Il Normanno di Francesca Panzacchi

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In un Medioevo magico e appassionato tra armature, manieri e gesta coraggiose, si snoda la vicenda di Elizabeth, nobildonna inglese caduta in mano a un capo normanno che disporrà di lei a suo piacimento rimanendone però a sua volta conquistato. Una ricostruzione storica ricca di sfumature e di risvolti imprevedibili, dove pulsioni irrefrenabili e grandi passioni si mescolano pagina dopo pagina.

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FRANCESCA PANZACCHI

Il

Normanno

Romanzo storico

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ISBN eBook 978-88-97277-76-7

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Copyright © 2011 CIESSE Edizioni Design di copertina © 2011 CIESSE Edizioni Il Normanno di Francesca Panzacchi Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni ri-produzione, anche parziale. Le richieste per la pubblicazione e/o l’utilizzo della presente opera o di parte di essa, in un contesto che non sia la sola lettura privata, devono essere inviate a: CIESSE Edizioni Servizi editoriali Via Conselvana 151/E 35020 Maserà di Padova (PD) Telefono 049 7897910 Fax 049 2108830 E-Mail [email protected] P.E.C. [email protected] ISBN eBook 978-88-97277-76-7 Collana PINK http://www.ciessedizioni.it NOTE DELL’EDITORE Il presente romanzo è opera di pura fantasia. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, av-venimenti, indirizzi e-mail, siti web, numeri te-lefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti

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o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontario.

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A te

Che hai sempre amato le storie d’amore

Tutto questo è per te

Che mi guardi da chissà dove.

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BIOGRAFIA DELL’AUTRICE

Francesca Panzacchi è nata a Bologna. Si è lau-

reata in Scienze Politiche presso l’Università

degli Studi di Bologna, collabora come giornali-

sta con la rivista Trendy - allegato mensile del

Resto del Carlino - con il magazine di letteratu-

ra e d’arte Liberaeva e con Milano Nera.

Nel 2010, con la CIESSE Edizioni, ha pubblica-

to il noir LA CASA DI SVEVA.

http://francescap.altervista.org

BIBLIOGRAFIA

Ha pubblicato due sillogi poetiche: Liriche So-

spese (2008) e Liriche d’amore (2009). Ha inol-

tre pubblicato un libro di filastrocche illustrate:

Incanto e sortilegio (2010) e una raccolta di rac-

conti Gialloerotico (2010), distribuita da Feltri-

nelli. Ha pubblicato con TREEBOOK Audiolibri

le raccolte di fiabe "FIABE STREGATE" (2010)

e “STORIE DI MAGHI, FANTASMI E TAGLIA-

LEGNA” (2010).

Vincitrice del Concorso “Delitto in libreria” in-

detto dalla Libreria Mondadori di Rimini,

2008; seconda classificata al Concorso Interna-

zionale “Piccole Storie d’aria” indetto da Cultu-

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raglobale, 2009; finalista al Premio di Poesia

“Occhietti Neri”, 2009; finalista al Premio Na-

zionale di Haiku “La voce della natura rivela ciò

che penso”, 2009; finalista alla quarta edizione

di De Gustibus: Il Nocino, 2010; finalista al

Premio Letterario GIALLOMILANESE, edizio-

ne 2010.

E’ presente in numerose antologie, fra le quali:

Unico Indizio: La sciarpa gialla, Damster Edi-

zioni, 2009; Viaggiare con bisaccia e penna,

Lietocolle Edizioni, 2009; In treno, Giulio Per-

rone Editore, 2009; Amore 2.0, 9Muse Edizio-

ni, 2009; Dolce Natura almeno tu non menti,

Editrice Zona, 2009; Subdoli Voli, Edizioni

Pragmata, 2009; 365 Racconti erotici per un

anno, Delos Books, 2010.

E’ inoltre presente nell’e-book “Italians – una

giornata nel mondo”, a cura di Beppe Severgni-

ni, Rizzoli, 2008. Nel 2009 i suoi Racconti Brevi

sono stati letti su Radio Emilia Romagna,

all’interno della Rubrica “Racconti d’autore” a

cura di Claudio Bacilieri. Il 19 Maggio 2010 la

sua poesia “I tuoi occhi giurano amore” è stata

letta su RADIO1, all’interno del programma

“L’UOMO DELLA NOTTE” condotto da Mauri-

zio Costanzo.

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Membro di giuria durante la seconda edizione

del Concorso Letterario Nazionale “La Bibliote-

ca d’oro” (2010).

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Il giorno 14 Ottobre 1066, vicino ad Hastings, le truppe di Aroldo II, sovrano anglosassone e quelle di Guglielmo, Duca di Normandia, si scontrarono per il dominio dell’Inghilterra. Aroldo fu sconfitto e perse la vita durante la battaglia. Il trono d’Inghilterra passò alla dinastia nor-manna.

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I

Dopo la battaglia Inghilterra, 25 ottobre 1066 Il fragore della battaglia si era ormai spento. La notte era fredda e silenziosa, avvolta da pe-

santi coltri di nebbia. Piccoli distaccamenti dell’esercito normanno

stavano conquistando i feudi circostanti, uno dopo l’altro. A volte l’inevitabile resa era imme-diata, altre volte il feudo veniva strenuamente difeso, fino alla morte.

Elizabeth era seduta sul pavimento di quello

che fino al giorno precedente era stato il suo ca-stello. Una grossa corda le cingeva il collo. L’altra estremità era tenuta ben salda nella ma-no dell’uomo che sedeva di fronte a lei.

Il normanno la scrutava in silenzio, compia-ciuto del suo bottino, mentre i suoi uomini si ri-focillavano bevendo vino in quantità.

Eric Devereux strattonò leggermente quella corda ruvida per suscitare una reazione nella

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ragazza che però strinse i denti e si mosse sol-tanto impercettibilmente.

Elizabeth non piangeva, né implorava pietà, si limitava a fissarlo restando in attesa di un suo gesto. Se provava ad abbassare lo sguardo il ca-valiere normanno prontamente la richiamava, ordinandole di guardarlo.

Così lei tacitamente ubbidiva, ricambiando suo malgrado quello sguardo crudele, ma rima-nendo in qualche modo distante, come protetta da un nobile e altezzoso riserbo, una sorta di muro invisibile, l’unica difesa che le restava.

Lui l’aveva trovata insieme alla sorella minore Anne quando, con un manipolo di uomini, ave-va fatto irruzione nel castello abbattendo il gi-gantesco portone.

L’aveva guardata con occhi avidi e l’aveva tra-scinata con sé, riservandosela come ricompensa per quell’impresa.

I suoi uomini sapevano che non potevano toc-carla, perché per una sorta di legge non scritta, le donne nobili che facevano prigioniere spetta-vano ai capi e non ai soldati. Tuttavia lui l’aveva tenuta in disparte, quasi temesse un’eccezione a quella regola. L’aveva legata ben stretta non so-lo perché non scappasse, ma anche perché fosse chiaro a tutti che quella donna ormai apparte-neva a lui soltanto.

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“Guardami!” le urlò in francese. Elizabeth alzò lo sguardo, ancora una volta. Il normanno era alto e imponente, aveva occhi

chiari e penetranti e i capelli di un bel biondo scuro. Sorrideva in modo sfrontato, compiaciu-to del potere assoluto che poteva esercitare su di lei.

Se ne stava seduto con il calice colmo di vino rosso ora dando ordini ai propri uomini, ora controllando che lei non distogliesse lo sguardo.

A un tratto le fece segno di alzarsi. Elizabeth non si mosse. Di nuovo lui la invitò ad avvicinarsi con un

gesto più esplicito. Lei allora dovette alzarsi, ma non mosse un passo nella sua direzione.

“Venite qui!” Le ordinò. “Non mi avrete mai!” Gli urlò in francese. Eric rimase stupito da quelle parole pronun-

ciate nella sua lingua, ma non si scompose. “Vedo che conoscete il francese, questo davve-

ro potrà tornarmi utile in molte circostanze.” Tirò la corda avvolgendola attorno al palmo

della mano obbligando Elizabeth ad avanzare di qualche passo.

“Mi piace l’idea che siate così istruita e che possiate comprendermi.” Disse sogghignando.

“Cosa ne è stato dei miei genitori?” Gli chiese temendo il peggio.

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“Dovete stare tranquilla, se accetteranno le nostre condizioni nessuno si farà male.”

Elizabeth si chiese se quell’uomo le stesse di-cendo la verità o se stesse deliberatamente mentendo.

“Non mi credete vero?” Le chiese. “Vi siete impossessato della dimora di mio

padre con la forza, mi tenete legata come un a-nimale e dovrei fidarmi di voi?”

“Fate come credete, non è un mio problema, ma avete la mia parola che entrambi i vostri ge-nitori sono vivi.”

Elizabeth si sentì molto sollevata nell’udire quelle parole.

All’improvviso la loro conversazione fu inter-rotta dai singhiozzi di Anne.

Elizabeth fece per andarle incontro e conso-larla, ma la corda la trattenne.

“Dovreste prestare maggior attenzione a come vi muovete, non vorrei davvero che il vostro bel-lissimo collo venisse deturpato dalla ruvidezza della corda che vi lega a me.”

Elizabeth lo guardò con occhi pieni d’odio. “Lasciatemi andare da lei.” “Venite a chiedermelo un po’ più da vicino” le

disse con aria di sfida. Elizabeth si avvicinò a lui lentamente col pas-

so guardingo di un animale che non vuole finire in trappola.

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“Avanti, ancora un passo. Venite a sedervi sul-le mie ginocchia. Non abbiate paura, non posso farvi nulla in una stanza così affollata, dunque non indugiate oltre.”

Elizabeth sapeva di essere totalmente in balia di quell’uomo. Rabbrividiva all’idea di assecon-darlo, ma ne aveva paura e respingere le sue ri-chieste poteva essere pericoloso sia per lei sia per la sorella.

“Non fatemi perdere la pazienza, fate quello che vi ho chiesto!”

Elizabeth lo accontentò, scivolando fra le sue braccia.

L’uomo indossava una cotta di maglia di ferro che precludeva un reale contatto tra loro, ma il trovarsi così vicino a lui suscitò in Elizabeth una grande paura.

“Smettetela di tremare” le sussurrò all’orecchio “Cosa volevate chiedermi?”

“Vorrei andare da mia sorella” chiese di nuovo con un filo di voce.

“Brava, così si chiedono le cose” disse trangu-giando l’ultima sorsata di vino.

“Fatemi pensare” disse poi posando il calice “che cosa otterrò in cambio se vi lascio qualche minuto insieme a vostra sorella?”

Mentre parlava le faceva scivolare le dita della mano sinistra lungo il collo, respirando il suo profumo, assaporando la sua paura.

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“Sapete bene che potete obbligarmi a fare qualunque cosa, contro la mia volontà” gli ri-spose.

“Lo so, proprio per questo voglio qualcosa che non debba essere estorto con la forza. Qualsiasi cosa, a voi la scelta.”

Elizabeth rimase stupita da quelle parole e annuì con il capo. Si alzò lentamente dalle gi-nocchia dell’uomo temendo che volesse pren-dersi gioco di lei. Si aspettò di essere trattenuta di nuovo da quella corda e magari strattonata a terra, invece lui non fece nulla. La guardò rag-giungere Anne e abbracciarla mentre proferiva parole in una lingua a lui quasi del tutto scono-sciuta. La piccola Anne si tranquillizzò e si rimi-se a sedere vicino al camino.

“Adesso voglio la mia ricompensa” le disse il normanno.

Elizabeth tornò al cospetto dell’uomo e si in-ginocchiò. Prese la sua mano fra le sue e la ba-ciò sfiorando leggermente il dorso con le labbra.

Eric arricciò impercettibilmente il labbro infe-riore abbozzando un sorriso.

Quel semplice gesto, che sapeva di sottomis-sione mista a gratitudine, accese ancor di più i suoi sensi.

La tensione tra loro si era in parte stemperata e lui non voleva lasciarsi sfuggire un’occasione per accorciare le distanze.

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Se lo avesse voluto quella notte lei sarebbe stata sua in ogni caso e questo lo sapevano en-trambi, ma Eric Devereux voleva qualcosa di più, voleva abbassare le difese di lei, conquista-re la sua fiducia, per poi prenderla e farla dav-vero sua. Sapeva che sarebbe stato più difficile, ma anche infinitamente più appagante.

“Siediti” le ordinò battendo il palmo sulle gi-nocchia.

Lei, di nuovo, si sedette, col cuore che le scop-piava dalla paura.

Questa volta lui emise un piccolo gemito trat-tenuto. Una smorfia di dolore gli deformò la bocca. Fu questione di un attimo, ma lei se ne accorse.

“Che cosa avete?” non poté fare a meno di chiedergli.

Ma Eric Devereux le cinse la vita con il braccio e non rispose.

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II

La ferita

Molti normanni giacevano a terra storditi dal

vino quando Eric si alzò in piedi e le liberò il collo dalla corda.

“E’ ora di andarcene a letto, milady” disse con un sogghigno.

La prese per mano e l’obbligò a salire le scale che portavano al piano di sopra.

“Qual è la vostra camera?” Elizabeth indicò la stanza in fondo al corrido-

io. Si incamminarono in quella direzione e lei no-

tò che l’uomo zoppicava leggermente. Pensò che barcollasse a causa del vino, ma poi lui si voltò non riuscendo a nascondere una smorfia di do-lore.

“Voi state male” disse la ragazza. “Non abbastanza perché possiate approfittar-

ne per scappare.” Entrarono nella stanza e lui richiuse la porta

alle sue spalle, sprangandola. Si tolse l’armatura e i calzari e si sedette vicino

al camino.

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Una grossa fasciatura sporca di sangue gli av-volgeva la coscia destra.

“Immagino che sverrete alla vista del mio sangue milady”

“Immaginate male, mia madre ha insegnato a me e a mia sorella come curare ogni tipo di feri-ta.”

“Se pensate di servirvi della mia infermità per pugnalarmi o tagliarmi la gola, sappiate che non credo vi convenga; se non sarò io ad avervi, sa-ranno i miei uomini a intrattenervi a turno e posso assicurarvi che hanno modi molto più rozzi dei miei.”

“So bene di non avere scampo” disse Elizabeth con tono pacato. “Ora fatemi vedere la ferita.”

Il cavaliere divaricò leggermente le gambe, lei si inginocchiò davanti a lui e prese a srotolare la benda. Le sue mani erano esperte e delicate, ma a ogni leggero strappo l’uomo digrignava i denti contorcendosi dal dolore.

“Immagino vi piaccia vedermi così, una specie di rivincita per la sopraffazione che avete subi-to” disse stringendo forte i braccioli della sedia.

“Non è mia abitudine godere delle sofferenze altrui. Siete voi quello che conquista, che ferisce e che uccide.”

“Voi, milady parlate di cose che non conosce-te. Non c’è modo di sottrarsi alla crudeltà della battaglia e, credetemi, a pochi piace uccidere,

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ma dobbiamo farlo, per non perire sotto le armi nemiche”

“Voi siete venuto nella mia terra a sottomette-re le genti che l’abitavano pacificamente, siete venuto a distruggere e a sterminare.”

“Io eseguo degli ordini e non uccido mai in modo gratuito, non ho mai tolto la vita a un uomo che si sia arreso o che abbia accettato le nostre condizioni.”

Più la benda si srotolava e più il dolore del normanno aumentava e quando Elizabeth la tolse completamente lui urlò.

“La ferita si è infettata, mi servono delle erbe medicinali per curarla” sentenziò.

Si alzò in piedi e si diresse verso una piccola cassapanca posta vicino al letto, l’aprì e ne e-strasse un sacco ricolmo di erbe essiccate.

“Siete forse una strega e volete avvelenarmi?” “Non vi facevo così stupido da credere alle

streghe. La scelta è vostra: o vi fidate di me e vi lasciate curare oppure potete far cercare un dot-tore a uno dei vostri soldati, ma non credo gli sarebbe molto facile trovarlo. Se volete attende-re e rischiare la vostra vita non è affar mio.”

“Mi fiderò di voi e delle vostre maledette er-be.”

“Fate bene, perché vi salveranno” rispose in-ginocchiandosi nuovamente.

“C’è una condizione però”

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“Una condizione?” “Se volete che vi curi dovete darmi la vostra

parola che stanotte non mi toccherete.” “Non è mia abitudine scendere a patti con una

donna, neanche se è bella come voi!” “Fate finta che io sia davvero una strega e non

una donna, fate un’eccezione, oppure andateve-ne all’inferno!”

La ferita che pulsava dolorosamente ebbe la meglio sull’orgoglio dell’uomo.

“Stanotte non vi toccherò, avete la mia paro-la.”

“Bisogna far bollire dell’acqua, ne ho bisogno per pulire la ferita, vorrei che mia sorella mi aiutasse.”

Eric Devereux le ordinò di aprire la porta, urlò il nome di uno dei suoi uomini due volte e un attimo dopo un grosso normanno con la barba ispida si presentò nella stanza con la spada sguainata.

“Metti via la spada Victor. Accompagna la damoiselle da sua sorella e lasciale fare, ma non perderle mai di vista.”

Il soldato scortò la ragazza fino al piano di sotto, dove si ricongiunse con la sorella. Il nor-manno restò a guardarle mentre confabulavano fra loro in una lingua a lui sconosciuta.

“Devi aiutarmi, non c’è tempo da perdere An-ne! Il normanno è ferito e devo curarlo, ho idea

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che qui dentro senza di lui regnerebbe il disor-dine e noi saremmo perdute.”

Subito si diressero in cucina, Anne mise la pentola sul fuoco, mentre Elizabeth cercò panni puliti e fasciature.

Tornarono al piano di sopra sempre scortate da Victor che solo in quel momento venne con-gedato.

Anne arrossì nel vedere il cavaliere normanno seminudo e abbassò lo sguardo.

Elizabeth mescolò l’acqua per farla raffredda-re più velocemente, poi impregnò un panno e iniziò a pulire la zona attorno alla ferita.

Anne invece rimase in disparte sbriciolando con cura le erbe officinali.

“Dovete stare fermo.” Gli ordinò la ragazza. “Legatemi la gamba alla sedia.” “Lo volete veramente?” Chiese stupita. “Non credo che riuscireste mai a uscire da

questo castello senza che qualcuno dei miei uomini ve lo impedisca, anche se fossi comple-tamente immobilizzato.”

Elizabeth prese allora la corda che poco tempo prima le stringeva il collo e gli legò la gamba.

Lui ansimava e gemeva reclinando il capo all’indietro.

“Ho quasi finito” gli disse con tono compas-sionevole.

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Mise da parte le bende sporche di sangue e preparò una sorta di unguento con le erbe che la sorella aveva sminuzzato, mescolandole all’acqua dentro a un piccolo catino di legno.

Stese quell’impacco sulla ferita e la fasciò di nuovo con bende pulite.

“Ho finito.” L’uomo si rilassò poggiando la schiena pos-

sente all’alto schienale. “Grazie.” “Non dimenticatevi la vostra promessa.” “Non sono mai venuto meno alla parola data,

potete stare tranquilla. Ora vostra sorella deve andarsene.”

“Lasciate che rimanga, è certamente più al si-curo in questa stanza che non là fuori in mezzo ai vostri uomini ubriachi.”

“I miei uomini, che sono meno bestie di quan-to crediate, hanno precise disposizioni di non toccare vecchi e bambini, quindi vostra sorella non corre alcun pericolo. L’affiderò a Victor, che è uno dei miei uomini più fidati.”

Elizabeth rassegnata lasciò uscire la sorella af-fidandola al grosso normanno.

Si mise di nuovo all’opera e preparò una spe-cie di decotto, lo mescolò al vino e glielo porse.

“Bevetelo, vi farà bene.” Gli occhi di lei brillarono di una luce insolita. Eric esitò.

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“Bevete prima voi!” Le ordinò. Lei prese il calice e ne bevve un sorso. “Ancora!” Elizabeth ubbidì. Solo allora anche Eric ne bevve alcune sorsate. Le erbe medicamentose sortirono presto il lo-

ro effetto, la ferita cominciò a formicolare e il dolore diminuì notevolmente.

“Non dimenticherò quello che avete fatto per me questa notte” le disse con uno sguardo pieno di gratitudine.

Elizabeth sorrise e lui fu come folgorato dalla bellezza del suo viso.

“Venite qui…” le disse sottovoce. Quando lei gli fu vicino, Eric le carezzò il volto

con una dolcezza che contrastava notevolmente con i modi che aveva sfoggiato fino ad allora.

Lei non si ritrasse e, forse per la prima volta da quando si erano conosciuti, non ebbe paura.

“Non sapete che voglia ho della vostra pelle profumata e del calore di questo fuoco che arde. La battaglia mi ha stremato. Ha cambiato l’uomo che ero in un essere più forte e spietato, mi ha svuotato dentro. Adesso che l’impresa di Guglielmo si è conclusa vittoriosamente, ho sete di pace e voglia di una donna come voi nel let-to.”

Elizabeth mise la sua mano sopra a quella dell’uomo lasciandola appoggiata alla sua gota.

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“Non mi avrete mai con la forza. Otterreste soltanto il mio corpo e il mio eterno rancore, ma forse questo è proprio ciò che volete. Non vi ac-coglierò mai in questa casa che avete profanato nel nome del Duca di Normandia.”

Eric la guardò con occhi di ghiaccio e poi le disse:

“Domani notte sarò libero dalla promessa e sarete mia.”