Il Museo a Comacchio presso l’ex Ospedale degli Infermi · Linee guida per la parte...

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Il Museo a Comacchio presso l’ex Ospedale degli Infermi Il nuovo museo che nasce a Comacchio nell’ex Ospedale degli Infermi vuole e deve essere il museo del territorio, laddove per territorio si intende il risultato dell’interazione tra uomo e ambiente. Le numerose sale accompagneranno i visitatori lungo una storia plurimillenaria che ancora oggi non si conclude, costellata dai numerosi episodi, più o meno importanti, che hanno visto l’uomo insediatosi nell’area del delta del Po adattarsi alle condizioni dell’ambiente e adattare l’ambiente alle proprie esigenze. L’attenzione sarà concentrata su tre grandi episodi insediativi: l’età arcaica e classica, occupate prevalentemente dalla vicenda della città etrusca di Spina, che ha fatto dell’area deltizia padana un punto di riferimento per le rotte commerciali mediterranee tra la fine del VI e il pieno III sec. a.C., autentica porta per l’Italia cisalpina e l’Europa centrosettentrionale, sfruttando la navigabilità del Po, e al tempo stesso avamposto occidentale per il commercio verso l’Oriente attraverso le rotte adriatiche. Una parentesi sarà dedicata alle testimonianze dell’età del Bronzo e del primo Ferro documentate nella Valle del Mezzano, di particolare interesse relativamente alle modalità insediative condizionate dalle condizioni ambientali; l’età romana, in cui l’area deltizia sembra ricadere nel territorio della fiorente Ravenna e caratterizzarsi per il passaggio di importanti vie di comunicazione verso le regioni del nord e del nord-est alle quali con sempre maggiore interesse si apre Roma soprattutto a partire dalla prima età imperiale. L’area diventa altresì un importante bacino produttivo per la presenza di figlinae, di impianti di itticultura, molto probabilmente per le saline, già presenti in età etrusca. La presenza umana si concentra sicuramente in piccoli insediamenti, spesso fattorie, nelle aree più interne, verso Ostellato, in mansiones connesse alla fitta viabilità, in insediamenti funzionali a supposti strutture portuali, come il presunto faro di Baro Zavelea, a villae che in alcuni casi ad impianti produttivi paiono associare residenze di lusso, come quelle che si susseguono lungo la fossa Augusta, identificabile plausibilmente con l’Argine d’Agosta, fino al complesso del Dosso dei Sassi e all’area di Valle Ponti, dove la presenza di residenze di rilievo è indiziata per ora soltanto da rinvenimenti sporadici di particolare pregio, come un’antefissa con maschera teatrale di terracotta. Di grande rilievo sarà il racconto della vicenda del noto relitto di Valle Ponti, fortunosa sintesi di un territorio votato al commercio per mare e per fiumi.

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Il Museo a Comacchio

presso

l’ex Ospedale degli Infermi

Il nuovo museo che nasce a Comacchio nell’ex Ospedale degli Infermi vuole e deve essere il museo del territorio, laddove per territorio si intende il risultato dell’interazione tra uomo e ambiente. Le numerose sale accompagneranno i visitatori lungo una storia plurimillenaria che ancora oggi non si conclude, costellata dai numerosi episodi, più o meno importanti, che hanno visto l’uomo insediatosi nell’area del delta del Po adattarsi alle condizioni dell’ambiente e adattare l’ambiente alle proprie esigenze.

L’attenzione sarà concentrata su tre grandi episodi insediativi:

l’età arcaica e classica, occupate prevalentemente dalla vicenda della città etrusca di Spina, che ha fatto dell’area deltizia padana un punto di riferimento per le rotte commerciali mediterranee tra la fine del VI e il pieno III sec. a.C., autentica porta per l’Italia cisalpina e l’Europa centrosettentrionale, sfruttando la navigabilità del Po, e al tempo stesso avamposto occidentale per il commercio verso l’Oriente attraverso le rotte adriatiche. Una parentesi sarà dedicata alle testimonianze dell’età del Bronzo e del primo Ferro documentate nella Valle del Mezzano, di particolare interesse relativamente alle modalità insediative condizionate dalle condizioni ambientali;

l’età romana, in cui l’area deltizia sembra ricadere nel territorio della fiorente Ravenna e caratterizzarsi per il passaggio di importanti vie di comunicazione verso le regioni del nord e del nord-est alle quali con sempre maggiore interesse si apre Roma soprattutto a partire dalla prima età imperiale. L’area diventa altresì un importante bacino produttivo per la presenza di figlinae, di impianti di itticultura, molto probabilmente per le saline, già presenti in età etrusca. La presenza umana si concentra sicuramente in piccoli insediamenti, spesso fattorie, nelle aree più interne, verso Ostellato, in mansiones connesse alla fitta viabilità, in insediamenti funzionali a supposti strutture portuali, come il presunto faro di Baro Zavelea, a villae che in alcuni casi ad impianti produttivi paiono associare residenze di lusso, come quelle che si susseguono lungo la fossa Augusta, identificabile plausibilmente con l’Argine d’Agosta, fino al complesso del Dosso dei Sassi e all’area di Valle Ponti, dove la presenza di residenze di rilievo è indiziata per ora soltanto da rinvenimenti sporadici di particolare pregio, come un’antefissa con maschera teatrale di terracotta. Di grande rilievo sarà il racconto della vicenda del noto relitto di Valle Ponti, fortunosa sintesi di un territorio votato al commercio per mare e per fiumi.

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l’età altomedievale, quando intorno a insediamenti di tipo religioso, come la pieve di Santa Maria Padovetere, si recupera la vocazione insediativa dell’area, strettamente connessa ai traffici con l’entroterra, in tutte le direzioni, preludio alla fioritura del centro di Comacchio, il racconto della cui storia si protrae fino agli albori dell’età moderna, con importanti episodi delle fasi basso medievali, come il rinvenimento dell’imbarcazione quattrocentesca presso il canale Logonovo.

Tutte le vicende del territorio saranno raccontate sullo sfondo della storia evolutiva del paesaggio, a partire da migliaia di anni prima della nostra era, analizzato in tutti i suoi aspetti: la sua fisicità, la fauna, la flora.

Il museo a Comacchio è il primo a raccontare la storia del territorio nella sua totalità, ma deve porsi sostanzialmente in rete con le realtà museali preesistenti: il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, Il Museo del Territorio di Ostellato, il Museo del Belriguardo e quello della Delizia del Verginese. Lo scopo è quello di fornire un’offerta al visitatore ampia e diversificata, dove ogni realtà museale sia complementare alle altre, e di favorire, in tal modo, la crescita di tutto il territorio incrementando la presenza turistica in tutte le sue forme.

Pur toccando temi per certi aspetti trattati nelle altre realtà museali, il Museo a Comacchio farà ampio spazio all’uso di moderne tecnologie e a ricostruzioni di contesti, consentendo ai visitatori non solo di godere della visione di testimonianze archeologiche fino ad ora non accessibili al grande pubblico, ma anche di penetrare il più possibile nelle realtà antiche attraverso episodi di archeologia sperimentale (resi possibili per la parte dedicata all’antica Spina dalla disponibilità di nuovi spazi rispetto a un progetto originario, già ratificato e condiviso e tuttora valido nelle sue linee programmatiche), capaci di condurlo alla più chiara comprensione di situazioni di vita distanti nel tempo ma anche al più chiaro confronto con diversità e affinità rispetto alla realtà contemporanea.

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Linee guida per la parte naturalistica: Rivisitazione della proposta di progetto espositivo redatto nel novembre del 2009.

A cura di Carlo Peretto

La presente relazione accoglie la richiesta di riformulazione della distribuzione degli spazi relativi alla sezione espositiva dedicata alla storia naturale del territorio, che è finalizzata alla ricostruzione degli eventi ambientali succedutisi nel corso del tempo in relazione allo sviluppo delle comunità umane, viste anche nella loro dinamica prospettiva di successo e di decadenza.

Gli spazi proposti per gli aspetti ambientali e la loro evoluzione sono posti al secondo piano del fabbricato e si identificano:

- nell’ampio ballatoio posto alla destra della rampa di scale,

- nella sala indicata in planimetria come elemento centrale,

- nella sala adiacente indicata col numero 1.

Gli spazi destinati a questo tema, come già affermato e condiviso nella relazione del 2009, devono essere in grado di riassume gli ambienti e i paesaggi naturali a carattere geologico, vegetale e animale. In particolare si sottolinea l’importanza di evidenziare l’equilibrio mutevole dell’ampia area deltizia nella quale prospera Comacchio. Si tratta di un territorio ampio che, seppure affascinante per una infinità di aspetti paesaggistici, naturali e culturali, trova nella sua mutevolezza un fattore innegabile di riferimento, nel quale e dal quale le comunità umane che si sono succedute nel del tempo hanno saputo valorizzare e trarre le necessarie risorse, anche con interventi di sistemazione e di continuo controllo.

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In questo quadro il tema della formazione del territorio si coniuga con quanto su di esso si instaura in differenti momenti cronologici, ma cercando in particolare di dare specifico risalto:

- alla lunga fase che precede Spina, - all’ambiente naturale del contesto di Spina, - ai fattori naturalistici che interagiscono con la decadenza di Spina,- alla successiva fase di sviluppo del territorio che favorisce la ripresa del contesto alto

medievale, - alle indicazioni della situazione attuale anche attraverso la riorganizzazione e il controllo su

vasta scala de territorio, realizzata con attenzione alla valenza del paesaggio e alle eccellenze culturali.

L’analisi degli spazi destinati a questi argomenti porta a ritenere che il ballatoio sia sempre molto illuminato naturalmente dalle ampie finestre poste sulla parete sulla quale insiste l’ampia scale che porta al primo piano. Questa condizione sarà quella comunque, anche con illuminazione artificiale, adottata di norma per dare garanzia e sicurezza al pubblico nel salire al primo piano.

La particolare posizione del ballatoio vincola pertanto il suo utilizzo a fini espositivi con rappresentazioni pittoriche (possibile murales), perché si ritiene che, oltre ad aspetti connessi con una corretta illuminazione, non sia auspicabile, per motivi architettonici ed estetici, una sua eventuale schermatura.

E’ pertanto poco vantaggioso l’utilizzo di proiezioni, pannelli luminosi o schermi, mentre si ritiene più efficace una sequenza di immagini che inseriscono il visitatore nell’ambiente della fascia costiera del Delta del Po nelle varie fasi climatiche che hanno caratterizzato gli ultimi 5000 anni, in relazione alle dinamiche insediative nel controllo del territorio con realizzazione di ingenti opere idrauliche.

Per questo motivo, pur rimanendo inalterati i contenuti espressi in questa sezione museale, si propone quindi che l’ampio spazio del ballatoio sia organizzato nel rappresentare, il contesto comacchiese nel rapporto uomo/ambiente nel corso del tempo attraverso immagini simboliche e/o rielaborazioni di immagini da letteratura.

Nello spazio definito elemento centrale, possono trovare adeguata rappresentazione i temi già proposti nella relazione del 2009 e che di seguito sono ripresi con le necessarie modifiche dovute alla riorganizzazione degli spazi e della sequenza espositiva.

Si tratta di ricomporre immagini e sonoro in grado di presentare in maniera sintetica ed interattiva in modalità 3D il processo evolutivo del territorio grazie al supporto di uno schermo

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interattivo1 a parete ed un pavimento interattivo che consentono un percorso sviluppato nei seguenti 6 punti:

1- il mare caratterizza il tutto in origine, quando la Valle Padana era una propaggine di quello che oggi chiamiamo Mare Adriatico;

2- lentamente il bacino padano si interra per vari motivi naturali (apporti fluviali, subsidenza, trasgressioni e regressioni marine, ecc.). Queste ultime due cause sono particolarmente interessanti e sono decisamente influenzate dalla successione dei numerosi glaciali e interglaciali che hanno interessato nell’ultimo milione di anno il nostro pianeta, determinando accumulo di ghiaccio sulle terre emerse durante i periodi freddi (glaciazioni) e disgelo in quelli più temperati (interglaciali), Ciò ha comportato numerose risalite o abbassamenti del livello marino con riduzione o aumento della superficie complessiva delle terre emerse. L’alternanza di glaciali e interglaciali ha comportato numerosi e ripetitivi cambiamenti non solo climatici, ma anche delle flora e della fauna che nel corso dei numerosi millenni si è succeduta in tutto il territorio padano e che ha condizionato per una infinità di motivi a stessa sopravvivenza dei gruppi umani e il loro regime alimentare. Oggi viviamo in una fase interglaciale e il risultato è evidente per le numerose aree lagunari e paludose che interessano o che hanno interessato l’area in esame negli ultimi secoli, anche quelli dell’insediamento di Spina. Questa realtà così fragile è stato un fattore importante di sviluppo o di decadenza.

3- In questo ampio scenario rientra il successo di Spina, un filtro osmotico tra l’ampio entroterra e i possibili contatti verso la realtà mediterranea, in una sorta di controllo e gestione dei rapporti e degli scambi che sono alla base del suo successo. In questo contesto la “viabilità”, possibile grazie a canali e corsi fluviali, ne hanno consentito lo sviluppo fino al raggiungimento di livelli economici e organizzativi di alto rilievo. E’ importante sottolineare quale sia stata la capacità della comunità spinetica nel gestire a sua vantaggio una situazione ambientale delicata e fragile, che per lungo tempo ha rappresentato uno degli elementi portante del sistema economico.

4- L’assetto del territorio che in qualche modo ha favorito l’insediamento umano di Spina, è lo stesso che in fasi più recenti del suo sviluppo viene a costituire una delle concause della perdita di competitività. Ai fattori culturali e alle scelte economiche e politiche, hanno fatto da contorno anche le modificate condizioni ambientali quali concausa del declino.

5- Le mutate condizioni vanno analizzate anche nel contesto delle differenti risposte adattative che le differenti comunità umane sono in grado di offrire in situazioni complesse, come quelle di un delta in continuo divenire. E’ in questo contesto riemerge con notevole significato la realtà indagata alto medioevale che riconduce, in situazioni di poco differenti, alla uova centralità economica del territorio comacchiese;

6- Si giunge così alla realtà attuale nella quale si possono citare le problematiche della gestione territoriale anche con impatti forti (bonifiche) e di economia che vanno dalla pesca al turismo balneare.

1

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In sostanza, riprendendo quanto già scritto nel 2009, si ritiene importante porre l’accento sull’estrema fragilità di un territorio, soprattutto ponendo l’accento immediato fin dallo spazio 1 sulla successione degli eventi geologici, sempre in equilibrio instabile tra terra e acqua. Questa dinamicità ha condizionato in maniera drastica gli aspetti botanici e faunistici, non riducendone gli spazi, quanto piuttosto imponendo la drastica sostituzione di piante ed animali. Questo è stato un fenomeno che si è verificato più volte per cause climatiche amplificate dall’uomo soprattutto negli ultimi secoli, quando imponenti opere idrauliche (bonifiche) hanno prodotto profonde modificazioni nel territorio i cui equilibri sono condizionati in maniera decisa dalla presenza dell’uomo, mantenendo nelle aree in cui le modificazioni sono state rispettose degli equilibri naturali l’elevato valore naturalistico e paesaggistico.

Lo schermo dell’elemento centrale si caratterizza con proiezioni in successione delle differenti fasi a carattere geologico che interessano dapprima l’intera Valle Padana e poi, nelle fasi più recenti, il territorio di Comacchio, con riferimenti particolareggiati a Spina, all’età romana e medioevale. Lo schermo sarà contornato dalle carte topografiche e geomorfologiche del territorio in questione, elaborate in epoche differenti, compreso le più recenti che definiscono i lineamenti dunari fossili e attuali, gli antichi corsi fluviali, ecc. Lo scopo è quello di consentire una comprensione della cartografia a disposizione troppo spesso difficile da comprendere per i non addetti ai lavori. Lo schermo riassume, in una successione continua, le differenti realtà che si sono affermate nel corso del tempo con una prima panoramica sul golfo padana e sulla alternanza di terra e mare che si è instaurato in seguito alla successione di glaciali e interglaciali, fino ad arrivare alla situazione del Tardiglaciale e dell’Olocene con l’innalzamento del livello marino fino ad ottenere la configurazione che conosciamo in dettaglio.

L’animazione interesserà anche le differenti fasi floristiche e faunistiche della Valle Padana per stringere il campo con maggior dettaglio sulle fasi che caratterizzano la formazione del territorio comacchiese, arrivando anche alla situazione attuale. Particolari riferimenti potranno essere fatti per la faune würmiane delle cave di Settepolesini (Bondeno) e di Spina, queste ultime sia domestiche che selvatiche. Si potranno evidenziare soprattutto le associazione tipiche di ambiente glaciale rispetto all’interglaciale e, per le fasi più recenti, quelle dell’area di maggior interesse (Spina e territori limitrofi), anche con riferimento alla situazione attuale

Il commento sarà sonoro per quanto riguarda le immagini espresso dallo schermo, mentre le didascalie potranno accompagnare la cartografia di contorno, sia quella ricostruita per le fasi più antiche, che quella storica.

Se l’elemento centrale consentirà la presentazione della storia naturale del territorio, la sala adiacente numero 1 consentirà al visitatore di avere un diretto contatto con le metodiche e i materiali che consentono la ricostruzione degli antichi ambienti naturali con i quali l’uomo è convissuto ed ha interagito. In particolare si prevedono:

- l’esposizione e/o riproduzione di elementi al fine di consentire ai visitatori una maggiore interattività con la realtà naturale. In particolare si potranno presentare le componenti sedimentologiche che caratterizzano il territorio di Comacchio.

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- Sarà spiegata la provenienza dei sedimenti attraverso l’osservazione di sabbie, limi e argille, verificandone la differente granulometria toccando con appositi guanti i sedimenti custoditi in contenitori di plastica trasparente e soprattutto attraverso il riconoscimento dei minerali e la natura dei frammenti delle rocce d’origine sopravvissute all’erosione, informazioni che consentono di descrivere le rocce madri affioranti nei bacini di provenienze dei sedimenti.

- Su supporti e pannelli sarà infatti possibile osservare i minerali costituenti e la loro forma, e per meglio comprendere le caratteristiche chimico-fisiche di questi minerali saranno resi disponibili campioni macroscopici di dimensioni decimetriche dei minerali osservati per permettere di toccarli ed ammirarne le caratteristiche ottiche e gemmologiche.

- Si potrà porre l’accento anche sull’analisi delle differenti associazioni mineralogiche che contraddistinguono i sedimenti dei fiumi appenninici ed alpini, consentendo di distinguere gli apporti del Po, dell’Adige e del Reno, apporti che sono stati modificati dai cambiamenti climatici e più recentemente dagli interventi di bonifica e governo del territorio tramite opere idrauliche.

- Saranno spiegate le diverse capacità di compattazione dei sedimenti, giustificando la formazione di dossi, di paleoalvei e di paludi così importanti per gli insediamenti umani. Essendo inoltre prevista l’esposizione dei ciottoli simbolici rinvenuti nel sito di spina costituiti prevalentemente in arenaria una parte della descrizione sarà dedicata alla litificazione delle rocce sedimentarie e alle provenienze delle rocce rinvenute a spina, spiegando anche la loro natura alloctona.

- Saranno presentate le metodiche utilizzate per la ricostruzione degli antichi ambienti naturali, per fornire una l’approccio che integra e amplia le capacità di osservare e fruire del patrimonio naturalistico con riferimento ai contenuti floristici e faunistici.

- Per la flora, vengono ricostruiti (dimensioni medie di 10 cm) i pollini delle principali piante che caratterizzano le differenti fasi vegetazionali. In tal modo il visitatore potrò confrontare le loro morfologie, le dimensioni reciproche, la leggerezza di taluni tanto da poter essere trasportati dal vento a centinai di chilometri di distanza. Su pannello vengono illustrate le tecniche adottate per l’estrazione dei pollini (tecniche di campionamento, procedure e preparazione dei campioni in laboratorio, determinazione e individuazione delle associazioni per la ricostruzione degli antichi ambienti naturali). Saranno illustrati i materiali che costituiscono un polline e soprattutto far comprendere come e perché si conservano.

- Per quanto attiene alla faune , un pannello illustrerà la successione delle associazioni faunistiche del Pleistocene ed Olocene in area padana. Particolari riferimenti potranno essere fatti per la faune würmiane delle cave di Settepolesini (Bondeno) e di Spina, queste ultime sia domestiche che selvatiche. Si potranno evidenziare soprattutto le associazione tipiche di ambiente glaciale rispetto all’interglaciale e, per le fasi più recenti, quelle dell’area di maggior interesse (Spina e territori limitrofi), anche con riferimento alla situazione attuale. Si prevede la realizzazione di calchi che possono essere anche toccati dal pubblico. Particolare attenzione riguarderà il materiali provenienti dal sito di Spina, illustrando la loro provenienza stratigrafica, se selvatico e allevato, ecc.

I materiali da recuperare o realizzare per l’esposizione:

- BALLATOIO: realizzazione immagini, foto e disegni da porre sulla parete del ballatoio. L’ipotesi avanza della realizzazione di un murales con bando e realizzazione da parte delle scuole della

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provincia, eventualmente a scadenza biennale, è da perseguire. Le dimensioni proposte sono di 6 metri di lunghezza per 1,5 di altezza.

- ELEMENTO CENTRALE: grande schermo da porre sulla parete di fondo; realizzazione materiale documentale (disegni e filmati) oltre a immagini di repertorio, speakeraggio, fotografie del territorio e documentazione storica in immagini e filmati per una durata complessiva di 4 minuti; si tratta di immagini di ambienti simili a quelli esistenti nelle differenti fasi cronologiche del territorio padano e dell’area di interesse comacchiese. Si aggiungano inoltre immagini di singoli soggetti (animali, vegetali) che poi possono essere ricomposti in ricostruzioni grafiche con l’indicazione della concentrazione, della distribuzione e della frequenza. Recupero e riproduzioni di carte topografiche storiche e di recente realizzazione (ricostruzioni dell’antico assetto territoriale) con didascalie ed elementi di supporto per l’esposizione; particolare deve essere il riferimento al territorio di Comacchio nei contenuti geomorfologico e cronologici;

- SALA ADIACENTE n. 1: calchi di reperti riguardanti esempi di pollini e materiali paleontologici; tra questi ultimi in particolare possono esempre presentati alcuni tra i più significati oggetti provenienti da depositi quaternari della Valle, in particolare da Settepolesini di Bondeno. A scopo didattico si devono preparare campioni di argille, limi e sabbie; predisporre supporti (ripiani) per l’appoggio dei materiali e per consentirne l’interattività col visitatore; didascalie e testi per tutti i settori in sintonia con la linea di esplicitazione formulata per il percorso espositivo; definizione e predisposizione dei contenuti e delle immagini con specifici pannelli esplicativi che riportano testi e immagini; predisposizione dei supporti per i pannelli e il materiale espositivo.

L’età romanaProgetto a cura di Aniello Zamboni e Claudio Negrelli

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13-01-2014

SETTORE A: LA ‘GALLERIA DEI PERSONAGGI’. UNO SPACCATO DELLA SOCIETÀ DELTIZIA E DELL’INSEDIAMENTO DI ETÀ ROMANA ATTRAVERSO LE TESTIMONIANZE EPIGRAFICHE

Principi informativi Il settore dedicato all’età romana si apre con una ‘galleria di personaggi’ che si propone di

presentare le genti che popolarono e in un certo senso crearono il Delta durante l’età romana. Volutamente, fin dai primi momenti dell’esposizione, si è scelto di offrire uno sguardo sul passato di questi territori partendo dalle persone, e soprattutto dalla società che contribuì a creare un paesaggio antropizzato in un settore geografico fortemente condizionato dai fattori ambientali.

Un punto di vista privilegiato è costituito dai monumenti funerari che numerosi sono stati ritrovati in passato, ed anche in tempi più recenti, sia a Comacchio, sia nei territori limitrofi. I ‘ritratti’ e le iscrizioni presenti sulle stele danno un’immediata percezione della società dell’epoca, composta ai vertici da grandi famiglie di possidenti, ma anche da militari, da liberti e da schiavi, spesso legati più o meno direttamente all’amministrazione imperiale dei saltus.

Il settore A è pertanto dedicato all’esposizione di una scelta di monumenti funerari ritrovati in varie occasioni nel territorio di Comacchio e del Basso Ferrarese.

Non tanto per sottolinearne gli aspetti funerari, quanto per sfruttarne la capacità di offrire un’immagine immediata dei vivi, in questo senso recuperando del monumento funerario romano quella capacità di ‘dialogo con il viandante’ rimasta a lungo come uno dei tratti distintivi della civiltà antica. Il ‘ritratto’, l’iscrizione con i dati anagrafici del tempo, a volte il carmen degli esempi più complessi, saranno il punto di partenza per presentare la popolazione del Delta. Certo, un punto di partenza privilegiato in quanto focalizzato sugli strati medio alti della popolazione, ma dal quale partire per illustrare, nei termini più ampi possibili, una società complessa e stratificata.

Un altro aspetto che ci si propone di illustrare mediante la ‘galleria dei personaggi’ è quello concernente la viabilità, le comunicazioni, i viaggi e i commerci: altri elementi che caratterizzano fortemente il territorio del Delta, come nodo di comunicazioni in un mondo, come quello antico, che privilegiò le vie d’acqua rispetto ad ogni altro tipo di rete infrastrutturale. Infatti i monumenti funerari, come noto, in età romana erano collocati di preferenza lungo gli itinerari e gli snodi stradali, oppure anche lungo le vie d’acqua, peraltro affiancate spesso da strade ‘alzaie’ che già in età romana contraddistinguevano i paesaggi di bassa pianura.

Un terzo aspetto da sottolineare in questo stesso settore è quello ambientale: i monumenti funerari dovranno cioè essere inseriti entro un paesaggio antropico che lasci intravvedere l’ambiente, le essenze vegetali, i campi, la foresta, ovvero tutti gli elementi che costituivano uno dei tratti distintivi del delta in età romana.

Da questi tre principali obiettivi conseguono le idee espositive, e la scelta dei materiali, che diamo di seguito.

Criteri espositivi per la parte epigrafica e monumentale

Nello spazio in oggetto si opta per l’esposizione di una serie di stele funerarie recuperate in varie località, scelte per il potenziale rappresentativo della società comacchiese antica. Si dovranno ottenere gli originali dalle varie Istituzioni proprietarie; nel caso non sia possibile si propone qui di

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utilizzare riproduzioni tridimensionali o calchi, oppure anche riproduzioni digitali da esporre lungo le pareti del settore dedicato.

Si tratta dunque di una disposizione lineare che mira a suggerire la presenza di una via sulla quale le stele erano effettivamente collocate, che il visitatore deve ripercorrere all’ingresso del Delta romano, recuperando un punto di vista antico.

Vari possono essere i mezzi utilizzati per rendere questo suggerimento: l’ideale sarebbe la ricostruzione di un piano stradale ghiaiato, costeggiato da un fossato, ai margini del quale le stele si dispongono entro un ambiente aperto, con suggerimenti circa le essenze vegetali ed il paesaggio circostante.

Un altro elemento di particolare attenzione sarà dedicato ai supporti delle stele, cioè ai basamenti che saranno realizzati con laterizi e con materiale lapideo, come mostrato dai recenti contesti di Gambulaga e di Voghenza. Allo stesso modo, onde fornire una ricostruzione quanto più possibile vicina al vero, si suggerirà la presenza delle tombe che affiancavano le stele, sepolte, ma evidenziate da segnacoli oppure semplicemente dai ‘dispositivi’ libatori e dai resti di ceramiche per le libagioni funebri.

I pannelli esplicativi faranno riferimento prima di tutto agli aspetti sociali e insediativi, cercando di rispondere a domande quali: chi erano questi personaggi e queste famiglie, che posto occupavano nella società di allora, che tipo di insediamento presuppongono e dove abitavano. Attraverso la loro presenza, le loro parole ed i loro ritratti si introdurrà un percorso vertente sull’insediamento e sulla strutturazione della proprietà nel Delta, tra possedimenti privati e grandi aziende di proprietà imperiale (il cosiddetto saltus). Solo alla fine del percorso proposto si farà più esplicito riferimento agli aspetti funerari, introducendo, vicino ad una delle stele, la ricostruzione di una sepoltura di prima età imperiale (ad incinerazione), da collocarsi aperta e visibile entro una fossa ‘strutturata’ con l’aggiunta di elementi della ritualità funeraria.

Materiali da esporre (in originale o in riproduzione) per la parte epigrafica e monumentale

- 1: stele di L. Caesius. Conservata attualmente al Civico Lapidario di Ferrara, da Maiero. Pietra d’Istria, m h.1,870 x l. 0,600 x s. 0,220. Metà del I secolo d.C. Metà del I secolo d.C.

- 2: stele del decurio T. Atilius, dal territorio di Ostellato e attualmente conservata al Museo Nazionale di Ferrara.

- 3: stele di C. Aemlius Severus, militare marinaio di nazione pannonica. Conservata attualmente al Museo Arcivescovile di Ravenna, proviene da S. Alberto. Marmo Pentelico, m h.1,250 x l. 0,634 x s. 0,045. II secolo d.C. ].

- 4: stele di Q. Palavellus Paulinus, veterano della VII coorte pretoria, conservata attualmente al Civico Lapidario di Ferrara, ritrovata a Gambulaga, località Ospitale, nel 1766. Marmo greco, m h.1,515 x l. 0,420 x s. 0,550. II secolo d.C.

- 5: stele di Atilia Primitiva: è una donna libera, figlia del ravennate Atilius Primitivus, moglie di Herma, schiavo imperiale, dispensator regionis padanae Vercellensium Ravennatium, amministratore del saltus della regione deltizia; è la testimonianza dei particolarismi della società che in epoca romana popolava il Delta.

- 6: stele di Pinnia Quieta, rinvenuta sul Dosso dei Dessi; conservata presso il Museo Nazionale di Ferrara?

- 7: stele di Truppicus. Conservata attualmente nella Biblioteca Malatestiana di Cesena, ritrovata in valle Trebba. Pietra d’Istria, m h.1,200 x l. 0,655 x s. 0,320. Metà del I secolo d.C.

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- 8: voluta ionica angolare da Valle Pega. Ricostruzione virtuale di un edificio funerario a cuspide.

Criteri espositivi per la parte specificamente funeraria

Due i temi prescelti: in primo luogo il rito funerario, colto non solo nel ‘focus’ costituito dalla sepoltura, ma anche negli aspetti della preparazione e del culto dei morti. In secondo luogo gli oggetti quali componenti fondamentali della ritualità del funus, negli aspetti materiali, ma anche nei risvolti ideologici.

La ricostruzione di una sepoltura deve essere accompagnata ad una scena che riassuma il rituale nei momenti della cremazione, del silicernium, della effettiva sepoltura e della libagione, grazie anche agli elementi archeologici effettivamente ritrovati nel recente scavo della necropoli di Gambulaga-Verginese.

Accanto saranno esposti i materiali dei corredi della necropoli della Vallona di Ostellato, con la spiegazione del loro uso e valore nel mondo dei vivi, come oggetti del quotidiano o rappresentativi della sfera sociale o personale, e nel mondo dei morti, in rapporto all’ideologia funeraria e alle credenze sull’aldilà.

Materiali da esporre per la parte specificamente funeraria

- Pannelli esplicativi del culto dei morti nel mondo romano.- Pannelli sulla distribuzione e sul significato delle sepolture e delle stele in territorio

ferrarese.- Scena ricostruttiva del rituale funerario, dal rogo alla libagione.- Esposizione mirata degli oggetti della necropoli della Vallona di Ostellato. Usi ‘in vita’ e

significati funerari ed escatologici.- Ricostruzione di una sepoltura ad incinerazione indiretta, desunta ad esempio dai dati

raccolti nel recente scavo della necropoli dei Fadieni, a Gambulaga.

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SETTORE B1: LE STRUTTURE DELL’INSEDIAMENTO (LE VILLE); LE STRUTTURE DELLA PRODUZIONE

Principi informativi

Questo settore è dedicato agli insediamenti che costellavano il paesaggio del Delta. Siano essi edifici residenziali, peraltro alcuni con strutture abitative di pregio, o fabbricati destinati ad attività produttive e artigianali, molto spesso connotati da articolazioni complesse che ancora oggi la ricerca archeologica stenta a chiarire.

Nonostante questo è possibile ipotizzare la presenza sia di importanti settori residenziali, con mosaici e altre strutture abitative di pregio, sia di grandi edifici produttivi e strutture di carattere artigianale, benché raramente sia stato possibile interpretarne gli scopi e le modalità di funzionamento, se non a livello molto generico. Per questo sarebbe importante riprendere in esame molta della documentazione pregressa alla luce delle conoscenze attuali, in modo da formulare ipotesi meno generiche e ovvie. Un esempio per tutti potrebbe essere quello dell’itticoltura, che quasi tutti gli autori riferiscono a questo territorio, ma della quale non vengono mai indicate le possibili strutture, se non a livello puramente indicativo, nonostante siano state ritrovate parecchie vasche e condutture – barriere con evidente carattere produttivo (la villa d’Agosta ed ipotetiche strutture per le peschiere).

Criteri espositivi

Per questo settore si indicano due temi: quello della residenzialità e quello della produzione. Per il primo il contesto archeologico di Bocca delle Menate, già studiato approfonditamente nel 1997 (Percorsi di archeologia, a cura di F. Berti), oltre ai vari ritrovamenti di Baro Zavelea, Dosso dei Sassi e di Salto del Lupo, e per il secondo il complesso insediativo dell’argine di Agosta, formato da vari edifici e studiato a più riprese da G. Uggeri negli anni Settanta, oltre che altre strutture sparse nel territorio (tra cui ricordiamo le vasche ritrovate ancora nel complesso di Bocca delle Menate).

Si intende privilegiare le ricostruzioni a scala reale, con la proposta di elementi strutturali ed ambientazioni che possano rendere la qualità degli edifici di epoca romana, presentando i numerosi reperti da Bocca delle Menate, oltre che dagli altri siti già citati: soprattutto gli intonaci dipinti, che danno la possibilità di ricostruire le decorazioni ad affresco, e i mosaici, già strappati all’epoca dello scavo del 1959 per ampi settori2.

Più difficile sarà rendere le strutture produttive, delle quali non rimangono che pochi reperti, oltre alla documentazione grafica e fotografica. Per questo sarà giocoforza avvalersi di ricostruzioni

2

Si segnala la necessità di provvedere, sia nel caso degli intonaci, sia nel caso dei mosaici, a nuovi restauri con il rimontaggio e l’impiego di materiali più leggeri per i supporti.

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grafiche, di riproduzioni fotografiche e dei disegni originali di scavo, procedendo ad ampi confronti regionali ed extraregionali.

Per ovviare alla frammentarietà dei dati provenienti dalla fonte archeologica, e nello stesso tempo per completare il quadro mediante l’apporto di discipline in grado di apportare nuovi elementi al tema prescelto, si dovranno utilizzare con sistematicità i dati di carattere paleoambientale/paleobotanico e paleozoologico. Alcuni campioni riguardano anche il nostro territorio, ma in altri casi sarà opportuno procedere con ricerche ad hoc, in modo da ricostruire un quadro ambientale sistematico e non episodico. La fonte paleobotanica e quella paleozoologica saranno così in grado di chiarire la reale portata di certi tipi di coltura, della foresta come risorsa e dell’allevamento, tutte voci importanti nell’economia del comprensorio deltizio in età romana, ma ancora non valutati obiettivamente con l’apporto di tutte le fonti disponibili.

In conclusione, gli elementi del lavoro e della produzione che sembra opportuno sottolineare sono:

- la produzione del legname.- I prodotti dalla canapa.- La produzione del vino e la coltivazione della vite.- La produzione del carbone.- L’allevamento ovino, bovino e suino.- La tessitura della lana, della canapa e del lino testimoniata dai molti pesi da telaio- La caccia. - Le peschiere e la produzione di derivati, come il pesce sotto sale e il garum.- Le saline.- I laterizi e le produzioni figulinarie.

Materiali da esporre

- Ricostruzione di una porzione strutturale del comparto residenziale della villa di Bocca delle Menate, mediante il montaggio di una porzione musiva a terra, di un ambiente con un muro affrescato (ricostruzione delle parti affrescate mancanti con inserzione degli originali) e di una parte di muratura. Inoltre la ricostruzione di un settore del tetto mediante tegole e coppi riprodotti. Particolare cura dovrà essere dedicata ai dettagli costruttivi e alle modalità artigianali di realizzazione.

- Disco marmoreo da Dosso dei Sassi ed altri materiali, come i frammenti di fregi decorativi.- Altri elementi strutturali della residenzialità in età romana (Salto del Lupo, Baro Zavelea)- Archeologia della produzione nel Delta di età romana. Riproduzione grafica e fotografica

delle strutture relative ad impianti per la piscicoltura o di altro tipo. Lo status quaestionis e i problemi aperti. I confronti con altre regioni. L’apporto delle discipline archeometriche: paleobotanica e studi faunistici.

- Cippo OCTAVI T. F., raffigurante due fabbri al lavoro; reperito presso San Martino, Ferrara; attualmente presso il Civico lapidario di Ferrara

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Le vocazioni produttive nel tempo. Le strutture di epoca moderna come possibili sopravvivenze dell’economia antica. Le saline e le peschiere, le coltivazioni e l’allevamento. Il bosco come coltura e come riserva. La canapa, i tessuti e i manufatti di derivazione vegetale.

SETTORE B2: IL CULTO

Principi informativi

Oltre agli aspetti cultuali evidenziati (culto dei morti) e ai riferimenti al culto delle Junones e ai pocula deorum, particolare attenzione sarà dedicata alle manifestazioni esteriori ed interiori del sentimento religioso nei confronti del Po, la divinità fluviale personificazione della forza della natura, meglio, dell’acqua che, benefica o malefica, segna il destino del Delta, in particolare del territorio di Comacchio. Saranno presi in considerazione gli atti rituali tributati al fiume, il mito (Fetonte, Elettridi, Cycno, l’ambra…), le raffigurazione (la figura tra l’umano e il divino o soltanto umana), le testimonianze offerte dagli autori dell’età classica (Virgilio. Ovidio). Non ultima la possibilità di presentare taluni aspetti di vera e propria venerazione del Po continuata nei secoli successivi.

Materiali da esporre (ancora non tutti indicati)

- Ara votiva dedicata alle Junones; rinvenuta a Codigoro nel 1791; attualmente nel Civico lapidario di Ferrara.

- Antefisse architettoniche di terracotta con raffigurata una testa maschile frontale con orecchie ferine e piccole corna sulla fronte, circondata da foglie d’acqua. Probabilmente è rappresentato il dio fluviale Eridano3; dalla villa d’Agosta, attualmente nel Museo Nazionale Ferrara.

Brocca di Agosta con graffita nel fondo esterno la dedica alla Fortuna; Museo Nazionale Ferrara.

Rilievo votivo al dio Silvano: giovane con una roncola nella mano destra e un alberello nella sinistra; un cane è accoccolato ai piedi; (Civico lapidario di Ferrara).

3

L’immagine del dio fluviale è così descritta in Virgilio, Georgiche, IV, 371 – 373: Et gemina auratus taurino cornua vultu/ Eridanus quo non alius per pingua culta/ In mare purpureum violentior influit amnis.

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SETTORE C1: LA RETE VIARIA. IL DELTA COME SNODO DI COMUNICAZIONI.

Principi informativi

Sulla parete a sinistra viene ripreso il quadro insediativo, non più soltanto rispetto alla distribuzione dell’insediamento in riferimento alla proprietà, ma in specifico rapporto al quadro delle vie di comunicazione: marittime, lagunari/fluviali e terrestri. Ci si potrà avvalere del panorama di sintesi recentemente proposto nella pubblicazione Genti del Delta, dalla quale emerge un chiaro rapporto tra una linea paracostiera diretta a nord e proveniente da Ravenna (via Popillia-Fossa Augusta) ed una linea fluviale-terrestre diretta al cuore dell’Italia padana, mediante il ramo principale del Po di Volano ed una serie di rami secondari.

Se il popolamento sembra chiaramente attratto da questo sistema di comunicazioni, è altrettanto vero che lo Stato romano attuò una serie di infrastrutture e di strategie di mantenimento che a stento emergono da quanto l’archeologia è riuscita a produrre negli ultimi decenni, ma che dovettero rivestire un ruolo di primo piano nel paesaggio del Delta. Accanto alle opere che più chiaramente sembrano aver rivestito una valenza pubblica (si pensi alla cosiddetta torre farea di Baro Zavelea), dovevano esistere anche una serie di strutture e di complessi atti a favorire le comunicazioni ed i viaggi, in termini di ospitalità al viaggiatore e al commerciante, oppure di appoggio al cursus publicus. Nel mondo romano le mansiones e le mutationes svolgevano appunto funzioni di questo tipo, ed un particolare tipo di mansio dovette svilupparsi proprio in area alto adriatica, come mostrato assai efficacemente dai vicini e famosi esempi di S. Basilio di Ariano Polesine e di Corte Cavanella di Loreo. Alcune situazioni archeologiche locali hanno portato ad ipotesi simili, ma va sottolineato che le nostre conoscenze attuali delle aree comacchiesi e limitrofe sono scarse, non essendo stati eseguiti qui interventi di archeologia stratigrafica estensiva secondo i più moderni metodi di indagine. Pertanto, pur non rinunciando alla presentazione del quadro offerto dall’archeologia locale, vorremmo avvalerci ampiamente dei termini di confronto meglio conosciuti (per quanto essi stessi oggetto di discussione), emersi non soltanto in territori limitrofi e in situazioni simili, ma semplicemente analoghi per ambientazione geografica e paesaggistica.

Nello stesso tempo il quadro offerto dal territorio deltizio pone il tema di un ovvio collegamento al mare, seppure per l’età romana tende ad emergere semplicemente sullo sfondo, demandando implicitamente a Ravenna (per il tramite della fossa Augusta) la funzione di unico grande centro di smistamento. Eppure le fonti, assieme ad alcune delle foci del delta padano, menzionano la presenza di porti, almeno un paio da sud a nord, corrispondenti ad altrettanti rami deltizi con le corrispondenti foci a mare (Vatrenus e Volane). La ricerca archeologica non ha ancora potuto ritrovare strutture di carattere portuale, ma non per questo si dovrà rinunciare a illustrarne almeno la portata sul piano storico.

In sintesi riteniamo utile soffermarci su alcuni temi chiave:

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- la viabilità nel paesaggio padano tra la Popillia e le strade che conducevano verso l’entroterra.

- Il collegamento con Ravenna e con il suo porto.- Le vie d’acqua tra il percorso ‘endolagunare’ e i percorsi padani, verso i grandi centri

urbani della pianura.- Le rotte adriatiche fin verso Altino, Aquileia e Tergeste, e il senso del collegamento con il

Norico e la Pannonia.- Le strutture del viaggio e le tecniche dei trasporti.

Criteri espositivi

Questo settore espositivo dovrà dare una prevalenza assoluta al quadro geografico, pertanto occorrono almeno due tagli cartografici di sfondo.

Uno nord-adriatico per la verifica del collegamento dello snodo comacchiese-deltizio con il medio Po da un lato e con l’alto adriatico dall’altro. Dovranno essere istituiti confronti tra le città e i centri padani a contatto diretto o indiretto con il Po (per esempio Hostilia, Cremona, Ticinum etc.) e i più importanti porti altoadriatici, da Ravenna ad Altino, da Aquileia a Tergeste.

L’altro di taglio più ristretto al Delta, intendendo un territorio esteso da Ravenna ad Adria, con esposizione delle ipotesi più accreditate riguardo la ricostruzione dell’ambiente e delle vie antiche. Dal passaggio della Fossa Augusta - Fossa Flavia alle vie di terra e ai rami padani.

Oltre ai tagli cartografici, dovranno essere messi in risalto i ritrovamenti che più di altri assumono un carattere pubblico collegato più o meno direttamente alla viabilità: la torre di Baro Zavelea e il ritrovamento a Burchioleto della base di statua con dedica ad un imperatore da parte di Voltinio Salonino, prefetto della flotta imperiale (III secolo d.C.). Nel primo caso si sarebbe in presenza di una torre ‘farea’ ritenuta generalmente collegata al percorso della fossa Augusta. Nel secondo la dedica di una statua imperiale segnerebbe un incrocio stradale - idroviario della massima importanza (Sacis ad Padum), posto nei pressi dello snodo itinerario tra la Fossa Flavia, la Fossa Augusta e l’idrovia di penetrazione padana impostata su di un ramo del Po.

Infine le strutture connesse al viaggio, ovvero le mansiones, dovranno essere esemplificate sia mediante scavi locali, purtroppo scarsamente indicativi per la loro parzialità, sia da esempi tratti da territori vicini, come quello di S. Basilio di Ariano Polesine o di Corte Cavanella di Loreo (RO). Si tratta di ricerche che hanno mostrato grandi porzioni di edifici e di complessi che dovevano costituire le tipicità di questo territorio, collocati peraltro sullo stesso itinerario che permetteva di raggiungere Altino. Essi stessi sono oggetto di una discussione riguardante l’interpretazione dell’esatta funzione che assunsero in rapporto alla viabilità. Se per San Basilio è stata proposta l’identificazione con la Mansio Adriani citata dalle fonti scritte, per Corte Cavanella la relazione con la viabilità di lungo percorso è più problematica, e potrebbe rappresentare secondo alcuni semplicemente un caso tipico di azienda ‘lagunare’ votata allo sfruttamento delle risorse locali. Si tratta insomma di un quadro che andrà presentato in modo problematico, illustrando i problemi ancora aperti dal punto di vista interpretativo ed i possibili collegamenti con la situazione locale. Nello stesso tempo ci preme sottolineare che la realizzazione del museo potrebbe costituire

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l’occasione per promuovere delle ricerche e delle verifiche in rapporto al tema delle mansiones, recuperando anche situazioni che, studiate in passato, si sono ‘fossilizzate’ da un punto di vista interpretativo, mentre nuove letture, alla luce delle odierne conoscenze, potrebbero dare adito ad ulteriori approfondimenti ed ipotesi.

Materiali da esporre

- Plastici territoriali con dispositivi di proiezione e di illuminazione.- Ricostruzioni grafiche di un angolo del sistema endolagunare di comunicazioni, con elevato

della torre farea di Baro Zavalea.- Foto dello scavo della torre di Baro Zavelea con esempi di confronto (ad esempio Iesolo) e

con illustrazione delle tecniche costruttive: fondazioni in palificate e massicciata in mattoni pieni.

- Esposizione diretta al centro della sala della base onoraria ritrovata a Burchioleto, con dedica imperiale

- Frammento del fregio fitomorfo da Valle Pega, come testimonianza della presenza di un edificio pubblico, sia pure di incerta destinazione.

- Ricostruzione grafica di una mansio ed illustrazione particolareggiata dei casi veneti di San Basilio e di Corte Cavanella.

- Selezione delle situazioni locali che potrebbero aver assunto le funzioni di mansiones, come ad esempio le strutture rinvenute a più riprese lungo l’argine d’Agosta oppure quelle oggetto di recenti esplorazioni al Dosso dei Sassi.

SETTORE C2: I COMMERCI

Principi informativi

Considerando che il settore C si trova in adiacenza rispetto all’esposizione della nave romana e del suo carico, si intende qui proporre un’aesposizione complementare rispetto a quest’importante elemento, destinato ad assumere una posizione per forza di cose centrale per il periodo romano a Comacchio. Poiché il carico della nave rappresenta il momento augusteo – prima età imperiale, l’esposizione del settore C dovrebbe concentrarsi sulla precedente età repubblicana da una parte, e sulla successiva età tardoimperiale dall’altra, in modo tale da costituire un racconto dei commerci secondo un filone diacronico.

Per l’età della romanizzazione e per la tarda età repubblicana è rappresentativo il guttus dei “Galicos Colonos”. Per la successiva età tardoimperiale e tardoantica particolarmente indicativi sembrano soprattutto i pezzi provenienti dalla villa di Salto del Lupo.

Quanto all’architettura navale si intende fornire un breve richiamo alla tecnologia di età imperiale, con riferimento anche alle barche da navigazione fluviale e lagunare, mentre un approfondimento dovrà essere dedicato alla cantieristica navale e al lavoro del carpentiere.

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Criteri espositivi e materiali

Il commercio attraverso l’archeologia della distribuzione dovrà essere presentato mediante apparati cartografici di taglio molto ampio, tesi ad illustrare la funzione cerniera di questo territorio in una dimensione alto-adriatica ed europea. Ci si avvarrà di un apparato illustrativo-ricostruttivo virtuale, con una esposizione di minima di oggetti specifici e selezionati, da valorizzarsi per il significato economico. I punti da affrontare sono i seguenti:

Gli oggetti del commercio:

- Galicos Colonos. Guttus proveniente dall’abitato di Spina e datato alla metà del III secolo a.C.- Altri materiali di età repubblicana- Materiali tardo antichi dalla villa di Salto del Lupo- Il tesoretto monetale da Salto del Lupo- Architettura navale in età imperiale tra mari e fiumi.- Il lavoro del carpentiere navale, con il calco o la riproduzione grafica della stele ravennate

di P. Longidienus.- Le comunicazioni terrestri: stele di Ostellato con raffigurazione della botte su carro;.

conservata presso il Museo Nazionale di Ferrara.

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L’ETÀ ARCAICA E CLASSICA: SPINA

PREMESSA

Nel progetto di realizzazione del nuovo Museo Archeologico di Comacchio, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna ha in carico l’allestimento di alcune sale del settecentesco Ospedale degli Infermi, individuate convenzionalmente con i numeri 4-5-6-7a (cfr. planimetria All.1). Tali ambienti si collocheranno all’interno di un percorso espositivo introdotto dalle evidenze archeologiche risalenti all’età del Bronzo e sviluppato cronologicamente fino all’età medievale. Tema principe delle quattro sale sarà il complesso della città di Spina etrusca dal momento della sua fondazione fino alle fasi di abbandono (ca. metà VI-primi decenni del III secolo a.C.).

La decisione di riproporre a Comacchio un tema già ampiamente documentato nelle sale del Museo Archeologico Nazionale di Ferrara non deve essere letta come una semplice duplicazione di spazi e argomenti, bensì come l’occasione per il visitatore di poter fruire di beni archeologici sinora quasi completamente inediti. Premessa necessaria a questo stralcio progettuale è dunque che il nuovo Museo Archeologico di Comacchio e il Museo Archeologico di Ferrara debbano essere considerati come spazi espositivi complementari e interscambiabili.

La scelta aprioristica è dunque stata quella di esporre a Comacchio reperti provenienti dai più recenti scavi di abitato spinete e da una delle zone di sepoltura meno conosciute, ovvero il dosso D di Valle Pega.

Per quanto concerne l’abitato etrusco, gli scavi condotti dalla Soprintendenza stessa a partire dal 1985 e tuttora in corso, sotto la direzione iniziale di Fede Berti e poi di Paola Desantis e ancora di Caterina Cornelio e Luigi Malnati, stanno mettendo in luce nuovi elementi chiarificatori delle fasi di vita del centro stesso, dalla sua urbanizzazione e sviluppo allo svolgimento della vita quotidiana. I risultati di queste nuove scoperte saranno fruibili proprio nelle sale del Museo di Comacchio.

A completamento del quadro d’insieme della realtà spinete di fase etrusca, ampiamente documentato a Ferrara, è stato selezionato per la nuova esposizione un settore specifico tra le molteplici e vastissime aree adibite a necropoli ai margini della città, ossia il dosso D di Valle Pega. Il criterio di cernita di questo insieme di sepolture è stato anzitutto l’unità topografica: l’insieme è raccolto, omogeneo e quantitativamente rilevante. A questo segue un evidente dato oggettivo: quasi tutto il materiale rinvenuto nel dosso D, seppure di notevole rilevanza scientifica e di ineccepibile stato di conservazione, è stato finora relegato nei depositi del Museo di Ferrara (fatta eccezione per il corredo della tomba 42D, l’unico presentato negli spazi espositivi).

Il percorso delle sale dedicate a Spina si svolgerà secondo il criterio cronologico scelto per l’intero complesso espositivo, cui sarà subordinato un criterio di connessione tematica e concettuale tra le sale stesse e con le fasi cronologiche antecedenti e successive.

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INTRODUZIONE ALLA CITTÀ ETRUSCA

Il territorio dell’attuale Comacchio si identifica con il settore dell’antico delta del Po, caratterizzato in epoca etrusca da coperture boschive igrofile, aree di acquitrino, e da sporadiche aree a sfruttamento agricolo limitate alle dune sabbiose separate da alvei naturali e canali artificiali.

L’abitato di Spina era ubicato alla confluenza di due paleoalvei nella valle del Mezzano, il cosiddetto “Po spinete” a oriente e l’attuale argine del Metello a meridione. Questa sorta di “isola”, fortificata da palificazioni lignee, raggiungeva una presunta estensione di circa 6 ettari, entro i quali si sviluppavano unità abitative e aree pubbliche.

Grazie agli scavi archeologici in corso, le conoscenze relative all’abitato spinete e al suo sviluppo planimetrico si stanno sempre più affinando, e recenti sezioni stratigrafiche effettuate lungo i canali di contenimento dell’abitato stesso contribuiscono ad arricchire e supportare i dati relativi alle diverse fasi di occupazione.

In base ai dati di scavo si evince che negli ultimi decenni del VI sec. a.C. l’unità abitativa si presentasse come un edificio a pianta rettangolare, con fondazioni in travatura lignea di sostegno ai pali strutturali che sorreggevano il tetto, e pareti in cannicciato rivestito di argilla.

Nelle fasi più recenti della città (fine V-inizi IV) le strutture edilizie si fanno più complesse: il tetto, anche a più campate, è costituito da copertura fittile di tegole e le pavimentazioni, in terra battuta e concotto, presentano aree adibite a focolare domestico.

Fonti letterarie e materiali, paleomabiente, fondazione della città etrusca, struttura stratigrafica dell’abitato, planimetrie di unità abitative e impianti artigianali, ipotesi ricostruttive degli alzati, sono i primi dati che saranno presentati al visitatore per introdurlo alla sezione etrusca.

Pertanto nella fase di progettazione si sottolinea anzitutto l’esigenza di trovare un’adeguata soluzione architettonica per il passaggio dalla fase dell’età del Bronzo a quella spinete propriamente detta, al fine di ricavare uno “spazio”, allo stato attuale inesistente, da allestire unicamente con apparati didascalici propeduetici alla sezione stessa (videoproiezioni a parete, pannellistica o simili).

VITA QUOTIDIANA A SPINA

Alla fine del VI secolo a.C. la presenza etrusca in area padana raggiunge il suo apice organizzativo e politico con gli abitati di Felsina, Marzabotto, e del Forcello nel mantovano. Nel quadro complessivo di un’Etruria Padana florida e in forte sviluppo si inserisce la fondazione di Spina, città portuale di matrice etrusca ma che accolse differenti etnie.

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Le iscrizioni attestate in abitato, realizzate essenzialmente su supporti ceramici di fogge differenti, sono la testimonianza di un substrato etrusco, ma anche di forti presenze greche (circa il 30% delle iscrizioni rinvenute) e, seppure in misura decisamente inferiore, venetiche.

In questo abitato, la cui multietnicità era ulteriormente incentivata da un’economia basata essenzialmente sul commercio, grazie alla privilegiata collocazione geografica di collegamento tra l’Oriente e l’Italia centrale e meridionale, proliferavano numerose attività quotidiane.

All’interno delle abitazioni erano praticate le muliebri attività della filatura e tessitura, di cui rimangono rocchetti e fusaiole fittili, conocchie in osso con anima lignea e pesi da telaio in argilla.

Il fabbisogno alimentare veniva soddisfatto mediante le pratiche dell’allevamento e dell’agricoltura. I resti archeozoologici testimoniano la scelta dei suini come principale bestiame domestico, data l’alta sfruttabilità delle carni e la possibilità di conservale mediante salagione o mediante la realizzazione di insaccati. Ben attestati anche i bovini, utili per lo sfruttamento delle risorse agricole, e gli ovicaprini, dei quali potevano essere sfruttati i velli per la produzione tessile, e il latte per la produzione casearia. Accanto a questi dovevano essere presenti diversi animali da cortile, quali pollame e anatre.

La pratica dell’agricoltura è invece testimoniata principalmente da resti paleobotanici, ma anche dalla presenza di rare macine frammentarie.

Completavano il quadro delle attività di sostentamento la caccia (attestata soprattutto da resti archeozoologici di cervi e cinghiali, ma anche di caprioli, castori, lontre, tassi e volpi) e la pesca, testimoniata non tanto da resti animali (che spesso nella raccolta in fase di scavo vengono dispersi a causa delle piccolissime dimensioni delle lische), quanto dall’ingente quantitativo di piatti per il consumo del pesce in ceramica locale e di importazione.

Accanto alle attività strettamente legate al sostentamento dell’abitato, si svolgevano attività collaterali finalizzate allo sviluppo della città stessa e ai commerci. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce impianti artigianali per la lavorazione dei metalli e per la produzione di ceramiche locali. Se dei primi rimangono essenzialmente scorie di lavorazione, della produzione fittile rimangono, oltre a scorie vetrificate, scarti di fornace e anelli distanziatori per la fase di cottura, ceramiche locali, essenzialmente a pasta grigia, acroma o a fasce dipinte, ma anche a vernice nera e, a partire dal IV secolo a.C., a decori antropomorfi e vegetali (produzione alto adriatica).

La lavorazione dell’argilla fornisce anche il quadro delle suppellettili domestiche utilizzate per il trasporto, la conservazione, la cottura e il consumo degli alimenti e delle bevande, oltre che per l’illuminazione degli ambienti (lucerne).

Avulsi da questo contesto, tutti i reperti presenti nei corredi funerari ma non attestati in abitato, che testimoniano comunque il fiorire di attività delle quali difficilmente si recuperano tracce, quali la lavorazione di oggetti di legno e osso, e la produzione di ceste ed elementi in fibre vegetali.

Scrittura, filatura e tessitura, allevamento, caccia, pesca, agricoltura, lavorazione dell’argilla e dei metalli saranno i nuclei tematici in base ai quali sviluppare il progetto di allestimento.

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Il vano, stretto e allungato, dovrà prevedere su ambo i lati vetrine di piccole dimensioni, o lunghe vetrine suddivisibili in scomparti, in modo tale da permettere una partizione tematica dei reperti. L’esposizione dovrà essere dotata di un adeguato apparato didascalico, esterno alla vetrina stessa ma ad essa strettamente connesso (pannelli-leggio ancorati alla vetrina?).

I reperti non presentano particolari esigenze conservative ad eccezione dei manufatti in legno e osso ed eventuali oggetti metallici, per i quali dovranno essere studiate apposite soluzione di climatizzazione controllata e adeguato sistema di areazione. Date le modeste dimensioni degli stessi, non sarà necessario prevederne una lettura a tutto tondo, ma sarà sufficiente un tipo di vetrina addossato a parete per una visione frontale, con eventuali accorgimenti interni per la lettura di alcuni oggetti più significativi (piani rialzati, ingrandimenti o simili).

L’altezza della sala potrebbe essere sfruttata per una pannellistica o un sistema di videoproiezione fisso con gigantografie che riportino immagini del territorio spinete in epoca etrusca, sezioni stratigrafiche di scavo, planimetrie d’abitato, volumetrie di edifici.

GLI SPINETI E L’EUROPA: ATTIVITÀ COMMERCIALI E PRODOTTI DI SCAMBIO

Secondo la tradizione storiografica greca, la fondazione di Spina sarebbe da ricondurre ai Pelasgi, popolo pregreco stanziato prima in Argolide e poi in Tessaglia. In realtà la città, di matrice etrusca, potrebbe aver tramandato essa stessa tale tradizione, falsata allo scopo di favorire i contatti con la Grecia e l’Oriente. Lo sviluppo commerciale del porto spinete si deve anzitutto grazie alle rotte commerciali adriatiche, attraverso le quali venivano importati beni di lusso ed esportati beni di consumo. Se alla fine del VI sec. a.C. dalla fertile area padana e in particolare da Spina partivano principalmente derrate alimentari, soprattutto cerealicole, al fine di soddisfare il fabbisogno dell’Attica in continuo aumento demografico, in Grecia il prodotto di scambio era costituito principalmente da beni di lusso quali ceramiche attiche e marmi bianchi delle isole. Questo almeno fino a metà del IV secolo, quando le importazioni di ceramica attica a Spina cominciano a diminuire sostanzialmente fino a scomparire del tutto nel corso di un quarto di secolo. Partners commerciali per l’importazione di vasellame di pregio diventano allora l’Etruria propria (prime tra tutte le produzioni volterrane), l’Italia meridionale e l’alto Adriatico.

Sempre ai contatti con l’Oriente si devono le importazioni di unguentari e balsamari in alabastro e in pasta vitrea policroma, così come l’arrivo di olio e vino contenuti in anfore chiote, corinzie, corciresi, attiche e samie. Anche in questo caso agli inizi del IV secolo a soppiantare le anfore corinzie sono le anfore di tipo magnogreco e greco-italico.

Altri oggetti di pregio arrivano a Spina dall’Etruria Tirrenica (vasellame e utensili di bronzo), e dall’area baltica (ambre ornamentali).

Il radicale mutamento di contatti e scambi, cui si assiste dalla metà del IV secolo, è da attribuirsi con tutta probabilità all’avanzamento della linea di costa che dovette costringere Spina ad adattarsi a nuove vie di traffico commerciale e alla successiva pressione celtica esercitata lungo il versante italico orientale.

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Si è ritenuto pertanto necessario riservare questo spazio ad un argomento trasversale, come quello dei partners commerciali, che potesse risultare di interconnessione con i temi di tutte le sale adiacenti.

Nella fase di progettazione delle vetrine sarà necessario tenere conto della fragilità di alcuni materiali (alabastro, paste vitree, ambra, metalli) di spazi per eventuale esposizione di grandi contenitori (anfore da trasporto) e delle piccole dimensioni di alcuni oggetti, cui dovrà essere dato risalto tramite gioco di specchi/lenti di ingrandimento o simili.

Ogni vetrina dovrà essere dotata del proprio apparato didascalico, e le altezze potrebbero essere sfruttate per gigantografie che riportino fonti letterarie, cartografie con le trasformazioni delle rotte e vie commerciali tra fine VI e inizi III secolo a.C., individuazione dei principali siti di produzione, lavorazione, importazione ed esportazione dei materiali verso Spina. Particolarmente adatto sarebbe un sistema di videoproiezione che permetta di mostrare tali sviluppi e cambiamenti su una base cartografica fissa.

LA NECROPOLI DI VALLE PEGA, DOSSO D:

RITI DI SEPOLTURA E ASPETTI DEL QUOTIDIANO NEI CORREDI FUNERARI

La distinzione tra le necropoli spineti di Valle Trebba e Valle Pega è un artificio moderno. In epoca etrusca l’area doveva presentarsi come un’unica immensa necropoli, suddivisa in dossi sabbiosi. Data l’ingente quantità di complessi tombali di cui erano circondate le aree marginali all’abitato di Spina, si è ritenuto opportuno, come già sottolineato, selezionare a priori un’area topograficamente definita, i cui materiali fossero in buono stato di conservazione e non avessero sinora trovato uno spazio espositivo adeguato. Il dosso D, con le sue 143 sepolture, tra cui spiccano alcuni corredi d’eccezione, è sembrato particolarmente adatto allo scopo, tanto più che il materiale, quasi interamente inedito, è oggetto di attuale studio da parte della Soprintendenza stessa e costituirà, con buona probabilità, la prima pubblicazione integrale di un intero settore di necropoli spinete.

La documentazione di scavo, risalente alla fine degli anni ’50 dello scorso secolo e redatta da Nereo Alfieri, risente purtroppo di lacune diffuse per l’epoca, quando ancora gli aspetti topografici e stratigrafici erano subordinati alla straordinarietà della scoperta e all’attenzione rivolta ai materiali.

Le tombe del dosso D di Valle Pega, dalle quali provengono reperti databili tra l’inizio del V e l’inizio del III secolo a.C., si presentavano come fosse scavate nel terreno contrassegnate da segnacoli lapidei, nella maggior parte dei casi semplici ciottoli, tranne probabilmente un unico caso di segnacolo monumentale.

Riti di sepoltura attestati in uguale misura sono l’inumazione entro cassa lignea e l’incinerazione, quest’ultima prevalentemente entro dolii (grandi recipienti grezzi, talora con cordonature o prese parietali), e in casi più rari entro vasellame d’eccezione (crateri attici a figure rosse e forse in un caso entro dolio dipinto).

Oggetti di corredo erano le suppellettili legate al rito del banchetto funebre e alla cura e ornamento del corpo. Numerosissimi i quantitativi di ceramica di produzione locale e di importazione, nelle

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fogge più disparate, e assai poco rappresentati i metalli, per lo più fibule per fermare gli abiti, anelli digitali di bronzo e chiodi in ferro di connessione dei travi lignei delle casse funebri. Eccezionalmente assenti, a differenza delle altre sepolture coeve nelle atre zone di Valle Pega e Valle Trebba, i candelabri di bronzo o ferro e il vasellame eneo.

Legati alla cura e ornamento del corpo sono i balsamari in pasta vitrea e alabastro, le lekythoi fittili, un unico strigile metallico (bronzo?) per la detersione della pelle, le fibule con pendagli ornamentali, gli anelli digitali di bronzo e osso.

Facilmente enucleabili sono i corredi femminili caratterizzati dalla presenza, tra gli elementi di corredo, di monili in ambra e in pasta vitrea (principalmente collane) e di strumenti legati alle attività di filatura e tessitura (conocchie di osso, fusaiole fittili o in pasta vitrea e in un caso eccezionale fuso in legno e pettine ligneo da tessitura).

Molto più complicato individuare con assoluta certezza le sepolture maschili, poiché gli elementi legati all’armamento sono quasi del tutto assenti (ad eccezione di un caso), e poiché alcune forme vascolari, un tempo ritenute prettamente muliebri (come ad esempio la lekane), possono essere talora associate a corredi maschili.

Indice della giovane età dei defunti è invece la povertà o quasi totale assenza di elementi di corredo o ancora la deposizione di notevoli quantità di oggetti miniaturistici (dati che, nel caso di inumazioni, sono ulteriormente confermati dalle analisi antropologiche).

La sala dovrà anzitutto prevedere una spazio introduttivo dedicato ai caratteri generali del dosso D di Valle Pega e al suo sviluppo topografico e cronologico.

Le vetrine, nelle quali deve essere ben distinto ciascun corredo, saranno disposte per sezioni tematiche:

- tipologie tombali e riti di sepoltura (una riproduzione di tomba a inumazione entro cassa lignea e una di tomba a incinerazione entro dolio potrebbero essere inserite in questa sezione)

- individuazione del sesso del defunto: corredi femminili e maschili- individuazione dell’età del defunto: le sepolture di adolescenti- la cura del corpo: in questa sezione, dovrà avere particolare risalto il complesso della tomba

34D nella quale si conservano materiali eccezionali, quali fibre vegetali (un cestello schiacciato su se stesso) e legno (una piccola pisside con coperchio, un fuso, degli aghi, un pettine per la tessitura e un presunto astuccio portaprofumi). La vetrina espositiva dovrà anche essere adeguata alla conservazione di tali materiali.

Almeno parte degli oggetti che saranno esposti dovrebbero trovare una soluzione di allestimento che li renda leggibili a 360° (soprattutto per quanto concerne i vasi ceramici figurati) e ogni vetrina dovrà disporre del proprio apparato didascalico.

L’altezza della sala potrebbe essere sfruttata con gigantografie di foto di scavo della necropoli e cartografie di individuazione topografica del dosso D di Valle Pega con identificazione dei differenti riti di sepoltura.

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Certamente i due ambienti riservati alla necropoli dovranno essere uno degli elementi di maggiore attrattiva per il pubblico nel nuovo museo di Comacchio, possibilmente non solo per la bellezza dei materiali, ma anche per le peculiari soluzioni architettoniche di allestimento.

LA NECROPOLI DI VALLE PEGA, DOSSO D:

IL RITUALE DEL BANCHETTO FUNEBRE E I CORREDI ECCELLENTI

Nelle deposizioni spineti del dosso D di Valle Pega, come avviene nelle coeve necropoli etrusche di area padana e tirrenica, il tema del banchetto svolge un ruolo primario al momento della composizione del corredo funerario. Il servizio deposto consta di recipienti fittili per la preparazione e il consumo del vino (crateri per la miscelazione di acqua e vino, kyathoi per il dosaggio delle parti, colini per filtrare gli aromi e le spezie, brocche e oinochoai per servire, kantharoi, kylikes e ciotole per bere, ecc.), di recipienti per il servizio e consumo dei cibi (askoi, ciotole, piatti, piattelli) e talora anche di anfore per il trasporto di vino e olio o dolii defunzionalizzati (destinati non più alle derrate alimentari, bensì al contenimento delle ceneri sepolcrali e del corredo stesso). Il servizio è spesso raddoppiato, se non triplicato, a indicare un momento conviviale che non è riservato solamente al/alla defunto/a, ma che anzi vede la compartecipazione della coppia coniugale e di eventuali ospiti o consanguinei. I recipienti per il consumo del cibo venivano riempiti con offerte alimentari che potevano anche essere consumate al momento della deposizione stessa, lasciando al defunto i resti del pasto: ossa animali, spesso di parti ben selezionate (costole di maiale), piccoli vegetali (olive, nocciole..) e altre vivande delle quali non conserviamo traccia (miele, latte, parti carnee prive di osso, ecc.).

Nel dosso D sono però completamente assenti recipienti di bronzo per la cottura e il servizio del cibo, attestati a Valle Trebba e Valle Pega fino agli inizi del III secolo a.C., ed anche i candelabri a stelo per l’illuminazione delle stanze.

Quello che non manca è invece la parte di corredo legata al momento ludico del banchetto: dadi da gioco in osso e pedine lapidee o di pasta vitrea.

La sala sarà destinata all’esposizione di corredi notevoli incentrati essenzialmente sul tema del banchetto. Tra le sepolture due spiccano per quantità e ricchezza di materiale, la tomba 128D e, soprattutto, la tomba 134D.

La tomba 128D presenta un doppio servizio da banchetto (55 oggetti in totale), composto in larga parte di vernici nere tra cui spiccano i kantharoi monumentali con appliques floreali, i kyathoi globulari con ansa serpentiforme, le patere e il colino fittile.

Ancor più notevole è il corredo della tomba 134D, probabilmente contrassegnata da un segnacolo funerario d’eccezione (forse una sfinge lapidea, in corso di studio), contenente 54 reperti ceramici, 2 piccole spatole per unguenti in argento decorate con figure antropomorfe, 3 dadi in osso, 13 pedine da gioco in pasta vitrea, e offerte alimentari (noccioline). Tra i reperti ceramici, quasi tutti a vernice nera, spiccano un’anfora con sfingi alate plastiche e attacco delle anse terminante a protome

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di Sileno, due hydriai decorate con figura maschile nuda avvolta dalle ali di un’aquila (o un cigno?), due oinochoai baccellate con ansa conformata a protome felina e due kantharoi ad anse ritorte. Doppie anche le anfore vinarie.

Un piccolo spazio potrà essere riservato anche a deposizioni rituali di animali nel sepolcreto, a seguito di un approfondimento dei dati di scavo e dei resti faunistici conservati, poiché il Giornale di Scavo del ’59 cita il rinvenimento di scheletri animali (citati come “cinghialetti o cani” ) sepolti in contrapposizione simmetrica insieme a ceramica ritualmente spezzata.

I materiali della tomba 128D, che dovranno essere visibili a 360°, e dovrà altresì prevedere una sistemazione di eccezione per la tomba 134D (meglio se al termine del percorso).

Si suggerisce un’eventuale ricostruzione architettonica (a pareti mobili o simili) per simulare l’accesso alla tomba all’interno della quale sarà contenuto l’insieme di corredo.

Ancora una volta le altezze potranno essere sfruttate con gigantografie che riproducano scene di banchetto testimoniate nelle pitture parietali degli ipogei tirrenici.

Sebbene non previsto dalla suddivisione delle sezioni tra i diversi gruppi di studio, si forniscono inoltre alcune possibili soluzioni per lo sfruttamento di altri due vani: la sala 7b e l’atrio di ingresso dallo scalone monumentale

IL CIELO VISTO DA SPINA

I mutamenti radicali di Spina a partire dalla metà del IV secolo a.C., dovuti alle pressioni celtiche che spinsero gli Etruschi. Nell’intenzione di offrire al visitatore la possibilità di esperire un viaggio nel mondo degli antichi in tutti i suoi aspetti, sarebbe interessante riservare uno spazio alla ricostruzione, attraverso moderne tecnologie, del cielo visto dagli Etruschi di Spina. Una sorta di planetario potrenne essere di riferimento per la rivisitazione di miti e storie reali, ma anche per un approfondimento sui riti di fondazione dei centri urbani, con riferimento alla nota iscrizione del “MI TULAR” proveniente proprio da Spina, ma anche su tutto l’apparato di credenze e di conoscenze legate al ciclo delle stagioni, connesso allo sfruttamento agricolo del territorio e allo svolgimento della vita stessa della comunità etrusca di Spina. Tutto questo consentirebbe anche di sperimentare nuove attività didattiche.

LA FINE DELLA CITTÀ ETRUSCA

I mutamenti radicali di Spina a partire dalla metà del IV secolo a.C., dovuti alle pressioni celtiche che spinsero gli Etruschi a cercare nuove vie di commercio, poi bruscamente interrotte nel primo ventennio del III secolo, devono essere illustrati nel piccolo vano di passaggio dalla fase spinete alla fase romana. Un ricco apparato didascalico può essere affiancato dai reperti contenuti nella tomba

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133D, essenzialmente legati all’armamento celtico, in particolare per la presenza di elementi di cinturone per la sospensione della spada.

La fine del mondo antico e il medioevo

Progetto di allestimento sale 11-16

A cura di prof. Sauro Gelichi

La sezione che riguarda l’età post-antica (dal V-VI secolo all’età moderna) intende privilegiare alcuni nodi tematici che, nella lunga durata, hanno caratterizzato più di altri la storia dell’insediamento in questi territori. Sarebbe infatti impossibile, oltreché dispersivo, rendere conto della molteplicità dei caratteri che la società, l’economia e la cultura di queste aree hanno assunto nel corso di più di millecinquecento anni di storia. Così l’agenda dell’esposizione sarà dettata da due coordinate ben precise: la prima riguarda il dato archeologico, la seconda riguarda l’individuazione, attraverso l’elaborazione del dato archeologico, di una serie di criticità nella sequenza storica.

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Quando parliamo di dato archeologico non intendiamo banalmente la quantità di reperti o di materiali a disposizione, quanto la loro capacità di essere elaborati per farsi racconto storico: dunque questo sarà il principio attraverso il quale verranno selezionati e prescelti.

Per quanto riguarda i momenti di criticità essi saranno individuati non tanto nei ritmi regolari di una scansione storica convenzionalmente precostituita (la tarda antichità, l’alto medioevo, il tardo medioevo, l’età moderna), ma si riconosceranno in quei segmenti temporali o in quei caratteri tematici, che hanno marcato in forme significative la storia di questi luoghi, sia quando essa intercetti sistemi di più ampio respiro, sia quando essa rappresenti il ripiegamento verso una ‘marginalità’ geografica che pure queste aree hanno conosciuto. In sostanza abbiamo cercato di usare i dati storici, e quelli archeologici, secondo un’ottica che non fosse né esclusivamente temporale né esclusivamente tematica, ma abbiamo tentato di piegarli assecondando quelle prospettive che, di volta in volta, meglio di altre ci sembravano più idonee a svolgere il racconto storico di questi territori nella post-antichità.

11. L’ennesima transizione? La formazione dell’insediamento tra tarda antichità e alto-medioevo

La prima sezione (11) ha lo scopo di spiegare i modi attraverso i quali si passa da un insediamento essenzialmente sparso (per ville/fattorie) ad un insediamento accentrato (villaggi/città), che culminerà nella riformulazione di una nuova gerarchia degli insediamenti, con il primato raggiunto dalla città/emporio di Comacchio nel corso del tardo VII secolo.

Per spiegare questo passaggio si può recuperare buona parte di quanto esposto nel primo ambiente della mostra L’isola del vescovo. Un grande pannello che riproduca il territorio Comacchiese in quel periodo può dare subito l’idea in quale spazio ci troviamo. Tale pannello deve essere accompagnato da una serie di materiali (ceramiche, vetri, metalli e anfore) di V-VII secolo provenienti dal ville/fattorie del territorio.

Per esemplificare questo nuovo tipo di comunità si possono usare i materiali provenienti dalla necropoli di Motta della Girata, qui usata più come espressione di un gruppo sociale che come annesso di una struttura ecclesiastica (la chiesa di Santa Maria in Padovetere, di cui si dirà più avanti). Qui si possono utilizzare tutti i materiali provenienti dalle sepolture (pettini, monili, anfore, ceramiche, pietra ollare, il boccaletto invetriato etc.). Sarebbe interessante individuare, se ce ne sono, materiali da altri insediamenti del genere nel territorio ferrarese, come ad esempio Vaccolino.

Se l’esposizione manterrà ricostruzioni a grandezza naturale, ancora quella della spiaggia con il fasciame di nave (usata nella Mostra L’isola del vescovo) ci sembra efficace per spiegare con immediatezza i caratteri di un territorio di confine tra laguna e mare (e nel contempo ne anticipa la vocazione marittima che sarà la cifra dell’insediamento di epoca successiva).

Sempre in questo ambiente, oppure nel corridoio di transito tra 11 e 12, si dovrebbe recuperare una copia (fotografica? calco?) dell’epigrafe del nipote di Isacio. Questa epigrafe introduce ad un tema molto presente nella storiografia comacchiese, che non è possibile eludere anche se forse sarà bene

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ridimensionare, e cioè quello della ‘bizantinità’ del sito. In questa parte sarebbe da inserire anche la fibula di tipo ‘ostrogoto’ da Santa Maria in Padovetere, espressione della varietà culturale che caratterizza le popolazioni di quest’area, piuttosto che dichiarazione di una loro ‘gotizzazione’.

In sostanza in questa primo ambiente (e nel corridoio di passaggio) il visitatore deve avere l’impressione di trovarsi in uno spazio sociale in continuo cambiamento (come il territorio del resto), ancora poco caratterizzato (ecco perché le etichette ‘goto’ e ‘bizantino’ sono insufficienti, inefficaci, e forse anche improprie, a definirlo).

12. Un luogo senza definizioni: Comacchio tra VII e IX secolo. L’insediamento

L’ambiente 12 ci introduce direttamente all’interno di questo nuovo insediamento. Per descrivere Comacchio nell’alto-medioevo abbiamo deciso di usare due spazi separati: uno per raccontare come si sviluppa l’abitato e il secondo per illustrarne i caratteri economici. Anche per questa sezione si può utilizzare una buona parte di quanto esposto nel secondo ambiente della mostra L’isola del vescovo. Per prima cosa sarà dato risalto alle aree produttive, individuate negli scavi intorno al duomo e che anticipano la fondazione episcopale nel centro storico, con i relativi materiali (tra cui la matrice per la realizzazione di cammei in pasta vitrea, a cui andrà dato un maggiore risalto, accostando foto o riproduzioni degli originali sulla capsella di Cividale del Friuli): fornace da vetro e metallo, scorie, pezzi non finiti, tessere musive da riciclare. Qui andranno inseriti poi i materiali relativi alla vita quotidiana dell’abitato (ceramiche da fuoco, ceramiche a vetrina pesante, pietra ollare, vetri), mentre i contenitori anforici e le ceramiche di produzione locale, ma legate ai commerci, andranno esposte nella sezione successiva (13).

Anche in questa sezione si potranno riutilizzare i grandi disegni ricostruttivi: quello di Comacchio prima di Comacchio e, quello di Comacchio come ce lo immaginiamo dovesse essere nel corso del secolo VIII.

13. Un luogo senza definizioni: Comacchio tra VII e IX secolo. L’economia

In questo ambiente si dovrebbero illustrare, attraverso adeguati materiali, i caratteri dell’economia comacchiese nell’alto-medioevo. In una parte della stanza si potrebbe ricostruire una sorta di sponda in legno di canale (waterfront) oppure un pontile (l’idea è quella di ripetere quanto realizzato nella Mostra Genti nel Delta). Sopra questa sponda o pontile si dovranno disporre i contenitori da trasporto e i beni che circolavano a Comacchio nel corso dell’VIII-IX secolo. Nelle vetrine verranno esposti gli originali di queste anfore, le ceramiche locali da trasporto e le monete rinvenute negli scavi e nel territorio. Un certo spazio si dovrà dedicare alla coltivazione del sale e alla marineria (imbarcazioni). Un originale di monossile è troppo grande per essere usato in uno di questi spazi, ma sarebbe utile prevederne la presenza nel Museo, magari all’ingresso. Sempre in questa sala andrebbe poi previsto un grande disegno ricostruttivo, questa volta di dettaglio, di

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attività su un pontile o su un terrapieno. Sempre in questa sezione sarà da valorizzare Comacchio nel quadro dell’economia europea alto-medievale (comparazione con altri empori nord europei). Le tessere di mosaico, riciclate nella bottega artigiana illustrata nella stanza 12, diventano traccianti significativi di queste analogie (sarà da enfatizzare il fatto che tessere di mosaico in vetro vengono riusate fino a Kaupang in Norvegia in questo stesso periodo). In questa sezione, poi, si dovrà convenientemente illustrare il senso di questo luogo nel quadro delle dinamiche insediative dell’arco nord adriatico (prima della nascita di Venezia).

Le sezioni 12-13 devono introdurre il visitatore in un nuovo tipo di abitato, estraneo al mondo antico. La percezione che si deve avere è quella di novità (legno, tipologia di abitazioni, organizzazione dell’abitato), ma anche di familiarità (l’abitato alto-medievale non doveva essere molto diverso da quello di un secolo fa, e in parte anche da quello attuale). Quella che possiamo definire una sperimentazione di VIII secolo, diventa una realtà che marca la società e il territorio fino ai giorni nostri.

13bis. Morire a Comacchio.

Il corridoio accanto alla stanza 13, se utilizzabile, potrebbe mantenere l’allestimento de L’isola del vescovo, con la ricostruzione di alcune sepolture rinvenute negli scavi della Cattedrale. Così anche il corridoio che dalle stanza 13 porta alla 14 potrebbe essere utilizzato per una serie di pannelli (e di immagini) che illustrano i caratteri della società comacchiese tra alto medioevo ed età moderna, come sono emersi dagli scavi sempre intorno alla cattedrale.

14-15. Le strutture ecclesiastiche e la società

Eliminerei il diaframma che oggi divide la stanza 14 dalla 15 e al centro del nuovo spazio inserirei il sarcofago di Stefano, in modo da dargli risalto e visibilità. In questo unico grande ambiente dovrebbero trovare spazio le forme in cui si organizza e si rappresenta la comunità comacchiese e le sue istituzioni, in specie quelle ecclesiastiche. Qui si esporranno i dati relativi alla chiesa e al palazzo episcopale (con i relativi materiali) e i materiali lapidei provenienti da altri insediamenti ecclesiastici del territorio, come Santa Maria in Pado Vetere e i reperti da valle Ponti, Valle Raibosola e da altre località. In questa sala andrà dato risalto anche all’epigrafe del vescovo Vincenzo. L’esposizione sarà soprattutto incentrata sui reperti lapidei frammentari decorati e in qualche caso iscritti. Si suggerisce di realizzare a grandezza naturale la ricostruzione di una recinzione presbiteriale alto-medievale, magari quella della primitiva cattedrale, in parte proponibile grazie ai materiali rinvenuti reimpiegati in uno dei muri del palazzo episcopale. Una o due vetrine conterranno sempre reperti relativi alla cattedrale, che ci aiutino a capire come fosse fatta e come fosse decorata: tessere musive, lastrine in sectile, frammenti di intonaco dipinto etc. Anche in questo caso si può recuperare un disegno ricostruttivo della mostra L’isola del Vescovo che illustra il cantiere della nuova chiesa romanica e del palazzo episcopale. Si può aggiungere a questo anche un

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altro disegno, da fare, e cioè quello della chiesa alto-medievale, magari inserita nel suo spazio ambientale. In questa sezione si dovrà dare spazio anche all’organizzazione ecclesiastica del territorio, nota sia attraverso fonti scritte che archeologiche.

Il visitatore dovrà avere l’impressione di trovarsi, questa volta, in uno spazio più ‘tradizionale’, a contatto con materiali (recinzioni presbiteriali) che strutture sociali (quelle ecclesiastiche) che lo riportano alla ‘normalità’. Sul piano espositivo l’efficacia di questo ambiente dovrà essere giocata soprattutto esaltando e valorizzando i materiali lapidei (possibilmente non in vetrine) e dunque un ruolo centrale dovrà averlo l’illuminazione.

16. Un’interminabile quotidianità

L’ultima sezione riguarda la storia di Comacchio dall’epoca tardo medievale fino all’età moderna. Questa sezione può essere esattamente quella (più ridotta) dell’ultimo ambiente della mostra L’isola del vescovo (materiali e disegni ricostruttivi compresi). Rispetto a quella sezione della Mostra forse si può prevedere uno spazio dedicato ad illustrare anche l’economia della pesca e del sale.

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Museo di Comacchio – sezione età romana

coordinatori di sezione: Aniello Zamboni e Claudio Negrelli

relazione di Laura Ruffoni

STANZE 16-20, IL CARICO DELLA NAVE ROMANA DI COMACCHIO

Principi informativi:

Il rinvenimento di una imbarcazione del I secolo a.C. alla periferia di Comacchio è stato senz’altro uno degli eventi più importanti nella storia, pur molto ricca, della ricerca archeologica nel territorio di Comacchio. La nave è stata ritrovata in eccezionale stato di conservazione con il carico commerciale e con gli oggetti d’uso ancora in loco, grazie ad una serie di eventi concomitanti: dal veloce insabbiamento della nave in una zona di mare poco profondo, dopo che era evidentemente andata alla deriva senza nessuno a bordo, all’avanzare della linea di costa che ha ricoperto il giacimento con strati argillosi, sigillando così i materiali in un ambiente anaerobico. Si sono conservate in tal modo molte testimonianze di vita quotidiana, spesso costituite da materiali di origine organica che sono facilmente degradabili. Alcuni dei reperti costituiscono così rarissime testimonianze del passato.

La nave stessa è un esempio raro di imbarcazione realizzata a guscio portante, con assi connesse tra loro con l'antica tecnica della cucitura con corde di sparto. Con il suo fondo piatto e l'assenza di chiglia, essa era adatta alla navigazione in acque interne o di piccolo cabotaggio. La natura e la composizione del carico commerciale (lingotti di piombo dalla Spagna, vino dalla costa microasiatica, vino o olio dalla costa adriatica, ceramiche, una parte delle quali proveniva forse dalla zona di Ravenna) indica che la nave poteva aver caricato le merci a Ravenna, nel grande porto di Classe, e che probabilmente, prima di fare naufragio, era diretta verso l'interno della Pianura Padana lungo il Po, o verso nord lungo le “fossae” o la costa.

Il ricco e vario carico, la sua provenienza, le caratteristiche dei reperti, l'iconografia delle decorazioni delle ceramiche e dei tempietti miniaturistici, suscitano numerosi rimandi agli equilibri commerciali e politici del primo periodo imperiale romano e offrono il senso di un ampio respiro europeo.

E' intendimento dell'Amministrazione trasferire l'esposizione del carico della nave romana dall'attuale collocazione nel museo monografico realizzato all'interno del complesso delle antiche carceri mandamentali, agli spazi del piano terra nel Settecentesco Ospedale (sale 16-20). L'imbarcazione, sottoposta ad un lungo e complesso restauro, resterà collocata nel laboratorio in cui è attualmente. Alla conclusione del restauro, essa rimarrà nella medesima collocazione che verrà

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adeguata per accogliere il pubblico, costituendo una sezione staccata del museo archeologico. Si tratta comunque di una operazione, quest'ultima, non compresa nel presente progetto.

La nave di Valle Ponti e il suo carico sono ben noti e rappresentano nella percezione del pubblico un unicum e, si può dire, un “brand” ben identificato, spesso accostato al nome “Fortuna maris”, che non è, come qualcuno pensa, il nome della nave, ma il titolo della mostra che per la prima volta ha esposto questo importante ritrovamento (Comacchio, Palazzo Bellini, 1990).

Le ragioni del grande fascino della nave e del suo carico sono da individuare, probabilmente, oltre che nel suo indubbio valore di testimonianza storica, in alcune caratteristiche peculiari: l’unità del contesto e della narrazione, l’emozione sottesa ad un avvenimento drammatico, gli elementi di mistero che comunque restano sulla sua sorte, la vicinanza ed empatia che si crea nel visitatore con persone vissute duemila anni fa attraverso i loro umili e funzionali oggetti quotidiani, dall’identità chiara, che paiono abbandonati da poco, mentre invece hanno attraversato indenni molti secoli.

E’ opportuno che, nell’inserire i materiali del carico della nave nel nuovo museo archeologico, operazione che può dare nuovo respiro e contribuire ad inserire questo episodio in un contesto più ampio e chiarificatore, non si perda o si attenui la forte identità di questo complesso e di questa narrazione che deve costituire un approfondimento monografico all’interno del nuovo museo.

Importanti spunti da porre in evidenza nell’esposizione possono essere i seguenti, da elaborare anche con l’aiuto di confronti con fonti iconografiche e scritte (es. la Colonna Traiana come “manuale” di vita militare, raffigurazioni di navi e porti, cronache di naufragi, riferimenti alla produzione dei tempietti votivi, utilizzo, episodi ed essi legati, ecc.) e con moderni metodi di comunicazione museale:

- le vie di comunicazione d’acqua e di terra, sia nella zona che in una visione più ampia, europea, e le possibili rotte della nave (navigazione di cabotaggio, tecnica dell’alaggio, comunicazioni via terra, esempio della Stele del Bottaio di Ostellato (riproduzione) l’orientamento, le stelle, le mappe e i portolani, la navigazione a vela, ecc;

- le tecniche di costruzione della nave, le essenze utilizzate, l’architettura navale in età tardo repubblicana e imperiale. Può essere utile qui un confronto con la stele ravennate di P. Longidienus (in riproduzione) in cui è rappresentato un carpentiere navale al lavoro;

- l’attrezzatura di bordo: ancora, cime, bozzelli, manutenzione;

- la dieta dei marinai, strumentazione di cucina, dotazioni personali;

- igiene e cura, medicina;

- militari e/o marinai: presenza di militari a bordo: “caligae” chiodate, armi, la “sarcina” del militare e la dotazione personale;

- il commercio, i pesi, le misure, la registrazione delle merci;

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- il piombo, la sua estrazione, la Spagna, le Guerre cantabriche, le legioni stanziate in loco, l’utilizzo del piombo nella vita civile, nell’architettura, nella guerra, ecc.;

- le anfore, il vino, l’olio, i commerci mediterranei;

- la ceramica sigillata nord italica: tecniche, diffusione, utilizzo, simbologia, officine di produzione, economia schiavistica, i liberti;

- i tempietti e la loro simbologia: l’architettura, Augusto, devozione e propaganda augustea (vittorie militari e pace, Gallia ed Egitto, Venere e Mercurio, Cesare, ecc.);

- ovviamente: dalla vita quotidiana alla grande politica: Augusto, Agrippa e la creazione dell’Impero.

Criteri espositivi e materiali:

Nell’attuale ordinamento del museo della Nave Romana è stato distinta una zona al piano terra in cui sono esposti oggetti d’uso quotidiano, molti dei quali composti da materiali di origine organica, e una zona al primo piano in cui è esposto per lo più il ponderoso carico commerciale. Data la disponibilità, nel nuovo spazio espositivo, di cinque suggestivi ambienti, il percorso può essere maggiormente articolato.

In particolare vi è la possibilità di porre in maggiore evidenza l'esposizione dei sei tempietti miniaturistici in piombo, che sono un prezioso “unicum” archeologico, ricco di contenuti.

Altri importanti gruppi di materiali sono: i 102 lingotti di piombo; la grande ancora in ferro, le cime e i materiali di manutenzione della nave, scarpe e parti di abbigliamento e accessori; piatti e altri oggetti d'uso personale; spada e pugnale; pesi e strumenti di misurazione delle merci; la ceramica fine da mensa; le numerose anfore; la notevole partita costituita da ceramica comune.

Va riutilizzato, nel nuovo allestimento, tutto l'arredo dell'attuale Museo della Nave

Cautele per la conservazione: sono già presenti opportune vetrine climatizzate con dispositivi autonomi e con illuminazione controllata per i materiali in cuoio, legno e fibra naturale che però vanno collocate in ambiente climatizzato e non troppo luminoso.

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