

Paolo BONDIELLIFranco BRUSSINO

Sandro Caranzanolaura cigana

Manuela Fisichellafabiana fuschino

Tiziana GiulianiMargherita Guccione

Shamira MINOZZIEmilio Passera

Alessandro ROLLEAsia Francesca Rossi

Carla TOMASIsandro trucco

Generoso UrcioliMarco ValeriImma Valese

Paola Inzolia

In questo numero di :

Introduzione al Magazine

Stele Cat. 1540 di Senuankhusedja

Donne pioniere dell’Egittologia

Il cavallo di Troia...Egizio!

Cahokia, Illinois

La prima sezione del nuovoMuseo Egizio di Torino

Zeinab Al-Ghazali

La statua di Zeus e l’ergasteriondi Fidia

Nella terra degli antichi Illiri

Abitazione per l’eternità

Vercelli. La città Romanaed il Museo dello Sport

L’uomo con lo spiedo e il ventaglio

ShamiraI papiri di Carla

EEDDIITTOORRIIAALLEE

AANNGGOOLLOO DDII FFIILLOOLLOOGGIIAA

eeggiittttoollooggiiaa

EEGGIITTTTOO IINN PPIILLLLOOLLEE

aarrcchheeoollooggiiaa iinn mmiissssiissssiippppii

IIll nnuuoovvoo mmuusseeoo eeggiizziioo

EEggiittttoo mmooddeerrnnoo

ssppeecciiaallee fifiddiiaa

ssppeecciiaallee AAllbbaanniiaa

ssppeecciiaallee ddeeiirr eell--mmeeddiinnaa

ssccooppeerrttee

AArrcchheeoorriicceettttee

AARRTTEE//VVAARRIIEE

NNeewwss

p.2/3

p.6/9

p.10/15

p.16/18

p.19/29

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p.84/89

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non ha comunque carattere periodico ed è condizionata alla disponibilità

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UN PROGETTO DI

COLLABORATORI

PROGETTO GRAFICO

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3.nb Hnot nb (xA) m Htp-nTr nb xA m snTr xA m mrHt xA m xt nbdi ogni tipo, offerte di ogni tipo, e mile tipi di offerte divine, mille dosi di incenso, milleprofumi, mille cose di ogni specie

4. nfr(t) wabt anx.ti nTr im ddt pt omAt tA innt ¡ap(y)buone e pure di cui vive il dio, e ciò che il cielo dà, la terra crea e il Nilo porta

5.n kA n imAxy saHw1 Xr(y)-a n imy-r sDAw ¤nw-anxw-sDA mAa-xrw ir.n ¡pwyal ka del venerabile nobile assistente del sovrintendente del tesoro Senuankhusedja, cheHepuy ha generato.

6.n kA n sn.f Ii-ib ir.n ¡pwy mAat-xrwe per il ka di suo fratello Ii-ib, che Hepuy ha generato.

SSeeccoonnddaa sseezziioonnee

(Iscrizione davanti alla tavola delle offerte)

dbHt-Htp t Hnot offerte funerarie di pane e birra

(Iscrizione alle spalle della piccola donna accoccolata sotto la tavola delle offerte)

(?) snt.f Kt-im sua sorella Ketim

(Iscrizione di fronte alla donna accoccolata, raffigurata sotto il personaggio maschile)

snt.f ¥pswt irt.n ¡l(w)y sua sorella Shepesut, che Hepuyha generato.

TTeerrzzaa sseezziioonnee

(per questa sezione si è reso opportuno inserire la relativa immagine della stele, individuando iscrizioni enomi dei personaggi con lettere alfabetiche)

Nome del titolare: Senuankhusedja, ¤nw-anxw-sDA, 'I fratelli vivono e vanno'Provenienza: Collezione DrovettiDatazione: Tarda XII dinastia.Materiale: calcareLa stele, di medie dimensioni (misura cm 75 in altezza e cm 50,50 in larghezza), presenta la parte superiorecentinata ed è divisa in tre sezioni. La prima comprende sei righe di geroglifici. La seconda contiene la scena principale. Si osserva a sinistra il titolare della stele seduto su un seggio dallabassa spalliera e dalle zampe leonine; egli indossa una corta parrucca liscia, la collana usekh ed un cortogonnellino che gli arriva alle ginocchia. Il braccio sinistro è ripiegato verso il petto e quello destro è protesoverso la tavola delle offerte. Piccola, accoccolata davanti ai suoi piedi, volgendogli le spalle, c'è la figura di unadonna che annusa un fior di loto e che viene identificata come sua sorella. A destra, rivolti verso la tavola delleofferte, accoccolati e raffigurati uno sopra l'altro, si trovano due personaggi, uno maschile e uno femminile.L'uomo, identificato come il fratello, ha il bracco destro ripiegato verso il petto, mentre col sinistro tocca lacoscia; la donna, sorella del defunto, annusa un fior di loto. La tavola delle offerte presenta un ricco assorti-mento di cibi: fasci di agli, un'oca sgozzata, diverse focacce, una zampa ed una testa di bovino; sotto ad essavi sono alcuni recipienti oblunghi non meglio identificabili. La terza sezione presenta complessivamente dodici personaggi, due dei quali, a sinistra, un uomo e unadonna, sono seduti su un divano dalle zampe leonine. I rimanenti dieci sono raffigurati, tutti accoccolati, sudue registri di cinque soggetti ciascuno. Il registro in alto vede, a destra, le sagome di due donne di maggioregrandezza rispetto alle rimanenti figure e sono intente ad annusare dei fiori di loto; dietro ad esse tre perso-naggi maschili sono in atteggiamento di rispetto. Il registro inferiore presenta cinque personaggi maschili, tuttinella stessa posizione di deferenza col bracco destro ripiegato sul petto e quello sinistro con la mano appog-giata alla coscia. Al momento dell'acquisizione di questa stele nel Museo Egizio di Torino i geroglifici sono stati ripassati in tintaverde da mano incompetente e maldestra, sicché taluni nomi propri che si trovano nella terza sezione risul-tano di difficile lettura.

PPrriimmaa sseezziioonnee

1. ¡tp-di-nsw Wsir nb anx ¦Awy nTr aA nb AbDwOfferta che il re dà ad Osiride, signore vivente delle Due Terre, signore di Abido

2.Htp di Wp-wAwt nb ¦A-¥ma di.sn mAa-xrw prt-xrw t Hnot kA Apd Ss mnxt rnpt e offerta che dà Upuaut, signore dell'Alto Egitto, affinché essi diano giusti di voce l'offertadi pane e birra, buoi e uccelli, alabastri e vestiti, vegetali

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Stele cat. n. 1540di senuankhusedjadi Franco Brussino

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AA..¡tp-di-nsw n kA n a-nsw n sAtw 2 ¤Htp-ib-Ra ¤AbwOfferta che il re dà per il ka dello scriba dei Sehetepibra Sabudocumenti reali dei terreni

BB.. Hmt.f ¤At(...) mAat-xrw ; sua moglie Sat(...), giusta di voce

CC.. ¡nw-pw mAat-xrw ; Henupu, giusta di voce

DD.. Prwt:; Perut

EE.. sn.f Iw-snb; suo fratello Iuseneb

FF.. Rn.f-snb; Renefseneb

GG.. Hr(y)-pr aAm ¤DA; il maggiordomo, l'asiatico Sedja

HH.. aAm Hr(y)-pr Imni; l'asiatico, maggiordomo Imeni

II.. aAm Hr(y)-pr Ii-ib; l'asiatico, maggiordomo Iiib

JJ.. aAm Hr(y)-pr aA-mr(w)t; l'asiatico, maggiordomo Aamerut

KK.. Smsw Iwi; il seguace Iui

LL.. Hr(y)-pr sS ¤A-nbt-Iwnt; il maggiordomo, scriba Sanebetiunu.

Note1. Il segno (S20) sostituisce in questo caso il segno (E31); cfr. GMGE pag. 703, S20, 2.

2. Per questo raro titolo, cfr. Ward, pag.158, 1362.

AbbreviazioniGMGE: P.Grandet, B.Mathieu, 'Corso di Egiziano geroglifico', Torino, 2007.

Ward: W.A.Ward, 'Index of egyptian administrative and religious titles of the Middle Kingdom', Beirut, 1982.

Stele Cat. 1540 - Senuankhusedja

A G F E D C

B

L K J IH

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La nascita e lo sviluppo dell’Egittologia hannovisto come protagonisti grandi uomini che conla loro dedizione e il loro lavoro hanno aumen-tato enormemente la nostra comprensione diquesta antica civiltà. Nonostante per 150 anniquesta disciplina sia stata dominata da uomini,è sempre più evidente che fin dai suoi primipassi numerose donne in vari paesi contribui-rono in qualche maniera a comprendere e pro-teggere l’eredità lasciataci dagli antichi Egizi.Purtroppo non sempre fu riconosciuto loro ilmerito di questo contributo perché messe inombra dai loro mariti o dalla società del-l'epoca, che non considerava importante ilcontributo femminile in ambito accademico.Basti pensare che nella Londra dell'Ottocentola sola University College London accettavadonne tra i suoi allievi. Contrariamente all’Italia, dove queste discus-sioni si svilupperanno solo più tardi, nel mondoanglosassone l’aumento delle donne nelmondo accademico dagli anni sessanta del No-vecento ha stimolato un maggiore interesseverso lo studio della condizione femminile nelpassato. L’Egittologia, purtroppo separatadall’archeologia, rispose tardi a questi stimoli:è solo negli anni ottanta del Novecento con lacosiddetta ‘terza fase femminista’ che, oltre aduna ricerca storica sulle donne nell’antichità,nasce un interesse verso il contributo, spessodimenticato o usurpato da uomini, dato dalledonne nella nascita e sviluppo di queste disci-pline.

In barba agli uomini dell’epoca, l'egittomaniacaratteristica dell'Ottocento e Novecento eu-ropeo contagiò varie donne che partirono al-l’esplorazione di questa terra, sia comesemplici turiste che in esplorazioni archeolo-giche. Questa serie di brevi articoli vuole es-sere un umile omaggio a tutte queste donne

che spesso sono conosciute assai meno deiloro contemporanei uomini e spero di riuscirea portarvi in un viaggio nella vita straordina-riamente avventurosa di queste 'pionere del-l'egittologia' a tutti gli effetti.

SARAH BELZONI

Una figura molto nota (e controversa) nelcampo dell’Egittologia è quella di Giovanni Bat-tista Belzoni, uomo di circo e più tardi antiqua-rio per conto dell'ambasciatore inglese inEgitto Henry Salt. Pochi conoscono però il con-tributo che sua moglie Sarah gli diede, ma so-prattutto le avventure e viaggi che fece nelMedio Oriente!

donne pionieredell’egittologiadi Emilio Passera

Sarah Belzoni molto probabilmente nasce in-torno al 1783, forse a Bristol, anche se altrefonti punterebbero verso una nascita in Ir-landa, nonostante più volte lei riferisca a sestessa come ‘inglese’. Pochissime sono le fontiche abbiamo su di lei: Sarah è menzionata po-chissime volte nel racconto delle avventurescritto dal marito ‘Viaggi in Egitto e Nubia se-guiti da un altro viaggio lungo la costa del MarRosso e all'Oasi di Giove Ammone’ pubblicatoprima in inglese a Londra nel 1820 e poi cinqueanni dopo in Italia. La fonte principale delle co-noscenze su Sarah Belzoni (di cui purtropponon sappiamo per certo nemmeno il nome danubile) è un capitolo di 42 pagine di appendiceal ‘Viaggi in Egitto e Nubia’ intitolato 'Insigni-ficante resoconto della signora Belzoni sulleDonne d'Egitto, Nubia, e Siria'. E’ proprio gra-zie a questo racconto divertente e spiritosoche possiamo seguire Mrs. B. nelle sue avven-ture dopo l’arrivo della coppia in Egitto nel1815. Dubito che quando Sarah si innamorò diBelzoni, vedendolo a Londra fare il suo numero

in un circo, potesse immaginare dove l'avrebbeportata quell'uomo.

Belzoni si esibiva in un circo itinerante con unastruttura di ferro con cui riusciva a sostenere12 persone e camminare su e giù per il palco.Giovanni aveva però studiato idraulica a Romae aveva altre aspirazioni, che a quanto pareerano incoraggiate da Sarah, descritta daCharles Dickens come 'una donna delicata e dibell'aspetto'.

Belzoni dunque porta Sarah e il loro servitoreJames in Egitto per fare fortuna come inge-gnere idraulico al servizio del governatore del-l'Egitto Muhammad Ali Pasha. A causa di unaforte opposizione locale il suo progetto di unaruota idraulica fallisce, ma ben presto, grazieall'incontro con l’esploratore svizzero Buc-khardt che lo introduce al console ingleseHenry Salt, si interessa al recupero dei repertiegizi. In particolare Belzoni viene ingaggiatocome agente di Salt nella corsa alle antichitàche esisteva tra il console inglese e quellofrancese, il piemontese Bernardino Drovetti (ilcui agente era lo scultore Rifaud, responsabiledel recupero di molte delle statue oggi nelMuseo Egizio di Torino).

Mandato a recuperare il busto colossale di Ra-messe II a Luxor (impresa in cui Drovetti avevafallito e che invece rese famoso il suo rivale),Belzoni viaggia verso sud; mentre aspetta lapiena del Nilo per riportare il colosso al Cairo,decide di visitare con Sarah i templi lungo lesponde del Nilo fino ad arrivare in Nubia. Du-rante le numerose escursioni del marito, Sarahviene lasciata a casa di sconosciuti che dove-vano occuparsi di lei; ma viste le disavventureche la povera moglie passò avrebbe fatto me-glio a seguire il marito!

Sarah mette a frutto il tempo passato lontanodal marito e osserva con attenzione tuttoquello che la circonda: nel suo racconto dimo-stra una grande intelligenza nel comprenderei costumi locali e le donne del posto. Sarah di-mostra un chiaro interesse antropologico, nonFFiigg.. 11 - L’attrice Lynsey Baxter nel ruolo di Sarah Belzoni per un

documentario della BBC

FFiigg.. 22 - Ritratto di Giovanni Belzoni in abiti orientali

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FFiigg.. 44 - Un acquerello di Belzoni

Palestina sceglie di viaggiare accompagnatasolo da una guida locale e affidarsi a menopersone possibili in modo da essere il più indi-pendente possibile. Per una donna non era fa-cile ed infatti numerose volte Sarah sceglie ditravestirsi da uomo o giovanotto turco per at-tirare meno l’attenzione. Proprio a Gerusa-

lemme, determinata a visitare l'antico tempiodi Salomone, riesce ad ingannare le guardieturche e ad entrare travestita da uomo, piùpreoccupata di aver dimenticato fuori dall'in-gresso le sue 'belle scarpe di pelle nera' che diessere scoperta (e determinata com’era riuscìa farsele riportare il giorno successivo). L'im-

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soltanto descrivendo i costumi locali, maanche cercando di comprenderne l’origine: in-fatti osserva che gli arabi nei villaggi eranoconvinti che non fossero le medicine a curarlidai morsi di scorpione, ma il fatto che fosseSarah stessa a somministrarle. Questo vieneattribuito da lei al fatto che in queste comunitàrurali di solito esiste una sola persona istruitain materia medica e che essa tende a tratte-nere per sé tale conoscenza; quindi, per questomotivo, è Sarah a poterli curare: se viene dataloro la medicina, osserva Mrs B., torneranno lostesso a farsela somministrare da lei. Se consi-deriamo la scarsità di interpreti e che Sarahconosceva solo l'inglese e i rudimenti di fran-cese ed italiano, il tutto dimostra l’acume diquesta donna formidabile. Trovo poi moltosimpatico il suo commento su come preferissele donne nubiane a quelle arabe, secondo lei'più umili, meno rancorose e non vendicative'.Forse questa visione era stata anche influen-zata dal fatto che la sua vicina araba avessecercato di avvelenarla a causa di un’incom-prensione tra la donna e Sarah. A giudicaredalle sue memorie questi giudizi non erano do-vuti a pregiudizi e incontri frettolosi, ma aun’osservazione a mente aperta e frutto di ri-petuti incontri: prima con le donne nubiane,

mogli dell’Aga di Assuan, poi donne arabe (siacristiane che musulmane) di vari villaggi, ed in-fine un gruppo di principesse turche al ritornoda un pellegrinaggio alla Mecca.

Senza dubbio questi viaggi ebbero un grandeimpatto su Sarah, che perfino a Londra ognitanto si vestiva con un caftano blu e fumava lapipa orientale, almeno così ricorda la sua vi-cina a Downing Street. Sarah Belzoni era unadonna molto indipendente e intraprendente,per nulla una donnetta fragile; quando seppeche al marito non venne dato credito per averliberato l'accesso al tempio di Abu Simbelscrive ‘se fossi stata lì avrei aiutato a rimuo-vere la sabbia (…) per quanto le mie forze miavrebbero permesso in tale occasione, e avreireclamato il mio merito tanto quanto gli altri'.Chiaramente Sarah non aveva paura di spor-carsi le mani né di avventurarsi in luoghi sco-nosciuti ed impervi.

Annoiata dalla lontananza del marito e stufadi dover vivere in una tomba (utilizzata da Bel-zoni come base per i suoi scavi), nel 1818 de-cide di partire, da sola, per la Terrasanta (unodei motivi principali per cui aveva accettato diandare in Egitto). Durante il suo soggiorno in

e g i t t o l o g i ae g i t t o l o g i a

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FFiigg.. 33 - Il trasporto del busto colossale di Ramesse II, all’epocanoto come ‘Younger Memnon’

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tempo separati durante il loro viaggio in Egitto,Sarah amava profondamente quel gigante chelei chiamava affettuosamente ‘Mr. B’, amore di-mostrato anche dai suoi successivi sforzi perpubblicare i lavori del marito dopo la suamorte. Dopo la scomparsa di Belzoni, per dis-senteria a Benin alla ricerca di Timbuktu,Sarah tentò di organizzare nel 1825 una mo-stra per esporre ulteriori lavori di Giovanni, mala mostra fu un fallimento e non riuscendo apubblicare gli ultimi lavori di Belzoni, Sarah sitrasferì prima a Bruxelles e poi nelle ChannelIslands (Jersey) nel 1870, dove morì ad 87anni.Fu solo grazie all'insistenza di amici che pero-rarono la sua causa al parlamento che Sarahottenne una pensione come riconoscimentodei servigi che il marito aveva prestato alla na-zione. Purtroppo nessuno all'epoca si inte-ressò dei suoi meriti e solo in tempi recenti ilmondo accademico ha cominciato ad occu-parsi di questa donna la cui intraprendenzabatte quella di molti uomini.

EEMMIILLIIOO PPAASSSSEERRAA

presa si sparse nel quartiere cristiano di Geru-salemme al punto che un religioso, andato dalei per sgridarla, visto il coraggio e la fede delladonna, si complimentò con un 'bel coraggio!'(e lo disse proprio in italiano).

Tornata finalmente in Egitto, dopo una serie didisavventure su una nave turca, raggiunge ilCairo, da lei definito 'quella fogna di vizi e im-moralità'. Come mai avesse questa visionedella città non è chiaro, ma dobbiamo ancheimmaginare che era il 1816 e l’Egitto era unpaese che solo di recente aveva cominciato adindustrializzarsi (e a distruggere molti degliantichi monumenti a tale scopo). Sarah contri-buì a salvare la tomba di Seti I dopo una fortealluvione per cui l'umido e il fango avevano co-minciato a causare il distacco delle pitture pa-rietali. La sua passione per le antichità si riscontraanche dalla sua abitudine a scambiare con ledonne del posto specchietti e perline modernein cambio di perline antiche (spesso di cor-niola). Era infatti già comune per la gente delposto cercare tombe da depredare per ven-dere a poco a poco gli oggetti ritrovati ai primituristi Europei o Americani. Le perline di Saraherano così apprezzate dalle donne native delposto che non appena faceva un regalo adun’altra donna, in meno di un paio d’ore tuttele donne del villaggio si ammassavano fuoridalla porta della sua porta per scambiarnealtre.

Una delle caratteristiche di Sarah che più col-pisce nel leggere le sue memorie è la suaumiltà nel raccontare, ma soprattutto il suosangue freddo. Spesso Sarah scrive di quantofosse spaventata o preoccupata dalle variemalattie che l'avevano colpita durante il suosoggiorno (soffrì più volte a causa di una 'feb-bre di bile'), ma stando al suo racconto non lomostrò mai (nemmeno quando era nei guai) enon si lasciò mai abbattere, anzi rispose sem-pre cercando di uscirne nei migliori dei modi.Perfino quando era stata lasciata dal marito inuna casa araba e con 'sole 20 parole di araboin bocca' non si scoraggiò e si adattò a viverenel gineceo con le altre donne, che oltretutto

la curarono della sua oftalmite. Proprio questaoftalmite le diede l’idea di usare regolarmenteacqua bollita come collirio protettivo, che in-fatti prevenne una ricaduta a lei e il contagio aMr. B.

Secondo Sarah nel trattare con gli uominimedio-orientali bastava mostrarsi molto insi-stenti e risoluti per ottenere quello che si vo-leva e questa sua convinzione le permise di farliberare la propria cabina, pagata ai marinaiturchi ben 127 piastre, da un carico di meloni!La fermezza sembra proprio essere una dellecaratteristiche di Sarah, ben attenta ad ammi-nistrare le sue (magre) finanze e a non farsiestorcere troppe bakshis (termine che lei usaper definire la mancia) dalle guide locali. CheSarah non si lasciasse spaventare facilmente(o che non lo volesse dare a vedere), si nota dacome liquida il tentato assassinio del marito:in appena una riga, cambiando poi subito di-scorso e senza lasciarsi turbare minimamente.Purtroppo le testimonianze su Sarah sonoquasi inesistenti e quindi non possiamo chebasarci sui suoi stessi racconti.

Durante l'ultima parte del suo soggiorno a Ro-setta, a casa di un commerciante, mentre MrB. era in Libia, isolata per via della peste, si de-dica a osservare i camaleonti che aveva ripor-tato dalla Palestina e li confronta con quellilocali. Sarah era una donna molta religiosa ein questo periodo cerca anche di far circolarecopie della Bibbia a prezzi di favore. Nono-stante desiderasse diffondere la sua religione,con un pensiero molto moderno per l’epoca,non credeva fosse giusto imporre la propria re-ligione ad alcuno.

Tornato a Londra nel 1819, Giovanni, con l'aiutodi Sarah, nel 1821 mise in mostra alla EgyptianHall di Piccadilly i calchi a grandezza realedella tomba di Seti I, i modellini della piramidedi Chefren ed Abu Simbel e una collezione dimummie ed artefatti assortiti (inclusi oggettidi vita quotidiana, che all’epoca spesso veni-vano buttati!).

Benché Sarah e Giovanni passassero molto

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e g i t t o l o g i ae g i t t o l o g i a

•Belzoni, G. B. 1820. Narratives of the Operations andRecent Discoveries within the Pyramids, Temples,Tombs, and Excavations, in Egypt and Nubia; and of aJourney to the Coast of the Red Sea, in search of the an-cient Berenice; and another to the Oasis of JupiterAmmon.London: John Murray. • In appendice: Mrs. Belzoni's Trifling Account of theWomen in Egypt, Nubia and Syria. Pagine 441– 483.•Manley, D. 2004. ‘Belzoni, Sarah (1783–1870)’, Ox-ford Dictionary of National Biography, Oxford: OxfordUniversity Press. [http://www.oxforddnb.com/view/ar-ticle/52064]

• Meskell, L. 1999. Archaeologies of social life. Age,Sex, Class et cetera in Ancient Egypt.Oxford: BlackwellPublishers.• Peck, H. W. Sarah Belzoni (1783-1870)[http://www.brown.edu/Research/Breaking_Ground/bios/Belzoni_Sarah.pdf]• Vercoutter, J. 1992. The search for Ancient Egypt.London: Thames and Hudson. •Waanders, I. 2012. Sarah Belzoni, some new additio-nal bibliographical notes. AEC Egyptology Newsletter22. Pagine 3–5.

BBIIBBLLIIOOGGRRAAFFIIAA

Emilio Passera

Nato nel 1992 e diplomatopresso lo United World College of the Adriatic, si sta laureando in un joint honours degree in Storia Antica ed Egittologia presso la University College, London.

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Tutti noi conosciamo il celebre episodio del Cavallo di Troia, grazie al quale Ulisse riuscìa espugnare la città di Troia, da dieci anni inutilmente assediata dai greci.Ed è talmente famoso che persino il freddo e illetterato mondo dell’informatica ne hapreso a prestito il nome, indicando come trojan dei malware contenuti in programmi ap-parentemente utili e innocui, che si vanno poi ad installare all’interno dei nostri computer.Ovviamente a nostra insaputa e non per fare cose buone.Non tutti però sono a conoscenza che il primo a usare questo stratagemma non fu Ulisse,

il cavallo di troia...egizio!di Paolo Bondielli

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ma un certo Djehuty, generale che visse eoperò durante il regno di Thutmosi III(1479-1424 a.C. circa), quindi almeno unpaio di secoli prima dell’episodio di cui si facenno nell’Odissea di Omero e che inveceha più ampio risalto nell’Eneide di Virgilio.Il racconto è contenuto nel recto del cele-bre Papiro Harris 500, custodito presso ilBritish Museum con il numero di inventarioEA 10060, che risale probabilmente allaprima parte dell’epoca ramesside, quindi airegni di Seti I o Ramesse II.Trattandosi di un papiro letterario si erapensato che il racconto fosse frutto di fan-tasia e che il personaggio in questione nonesistesse nella realtà, fin quando Drovetti,nel 1824, scoprì la sua tomba ancora intattanella necropoli di Saqqara.Purtroppo l’egittologia e l’archeologia piùin generale, non avevano ancora sviluppatoun sistema scientifico con il quale affron-tare uno scavo e le notizie su quel ritrova-mento sono scarse.Il contenuto della tomba si disperse tra imeandri del commercio antiquario di queltempo, per ricomparire poi in musei sparsiun po’ ovunque nel mondo. In alcuni casi ireperti recano il suo nome e sono certa-mente attribuibili a Djehuty, in altri casil’attribuzione non è così certa. Tuttavia al-cuni di essi sono di pregevole fattura, il chelascia pensare che il corredo funerariofosse di eccezionale qualità.Tra questi spicca la coppa d’oro (vedi foto),o più propriamente una patera, la cui iscri-zione la identifica come un regalo ricevutoda Thutmosi III e oggi custodita al Museodel Louvre di Parigi.Di seguito proponiamo una traduzione con-tinuata del testo che riguarda l’astutogesto che ha consentito a Djehuty di con-quistare Jaffa (trad. dall’inglese di EmilioPassera).

“Al tempo del faraone Men-kheper-ra(Tuthmosis III) scoppiò una rivolta deiservitori di Sua Maestà che erano aJaffa; e Sua Maestà disse: ‘Che Djehutyparta e vada con i suoi soldati e di-strugga quel maledetto principe diJaffa’. Poi chiamò uno dei suoi servitorie gli disse anche: ‘Nascondi il miosplendido bastone che fa meraviglie nelbagaglio di Djehuty cosicché il mio po-tere possa accompagnarlo’.

Ora, quando Djehuty arrivò vicino aJaffa, con tutti gli uomini del Faraone,mandò a chiamare il principe di Jaffa, edisse: ‘Osserva, Sua Maestà, il re Men-Kheper-ra, ha mandato questo grandeesercito contro di te, ma il mio cuorenon è come il tuo cuore? Vieni dunque eparliamo nel campo e guardiamoci infaccia. Così Djehuty venne con alcuni dei suoiuomini; e il principe di Jaffa venneanche lui, ma il suo cocchiere era conlui, ed egli era fedele al re d’Egitto. Par-larono l’uno con l’altro nella sua grandetenda, che Djehuty aveva piantato lon-tano dai soldati. Ma Djehuty aveva fattopreparare duecento sacchi, con corde ecatene, e aveva preparato un grandesacco di pelli con ceppi di bronzo emolte ceste: ed erano nella sua tenda, isacchi e le ceste, e le aveva posizionatecome se fossero foraggio per i cavalli,che viene solitamente messo in ceste.Mentre il principe di Jaffa beveva conDjehuty, le persone che erano con luibevevano con i soldati del Faraone, e fa-cevano baldoria con loro. E quando eb-bero finito di bere, Djehuty disse al

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principe di Jaffa: ‘Se ti sta bene, mentre io rimango con le donne e bambini dellatua stessa città, lascia che i miei uomini portino i cavalli cosicché possano dareloro foraggio, o vuoi lasciare che uno degli Apuro corra a rubarli?’ Così vennero elegarono i cavalli e diedero loro il foraggio e uno trovò lo splendido bastone diMen-kheper-ra e lo venne a dire a Djehuty. A quel punto il principe di Jaffa dissea Djehuty: ‘Desidero ardentemente esaminare il magnifico bastone di Men-kheper-ra, che è chiamato: ‘… tautnefer’. Per il ka del re Men-khper-ra sarà nelle tue manioggi, ora fa’ bene e portamelo’. E Djehuty così fece e portò il bastone del re Men-kheper-ra, ma afferrò il principe di Jaffa per la veste e si alzò e stando in piedidisse: ’Guardami, principe di Jaffa, questo è il grande bastone del re Men-kheper-ra, il terribile leone, il figlio di Sekhmet, al quale Amun suo padre dà forza e po-tere’. E alzò il pugno e colpì la fronte del principe di Jaffa ed egli cadde indifesodavanti al lui. Djehuty mise il principe di Jaffa nel sacco di pelli e gli legò le manicon catene e gli mise ai piedi ceppi con quattro anelli. Poi fece portare ai soldati i duecento sacchi che aveva svuotato e fece entraredentro i sacchi duecento soldati e fece riempire gli spazi vuoti con corde e ceppidi legno, li chiuse con un sigillo, e aggiunse delle reti e pali per sostenerli. Miseogni soldato forte a sostenerli, in tutto seicento uomini, e disse loro: ‘Quando en-trate in città dovrete aprire i vostri sacchi e dovrete catturare tutti gli abitantidella città e incatenarli subito’.

Poi uno uscì fuori e disse al cocchiere del principe di Jaffa: ‘Il tuo padrone è ca-duto, va’ e di’ alla tua padrona: ‘Ecco un messaggio gradito! (Il dio) Sutekh ci hadato Djehuty, con sua moglie e i suoi figli; ecco la prima parte del loro tributo’, co-sicché possa far entrare i duecento sacchi, che sono pieni di uomini e corde eceppi’. Così andò davanti a loro per rallegrare la sua padrona dicendo: ‘Abbiamocatturato Djehuty’. Poi le porte della città furono aperte davanti ai soldati: entra-rono nella città, aprirono i loro carichi e misero le mani sui cittadini, sia piccoliche grandi, e li legarono e incatenarono velocemente; il potere del Faraone si im-padronì di quella città. Dopo che si era riposato, Djehuty mandò un messaggio inEgitto al re Men-kheper-ra, suo signore, dicendo: ‘Rallegrati, sicché Amun tuopadre ha dato a te il principe di Jaffa, insieme a tutta la sua popolazione e allostesso modo la sua città. Manda, quindi, uomini a prenderli come prigionieri co-sicché la vostra Maestà riempia la casa di vostro padre Amun Ra, re degli dei, conservi e serve, e che possano essere calpestati sotto i tuoi piedi per tutta l’eternità’.“

Negli ultimi tre anni la risposta alla domanda “dove vai a scavare di bello quest’anno?” ha destatoincredulità sui volti delle persone che me l’hanno rivolta: è difficile per i più credere che negliStati Uniti d’America ci possa essere qualcosa di definibile come sito archeologico. Per gli appas-sionati al massimo risulta difficile credere che proprio in Illinois ci possa essere qualcosa da sca-vare. Si è soliti, infatti, pensare all’archeologia americana come riferibile solo alle popolazionimesoamericane o al massimo sudamericane senza sapere che civiltà precolombiane erano pre-senti anche a nord. E poi, “perché andate a scavare negli Stati Uniti che qui in Italia se fai un bucotrovi un reperto archeologico?” Con questo articolo cercheremo di spiegarvi il perché di questa

Cahokia, ILLINOISdi Imma Valese e Marco Valeri

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Foto aerea di Monks Mound,in alto, e dei Twins Mound, in basso (Cahokia Mounds State Historic Site).

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stati dell’Ohio e dell’Iowa erano i cosiddetti EffigyMound: mound zoomorfi di grandi dimensioni.

Nel periodo Terminal Late Woodland / Emer-gent Mississippian (750-1050 d.C.) a Cahokia siosserva l'emergere di una società gerarchiz-zata nei cui insediamenti raggruppavano de-cine di edifici disposti intorno a cortili comuni,aree aperte caratterizzate dalla presenza di unpalo centrale (marker post) e pit (fosse di stoc-caggio spesso orientate verso i punti cardinali)o da grandi strutture comunitarie e/o cerimo-niali. Le abitazioni, unifamiliari, erano semplicicostruzioni semi-sotterranee a singola buca dipalo note anche come "pit-house". Queste te-stimonianze sono la prova di una gerarchizza-zione della società che continua a crescereparallelamente alla produzione alimentare ealla caratterizzazione del culto. Nell’area deno-minata Downtown Cahokia sono stati documen-tati almeno tre di questi nuclei residenziali chenelle fasi successive andranno a formare labase di partenza per la costruzione dellagrande Cahokia.

Nonostante già durante la fase Emergent Mis-sissippian siano attestate forti evidenze abita-tive è a partire dal periodo Mississippian(suddiviso in 4 fasi: Lohmann, Stirling, Moore-head e Sand Prairie) che Cahokia comincia aconfigurarsi come tale, passando da un sistemadi villaggi indipendenti, anche se strettamenteconnessi tra loro, a una organizzazione gerar-chizzata e “centralizzata” di tutta l’area arri-vando, molto probabilmente, a influiredirettamente anche sulle altre comunità ditutto l’American Bottom.Questa fase è caratterizzata dalla comparsa dioggetti, oggi utilizzati dagli archeologi comehorizon markers, quali punte di frecce triango-lari Cahokia- pietre da chunkey Cahokia-style,ceramica shell-tempered, ornamenti Long-nosed God, una nuova tecnica di costruzioneabitativa e soprattutto la costruzione di nume-rosi mound.E' durante la fase Lohmann (1050-1100 d.C.)che il villaggio è diventa un vero e proprio cen-tro costruito su un piano prestabilito, che pre-vedeva veri e propri lavori ingegneristici comeil livellamento di una zona centrale di 19ha perpoter costituire la Grand Plaza (piazza princi-pale del sito) e la costruzione di alcuni dei piùgrandi mound.Monks Mound, il più imponente del sito, è ubi-cato al centro del piano urbanistico orientatosecondo i punti cardinali, questi si configuracome una struttura terrazzata alta 30 m, con

decisione sui generis.

Situata nell’American Bottom, una pianura allu-vionale creatasi alla confluenza tra i fiumi Mis-sissippi e Missouri, sorge Cahokia, un tempocentro di primaria importanza e detentore di ungrande potere, oggi il sito archeologico piùesteso di tutto il Nord America e patrimoniodell’UNESCO dal 1982. Cahokia si trova attual-mente nello stato dell’Illinois, a circa 15 chilo-metri a nord di St. Louis (Missouri) ed è la piùesauriente fonte di informazioni sulle civiltàprecolombiane nella regione del Mississippi. Ilparco archeologico si sviluppa su di un’area di8,9 km2 ed è caratterizzato dalla presenza di 4piazze principali e circa 120 piramidi di terra.Nonostante il termine piramide sia legittima-mente applicabile a tali monumenti, gli archeo-logi mississippiani preferiscono utilizzare iltermine mound per definire tali edifici in terrabattuta di forma e dimensioni variabili.Fu proprio attorno a una di queste “piramidi”,la più imponente, che verso la metà dell’XI se-colo d.C. si venne a costituire il centro missis-sippiano di Cahokia, nome datogli solo inseguito dai francesi in riferimento al clan di Il-liniwek che occupava l’area nel 1600 quando,ormai, della civiltà mississippiana non c’era piùtraccia. A partire, da un’area costellata di pic-coli villaggi agricoli, in soli tre secoli, Cahokiaraggiunse un’estensione di 8kmq e una popola-zione che si aggirava intorno 15mila abitantiper poi scomparire definitivamente.

Parlando di cultura Mississippiana ci riferiamoa quelle popolazioni che si stabilirono lungo lepianure alluvionali del Mississippi, che oggi co-stituiscono il Midwest, l’Est e il Sud-Est degliStati Uniti.La cultura Mississippiana è definita sulla basedi un insieme di tratti culturali che compren-dono:- La costruzione di opere in terra (mound), attia sostenere edifici religiosi e politici;- La coltivazione del mais;- L'adozione di una tipica ceramica shell-tempe-red;- Lo sviluppo e la diffusione di un sistema dicredenze religiose conosciuto come Southea-stern Ceremonial Complex o Southern Cult.

La più antica fase insediativa di Cahokia, notasolo per alcuni ritrovamenti sporadici nell’area,è rappresentata dal periodo Woodland (600-750 d.C.), che in tutto il mondo Mississippianofu caratterizzata da una forte espansione de-mografica la quale portò a una intensificazionedella produzione alimentare e alla conseguentecoltivazione del mais giunto dal Mesoamerica,nonostante non vi siano ancora prove archeolo-giche di un contatto diretto. Il forte aumento della quantità di cibo prodottae la scoperta di nuove tecniche per la conserva-zione e lo stoccaggio (nasce la ceramica) per-mise alla società di allora, di passare da unaorganizzazione in nuclei familiari sparsi in tuttoil territorio a una organizzazione in piccoli vil-laggi. Per questo periodo l’area di Cahokia harestituito solo pochi reperti e sembra non es-serci stata una e vera e propria presenza sta-bile, mentre in altre parti degli Stati UnitiOrientali possiamo osservare la costruzione diveri propri centri mound-plaza (insediamenticaratterizzati dalla presenza di mounds e diuna piazza centrale sulla quale si affacciano leresidenze). Tipici di aree occupate dai moderni

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Vista del Merrel Mound dallo scavo dell'Università di Bologna presso il Merrel Track. (Foto Davide Domenici)

Alcune delle centinaia di punte di freccia rinvenutedurante lo scavo del Mound 72. Si tratta di offerterituali lasciate a Cahokia da gruppi di etnie diverse

(Illinois State Museum).

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A un'osservazione attenta dei mound si può os-servare come non abbiano tutti la stessaforma, differendo principalmente per la strut-tura sommitale. Questa differenziazione è sicu-ramente dovuta a una precisa scelta degliantichi costruttori che, probabilmente, vole-vano caratterizzare le funzioni specifiche diogni mound. Possiamo dunque definite tre ti-pologie principali di mound:I Platform mound hanno la base rettangolare e lacima piatta, il che gli fa assumere la classica formaa tronco di piramide. Questi mound, a volte affian-cati a quelli conici, sono spesso tra i più imponentie ospitavano sulla loro sommità la residenza dicapi politici/religiosi o ossuari. Monks Mound è unodi questi.I Conical mound, o mound conici hanno base circo-lare e una struttura conica che si assottiglia avvi-cinandosi alla sommità. Questa tipologia non haspazi atti alla costruzione di edifici. Probabilmentei mound conici venivano utilizzati come grandi tu-muli dove le ossa venivano seppellite dopo esserestate esposte negli ossuari (charnel house) ubicatisui mound rettangolari ad essi associati. Questaoperazione avveniva per più individui contempo-raneamente e si ripeteva nei decenni accrescendo

così il mound conico. Si ipotizza che queste sepol-ture appartenessero solo a membri privilegiati.La terza tipologia di mound definita Ridge-TopMound ed è caratterizzata da una base rettan-golare e da una sommità a cresta alta e strettache non permette la costruzione di strutture.Questi mound, poco numerosi, sono stati iden-tificati in punti nevralgici del sito di Cahokia adimostrare, forse, una loro valenza di marker.L’esempio meglio conosciuto è il Mound 72 che,ospitando molteplici sepolture d’élite, aveva unimportante valore cerimoniale.La fase Stirling (1100-1200 d.C.) segna l'apogeodello sviluppo di Cahokia, in questo periodo, in-fatti, la popolazione raggiunse il suo apice, fu-rono innalzati ulteriori grandi mound e irapporti con il mondo esterno avevano rag-giunto il loro picco, come attesta la diffusionedi ceramica "Ramey-incised" - per lo più scam-biata durante incontri cerimoniali - e figurinein catlinite rappresentanti divinità simbolo difertilità, in tutti gli Stati Uniti Orientali, dal Min-nesota al Golfo del Messico. La propagazione diquesti elementi nel mondo Mississippiano e i si-

base di 291x236m, più grande persino della pi-ramide di Cheope e con un volume di circa731mila mq risultando così il terzo edificio piùgrande delle Americhe (il più grande dell’Ame-rica del Nord). Nel 1813 lo scrittore Henry MarieBreckenridge descrisse Monks Mound al suoamico il Presidente Thomas Jefferson con que-ste parole: ““WWhhaatt aa ssttuuppeennddoouuss ppiillee ooff eeaarrtthh…… [[IIwwaass]] ssttuucckk wwiitthh aa ddeeggrreeee ooff aassttoonniisshhmmeenntt nnoottuunnlliikkee tthhaatt wwhhiicchh iiss eexxppeerriieenncceedd iinn ccoonntteemmppllaa--ttiinngg tthhee EEggyyppttiiaann ppyyrraammiiddss.. TToo hheeaapp uupp ssuucchh aammaassss mmuusstt hhaavvee rreeqquuiirreedd yyeeaarrss aanndd tthhee llaabboorrssooff tthhoouussaanndd [[……]] aa vveerryy ppooppuulloouuss ttoowwnn hhaadd oonncceeeexxiisstteedd hheerree…… aanndd iitt ccoouulldd nnoott hhaavvee bbeeeenn tthheewwoorrkk ooff tthhiinnllyy ssccaatttteerreedd ttrriibbeess”” (Breckenridge1814:187-88). Brackenridge aveva ragione apensare che una tale opera non potesse esserefrutto del lavoro di tribù sparse, gli odierni stu-diosi di archeologia mississippiana, infatti, con-cordano che alla base della costituzione edell’edificazione di Cahokia vi era un’entità po-litica gerarchizzata capace di coordinare la ma-nodopera di centinaia di uomini, i culti e lapolitica. Un altro mound, che ha stupito il

mondo accademico e non solo, costruito an-ch’esso a partire dalla fase Lohmann è il Mound72. Questi è un ridge-top mound di modeste di-mensioni, ubicato a sud della Gran Plaza, a 860m da Monks Mound. Questo mound dalle dimen-sioni quasi insignificanti, uno dei primi a essereindagato scientificamente, destò da subito par-ticolare interesse data la sua forma e il suoorientamento facendo sospettare agli studiosiche tutta quella terra celasse qualcosa di signi-ficativo. Gli scavi dell’area a partire dagli annisettanta individuarono in tutto ben 270 indivi-dui sepolti nel mound, raggruppati in 3 zoneche furono identificate come sub-mound. Col-legate alle sepolture sono inoltre stati trovatinumerosi oggetti come vasi di ceramica, centi-naia di punte di freccia, perline di conchiglia,ossa lavorate e pietre da chunkey. L’analisi dellesepolture e degli scheletri ha evidenziato comealcuni individui furono probabilmente sacrifi-cati come offerta, mentre altri avevano sicura-mente un’importanza speciale come il caso deidue corpi sepolti uno sull’altro, schiena controschiena, divisi da quello che una volta era statoun mantello a forma di falco costituito da mi-gliaia di perline di conchiglia.

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La cosidetta "Birdman Tablet", rinvenuta all'interno di Monks Mound: rappresentazione dell' uomo-falco, figura centrale dell'iconografia

mississippiana (Cahokia Mounds State Historic Site).

Proposta ricostruttiva (dis. L.K. Townsend) della realizzaione di un circolo di pali a Cahokia durante la il XII secolo (CahokiaMounds State Historic Site).

Oggetti litici discoidali, concavi su di un lato, utilizzati nel gioco del chunkey rinvenuti a Cahokia

nel Mound 72 (Illinois State Museum).

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Al momento del declino di Cahokia però altricentri come Moundville in Alabama, Spiro inOklahoma ed Etowah in Georgia fiorirono nelresto del mondo mississippiano continuando adiffondere il linguaggio simbolico cahokianooriginatosi tempo prima.

E’ ormai dal 2011 che l’Università di Bologna èimpegnata in un progetto chiamato “The Caho-kia Project: An Effort Toward the Integration ofDifferent Scientific Traditions”, organizzato daldipartimento di Storia, Culture e Civiltà del-l’Alma Mater Studiorum di Bologna congiunta-mente al Department of Anthropology dellaWashington University in St. Louis (MO), e resopossibile grazie al contributo della FondazioneCarisbo e della Direzione Generale per la Pro-mozione del Sistema Paese (DGSPVI) del Mini-stero degli Affari Esteri, oltreché allacollaborazione della Cahokia Mounds MuseumSociety. Scopo del Cahokia project, diretto dalProfesso Davide Domenici docente di Civiltà in-digene d’America presso l’UNIBO, è chiarire ledinamiche insediative relative alla West Plazaattraverso l’apertura di nuove aree di scavo elo studio dei materiali portati alla luce.Al fine di ottenere buoni risultati l'Università diBologna si avvale di tecniche di documenta-zione all’avanguardia procedendo alla realizza-zione di mappe mediante registrazionefotometrica e l’inserimento dei dati di scavo inun GIS (Geographic Information System). Pergestire, invece, i dati relativi al materiale cera-mico e litico sono stati creati ad hoc dei data-base interrogabili e relazionabili al GIS stesso. In questi tre anni di attività il nostro team è riu-scito ad ottenere molteplici risultati portandoalla luce una serie di nuove strutture e riu-scendo a chiarire forma ed estensione di unodei compound di fase Stirling che occupavano

la piazza, già individuato durante degli scavi disalvataggio effettuati nel 1960.E’ ancora prematuro cercare di spiegare le di-namiche che durante la vita di Cahokia ha ca-ratterizzato l’area in cui stiamo eseguendodegli scavi, che prende il nome di Merrell Tract.

Per ora il record archeologico ci ha permessodi notare come da una prima fase insediativa,in cui l’area era occupata da abitazioni Emer-gent Mississippian, si passi nel periodo Missis-sippian alla creazione di uno spazio pubblico,la West Plaza, caratterizzata dalla presenza digrandi edifici probabilmente a carattere pub-blico, per poi, con le fasi Moorehead e SandPrairie, ritornare a utilizzare l’area per la co-struzione di abitazioni. Obiettivo primario delnostro scavo è appunto quello di comprenderela funzione dei cosiddetti compound che dalpunto di vista strutturale presentano somi-glianze con le “case del consiglio” documentatein tempi storici nei più tardi insediamenti diCreek e Cherokee, per poter chiarire le dinami-che insediative e le attività che venivano svoltein questo punto focale di quella che era unavolta la grande Cahokia.

gnificati mitologici a essi associati hanno por-tato alcuni studiosi a considerare l’ipotesi cheCahokia fosse un centro prettamente cerimo-niale, in cui persone provenienti dalle zone cir-costanti si riunivano per eseguire rituali, mentrealcuni altri sottolineano che la diffusione di ma-nufatti provenienti da Cahokia potrebbe essereun suggerimento per interpretare il sito comeun nodo di redistribuzione di oggetti definibili“di lusso”. Questa fase viene ben caratterizzatadalla presenza di due tipologie di “infrastrut-ture” molto particolari: i woodhenge e i com-pound.I primi sono circoli di pali lignei aventi il diametrodi un centinaio di metri; questi probabilmenteavevano una funzione di osservatorio/calendarioastronomico con cui i “sacerdoti” gestivano lefasi produttive dell’agricoltura. Questo sembraessere dimostrato dal fatto che durante equinozi

e solstizi l’osservatore posto al centro del cir-colo, traguardando un particolare palo del peri-metro, poteva scorgere il sole sorgere dietroMonks Mound. Nella West Plaza, area oggetto di studio daparte dell’Alma Mater Studiorum di Bologna,assistiamo invece all’edificazione di una seriedi edifici pubblici di grandi dimensioni; i primidue edifici in ordine cronologico avevano formacircolare, il più antico con diametro di 13m men-tre il secondo di 24m, risalenti entrambi allafase Lohmann, a queste strutture, nella succes-siva fase Stirling, si andarono a sostituire dueedifici uno circolare a Nord (24m di diametro) euno quadrangolare a Sud (24m per lato) carat-terizzati entrambi dalla presenza di bastionicircolari posti a distanza regolare. Alla parte

iniziale della fase Moorehead, invece, risale ungrande edificio rettangolare, ultima evidenza diutilizzo dell’area come piazza, prima di tornarea essere rioccupata da comuni abitazioni. Anche se non è ancora del tutto chiaro qualefosse la realtà politica cahokiana sappiamo percerto che nella seconda metà della fase Stirlingqualcosa cambiò nell'ordine politico, una pa-lizzata venne costruita per racchiudere la co-siddetta "Downtown Cahokia" la qualecomprendeva la zona di Monks Mound, la GrandPlaza e parte di quella che una volta era statala East Plaza. Tra le ipotesi a riguardo c’è quellache prevede sia stata costruita a scopi difen-sivi, anche se evidenze archeologiche di taliscontri non sono state trovate, ciò che è indi-scutibile è che la struttura venne pensata peressere una barriera, forse solo visiva, con loscopo di impedire la visione o il prendere parte

ad attività che avvenivano aldilà di essa.

Durante le fasi Moorehead 1200-1275 d.C. eSand Prairie 1275-1400 d.C. comincia il vero eproprio declino del centro mississippiano eanche se la sua influenza in altre regioni eraancora forte, la popolazione cominciò a dimi-nuire e i grandi edifici pubblici eretti negli spazicomuni, quali le piazze, vennero demoliti la-sciando spazio a nuove aree residenziali. A par-tire dal 1275 d.C. Cahokia era per lo piùabbandonata, e relative a questa fase sono at-testate solo poche costruzioni; l'abbandono de-finitivo coincise con lo spopolamento generaleche durò fino al arrivo dei coloni francesi nelXVIII secolo (periodo in cui l’area dell’AmericanBottom è nota come Vacant Quarter).

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Foto della ricostruzione di parte della eastern palidade scattata dalla cima di Monks Mound. (Foto Marco Valeri)

Foto del Woodhenge ricostuito nel 1985 (Cahokia Mounds State Historic Site).

Foto di scavo durante la campagna archeologica dell'Università di Bologna del 2012. Scraping dell'Area A (Foto Davide Domenici).

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Ricostruzione ideale di Cahokia (dis. W. Iseminger) nel periodo di massimo sviluppo alla fine del XII secolo. L'area centraleè sovrastata dalla mole di Monks Mound. Molti mounds minori si vedono all'interno della grande palizzata e disseminati nel

vasto territorio della città. Si notino i laghetti formatisi per l'escavazione della terra necessaria alla costruzione dei mounds(se ne vede uno in costruzione) e i circoli di pali lignei eretti con funzioni astronomiche (Cahokia Mounds State Historic Site).

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1. Foto di dettaglio di alcune ceramiche Rameyscattate nel 2012 (Foto Marco Valeri).

2. Foto di frammenti rinvenuti nel Merrel Tractappartenenti allo stesso vaso definito per lasua forma e per la sua decorazione "RameyJar". (Foto Flavia Amato)

3. Ascia in pietra ritrovata durante gli ultimi giornidella campagna di scavo dell'Università di Bolognanel 2012 (Foto Davide Domenici).

4. Bicchiere forse usato per ingerire la bevandanota come Black Drink usata dagli indiani mississippiani. Ritrovata nei pressi della palizzata di Cahokia risale al XII secolo (Illinois State Museum).

Foto di rito a fine campagna 2013 sui gradini del Fingerhut adibito a Magazzino/Laboratorio (Foto Flavia Amato).

Imma Valese, Laurea Magistrale in Archeologia e Culture delMondo Antico (Università di Bologna).Coordinazione area di scavo, topografia, disegnomateriali nella missione archeologica di Cahokia - USA, Ilinois (Direzione scientifica del prof. Davide Domenici e prof. Maurizio Cattani), dal 2011.

[email protected]

Marco Valeri, Laurea Magistrale in Preistoria e Protostoria

(Università di Parma).Ricerca di archivio, documentazioni materiali e

Scavo archeologico pre-protostorico nella missionearcheologica di Cahokia - USA, Ilinois

(Direzione scientifica del prof. Davide Domenici e prof. Maurizio Cattani), dal 2011.

[email protected]

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i l n u o v o m u s e o e g i z i o

Oggi primo agosto ho avuto l’eccezionale op-portunità di visitare in anteprima il nuovo al-lestimento museale.Il Museo Egizio di Torino, la seconda collezionedi antichità egizie, ha inaugurato il primo ago-sto i nuovi ambienti ipogei posti al piano sot-terraneo del seicentesco palazzo del Collegiodei Nobili, capolavoro di architettura baroccache lo ospita dal 1824.Si tratta di una anticipazione significativa diquello che sarà il “Nuovo M useo Egizio”: i1.000 m2 realizzati al di sotto del cortile in-terno del Palazzo rappresentano infatti ilprimo tassello tangibile della radicale trasfor-mazione che sta interessando il Museo Egizioda quasi cinque anni e che porterà nella pri-mavera 2015 a uno spazio espositivo intera-mente rinnovato finalizzato alla pienavalorizzazione di un patrimonio museale stra-ordinario.L’apertura odierna degli ambienti ipogei saràanche l’occasione per offrire un nuovo per-corso museale temporaneo, che resterà attivofino all’inaugurazione del 2015 e che permet-terà, come già accaduto negli ultimi cinqueanni di lavori, di rendere le diverse collezionidel museo sempre fruibili a studiosi e visitatorisenza chiudere mai la struttura, nemmeno perun solo giorno.

Il nuovo allestimento temporaneo espone1.000 tra i più importanti reperti della colle-zione a cui si è voluto dare il suggestivo titolo““ IImmmmoorrttaallii .. LL’’AArrttee ee ii SSaappeerr ii ddeegglliiaannttiicchhii EEggiizzii ””

L’allestimento propone un’affascinante sele-zione di capolavori che conduce il visitatorealla scoperta di un percorso cronologicomolto ampio: ciascun reperto, connotato dadifferenti materiali e tecniche di lavorazione,consente di comprendere l’elevato grado diconoscenza e perizia di artisti e artigiani cosìcome l’ambizione dei loro committenti, so-vrani, regine o nobili, che necessitavano diquelle competenze per celebrare se stessi e illoro potere. L’immortalità degli Antichi Egizidiventa così tangibile nelle opere, sia monu-mentali che di piccole dimensioni, che rive-lano saperi sorprendenti in grado di inviareincessantemente messaggi dal passato.Tra i tanti abbiamo ammirato, il calcare delladama Hel, il meraviglioso calcare dipinto diPenshenabu, da troppo tempo celato al pub-blico e finalmente sistemato in modo eccel-lente, la statuetta lignea del portastendardi

l’egizio di torino inaugura la prima sezionedel nuovo museodi Sandro Trucco

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Penbuy. Degna di nota la vetrinetta n°10 inte-ramente dedicata ai reperti provenienti dallatomba di Nefertari, la statua cubo in diorite diMerenptah e molti altri ancora che final-mente, anche grazie ai nuovi supporti ideatidai restauratori del museo, (vedi precedentenumero del magazine n.d.r) sono finalmenteesposti con il rilievo che meritano.Ma questa esposizione, pur suggestiva e pie-namente consona ai nuovi modelli espositidelle maggiori collezioni mondiali, è come giàricordato, temporanea. Nella primavera 2015i locali ipogei saranno infatti destinati a luogodi accoglienza del pubblico (biglietteria, mu-seum shop, guardaroba, sale didattiche, ser-vizi ecc.) mentre il percorso musealedefinitivo inizierà al secondo piano attraversoun sistema di scale mobili collocate in unideale percorso “di risalita del Nilo”.Termino con le dichiarazioni della presidentedella Fondazione, dr.ssa Evelina Christillin edella direttrice del Museo dr.ssa Eleni Vassilika.

Christillin: “il m useo Egizio è uno deigrandi attrattori della città di Torino ecustodisce un patrim onio culturale cheappartiene all’um anità: è per queste ra-gioni che abbiam o assunto l’im pegnodi restare sem pre aperti nonostante igrandi lavori in corso. La prim a fase èstata conclusa nei tem pi previsti, ilpubblico ha prem iato la nostra sceltacontinuando a visitarci in num ero sem -pre crescente ed il nuovo allestim ento èil m iglior m odo per ringraziare tutti co-loro che si sono affezionati, coloro chesceglieranno di scoprire le nostre im -portanti collezioni e i soci fondatoriche ci sostengono con grande parteci-pazione”

Vassilika: “il nuovo allestim ento offreuna prospettiva m olto interessante sullaciviltà egizia e consente al visitatore unrapporto più diretto e intim o con i re-perti che si rivelano nella loro tridi-m ensionalità. Ogni opera raccontal’abilità e la conoscenza di artisti e ar-tigiani e questi saperi rappresentano unbagaglio culturale di grande im por-tanza, anche per scoprire civiltà succes-sive. Il nuovo percorso è m olto ricco distim oli e inform azioni fruibili da ognitipo di pubblico.”Agosto 2013

SSAANNDDRROO TTRRUUCCCCOO

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Come accade quando vengo al Museo, la gen-tilezza e l’accoglienza sono sempre squisite.Ci accomodiamo nella sala della presidenza e,seduti di fronte al tavolo che fu già di ErnestoSchiapparelli, iniziamo la nostra chiacchieratacon la Presidente della Fondazione, Dr.ssa Eve-lina Christillin.

Dr.ssa Christillin, dall’organizzazione delleOlimpiadi alla presidenza della Fondazionedel Museo, due realtà completamente di-verse, come mai questa nuova sfida?

In realtà le Olimpiadi sono trascorse da setteanni e nel frattempo penso di aver compiuto

un po’ di “transito culturale”. Ho iniziato conla presidenza dell’Orchestra Filarmonica delTeatro Regio. Mi sono avvicinata quindi gra-dualmente, ma intensamente, al mondo cultu-rale dello spettacolo, cinema escluso, conpassione ma anche con la consapevolezza deimiei limiti, perché i miei studi sono di naturastorica.Quando in seguito sono entrata allo Stabile ho su-bito pensato che era tempo di rinnovamento,dato che vedevo troppi posti vuoti in sala. Con lanomina del nuovo direttore artistico, Mario Mar-tone, abbiamo ottenuto ottimi risultati sia dalpunto di vista organizzativo che artistico e la no-stra gestione è stata portata ad esempio. Ma in

Evelina Christillin dalle olimpiadi al nuovo museo egiziodi Sandro Trucco

questo caso il merito non era mio!Poi la scorsa estate, con mia grande sorpresa,l’allora ministro per i beni e le attività culturali Lorenzo Ornaghi, mi ha chiesto se volevo assu-mere la presidenza della fondazione dell’Egizio!La richiesta mi ha enormemente onorata, maho subito considerato i miei impegni con loStabile. Ero appena stata riconfermata dal sin-daco Fassino, e dato il momento difficile perle risorse pubbliche, non mi sembrava oppor-tuno lasciare il mio incarico. Rassicurata dalfatto che avrei potuto assolvere ad entrambi icompiti, e avendo ottenuto il beneplacito deimembri della Fondazione, ho accettato conentusiasmo e il 19 novembre il nuovo consigliosi è insediato con un nuovo statuto e con unnumero di membri ridotti rispetto al prece-dente; ci tengo a sottolineare che assolvo aquesto incarico senza alcun emolumento.Ritornando alle Olimpiadi… organizzare unevento così importante, con gli occhi delmondo puntati su di te, ti aiuta a saper gestire,oltre alle numerose problematiche, anche leansie e le paure. Questo non significa che il la-voro all’Egizio sarà una passeggiata, anzi!

Lei mi ha preceduto nella domanda, infatti,volevo proprio sapere in che modo le Sueprecedenti esperienze potranno essere utilinell’allestimento del nuovo Museo.

Spero che lo possano essere, ma saranno glialtri a giudicare. Nella mia vita ho avuto la for-tuna e la possibilità, di fare molte cose diverse.Tutte però, a partire dalla vita professionistanello sport come sciatrice, per poi proseguiretra i 20 e i 30 anni con il primo lavoro in FIATnell’ufficio stampa, sono state utilissime. La FIAT è stata una grande scuola, perché hofatto gavetta iniziando dal gradino più bassoed ho imparato il senso dell’organizzazione dellavoro.A trent’anni ho frequentato l’Università sino adiventare ricercatore e poi... la grande espe-rienza nelle Olimpiadi! Ogni dieci anni in pratica, mettendo tutto il mioimpegno, ho vissuto esperienze piuttosto di-stanti, apparentemente disomogenee, ma cheogni volta mi hanno dato la possibilità di con-frontarmi con me stessa in primis, e poi conrealtà, culture e mondi, profondamente diversi.Io non sono capace di lavorare da sola, nonsono una solista, mi piace essere inserita inuna struttura, una squadra che mi permetta ilconfronto con gli altri.

A quali tipi di finanziamenti pensa di poteraccedere per il nuovo museo Egizio?

Il Museo è una “macchina” fantastica che siregge, per l’80% del bilancio, su ricavi propri;caso più unico che raro. Fino ad ora abbiamoricevuto grossi finanziamenti per lavori stra-ordinari, cioè per il cantiere e il nuovo Museo.Secondo me non è necessario fare campagnedi “elemosina”, nei casi peggiori, o di spingereeccessivamente sul marketing. In un prossimofuturo, quando avremo la nuova struttura apieno regime, per attirare nuovi investitori do-vremo fare vedere che avremo svolto un ot-timo lavoro nel cantiere; dovremo fare quelloche abbiamo fatto per le Olimpiadi, o per la ri-strutturazione del Carignano. Se la squadra

””

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sarà coesa, se si lavorerà bene e se il nostrolavoro sarà visibile, sono sicura che gli sponsorarriveranno, ma adesso non mi pongo il pro-blema del marketing.

La sua nomina alla Fondazione è comunqueun segno di continuità: nell’ambito della suafamiglia, infatti, si ricorda un avo che effettuòdegli scavi in Egitto…

Certo è proprio Ernesto Schiaparelli! Era pa-rente della nonna, anche se non ricordo per-fettamente il grado esatto di parentela. Miopadre lo ha conosciuto ed in famiglia erano nu-merosi i racconti su questo personaggio. La fa-miglia Schiaparelli era una famiglia storica del

biellese e Giovanni Battista Schiapparelli èstato il progenitore, quello che in seguito hadato origine alla famosa industria farmaceu-tica e vedeva in Ernesto uno “sprecone” che

andava a scavare in Egitto! Anche per me co-munque l’Egitto suscita un grande fascino, cisono stata tre volte e ho un ottimo ricordo diquei viaggi. Una curiosità legata al cognome è come siacorretto scriverlo, con una o due p? Di fatto, benché la famiglia fosse la stessa, il mistero fucausato da un errore di trascrizione di unoscrivano dei primi dell’800: la dicitura correttae originaria è Schiaparelli, eccezion fatta perl’imprenditore farmaceutico che scelse di noncorreggere “l’errore” sui suoi documenti e la-sciando che la sua azienda omonima diven-tasse la nota “Schiapparelli”.

Sono previsti, come già accade per altri

musei nel mondo, partecipazione dell’Egizio a missioni di scavo?

In questo momento non penso, ma è una que-

stione che non mi concerne e di cui si occupa la Direttrice. Attualmente non ci sono progetti,poichè in questo momento siamo tutti impe-gnati nella ristrutturazione del Museo, sia dalpunto di vista delle risorse finanziarie, siaumane.La nostra Fondazione è stata dichiarata centrodi ricerca e mi risulta che ci siano alcuni lavoridi ricerca pronti da pubblicare.Ciò che invece vorrei riuscire a fare, anche sesi tratta di una questione prettamente politica,è riavere la cattedra di Egittologia all’Univer-sità di Torino e di questo ne ho già parlato conil Rettore e con il direttore generale dell’Uni-versità. Torino merita questa facoltà e con ilnuovo Museo sarebbe davvero la cilieginasulla torta.Il nostro compito è di riappropriarsi di questadefinizione di centro di ricerca e non soltantoapplicandosi un’etichetta sulla porta. A fiancodella Didattica che è molto attiva, dobbiamodedicare più tempo e risorse a pubblicazioniscientifiche, attività accademiche congiuntecon la cattedra di Egittologia e possibilmentemissioni di scavo.Torino, giugno 2013

SANDRO TRUCCO

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e g i t t o m o d e r n o e g i t t o m o d e r n o

Negli ultimi tempi i Fratelli Musulmani hannooccupato gran parte dell’attualità politica egi-ziana, ma nella loro lunga storia anche ledonne hanno avuto un ruolo rilevante. Una sututte Zeinab Al- Ghazali (1918-2005). Zeinab iniziò la sua attività politica nel movi-mento di Hoda Sha’arawi, ma se ne distaccòmolto presto, convinta che l’impostazione vo-luta da quest’ultima non fosse appropriata perle donne musulmane.Aveva solo diciotto anni quando fondò l’Asso-ciazione delle Donne Musulmane, occupandosidegli strati più deboli della società e di istru-zione femminile.Ella, infatti, non riteneva che si potesse parlaredi “liberazione della donna” riferendosi alruolo femminile nelle società islamiche. Dalsuo punto di vista l’Islam offriva, seppur la-tenti, tutte le libertà e i diritti di cui le donneavevano bisogno. Non c’era bisogno, dunque,di rifiutare la religione per essere indipendenti,anzi, era un grave errore anche solo pensarlo.I musulmani e, soprattutto, le musulmane do-vevano riscoprire la loro religione, studiarla eapprofondirla, solo in questo modo sarebberostati in grado di capirne le potenzialità dalpunto di vista dell’emancipazione.Hasan Al-Banna, fondatore dei Fratelli Musul-mani nel 1928, cercò proprio l’appoggio di Zei-nab Al-Ghazali, chiedendole di aderire al suomovimento, dopo aver notato la forza e la de-terminazione dei suoi ideali che non cercavanoappiglio e non imitavano quelli occidentali.Ella declinò l’invito, poiché voleva mantenerela sua Associazione del tutto indipendente, puroffrendo ad Al-Banna tutto il suo sostegno e lasua collaborazione.A tal proposito bisogna ricordare che la Al-Ghazali venne incarcerata e torturata per circasei anni sotto il regime di Nasser, proprio perl’aiuto dato alla causa dei Fratelli Musulmani e

l’associazione chiusa definitivamente nel 1964.Sostenne per tutta la sua vita che l’Egitto do-vesse essere governato dal Corano e dallaSunna, non dal diritto positivo e che l’igno-ranza in cui erano caduti i musulmani trovavaproprio qui il suo fulcro: nella mancanza di co-noscenza della religione, unica arma peremanciparsi.La contraddizione nel pensiero di Zeinab stanel modo in cui i diritti dovrebbero essere “re-cuperati” e concessi agli uomini e alle donne.Non viene, infatti, spiegato come sanare lacrepa tra la “teoria” religiosa e l’applicazioneconcreta della Shari’a.Inoltre sia lei che i Fratelli Musulmani più rifor-misti avevano la stessa idea riguardo alla posi-zione della donna nel mondo musulmano; ilruolo più importante doveva svolgersi all’in-terno della famiglia, ma ogni donna mantenevail diritto di crearsi una vita professionale al difuori delle mura domestiche.

“Le donne sono un elemento essenziale delmessaggio islamico...sono loro che formanoquel genere di uomini di cui abbiamo bisognoper rispondere al suo appello e pertanto de-vono essere colte...conoscere i precetti del Co-rano e della Sunna, essere informate sullapolitica internazionale...la donna musulmanadeve sapere tutto questo, per poi far compren-dere ai suoi figli la necessità di impadronirsidegli strumenti scientifici del loro tempo; econtemporaneamente deve conoscere l’Islam,la politica, la geografia e la storia contempo-ranee...Vogliamo liberare il mondo dalla mi-scredenza, dall’ateismo, dall’oppressione edalla persecuzione...l’Islam non proibisce alledonne di lavorare, di occuparsi dellapolitica...purché questo non interferisca con il suo dovere...di madre...”Tali affermazioni sono piuttosto vaghe in alcuni

Zeinab Al-Ghazali e i Fratelli Musulmanidi Francesca Rossi

punti. Sono le donne a decidere se e comeadempiere ai loro doveri oppure anche in que-sto caso la volontà degli uomini è determi-nante? La Al-Ghazali parlava di diritti insitinell’Islam, ma in questo passaggio il suo pen-siero è ridimensionato al punto da apparirecontraddittorio.Non solo: anche la sua vita privata riflette ladicotomia tra le “zone d’ombra” lasciate dalleparole e la realtà: si sposò due volte, ma divor-ziò dal primo marito perché, come lei stessaspiegò, non era d’accordo col suo lavoro, ben-ché nel contratto matrimoniale Zeinab avessefatto inserire una clausola secondo la qualequalunque ostacolo il marito avesse frappostotra lei e la sua missione, sarebbe stato causa didivorzio.In più la femminista disse che il matrimonioprendeva tutto il suo tempo e le impediva didedicarsi all’Associazione e alle sue opere.Il secondo marito, invece, non solo non la osta-colò mai, ma la aiutò a portare avanti il suo la-voro.La contraddizione tra i fatti e una parte delleteorie è evidente, in quanto la Al-Ghazali ante-pose il lavoro alla famiglia, seppur dimo-strando che le donne potevano e dovevanoscegliere e, per far questo, dovevano cono-scere l’Islam e i suoi precetti, anche per ciò checoncerne il matrimonio.Una donna determinata, Zeinab Al Ghazali, al-levata fin dalla più tenera età per la posizione

che avrebbe dovuto ricoprire. Fu suo padre,predicatore laureato ad Al Azhar e mercantedi cotone a istruirla nella religione e questistudi proseguirono, da adulta, con l’aiuto deimembri più eminenti tra i Fratelli Musulmani,come Sayyid Qutb.Gli ideali di questa importante figura del fem-minismo islamico furono religiosi, ma non spi-rituali ed è bene tenerlo presente. Ella, infatti,non si riferì mai all’Islam come “cammino” difede verso Allah, ma come strumento di gloria,per ottenere uno Stato islamico e arrivare adominare il mondo.La sua visione del futuro senza “miscredenti eatei”, poi, non combacia affatto con la dichia-razione secondo la quale i musulmani devonodiffondere la pace e appare apertamente intol-lerante.Non si può ignorare che i diritti umani (d’opi-nione, religione e così via) sono fattori essen-ziali per la libertà e nessuna idea, o missione,per quanto animata da buoni propositi puòmetterli in dubbio, perché a quel punto è lapace di tutto il mondo ad essere in pericolo.

ASIA FRANCESCA ROSSI

BBiibblliiooggrraaffiiaaZaynab al-Ghazali, Return of the Pharaon, Markfield, TheIslamic Foundation, 1994;Maria Cristina Paciello, Zaynab al-Ghazali al-Jabili, mili-tante islamica egiziana: un modello islamico di emancipa-zione femminile?Tratto da «Oriente Moderno», XXI, 2(2002);Leila Ahmed: “Oltre il Velo. La donna nell’Islam da M ao-metto agli ayatollah”, ed La Nuova Italia, 1995 (anche perla citazione presente nel testo);Isabella Camera D’Afflitto: “Letteratura araba contempo-ranea. Dalla Nahdah a oggi”, ed. Carocci, 2006;

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s p e c i a l e f i d i a

Al fine di raggiungere un’esaustiva conoscenzadel colosso crisoelefantino di Zeus realizzatodall’ateniese Fidia nel suo ™rgast»rion, assaiproficuo risulta partire da un rilevante con-fronto tecnico - costruttivo da porre in esseretra il Tempio di Zeus in Olimpia ed il maggioremonumento dell’acropoli di Atene, il Parte-none, preponderante testimonianza dell’artegreca. Dal suddetto paragone, se ne può trarreuna ragione probatoria. Confrontando i due edifici templari, si noterà

che, mentre per il Partenone, edificato per ac-cogliere la colossale statua dell’Athena Parthè-nos, dono votivo e non statua di cultorealizzata sempre dallo scultore Fidia, gli ar-chitetti Ictino e Callicrate alterarono i rapporticanonici dell’ordine dorico al fine di correg-gere le aberrazioni ottiche determinate dal-l’enorme massa dell’edificio1, così non fu per ilTempio di Zeus, in cui l’architetto Libone diElide seguì proporzioni ormai regolamentari2.Premesso ciò, risulta evidente che nel 465

la statua di zeus e l’™rgast»ion di fidiadi Fabiana Fuschino

a.C., momento in cui il Tempio di Olimpiavenne ultimato, non si pensasse di collocare alsuo interno un colosso di m 12, quale la statuadello Zeus tanto poco proporzionato alle di-mensioni della cella, quanto una statua, diun’altezza verosimile pur sempre colossale3.Tanto criticato già in antico, tra i principali per-sonaggi che mal giudicarono il rapporto di-mensionale tra la statua del dio e la cella deltempio, predomina la testimonianza del geo-grafo Strabone di Amasea, il quale osservò ir-riverentemente che se il dio seduto in trono sifosse alzato in piedi, avrebbe sollevato il tettocon la testa (1).

“Mšgiston d8 toÚtwn Øpῆrxe tÕ toῦ DiÕj

xÒanon, Ö ™po…ei Feid…aj Carm…dou Ἀqhnaῖoj™lef£ntinon, thlikoῦton tÕ mšgeqoj, æj, ka…permeg…stou Ôntoj toῦ neè, dokeῖn ¢stocῆsai tῆjsummetr…aj tÕn tecn…thn, kaq»menon

poi»santa, ¡ptÒmenon dὲ scedÒn ti tῇ korufῇtῆj Ñrofῆj, ést' œmfasin poieῖn, ™¦n ÑrqÕjgšnhqai dianast£j, ¢posteg£sein tÕn neèn”.“La più grande di tutte però era l’immagine

in avorio di Zeus, fatta dall’ateniese Fidia, fi-glio di Carmide; essa era così grande che, puressendo il tempio di dimensioni assai conside-revoli, l’artista sembra non aver rispettato legiuste proporzioni; egli rappresentò infatti ildio seduto, ma che toccava quasi il tetto conla testa, così da dare l’impressione che se Zeussi fosse alzato dritto, avrebbe scoperchiato iltempio”.

Strab.,VIII, 3, 30

Dunque, considerato che si trattava di un simu-lacro del culto e non di un donario, contraria-mente alla Parthènos, è possibile ipotizzare chela prima statua ospitata nel tempio olimpicoavesse risposto ad una ben nota iconografia,probabilmente individuabile già in un bronzettodi guerriero4 rinvenuto al di sotto del pavimentodella cella della prima fase dell’Heraion di Olim-pia5.In proposito, circa la statua di culto di Hera, ri-cordando ciò che Pausania vide all’interno deltempio, è noto che questa dovesse rappresen-

tare la divinità assisa in trono, con accanto lastatua di Zeus stante con l’elmo, entrambe col-locate su di un basamento posto sul fondo dellacella6.Pertanto, l’ipotesi che il simulacro di Zeus ar-mato di fulmine fosse stato dapprima collocatonell’Heraion e poi trasferito nel tempio libo-niano, è accettabile, in quanto la divinità princi-pale di Olimpia nei tempi più antichi fu proprioHera, la grande dea peloponnesiaca, non Zeus,il quale non ebbe un proprio tempio fino al 465a.C., vale a dire trecento anni ca. dopo Hera.Inizialmente, quindi, al padre degli dei sarebbestata dedicata semplicemente una statua all’in-terno dell’Heraion, in qualità di sposo della deae non come divinità principale dell’Altis.Quando poi il suo culto raggiunse una suffi-ciente affermazione, la divinità ottenne un pro-prio edificio templare in cui venne trasferito ilsimulacro dall’Heraion. In seguito gli Elei, mirando ad emulare Atene, fe-cero sì che lo scultore Fidia concepisse per lorouna nuova immagine del dio rispondente al cor-rente sentimento etico di una divinità benigna eprotettrice, non fulminatrice e fu così che la vec-chia statua sarebbe tornata all’interno dellacella del Tempio di Hera.Da Strabone, inoltre, è reso noto che al santua-rio panellenico consacrato solo in un secondomomento a Zeus, perveniva una gran quantitàdi ex - voto da ogni parte della Grecia. Tra questi,l’offerta maggiormente indicativa sarebbe stataproprio la statua dello Zeus.

“Ἐkosm»qh d' ™k toῦ pl»qouj tῶn ¢naqhm£twn,¤per ™k p£shj ¢net…qeto tῆj Ἑll£doj : ὧn ἦn kaˆÐ crusoῦj sfur»latoj ZeÚj, ¢n£qhma Kuyšlou,toῦ Korinq…wn tur£nnou. Mšgiston dὲ toÚtwn

Øpῆrxe tÕ toῦ DiÕj xÒanon, Ö ™po…ei Feid…aj

Carm…dou Ἀqhnaῖoj ™lef£ntinon”“Il santuario era adornato da una gran quantitàdi offerte che venivano dedicate da ogni partedella Grecia; fra queste c’era anche lo Zeus dioro lavorato a martello, dedicato da Cipselo ti-ranno di Corinto. La più grande di tutte però eral’immagine in avorio di Zeus”

Strab.,VIII, 3, 30

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1 Per far fronte alle sconvenienti aberrazioni ottiche determi-nate dall’eccezionale mole della costruzione, Ictino e Callicrateintesero sistemare otto colonne sulla fronte del tempio anzi-

ché sei; inoltre, allargarono la cella del medesimo edificio sic-ché l’ambulacro esterno risultasse più stretto.2 LAURENZI, 2006, p. 11; BECATTI, 1951, pp. 128 - 129.

3 La cella del tempio liboniano, la cui altezza complessiva am-montava a circa m 20, aveva pronao e opistodomo di ugualeprofondità ed il naos diviso in tre navate da due file di sette co-lonne doriche su doppio ordine.4 Il bronzetto in questione, risalente al VIII a.C., portava un elmo

sul capo e teneva il braccio levato come per scagliare un dardo.5 Per la descrizione del primo edificio templare dorico: TO-RELLI - MAVROJANNIS, 2002, p. 242; CHARBONNEAUX -MARTIN - VILLARD, 2007, pp. 6 - 9; DÖRPFELD, 1935, p. 102.6 Paus., V, 17, 1.

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sere in mattoni crudi mentre l’illuminazione in-terna veniva certamente garantita dalla pre-senza di almeno sei finestre, tre per lato,dislocate sulle pareti sud e nord.L’edificio risultava articolato in due ambienti:un profondo vestibolo lungo m 10,34 ed un lo-cale interno della lunghezza di m 18,4 (5)10.

Già in passato era stato notato che le dimen-sioni di questa costruzione, visitata anche daPausania11, corrispondevano esattamente aquelle della cella del Tempio di Zeus12; tuttavia,furono gli scavi effettuati dal Kunze a chiarirela destinazione d’uso della struttura13: il rinveni-mento al suo interno di numerosi scarti di lavo-razione di avori, ornamenti in pasta vitrea (6) edi pietre preziose, nonché resti di strumenti di

lavoro e soprattutto di matrici fittili impiegateper la realizzazione di elementi di un panneg-gio14(7), fugarono ogni dubbio, confermandol’avvenuta creazione fidiaca del colosso crisoe-

Circa la paternità fidiaca dell’opera non vi sonoincertezze7; come testimoniato da Pausania,infatti, si poteva notare proprio tra i piedi dellastatua l’iscrizione che fugava ogni dubbio, re-citando:

“Feid…aj Carm…dou uƒÕj ἈqhnaῖÒj m' ™po…hse”“Fidia, figlio di Carmide, ateniese, è il mio autore”

Paus.,V, 10, 2

Divenuto col tempo una delle “Sette meravigliedel mondo”8 il colosso andò presumibilmente di-strutto in un incendio lasciando ai posteri benpoco, se non la dettagliata descrizione di Pausania,grazie alla quale è tutt’oggi possibile beneficiaredella sua immagine tracciandone un’ipotetica ri-costruzione.Alcune monete elee dell’epoca di Adriano restitui-scono approssimativamente immagini del voltodel dio (2), mentre frammenti delle matrici fittilidel manto e qualche copia dei rilievi ornamentalidel trono riescono solo vagamente ad orientare

verso la comprensione del testo del periegeta.

Sempre leggendo Pausania è inoltre possibileapprendere che per fondere e assemblare lastatua fu approntato all’interno del santuarioun laboratorio, ™ργαστήριον, risalente al 440 -430 a.C. (3)

LL’’™ργαστήριον ddii FFiiddiiaa

Si trattava di una struttura rettangolare di m14,57 x 32,18, eretta su di un elegante zoccoloin pietra e decorata da splendide terrecotte ar-chitettoniche (4)9.

Quanto all’elevato originario insistente su fon-dazioni in blocchi di poros, questo doveva es-

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s p e c i a l e f i d i a s p e c i a l e f i d i a

7 La bottega di Fidia lavorò ad Olimpia negli anni trenta del Va.C., dopo il completamento dell’Athena Parthènos. Fino aqualche decennio fa si riteneva che lo Zeus fosse anteriore allaParthènos, scolpita per il Partenone e inaugurata nel 438 a.C.ma oggi la statua viene collocata cronologicamente nel decen-

nio 435 - 425 a.C. 8 La scultura, una delle più stimate dell’antichità, riscossegrande successo già tra gli antichi, tanto che Quintiliano (XII,10, 9) arrivò a dire che “la maestosità dell’opera era pari aquella del dio”.

9 Sono stati rinvenuti alcuni elementi della copertura del tetto,come frammenti della sima, decorata con fiori di loto e pal-mette, antefisse a decorazione vegetale e doccioni a protomeleonina, tutti databili intorno al 430 a.C.10 Orientato in senso est - ovest, vi si poteva accedere dal latoest tramite una soglia marmorea alta m 4,60, su cui sono an-cora riconoscibili gli incassi per una porta a doppio battente. 11 Paus., V, 15, 1: “Ἔsti dὲ o‡khma ™ktÕj tῆj Ἄltewj, kaleῖtai dὲ™ργαστήριον Feid…ou, kaˆ Ð Feid…aj kaq' ›kaston toῦ ¢g£lma-toj ™ntaῦqa e„rg£zeto : œstin oὖn bwmÕj ™n tῶi o„k»mati qeoῖjpᾶsin ™n koinῶi.” “Fuori dell’Altis c’è un edificio chiamato Of-ficina di Fidia, nel quale Fidia lavorava a una a una la parti dellastatua. All’interno di questo edificio c’è un altare dedicato incomune a tutti gli dei.”

12 La stessa planimetria è stata spiegata come una voluta ri-produzione della cella del Tempio liboniano, da cui l’officina diFidia avrebbe mutuato l’orientamento, le dimensioni e l’illumi-nazione; tali similitudini avrebbero garantito la possibilità diverificare l’impressione estetica dell’opera prima della suaesposizione definitiva. Il primo ad osservare una certa propor-zione all’interno dell’edificio fu il Mallwitz, il quale constatò cheil vano principale era stato ideato seguendo un preciso rap-porto proporzionale di 2 a 3. MALLWITZ - SCHIERING, 1964, p.76 ss.13KUNZE, 1959, pp. 291 - 295.14Verosimilmente suddette matrici fittili erano destinate allamartellatura delle placche d’oro costituenti il manto di Zeus.SCHIERING, 1991.

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Lo Zeus, alto circa m 12 rappresentava il diocon mantello e calzari aurei, assiso su di untrono intarsiato d’oro e pietre preziose e or-nato da rappresentazioni d’ispirazione storico- mitologica idealmente collegate alle decora-zioni già presenti nel tempio19.

La statua, il cui capo era cinto da una coronadi ramoscelli d’ulivo, recava nella mano destrauna Nike20, anch’essa crisoelefantina, mentrenella sinistra stringeva uno scettro sormon-tato da un’aquila d’oro simbolo della divinità.Così si legge in Pausania riguardo al colosso

lefantino di Zeus proprio in questo luogo15.In ultimo, l’edificio, in precedenza interessatoda una profonda ristrutturazione in età medio - imperiale, venne infine trasformato nel V sec.d.C., vale a dire all’inizio dell’età bizantina, inuna basilica cristiana, allo stato una dellecostruzioni meglio conservate del santuario olimpico16. Dunque, la basilica di Olimpia risultò la prima e la più antica chiesa della zona, ma trovò benpresto la sua fine, a causa di un violento terre-moto che nel 551 d.C. devastò l’area.Quando l’edificio fu indagato per la primavolta nel 1829, ovvero nel momento in cui laFrancia, per soffocare gli ultimi focolai della re-

sistenza turca in Grecia inviò le truppe dellaSpedizione di Morea17, venne subito compresoche si trattava dell’originario ™ργαστήριον diFidia, scoperto ed studiato dai ricercatori te-deschi nella seconda metà del XX secolo18.Nel momento in cui si scrive la struttura con-serva ancora svariate epigrafi e simboli cri-stiani, in aggiunta ad elementi architettoniciindividuabili tra il nartece della basilica (8).

LLAA SSTTAATTUUAA DDII ZZEEUUSS

Grazie alla testimonianza di Pausania è statopossibile ricostruire l’iconografia della statuae del suo trono (9).

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15 Successiva conferma della creazione fidiaca della statua nelsuddetto laboratorio viene dal ritrovamento di una piccola lè-kythos di terracotta con l’iscrizione del nome del proprietario,Fidia stesso. Circa l’officina di Fidia: JANTZEN, 1965, p.651; TO-RELLI - MAVROJANNIS, 2002, pp. 237 - 238; A. YALOURIS - N.YALOURIS, 2001, p. 17; DE WAELE, 1994, pp. 15 - 28; HEILME-YER - ZIMMER -SCHNEIDER, 1987, p. 239 ss.16 Suddetta costruzione fu edificata proprio sulle fondazionidell’antica officina di Fidia, tra il 435 ed il 451 d.C. Essa presen-tava una copertura lignea, mentre all’interno risultava suddi-visa in tre navate, con un’abside collocata ad est dell’uscita. Unbasso marmo proteggeva il presbiterio, tutt’oggi sopravvis-suto. Le pareti erano in mattoni, mentre il pavimento dovevaessere in pietra, poi smantellato dagli scavatori per permetteredi investigare gli antichi livelli sottostanti. L’entrata era collo-cata sul lato sud del nartece, tipico portico delle chiese cri-

stiane. La basilica, dunque, fu impiantata non a caso nel labo-ratorio di Fidia e non nel principale luogo di culto, il Tempio diZeus, poiché lo stile dello scultore con il tempo fu divinizzatodivenendo canonico e facendo dell’edificio l’heròondell’artista.Circa la basilica: ADLER, 1892; MALLWITZ - SCHIERING, 1964;MALLWITZ, 1972, pp. 255 - 266; LIPPOLIS - LIVADIOTTI -ROCCO, 2007, p. 657; MORGAN, 1952, p. 294 ss.; id., 1955, p.164 ss.17 Al seguito della Spedizione c’erano scienziati e archeologiche cominciarono i primi sondaggi lungo i muri della cella deltempio di Zeus, facendone affiorare le metope. Circa la Spedi-zione di Morea: BLOUET, 1831, p. 56 ss., tavv. LVI - LXXVIII.18 Circa la Storia degli scavi: JANTZEN, 1965, p. 642; FRONTI-NOS, 1972, pp. 15 ss.; per conoscere gli ultimi dati di scavo:“Prefazione ai risultati scientifici dei nuovi scavi di Kunze”,1959, p. 263 ss.; id. 1955, p. 270 ss.

19 PFEIFFER, 1941, p. I ss.20 La fortuna iconografica di Nike in età classica trova parti-colare riscontro in Elide ed in particolare ad Olimpia dove com-

pare anche in numerose emissioni monetali. MADDOLI - SALA-DINO, 1995, p. 238.

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La medesima ammirazione che il predetto perso-naggio ebbe per le bellezze di Olimpia e per la co-lossale figura di Zeus viene citata anche da Polibiodi Megalopoli, autore del II secolo d.C.:

“LeÚkioj A„m…lioj parῆn e„j tÕ tšmenoj tÕ ™nὈlump…v, kaˆ tÕ ¥galma qeas£menoj ™xepl£gh kaˆtosoῦton eἶpen Óti mÒnoj aÙtῷ dokeῖ Feid…aj tÕnpar' `Om»rῳ D…a memimῆsqai, diÒti meg£lhn œcwnprosdok…an tῆj Ὀlump…aj me…zw tῆj prosdok…ajeØrhkëj e‡h t¾n ¢l»qeian.”“Lucio Emilio Paolo giunse al santuario di Olimpiae, dopo aver visto la statua, rimasto stupefatto, ar-rivò a dire che, a suo parere, solo Fidia era riuscitoa rappresentare lo Zeus omerico e che, nonostantele sue aspettative su Olimpia fossero grandi, avevatrovato che la realtà fosse persino superiore.”

Polib., XXX, 10, 6

In ultimo, Tito Livio, scrittore del I a.C. - I d.C., par-lando di Lucio Emilio Paolo, si sofferma sul suoevergetismo scaturito dalla grande approvazioneper i fasti di Olimpia e del suo santuario24:

“… unde per Megalopolim Olympiam escendit. ubiet alia quidem spectanda ei uisa: Iouem uelut prae-

sentem intuens motus animo est. itaque haudsecus, quam si in Capitolio immolaturus esset, sacri-ficium amplius solito apparari iussit …” “(Da Sparta Lucio Emilio Paolo) risalì ad Olimpiapassando per Megalopoli. Ivi gli apparvero anchealtre cose degne di essere ammirate: volgendo losguardo alla statua di Giove, come se si trovassedavanti all’apparizione del dio, ne ricevette pro-fonda impressione. Pertanto, come se si appre-stasse ad officiare nel Campidoglio, fecepreparare un sacrificio più sontuoso del solito”.

Liv., XLV, 28, 4 - 5

Arrivando al termine, è possibile confermare chel’ateniese Fidia con il suo stile è diventato nei secoliun modello, il prototipo di una classicità che sem-bra poter ispirare ancora società ed individui nonnecessariamente a lui contemporanei, ma ancheappartenenti a periodi successivi, fino a giun-gere all’epoca bizantina in cui si assisterà addi-rittura alla divinizzazione del suo stile e allatrasformazione del suo ™ργαστήριον, nell’heròondell’artista.

FABIANA FOSCHINI

crisoelefantino dello Zeus e al suo trono:

“Kaqšzetai mὲn d¾ Ð qeÕj ™n qrÒnwi crusoῦ pe-

poihmšnoj kaˆ ™lšfantoj : stšfanoj dὲ ™p…keita… oƒtῆi kefalῆi memimhmšnoj ™la…aj klῶnaj. ™n mὲn d¾tῆi dexiᾶi fšrei N…khn, ™x ™lšfantoj kaˆ taÚthn kaˆcrusoῦ, tain…an te œcoujan kaˆ ™pˆ tῆi kefalῆistšfanon : tῆi dὲ ¢risterᾶi toῦ qeoῦ ceirˆ œnesti

skῆptron met£llioj toῖj pᾶsin ºnqismšnon, Ð dὲÔrnij Ð ™pˆ tῶi sk»ptrwi kaq»menÒj ™stin Ð ¢etÒj.crusoῦ dὲ kaˆ t¦ Øpod»mata tῶi qeῶi kaˆ ƒm£tionæsaÚtwj ™st… : tῶi dὲ ƒmat…wi zèidi£ te kaˆ tῶn¢nqῶn t¦ kr…na ™stˆn ™mpepoihmšna. Ð dὲ qrÒnoj

poik…loj mὲn crusῶi kaˆ l…qoij, poik…loj dὲ kaˆ

™bšnwi te kaˆ ™lšfant… ™sti : kaˆ zῶi£ te ™p' aÙtoῦgrafῆi memimhmšna kaˆ ¢g£lmaq£ ™stin

e„rgasmšna. Nῖkai mὲn d¾ tšssarej coreuousῶn pa-recÒmenai scῆma kat¦ ›kaston toῦ qrÒnou tÕn

pÒda, dÚo dὲ e„sin ¥llai prÕj ̃ k£stou pšzhi podÒj.tῶn podῶn dὲ ˜katšrwi tῶn œmprosqen paῖdšj te™p…keintai Qhba…wn ØpÕ sfiggῶn ¹rpasmšnoi kaˆØpÕ t¦j sf…ggaj NiÒbhj toÝj paῖdaj ἈpÒllwn ka-tatoxeÚousi kaˆ Ἄrtemij.”

“Il dio, fatto d’oro e d’avorio, è seduto in trono. Glista sulla testa una corona lavorata in forma di ra-moscelli d’ulivo. Nella mano destra regge unaNike, anch’essa crisoelefantina, con una benda e,sulla testa, una corona. Nella mano sinistra deldio è uno scettro ornato di ogni tipo di metallo el’uccello che sta posto sullo scettro è l’aquila.D’oro sono anche i calzari del dio e così pure ilmanto. Nel manto sono ricamate figurine di ani-mali e fiori di giglio.Il trono è variamente ornato con oro e con pietrepreziose, con ebano e con avorio. Esso presentainoltre figure dipinte e statue in rilievo. QuattroNikai in atteggiamento di danza ornano ciascunodei quattro piedi del trono e altre due stanno alcollo di ciascun piede. Su ognuno dei due piedianteriori stanno dei fanciulli tebani rapiti da sfingie sotto le sfingi Apollo e Artemide uccidono acolpi di freccia i figli di Niobe.”

Paus., V, 11, 1 - 2

Sempre stando alle parole di Pausania, fu pro-prio Zeus a rendere testimonianza dell’arte delloscultore dopo che Fidia stesso avrebbe chiestoal dio di inviargli un segnale di gradimento del-l’opera; immediatamente sarebbe caduto un ful-mine sul pavimento, sul quale, ai tempi delperiegeta, era ancora posta a segnacolo del-l’evento un’idria di bronzo.

“... Ópou ge kaˆ aÙtÕn tÕn qeÕn m£rtura ™j toῦFeid…ou t¾n tšcnhn genšstai lšgousin. æj g¦r d¾

™ktetelesmšnon ½dh tÕ ¥galma ἦn, hÜxato ÐFeid…aj ™pishmῆnai tÕn qeÕn e„ tÕ œrgon ™stˆnaÙtῶi kat¦ gnèmhn : aÙt…ka d' ™j toῦto toῦ™d£fouj kataskῆyai keraunÒn fasin, œnqa Ødr…akaˆ ™j ™mὲ ™p…qhma ἦn ¹ calkῆ.”“… Tanto più che lo stesso dio diede la sua testi-monianza, come si racconta, all’arte di Fidia.Quando, infatti, la statua era ormai ultimata, Fidiachiese al dio di fargli intendere se l’opera fosse disuo gradimento. E subito, raccontano, un fulminecolpì quel punto del pavimento dove ancora aitempi miei c’era come copertura l’anfora dibronzo.”

Paus., V, 11, 9

Restaurata, depauperata da un ladro sacrilego cherubò due riccioli del peso di sei mine, minacciata diessere portata a Roma da Caligola21, l’opera vennesuccessivamente trasferita a Costantinopoli in se-guito alle ultime Olimpiadi del 396 d.C., ovveroquando aveva già più di otto secoli ed era conside-rata una delle “Meraviglie del mondo”.Collocata presso la dimora di Lausus, collezionistad’arte ante litteram, la statua trovò posto accantoad altri capolavori, dove rimase fino alla sua distru-zione, plausibilmente avvenuta durante l’incendio diCostantinopoli del 475 d.C.Innegabilmente, lo Zeus di Fidia doveva esserestraordinario, tanto che quando Lucio Emilio Paolo,vincitore della battaglia di Pidna (168 a.C.), intra-prese il suo viaggio in Grecia22, dopo aver preso vi-sione della statua arrivò a dire che solo Fidia erariuscito a rappresentare lo “Zeus omerico”23.

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21 Svetonio (Caligola, 22 e 57) racconta che nel I d.C., quandoi manovali dell’imperatore Caligola provarono a spostarla, lastatua “emise una così fragorosa risata” che le impalcaturecrollarono e gli uomini scapparono via.22 Il viaggio in Grecia di Lucio Emilio Paolo avvenne nel 167a.C. PAPPALARDO, 2007, p. 115.23 Per “Zeus omerico” s’intende probabilmente quello de-

scritto da Omero nell’Iliade (I, 528 ss.): “Ἦ kaˆ kuanšῃsin ™p'ÑfrÚsi neῦse Kron…wn : ¢mbrÒsiai d' ¥ra caῖtai ™perrèsanto¥naktoj kratÕj ¢p' ¢qan£toio : mšgan d' ™lšlixen Ὄlumpon.”“Disse, e con le scure sopracciglia annuì il Cronide: oscillaronole chiome eterne del dio sul capo immortale; fece tremare lamassa enorme dell’Olimpo.” PAPPALARDO, 2007, p. 115.24 TORELLI - MAVROJANNIS, 2002, p. 233

*La presente bibliografia segue le abbreviazioni del “Deutsches Archäologisches Instituts”.

rriiffeerriimmeennttii bbiibblliiooggrraaffiiccii**

ADLER 1892BEARZOT 1992BECATTI 1951BLOUET 1831CALIÒ 2004CHARBONNEAUX - MATRIN - VILLARD 2007DE WAELE 1994DÖRPFELD 1935 DÖRPFELD 1941FRONTINOS 1972HEILMEYER - ZIMMER - SCHNEIDER 1987JANTZEN 1965KUNZE 1955KUNZE 1959LIPPOLIS - LIVADIOTTI - ROCCO, 2007MADDOLI - SALADINO 1995MALLWITZ - SCHIERING 1964MALLWITZ 1972MOGGI 1993MORGAN 1952MOSSÈ-SCHNAPP -GOURBELLION 2003MUSTI 2003MUSTI - TORELLI 1994PAPPALARDO 2007PFEIFFER 1941PHILIPP - KOINGS 1979SCHIERING 1991TORELLI - MAVROJANNIS 2002YALOURIS -YALOURIS 2001

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scatenatisi nei decenni successivi la caduta del“muro”; l’immagine del paese nel mondo è poi for-temente influenzata dal fenomeno dell’emigra-zione, fattosi massiccio soprattutto a partire daglianni novanta. Tuttavia, nell’ultimo decennio si èavviato un veloce processo di trasformazione: Ti-rana è diventata una capitale vivace e cosmopolitamentre la campagna presenta un patrimonio pae-saggistico e culturale incontaminato in cui la com-ponente archeologica gioca un ruolo importante.

22.. SSuullllaa sscciiaa ddii AAppoolllloo:: ii GGrreeccii iinn EEppiirroo

Gli autori antichi riferiscono i nomi di molte comu-nità illiriche stanziate nella moderna Albania: tra ipiù significativi i Tesproti, i Càoni, i Taulanti, i Par-tini, gli Amantini e i Labeati. Non è affatto facilecompilare una “carta geografica” dell’età del Ferroperché, guerre ed eventi politici indussero a fre-quenti mutamenti dei confini e alcune comunità fi-nirono per essere assorbite da quelle vicine e piùpotenti.In linea generale, si può dire che l’entroterra mon-tagnoso fu a lungo il dominio incontrastato dellefiere tribù illiriche, mentre la costa fu visitata a piùriprese da genti giunte spesso da terre lontane,alla ricerca di risorse agricole e minerarie o, piùsemplicemente, per esercitare il commercio. L’ubertosità delle terre non sfuggì ai coloni corinzistanziati sull’isola di Corfù che, nel 627 a.C., fonda-rono una prima colonia ad Epidamno/Durazzo.Le fonti antiche lasciano intendere che quellogreco non fu il primo insediamento in assoluto. Se-condo la tradizione riferita dallo storico greco Ap-piano, il nome Epidamno appartenne a un revissuto in un’epoca molto remota che aveva fon-dato un primo villaggio situato su un’altura. Il gio-vane Durazzo (gr. Dyrrachion), nato dall’unione trasua figlia e Poseidone, sarebbe stato il primo ascendere sulla costa per promuovere la costru-zione di un porto che ebbe il suo nome. Appiano, che raccolse informazioni di prima manodalla gente del posto, aggiunge che i locali tene-vano anche in grande considerazione Ercole per ilfatto che aveva aiutato Durazzo a liberarsi dei fra-

telli che gli avevano mosso guerra. Durante la bat-taglia però, per un fatale errore, Ercole uccise ilfratello del re, Ionio, il cui corpo fu pietosamentedeposto in una bara e sepolto nel mare che preseil suo nome.In questa ricostruzione storica ammantata di leg-genda, si afferma che in seguito la città passò inmano alle tribù illiriche dei Brigi, dei Taulanti e deiLiburni; l’arrivo dei Greci di Corfù viene ricordatain un periodo ancora successivo, sfruttando i con-flitti apertisi tra le tribù locali. Se diamo credito alla cronologia fornita dallo sto-rico, risulta che gli eventi mitici legati alle figuredi Durazzo e Epidamno sono ambientati nellaprima età del Ferro, se non addirittura sul finiredell’età del Bronzo.In ogni caso, l’arrivo dei Greci trasformò radical-mente lo stile di vita e il peso politico dell’anticoporto illirico. Anche lo skyline della baia dovettemutare con l’erezione di una potente cinta dimura, di un moderno porto, di quartieri di abita-zione e di molteplici santuari. Purtroppo i quartieridella città moderna (che con i sui 250.000 abitantiè la seconda città dell’Albania) hanno cancellatomolte testimonianze archeologiche. Le fonti anti-che e i ritrovamenti avvenuti fortuitamente il se-colo scorso ci offrono però un riflesso dall’anticaopulenza. Nel 516 a.C., anno della sessantaseiesima Olim-piade, Cleostene di Durazzo vinse le corse con icarri; per celebrare l’evento, commissionò nientemeno che ad Agelada di Argo (il maestro di Fidia,Mirone e Policleto) un gruppo scultoreo rappre-sentante sé stesso e il suo auriga su un carro trai-nato da quattro cavalli (Phoinix, Korax, Knanias,Samos). Negli stessi anni la città coniò degli stateridal peso di 10,4/11 grammi (corrispondenti a quat-tro dracme), riportanti sul recto una mucca chenutre una giovenca e sul verso una figura qua-drangolare con alcuni ornamenti, forse una sche-matizzazione dei giardini di Alcinoo, la cui reggiaveniva ubicata sull’isola di Corfù (un chiaro segnodell’orgoglio dei coloni per le proprie origini).Le testimonianze di età greca venute in luce incittà sono in buona parte raccolte nel Museo Ar-cheologico di Durazzo, riaperto nel 2002 con un

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ALBANIA: NELLA TERRA DEGLI ANTICHI ILLIRI

11.. UUnn ppoonnttee ttrraa oorriieennttee eedd oocccciiddeenntteeLa nazione albanese ha una storia relativamente recente; benché ideologie e movimenti indipendentistifossero già fioriti nell’Ottocento, la sua data di nascita si fissa al 28 novembre 1912, al termine della PrimaGuerra Balcanica che comportò l’affrancamento della regione dalla potenza ottomana. La più antica attestazione del nome Albania si ritrova, tuttavia, già in un documento storico redatto dellostorico bizantino Michele Attaliate attorno al X sec. a.C. Per quanto concerne il periodo precedente, lefonti scritte tacciono ed è, pertanto, opportuno cercare un riscontro tramite l’archeologia. Nell’età delFerro il territorio montuoso dell’Albania era occupato da tribù di etnia illirica, mentre il litorale marittimoe il suo entroterra erano stati oggetto di una progressiva e lenta colonizzazione da parte dai Greci. Secondo gran parte degli archeologi, i progenitori degli attuali albanesi andrebbero cercati proprio nelleantichissime tribù illiriche che da tempo immemorabile popolavano la regione. Non vi è poi dubbio chela particolare posizione geografica dell’Albania, situata a cavallo tra oriente e occidente e tra area di lin-gua latina e area di lingua greca, influenzò in modo determinante la storia del paese. Due grandi scontricome la guerra tra Cesare e Pompeo e quella tra Ottaviano, Antonio e Cleopatra si svolsero, non a caso,nello specchio di mare prossimo all’attuale costa albanese. Lo storico alessandrino Appiano (II sec d.C.) descrive con dovizia di particolari lo sbarco di Cesare e deisuoi fedeli veterani presso la baia di Peleste, nonché le concitate marce forzate sulle montagne Acroce-raunie, durante la notte, nel tentativo di prendere di sorpresa Pompeo asserragliato presso Durazzo. Laresa dei conti avvenne a Farsàlo in Macedonia, dove Pompeo fu sconfitto, e con lui l’ampio stuolo di ari-stocratici e principi orientali – per lo più clientes – che si erano uniti alla sua fazione. La battaglia di Azio tra Ottaviano e Marco Antonio si svolse cento chilometri più a sud dell’attuale confinegreco-albanese, ma questo poco conta, perché tale diaframma nell’antichità non esisteva. La vittoria suPompeo e Cleopatra fu presentata a Roma come una vittoria della cultura romana insidiata dalla teocra-zia egiziana dei Tolomei.Gli esiti di tali scontri ebbero riflessi radicali sul mondo antico e molti studiosi sono convinti che se i ri-sultati fossero stati differenti, anche il mondo in cui viviamo non sarebbe il medesimo.In seguito, l’Albania fu teatro delle migrazioni gote e slave, e si trovò nuovamente centro dell’attenzionenel Medioevo durante le fasi concitate della caduta di Costantinopoli in mano mussulmana (1453). GiorgioCastriota Skanderbeg – il più importante eroe nazionale albanese – è ricordato per essersi opposto al-l’avanzata verso occidente della Sublime Porta. Il suo nome viene spesso posto a fianco di quello degliHunyadi d’Ungheria e dei principi valacchi (i campioni della difesa della cristianità), e gli albanesi sonoconvinti che il ruolo giocato da questo condottiero sia ingiustamente sottovalutato dall’opinione pubblicaoccidentale. Oggi l’Albania evoca a molti la spietata dittatura comunista legata alla figura di Hoxha, e i conflitti sociali

albania: nella terra degliantichi illiridi Sandro Caranzano

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Il contatto con il mondo greco coloniale fu appa-rentemente propizio; non solo l’élite, ma anche la“classe media” iniziò a bere il vino con coppe ioni-che, attingendolo da grandi crateri; al contempo, ladiffusione degli aryballoi dimostra che i profumiesotici si erano trasformati in una merce ricercata. I centri indigeni si organizzarono in unità ammini-strative federate chiamate koinà che facevano ri-ferimento a un centro principale, generalmente disuperficie modesta, ma dotato di un’acropoli pro-tetta da un circuito di mura ciclopiche. L’archeolo-gia ha identificato decine di queste “rocche”,disperse sul territorio albanese ad un altitudinecompresa tra i trecento e mille metri sul livello delmare: Cassopea, Feniki, Amantia, Lissus, Scutari,solo per fare qualche esempio. Almeno inizial-mente, il mondo illirico non sembra infatti aver co-nosciuto la “civiltà urbana” e la maggior partedella popolazione viveva in piccoli villaggi (katàkòmas).La grande svolta urbanistica sembra essere avve-nuta nel IV sec a.C., in concomitanza con l’affer-marsi sulla scena internazionale di alcuni re illiricimenzionati dagli storici greci. Bardylis – che ebbeil privilegio di vivere sino a novant’anni nonostanteun’esistenza piuttosto movimentata – fu in gradodi vincolare il re Aminta di Macedonia a un tributoannuale, tenne testa all’esercito dei Molossi e degliSpartani, e trovò la morte in un combattimentocontro Filippo II di Macedonia. Il rapporto tra Illiri e Macedoni fu “di odio eamore”: quando Alessandro litigò con il padretrovò protezione alla corte del re illirico Pleurias,ed erano illiriche e di stirpe reale sia la madre di Fi-lippo II, sia due delle sue mogli, Audata e Olim-piade (da cui nacque Alessandro); il matrimoniod’altronde era una strategia normalmente utiliz-zata nell’antichità per saldare i legami tra popolivicini. I siti illirici scavati sino ad oggi non sono molti, mala loro visita è gratificante grazie all’imponenzadella mura e all’ambiente naturale incontaminatoche lascia chiaramente immaginare la grandezzadei tempi passati. Il percorso tortuoso e scomodonecessario per raggiungerli è compensato dall’ap-pagamento visivo offerto dalle ampie vallate per-

corse da fiumi dal colore azzurro intenso e dallacorona di montagne, spesso innevate. È il caso di Byllis, uno dei centri illirici meglio sca-vati e più conosciuti, appoggiato su una sugge-stiva piattaforma naturale affacciata sul fiumeVjosë a circa cinquecento metri sul livello delmare; la città dista solo trenta chilometri da Apol-lonia, lungo la via diretta in l’Epiro e in Macedonia.

L’agorà di Byllis non è molto differente da quella dimolte città greche: una piazza di quattro ettari ècircondata su tre lati da una stoà, vi si trovano unostadio, un teatro ed edifici pubblici. C’è anche una grande cisterna in cui si raccoglieval’acqua che scendeva dai gradini dello stadio du-rante i piovaschi. Il teatro poteva contenere sette-mila spettatori e questo ci può dare un’idea dellaconsistenza demografica della città nel suo pe-riodo di massimo splendore. Non molto lontano, lacittadina satellite di Klos (forse l’antica Nikaia) di-spone di un secondo teatro in cui potevano trovareposto settecento spettatori. Questa fioritura di edifici di spettacolo dimostra

allestimento moderno e chiaro. Un’intera paretepropone una campionatura delle statuette in terra-cotta scoperte presso un antico santuario ubicatosulla collinetta di Dautë, alle porte della città an-tica: si tratta di ex voto in argilla rappresentantiuna divinità femminile acconciata in vario modo,talora turrita e seduta su un trono e molteplici im-magini di offerenti. Quella che ha trovato spazionell’esposizione è una semplice campionatura,perché nei magazzini – incredibile ma vero – giac-ciono una tonnellata e mezza di terrecotte figu-rate, tre tonnellate di vasi e cocci e benseicentocinquanta monete. I risultati degli studicondotti dall’équipe franco-albanese che dal 2002studia il complesso archeologico sembrano con-vincenti; il santuario era probabilmente dedicatoad Artemide (qui assimilata alla dea illirica Bendis)e gli ex voto sono la testimonianza della continuafrequentazione del santuario da parte delle gio-vani donne in occasione dei riti di passaggio, inparticolare quello dall’adolescenza alla pubertà ein preparazione del matrimonio.La città godeva di una posizione strategica invidia-bile, ma aveva un punto debole comune a moltealtre città greche: l’endemica carenza di grano.È noto, d’altronde, che fu proprio il bisogno di terracoltivabile a indurre i Greci a fondare subcoloniein cui trasferire la popolazione eccedente. Epi-damno dipendeva dagli Illiri per buona parte degliapprovvigionamenti granari, e le buone relazionicommerciali con gli indigeni erano consideratecosì strategiche che, a intervalli regolari, venivascelto tra i cittadini più abbienti un magistratochiamato polétes, incaricato di recarsi presso i so-vrani “barbari” e spuntare le migliori condizionicommerciali per l’intero anno a venire.

Epidamno fu la più celebre colonia greca sulloIonio ma non l’unica. Cento chilometri più a sud ea sessanta stadi dal mare (circa dieci chilometri),

un contingente corinzio di duecento coloni fondòApollonia. La città era sovrastata da un tempio de-dicato ad Apollo, il dio protettore della città cheaveva guidato con il suo corso i primi coloni nelviaggio da Oriente ad Occidente; orientato, non acaso, in direzione del sorgere del sole, l’edificioaveva colonne doriche e un fregio ionico rappre-sentante la lotta tra i Greci e le Amazzoni. I coloni di Apollonia erano fieri delle proprie originielleniche. Lungo la strada che esce dalla città aoriente si trovano diversi tumuli monumentali incui furono sepolte più generazioni di aristocratici.Il ritrovamento, nel corso di recenti campagne discavi, di un tumulo databile all’età del Bronzo fi-nale, giustifica la scelta di questo insolita tecnica disepoltura – non attestata nel mondo corinzio – edimostra l’importanza del substrato culturale lo-cale. Recenti scavi archeologici hanno dimostrato chele tombe, edificate in età arcaica in forma mode-sta, furono ingigantite e ampliate a partire dal VIsec a.C. dai discendenti dei primi coloni che vi de-posero corredi molto ricchi, comprendenti vasi de-corati a figure rosse e preziosi sarcofagi. Un modocome un altro per sottolineare orgogliosamente leproprie radici e il prestigio del proprio lignaggio, inuna città che doveva essersi, nel frattempo, in-grandita con un ulteriore apporto di Illiri ben inte-grati nella società civile della polis.

33.. SSuullllee mmoonnttaaggnnee ddeeii fifieerrii IIlllliirrii

I Corinzi sbarcarono sulle pianure costiere prove-nendo dal mare e chiamarono la regione con ilnome Àpeiros che si può tradurre come “senzaconfini”. Le montagne più interne furono inveceda sempre dominio incontrastato delle fiere tribùindigene che controllavano i passi che conduconoin Macedonia e verso il bacino danubiano.

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OOffffeerrttee vvoottiivvee ffiittttiillii rreeccuuppeerraattee iinn llooccaalliittàà DDaauuttëë

PPllaanniimmeettrriiaa ddeellll’’aaggoorràà ddii BByylllliiss

RRiiccoossttrruuzziioonnee ddeellllaa ssttooàà ddii BByylllliiss

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Il racconto venne ripreso da Euripide nell’Andro-maca e così, il celebre drammaturgo fu invitatonella città molossa di Passaron per sovrintenderealla messa in scena della tragedia.Plutarco – nelle Vite parallele – fornisce molti par-ticolari gustosi su Pirro, un generale che guidava isoldati indossando il caratteristico elmo ornato dadue corna di capra. In gioventù, bandito dalla patria, Pirro era andatoa cercare fortuna presso importanti eserciti elleni-stici. Dopo alcune valorose prove campali, il cele-berrimo Demetrio Poliorcete (uno dei successoridi Alessandro) lo aveva inviato in Egitto alla cortedei Tolomei in qualità di ostaggio, una posizioneche gli offrì interessanti opportunità. Entrato nellegrazie del sovrano egiziano Tolomeo I, Pirro ebbeil privilegio di sposare Antigone, figlia di primoletto della regina d’Egitto Berenice. Nel 297 a.C. il comandante molosso fece ritorno inEpiro in compagnia della giovane sposa e s’impos-sessò della corona a seguito della morte di suo cu-gino Neottolemo, sul quale correva voce che fossestato avvelenato.Nel rispetto di una qual vena tragica che accompa-gnò Pirro per tutta la sua tormentata esistenza, laprincipessa egiziana morì solo due anni più tardi.Pirro volle eternare il nome della giovane intito-landole la città che si stava apprestando a fondare:Antigonea. Quest’ultima fu pianificata a sette-cento metri di quota, nel cuore della valle delfiume Drino (strategica via di comunicazione traEpiro e l’Illiria), appollaiata in una bella posizionepanoramica sui colli che oggi sovrastano l’affasci-nante città medievale di Girokastra.Antigonea è il simbolo stesso della presenza delpiù famoso condottiero molosso in Albania ed èanche il più importante sito archeologico eacidedel paese. L’impianto urbano rispetta la tradizione delle cittàgreche con isolati rettangolari di 51 x 102 m attra-versati, in senso est-ovest, da una grande stradache si sviluppa per novecento metri. La pianifica-zione urbana fu studiata a tavolino creando trequartieri contigui: l’acropoli che ospitava anche icomandi militari, uno spazio abitativo compren-dente l’agorà, e un ulteriore quartiere lasciato par-

zialmente libero in previsione dell’arrivo di nuovicittadini dalla campagna. Il centro diventò ben pre-sto uno dei più popolati della regione, proponen-dosi come un polo di riferimento per il commercioe l’artigianato di qualità. Antigoneia non fu ovviamente l’unica grande cittàeacide. Oltre ad aver incorporato nei suoi possedi-menti Butrinto e Phoinike, il regno molosso siestese più a sud, in corrispondenza dell’attualeEpiro greco, dove sorgevano Ambracia e Passaron(la città in cui i sovrani giuravano fedeltà alle leggie venivano insediati).I Molossi dominavano anche il celeberrimo santua-rio oracolare di Dodòna dove i sacerdoti, secondouna tradizione antichissima, emettevano responsiinterpretando lo stormire delle foglie mosse dalvento di una quercia sacra a Zeus.

55.. IIll mmiisstteerroo ddii MMoonnuunnooiiss ee ll’’aaccrrooppoollii ddiiSSeellççaa

Gli alleati italici di Pirro e gli stessi Romani rima-sero piuttosto sconcertati dall’imponente esercitomesso in campo dal condottiero epirota, dalla ful-mineità delle sue vittorie ma anche dalle sue im-provvise ritirate, che ispirarono il celebre modo didire “vittoria di Pirro”. Quando Pirro s’imbarcò per l’Italia per sfidareRoma, lo scacchiere politico mediterraneo erapiuttosto agitato e instabile, soprattutto a causadelle ambizioni militari dei successori di Alessan-dro: i diadochi. Preoccupato di un potenziale at-tacco dei Macedoni in sua assenza, Pirro sembraaver stipulato un’alleanza con gli Illiri e, nello spe-cifico, con il re Monunios, il cui nome compare sudracme in cui viene appellato, per l’appunto, basi-leus.Un importante centro controllato da Monunios fuPelion, che si crede di poter identificare in prossi-mità dell’attuale villaggio di Selça. Il sito sorge nelcuore della vallata drenata del fiume Shkumbin, suuna collina pianeggiante situata a oltre mille metridi altitudine. Quella che può sembrare una loca-tion decentrata e fuori mano, assume un aspettodel tutto differente se consideriamo che la valle

che l’amore per la tragedia greca e per la comme-dia aveva fatto breccia anche nel cuore degli Illiri.Data la conoscenza ancora embrionale che la mag-gior parte di loro sembra aver avuto della linguagreca, non si può escludere che le opere teatralisubissero un adattamento in lingua illirica primadi essere messe in scena. In ogni caso, il grado diellenizzazione delle popolazioni indigene dovevaessere sufficientemente avanzato, perché gli abi-tanti di Byllis venivano invitati ogni quattro anni apartecipare ai Giochi Pitici che si tenevano a Delfi,un privilegio negato ai barbari.

In linea diretta, lungo la strada che, costeggiandoil fiume Aôos conduce a Valona si trova la rocca diAmantia, città illirica fortificata su un pianoro checopre una superficie di tredici ettari. Gran partedell’area è oggi occupata dal piccolo villaggio diPloçë, pertanto gli scavi si sono limitati alla zonaesterna alle mura. Anche gli abitanti di Amantia non vollero rinun-ciare allo stadio, che realizzarono appena fuori lemura. Il circuito murario del V sec. fu costruito conblocchi poligonali e rimodellato il secolo succes-sivo con blocchi squadrati, uniti senza far uso dicalce. Gli Illiri non recepirono con favore le tecni-che costruttive basate sull’uso del mattone (crudoo cotto) sperimentate nelle città greche; la cosa funotata dai Romani che utilizzarono l’appellativo di

“eacide” per definire la tecnica di costruzione asecco; Eacide, a dire il vero, era il nome del padredi Pirro, ma il suo nome fu usato, per metonimia,per indicare l’intera regione geografica.

Merita, infine, di essere citata la cittadina di Sa-randa (l’antica Onchesmos), situata su un bel golfoche guarda alla vicina isola di Corfù: del suo pas-sato splendore non rimane molto da vedere e lacittadina oggi è conosciuta più per gli ottimi piattidi pesce che per l’archeologia. Nell’antichità, in-vece, era lo sbocco sul mare e il porto la cittadellaillirica dei Càoni, Phoinike. Quest’ultima – fondatasu un ampio pianoro alla metà del IV sec a.C. –venne ad assumere un’importanza sempre mag-giore, soprattutto dopo essere entrata a far partedell’Epiro unificato dal leggendario Pirro. Phoinike è stata oggetto di scavi e sondaggi mal’attività archeologica è ancora ai primi passi; si se-gnala, tra gli altri, l’importante contributo dell’Uni-versità di Bologna che ha recentementefesteggiato il suo decennale di ricerche sull’acro-poli caonia.

44.. PPiirrrroo,, rree ddeellll’’EEppiirroo

Tutti conoscono il nome di Pirro, proverbiale per ilvalore delle imprese condotte ma anche per l’in-concludenza delle molteplici vittorie conquistatesul campo.Pirro apparteneva alla tribù dei Molossi, stanzia-tasi attorno al IV sec a.C. in Epiro (la ragione a ca-vallo tra l’Albania meridionale e l’Epiro greco). IMolossi riconoscevano nel proprio lignaggio un’ori-gine troiana, riconducendo la nascita del loro ca-postipite, Molosso, all’unione tra Neottolemo (ilfiglio di Achille) e Andromaca (la vedova di Ettore);secondo la tradizione, dopo una serie di peripezie,i due avevano fissato la propria residenza proprionella cittadina di Butrinto (nel sud dell’attuale Al-bania).Questa versione del mito, non altrove attestata, fuprobabilmente elaborata a tavolino in età classicasu impulso dai sovrani molossi, che desideravanoaccrescere il prestigio del proprio casato.

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VVeedduuttaa ddeell tteeaattrroo ddii BByylllliiss

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d.C.) è ricco di particolari: «Gli Illiri mangiano se-duti» – e dunque non sdraiati sulla kline alla modagreca – «e bevono smodatamente al punto chesono soliti stringere la cintura per scongiurare l’ac-crescersi del ventre». Teopompo (IV sec d.C.) con-ferma: «Gli aristocratici illirici ogni giorno fannofesta, bevono e si ubriacano». Attorno a Durazzo era piuttosto rinomato un vinochiamato Basilisca (alcuni pensano che fosse l’an-tenato del Bordeaux), anche soprannominato «Ilnemico della testa»; nella stessa zona il popolo deiTaulanti produceva idromele, una bevanda forte edolce ottenuta dalla fermentazione del miele, dif-ficile da distinguere dal vino invecchiato – scriveAristotele –. I poveri invece si accontentavano in-vece della sabaia, ottenuta con orzo fermentato enormalmente alternata con la parabija, una be-vanda non alcolica.Da molti indizi risulta chiaro che gli Illiri furonoprecocemente influenzati dalla cultura della vicinaGrecia, da cui presero in prestito usanze, statussymbols e modelli organizzativi. Di particolare im-portanza fu, senza dubbio, l’introduzione dellascrittura, avvenuta a partire dal IV sec a.C. in con-comitanza con il diffondersi dell’amore per il tea-tro e di uno stile di vita più “internazionale”. Siconoscono diverse iscrizioni e tutte composte inlingua greca; nella vita quotidiana veniva inveceutilizzato l’illirico, idioma indoeuropeo distinto daquella greca come pure dal celtico, dal latino e dalgermanico. L’ambito in cui è più evidente l’assimilazione dellacultura greca è quello legislativo. Dalle iscrizioniscoperte sappiamo che il governo dei koinà e dellecittà illiriche era affidato a un’assemblea legisla-tiva (ekklesìa) a cui si affiancava il consiglio fede-rale dei demiurghi. Sono anche ricordati i prìtani (imassimi rappresentanti del koinòn eletti attual-mente), gli strateghi (comandanti militari), gli hip-parchi (i comandanti della cavalleria) ed iperipolarchi (comandanti delle guardie del corpo,spesso volutamente scelti tra i forestieri). Ognicittà aveva, infine, scribi, ufficiali delle finanze(tamis), gymnasiarchi responsabili della forma-zione dei giovani, e agonoteti che si occupavanodei giochi delle gare. Al vertice dei diversi regni il-

lirici vi era spesso un re il cui potere era temperatodall’attività di questi magistrati.

77.. LL’’eeppooppeeaa ddii TTeeuuttaa,, ll’’uullttiimmaa rreeggiinnaa ddeegglliiIIlllliirrii

Gli Albanesi riconoscono nella città di Scutari ilsimbolo dell’indipendenza illirica e il luogo in cuisi consumarono gli ultimi atti della resistenza dellefiere popolazioni indigene all’avanzata della po-tenza romana. Oggi Scutari è una città moderna evitale, dominata scenograficamente dalla sagomadel castello di Rozafa. Tracce di mura poligonali in-corporate nella fortezza medievale confermanoche lo sperone roccioso stretto tra i fiumi Kiri eBruna ospitava, un tempo, la cittadella illirica e ilpalazzo reale; la città vera e propria si sviluppava,invece, nell’area pianeggiante alla base della col-lina, che in questi masi è oggetto di una attività diindagine archeomagnetica preventiva.Il personaggio più conosciuto dell’epopea degli Il-liri fu una donna, la regina Teuta. Il fatto di trovareuna donna al vertice della vita politica di una co-munità non è poi così isolato (basti pensare a Bou-dicca presso i Britanni o alla stessa Cleopatrad’Egitto), ed è un tratto culturale che gli Illiri con-dividevano, ad esempio, con i vicini Celti. Eliano e Varrone insistono nel tratteggiare figuredi donne illiriche piuttosto mascoline: intente a to-sare la lana, a tagliare la legna, a riparare il tettodi casa e a condurre i cavalli alle fonte prenden-dosi cura, al contempo, dei figli; Eliano aggiungeche, in presenza di ospiti stranieri, esse banchetta-vano sedute a fianco degli uomini ed erano solitebrindare con tutti gli altri.Donne di lignaggio regale avevano poi la possibi-lità di salire al trono alla morte del marito eredi-tando i beni famigliari, cosa impossibile alle grechee alle romane. Teuta, si trovò nella difficile condizione di gestirela fase di espansionismo romano nel Mediterraneonel periodo delle guerre contro Cartagine. Nel IIIsec a.C., la tribù illirica settentrionale degli Ardieiaveva stabilito la capitale a Scutari (Shkodra). GliArdiei, erano abili navigatori e, non a caso, le loro

era attraversata da un’importante strada di originepreistorica diretta in Macedonia.Negli anni Settanta, proprio alla base della piatta-forma naturale sui cui sorgeva l’antica città, l’ar-cheologo Neritan Ceka ha messo in luce unasingolare necropoli reale edificata nel corso del IVsec a.C.Dimostrando un notevole spirito pratico, le tombefurono ricavate nella parete rocciosa dell’anticacava da cui erano state prelevate le pietre neces-sarie per edificare la cinta della cittadella supe-riore.Cinque tombe allineate lungo una falesia rocciosamostrano un’architettura di maggior prestigio euna combinazione eclettica di motivi architettoniciveramente peculiari. La prima presenta una ca-mera scavata nella roccia con due bancali lateralidestinati ad ospitare i defunti. I capitelli ionici dellafacciata e molti elementi decorativi sono una pa-lese citazione delle famose tombe macedoni diVerghina e di Pidna, in particolare di quella delpadre di Alessandro, Filippo II. Una seconda tomba fu realizzata su due livelli:quello superiore presenta un finto portico semicir-colare concluso da una camera e decorato con ri-lievi rappresentanti uno scudo circolare illirico eun elmo di tipo greco; l’ambiente inferiore fu in-vece destinato a camera funeraria vera e propriae dotato di due splendidi sarcofagi di stile elleni-stico a forma di letto funebre. Il Museo di Tirana raccoglie il ricco corredo sco-perto nel 1972 nella camera inferiore, composto daarmi, vasi, gioielli, una maglia in ferro e un elmoda guerriero. La foggia dei reperti – tipici del III seca.C. – porta ad escludere che la deposizione siacontemporanea alla costruzione della tomba; evi-dentemente l’ambiente fu reimpiegato per daresepoltura ad un personaggio di alto lignaggio,forse quel Monunios che aveva sognato la crea-zione di un potente regno illirico esteso fino al lagodi Ochrid.Nelle immediate vicinanze si trova una terzatomba scavata nella roccia che rappresenta un uni-cum: la piccola camera sepolcrale è, infatti, sor-montata da un teatro in miniatura che potevaospitare un numero molto ridotto di persone. Sem-

bra naturale collegare questa singolare sistema-zione architettonica ai banchetti e alle sacre rap-presentazioni che venivano inscenate in occasionedella commemorazioni funebri, onore normal-mente riservato a personaggi di alto lignaggio.

66.. IIlllliirrii,, ppiirraattii ee ggrraannddii bbeevviittoorrii

Le informazioni che ci sono giunte sul carattere ela civiltà degli antichi Illiri sono piuttosto frammen-tarie e limitate, sicuramente filtrate dalla mentalitàe dall’opinione degli scrittori romani e greci che lehanno tramandate. I Romani – che avevano conosciuto il mondo illiricoattraverso l’Adriatico – rimasero colpiti dalla loroproverbiale abilità di marinai e dalle veloci navi ca-ratterizzate da una doppia fila di rematori, le fa-mose liburne.Gli indizi sulla talassocrazia illirica non mancano:gli Illiri giunsero a Corfù prima dei Corinzi (nel IXsec. a.C.) e visitarono diversi santuari greci del-l’Egeo, lasciandovi iscrizioni e donativi per cele-brare le loro imprese. Nell’antichità, commercio e pirateria non erano di-sgiunti, e gli Illiri si conquistarono sul campo il ti-tolo di pirati per eccellenza. «La gente illirica eraselvaggia e la pirateria era una cosa normale» (Stra-bone VII, 5); «i Liburni, altra gente illirica, che rapi-navano il mare Ionio e le isole con le loro navi velocie leggere, donde ancor oggi i Romani chiamanoliburne le biremi leggere e rapide» (Appiano, 3).Filippo V di Macedonia aveva grande stima deicantieri navali illirici e ordinò loro ben cento navida guerra, cosa mai accaduta prima.Data la relativa facilità di navigazione del Canaled’Otranto, non c’è poi da stupirsi che i mitografigreci e romani (Strabone, Festo e Antonio Liberale,in particolare) accennino al contributo di gruppi diIlliri alla genesi delle popolazioni dei Dauni, deiPeucezi e dei Messapi in Puglia.Le fonti riportano anche alcuni particolari dellostile di vita delle classi più ricche, talora fedel-mente talora con spirito polemico o denigratorio.In generale sembra che gli aristocratici avesserouna certa predilezione per il vino. Ateneo (II-III sec

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Gran parte dei monumenti che segnano il paesag-gio del parco archeologico di Apollonia apparten-gono, però, alla matura età imperiale (I/II sec d.C.):il bouleuterion fatto costruire dall’agonothetaQuinto Furio Proculo in onore del fratello defunto,il piccolo arco di trionfo, la biblioteca e soprattuttol’odeion, un piccolo teatro appoggiato alla collinache con i suoi trecento posti a sedere era utilizzatoper rappresentazioni teatrali o musicali, e forse,anche per assemblee pubbliche. Gli edifici sonogiustapposti disordinatamente, senza una pianifi-cazione urbana di ampio respiro, una cosa caratte-ristica dei centri provinciali.

Per i ricchi aristocratici romani amanti del lusso edella natura, il punto di riferimento ideale fu so-prattutto il bellissimo tratto di costa compreso trai Monti Acrocerauni e il Golfo di Ambracia, unluogo quanto mai congeniale all’otium e all’edifi-cazione di suntuose residenze. Pomponio Attico – intimo amico di Cicerone – pos-sedeva una grande villa affacciata sul mare pro-prio a Butrinto; nella fitta corrispondenza con ilpotente oratore e politico romano, Attico lasciatrasparire il suo trasporto per la bellezza e l’ame-nità del paesaggio. Ancora oggi, il piccolo centro manifesta una bel-lezza e una “sensualità” del tutto particolari. Col-legato al mare dal canale di Vivàri, si specchia sullago con un effetto suggestivo, amplificato da unfenomeno di subsidenza che fa sì che l’area delteatro e del tempio di Asclepio siano perenne-mente immersi nell’acqua. La riscoperta di Butrinto è legata alla figura del-l’archeologo ed esploratore italiano Luigi Ugolini

che vi condusse importanti attività di scavo negli anni Trenta del Novecento. Lavorando presso ilteatro, l’intraprendente archeologo scoprì diverse

monete riportano l’immagine della tipica galea, ve-loce e maneggevole. Nel 229 a.C., i frequenti attacchi alle navi italichediedero spunto a Roma per dichiarare guerra agliArdiei. Teuta fu inizialmente costretta a negoziareuna tregua con i Romani, che ne approfittaronoper stabilire degli avamposti a Durazzo e ad Apollonia. Gli Illiri si trovano costretti a una difficile scelta dicampo: da un lato i Romani, dall’altro i Macedoni;malauguratamente, optarono per quest’ultimi, tro-vandosi in gravissime difficoltà soprattutto dopola clamorosa sconfitta subita da Filippo V di Mace-donia nel 168 a.C. a Pidna. Incassata questa vittoria, l’anno seguente le le-gioni romane si presentarono alle porte di Passa-ron (la capitale dei Molossi) con l’ordine disaccheggiare le città: soldati e cavalieri ricevetterocome bottino rispettivamente duecento e quattro-cento denari, mentre le mura cittadine vennerorase al suolo e centocinquantamila persone furonovendute sul mercato degli schiavi.Nel 167 a.C. tutte le città comprese tra il fiume Dri-nos e Aoos (la cosiddetta Atintania) ricevetterol’ordine di attaccare e saccheggiare le città illiricheche avevano appoggiato Perseo di Macedonia; fu-rono risparmiate solo quelle che avevano aiutato iRomani. Lucio Anicio Gallo celebrò il trionfo nella capitale:davanti al carro del pretore vittorioso fu fatto sfi-lare l’ultimo re illirico, Genzio (da cui, tra l’altro, se-condo Plinio, deriverebbe il nome della genziana!)con la moglie e i figli, suo fratello Caravanzios ealtri membri dell’élite locale. Finiva in questo modo la secolare storia dell’Illiriaindipendente ma iniziava una nuova fase di stabi-lità politica e sviluppo economico. Le aree conqui-state furono divise tra le neoistituite provincie diMacedonia e dell’Illirico.L’archeologia è stata in grado di verificare sulcampo la distruzione e l’abbandono di alcuni centriminori come Dimallum, Olympe, Coragus, Brysaka,e il trasferimento degli abitanti verso i centri prin-cipali; Apollonia, Amathus e Oricum che eranostate fedeli a Roma ottennero lo statuto di città «li-bere e immuni» mentre altrove furono insediatidei coloni provenienti dall’Italia. Nonostante la

conquista romana però, la regione rimase semprelegata alla cultura greca: i teatri continuavano aessere molto frequentati, la gente si ritrovavanell’agorà, le antiche magistrature furono rispet-tate e continuò l’uso del greco – parlato e scritto –anche se le iscrizioni ufficiali venivano redatte inlatino. Solo a Oricum, dove stazionava la flotta romana, sirespirava uno stile di vita particolarmente “italico”.

88.. AAppoolllloonniiaa ee BBuuttrriinnttoo

Ad Apollonia, Gaio Ottavio attese agli studi di reto-rica e, con ogni probabilità, passeggiò per il centrodella città in compagnia di Agrippa, ammirando lestatue esposte nelle ampie stoai ellenistiche del-l’agorà. Proprio qui, il futuro Augusto ebbe mododi consultare un indovino che gli vaticinò un de-stino luminoso; una predizione quanto mai azzec-cata visto che, poco tempo dopo, l’inaspettatoassassinio di Giulio Cesare gli aprì la strada per lascalata al potere imperiale.In età imperiale, la cerchia di mura (lunga 4 km)presentava ampi segni di rifacimento, segno tangi-bile della tumultuosa storia cittadina. Il muro piùantico (VII sec a.C ) fu realizzato con blocchi qua-drangolari di sagoma irregolare, venendo rimoder-nato, due secoli più tardi, con una nuova cortina inparte in pietra, in parte in mattoni; in seguito, fu-rono aggiunti ulteriori bastioni quadrangolari,adatti ad ospitare catapulte e macchine da gettocon cui resistere agli attacchi dei Molossi e dei Ma-cedoni.

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s p e c i a l e a l b a n i a s p e c i a l e a l b a n i a

BBaassttiioonnee oorriieennttaallee ddeellllee mmuurraa ddii AAppoolllloonniiaa

BBoouulleeuutteerriioonn rroommaannoo ddii AAppoolllloonniiaa

CCaannaallee ddii VViivvaarrii ddii BBuuttrriinnttoo

PPllaanniimmeettrriiaa ddii BBuuttrriinnttoo

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99.. DDuurraazzzzoo,, llaa ““ttaavveerrnnaa ddeellll’’AAddrriiaattiiccoo””

L’edificio più monumentale e il simbolo stessodell’occupazione romana dell’antico Epiro, è l’an-fiteatro di Durazzo. Privato dei gradini in pietra nelcorso del Medioevo e sommerso dal disordine ur-banistico moderno, fu costruito all’età degli Anto-nini (nel II sec. d.C.) e inaugurato con unospettacolo di giochi gladiatori. Si tratta di una co-struzione notevole, parzialmente appoggiata allacollina naturale e in parte edificata su sostruzioniin muratura. Con l’asse maggiore di ben centotren-tasei metri e le gradinate alte sino a venti metri,l’edificio poteva contenere fino a ventimila spetta-tori. Quando fu costruito, Durazzo era una grandecittà sovrappopolata, un tumultuoso melting pot –come è tipico di tutti i porti – di diverse etnie, lin-gue e religioni, una città così brulicante di vita che

Cicerone decise di allontanarsene per trovare unpo’ di quiete. Catullo, con la genialità che lo con-traddistinse, gli appioppò l’epiteto di «tavernadell’Adriatico» in uno dei suoi carmi (Carme 36).

Nei pressi del Teatro Aleksander Moisiu, a duepassi dall’anfiteatro, si trovano i resti delle piccoleterme e quelli di una piazza ottagonale colonnata:forse un macellum per la vendita al minuto delpesce e degli ortaggi, forse una parte del foro cit-tadino. È possibile che l’aspetto finale di questospazio pubblico sia dovuto all’intervento di Ana-stasio (491-518 d.C.). Questo imperatore bizantino– spesso ricordato per la curiosa particolarità diavere un occhio azzurro e uno nero (era sopran-nominato, per l’appunto, il Dicoro) – era in effettinativo di Durazzo. Tra gli atti di benevolenza versola sua città natale, si deve annoverare un nuovogrande circuito murario dotato di torri pentago-nali, di cui è ancora possibile seguire ampi trattilungo la collina che sormonta il centro storico.All’età di Giustiniano l’effetto doveva essere im-pressionante, con due grandi cerchia di mura chescendevano al mare, sormontate al vertice da ungrande fortezza militare.Durazzo fu dunque per secoli un importante scalomarittimo, ma la sua fortuna non sarebbe statacosì grande se non fosse stata anche il terminaledi una importantissima strada transbalcanica. IRomani la risistemarono nel II sec. a.C. in modoesemplare, ribattezzandola Egnatia dal nome delproconsole Gaio Egnatio sotto il quale erano statipromossi i lavori. La strada si addentrava nelleprofonde vallate dei Balcani passando per Elbasani

statue collassate, tra le quali è d’obbligo ricordare lafamosa «dea di Butrinto» (in realtà una statua diApollo su cui fu rimontata, erroneamente, una testafemminile). La cosiddetta dea di Butrinto è uno deipezzi più significativi delle raccolte del Museo Ti-rana, dove ha fatto ritorno dopo una complessa trat-tativa con il governo italiano conclusasi negli anniOttanta.Il nucleo più antico della città greco-romana sorge alvertice di un promontorio dove, già a partire dal VIIsec a.C., la tribù illirica dei Presabi aveva costruitouna cittadella fortificata con mura ciclopiche. Nel Vsec. la città si espanse sul versante meridionale dellacollina e fu protetta da un nuovo circuito di mura.Entrando in città da sud, una porta rafforzata da uncortile interno conduce nell’area del santuario diAsclepio; il tempio sorge in prossimità di una risor-giva naturale e, come dimostrano le favissae votive,fu frequentato per secoli dai pellegrini che vi con-vergevano per rimettere la propria guarigione allabenevolenza del dio della medicina. Il teatro costituiva una dependance insostituibiledell’adiacente santuario, dal momento che era uti-lizzato per la messa in scena delle sacre rappresen-tazioni; costruito appoggiando le gradinate allaretrostante collina, poteva contenere sino a 2500spettatori.

In età romana (tra il 16 e il 13 a.C.) la via processio-nale venne invasa da un complesso termale; GneoDomizio Enobarbo (il padre di Nerone), dopo averfatto abbattere alcune vecchie costruzioni, finan-ziò la costruzione di una piazza del foro su cui si

affacciava il consueto tempio dedicato alla TriadeCapitolina.Ugolini ripulì anche le murature ciclopiche volteverso il lago dove si trovano due porte monumen-tali, la Porta dei Leoni e la Porta Scea (quest’ultimamanomessa nel Medioevo) in cui si volle ricono-scere quella citata da Virgilio. Nel terzo libro del-l’Eneide, infatti, si legge che Enea sbarcato aButrinto, attraversa una porta monumentale persalire al palazzo, situato sull’acropoli; e nel pa-lazzo, dopo aver riabbracciato con commozione al-cuni compagni che pensava dispersi, scopre congrande sorpresa che la città è governata dal figliodi Priamo, Eleno. L’Eneide riporta che il giovanetto,fatto schiavo da Neottolemo, alla morte di que-st’ultimo si era emancipato, convolando a nozzecon la sfortunata Andromaca.

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EEmmiicciicclloo ddeell tteeaattrroo ddii BBuuttrriinnttoo

PPllaanniimmeettrriiaa ddeellll’’aarreeaa ssaaccrraa ddeell tteemmppiioo ddii AAsscclleeppiioo ccoonnaaddiiaacceennttee tteeaattrroo

AAnnffiitteeaattrroo ddii DDuurraazzzzoo

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raccogliere le ossa dei familiari ai piedi del defuntoè invece un retaggio della cultura illirica. Per quanto riguarda i corredi femminili, spiccanole fibule di derivazione bizantina, le collane inpasta vitrea e gli orecchini. Non si tratta di oggettidi grande lusso, perché per la maggior parte è inbronzo e quasi mai in oro o argento.Le tombe di Koman appartengono alla culturaArbër, il ponte di unione tra gli antichi Illiri e i mo-derni albanesi. Il nome di Arbër è infatti curiosa-mente affine a quello del regno illirico di Arbanoncitato nel II sec d.C. da Tolomeo nella sua Geogra-fia. La loro antica capitale, Albanopolis, è stata

identificata presso le rovine di Zgërdhesh, nelleimmediate vicinanze della cittadina medievaleKruja. Arbanon, Arbër e Albania sembrano dunque es-sere le facce della stessa medaglia nonché la te-stimonianza semantica di una continuità culturalemillenaria che fa dell’Albania un paese del tuttopeculiare, soprattutto tenendo conto della forteslavizzazione subita dalle regioni circostanti nelcorso del Medioevo.

SANDRO CARANZANO

(dove si congiungeva con un tratto proveniente daApollonia) per proseguire per Tessalonica e da quifino a Costantinopoli. Una scorciatoia formidabile,che poteva evitare la circumnavigazione dell’interaGrecia. Già nell’Ottocento vennero individuati diversi trattidell’antico selciato e alcuni ponti romani lungo ilsuo tortuoso percorso. La via fu spesso percorsadagli eserciti: Traiano la restaurò in preparazionedelle guerre daciche e partiche, e Caracalla mise inconto di percorrerla al ritorno dalla campagnad’Oriente, un progetto che fu frustrato dal suo im-previsto assassinio. La via mantenne un ruolo stra-tegico anche nel Medioevo; da qui passò, tra glialtri, Teodorico re dei Goti durante la lenta discesache lo avrebbe condotto a Ravenna.

1100.. IIll sseeccoolloo ddeeii 1100 iimmppeerraattoorrii

In una piazzetta della deliziosa cittadella medie-vale di Berat, si trova una insolita testa gigantescadi Costantino, fedele copia di quella esposta nelMuseo dei Conservatori a Roma. Costantino eranato a Naissus (l’attuale Niš, in Serbia) e fu di ori-gini illiriche fu un numero impressionante di impe-ratori giunti al potere nel periodo delle anarchiemilitari e delle prime invasioni barbariche. Gli Illiri vengono ricordati nelle fonti per il loro va-lore guerriero: Augusto aveva fatto affidamento sucontingenti illirici e dalmati durante la battaglia diAzio e molti di loro, per indole o per necessità, siarruolarono come legionari, accettando di esseredislocati in zone piuttosto remote, come il limesdanubiano o il vallo di Adriano. Settimio Severo siera sentito più sicuro stanziando una legione suiColli Albani in cui gli Illiri non facevano difetto; Cas-sio Dione – che aveva avuto modo di incontrarli dipersona a Roma – li descrisse di aspetto selvaggioe spaventevoli nel modo di parlare.Nella tarda antichità, molti di loro, nati e cresciutiin regioni lontane dalla vita mondana della capi-tale, desiderosi di una promozione sociale, conti-nuarono ad arruolarsi nell’esercito, raggiungendoi più alti gradi della gerarchia, fino ad indossare laporpora imperiale.

Furono di origini illiriche Messio Traiano Decio, ilgenerale perito nella palude di Abritto combat-tendo i Goti; Claudio II il Gotico, che li respinse al dilà del Danubio; Aureliano, il costruttore dellegrandi mura di Roma e il vincitore della regina Ze-nobia a Palmira; Marco Aurelio Valerio Probo, e imeno noti Caro, Carino e Numeriano.Orgoglio dell’Illirico furono Diocleziano, figlio delladalmata Narona, promotore della ristrutturazionetetrarchica dell’impero nonché della sua progres-siva militarizzazione, il già citato Costantino e, in-fine, Valentiniano I che aprì la strada al generalespagnolo Teodosio I, campione del cristianesimo ecelebre per l’editto che abolì i culti pagani.

1111.. AAllllee rraaddiiccii ddeellll’’AAllbbaanniiaa mmooddeerrnnaa:: llaa ccuull--ttuurraa ddii AArrbbëërr..

Nel 1892, il console francese a Scutari, Albert De-grand, fece visita ad un sito denominato «castellodi Dalmaca», situato a poca distanza dal villaggiodi Koman. Gli abitanti del posto gli avevano riferitouna leggenda su una quercia dalle foglie d’oro esu un misterioso cimitero disseminato di cassettedi pietra. Giunto sul posto, il console ebbe modo diosservare che le tombe erano raccolte attorno allaparrocchiale di San Giovanni, in una zona isolatadove, stranamente, non si vedevano tracce di abi-tato. I morti erano deposti supini e con il volto cheguardava a ovest, secondo la tradizione cristiana.Qualche anno più tardi, l’archeologo tedesco P.Träger analizzò i corredi comparandoli con quellimedievali della Bosia Erzegovina, riconoscendonelle fibbie “a doppia gamba” un qualcosa di pecu-liare che avrebbe potuto fornire una chiave di let-tura. Chi erano, dunque, le genti sepolte nel cimitero diKoman? Oggi si è sempre più convinti che le gentidi Koman fossero contadini/soldati alleati dei bi-zantini nel periodo travagliato dell’Alto-Medioevo.Gli uomini presentano scarsi gioielli ad eccezionedi alcune guarnizioni di cintura militare, sempre ditipo bizantino; le accette deposte nelle tombe sem-brano più adatte alla guerra che al lavoro, e sonosimili a quelle diffuse nella tarda antichità. L’uso di

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Gigantesca testa di Costantino

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di dare responsi: sul matrimonio e sulla morte diun uomo. La località era chiamata, per l’appunto,Ninfeo.

LLaa cchhiieessaa ddii AArraappaajjIl cristianesimo venne professato in Albania pre-cocemente e sembra che Paolo abbia fatto tappaa Durazzo. In età cristiana il vescovo di Durazzoera il metropolita della provincia dell’Epirus Novus.Ad Arapaj (non lontano da Durazzo) è stata sco-perta una basilica a tre navate con un sacello con-tente gli scheletri di due enigmatici individui disesso maschile, di circa 30 anni, probabilmentemartiri. La pavimentazione presenta una bellis-sima decorazione a mosaico di ambientazione bu-colica. Una scena rappresenta l’eucarestia,seguono un pastore intento ad annodare un cape-stro con cui aggiogare un cavallo e un secondo pa-store nell’atto di nutrire un cane. Quello piùgiovane indossa una tunica bianca, quello più an-ziano una tunica bruna; è singolare come questevesti rispecchino molto da vicino i costumi tradi-zionali che vengono ancora indossati nei villaggidell’Albania moderna.

Il ninfeo di ApolloniaUna delle costruzioni più interessanti e parados-salmente meno conosciute, è il cosiddetto ninfeo.Costruito in età ellenistica (attorno al 250 a.C.) èla risposta al problema della monumentalizza-zione di una sorgente d’acqua. Su un declivio checopre un’area di millecinquecento metri quadri, di-

versi canali di captazione convergono verso unacisterna di decantazione che comunica con unafontana pubblica preceduta da un colonnato do-rico. Questa splendida realizzazione architettonicaebbe però una vita breve perché fu travolta, doposolo un secolo di vita, da una grande frana. Oggi,grazie ad un sapiente restauro, fa belle mostra disé in una posizione un po’ defilata, frequentata perlo più dai pastori con le loro greggi.

Le baia di KaraburunNelle immediate vicinanze di Orico – alla base delsuggestivo promontorio dei Monti Acrocerauni – sitrovano le cave di pietra di Karaburun a cui si devela costruzione di buona parte degli edifici monu-mentali di Apollonia, Orico e DurazzoIn prossimità di un antico fronte di cava, presso labaia di Grama (oggi suggestivamente invasa dal-l’acqua marina), si trova un santuario all’apertotempestato da centinaia di iscrizioni graffite. Tradi esse è stato possibile riconoscere i nomi di Sillae del figlio di Pompeo. Il sito è molto suggestivo,con le alte pareti rocciose che si stagliano sullacosta marina ma è raggiungibile, e con una certadifficoltà, solo dal mare.

CRONOLOGIA DELL’ILLIRIA

22110000--11220000 aa..CC.. Età del Bronzo.11220000--445500 aa..CC.. Età del Ferro.662277 aa..CC.. Fondazione di Epidamno da parte diun contingente corinzio corcirese.558888 aa..CC.. Fondazione della colonia greca diApollonia.551166 aa..CC.. Cleostene di Durazzo vince con lagara con i carri ad Olimpia.443355 aa..CC.. Intervento dei Corciresi ad Epi-damno; inizia la Guerra del Peloponneso.IIVV sseecc aa..CC.. Monumentalizzazione dei centri illi-rici di Butrinto, Phoinike, Byllis.229977 aa..CC.. Pirro si insedia sul trono Molosso dirientro dall’esilio,222299 aa..CC.. I Romani dichiarano guerra al regnoillirico della regina Teuta lamentando gli atti di pira-teria illirici nell’Adriatico.116688 aa..CC.. Il re illirico Genzio si allea con FilippoV di Macedonia; vinto da L. Anicius Gallus è portato intrionfo a Roma. Fine dell’indipendenza illirica.114488 aa..CC.. L’Albania meridionale viene a farparte della Provincia di Macedonia114466 aa..CC.. Il proconsole di Macedonia GaioIgnazio sistema la via Egnatia.5599 aa..CC.. L’Albania a nord del fiume Mat di-venta Provincia dell’Illirico.4488 aa..CC.. Cesare porta il suo esercito in Epiroe assedia Pompeo a Durazzo.4444 aa..CC.. Augusto attende i suoi studi ad Apollonia.3311 aa..CC.. Ad Azio, vittoria navale di Augustocontro Cleopatra e Marco Antonio.3300 aa..CC.. Deduzione della Colonia AugustaButhrotum.4411--5544 dd..CC.. Scutari diventa colonia romana altempo di Claudio.224499 dd..CC.. Diventa imperatore Messio TraianoDecio, di origini illiriche.226688 dd..CC.. Aurelio Claudio II, imperatore illirico,respinge i Goti a Naissus.228844 dd..CC.. Diocleziano divide la regione in treprovince: Epirus Nova (cap. Durazzo), Epirus Vetus(cap. Nicopolis) e Epirus Pravalis (cap. Scutari).445500 dd..CC.. Valamiro, re dei Goti occupa Durazzo.552222 aa..CC.. Un disastroso terremoto distruggeDurazzo.VVII sseecc dd..CC.. Invasioni slave nei Balcani.661100--664411 dd..CC.. Sotto l’imperatore Eraclio gli Slavi

vengono sistemati in zone spopolate durante la rior-ganizzazione per “temi” dall’impero bizantino.11004433 dd..CC.. Prima attestazione storica del nomeAlbania di Michele Atalliate.11220044--11335588 dd..CC.. Despotato d’Epiro e guerre controSerbi e Bulgari.11335588--11339955 dd..CC.. Regno albanese della famiglia Thopia.11339955--11447744 dd..CC.. Regno albanese della famiglia Kastrioti.11444444 dd..CC.. Costituzione della lega dei popoli al-banesi a Lezhe sotto Skanderbeg.11446688 dd..CC.. Muore Skanderbeg.11447744--11447788 dd..CC.. Annessione alla Repubblica di Venezia.11447788--11991122 dd..CC.. Dominio ottomano.11991122 dd..CC.. Guerra di liberazione e costituzionedello stato indipendente albanese.

IIll ppiiaannttoo ddeellllee nniinnffee ddii PPaannIl culto delle ninfe ripropone un culto delle acquee delle sorgenti di età preistorica rielaborato dallaciviltà greca. Plutarco narra che il comandante diuna nave greca di nome Thamos, giunto in prossi-mità di Butrinto (la città illirica situata a sud diApollonia) sentì una voce che gli intimava di scen-dere sulla terra ferma per annunciare la morte diPan. Sbarcato e adempiuto il compito, udì levarsiuno straziante lamento; erano le ninfe di quei bo-schi che piangevano assieme la scomparsa del lorodio. Proprio a Butrinto, l’archeologia ha rivelato lapresenza di un pozzo sacro frequentato per secoli.In età romana una certa Iunia Rufina vi fece scol-pire una dedica in lingua greca in cui si definisce«amica delle ninfe». Le ninfe erano di casa anche ad Apollonia. Se-condo Plutarco, alla periferia di città vi erano pozzidi bitume fumanti presso cui veniva consultato unoracolo. Lo scrittore greco ricorda che i presagi ve-nivano ottenuti gettando dell’incenso presso lebocche delle fumarole e i responsi ricavati osser-vando se le fiamme carpivano o ignoravano l’esca.Su due argomenti l’oracolo non era però in grado

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EEsseemmppiioo ddii cchhiieessaa ddii eettàà bbiizzaannttiinnaa

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nascita nell’aldilà. I sacerdoti, terminatele operazioni di mummificazione, riconse-gnavano il corpo ai familiari che lo scor-tavano sino alla dimora per l’eternità. Unostrakon proveniente da Deir el-Medinane riporta testimonianza: “Lo scriba Piayed il giovane della Tomba, Mahuhy, alcapo operaio Neferhotep ed all’operaioPennub. Saluti. Ed inoltre: ora, cos’è ciòche tu hai detto: <Se qualcuno muore qui,andrete e vi informerete di loro?>. Forsequesto esclude il tuo uomo? Quest’uomoè morto nella casa di Horemheb, chemandò ad avvertirmi dicendo: <Harmoseè morto!>. Io andai con Mahuhy e ve-demmo che era così. E facemmo i prepa-rativi per lui e pagammo (l’incaricato)dicendo: <Abbi cura di lui veramentebene: noi stiamo occupandoci della (suasituazione)>. Faremo cantare le lamenta-zioni mentre…..”. L’unica notizia che co-nosciamo circa Harmose ci deriva dalregistro degli operai e riguarda la suamorte, avvenuta nell’anno di regno XL diRamesse II ed è probabile sia stato ilnonno dell’operaio Pennub; quel che ècerto è che gli imbalsamatori fecero delloro meglio per procurargli una degna se-poltura. La lettura di questi documenti cipermette di comprendere le motivazioniper cui per il defunto fosse allestito ilcorredo funebre comprendente oggettiper la vita quotidiana, cibi e bevande, og-getti che sarebbero stati utilizzati dal ri-nato defunto nell’aldilà. Nel periodo incui fu attiva la comunità di Pa demi, unavolta all’anno i parenti del defunto visita-vano la necropoli: nelle tombe tebane èfrequentemente descritto questo impor-tante avvenimento nel quale vivi e mortibanchettano insieme. La morte costitui-sce il traguardo finale per l’individuo, èvista con timore, ma anche con la consa-pevolezza della rinascita: diventa condi-zione imprescindibile per l’approdoall’agognata vita eterna, giungendo per-

sino a sconfiggere sé stessa come dimo-strano il succedersi delle stagioni e l’al-ternanza del giorno e della notte. Primadi descrivere le caratteristiche architet-toniche delle tombe tebane, oggetto dellatrattazione di questo articolo, occorre ac-cennare rapidamente all’evoluzione dellatomba egizia. Le prime sepolture avveni-vano mediante la deposizione del defuntoall’interno di una fossa, con un corredopiù o meno ricco a seconda dell’impor-tanza del personaggio. Un esempio civiene offerto da una sepoltura espostanel Museo Egizio di Torino, Cat. S. 293,databile al Periodo Predinastico, epoca diNaqada (4500-3100 a.C.), di un uomoadulto: il corpo è disteso sul fianco de-stro in una posizione definita “del dor-miente”, circondato dal suo corredofunerario. Già a partire dalle prime dina-stie la tomba divenne “monumentale”,con la costruzione delle cosiddette ma-stabe6. Inizialmente erano costituite dauna fossa rettangolare nella quale il de-funto veniva deposto all’interno di unsarcofago. Sopra di essa era in seguitocostruita una struttura di quattro muri inmattoni crudi delimitanti il periplo dellafossa stessa. Generalmente alle dueestremità della parete occidentale eranoposizionate due nicchie rettangolarinelle quali erano poste le offerte per i de-funti. Quasi sicuramente lo spazio che siveniva a creare davanti alle due nicchieera delimitato da un muro, giungendo intal modo a formare un cortile utilizzatoper la cerimonia delle offerte. Talvoltail cortile era dotato di una copertura,formando una vera e propria cappellafuneraria. L’intera costruzione venivaintonacata di bianco ad eccezione dellenicchie, dipinte di rosso. Questa tipologiadi tomba è documentata sino alla finedell’Antico Regno: esempi se ne possonovedere nel già citato museo di Torino, conla mastaba di Iteti (S. 1843), databile tra

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6 Mastaba è un termine che deriva dall’arabo dalsignificato di panca.

I mattoni del muro di cinta con stampigliato il nome di Thutmosi I12

Un elemento molto importante per la vita di un antico egizio era la tomba: proprio per questomotivo per la sua costruzione si utilizzavano materiali non deperibili allo scopo di farla durareper l’eternità. Grazie a ciò, a differenza delle abitazioni, molte sono le tombe pervenute più omeno intatte sino ai nostri giorni. Tutti questi ritrovamenti hanno permesso di studiarne l’evo-luzione architettonica e stilistica, almeno per quanto concerne le sepolture dei sovrani o co-munque dei personaggi di rango; per l’uomo comune infatti si è sempre ricorso all’utilizzo diuna fossa scavata nel terreno, salvo poche eccezioni. Durante l’intera esistenza ci si preparavaal momento del trapasso cercando di compiere azioni meritevoli come prestare servizio al tem-pio, effettuare lavori per il faraone o semplicemente mantenendo una condotta retta e virtuosa.In molti testi letterari è presente il monito ad allontanare il peccato1 dalla propria vita: bastipensare alla confessione negativa del capitolo CXXV del “Libro dei Morti”, oppure all’ “Inse-gnamento per Meri-Ka-Ra”, un testo nel quale un sovrano della dinastia eracleopolitana si ri-volge al figlio dicendogli: “…..Quando una persona sopravvive dopo la morte, le sue azioni glisono presso come un mucchio. E’ l’eternità, invero, il restar là, e stolto è colui che vi si ribella.Ma quanto a colui che vi giunge senza peccato egli sarà là come un dio e muoverà liberamente,come i Signori dell’eternità. Arricchisci la tavola d’offerte, aumentane i pani…..E’ una cosa utileper chi lo fa……Dio è riconoscente in relazione a quel che si fa per lui….”2. Ad uno sguardo su-perficiale la civiltà egizia potrebbe apparire assillata dall’idea della morte; in realtà l’uomo egi-ziano apprezzava la vita ed era molto gioioso: all’interno delle stesse tombe compaiono infattitesti che incitano al godimento della vita, come nel “canto dell’arpista” della Tomba di Inerkha(TT359)3. Per l’egizio la tomba non è il luogo dell’eterno riposo, ma la dimora per la nuova vitadalla durata illimitata: nell’ “Insegnamento di Hergedef”, un testo del genere sapienziale da-tabile all’Antico Regno4, si legge: “…..Fa’ eccellente la tua dimora della necropoli, e fa’ perfettala tua sede dell’Occidente. Adotta questa regola perché la morte per noi è scoraggiante; adottaquesta regola perché per noi la vita è esaltante. La casa della morte serve alla vita….”5. Questoconcetto è ripreso anche nella tomba di Ramose, la TT55, visir sotto Amenhotep IV: “Io arrivaiin pace presso la mia tomba, con il favore del Dio Buono. Io feci il volere del Re in ogni mo-mento, io non ignorai nessun ordine mi venne comandato, io non ingannai la gente. In tal modopotei guadagnare la mia tomba ad Occidente di Tebe”. La cerimonia funebre era molto com-plessa e tutte le azioni compiute erano regolate da precise norme, conosciute dai sacerdoti, perconsentire al defunto di riacquisire tutte le sue caratteristiche vitali permettendogli così la ri-

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il villaggio operaiodi deir el-medinaAbitazione terrena ed abitazione perl’eternità (seconda parte)di Alessandro Rolle

1 Il peccato non era visto secondo la concezione cristiana,ma come una comportamento stolto.2 “Testi religiosi egizi”, a cura di S. Donadoni, pgg. 101-104.3 Di questa tomba parleremo dettagliatamente in una delleprossime uscite.4 Hergedef fu uno dei figli del sovrano Cheope e compose

l’opera per suo figlio Auibra. Godette di grande fama sinoall’età ramesside. E’ considerato l’autore del capitolo XXXdel Libro dei Morti.5 “Letteratura e poesia dell’antico Egitto”, E. Bresciani, pg. 36.

abitazione per l’eternità

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fioritura dell’arte, della letteratura, dell’archi-tettura e della scultura dell’intera storia egi-zia. Dal punto di vista funerario si assistette aquella che, sebbene impropriamente, si consi-dera una “democratizzazione” dell’aldilà. Sefino a quel momento la vita nell’oltretombaera prerogativa solamente del sovrano, oratutti coloro che potevano permettersi unadegna sepoltura erano in grado di accederealla vita eterna. Anche nelle tombe dei privatibenestanti cominciarono ad apparire testimagici, scritti all’interno dei sarcofagi10, perproteggere la mummia: tali testi vengonochiamati “Testi dei Sarcofagi”, e si ispiravanoa tradizioni locali. Ad esempio, nel capitolonumero 311 si legge: “ O Osiri N.N., prenditi iltuo bastone, la tua stoffa, i tuoi sandali ac-ciocché tu possa scendere al tribunale e siagiustificata la tua voce contro i tuoi nemici ele tue nemiche, secondo quel che ha fatto lagente nei tuoi riguardi. Quel che essi fanno èun render giustizia in tuo cospetto in questobel giorno nel tribunale12”. La tomba ora di-viene rupestre e le pareti interne sono rico-perte di scritte in caratteri geroglifici che siriferiscono ad argomenti vari: dalla tipica for-mula di offerta funeraria sino al genere lette-rario che si forma in questo periodo:l’autobiografia. In una di queste, quella diKheti13, possiamo leggere: “……Io facevo vi-vere la città, ero un contabile nel consumoper il grano del nord, uno che dava l’acqua amezzogiorno per radunare nel paese del de-serto. Feci un canale per questa città, mentrel’Alto Egitto era in difficoltà e non c’era nes-suno che avesse visto l’acqua. Io chiusi i con-fini……….feci che il Nilo inondasse le zonedesolate…Condonai tutte le tasse e tutti i tri-buti che avevo trovato qui prescritti dai mieiantenati. …..Assiut era contenta sotto la miadirezione…..14”. La tomba rupestre è costituitada una cappella scavata nella roccia dallaquale, attraverso un pozzo o una rampa, si

giunge alla cripta. Non è più presente il ser-dab dell’Antico Regno, ora le statue del de-funto sono posizionate nella cripta stessa. Gliscavi archeologici hanno restituito tre tipolo-gie di tombe rupestri: cruciformi, quelle piùantiche; a squadra, sino alla fine del MedioRegno, consistenti in un solo locale che correparallelo alla facciata, suddiviso in navate dapilastri tagliati nella roccia, con il luogo diculto posizionato sulla parete di fondo; longi-tudinali, dal Nuovo Regno in poi, composte dauno o più vani collocati in asse con l’entrata; ivani sono sorretti da pilastri, il luogo di cultoè ancora sulla parete di fondo, con l’aggiuntaora di una stele. Un esempio di tomba rupe-stre proviene dal sito di Assuan, la tomba deicancellieri del re Mekhu e Sabni, padre e figlio,durante il regno di Pepi II della VI dinastia.

Dopo questo sintetico excursus sulle princi-pali tipologie di tombe è il momento di par-lare di quelle tebane, con particolarerifermento agli ipogei degli operai di Pa demi.Costoro, addetti alla costruzione dei sepolcridella Valle dei Re e delle Regine, nel tempolibero si occupavano delle loro tombe. Questeerano di modeste dimensioni e decorate a

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10 Un esempio di questi testi è custodito nel Museo Egiziodi Torino, il sarcofago di Iqer (S. 15744/01 ), databile alMedio Regno.11 Nella numerazione di A. De Buck ne: “The Egyptian Cof-fin Text”.12 “Testi religiosi egizi”, a cura di S. Donadoni, pg. 114.13 Governatore di Assiut nella IX-X dinastia.

14 “Letteratura e poesia dell’antico Egitto”, a cura di E. Bre-sciani, pgg 82-83.

2. La tomba di Mekhu e Sabni

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la Terza e la Quarta Dinastia, 2680-2140a.C., nella piana di Giza e nel complessodi Saqqara, con la cosiddetta mastaba deiDue Fratelli, edificata nella V Dinastia edappartenente a Niankh-Khnum e Khnum-Hotep. Nella foto è evidenziata la scenadella nascita di un vitellino.Mentre i privati venivano deposti in questotipo di tombe, i sovrani iniziarono ad essereseppelliti in grandiose piramidi. La prima diqueste, utilizzata per la sepoltura del re Zoserdella Terza Dinastia, fu progettata dall’archi-tetto Imhotep. La piramide, la più antica inpietra ad oggi conosciuta, venne costruita so-vrapponendo una sull’altra sei mastabe di di-mensioni decrescenti. L’apice di questosistema di sepoltura venne raggiunto nella di-nastia successiva con le piramidi di Snefru esoprattutto con quella di Cheope, nella pianadi Giza, l’unica delle sette meraviglie dell’anti-chità ancora esistente. Se dal punto di vistaarchitettonico queste piramidi rimasero insu-perate fu nella Quinta Dinastia, durante ilregno dell’ultimo sovrano Unis, che sulle pa-reti della camera sepolcrale iniziarono ad ap-

parire le prime iscrizioni a carattere magico-religioso che andarono a formare i cosiddettiTesti delle Piramidi7, che si rifacevano alla tra-dizione eliopolitana. Si trattava di formule“magiche” per permettere al re di proseguireil suo viaggio nell’aldilà evitando tutti i possi-bili pericoli. Nella formula 2518 si legge: “Direle parole: O Voi che soprintendete all’oraprima di Ra, fate la via ad Onnos, affinchèOnnos passi attraverso il posto di guardia diQuelli dal volto minaccioso……. Onnos ha le-gato i condannati, ha colpito Onnos la lorofronte. Non è impedita la mano di Onnosnell’orizzonte”9. Sin dall’epoca predinastica letombe reali o dei capi villaggio si distingue-vano per le maggiori dimensioni rispetto aquelle dei privati: con la piramide si raggiungeil culmine di questa consuetudine. Verso il ter-mine dell’Antico Regno l’amministrazione sta-tale iniziò ad entrare in crisi: ciò portò ad unaframmentazione dello Stato, con tutta unaserie di principi locali che, in taluni casi, si at-teggiavano a veri e propri monarchi. A questafase, denominata Primo Periodo Intermedio,seguì il Medio Regno, il periodo di maggior

7 Tali testi erano già in uso in precedenza ma soltantosotto forma orale.8 Questa numerazione è quella proposta da K. Sethe nelsuo “Die altaegyptischen Piramidentexte”.

9 “Testi religiosi egizi”, a cura di S. Donadoni, pg. 19.

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1. La mastaba dei Due Fratelli

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questa simbologia parrebbe rifarsi al capitoloI del Libro dei Morti, nel quale si legge: “Iniziodei capitoli dell’uscire di giorno, della celebra-zione e glorificazione, dell’uscire e calarenella necropoli. E’ una cosa utile nel bell’Occi-dente, che si dice il giorno del seppellimento,dell’entrare dopo l’uscire……17”. Per assicu-rarsi la benevolenza degli dei, numerosi innierano scritti sulle pareti. La costruzione diuna tomba richiedeva numerosissima mano-dopera18: oggigiorno siamo a conoscenzadelle tecniche costruttive grazie alle sepol-ture reali ed ai progetti19 pervenutici che te-stimoniano, tra l’altro, l’eccezionale maestriaraggiunta dagli egizi del tempo. Confron-tando infatti il progetto su papiro con l’effet-tiva esecuzione della tomba scopriamo chequesta si discosta di pochissimo dalla plani-metria prevista. Pur non essendocene perve-nuti è praticamente certo che anche per letombe private esistessero progetti similari.Quasi tutte le tombe tebane, come quelle diPa demi, presentavano vivaci colori: essendol’egizio molto legato alle simbologie, ogni co-lore aveva un diverso significato. Il nero è ilcolore della terra bagnata dal limo del Nilo edel mondo dell’oltretomba: Osiride è spessoritratto con la pelle nera. Il bianco è il simbolodella purezza: nelle pitture erano infatti glistranieri ad indossare abiti dai molteplici co-lori. Invece il rosso è utilizzato per rappresen-tare la cattiva sorte e la paura più profonda:il deserto è di questo colore. A volte il simbolodel Basso Egitto, la corona rossa, viene raffi-gurato dipinto di verde, per evitare che il co-lore rosso possa nuocere al defunto. Il verdesimboleggia la rinascita: Osiride è spesso raf-figurato così. Il blu è il colore del dio Amon: ditale colore spesso sono parrucche e barbedelle divinità. Il giallo è il colore dell’immor-talità. Per convenzione, nelle pitture, l’uomo èritratto di colore scuro, mentre la donna di co-lore chiaro: questo perché l’uomo opera al-l’aria aperta, invece la donna, essendo lasignora della casa20 si occupa delle faccendedomestiche. Le raffigurazioni tombali subi-rono profondi cambiamenti, seguendo il va-riare della società. Nell’epoca ramesside,epoca che ci ha offerto il maggior numero di

ipogei, diminuiscono le scene di vita quoti-diana a vantaggio di quelle legate all’aspettofunerario. Nell’uomo egizio, infatti, si è instau-rato un certo timore della morte, come si puòrilevare dalla comparsa sulle pareti delletombe di formule magiche tratte dal Libro deiMorti. Si assiste ad un certo ritorno ai temidell’Antico Regno, anticipando in parte la di-nastia XXVI: nelle iscrizioni tombali si esclu-dono tutti i segni che potrebbero arrecaredanni al defunto e ciò vale anche per quantoriguarda i faraoni. Il sovrano Sethi, nello scri-vere il proprio nome, non utilizza il pericolosoanimale che rappresenta Seth, ma un animaleinnocuo. Il malvagio serpente Apopi vieneraffigurato con pugnali conficcati nel corpo,come nella già citata tomba dell’operaio In-herkha (TT359), per impedirgli di nuocere inalcun modo. Gli ipogei degli operai sono situati su una col-lina nel lato meridionale del villaggio. Letombe erano di proprietà degli abitanti e,come le abitazioni, potevano essere oggettodi eredità e di vendita; nessun ipogeo o sup-pellettile risulta essere un dono del faraonesalvo poche eccezioni. Tra queste la tombaTT8, appartenuta al sovrintendente dei lavoriKha, rinvenuta intatta nel 1906 da ErnestoSchiaparelli e i cui reperti costituiscono unadelle più importanti sezioni del Museo Egiziodi Torino. Ben presto la collina utilizzata per le sepol-ture divenne interamente costellata di ipogei:ciò causò la costruzione di alcune tombedalla forma inconsueta allo scopo di evitarnealtre precedenti. Il numero crescente di sepol-ture contribuì a far nascere la piaga dei furtial loro interno, perché le operazioni di con-trollo si facevano sempre più complesse.Spesso accadeva che durante i lavori letombe venissero casualmente riaperte: nelcaso non risultasse nessuna sepoltura al suointerno, ne diventava proprietario colui chel’aveva aperta. Dalla lettura di ostraka e papiriapprendiamo di una vera e propria “lotta” peraccaparrarsi tombe vuote: è divertente imma-ginare ad esempio Pabak, probabilmente unoperaio, introdursi nella tomba con estremacircospezione alla debole luce di una torcia,

17 ”Testi religiosi egizi”, a cura di S. Donadoni, pg. 155.18 Nel prossimo numero si tratterà delle tecniche costrut-tive e della manodopera utilizzata.

19 Uno di questi, in duplice copia, è esposto nel MuseoEgizio di Torino: si tratta della tomba di Ramesse IV.20 nbt pr

tempera, situate sui versanti rocciosi dellecolline tebane. La maggior parte di quellepervenutaci sono di epoca ramesside es-sendo consuetudine degli operai occupare eriadattare tombe più antiche. La loro piantaè notevolmente differente daquella tebana classica. Nellasponda occidentale del Nilo, aTebe, sono state riportate allaluce una notevole quantità disepolture, perlopiù databili trala XVIII e la XXII dinastia nonmancandone comunque unapiccola quantità risalenti adepoche precedenti. Tutte letombe tebane sono rupestricon una struttura pressochéidentica l’una all’altra.

Nel disegno15 è evidenziata latomba tipo, che in taluni casipoteva comunque subire va-riazioni: un cortile aperto diforma rettangolare, con le pa-reti in pietra o mattoni, è rica-vato nella roccia. L’ingresso almonumento, situato sempread oriente, è posto in un murodi cinta costruito dinanzi alcortile aperto. Sul lato occi-dentale del cortile si trova l’in-gresso alla tomba vera epropria. Si può dire che questastruttura architettonica rap-presenti il percorso che il de-funto compiva da oriente,luogo della vita, ad occidente,luogo della morte. Ai lati dell’ingresso spessotroviamo delle stele nelle quali il defunto è inatteggiamento da orante oppure ha dinanzi asé il banchetto funerario. Chiudeva il monu-mento funebre una piccola piramide in mat-toni eretta sopra le camere funerarie.Purtroppo buona parte di queste piramidisommitali sono andate perdute; per cono-scerne l’aspetto esatto ci vengono in soccorsole pitture tombali che le riportano fedel-mente. Superato il cortile aperto si accedevaalla sala trasversale nella quale i parenti deldefunto si intrattenevano in occasione delle

feste ed i cui testi geroglifici, spesso ancoraleggibili, costituiscono invocazioni ai viventi.Lasciata questa sala, che può essere conside-rata come il salotto presente in una casa pri-vata, e percorso un corridoio, si entrava nel

luogo di culto, la cappella,contenente le statue del de-funto. Da questa sala sigiungeva, attraverso una ri-pida rampa, alla stanza delsarcofago, l’unica non piùaccessibile dopo la deposi-zione del feretro. General-mente la camera funeraria èpriva di decorazioni, salvopoche eccezioni come nelletombe di Deir el-Medina enella tomba di Sennefer16

(TT96). Tornando in superfi-cie la “sala trasversale” eradecorata da scene di vita la-vorativa, di vita agreste, dicaccia, pesca e da momentidi divertimento: insomma divari aspetti della vita quoti-diana del defunto. Per lepersonalità di spicco pressola corte reale, ad esempioun visir, erano raffigurate leattività principali, come iltrasporto di una statua re-gale o l’organizzazione di unviaggio fluviale. E’ anchegrazie allo studio di questepitture che la nostra cono-scenza della vita quotidianadegli antichi egizi è così ap-

profondita. Nella successiva sala lunga sonostate trovate scene inerenti importanti mo-menti del funerale: la sepoltura, il giudizio deltribunale osiriaco, il rituale dell’apertura dellabocca ed il pellegrinaggio ad Abido. Nell’ul-tima sala accessibile ai parenti, la cappella,venivano dipinte immagini con il defunto oseduto davanti alla tavola imbandita, in ge-nere in compagnia dei suoi familiari, oppurein attesa di ricevere offerte. Sulle porte interne dell’ipogeo il proprietariodella tomba è ritratto da un lato mentreentra, dall’altro mentre esce dal sepolcro:

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15 “Vita e morte nell’antico Egitto”, Hodel-Hoenes, pg. 16. 16 Sennefer fu sindaco di Tebe ai tempi di Amenhotep II.

3. Pianta tipica tomba tebana

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ed infine il naos, il fulcro vero e proprio dellatomba. Anche in questo caso è edificata unapiccola piramide in mattoni crudi il cui pyra-midion, calcareo od in arenaria, era alto in-torno ai 50 centimetri e decorato con sceneinerenti al culto solare. E’ interessante notarecome l’uso di una struttura piramidale in am-bito funerario fosse ancora in uso tra gli ope-rai più abbienti, mentre i sovrani già l’avevanoabbandonata.

Nella foto 6 è riprodotto Ramose che, in at-teggiamento da orante, rivolge preghiere aldio Ra23. Sulla cuspide parecchie erano le te-

matiche raffigurate: l’imbarcazione di Hara-khti, le amadriadi che adoravano il sole na-scente, la vacca Hathor che ingloba tra lecorna il disco, il traino della barca da partedegli sciacalli “sabu”, lo scarabeo alato. Tal-volta, sebbene raramente, è anche riprodottoil banchetto funebre. Ogni lato del pyramidionpresenta in alto la raffigurazione solare, inbasso testi ed immagini afferenti il defunto.Anche per questa tipologia di tombe la stanzadel sarcofago era raggiungibile per mezzo diun pozzo profondo fino a 6 metri, protettonella parte superiore da una lastra di pietra,nella parte inferiore da una porta in legno24

chiusa da un chiavistello.

Il pozzo era collocato nella maggior parte deicasi nella parte destra, considerata la parterelativa al dio Osiride, oppure al fondo delcorridoio in prossimità dell’eventuale nicchiacontenente la statua del “Primo degli Occi-dentali”. Le tombe dipinte finora ritrovate sono 53: di

23 dwA ra Dua Ra, pregare Ra. Si legge all’inizio del primoregistro.

24 La porta della tomba ricalcava fedelmente quella delleabitazioni.

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5. Cappella di Kha (TT8)

6. Pyramidion di Ramose“© Fondazione Museo Antichità Egizie di Torino – riprodu-zione vietata”

7. Porta della tomba dell’architetto Kha“© Fondazione Museo Antichità Egizie di Torino – riprodu-zione vietata”

giungere dinanzi al sarcofago contenete unadonna e, dopo aver lanciato nervose occhiateper accertarsi di essere solo, prendere lamummia della defunta e gettarla fuori inmodo da potersi dichiarare proprietario dellatomba. Particolare ancora più buffo è chequesta tomba, dalla lettura del papiro, par-rebbe appartenere anche all’autore del cri-mine contro la mummia della povera donna:una tomba bifamiliare, praticamente! Ma leg-giamo la descrizione dell’accaduto, riportatasu due papiri “gemelli”21, esposti uno al Bri-tish di Londra, l’altro nel museo di Berlino:“L’operaio Amenenope dice…..Egli diede latomba di Amenmesu a mio padre Hay in dotepoiché Hel, mia madre, era sua figlia carnaleed egli non aveva figli maschi e le sue strut-ture erano abbandonate…..XXI anno, I mesedi shemu, VII giorno, sotto Ramesse III. In que-sta data ispezione….per il pozzo presentenella tomba dell’operaio Khaemnu, hannorilevato che anche il pozzo nella tombadell’operaio Amenenope era statoaperto……Quando il luogo fu ispezionato vi sitrovò un sarcofago dipinto, sul quale non erascritto alcun nome……Il tribunale era compo-sto…….Quanto segue (l’operaio Amenenopedice): l’abitazione di Amenmesu appartiene ame, la sua tomba, per la quale Pabak è incol-pato appartiene altrettanto a lui. Egli (Pabak)però ha gettato una donna (defunta) dellamia famiglia fuori dalla tomba di mio

padre….”. Le tombe di Deir el-Medina si suddividono indue tipologie: quelle dotate di cappella rupe-stre e quelle con cappella in muratura.Nel modellino, che riproduce in elevato ed inspaccato le tombe 290 di Arinefer e 291 diNakhtmin, è ricostruita una tipica tomba do-tata di cappella in muratura: dietro un in-gresso a pilone, costruito nella parte orientaledi un muro di cinta intonacato ed imbiancato,era presente un cortile di forma rettangolarenel quale, dirimpetto al pilone d’ingresso, eraeretta sul terreno o su una piattaforma in mu-ratura una piccola piramide in mattoni crudi,sormontata da un pyramidion. Nella strutturadella piramide era collocata una cappella, apianta rettangolare, costruita anch’essa inmattoni crudi e con il soffitto a volta. Questaera decorata con scene relative ai funerali edal culto di alcune divinità: le tombe degli ope-rai di Deir el-Medina sono le uniche a presen-tare la cappella decorata. Quasi sempreall’interno della cappella era posta una stelecon iscritti inni in onore del primo degli Occi-dentali, Osiride. La tomba vera e propria era celata22 da unpozzo scavato all’interno del cortile stesso,profondo 5 o 6 metri oppure da una ripidarampa discendente. Nei sotterranei potevanoesserci due o tre camere decorate a tempera:in alcuni casi solo l’ultima stanza veniva de-corata. La tomba dotata di cappella rupestre non dif-feriva sostanzialmente dalle altre: veniva co-struita nel caso in cui l’architetto (possiamobenissimo immaginare l’architetto Kha in-tento a dare consigli a qualche operaio impe-gnato nei lavori per la propria tomba) nonavesse a disposizione abbastanza spazio percortile e cappella. Un piccolo cortile, in ognicaso presente, terminava contro la paretedella montagna tebana, adattata in modo dafungere da facciata della cappella sui cui latierano collocate statue e stele in onore del de-funto. In questo tipo di tombe la pianta dellacappella presentava un breve corridoio d’en-trata, una piccola sala, un secondo corridoio

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21 Pap. Berlin 10496 e Pap. BM5624.22 Questo tentativo di nascondere il sepolcro si è però di-mostrato vano: infatti i ladri, già in epoca ramesside, fe-

cero visita più volte alle tombe, depredandole. Di questo,e dei relativi processi, parleremo in una delle prossimeuscite.

4. Modello delle tombe di Arinefer e Nakhtmin.“© Fondazione Museo Antichità Egizie di Torino – riproduzionevietata”

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queste solo sei risalgono alla XVIII dinastiaa causa del riuso delle tombe più antiche. Itemi di questa ricca pinacoteca testimo-niano la convinzione che gli uomini del vil-laggio avevano della loro rinascitanell’aldilà: si tratta di passi tratti dai libridell’oltretomba, principalmente il Libro deiMorti, senza però trascurare riferimentialla vita quotidiana. La tematica tratta dalrituale del Libro dei Morti è una peculiaritàdelle tombe di Pa demi: in nessuna altra ne-cropoli tebana infatti compare. Nelle lorotombe personali gli operai potevano abban-donare lo stile convenzionale per lasciarsiandare a raffigurazioni anche umoristiche,come ad esempio due operai in lite tra lorooppure, nella TT217, un pescatore, visibil-mente alterato, colto mentre lancia impre-cazioni verso un suo collega. In una scenadi un’altra tomba ecco che un mazzuolo, aprima vista molto pesante, cade sui piedi diun operaio che, nel lamentarsi, si porta lemani alla testa con un gesto molto natu-rale. In alcune tombe si percepisce unacerta immediatezza di espressione moltorara nella pittura ufficiale ma molto co-mune negli ostraka, diffusissimi nel villag-gio . Si trovano spesso scene di lavoro nellequali sono ricchissimi i particolari. A livellostilistico e tecnico si tratta di raffigurazioninon eccelse, ma denotano il carattere deglioperai del villaggio. Secondo Plinio il Vec-chio “gli Egizi hanno inventato moltotempo prima dei Greci la pittura, partendodall’ombra dell’uomo delimitata da linee”.Con il passare del tempo le pitture nelletombe divengono meno accurate, sino adarrivare alla trascuratezza di quelle dellaparte finale della XX dinastia, nelle quali sigiunge anche ad abbandonare il rivesti-mento in stucco posto sulle pareti: il coloresulle figure diviene troppo evidenziato, ilcorpo si appesantisce, ed i profili diven-gono meno nitidi. Senza entrar nel merito della disputa filo-logica occorre menzionare almeno due dif-ferenti modi che l’egizio del periodoutilizzava per esprimere il termine tomba:

xr e st-mAat. Il primo è attestato in pa-

recchi documenti, tra i quali uno si riferisceal sovrano Akhenaton che dichiara: “Dovràessere fatta per me una tomba ( ) nellemontagne orientali di Amarna ed il mio se-polcro sarà lì…..”26. La parola non è maiutilizzata per indicare la tomba privata: ilsuo utilizzo pare indicare solo le tombereali o comunque della famiglia reale. Unicaeccezione finora trovata è il riferimento, suuna stele, alla di Apis, visir ai tempi diRamesse II. Circa l’espressione se ne co-nosce un’attestazione già nel Libro deiMorti, nel capitolo CXXV, databile al Se-condo Periodo Intermedio.

AALLEESSSSAANNDDRROO RROOLLLLEE

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Cerny: A Community of workmman at Thebesin the Ramesside PeriodDavid: I costruttori delle piramidiDonadoni: Testi religiosi egiziBresciani: Testi religiosi dell’antico EgittoBresciani: Letteratura e poesia dell’anticoEgittoTosi-Roccati: Stele ed epigrafi di Deir el-Me-dinaVari: Gli artisti del faraoneGardiner: Egyptian grammarTosi: Deir el Medina. Amenhotep I e gli artistidel faraoneCapriati Vitozzi: Deir el-Medina. Il villaggiodegli artisti delle tombe regali a TebeVari: Vedute sull’Egitto antico. Annuario IV-VVari: Serekh. L’antico Egitto e noiWeeks: I tesori di Luxor e della Valle dei ReBarocas: L’antico EgittoKitchen: Il faraone trionfante. Ramesse II e ilsuo tempoTosi: La cappella di Maia. Un pittore a Deir el-MedinaHodel-Hoenes: Vita e morte nell’antico EgittoTosi: Dizionario Enciclopedico delle Divinitàdell’Antico EgittoLeospo-Tosi: Vivere nell’antico EgittoVari: Serekh. L’Egitto tra storia e letteraturaBadawy: A history of Egyptian architecture

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L'autore davanti alla cappella di Kha

BBIIBBLLIIOOGGRRAAFFIIAA

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25 Di questi ostraka parleremo in un futuro articolo.26 Davies, “The Rock Tombs of el Amarna”.

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di proprietà Bocchio, proprio all’angolo travia Derna e via Massaua3, per non parlaredell’altro importante deposito ritrovato du-rante gli scavi presso il “boschetto dei pla-tani”, ove ora sorge il monumento ai cadutiin piazza C. Battisti e di cui già Padre LuigiBruzza4 dava notizia. L’elenco dei ritrova-menti locali sarebbe ben lungo ed onerosoper i nostri intenti, ma già solo questiesempi mostrano quale ruolo possa svol-gere una simile scoperta in un contesto dital genere.

Purtroppo non possiamo esimerci dal no-tare come, nel nostro Paese, l’impiego diarcheologi a sorvegliare l’apertura di nuovicantieri edilizi venga vissuta troppo spessocome un intralcio ai lavori e agli interessidelle varie parti in causa. E’ innegabile chei lavori subiscano battute d’arresto e ritardinelle consegne per permettere di eseguireinterventi specifici sui reperti, ma ciò non èsufficiente a giustificare l’indifferenza o,ancor peggio, la volontaria noncuranza. Sispera vivamente, a questo proposito, che

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Si sa che la costruzione di nuove opere edilizie, quale che sia la loro funzione, porta consé la possibilità di scoprire tracce di un passato più o meno remoto. Una realtà partico-larmente diffusa in un territorio come quello italiano, tanto più se dette costruzioni avven-gono in città che possono vantare una storia ed un’importanza notevoli. Eppure, quandociò avviene, si continua a rimanere sorpresi, colpiti, affascinati e purtroppo a volte ancheinfastiditi. E’ questo il caso di Vercelli, città del Piemonte Orientale tra le più antiche edimportanti del Nord-Italia, che poco più di un anno fa ci ha donato l’ennesimo puzzle perricostruire un altro pezzo di storia dell’antica Vercellae: nell’estate del 2012 prendevanol’avvio allo Stadio Comunale “Silvio Piola” (ex “Leonida Robbiano”1) i lavori per il primo“Museo dello Sport” cittadino, all’angolo tra via Derna e via Massaua; un progetto apprez-zabile da diversi punti di vista ma la cui realizzazione, all’atto pratico, è andata a scon-trarsi con preziose evidenze archeologiche. Da allora, sui giornali locali è possibile leggere con una certa regolarità notizie e sviluppisu ciò che è ormai noto come “l’opificio romano di Vercelli”, di cui al momento sembra cir-colare un’unica immagine ed è la sola ch’è possibile mostrare (Foto1). Gli archeologi, tut-tora al lavoro, hanno recuperato dal sito moltissimi frammenti di anfore, forme per laceramica, ceramica comune e fine (verosimilmente sigillata gallica e ceramica a paretisottili) e frammenti di vetri. Le strutture murarie, inoltre, indicano la presenza di un im-pianto produttivo con vasche di decantazione e ambienti per la lavorazione del vasellamee delle anfore, il tutto databile fra I e III secolo d.C. Sembra siano stati portati alla luceanche numerosi bolli. Il materiale scavato è stato altresì sistemato in un deposito comu-nale e, dopo lo studio ed i restauri del caso, potrà infine essere esposto. Innegabilmente si tratta di un vero e proprio tesoro per l’archeologia, anche se non rife-ribile a strutture sontuose o con ruoli importanti nel senso comune del termine. Grazie airitrovamenti, infatti, è possibile far luce in modo ancor più completo sul quadro delle at-tività produttive non solo limitatamente al contesto cittadino ma anche a livello regionale.Inoltre, la scoperta di tali strutture spiega la grande ricchezza di anfore ritrovate nel 1930durante gli scavi per la costruzione dell’allora nuovo campo sportivo L. Robbiano, in unazona della città che, per altro, è sempre stata particolarmente generosa di materiali ce-ramici ed anforacei2. Medesime scoperte furono infatti effettuate alla fine degli anni ‘70dal Gruppo Archeologico Vercellese durante alcuni lavori eseguiti nel giardino della villa

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vercelli. la città romana ed il museodello sportdi Margherita Guccione

FFoottoo 11 -- RRiittrroovvaammeennttii dduurraannttee ggllii ssccaavvii ppeerr iill MMuusseeoo ddeelllloo SSppoorrtt.. FFoottoo ttrraattttaa ddaa LLaa SSeessiiaa ddeell 2222..0011..22001133

1 Aviatore e pioniere dell'aeronautica Militare, al quale lostadio fu intitolato subito dopo l’inaugurazione.2 S. BELTRAME - S. GAVIGLIO, Vercelli antica. Carta dei ri-trovamenti archeologici di epoca protostorica e romana delterritorio comunale, Edizioni del Gruppo Archeologico Ver-

cellese, Vercelli 1999, p. 133, scheda n° 140.Notizia riportata anche da GUALA FORTUNATO, Vercelli ro-mana, Dissertazione di Laurea in Lettere, Facoltà di Letteree Filosofia Università di Torino, 1938 (Archeologia, Prof. G.Bendinelli)

3 Ibidem, p. 133, scheda n° 141.

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di conoscenze tecniche adeguate. Tuttavia, èpalese che le potenzialità sono decisamentepiù vaste ed estendibili in particolar modo asituazioni come quella riscontrabile a Vercelli.E’ una vetrina espositiva che, per quanto vir-tuale, eviterebbe di lasciar marcire senza al-cuna possibilità un gran numero di reperti indepositi e magazzini in attesa di una teca, unastanza o sostegni economici. La stampa localeha iniziato ad interessarsene8 e noi crediamodavvero che sia un mezzo consono a darenuova vita a ciò che merita di essere ammi-rato, compreso e contestualizzato. Che la spinta fondamentale per questo pro-getto possa partire dalla nostra stessa città,che così tanto ne ha bisogno - in attesa chevenga dotata di strutture adeguate, sarebbedavvero un grande onore. Non possiamo nonessere d’accordo con quanto riportato a chiu-sura della suddetta petizione: “Non c’è futuro,non c’è cultura, non c’è turismo per una cittàche cancella la propria memoria”.

MMAARRGGHHEERRIITTAA GGUUCCCCIIOONNEE

8 Articolo de “La Sesia”, 03 luglio 2013:http://www.teses.net/rassegna-stampa/progetto-mol-un-museo-on-line-alla-portata-di-tutti/

Recensione su La Terza Pagina, blog giornalistico di attua-lità: http://www.teses.net/rassegna-stampa/progetto-mol-museo-on-line/

ciò che la foto mostra, ossia tessiture mu-rarie del tutto divorate, non sia riconducibile ad intenti di questo genere,assai poco corretti edonorevoli per chiunquedei coinvolti. Mentre,dunque, proseguono ilavori sui resti si sonosollevate numerose po-lemiche ed interroga-zioni da parte deipolitici: chi si lamentaper lo slittamento dellaconsegna del Museo echi, invece, si preoc-cupa che le strutturevenute alla luce nonvengano distrutte e ri-mosse. Il progetto delMuseo e del Palazzettodovranno essere inevi-tabilmente rispettati,ma ciò non escludeche lo si possa fare ap-portando qualche pic-cola modifica chepermetta di preser-vare e, anzi, renderefruibile in primis allacittadinanza, già pri-vata in altre circo-stanze della possibilitàdi godere della propriastoria e cultura5, quantoscoperto. E’ per questo ch’è nata alla finedi luglio una petizione6, proposta da MarcoReis, che ha grandemente sorpreso per lapartecipazione, soprattutto, di cittadinicomuni, indignati per l’ennesimo scempioprogrammato a vantaggio dei soliti. Auspi-chiamo si verifichi, finalmente, una con-trotendenza nella mentalità di chi ha il

compito di prendere questo genere di deci-sioni e non solo, e che si decida di prenderein considerazione la volontà dei cittadini che

non vogliono dover ve-dere sparire nuovamenteuna parte fondamentaledella propria identità.Si pensi, per altro, cheVercelli è tra le pochecittà che non dispon-gono di un vero e pro-prio museo archeologico,il quale sembra però siavvii ad una prossimarealizzazione. I reperti re-cuperati in quest’occa-sione, più i moltissimialtri che non hanno an-cora trovato una collo-cazione espositiva, viverranno sicuramenteaccolti, coerentementecon gli spazi disponibilie l’organizzazione dellostesso ma, come spessoaccade, non vi si potràesporre tutto ciò cheservirebbe a ricostruirel’immagine della cittàromana. E’ un caso che ben sipresta, inoltre, all’ideach’è stata alla basedella nascita del

M.O.L.7 (Foto 2), il Museo On Line ideato daLuigi Bavagnoli dell’Associazione Teses e chesta cominciando in questi mesi a muovere iprimi concreti passi coinvolgendo enti musealilocali e non. Il progetto, data la natura dell’as-sociazione, era inizialmente sorto per renderefruibili tutta una serie di reperti presenti nelsottosuolo e non raggiungibili da soggetti privi

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4 Illustre storico genovese, Barnabita, promotore delMuseo Lapidario e sostenitore dell’importanza dell’archeo-logia vercellese già alla metà dell’Ottocento. (www.archeo-vercelli.it)5 Un caso su tutti, su cui si dibatte da moltissimi anni, ri-guarda l’anfiteatro romano, sito tra Corso De Rege e Viale

Rimembranza, ma l’elenco è molto più corposo.6 Visibile a questo link: http://firmiamo.it/salviamo-opificio-romano-di-vercelli?fb_action_ids=10153047463280597&fb_action_types=og.recommends&fb_source=aggregation&fb_aggregation_id=2883814812375827 http://www.teses.net/news/mol-il-museo-online/

Foto 2 - Esempio di ricostruzione virtualedi un reperto all'interno del progetto MOL

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cibo. Dopo aver apprezzato il “gesto artisticorappresentativo” non mi sono mai “seduto”al tavolo delle offerte per guardare il tutto unpo’ più da vicino. Nella lettura delle formulerituali, quante volte mi sono imbattuto nelleparole pane, birra, cosce di buoi, etc, etc.?Una formula che è diventata un mantra, e,come tale, non avevo mai pensato al signifi-cato delle parole, al fatto che quei segnierano e sono alimenti che venivano consu-mati. Perché non provare a sedermi e ad as-saggiare (con l’immaginazione, ovviamente)?Ho iniziato a farlo."The food of previous eras is intriguing. Theexperience of eating and smelling the samedishes and aromas which would have beenpart of life at another stage of history may bethe nearest one can come to understandingthe pattern and texture of everyday life, thereality of being there rather than an acade-mic exercise in recalling the ups and downsof political and battleground life.”. (Food inthe ancient word di Wilkins e Hill). Sono, in-degnamente, in ottima compagnia e, comesempre, la combriccola pronta la trovo nel-l’area archeologica anglosassone! Il cibo come filtro. Alimenti come protagonistie tutto quello che gli gira intorno (le varieazioni enunciate qualche riga sopra) comecontorno. La tipica scena dell’uomo egiziano che allospiedo cuoce un’oca diventa per me un nuovopunto di partenza. A differenza della Mesopotamia, dall’anticoEgitto non ci è pervenuto nessun ricettariodefinibile come tale. Scarsissime le indica-zioni che potrebbero andare nella direzionedi una vera e propria ricetta. Se questo è undato di fatto, tale mancanza viene colmata inmaniera quasi sovrabbondante da altro ma-teriale. [Approccio metodologico II] Ho preferito fareun passo in più davanti alla mole di informa-zioni che recupero e uso una bevanda (in Ar-cheoricette tratto solo prodotti gastronomici)per condividere i miei ragionamenti: la birraera alla base della dieta egizia insieme alpane (anche questa affermazione è un po’ ri-

duttiva, ma la affronteremo a seguire, è comese dicessero che noi mangiamo solo pizza ospaghetti). E il vino? Si legge spesso che erain secondo piano rispetto alla diffusione e alconsumo di birra. Mi sono interrogato sullaragione: dai miei studi so che il vino venivaprodotto e commercializzato in Egitto sindalle epoche proto dinastiche e mano a manoche approfondivo mi sono reso conto che conogni probabilità era una bevanda presentesulle tavole dell’upperclass, visto che la colti-vazione della vite e il procedimento per otte-nere il liquido erano più articolati dellapopolare birra: quindi, una buona anforetta divino sarebbe risultata molto più cara e nonalla portata di tutti. A completare il quadrosui destinatari principali del vino, va eviden-ziato che questa bevanda è fortemente con-nessa alle divinità e ai riti. Ad esempio neitesti delle piramidi di Pepi I, riferendosi aglidei, si afferma che essi si nutrono di fichi ebevono vino; la razione quotidiana dei sacer-doti comprendeva anche una dose di vino dautilizzare per uso personale, oltre le scortedel tempio per i riti. Non per nulla la “cantina” del famosissimoTutankhamon (il faraone era il primo sacer-dote per antonomasia) era fornita di ottimovino con tanto di etichetta: nella sua tombasono state rinvenute numerose anfore di di-versa produzione “Vino di buona qualità deipossedimenti di Aton” o “Anno 4 per la casadi Tutankhamon” o “Vino dei possedimenti diTutankhamon”. Direte: “Ovvio” ma è così ovvio? E’ stato benindagato? Tornando all’inizio di questo spro-loquio scritto (del sapere fatuo), personal-mente credo che approfondire anche questoargomento possa gettare una luce diversasulla conoscenza. Magari scopriamo che ilvino di pessima qualità era un competitorforte della birra che si consumava nelle taver-nacce o tra gli strati sociali più bassi. In effetti, il vino, come la birra, viene citatocome rimedio medicinale sul famoso “PapiroEbers” o in altri testi letterari dove si eviden-zia il suo potere inebriante e “intossicante”. Cambia? Apparentemente no, ma se lo ana-

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“Ma questa roba è un sapere fatuo, arricchisce poco la conoscenza”. Ci ho pensato su qualche secondo, prima di rispondere a questa affermazione . Quando si èparticolarmente coinvolti in un progetto, l’obiettività può venir meno; un osservatore esternopuò essere portatore sano di “ragione”. Ci ho pensato su qualche secondo prima di rispondere. Sono anni (ormai decenni e decenni con l’avanzare dell’età anagrafica) che studio le civiltà an-tiche e mi documento costantemente sulle ultime scoperte o teorie interpretative; nonostantele tante e nuove informazioni, la mia personale comprensione rimaneva sempre la stessa omagari stava scemando l’entusiasmo che non deve mai mancare a un appassionato (che ha tra-sformato la sua passione in lavoro). O magari non sono portato!Ci ho pensato qualche secondo, prima di rispondere. Però, c’è sempre un però, da quando ho iniziato a spostare la mia attenzione sulle “semplici”abitudini alimentari delle antiche civiltà, qualcosa è cambiato! Ho risposto: “Sarà pur vero, ma qualcosa nella mia conoscenza è cambiato e alle persone in-teressa approfondire il discorso”. Di cosa sto scrivendo o cosa sto “difendendo”? Il mio personalissimo progetto di ricerca ar-cheologica dal nome molto divulgativo di: Archeoricette.Archeologico? In fondo ricostruisco solo ricette, ma dietro una ricetta c’è una civiltà che l’haprodotta. Il cibo è a tutti gli effetti un manufatto, materia che ha subito una manipolazione,anche solo con la raccolta. L’alimento è al centro di un processo complesso che si realizza conmolteplici azioni: conservazione, stoccaggio, trasporto, trasformazione, consumo e smercio,per citarne alcune. Il cibo è cultura materiale. Indagare sugli alimenti del passato presenta al-cune difficoltà: il cibo è un prodotto che viene consumato e ne rimangono poche tracce mate-riali; la situazione, però, è bilanciata dalla mole importante di documenti riguardantil’alimentazione e i riti ad essa connessi. Tutto l’indotto da indagare è enorme e meraviglioso. [Approccio metodologico I] Mi reputo un archeologo e ho addirittura una qualifica (attenzioneho usato qualifica e non titolo) come archeologo. Per me l’archeologo non è uno storico del-l’arte o uno storico o un filologo, ma è lo studioso del dato materiale: ha un oggetto davanti equesto oggetto deve essere in prima battuta descritto (e non interpretato), riconosciuto, con-testualizzato e analizzato. Come studioso del dato materiale, fortemente appassionato di ar-cheologia stratigrafica e di archeologia della produzione, ho inteso l’archeologia come metodod’indagine applicata al cibo e alle abitudini alimentari delle civiltà del passato. L’archeologiastratigrafica individua i rapporti tra gli strati e definisce la loro relazione; l’alimento è come unostrato: da solo poco indicativo ma affascinante se contestualizzato, non solo dal punto di vistadelle coordinate cronologiche ma anche di quelle geografiche. Con Archeoricette spazio nellostudio delle abitudini alimentari di civiltà diverse perché creare un quadro sinottico è altret-tanto fondamentale, ma il mio debole nei confronti degli antichi Egizi è sempre forte, e comeanticipato, qualcosa è cambiato in meglio: nuovo entusiasmo. Molte volte mi sono imbattuto nella rappresentazione parietarie che avevano come oggetto il

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l’uomo con lo spiedoe il ventagliodi Generoso Urcioli

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accompagna ogni ricetta.[Approccio metodologico IV] Il cibo è il puntodi contatto che mi consente di affrontareanche dei temi particolari o non così battuti.Nello specifico, per l’antico Egitto ci sonodegli argomenti che riguardano il “latooscuro” di questa civiltà, quello più cruento,più autoritario e che sempre la scuola anglo-sassone sta indagando e senza troppi pudorista facendo emergere; ad esempio: V dina-stia, Antico Regno. A questo periodo risal-gono i cosiddetti “Testi delle Piramidi”, uninsieme non omogeneo di formule, di esclu-sivo possesso dei sovrani, realizzate sulle pa-reti delle camere sepolcrali della fine della Vdinastia. Il contenuto principale di questitesti: come superare i pericoli e gli ostacoliche si sarebbero presentati nel viaggio ultra-terreno del sovrano. (Importante: nell’AnticoRegno il sovrano non andava a trovare Osi-ride nel suo regno nel sottosuolo, bensì an-dava a raggiungere le stelle imperiture incielo). Uno di questi testi è definito “Inno can-nibale”: “Unas (il faraone) è colui che divoragli uomini e si nutre di dei […] Unas è coluiche mangia la loro magia e ingoia i loro spi-riti: i grandi sono per il suo pasto mattutino, i

medi sono per il suo pasto serale, i piccolisono per il suo pasto notturno, i vecchi e levecchie sono offerte lasciate a fumigare.”(BRESCIANI E., Testi religiosi dell’anticoEgitto, …, pp. 173-174). In questa frase ci sonomolti elementi che si possono recuperare,compresa anche la tematica “scottante” sullepratiche di cannibalismo (di cui non si parleràcomunque in questa sede).

E quindi? Che ne dite di un buon spezzatinodi vitello alla Unas?

PPrreeppaarraazziioonnee:: fare il vitello in tanti pezzianche non regolari. In una padella larga si fascaldare l’olio e si fanno saltare i pezzi di vi-tello. Una volta cotti, si posano su un piatto. Sifa poi rosolare un composto di: aglio, cipolla,coriandolo, cumino, pepe, datteri tritati e ci-pero. Si aggiunge il vitello, lo si fa cuocere in-sieme per altri 3 minuti e lo si sala a gusto.Il filologicamente accettabile è servito!

GGEENNEERROOSSOO UURRCCIIOOLLII

lizziamo inserito nel discorso della produ-zione, degli scambi commerciali, etc. etc. etc.,cambia, almeno per me!Torno all’immagine dell’uomo con in manouno spiedo e mi accorgo che ha un ventaglioin mano. Come si poteva modulare l’intensità del fuocoper cuocere gli alimenti? La risposta è anchein quell’immagine: con l’utilizzo di un venta-glio (e vari altri espedienti). Cuocevano su pie-tra o consumavano i cibi crudi che andavanomangiati crudi. Cuocevano con la tecnicadell’arrosto e del bollito, insomma, non di solopane e birra viveva l’abitante della Ta Mery esopratutto usava le pentole. Il discorso suiforni per cuocere il pane è altrettanto avvin-cente. E si parla sempre e solo di cibo!Poi, che gli Egizi avessero un debole per ilcibo (come tutti noi) mi sembra ampiamentesupportato dalle tracce che loro stessi cihanno lasciato; infatti, erano fermamenteconvinti di doversi procurare il cibo suffi-ciente per l’eternità e per farlo hanno escogi-tato molte soluzioni, comprese quelle diricorrere alle formule magiche. Confidandoche le parole si tramutassero in realtà, si affi-davano a frasi scritte su papiro o su altro ma-teriale, come: “Prendi il tuo pane che nonmuffisce, la tua birra che non inacidisce!”.Con la stessa speranza si delegava tale com-pito alle rappresentazioni su pareti o ai mo-dellini in legno decorati di produttori di cibo:il tutto finalizzato a soddisfare le esigenzealimentari del defunto. Ricorrere alla sferamagica era più semplice che mettersi lì a pre-parare i manicaretti e un modo per non ritro-varsi senza scorte era quello di “Dire leparole: Fame non venire da Teti. Vattene […]poiché Teti è sazio; non ha fame Teti, per quelpane di Horo che egli ha mangiato, che hapreparato per lui la grande cuoca, perché eglise ne saziasse e perché tornasse al suo stato.Teti non ha sete […] Amset, Hapi, Duamutef eQebehsenuf [i quattro figli d Horus nda] al-lontanano questa fame che è nel ventre diTeti, questa sete che è nelle labbra di Teti”. Tutti i giorni presso la tomba del defunto do-

vevano essere portati cibi e bevande, affinchévenisse consumato il banchetto rituale allasua presenza, che era garantita grazie a unastatua o alla stele d’offerta (prassi diversa aseconda delle epoche). La stele, un elementoverticale in pietra decorato con le immaginidel defunto e con l’elenco preciso della quan-tità di alimenti a sua disposizione, diventavaun elemento imprescindibile per la sopravvi-venza nell’al di là.Ricapitolando: - cibo fisicamente portato dai vivi e lasciatosu tavole, bacili o altari d’offerta per officiareil rito quotidiano;- formule da recitare per allontanare lo spettrodella fame;- attestazione di quanto spettante tramite lastele.A tutto questo, va aggiunto il cibo lasciato di-rettamente nella camera del defunto: pani,carrube, frutti, carne di anatra seccata e sa-lata, cosce di bue, birra, vino. E non è il solocorredo del già citato Tutankamon a lasciarciqueste informazioni (pensiamo alla tomba diKha o degli Ignoti al Museo Egizio di Torino oa tante altre sepolture). L’eternità è lunga e l’appetito vien man-giando. Insomma, ricostruirò solo ricette, ma a benvedere, lo facevano già nell’antichità![Approccio metodologico III] Archeoricettenon nasce per essere una “rievocazione sto-rica” e nella mia mente è molto chiaro il con-fine tra comprensione e adattamento,ricostruzione e rielaborazione, studio filolo-gico e lavoro che si concretizza sui fornelli: sepossono essere ricostruiti i contesti con unarelativa credibilità è praticamente impossibilela traduzione sul piano pratico dell’esperienzadei sapori. Sono cambiati gli alimenti (anchese sempre gli stessi) sono cambiati gli attrezzi(anche se sempre gli stessi). Sono consape-vole che la fedeltà filologica non sia l’ele-mento principale per rievocare un’emozioneo un gusto ed il tentativo è di fornire diversispunti per comprendere “come poteva es-sere” : ecco il perché del contorno storico che

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FFoorrmmaa ddii ppaannee ddaallllaa ttoommbbaa ddii KKaa -- MMuusseeoo EEggiizziioo ddii TToorriinnoo((FFoottoo ddii PPaaoolloo BBoonnddiieellllii))

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AAnnnnaa SShhaammiirraa MMiinnoozzzzii

E’ un’artista italiana che si esprime nell’arte egi-zia e nella Calligrafia Islamica. E’ ideatrice di in-novative composizioni calligrafiche e in virtù deirisultati raggiunti in questa sua espressione arti-stica, è stata invitata dall’Ambasciata del Regnodell’Arabia Saudita, a partecipare a un concorsoper un bozzetto di francobollo, indetto nel 2004 dalMinistro delle Poste e Telecomunicazioni del Regnodi Arabia Saudita. Per il suo eccellente risultato,ottava su più di ottomila partecipanti, ha avuto pa-role di grande apprezzamento dal Direttore del Mi-nistero delle Poste, che l’ha invitata a continuare apartecipare alle opportunità di confronto artisticosaudite.Nel 2004 è stata invitata dall’Ambasciata Egizianain Roma a fare una mostra di arte islamica in-sieme a suo padre, Renato Minozzi, affermato ar-tista di arte sacra cristiana (è stato uno dei pittoridel Giubileo e ha donato un ritratto a Sua SantitàGiovanni Paolo II).La mostra era intitolata “Islam e Cristianesimo:padre e figlia si confrontano con forme e coloriper inviare un messaggio di pace”.Nel 2005 ha avuto l’onore di donare una suaopera di arte islamica ad Al Azhar Park, progettovoluto e realizzato da Sua Altezza il principeKarim Aga Khan, che si trova al Cairo.Nel 2006 ha partecipato alla prima Biennale In-ternazionale di Arti Islamica a Torino, ricevendo icomplimenti come artista, dal prestigiosissimoResearch Centre for Islamic History, Art and Cul-ture (IRCICA) di Istanbul.Nel maggio 2007 è stata invitata ad esporre lasua esperienza di calligrafa occidentale al conve-gno internazionale “Islam e occidente: dialogo traculture”, organizzato dall’Università degli Studi diParma e dal Teatro Regio.Il 19 giugno ha ricevuto una lettera di apprezza-mento e considerazione, sempre per la sua arteislamica, da Sua Altezza Al Thani, Emiro del Qataril quale, nel gennaio 2010, l’ha invitata in Qatarper una visita ufficiale al Paese, in riconoscenza alsuo impegno culturale.Per la sua competenza e per l’originalità delle suerappresentazioni calligrafiche, è stata invitata poia tenere dei workshop, per insegnare l’arte dellacalligrafia islamica nel Museum of Islamic Art, aDoha.

www.shamira.it [email protected]

fetta sintonia con il Creato.Le farfalle in particolar modo simboleggiano la tra-scendenza, la bellezza e la natura. Esse vivono leggia-dre tra cielo e terra in perfetto equilibrio... anche noidovremmo fare così!

Shamira Minozzi

Questa opera (400x200 cm) adora le pareti della Moschea di Venezia. L'opera è stata concepita in colla-borazione con Imam di Venezia, il dottor Hamad Mahamed, al quale ho chiesto di scegliere personalmentei versetti del Corano e quale delle bismillah da me ideate, preferisse come elemento calligrafico principaleper la realizzazione dell'opera. L'Imam ha scelto i primi tre versetti della Sacra Sura 20 (Tà-Hà) e la miacalligrafia a forma di farfalla. Questi sono i versetti trascritti nell'opera:Nel Nome di Dio il Clemente il Misericordioso versetti dal 1 al 3 "Tà-ha. Noi non ti abbiamo fatto scendereil Corano per renderti infelice; è un richiamo per chi teme" versetto 8 "Dio, non altra divinità se non Lui.Suoi sono i Nomi più belli".Leggendo i bellissimi versetti della Sura 20 (Tà-Hà), il mio cuore mi ha suggerito subito questa immagine:un libro stilizzato aperto dalle cui pagine, che sembrano ali, scaturiscono 33 farfalle. Ogni farfalla è diversaed è composta da 3 dei magnifici 99 nomi di Allah citati nel Sacro Corano. Sopra le farfalle e al libro, si sta-glia la scritta "Allah" da cui scaturiscono 5 raggi di luce che irradiano il libro esprimendone la natura ispi-rata; 5 raggi per ricordare anche che insieme alla rivelazione del Corano, sono stati stabiliti i 5 pilastridell'Islam, i 5 obblighi fondamentali di ogni musulmano: primo pilastro la testimonianza "Non c’è divinitàall’infuori di Dio (Allah), Maometto è il Messaggero di Allah"; secondo pilastro la preghiera quotidiana;terzo pilastro l'elemosina; quarto pilastro il digiuno nel mese di Ramadan; quinto pilastro il pellegrinaggioalla Mecca.L'insieme dell'opera vuole suggerire l'idea di un meraviglioso legame tra il Cielo e la terra, tra ciò che èdivino e ciò che è terreno, un legame che coinvolge l'uomo e che va compreso con estrema saggezza.Siamo fatti di carne e di spirito ed entrambi vanno nutriti per avere un sano equilibrio e vivere così in per-

SHAMIRA

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the flight of the word Il 9 agosto 2013, più di 2000 musulmani erano presenti al-l'inaugurazione dell'opera di Anna Shamira Minozzi donataalla Moschea di Venezia. L'artista, italiana e cristiana, è stataaccolta con grande gioia e calore dalla comunità islamicache le ha dimostrato il pieno apprezzamento per la qualitàdell'opera ed espresso viva gratitudine per il dono ricevuto. Il Presidente della Comunità Islamica di Venezia e l'Imamhanno rivolto splendide parole nei confronti dell'arte di Sha-mira, elogiando la bravura e la competenza dell'artista e ilsuo impegno nel promuovere il dialogo tra culture diffe-renti. Nel corso della manifestazione, Shamira ha poi rice-vuto diversi doni dalla comunità islamica, tra i quali fioridonati dai bambini, uno splendido libro di arte islamica e unprezioso papiro originale proveniente dall'Egitto, con ripor-tati versetti del Sacro Corano dipinti in oro. Questo rappresenta un forte segnale di interrelazione traculture e religioni differenti, un grande segno di pace. La Pace ha bisogno di azione e di gesti concreti, non solo di parole!

Il servizio di tg Rai 3 sull'inaugurazione dell’opera nella Moschea diVenezia:http://www.youtube.com/watch?v=UL5ul95n4Mo

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Descrivere cosa si compia nel momentoin cui un’idea si trasforma in segno certorimane per me ancora un mistero.

Infatti, per questo, trovo più pertinenteaffermare che “qualcosa accade”.

Consapevole di essere strumento e vei-colo della manifestazione di “creature”che assumono, di fatto, poi, vita propria,mi sento investita del compito di accom-pagnarne i primi passi difendendone ladignità per lasciar in seguito che pren-dano, ognuna, la direzione che sapra’tracciarsi.

L’origine di questa “vocazione” affondale sue radici unicamente dell’atavica pas-sione che da infinito tempo ho nutrito perl’Antico Egitto. Da autodidatta, ho sem-plicemente lasciato che il gesto della miamano desse forma ad un qualcosa dipiu’ compiuto.

Questo, per me, rappresenta l’ umile con-tributo di semplice mediatrice di un “nonconosciuto” piu’ grande, che dà vertigine.

Carla Tomasi

[email protected]

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Il papiro misura cm 18x35

L'immagine è ispirata ad una raffigurazione che ritrae una delle divinità rappresentate

sia nella statuaria egizia sia nella bidimensionalità dei bassorilievi e dei papiri.

Ptah, signore di Menfi, il "benigno di volto".Il "Grande Architetto" appare anche

nel tempio di Karnak, dove dà vita a una triadeinsieme a Sekhmet "la Terribile", sua compagna,

e Nefertum, loro figlio, il dio-loto.Si erge composto, eretto, avvolto nel suo involucro

aderente, che lascia libere solo le mani. Mani che stringono con vigore tre scettri :

il djed ( simbolo di stabilità ), l'ankh ( simbolo di vita ) e l'was ( simbolo di potenza ).

Ptah è il demiurgo, colui che ha il potere, con la sua potente voce che vibra nell'universo,

di trasmutare l'energia in materia.Il suo sguardo si posa sulle creature del pianeta

e dà loro un nome.Nel tempio di Esna è avvicinato alla figura

di Khnum, dio vasaio.Si legge in un inno "tutte le tue creature

ti manifestano la loro riconoscenza, perché tu sei Ptah-tanen,

il creatore tra i creatori che, ad Esna, ha portato ad esistenza tutto ciò che è.

Colui che ha nutrito il giovane essere nel seno materno, fino a che venga

il tempo propizio, e che poi fa si che il corpo materno lo partorisca,

nel momento che è giunto".

II PP AA PP II RR II DD II CC AA RR LL AA

Inchiostro nero su carta di papiro realizzata in Egitto secondo gli antichi metodi.

PTAH, signore di Menfi

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i ricercatori hanno ottenuto un intervallo temporale(1744-1538 a. C.) in accordo con i risultati di altri studi.Poi gli scienziati hanno intuito che gli insetti sarebberoserviti anche per determinare in quale stagione ebbeluogo la disastrosa eruzione.

Fonte: www.nationalgeographic.it25/08/2013

33)) NNUUOOVVAA CCRROONNOOLLOOGGIIAA AASSSSOOLLUUTTAA PPEERRLL''UUNNIIFFIICCAAZZIIOONNEE DDEELLLL''EEGGIITTTTOO

Un team di studiosi diretti da Michael Dee (Universitàdi Oxford) avrebbe individuato la datazione esattadella formazione dello stato egiziano. CombinandoC14 e prove archeologiche con un paradigma baye-siano (in parole povere, calcolo delle probabilità), ver-rebbe fuori una cronologia assoluta più corta erecente di quello che si pensava.La cronologia relativa tradizionale è basata sullo stu-dio stilistico della ceramica ed è applicabile soprattuttoper i siti del Basso Egitto. Prima dell’unificazione delpaese, vengono inseriti il periodo Badarianoe il Predi-nastico o Naqada (IA-IC, IIA-IID, IIIA-IIID), con la I dina-stia in coincidenza con la fase Naqada IIIC. Secondo idati della ricerca, la fine del Badariano andrebbe col-locata intorno al 3700-3600 a.C., 300/400 anni piùtardi rispetto alle ipotesi precedenti, e la più breve fasedi transizione verso uno stato unitario (NaqadaIID/IIIA) risalirebbe al tardo XXXIV secolo. Infine, ilregno di Aha, indicato sulla Pietra di Palermo comeprimo faraone, è stato datato intorno al 3100 a.C.

Fonte: www.associazionevolo.it 4/09/2013

44)) LA CITTÀ DEI COSTRUTTORI DI MICERINO FUDISTRUTTA DA INONDAZIONI

Il centro amministrativo oggi noto come Heit el-Ghu-rab, in Egitto, era anticamente abitato dai lavoratoriche costruirono le piramidi. Gli scavi condotti da KarlButzer dell’Università del Texas ne hanno però rivelatoun passato molto difficile: la scoperta di strati di fangoe sabbia raccontano che la città venne inondata e ri-costruita per ben dieci volte nel corso di 45 anni. But-zer pensa che le squadre di costruzione continuaronoad abitare in quel posto così pericoloso perché il fa-raone Micerino, regnante dal 2.532 al 2.503 a.C., po-

trebbe aver pensato che una barriera protettiva e ilsuo potere personale fossero sufficienti a proteggerela città. Durante il regno del precedente faraone, Che-fren, la città era già stata colpita da tre inondazioni.La prima distrusse la città, mente le altre causaronogrossi danni. Sotto Micerino la devastazione si molti-plicò.Il grosso edificio amministrativo, fatto costruire dal fa-raone, venne demolito poco dopo: “Una grande inon-dazione distrusse tutto”, spiega Butzer. Una piena dirocce e fango fece a pezzi le costruzioni. Sopra questo,Butzer ha trovato “strato dopo strato, fondamenta epoi macerie”, a dimostrazione di una frenetica rico-struzione a seguito di quattro o cinque inondazioni.Micerino ordinò la costruzione di un muro protettivolungo 70 metri chiamato Muro del Corvo, ma le inon-dazioni continuarono: in 45 anni se ne sono registrate10. Non è chiaro perché gli Egizi continuassero a co-struire in quel posto. Ma forse la colpa è di Micerino,spiega Butzer: “Aveva un problema col suo senso diimportanza. Era la prole divina degli dèi, e pensavache se avesse pregato abbastanza le cose sarebberoandate a posto. Ma non fu così”. Le inondazioni po-trebbero spiegare perché ci sono solo tre piramidi aGiza. Micerino costruì l’ultima e la più piccola. Nono-stante la posizione di rilievo, nella quale le piramidisono visibili da grandi distanze, le piramidi successivefurono edificate altrove. “Micerino fu l’ultimo”, diceButzer. “Forse c’era una ragione per cui suo figlio volleandare in un altro luogo”.

Fonte: www.ilfattostorico.it31/07/2013

55)) NUOVA TIMELINE DELL'ANTICO EGITTOGRAZIE A RADIOCARBONIO E MODELLI DIGITALI

Stabilita una nuova data di origine dell’AnticoEgitto. Utilizzando tecniche al radiocarbonio e mo-delli al computer, un team di ricercatori britanniciha dimostrato che il primo sovrano della civiltà èsalito al potere nel 3.100 avanti Cristo circa. L’in-dagine, pubblicata sui Proceedings of the RoyalSociety A, è stata condotta da Michael Dee (Rese-arch Laboratory for Archaeology - University ofOxford). Finora la cronologia dei primi giornid’Egitto si era basata su stime approssimative. In assenza di documenti scritti, una timeline èstata ipotizzata esaminando gli stili evoluti delle

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11)) LA DISTRUZIONE DEI TESORI EGIZI

Dopo gli scontri sanguinosi avvenuti in Egitto nelle ul-time settimane, anche il patrimonio archeologico hasubito un duro colpo con il saccheggio del museo diMallawi. Situato circa 300 chilometri a sud del Cairo,il museo è stato aperto nel 1963 per esibire i repertitrovati nelle vicinanze della città. "Il museo contenevapreziosissimi manufatti, molti dei quali non ancora stu-diati", dice Salima Ikram, egittologa presso la Ameri-can University del Cairo. I saccheggiatori sarebbero entrati nel museo mentrei sostenitori del recentemente deposto presidente Mo-hamed Morsi tenevano un sit in di protesta nei giardinidel museo. Dei 1.089 manufatti in mostra, circa 1.000mancano all'appello; dopo il saccheggio, altri delin-quenti locali sono entrati nel museo distruggendo ciòche era rimasto. È l'ultimo episodio di una serie di at-tacchi al patrimonio archeologico egiziano iniziata nel2011 con l'incursione al museo egizio del Cairo.Quello dei saccheggi non è certo un fenomeno ineditoin Egitto; quella che è cambiata di recente è la dimen-sione del fenomeno: la vendita di oggetti antichi è unbusiness globale in continua espansione. Molti egitto-logi stanno pubblicando le immagini dei reperti scom-parsi sui social media per cercare di frenarne il traffico.Su Facebook il gruppo “Egypt's Heritage Task Force”ha pubblicato circa 900 foto di manufatti scattate daituristi negli ultimi anni. Nel frattempo, le autorità egi-zie hanno inviato un catalogo - in arabo e in inglese -degli oggetti mancanti al sito dell'UNESCO.

Fonte: www.nationalgeographic.it15/08/2013

22)) SANTORINI, NOVITÀ SUL CATACLISMACHE SEGNÒ IL DECL INO DELLA C IV ILTÀMINOICA

L'esplosione vulcanica di Santorini, dalla quale sembraaver avuto origine la leggenda di Atlantide, è stata si-

curamente una delle più significative della storiaumana. Il cataclisma, che, oltre ad aver posto fine allaciviltà Minoica, ebbe anche importanti conseguenzeper l'antico Egitto, sarebbe avvenuto all'inizio del-l'estate: la scoperta si basa sullo studio di alcuni insettifossili rinvenuti all'interno di un antico vaso prove-niente da Akrotiri. Studi precedenti avevano stabilito che l'eruzione av-venne tra il 1627 e il 1600 a. C., ma fino ad ora non sisapeva in quale periodo dell'anno fosse avvenuta. Inun recente articolo pubblicato sulla rivista Naturwis-senschaften, Eva Panagiotakopulu, paleoecologa edentomologa dell'Università di Edimburgo, in Scozia, ecolleghi, sulla base di alcuni insetti rinvenuti in un pic-colo vaso contenente semi di piselli dolci scoperto inun insediamento dell'età del bronzo ad Akrotiri, so-stengono che l'eruzione si sarebbe verificata in un pe-riodo compreso tra giugno e i primi di luglio. Infatti,spiegano gli scienziati, solo in questo breve periodol'insetto - una specie di coleottero - avrebbe avuto l'op-portunità di infestare le colture e quindi di finire nellazona di stoccaggio delle derrate.Spesso definita come la "Pompei del mondo egeo",Akrotiri in seguito all'eruzione venne sepolta da unostrato di cenere e pomice che ha contribuito alla con-servazione del sito per migliaia di anni. "I semi infestatisono stati scoperti in una delle camere al piano terradella cosiddetta casa occidentale" - un edificio a piùpiani situato nella parte nord-ovest della città - "cheveniva utilizzato per lo stoccaggio delle derrate ali-mentari", ha spiegato Panagiotakopulu. Anche se ilvaso con i semi e gli insetti venne trovato circa 50 annifa, solo di recente grazie allo sviluppo di nuove tecni-che per la datazione degli insetti, gli scienziati hannocapito che il reperto poteva essere utilizzato a datarecon maggiore precisione l'eruzione. "L'idea è natamolto più tardi", ha detto Panagiotakopulu, "ed è il ri-sultato di uno studio più ampio sui fossili di insetti divari siti archeologici". Utilizzando un nuovo metodo dipretrattamento per la datazione al radiocarbonio dellachitina, la proteina che costituisce i gusci degli insetti,

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a cura di Laura Cigana

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sopravvivenza. Queste comunità si basavano sullacaccia di animali migratori e le conseguenze del man-care questi eventi era fare la fame. Dovevano annotareaccuratamente le stagioni per essere pronti a cacciareo raccogliere, quindi, da questa prospettiva, la nostrainterpretazione di questo sito come calendario stagio-nale è sensata”.

Fonte: www.ilfattostorico.it3/08/2013

88)) GIOIELLI CADUTI DAL CIELO NELL'ANTICOEGITTO

A distanza di un secolo dal ritrovamento, uno studiosembra confermare che il ferro utilizzato per produrrealcune perline egizie di 5.000 anni fa sia di origine ce-leste, arrivato sulla Terra sotto forma di meteorite. Èquanto riportato sul Journal of ArchaeologicalScience di agosto. Le nove piccole perle in questionefurono rinvenute nel 1911 in una tomba di Gerzeh, unantico cimitero nel nord dell'Egitto. Dalle prime analisichimiche erano emerse tracce di nichel, cosa cheaveva portato gli scienziati ad avanzare l'ipotesi chefossero costituite di ferro meteoritico. Le perle, dispo-ste su una collana insieme con minerali preziosi comeoro e corniola, vennero ritenute manufatti insoliti.Negli anni Ottanta la questione venne riaperta: si ria-nalizzò un frammento delle perle per determinarne lacomposizione chimica con una tecnologia più recente,la microsonda elettronica. Le concentrazioni di nichelemerse dai risultati risultavano però troppo basse perconfermare la provenienza del ferro da un meteorite.Inoltre, alcuni scienziati rimanevano scettici sul fattoche le perle fossero state realizzate interamente amano, ipotesi che forniva una spiegazione alternativa.Secondo la ricerca appena pubblicata, condotta daThilo Rehren, che insegna al campus dell'istituto di Ar-cheologia dello University College London in Qatar, laprova che il metallo degli ornamenti sia meteoriticorisiederebbe nel livello riscontrato di germanio, un ele-mento chimico che nel ferro prodotto dall'uomo sitrova in concentrazioni non elevate. Tramite neutronie raggi X, Rehren e il suo gruppo hanno analizzato inmodo non invasivo il cuore più interno delle perle,dove il metallo originale non ha subito alcun processodi corrosione. Nello studio del 1980, che aveva rilevatouna bassa concentrazione di nichel, gli scienziati ave-vano invece potuto analizzare soltanto lo strato più

esterno degli elementi ornamentali, che con il temposi era incrostato di ruggine di ferro puro. Oltre a trat-tarsi dei più antichi manufatti mai scoperti costituiti diferro meteoritico, questi elementi gettano nuova lucesulla civiltà egizia, pre-datando l'età del ferro di 2.000anni.Secondo Rehren costituirebbero l'esempio più anticodi lavorazione del metallo, e il loro ritrovamento sug-gerirebbe che l'uomo padroneggiava l'arte della me-tallurgia già allora. Le perle vennero prodottearrotolando un foglio di metallo molto sottile in untubo. Poiché il ferro meteoritico è duro come l'acciaioinossidabile, questo processo richiede precisione. Ilferro, duro ma fragile, deve essere raffreddato moltolentamente affinché non si formino crepe. Una voltariscaldate, le perle venivano modellate martellandole."A volte non serve un Indiana Jones che porti alla luceun nuovo palazzo o un nuovo tempio", dice Rehren."Può essere affascinante anche vedere cosa hannoancora da offrire le collezioni dei musei in termini dinuove informazioni e nuove scoperte".

Fonte: www.nationalgeographic.it27/08/2013

99)) SCOPERTA UNA MAPPA DEL MONDO DEL 3500 A.C.

La Tomba 100 fu scavata nel 1902 nell'antica città egi-zia di Nekhen, situata nell'Alto Nilo, chiamata in linguagreca Hierakonpolis (città dei falchi) e in arabo Al-Komal-ahmar. La Tomba 100 è ritenuta risalente a un pe-riodo compreso tra il 3500 e il 3300 a.C., un’epoca co-munemente considerata “pre-dinastica”.Mentre studiava l’immagine di un panorama egizio,raffigurato nel gran dipinto murale della Tomba 100(alto 1,50 m e lungo 4,50 m), lo studioso Leon “FlyingEagle” si è convinto che l’antica opera d'arte costi-tuisse in realtà la prima carta geografica di tutto ilmondo. Sorprendentemente, questo planisfero è statotracciato dagli Egiziani predinastici oltre 5000 anni fa.Solo frammenti del dipinto murale originale restano,ma studi scientifici dettagliati della tomba e delleopere d’arte in essa contenute sono stati fortunata-mente condotti negli anni 1890-1910, e gli studi di que-sto importante sito continuano ancora oggi. Il muralein oggetto fu disegnato da F.W. Green di Cambridge, epubblicato dalla British School of Egyptian Archaeo-logy, nel 1902. Le somiglianze schiaccianti tra il muraledella Tomba 100 e i contorni di una mappa del mondo

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ceramiche ritrovate nelle sepolture. Considerandole informazioni raccolte precedentemente, il pe-riodo predinastico, fase in cui i primi gruppi inizia-rono a stabilirsi lungo il Nilo e a coltivare la terra,sarebbe iniziato nel 4000 avanti Cristo. Adesso lanuova analisi rivela che questo processo è in realtàiniziato più tardi, tra il 3700 e il 3600 avanti Cristo.Il team ha scoperto che poche centinaia di anni piùtardi, da circa il 3100 avanti Cristo in poi, i gruppisi organizzarono in una società governata da unre. Un periodo di transizione tra due distinte strut-ture sociali molto più ridotto di quanto si pensasse,circa 300-400 anni più breve. La ricerca è riuscitaa datare anche i regni dei primi sette re e regine.

Fonte: www.lastampa.it 4/09/2013

66)) RINVENUTI ANTICHI MANUFATTI EGIZIANIPRESSO MIT-RAHINA

Durante un'indagine di routine presso il sito di Mit-Rahina (24 km dal Cairo), la Polizia Egiziana per leAntichità ha rinvenuto, all'interno di un contenitorein plastica, numerosi manufatti egiziani. Il conteni-tore, sepolto all'interno dell'area botanica nei pressidel tempio di Hathor, conteneva sette oggetti, tredei quali erano stati segnalati come dispersi dopo lerivolte che avevano interessato la zona nel Gennaio2011. I restanti quattro oggetti erano il risultato discavi illegali compiuti nella zona. I manufatti, che comprendono frammenti di vasel-lame in argilla ed alabastro, di differenti forme e co-lori, saranno presto trasferiti presso il Museo diMit-Rahina per il restauro e la futura conservazione.Mit-Rahina, anticamente conosciuta come Menfi, fula capitale dell'Antico Egitto per otto dinastie conse-cutive durante l'Antico Regno. La città raggiunse ilsuo apice nel corso della VI dinastia, divenendol'epicentro del culto di Ptah, il dio egiziano dellacreazione e del lavoro manuale.Con l'ascesa di Tebe e l'avvento del Nuovo Regno, ilprestigio di Menfi declinò in breve tempo dopo laXVIII Dinastia trasformandosi progressivamente inuna cava di pietra per le fondazioni circostanti. AMenfi, attualmente, sono conservate, oltre a vesti-gia templari dell'Antico Regno, anche edificazioni diepoca Tolemaica e Greco-Romana.

Fonte: www.english.ahram.org.eg/27/08/2012

77)) IL PIÙ ANTICO CALENDARIO DEL MONDOIN SCOZIA

Gli archeologi britannici hanno scoperto ciò che riten-gono essere il più antico calendario del mondo, creatoda società di cacciatori-raccoglitori, e datato a circa8.000 anni fa. Gli scavi hanno portato alla luce unaserie di 12 fosse che sembrano riprodurre le fasi dellaLuna al fine di registrare i mesi lunari nel corso del-l’anno. Il monumento mesolitico era stato scavato nelsito di Warren Field, in Scozia, nel 2004. Oggi l’analisida parte dell’Università di Birmingham getta nuovaluce sullo strumento lunare-solare, che precede i primistrumenti di misurazione del tempo conosciuti, rinve-nuti in Mesopotamia e risalenti a quasi 5.000 anni fa.La capacità di misurare il tempo è uno dei raggiungi-menti umani più importanti, e capire quando il tempovenne “creato” è critico per comprendere lo sviluppodella società. Il sito si allinea anche al solstizio d’in-verno, in modo da fornire ogni anno una correzioneastronomica al calendario: i mesi lunari sono infattipiù brevi di 11 giorni rispetto ai mesi solari, dunque bi-sognava avere una sorta di Capodanno per far rialli-neare il calendario lunare con l’anno solare e le suestagioni. Vince Gaffney, a capo degli scavi, spiega: “Leprove suggeriscono che le società di cacciatori-racco-glitori in Scozia avevano sia la necessità che la sofisti-chezza di registrare il tempo negli anni e di correggerelo slittamento stagionale dell’anno lunare; questo suc-cesse quasi 5.000 anni prima dei primi calendari notiin Medio Oriente. Ciò mostra un passo importanteverso la ‘costruzione’ del tempo e dunque della storiastessa”. Clive Ruggles, professore di archeoastrono-mia all’Università di Leicester, coinvolto nella ricerca,sottolinea che “il sito non mostra particolari momentiin cui sorge la Luna dato che i loro schemi sono troppocomplessi; il punto è che rappresenta una combina-zione di diversi cicli che possono essere usati per re-gistrare il tempo simbolicamente e praticamente. Cisono certamente società di cacciatori-raccoglitori cheusano i cicli delle fasi lunari per le varie attività sta-gionali, ma è notevole che ciò sia stato monumenta-lizzato così presto”. Christopher Gaffney,dell’Università di Bradford, aggiunge: “Per le comunitàpreistoriche, sapere quali risorse di cibo erano dispo-nibili nei diversi periodi dell’anno era cruciale per la

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seum Jill Cook. La nuova ricostruzione darà un'ideamolto più chiara dell'originale. In particolare, la parteposteriore del collo sarà più accurata, il braccio destrosarà più completo e la figura sarà di pochi centimetripiù alta. La successiva indagine mediante radio-data-zione al carbonio sulle ossa presenti negli strati adia-centi ha permesso di posticipare la datazioneprecedentemente ritenuta valida (32 mila anni fa) a40.000 anni di età. Teoria che dovrebbe trovare con-ferma dopo il completamento della ricostruzione, at-traverso la datazione, sempre al radiocarbonio, diminuscoli frammenti non utilizzati dell'avorio di mam-mut. Alcuni elementi scolpiti sono stati trovati in altreregioni, e sono un po' più vecchi, ma si tratta di modellisemplici, non figurativi. Ciò che colpisce nello scultoredell'uomo-leone è la capacità immaginativa e nonsemplicemente raffigurativa: non c'è la semplice rap-presentazione di forme ma, come sottolinea Cook,"non è necessario avere un cervello con un complessodi corteccia pre-frontale per formare l'immagine men-tale di un essere umano o di un leone, ma non è lastessa cosa per rendere la figura di un leone-uomo".La scultura di Ulm getta quindi ulteriore luce sull'evo-luzione dell'homo sapiens. I conservatori hanno pro-vato a fare una copia dell'uomo-leone, calcolando checi sarebbe voluto il lavoro di almeno quattrocento oredi uno scultore altamente qualificato, che utilizzassestrumenti di selce (lavoro di due mesi alla luce delgiorno). Ciò significa che l'intagliatore avrebbe dovutoessere curato e nutrito da cacciatori-raccoglitori, il chepresuppone un certo grado di organizzazione sociale.C'è un dibattito in corso su ciò che rappresenti l'uomo-leone, e se fosse collegato allo sciamanesimo e almondo degli spiriti. Inizialmente, si sperava che l'origi-nale dell'uomo-leone fosse presentato alla mostra delBritish Museum, ma questo non si è rivelato possibileperché i conservatori hanno bisogno di tempo ulte-riore per ricostruire la figura il più accuratamente pos-sibile. Il Museo di Ulm ha ora intenzione di svelarel'originale nel mese di novembre.

Fonte: www.liutprand.it26/08/2013

1111)) IL PRINCIPE ETRUSCO GUERRIERO ERA UNAPRINCIPESSA

Gli archeologi hanno dato l'annuncio poche settimanefa e già, come anticipato, la tomba della necropoli di

Tarquinia ha rivelato la sua prima sorpresa. Il sepolcrosigillato apparterebbe ad una principessa e non ad unprincipe come dichiarato in prima battuta dagli stu-diosi. La tomba è solo l'ultima scoperta avvenuta inun grande spazio ancora da esplorare dell'enorme ne-cropoli di Tarquinia, nell’area del "Tumulo della Re-gina". Gli esperti sono convinti che lì vi siano statideposti sovrani e principi etruschi. All'interno sonostati trovati numerosi reperti come armi, vasellami, unaryballos, un unguentario, vasi votivi, gioielli e sigilli.Gli archeologi e Lorenzo Benini, patron di KosteliaGroup, sono convinti che la tomba custodisca altri te-sori. Nella camera funeraria sono stati rivenuti dueletti funerari scavati nella roccia contenenti due sche-letri. Uno dei due scheletri porta una lancia, l'altro èparzialmente incenerito. Inizialmente si pensava che ilsecondo scheletro fosse della moglie del guerriero mal'analisi delle ossa ha rivelato che lo scheletro con lalancia, più grande dell'altro, è invece di una donna trai 30/40 anni, mentre il secondo scheletro, più piccolo,appartiene ad un uomo. La lancia che in un primo mo-mento aveva tratto in inganno gli archeologi sarebbestata posta come simbolo di unione tra i due defunti.Tuttavia l'archeologo Weingarten è di un'altra opi-nione, sostiene infatti che la presenza dell’arma sulloscheletro, sia un segno distintivo dell'alto lignaggiodella donna.

Fonte: www.antikitera.it

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appaiono rapidamente, in maniera quasi ovvia. Il re-golare colore blu più scuro dello sfondo sottolinea ilcontrasto tra la terra e il mare. Continenti, oceani, mariinterni, e anche grandi laghi, case di fango e vie, sonofacili da identificare.I due autori di questo studio hanno cominciato a chia-mare il murale “Mappamondo delle Tribù Terra” per-ché hanno notato le varie civiltà segnate sulla mappa,che sono rappresentate da diverse imbarcazioni.Questa affascinante, e ora controversa, opera d'arte ri-voluziona la storia antica del mondo e getta nuovaluce sullo spirito avventuroso e la capacità di naviga-zione degli antichi marinai egiziani, che raggiunsero ipiù lontani confini della Madre-Gaia, e poi registraronoi flussi del grande Oceano oltre 5000 anni fa. Si notibene il fatto che il Mediterraneo appare diviso in dueparti, corrispondenti alla situazione pre-1200 a.C. L’Ita-lia, la Sicilia e il territorio di Atlantide separano i duebacini: occidentale (collegato all’Oceano tramite lostretto di Gibilterra) e orientale (mare interno, isolato).Le figure umane, barche, animali e le strutture del mu-rale, sono primi pittogrammi che si svilupperanno inimmagini ben note, più avanti, nell'Egitto dinastico. Laraffigurazione di un eroe potente o re, che regge dueleoni per la gola, è la prima raffigurazione conosciutadi questo famoso simbolo, che divenne un simbolo co-mune in Mesopotamia, 600 anni dopo. Vicino al Re Leone c'è la raffigurazione di un cerchiocon cinque cervi che lo circondano. La ruota è stata in-terpretata come un calendario, che mostra un annodi cinque stagioni, rappresentate dai cinque cervi.Forse il calendario è stato usato come simbolo cultu-rale, per esempio, come il calendario Maya è spessousato, oggi, come simbolo della civiltà Maya. I cinquecervi possono anche rappresentare una unificazionedi cinque diverse tribù. Probabilmente il cerchio indi-cava una città, un luogo raccolta, o un grande mer-cato, dove le tribù si riunivano cinque volte all'annoper scambiare i loro prodotti, pelli di animali, e altri ge-neri. I contorni familiari del Nord e del Sud Americasono inconfondibili. E' sorprendente vedere i cavalli in Sud America, per-ché si pensava che i cavalli si fossero estinti nel Norde nel Sud America, verso il 10000 a.C., per essere suc-cessivamente reintrodotti dalla conquista spagnola.Su queste immagini la presenza dei cavalli è stata di-battuta. La maggior parte delle persone vede i cavalli,soprattutto quando si confrontano con l'immagine vi-cina di quello che sembra un asino legato ad una

corda. Alcuni hanno ipotizzato che si possa trattare dilama. Una processione di barche a vela attraversa imillenni, trasportando un carico misterioso di antichisaperi. Lunghi secoli prima di Ulisse e degli Argonauti,un antico marinaio pre-egiziano si lanciò forse in unviaggio epico, circumnavigando il mondo ... oltre 5000anni fa.

Fonte: www.liutprand.it8/09/2013

1100)) L'UOMO-LEONE, LA PIÙ ANTICA SCULTURA DELMONDO

Ha 40.000 anni la più antica scultura del mondo:l'uomo-leone di Ulm, della quale, recentemente si sonoscoperti nuovi frammenti, risulta essere molto più an-tica di quanto si pensasse. La storia della scopertadell’uomo-leone risale al mese di agosto 1939, quandoframmenti di avorio di mammut furono scavati sulretro della Grotta Stadel nelle Alpi sveve, a sud-ovestdella Germania. Questo avvenne un paio di giorniprima dello scoppio della seconda guerra mondiale.Quando finalmente fu ricomposto nel 1970, esso fuconsiderato come un orso in piedi o un grosso gatto,ma con caratteristiche umane. L'avorio da cui la figuraera stata scolpita si era rotto in innumerevoli fram-menti. Durante la prima ricostruzione, circa 200 pezzisono stati incorporati in una struttura di 30 cm di al-tezza, circa il 30% del suo volume risultava però man-cante. Ulteriori frammenti sono emersi in seguito trail materiale precedentemente scavato e questi sonostati aggiunti alla cifra nel 1989. A questo punto appa-riva chiaro come la scultura raffigurasse un leone. Lamaggior parte degli specialisti l’hanno consideratomaschile, anche se la paleontologa Elisabeth Schmidha polemicamente sostenuto che fosse una femmina,il che suggerisce che la società primitiva avrebbe po-tuto essere matriarcale. L'ultima notizia è che quasi1.000 altri frammenti della statua sono stati rinvenuti,a seguito di recenti scavi nella Stadel Cave di Claus-Joachim. La maggior parte di questi sono minuscoli,ma alcuni sono lunghi diversi centimetri. Alcuni deipezzi più grandi sono ora reintegrati nella figura. I con-servatori hanno eliminato la colla e lo stucco del sec.XX dalla ricostruzione del 1989, e sono ora dediti ad unaccurato rimontaggio dell’uomo-leone, utilizzando letecniche computerizzate di imaging. "Si tratta di unenorme puzzle 3D", dice la curatrice del British Mu-

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