IL MOVIMENTO GIOVANILE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA...

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Università degli studi di Parma Dottorato di ricerca in Storia Ciclo XXVIII IL MOVIMENTO GIOVANILE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA DA DE GASPERI A FANFANI (1943-1955) Coordinatore: Prof.ssa Elena Bonora Dottorando: Andrea Montanari Tutor: Prof. Giorgio Vecchio

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Università degli studi di Parma

Dottorato di ricerca in Storia

Ciclo XXVIII

IL MOVIMENTO GIOVANILE DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA DA DE GASPERI

A FANFANI (1943-1955)

Coordinatore: Prof.ssa Elena Bonora Dottorando: Andrea Montanari

Tutor: Prof. Giorgio Vecchio

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INDICE

Introduzione p.6

1. Tra fascismo e Repubblica (1943-1945)

1.1 La questione giovanile alla nascita del nuovo partito p.13 1.2 La Resistenza a Roma e la nascita de «La Punta» p.25 1.3 La formalizzazione organizzativa p.39 1.4 Le diverse realtà regionali p.60 1.5 I rapporti con il Fronte della Gioventù p.78

2. I primi passi nell'Italia repubblicana (1945-1948)

2.1 Il primo Convegno nazionale dei Gruppi giovanili Dc p.103 2.2 I rapporti internazionali p.1132.3 Roma, Assisi, Firenze p.125

3. La parentesi dossettiana (1948-1952)

3.1 Le elezioni del 18 aprile; nuovi stimoli e nuove direttive p.141 3.2 Gestione e conseguenze del risultato elettorale p.152 3.3 Da Sorrento a Ostia p.191 3.4 Il Congresso di Ostia. Malfatti delegato nazionale p.204 3.5 L'esperienza del «San Marco» p.223

4. Verso sinistra. I Gruppi giovanili e la Base (1952-1955)

4.1 Dai «Gruppi giovanili» al «Movimento giovanile» p.244 4.2 La Base e il Movimento giovanile p.262 4.3 Da Colombaia a Helsinki p.279

4

Conclusioni p.297

Fonti archivistiche – abbreviazioni p.300

Fonti a stampa p.301

Bibliografia p.303

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Introduzione

All'indomani della fine della guerra il compito che attendeva la nuova

classe dirigente era quanto mai impegnativo. Per vent'anni l'Italia era stata

governata da una dittatura che in alcune fasi aveva incontrato un certo grado di

consenso in alcuni settori della popolazione. Il problema dell'eredità del regime

era particolarmente grave per le generazioni più giovani che avevano

conosciuto solo la propaganda del regime e conoscevano poco o nulla delle

tradizioni politiche dell'Italia liberale. Ed infatti anche agli osservatori del

dopoguerra proprio il rapporto con questa generazione era apparso cruciale1.

Tutta la cosiddetta generazione di Mussolini era cresciuta all'interno delle

organizzazioni fasciste e la mobilitazione politica di massa della gioventù aveva

certo lasciato dei segni, pur senza ottenere i risultati sperati dal regime di dar

vita ad una nuova classe dirigente fascista2.

Indubbiamente per alcuni giovani la partecipazione alle organizzazioni e

alle iniziative del regime aveva significato avere un canale di maturazione

personale che partendo da un'interpretazione rivoluzionaria del fascismo si

concludeva a volte sulle sponde dell'antifascismo. Si trattava il più delle volte di

giovani che erano rimasti delusi dalla realtà del fascismo e avevano via via

orientato le loro speranze rivoluzionarie verso l'antifascismo o si erano chiusi in

una sorta di «nicodemismo» come nel caso delle vicende personali descritte dal

1 L. Mangoni, Crisi della civiltà. Gli intellettuali tra fascismo e antifascismo, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell'Italia repubblicana, vol. I, La costruzione della democrazia dalla caduta del fascismo agli anni Cinquanta, Einaudi, Torino 1994, p. 618.

2 Sul rapporto fra giovani e fascismo si vedano le osservazioni di L. Passerini, La giovinezza metafora del cambiamento sociale. Due dibattiti sui giovani nell'Italia fascista e negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, in G. Levi, J.C. Schmitt, Storia dei giovani, vol. II, L'età contemporanea, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 386 ss.

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famoso libro di Ruggero Zangrandi3, ma si trattava pur sempre di una

minoranza. Questi percorsi non erano infatti condivisi dalla gioventù nel suo

complesso, molta parte della quale verso la fine degli anni Trenta fu incline ad

una sorta di apatia verso il regime. Tuttavia queste considerazioni non devono

indurre a credere che la propaganda fascista fosse stata inefficace fra i giovani.

Per oltre tre lustri milioni di giovani italiani di entrambi i sessi e di tutte

le età furono inquadrati nelle organizzazioni giovanili del regime fascista.

Indubbiamente le organizzazioni di massa del fascismo, in particolare quelle

giovanili, costituirono lo strumento per realizzare la modernizzazione di un

paese arretrato e ancora prevalentemente rurale. L'Opera nazionale balilla prima

e la Gioventù italiana del littorio poi mutarono profondamente lo stile di vita

della gioventù italiana, avviandola, su scala di massa, alla pratica dello sport,

educandola alla profilassi sanitaria e all'igiene personale, fornendole pasti il cui

apporto calorico era in media con quello delle popolazioni europee, avviandola

alla pratica, allora sconosciuta ai più, della vacanza in località di villeggiatura e

provvedendo in varie forme ai suoi bisogni materiali e culturali. Con le sue

ramificazioni, l'Onb-Gil raggiunse i giovani delle province italiane più isolate,

facendo sperimentare loro lo stile di vita fascista e integrandoli nello spazio

pubblico dell'Italia mussoliniana. Diverse generazioni di giovani italiane,

soprattutto a partire dalla metà degli anni Trenta, ebbero per la prima volta la

possibilità di allontanarsi dall'ambiente familiare e di essere attive nelle

organizzazioni di regime, talora con ruoli di responsabilità. Non bisogna

dimenticare, tuttavia, che questa larga offerta ricreativa, culturale ed

assistenziale, che costituiva il successo delle organizzazioni del regime presso i

giovani, aveva anche e soprattutto un'altra finalità: quella di plasmare una

gioventù completamente educata nei miti e nei valori del fascismo. L'«uomo

3 R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Feltrinelli, Milano 1962.

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nuovo» e la «donna nuova» fascisti dovevano essere individui abituati sin

dall'infanzia a sottomettersi, come automi, agli ordini di un capo assoluto,

venerato come il depositario della “verità”, e di un partito in nome di

un'ideologia imperialista, bellicista e razzista. In altri termini, compito delle

organizzazioni giovanili, nelle sue diverse articolazioni, era quello di creare il

perfetto cittadino dello “Stato totalitario”. Questo obiettivo fu perseguito

attraverso una metodica e pervicace azione di indottrinamento ideologico

condotta, in forme e con contenuti diversi, fin dall'infanzia. Il destino tragico di

quella che era stata esaltata dalla retorica fascista come la “gioventù del

littorio”, che divenne nel volgere di pochi anni la “generazione perduta”, è noto.

Restano da comprendere gli effetti di lungo periodo sulla vicenda nazionale

successiva al crollo dell'ambizione del regime fascista di inverare il mito

dell'«uomo nuovo»4.

Come è noto, i fascisti opponevano al concetto di classe quello di

nazione. La nozione di giovinezza era l'elemento essenziale per identificare la

comunità nazionale. I giovani rappresentavano la parte “sana” della nazione e,

perciò, la sola “vera” nazione. I concetti di generazione e di giovane

generazione costituivano gli elementi basilari della rivoluzione fascista, così

come quelle di classe e razza lo erano per la rivoluzione bolscevica e quella

nazionalsocialista. La giovinezza finiva così per diventare una metafora della

rivoluzione: si era giovani in quanto rivoluzionari e non viceversa5.

Come ha notato Fulvio De Giorgi, nello schieramento cattolico

convissero una tendenza a combattere la «retorica nera» con il «grigio

acromatismo dell'antiretorica», e una di segno opposto, che confidava nella

4 Tali considerazioni sono in L. La Rovere, Giovinezza in marcia. Le organizzazioni giovanili fasciste, Editoriale La Nuova, Novara 2004, pp. 5-6.

5 L. La Rovere, Storia dei GUF. Organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria fascista 1919-1943, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp. 28-29.

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«policromia monocroma» dell'antifascismo6.

Optava decisamente per quest'ultima Guido Gonella, il quale riteneva

che la nuova educazione democratica dovesse essere in grado di riprodurre lo

stesso stato di alta tensione ideale e di partecipazione emotiva che i giovani

avevano sperimentato durante gli anni del regime. Per il futuro ministro della

Pubblica istruzione confondere il senso di disorientamento dei giovani con

l'indifferenza delle masse verso la politica, comprensibile reazione all'orgia

retorica del ventennio, voleva dire compiere un grave errore di sottovalutazione.

I giovani erano disorientati non perché rifiutassero di orientarsi, ma perché non

erano in grado di farlo. La traumatica rivelazione che la loro fede era stata

tradita, che gli ideali nei quali avevano creduto con «generosità giovanile» e per

i quali si erano battuti celavano un immorale desiderio di conquista e si

sopraffazione aveva prodotto una «spaventosa delusione», seguita dal

precipitare in uno «sconfortante e senile scetticismo». Il rischio maggiore era

che la «generazione infelice» diventasse una «generazione perduta», se il

disorientamento, anziché costituire l'«anticamera della verità»,, fosse divenuto

la «soglia della delusione» senza rimedio. Perciò, il problema dei giovani era il

terreno sula quale si sarebbe misurata la capacità dell'antifascismo di adempiere

fino in fondo al compito di fornire al paese non soltanto un'ideologia di

comodo, alla quale aderire per conformismo o per assicurarsi,

opportunisticamente, un posto nella nuova società, ma nuovi ideali di vita e

nuovi valori in cui credere e lottare, nuove prospettive politiche per cui valesse

la pena impegnarsi. Preoccupato dal manifestarsi di un atteggiamento di

sfiducia nei nuovi partiti che era assai diffuso tra i giovani, l'uomo politico

democristiano scriveva:

6 F. De Giorgi, La Repubblica grigia. I cattolici e l'educazione alla democrazia nel secondo dopoguerra, in «Annali di storia dell'educazione e delle istituzioni scolastiche», 2001, n.8, p.22.

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Se le vecchie idee e i vecchi partiti non sono capaci di attrarli,

bisognerà pure trovare, a servizio della nostra fede, formule nuove

capaci di suggestionare le generazioni nuove, cioè di soddisfare le

sane e insoddisfatte aspirazioni. I giovani non possono, non

debbono restare fra coloro che tacciono, e il loro silenzio denuncia

la nostra crisi morale. Rendiamoci capaci di dire ad essi con

sincerità di cuore una parola che abbia la suggestione di una fede

vissuta, ed essi potranno essere sanati dal morbo di

quell'educazione negativa e distruttiva nella quale sono stati

allevati dal malcostume fascista7.

La sfida di fronte alla quale si trovavano le forze antifasciste era,

insomma, delle più impegnative. Per cancellare il fascismo dalle coscienze

giovanili non bastava averlo sconfitto politicamente e militarmente. Occorreva,

piuttosto, che la nuova democrazia fosse in grado di rivaleggiare con il regime

totalitario nel dispiegare efficaci politiche giovanili, che riuscisse a

istituzionalizzare un proprio apparato mitologico e liturgico capace di produrre

l'identificazione dei giovani con il sistema di valori dello Stato8. In effetti,

queste sollecitazioni, che provenivano, non a caso, dagli esponenti di quelli che

di lì a poco avrebbero assunto le dimensioni di partiti di massa, ponevano in

primo piano una questione di rilievo, quella delle forme e della funzione della

politica in una democrazia post-totalitaria.

La riflessione sull'esperienza di vita dei giovani durante il regime

sollecitò i partiti di massa a porsi concretamente il problema di come gestire la

transizione di imponenti masse giovanili, abituate a essere inquadrate

totalitariamente nelle organizzazioni del regime «dalla culla alla tomba», verso

forme democratiche di socialità e di partecipazione alla vita pubblica. La

7 G. Gonella, Quelli che non parlano, in «Il Popolo», 1 ottobre 1944.8 Così sostiene L. La Rovere, L'eredità del fascismo. Gli intellettuali, i giovani e la

transizione al postfascismo, Bollati Boringhieri, Torino 2008, p. 155.

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generale tendenza a riprodurre nel quadro della nuova democrazia forme

organizzative del passato regime è stata evidenziata da Angelo Ventrone, il

quale ha parlato di un'esplicita rielaborazione del modello fascista di

inquadramento della masse da parte di cattolici e comunisti9. Essa si tradusse,

nello specifico giovanile, in un'aspra controversia tra i comunisti e i

democristiani per la gestione dell'imponente patrimonio infrastrutturale

appartenuto alla Gioventù italiana del littorio10.

9 A. Ventrone, La cittadinanza repubblicana. Forma partito e identità nazionale alle origini della democrazia italiana 1943-1948, Il Mulino, Bologna 1996, in particolare p. 119.

10 Si veda l'opuscolo del Commissariato nazionale della gioventù italiana, Proprietà immobiliari della Gioventù italiana, Roma 1948. fin dall'agosto 1943 l'Azione cattolica, attraverso il suo presidente Luigi Gedda, avanzò al commissariato nominato dal governo Badoglio, la proposta di ottenere in gestione il patrimonio edilizio di quella che nel frattempo era stata ribattezzata Gioventù italiana; cfr. T. Sala, Un'offerta di collaborazione dell'Azione cattolica italiana al governo Badoglio (agosto 1943), in «Rivista di storia contemporanea», 4(1972), pp. 531-533. l'iniziativa rispondeva alla preoccupazione della Chiesa che, per bocca dell'ispettore centrale per l'assistenza religiosa, monsignor Antonio Giordani, constatava le crescenti «difficoltà ad avere la fanciullezza a sua disposizione» in una congiuntura nella quale la famiglia «abdica[va] al suo compito educativo» e i partiti si «prepara[va]no a conquistarla, ognuno per i suoi fini». Il prelato riteneva utile, perciò, che lo Stato si interessasse di «promuover[n]e» la educazione integrale e di «impedirne le deviazioni», soprattutto «in vista del pericolo comunista»; Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1940-1943, b.2666, f.I.15/3.500, lettera del 12 agosto 1943. nell'estate del 1944 Togliatti sottolineò la necessità che gli edifici della ex Gil fossero assegnati alle «libere organizzazioni di giovani»; cfr. P. Togliatti, Ai giovani, in «La Rinascita», I, luglio 1944, n.2. Dopo il 25 aprile, in realtà, la gestione delle caserme e delle palestre della Gil seguì un criterio che potremmo definire dell'effettiva occupazione. Nell'Alta Italia il Fronte della Gioventù, l'organizzazione giovanile antifascista nata durante la lotta partigiana, ottenne l'amministrazione provvisoria dei beni della Gil; cfr. Il Fronte della Gioventù nell'Italia democratica, in «l'Unità», 9 maggio 1945. Nei mesi successivi fu costituita una Consulta giovanile nazionale, nella quale sedevano comunisti e cattolici, con il compito di collaborare con il Commissariato della Gioventù italiana alla liquidazione dei beni della Gil; cfr. Una Consulta giovanile per la liquidazione dei beni della ex Gil, in «l'Unità», 27 ottobre 1945. La campagna dei comunisti per ottenere che le strutture fossero affidate al Fdg (cfr. ivi, 10 febbraio 1945), si scontrò ben presto con la determinazione democristiana a non consentire che il Pci si avvantaggiasse di un prezioso strumento di propaganda e proselitismo; cfr. Tutti i giovani devono usufruirne, in «Il Popolo», 23 marzo 1947. Nel 1947, la sostituzione del commissario Giorgio Candeloro con Mario Tortonese, di area Dc, segnò l'avvio di una lunga contesa. L'immobilismo del nuovo commissario, che non intendeva dare soluzione complessiva alla questione, celava – secondo i comunisti – la volontà di favorire le associazioni cattoliche (cfr. «l'Unità», 6 aprile 1947). la questione era destinata a trascinarsi per decenni; cfr., per esempio, Sulla strada della ex Gil, in «Avanti!», 21 febbraio 1975.

11

Come gestire, dunque, la transizione di queste imponenti masse

giovanili? In che modo, attraverso quali canali, con che strumenti il partito di

maggioranza e principale protagonista della vita politica italiana, la Democrazia

cristiana, affrontò tali problematiche. Una prima risposta, che ovviamente non

pretende di essere esaustiva, è: attraverso la creazione di un proprio movimento

giovanile. Da questa prima (e parziale) risposta è nata la seguente ricerca.

Si è seguito, nell'organizzazione e nell'esposizione del materiale

raccolto, un criterio puramente cronologico, suddividendolo in quattro capitoli.

Tengo molto a ricordare, infine, il debito di riconoscenza che ho nei

confronti del prof. Giorgio Vecchio, non solo per il sostegno critico con cui ha

letto le mie ricerche, ma anche e soprattutto per le appassionanti lezioni di

Storia contemporanea le quali, da giovane studente di Lettere, mi hanno

avvicinato allo studio dell'Italia e dell'Europa del Novecento. Un altro doveroso

ringraziamento va a Paolo Trionfini e ai miei colleghi Emanuele, Fabrizio e

Onofrio, preziosa e stimolante compagnia in questi anni di dottorato. Questo

mio lavoro, seppur imperfetto e impreciso, è comunque dedicato ad Anna,

Matteo, a mia madre e alla mia famiglia. E a mio padre, che ne ha potuto vedere

solo l'inizio, ma che ancora mi guida e mi consiglia.

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Capitolo IFra fascismo e Repubblica (1943-1945)

1.1 La questione giovanile alla nascita del nuovo partito

Il 10 settembre 1943 Alcide De Gasperi esprime in una lettera a Sergio

Paronnetto i propri timori circa il fatto che il fascismo fosse ormai «una

mentalità congenita alla generazione più giovane» e che l'antifascismo fosse

una pregiudiziale ricostruttiva non per quanto riguardasse «la tessera ma

l'aniums, i metodi della vita pubblica»11.

Profondi sono i timori nutriti dai leaders ex popolari per una giovane

generazione «guastata» da vent'anni di dittatura. La retorica giovanilistica del

regime, infatti, se da un lato aveva catalizzato vaste masse di giovani verso la

celebrazione dei riti dello Stato, dall'altro non aveva voluto educare quest'ultime

a una formativa partecipazione politica. Un certo risentimento o una qualche

diffidenza nei confronti dei giovani potevano essere giustificati inoltre dal

ricordo degli abusi e delle crudeltà, più o meno gravi, a cui i giovani erano stati

spinti dal fascismo, dalle nefaste intrusioni nella scuola e nella famiglia, dai

dubbi di fronte a troppo rapide conversioni alla democrazia. La vigorosa

tradizione delle organizzazioni giovanili cattoliche, rimontante addirittura

all'ultimo trentennio dell'Ottocento, non si era inoltre trasferita strutturalmente

nel Partito popolare, la cui esperienza organizzativa era sempre stata unitaria,

11 M.R. De Gasperi (a cura di), De Gasperi scrive. Corrispondenza con capi di stato, cardinali, uomini politici, giornalisti, diplomatici, vol. I, Morcelliana, Brescia 1974, pp. 341-342.

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senza movimenti specializzati.

Con il crollo del regime, la riflessione sulla manomissione dell'essenza

più vera della personalità umana tentata dal fascismo, potendo abbandonare i

toni cautamente allusivi e la prudenza dell'eloquio che l'aveva caratterizzata

precedentemente, si intrecciò con il discorso delle responsabilità individuali e

collettive degli italiani. In un editoriale apparso il 31 luglio 1943 sull'organo

della Fuci, il presidente Giulio Andreotti invitava i lettori ad astenersi dalla

tentazione di recriminare sterilmente sul passato e a recitare piuttosto il mea

culpa: troppe e troppo profonde erano le commistioni della società italiana con

il fascismo perché qualcuno potesse ergersi a giudice degli altrui

comportamenti. Più utile sarebbe stato se quei «moltissimi che, potendo

andarsene, direttamente od indirettamente [avevano] sostenuto dall'alto o dal

basso l'operare del regime» si fossero appartati in dignitoso silenzio per

riflettere sui passati errori12.

Nel successivo fascicolo della rivista, il dirigente della Fuci affrontò

apertamente la colpa dei cattolici, chiedendo che certi «ambienti filofascisti», i

cappellani militari e della Gil, i pubblicisti della stampa cattolica che avevano

attivamente collaborato col regime fossero mantenuti in una salutare

«quarantena»13.

Andreotti, pur sostenendo cautamente che le «posizioni assolutistiche o

totalitarie» avevano trovato nei cattolici solo una «contingente accoglienza»14,

ribadì che, fatti salvi i casi documentati di conseguente impegno antifascista,

molti sacerdoti e laici cattolici portavano un'esplicita responsabilità morale che

sfociava nella complicità: accettare di operare nelle organizzazioni fasciste

aveva significato, infatti, «chiudere gli occhi su tanti e tanti aspetti negativi» e

12 G. Andreotti, Possibilità di un ordine nuovo, in «Azione fucina», n.14, 31 luglio 1943.13 Id., Opinioni, in «Azione fucina», n.15, 18 agosto 1943.14 Id., Possibilità di un ordine nuovo, cit.

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accomunare, agli occhi dell'uomo della strada, «la Chiesa ed il Fascio».

Andreotti si preoccupava certamente di non offrire il destro al risorgente

anticlericalismo di criticare la Chiesa per i suoi cedimenti di fronte al regime,

anche introducendo una distinzione tra gli orientamenti della gerarchia e quelli

del basso clero: se il pontefice aveva espresso in forma ufficiale il proprio

giudizio negativo sul regime, le mancanze e i cedimenti erano imputabili ai

singoli e non all'istituzione.

I suoi argomenti tradivano, inoltre, la preoccupazione di presentare ai

giovani cattolici, alfieri di un intransigente antifascismo, come una componente

essenziale della nuova classe dirigente cattolica15. Malgrado ciò, non vi è

dubbio che insistendo sulla colpa dei cattolici, e degli italiani in genere, la sua

posizione si discostasse notevolmente da quella assunta dal resto del mondo

cattolico16.

Sempre Andreotti spiegò che la crisi del regime e il disvelamento del

carattere fallace dei suoi miti non facevano venire meno la necessità di tentare

una soluzione alla crisi della civiltà contemporanea. La transizione verso il

regime di libertà non poteva risolversi in un mero «ritorno all'antico», ma

doveva dischiudere la «possibilità di un ordine nuovo». Il problema dei giovani

costituiva, per Andreotti, soltanto il simbolo di una questione di ben altra

importanza. Questo era, a suo dire, il vero punto del contendere nella disputa

generazionale: mentre i «vecchi» ritenevano di poter cancellare il fascismo con

un «colpo di spugna», i giovani propendevano per una «revisione del sistema»

che tenesse «del pari in conto l'antico – cioè il democratismo – ed il recente –

cioè l'esperienza totalitaria»17. Con un pragmatismo che non era inconsueto tra i

giovani del tempo, e consapevole di attirarsi l'accusa di adoperare un linguaggio

15 Id., Quelli di prima, in «Azione fucina», n.17, I settembre 1943.16 L. La Rovere, L'eredità del fascismo, cit., pp. 57-58.17 G. Andreotti, Possibilità di un ordine nuovo, cit.

15

«da gerarca», Andreotti scriveva che «qualcosa il fascio, di positivo o di

negativo» avesse pur dovuto rappresentare, se era «durato un tempo così

notevole», e deplorava come una manifestazione della mancanza di

«intelligenza e di serenità» della vecchia classe politica prefascista

l'orientamento volto a distruggere a «colpi di piccone» l'«edificio politico-

sociale già esistente». La sfida che le forze dell'antifascismo dovevano

raccogliere era, dunque, quella di realizzare la «saldatura tra due epoche», le

quali erano state separate dal «complesso diaframma» rappresentato dal

ventennio fascista. La possibilità di comporre il conflitto generazionale

implicava una reciproca legittimazione dei contendenti: se ai «vecchi» andava

riconosciuta l'importante funzione di essere i depositari della conoscenza di

«tutte le sfumature e le complessità del sistema liberale», l'antifascismo, da

parte sua, doveva riconoscere il contributo di esperienza e di riflessione che i

giovani potevano recare alla costruzione del nuovo Stato18.

Renato Moro ha già studiato approfonditamente il fenomeno assai

complesso della formazione della classe dirigente cattolica affacciatasi alla

democrazia una volta crollato il fascismo19; ma la seconda guerra mondiale, la

crisi del regime, la partecipazione cattolica alla Resistenza tra il 1943 e il 1945

costituiscono lo sfondo e il retroterra di un processo di elaborazione politica

destinato a segnare la ripresa del movimento politico dei cattolici, dopo la

parentesi e gli anni mussoliniani. Come ha sottolineato Agostino Giovagnoli,

«la cultura cattolica del dopoguerra si incontrava con un oggetto che le era

profondamente estraneo: l'idea del partito»20. I quarantacinque giorni

badogliani, in particolare, segnano il momento della effettiva ripresa della

elaborazione di un progetto politico e del lento maturare di un disegno di

18 Id., Quelli di prima, cit. 19 R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), Il Mulino, Bologna

1979.20 A. Giovagnoli, La cultura democristiana, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 210.

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partito. Nel dibattito che ruota attorno a questo complesso e tumultuoso

processo, emerge anche in tutta evidenza il problema generazionale21.

Larghi strati giovanili stavano infatti maturando, nel periodo di crisi del

fascismo, alcune decisioni che li avrebbero portati a intervenire nell'orbita dei

rinascenti partiti politici. La forma-partito era – come si diceva – a molti degli

ex popolari, del tutto estranea. Tale oggettiva difficoltà organizzativa non si

ritrovava però nella dirigenza di altre formazioni politiche come il Partito

comunista e quello socialista, anche dal punto di vista dell'organizzazione di

giovani attivisti.

Nel marzo del 1944 troviamo infatti già perfettamente operante a Roma

la Federazione giovanile del Partito socialista (Fgs), rinata per impulso di

Sandro Pertini ed Eugenio Colorni22 e nella quale erano confluiti anche alcuni

esponenti dei quadri dirigenti dell'ex Movimento di unità proletaria come Mario

Zagari e Leo Solari, e altri giovani provenienti dall'Associazione rivoluzionaria

studenti italiani tra i quali Giorgio Lauchard e Girolamo Congedo. Altri poi

invece, e pensiamo a Matteo Matteotti che fu un attivissimo membro del Fgs,

provenivano dalle fila di gruppi giovanili comunisti23. La Fgs di quegli anni

aveva ereditato in pieno la combattiva tradizione giovanile socialista che,

organizzatasi già agli inizi del secolo, si era sempre contraddistinta per la sua

carica fortemente autonomista e polemica rispetto al partito. Nel maggio dello

stesso anno vede la luce l'organo della Fdg, «Rivoluzione socialista» e nello

stesso periodo prendono vita le Brigate Matteotti24.

21 F. Malgeri, La formazione della DC tra scelte locali e urgenze nazionali, in G. De Rosa (a cura di), Cattolici, Chiesa, Resistenza, Il Mulino, Bologna 1997, p. 538.

22 Su Eugenio Colorni rimando alla bibliografia citata in G. Scirocco, Politique d'abord. Il PSI, la guerra fredda e la politica internazionale (1948-1957), Unicopli, Milano 2010, pp. 127-128.

23 Per le vicende della Fgs cfr. A. Amato, La gioventù socialista in Italia, in G. Orsina, G. Quagliariello (a cura di), La formazione della classe politica in Europa (1945-1956), Laicata, Manduria-Bari-Roma 2000, pp. 193-201.

24 Il primo numero esce clandestinamente a Roma il 1° maggio 1944. La direzione e la

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Il Pci poteva contare – unico tra tutti i partiti che animarono il ritorno

alla democrazia in Italia – sulla esperienza di una organizzazione giovanile che

nel corso del ventennio continuò ad operare nella clandestinità, mantenendo una

propria struttura, per quanto effimera, dei propri organi di stampa, dei contatti

internazionali. Inoltre, non si può dimenticare quanto spazio, nell'immediato

post-fascismo, fu assegnato alla questione giovanile dalle analisi comuniste

sulla transizione. Tale attenzione si compendiò in una serie di articoli di

Togliatti, nei quale si indicava nella successione delle generazioni uno degli

elementi sul quale puntare per garantire una evoluzione “progressista” alla

vicenda italiana25.

Nel gennaio del 1944, a Milano, grazie alla mediazione di padre David

Maria Turoldo e padre Camillo De Piaz, si ebbe un incontro fra i comunisti

Eugenio Curiel, allora membro della direzione del Pci dell'Italia settentrionale,

Gillo Pontecorvo, da una parte, e i due cattolici Dino Del Bo e Alberto Grandi e

in successive riunioni si fissarono le basi per la costituzione del Fronte della

Gioventù, al cui interno avrebbero dovuto stare rappresentanti di tutti i partiti

antifascisti, garantendo però l'apartiticità del Fronte stesso26.

redazione dell'edizione romana sono affidate a G. Lauchard e L.Solari. Dell'edizione milanese si occupavano D. Panicucci, G. Baldi, D. Voltolina e G. Falconi; cfr. L. Solari, I giovani di Rivoluzione socialista, IEPI, Roma 1964 e cfr. L. Solari, I giovani di Rivoluzione Socialista, in «Il Veltro», n.1-2, anno VIII, febbraio-aprile 1964, pp. 9-40. Nel primo dopoguerra «Rivoluzione socialista» porta avanti l'idea di un'Europa neutrale, mediatrice fra le due superpotenze e quindi in grado di favorire, in tempo di pace, il mantenimento della grande alleanza antifascista; cfr. G. Scirocco, «La lezione di fatti». Il 1956, Nenni, il Psi e la sinistra italiana , in «Storia contemporanea», 2(1996), p. 204.

25 Si legga ad esempio l'articolo di Togliatti su «l'Unità» nell'aprile 1944: «L'Italia democratica, progressiva, che noi ci accingiamo a costruire sulle rovine di oggi, sarà l'Italia che i giovani italiani onesti e sinceri hanno nel loro cuore. […] L'Italia nuova, risollevatasi dalla disfatta e redenta dalla vergogna del fascismo, tratterà e risolverà il problema dei giovani, del loro presente e del loro futuro, come un grande problema di interesse nazionale»; cfr. Ercoli, Gioventù di oggi, in «l'Unità», 4 aprile 1944.

26 G. Vecchio, Lombardia 1940-1945. Vescovi, preti e società alla prova della guerra, Morcelliana, Brescia 2005, p. 371; l'episodio è citato anche in D. Saresella, David M. Turoldo, Camillo De Piaz e la Comunità dei Servi di Milano (1943-1963), Morcelliana, Brescia 2008, pp. 60-62 e in G. Vecchio, Padre David Maria Turoldo e la memoria della

18

Alla luce di queste considerazioni introduttive ci paiono perfettamente

sensate le risposte che Cesare Dall'Oglio27 scrive in un report «riservato» a

Guido Gonella nel 1949, illustrando i primi anni di vita dell'organizzazione. Per

quali motivi, dunque, sono nati i Gruppi giovanili della Democrazia cristiana?

Innanzitutto, sia nell'Italia liberata che in quella ancora occupata dalle truppe

nazifasciste, essi vennero creati per contrastare l'azione immediata e decisa dei

comunisti, i quali si posero immediatamente il grande problema dei giovani,

secondo gli insegnamenti loro forniti dalla lunga esperienza rivoluzionaria; in

guerra e della Resistenza, in AA.VV., Laicità e profezia. La vicenda di David Maria Turoldo, Servitium, Bergamo 2003, pp. 31-32. Per la ricostruzione, piuttosto agiografica, delle vicende del Fronte cfr. P. De Lazzari, Storia del Fronte della Gioventù, Editori Riuniti, Roma 1972; G. Magnanini, I giovani nella politica del dopoguerra, Nuova libreria Rinascita, Reggio Emilia 1987. Sulle origini e primi sviluppi cfr. R. Trivelli, La gioventù comunista, in «Il Veltro», n.1-2, anno VIII, febbraio-aprile 1964, pp. 115-137; P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol.V, La Resistenza, Togliatti e il partito nuovo, Einaudi, Torino 1975, pp. 206 ss; R. Serri, L'organizzazione giovanile 1945-1968, in M. Ilardi, A. Accornero (a cura di), Il Partito comunista italiano. Struttura e storia dell'organizzazione 1921-1979, in «Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli», a.XXI (1981), Feltrinelli, Milano 1981, pp. 767-769. Sulla nascita, l'organizzazione e le prime azioni del Fronte si legga l'interessante testimonianza del bolognese Dino Bergonzoni, prima dirigente del Fronte per l'Emilia Romagna e successivamente, alla morte di Curiel, della Lombardia, citata in L. Bergonzini, L. Arbizzani, La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti, vol. II, La stampa periodica clandestina, Istituto per la storia di Bologna, Bologna 1969, pp. 65-68.

27 Cesare Dall'Oglio nasce a Roma nel 1923 e, alla caduta del fascismo, insieme al fratello Francesco, sceglie senza indugio di lasciare la capitale e di prendere la strada delle montagne d'Abruzzo, dove organizza una formazione partigiana. Catturati dai tedeschi nella zona di Carsoli, incarcerati, i due fratelli dopo un processo farsa, vengono condannati a morte con sentenza del tribunale dell’Aquila. Imprigionato nel carcere aquilano tra maggio e giugno del 1944, Dall’Oglio era pronto ad affrontare l’esecuzione della sentenza quando viene liberato a poche ore dalla fucilazione. Andreotti lo vorrà immediatamente a suo fianco come incaricato per l'organizzazione dei Gruppi giovanili nel suo Esecutivo nazionale e il 21 marzo 1945 la Direzione nazionale gli affida una commissione per ristrutturare l'ordinamento sezionale della città di Roma. Il nome di Cesare Dall’Oglio si incontra subito nella cronache del secondo dopoguerra prima come esponente dei giovani democristiani e poi come componente della Direzione nazionale della Dc, con segretario Paolo Emilio Taviani. Sceglie di fare politica dedicandosi alla organizzazione della Coldiretti, di cui è per lungo tempo segretario generale. È il padre di Paolo Dall'Oglio, il gesuita rapito in Siria nel 2013 (secondo le ultime notizie da un gruppo di islamisti vicini ad Al Qaeda) e di cui tutt'ora si sono perse le tracce. Cesare Dal'Oglio muore il 6 novembre 2015; cfr. D. Rosati, Grazie a Cesare, fedele «senza paura del nuovo», in «Avvenire», 8 novembre 2105.

19

secondo luogo vennero creati vista la presenza di movimenti giovanili di altri

partiti; in terzo luogo per l'esigenza di formare e penetrare politicamente

quell'Italia così giovane28. A tali tre fondamentali motivazioni, ci pare corretto

poterne aggiungerne una quarta: l'impellente esigenza di mediazione fra

generazioni.

Come ha scritto Guido Formigoni, la Dc fu «fin dalle origini, un

“partito di mediazione” al proprio interno», tra «marcate diversità, sia

generazionali che geografiche»29.

Già nel dicembre 1943, infatti, durante la fase iniziale di costruzione

clandestina della Democrazia cristiana, con intento spiccatamente mediatorio,

De Gasperi rivolge ai giovani e agli anziani il celebre invito a darsi la mano per

costruire un ponte tra due generazioni.

Siamo giovani e anziani, che si sono dati la mano per costruire un

ponte fra due generazioni, tra le quali il fascismo aveva tentati di

scavare un abisso; la generazione che visse e combatté l'altra guerra,

e che, dopo la guerra, fece l'esperienza delle torbide lotte sociali; la

generazione che tentò invano di sbarrare la via al fascismo totalitario,

combattendo nelle file del “Partito popolare italiano” […] L'altra

generazione è quella dei giovani che attraversarono il ventennio

fascista, senza contaminarsi, serbandosi nel cuore ribelli alla

dittatura, stringendosi sui margini della torbida fiumana per non

lasciarsi trascinare dalla corruzione […] La salvezza della patria esige

che su questa base le due generazioni fondino i loro sforzi

ricostruttivi e la loro unione diventi il centro che attragga il massimo

numero possibile di energie valide e sane30.

28 Archivio storico dell'Istituto «Luigi Sturzo» (d'ora in poi ASILS), Fondo Guido Gonella, b.26, f.1, Relazione generale sui Gruppi giovanili, marzo 1949.

29 G. Formigoni, L'associazionismo cattolico e la formazione della classe politica in Italia, in G. Orsina, G. Quagliariello (a cura di), La formazione della classe politica in Europa, cit., pp. 286-287.

30 A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, vol.III, tomo I, Alcide De Gasperi e la fondazione

20

Il 16 agosto dello stesso anno, scrivendo a Giuseppe Spataro sulla

situazione romagnola, Ugo Piazza aveva segnalato «un logico disorientamento

per la scarsa fusione fra anziani e giovanissimi» che sembravano «irrigidirsi

senza vicendevoli riguardi»31; la questione dei rapporti tra anziani e giovani

veniva affrontata anche da Adone Zoli per la Toscana, sia pure in termini

diversi, denunciando una notevole carenza di preparazione da parte dei giovani,

che giudica «tanto ignoranti su tutti i problemi che si pongono»32.

Ne Il programma della Democrazia cristiana del febbraio 1944 De

Gasperi entra nel vivo della questione giovanile. Partendo dalle riflessioni del

messaggio natalizio di Pio XII del 1942 scrive che

Abbiamo bisogno degli uomini maturi, perché la loro esperienza e la

loro migliore conoscenza della realtà ambientale impediranno che la

propaganda sia poco costruttiva o vaneggi addirittura nell'utopico, e

ci occorre l'ordinamento, l'entusiasmo dei giovani, perché senza i

giovani sarebbe «sua disianza voler volare senz'ali». Tempo verrà, e

forse non lontano, che, superata la guerra, e il periodo di emergenza,

le varie correnti politico sociali si misureranno; e prevarrà allora nella

gara feconda quella gioventù che alla riflessione interiore – e di

questa è debitrice all'opera educativa in profondità fatta dall'Azione

Cattolica – assoderà la preparazione tecnica e sociale la tempra del

carattere, premessa quest'ultima sopra ogni altra indispensabile per

reggere alla durissima prova33.

Come scrivono dall'Umbria, nel marzo 1944, occorrono con urgenza

direttive chiare la di là delle linee programmatiche espresse dal politico trentino:

della democrazia italiana 1943-1948, Il Mulino, Bologna 2008, pp. 652-653. 31 F. Malgeri, La formazione della DC tra scelte locali e urgenze nazionali, cit., p. 542.32 Ibidem.33 A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, vol.III, tomo I, cit., p. 680.

21

i giovani infatti «si organizzano senza tenere minimamente in considerazione le

indicazioni di chicchessia […] Non ascoltano i parroci, non ascoltano il

Segretario, non ascoltano nemmeno i genitori […] Già scrissi sulle attività fra

loro portate avanti con tenace tempestività dai comunisti […] Urgenza di

direttive e indicazioni […] o dalla parrocchia passeranno direttamente coi

rossi»34.

«Agli uomini dell'ante-fascismo i giovani – è inutile negarlo – guardano

con scarsa fiducia. Non mancano degne figure, apprezzate ed amate», sintetizza

in un articolo Giulio Andreotti il 12 dicembre 1943, e «si sa bene come

l'esperienza politica non si improvvisi e sia quindi la presenza dei “vecchi”

oltreché giusta anche necessaria: questi ed altri rilievi non mutano la diffidenza

verso quanti – si dice – non solo non hanno saputo impedire il sorgere e

l'affermarsi del fascismo ma hanno – allontanandosi dall'anima del popolo –

spianato ad esso la strada. L'esperienza, caotica e non certo seriamente

comprovante, del periodo 25 luglio-10 settembre, ha ribadito la diffidenza dei

giovani, invocanti a gran voce uomini nuovi»35.

Tali affermazioni si situano in quel frangente di tempo in cui, attraverso

una lunga serie di riunioni fra diverse personalità e in diverse città italiane,

prese dunque forma la Democrazia cristiana. Il nuovo partito, com'è noto,

nasceva sulla base di tradizioni del passato ma combinando in modo nuovo

34 Archivio di Stato di Perugia, Fondo Comitato provinciale della Democrazia cristiana di Perugia (d'ora in poi ADCPG), f. Deliberazioni (1944-1993), b.1, Appunto dattiloscritto del 7 gennaio 1944.

35 Si notino, nello stesso articolo, alcune indicazioni di Andreotti sulla propria concezione di libertà, Stato e giustizia: «Va innanzitutto detto che noi […] sentiamo come dovere e compito fondamentale di quest'ora sia il combattimento per la liberazione dell'Italia e per la sconfitta definitiva di ogni totalitarismo, di qualunque colore. […] per il domani i giovani domandano - invero più per intuizione e sentimento che non per ben ponderato ragionare - una libertà che non sia solo statutaria ma che si attui in tutta la vita, uno Stato che sia forte senza toccare la dittatura, una giustizia effettiva elle realizzi per via di politica quello che potrebbe una rivoluzione, e ancor più. Chi risponderà a tali aspirazioni?»; cfr. Posizioni di giovani, in «Il Popolo», 12 dicembre 1943.

22

esperienze e componenti alquanto diversificate; ai nuclei originari si erano

avvicinati giovani ancora impegnati nell'Azione cattolica e nella Fuci. Proprio

all'interno di questo processo di nascita del nuovo partito e dell'ingresso

nell'attività politica di una nuova classe di giovani si crea quell'incontro fra due

generazioni, gli ex popolari e i giovani cattolici, che più che un naturale

passaggio di esperienze fu un vero confronto, peraltro spesso non facile e

talvolta addirittura aspro. Era nata cioè, durante il fascismo, una componente

del tutto nuova e originale del movimento cattolico italiano, indipendente dal

popolarismo e con una propria autonoma matrice36.

Come incanalare le istanze portate avanti da tale nuova componente?

Come strutturarle all'interno del neonato partito? E soprattutto, come

fronteggiare la tenacia comunista in un campo, quello dell'organizzazione

giovanile nella lotta politica, mai affrontato dagli ex popolari?

Per quanto riguarda la Democrazia cristiana, essa presenta fin da subito

un equilibrio tra mondo giovanile e partito per certi aspetti assai differente da

quello che gli esempi dei comunisti e dei socialisti potevano proporre: la

dirigenza ex popolare ne era perfettamente conscia. Va innanzitutto considerata

la diversa situazione di partenza. Il mondo cattolico poteva contare sul serbatoio

di esperienza e di quadri che gli proveniva dalle realtà giovanili – diverse sia

per la natura del patto associativo sia per propensione culturale – che operarono

nel corso del ventennio. La considerazione di tale realtà e l'esigenza di raccordo

che essa determinò, ebbe un'importanza decisiva nel far cadere su Andreotti –

già presidente della Fuci nel corso del ventennio – la scelta del primo

responsabile dei Gruppi giovanili. D'altro canto, il fatto che per i giovani

cattolici vi fossero già luoghi di formazione e socializzazione esterni al partito

ebbe un peso non irrilevante nella decisione, assunta, a Napoli al Congresso

36 R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica, cit., p. 9.

23

interregionale Dc del 29-30 luglio 1944, di impedire la costituzione di una

Federazione giovanile autonoma e di prevedere, invece, delle semplici

articolazioni interne attraverso la presenza di Gruppi giovanili presso ogni

sezione del partito.

Il fenomeno della massiccia partecipazione giovanile non sfuggiva certo

al leader trentino durante i primi tentativi di costruzione del partito cattolico e le

sue cautele erano collegate alla necessità di coinvolgere estesamente i giovani

cattolici formatisi sotto il fascismo non presentando loro un pacchetto già

definito. Più volte De Gasperi indusse Spataro a rallentare ogni passaggio che

dovesse dar l'idea dell'esistenza di un partito già costituito. Come scrisse De

Gasperi, in quei mesi

gli anziani ebbero soprattutto la preoccupazione dei giovani, dei

giovani che non ricordano, perché non hanno visto, né vissuto, il

passato politico dei cattolici italiani, ne hanno talvolta

un'immagine inadeguata o turbata dalla propaganda avversaria, o

comunque vogliono forgiare uno strumento politico nuovo e un

programma che della novità abbia anche l'aspetto. Gli anziani

volevano anche evitare l'impressione d'invitare i giovani ad

un'assemblea ove podio e poltrone fossero già occupate in base ai

meriti passati e all'anzianità di servizio37.

La «questione giovanile» investiva d'altronde anche la scelta del nome

stesso da dare alla nuova formazione politica: il 15 giugno 1944 a Sturzo De

Gasperi scrive che «tutto oggi è ancora in flusso, perfino il titolo del partito, e

sono ben lieto che tu approvi l'epiteto Democrazia Cristiana ch'io ho

provvisoriamente scelto, per venire incontro ai giovani che non vissero le

37 G. Formigoni, Alcide De Gasperi 1943-1945. Il politico vincente, in A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, cit., p. 26.

24

battaglie popolari; e per ottenere così la fusione delle due generazioni: dovetti

passare sopra alle preferenze dei miei più prossimi collaboratori, come Spataro

e Scelba»38.

Come comunque dirà il 24 aprile 1946 nel proprio discorso al I

Congresso della Dc, con la ripresa della «speranza» e con «l'attività più

specificatamente cospirativa», cominciava anche «lo sforzo di aggiornare il

nostro programma nel contatto con i giovani. Mi ricordo il distacco, il profondo

distacco dai metodi passati»39.

1.2 La Resistenza a Roma e la nascita de «La Punta»

Un buon osservatorio da cui analizzare la nascita, lo sviluppo e i criteri

con cui venne scelta la dirigenza dei Gruppi giovanili è senza ombra di dubbio

l'ambiente romano notando, fra l'altro, che proprio da tale ambiente, per forza di

cose, scaturì il primo nucleo dei dirigenti nazionali dell'organizzazione.

È il periodo di transizione che va dal 25 luglio 1943 alla liberazione di

Roma del giugno 1944 a vedere un'accelerazione, non solo della costruzione

della Dc, ma anche della partecipazione giovanile all'organizzazione dei primi

nuclei politici.

Franco Nobili ricorda che l'estromissione di Mussolini con l'o.d.g.

Grandi

ci sorprese all'indomani della nostra maturità classica e da quel

momento i popolari della vecchia generazione iniziarono ad

ampliare l'attività di formazione dei giovani. Furono i primi

38 M.R. De Gasperi (a cura di), De Gasperi scrive, cit., vol. II, p. 20.39 A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, vol.III, tomo I, cit., p. 868.

25

incontri collegiali con l'avvocato Giuseppe Spataro, l'avvocato

Mario Scelba, il professore Alberto Canaletti Gaudenti, l'onorevole

Giovanni Gronchi e tanti altri. Le riunioni si tenevano sia

nell'Istituto San Giuseppe De Merode, in piazza di Spagna, sia nel

Liceo San Gabriele, nel quartiere Parioli. Tra i frequentatori di

questi corsi c'erano anche Pier Carlo Restagno, Quinto Tosatti e, se

non ricordo male, Pasquale Saraceno. In questi incontri avemmo

modo di conoscerci e stringere un rapporto che continuò anche

dopo l'8 settembre, quando alcuni di noi, tra cui io, entrammo in

clandestinità40.

L'8 settembre il solco fra il passato e il presente si fa ancora più

profondo. A Roma fitta era la rete di contatti tra i cattolici antifascisti ben prima

di quella data; lo stesso Nobili e Giorgio Tupini ricordano gli studi al ginnasio

del Pontificio Istituto «Sant'Apollinare», frequentato da quasi tutti i figli degli

ex popolari, dove «c'era un rapporto profondo tra i docenti e gli studenti in una

cultura decisamente antifascista»41; se il «Sant'Apollinare» era considerato un

luogo sicuro in cui incontrarsi, di capitale importanza ebbe il circolo di Azione

cattolica «Dante e Leonardo» dove, ricorda Tupini

intervennero più volte alcuni popolari: mio padre era tra questi, con

Cingolani e Martire. Tutte queste persone influirono sulla mia

formazione, oltre naturalmente a Giuseppe Spataro, che con la sua

coraggiosa azione di tessitura ha contribuito a tenere uniti i vecchi

popolari e i giovani esponenti del futuro partito della Dc. Gli

incontri a casa Spataro si tenevano nella sua abitazione di via Cola

di Rienzo 217, celati sotto forma di riunioni di famiglie42.

40 W.E. Crivellin (a cura di), Cattolici, Chiesa, Resistenza. I testimoni, Il Mulino, Bologna 2000, pp. 403-404.

41 Ivi, p. 403.42 Ivi, pp. 412-413.

26

Ancora durante l'occupazione di Roma al «Dante e Leonardo», ricorda

ancora Tupini, «in qualche occasione abbiamo raggiunto il numero di venti. In

quelle sedi non si parlava mai di attività partigiana, erano esclusivamente

lezioni di formazione politica»43.

La vicenda del crollo del regime accelerò nella Dc le scelte, ma non le

definì in modo conclusivo. La chiamata ai giovani alla Resistenza, soprattutto

per le classi 1924 e 1925, è comunque chiara.

Scrive «Il Popolo» clandestino il 28 novembre 1943:

A voi giovani delle classi 1924 e 1925 il maresciallo Graziani ha

rivolto un radiomessaggio per smuovere la vostra decisione di non

arruolarvi sotto le bandiere nazifasciste. […] il rispondere alla

chiamata delle classi 1924 e 1925 non significa presentarsi per un

arruolamento, ma semplicemente farsi ·prendere in una ·grande

retata colla quale i tedeschi vogliono sottrarre altri giovani alla

nostra nazione […] Ricordate lo scempio che egli ha fatto della

gioventù di altri paesi occupati, e specialmente di quella polacca

[…] Nessun dubbio dunque sul vostro dovere e sul vostro

interesse, non macchiatevi di tradimento verso il vostro paese,

sottraetevi alla cattura44.

Esemplare da questo punto di vista la vicenda di Nobili:

Con la divisa dell'Ordine di Malta, che era riconosciuta dai

tedeschi come corpo ospedaliero, quindi come la Croce Rossa, ho

compiuto in particolare due tipi di azioni. Ero addetto alla

distribuzione delle armi, che prelevavo nella caserma della Guardia

di Finanza - in viale XXI Aprile - con un'autoambulanza nella

43 Ivi, pp. 408-409.44 Appello ai giovani del '24 e del '25, in «Il Popolo», 28 novembre 1943.

27

quale c'erano normalmente due casse da morto, evidentemente

vuote, che venivano riempite di armi e che poi io distribuivo ai vari

nuclei che il CLN romano mi indicava, in luoghi prefissati e a

persone ben individuate. Evidentemente non potevo guidare, ma

c'era un caporal maggiore, sempre con la divisa dell'Ordine di

Malta, che guidava l'autoambulanza. L'altro mio contributo

riguarda la distribuzione della stampa clandestina. Mi occupavo

inoltre di portare i messaggi che i vari esponenti del CLN si

scambiavano, tra i rifugi che di volta in volta questi avevano - basti

ricordare tutti coloro che ebbi modo di conoscere a San Giovanni

in Laterano, dove c'erano Vassalli e tanti altri, di ogni fede

politica45.

Fra dubbi, timori, attese, e quando ancora la capitale vive sotto il giogo

nazifascista, il 17 gennaio 1944 esce allo scoperto il non meglio precisato

Comitato giovanile romano della Dc con un manifesto, rivolto agli studenti

universitari: «Ancora un anno di studi s'inizia nel segno della schiavitù. Al

ventennale nemico interno s'aggiunge il nemico tedesco, cui il risorto fascismo,

adorno di nuovo pelo ma anche di tutti i vecchi vizi, disperatamente si

aggrappa, facendo mercato del sangue e della libertà del popolo»46.

Il 28 gennaio si sviluppa poi, lungo le strade della capitale, una

imponente manifestazione di studenti universitari.

Dopo essere riuniti al Colle Oppio, si sono diretti alla vicina

Scuola di Applicazione di Ingegneria, in San Pietro in Vincoli,

dove dall'alto della gradinata un giovane universitario ha arringato

45 http://archives.eui.eu/en/files/transcript/15888?d=inline (URL consultato il 16 maggio 2016).

46 Documentazione. Roma sotto il tallone nazifascista, in «Il Popolo», 11 giugno 1944, riportato in C. De Stefanis, La gioventù democristiana, in «Il Veltro», a. VIII, n.1-2, gennaio-aprile 1964, p. 286.

28

i presenti, proponendo una mozione, che veniva approvata per

acclamazione, nella quale si chiedeva ai professori di sospendere

ogni attività di studio per protesta alla tirannia nazifascista e per

solidarietà verso tutti quei colleghi che hanno imbracciato i

moschetti nella guerriglia agli oppressori e si esortavano i giovani

ad organizzarsi nelle squadre dei “Volontari della Libertà” pronte a

difendere Roma dall'oltraggio teutonico […] il Senato Accademico

riunitosi d'urgenza ordinava l'immediata chiusura di tutte le facoltà

[…] Particolare importante l'aver scelto il 28 gennaio, volendo così

testimoniare apertamente l'adesione degli studenti romani al

Congresso della Libertà, che apriva i suoi lavori a Bari47.

Il 3 febbraio è una data fondamentale: vede infatti la luce il primo

numero de «La Punta. Giornale di battaglia della gioventù democratico-

cristiana». Il direttore è Giorgio Tupini: «fui lasciato libero di scegliere la

forma, il nome e l'indirizzo politico che preferivo. Fu chiamato “La Punta”, con

sottotitolo “punge e spinge”, ed io mi firmavo come “Grint”, anagramma [sic!]

di Giorgio Tupini»]48. I primissimi collaboratori di Tupini sono Luigi Bellotti

(con gli pseudonimi di Beta, La piccozza, L'uomo della strada), Benedetto

Todini (pseudonimi Bellicus e Pasquino), Manlio Baldi e Domenico

Contigliozzi (Candido). Il giornale viene stampato nella tipografia clandestina

di Marcello Spinetti dal tipografo Pasquale Bacaloni49.

47 Manifestazione per la libertà all'Università di Roma, in «La Punta», 23 febbraio 1944. 48 W.E. Crivellin (a cura di), Cattolici, Chiesa, Resistenza, cit., pp. 413-414. Scrive Enzo

Piscitelli che, in quel frangente, a Roma «la fiducia nell'avvenire era basata soprattutto sui giovani che, denutriti materialmente e spiritualmente, avevano bisogno di guida e consigli. Per questo ogni partito dedicava ad essi molta attenzione favorendo spesso la pubblicazione di fogli nei quali avendo di mira, come scopo essenziale, la lotta, si discutevano e agitavano con vivacità i loro particolari problemi. Si curò, in tal modo, la stampa di Giovani, del partito d'azione, di Rinascita giovanile, dei Gruppi della Democrazia del lavoro e, infine, de La Punta, giornale di battaglia della gioventù democratica cristiana fatto assai bene, di cui era animatore Giorgio Tupini, figlio di Umberto»; cfr. E. Piscitelli, Storia della Resistenza romana, Laterza, Roma-Bari 1965, p. 142.

49 G. Tupini, Due anni fa, in «La Punta», 11 febbraio 1946.

29

«La Punta» è dunque l'organo ufficiale di una nascente organizzazione

giovanile, e il nome, nell'idea dei redattori, si spiega con il fatto che, come

specificato nel primo numero

di ogni movimento i giovani debbano formare la pattuglia di punta,

l'avanguardia di tutte le ore. La Punta è il sigillo che consacra

definitivamente l'inserzione della gioventù italiana nel movimento

vivo delle nostre correnti politiche. La lacuna di ventun anni di

oscurantismo si va colmando e il nostro giornale, il primo organo

giovanile, ci sembra, pubblicato da un movimento antifascista, si

propone di chiarire quelle idee che fossero ancora confuse, di

additare la via ai disorientati o ai disillusi del regime totalitario, cui

avevano creduto, forse perché non avevano conosciuto la vita degli

uomini liberi50.

Il primo numero contiene un vibrante appello alla Resistenza per la

liberazione di Roma:

Giovani romani! Gli avvenimenti incalzano e l'ora del riscatto si

avvicina. Il tempo dell'oppressione e della dittatura sta per finire.

Con la liberazione di Roma l'Italia farà un passo decisivo verso la

sua ricostruzione in una stagione di libertà democratiche e di

giustizia. Tenete duro in queste ultime ore di resistenza, siate vicini

al popolo, sostenetelo in tutte le manifestazioni contro i tedeschi e

contro i fascisti: difendetelo! Lasciate ai tedeschi un brutto ricordo

dei romani: le loro depredazioni e razzie non devono rimanere

senza risposta! Appoggiate il Comitato di Liberazione Nazionale ed

eseguitene gli ordini. Preparatevi ad accogliere con dignità i soldati

della Nazioni Unite. Che tutti mostrino con la concordia e con la

50 Grint, Ai giovani, in «La Punta», 3 febbraio 1944.

30

disciplina di far parte di un popolo che sa vivere libero51.

Dalla lettura del giornale clandestino apprendiamo inoltre che, se l'anno

accademico all'Università di Roma dovrebbe aprirsi il 17 gennaio e segnare,

nell'intenzione ai nazifascisti, il ritorno alla normalità, in realtà la riapertura

dell'anno accademico serve invece per l'antifascismo organizzato come

occasione di mobilitazione dei giovani contro gli occupanti52.

I giovani democristiani, su iniziativa di Giorgio Tupini, diffondono

nell'Università un proprio volantino:

Memori delle gloriose tradizioni dei Goliardi d'Italia, sempre

all'avanguardia di ogni santa battaglia – dai combattenti di

Curtatone ai colleghi che hanno espiato nel carcere fascista la loro

passione di libertà e giustizia, e che hanno sacrificato la vita nella

difesa di Roma dai tedeschi – date prova della vostra fierezza.

All'inizio del nuovo anno accademico rinnovate l'impegno di

resistere sempre e con ogni mezzo agli oppressori. Non

dimenticate mai che essi sono i nemici della patria e della civiltà53.

È proprio nell'ambiente della redazione del giornale giovanile

clandestino che Tupini conosce altri redattori che, insieme a lui, andranno a far

parte della prima dirigenza nazionale dei gruppi giovanili: primo fra tutti, Giulio

Andreotti54.

«La Punta», in questi primi mesi di vita, non è certo risparmiata dagli

attacchi, dai sequestri e dalle violenze nazifasciste della Roma occupata. La

51 Per la liberazione di Roma, in «La Punta», 3 febbraio 1944.52 P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, vol.V, La Resistenza, Togliatti e il partito

nuovo, cit., p. 206.53 Voce universitaria. Nostri manifesti all'Università di Roma, in «La Punta», 3 febbraio

1944, citato in Ibidem.54 W.E. Crivellin (a cura di), Cattolici, Chiesa, Resistenza, cit., p. 415.

31

tipografia di via Germanico dove viene stampata è presa di mira più volte da

tedeschi e militi repubblichini; durante una di quelle “visite” Tupini stesso si

vede costretto a gettare in un forno i piombi della composizione, a nascondere

le bozze sotto i propri vestiti e correre, fra mille accorgimenti, a casa Spataro

per poterle mettere al sicuro55.

Nel secondo numero, datato 23 febbraio, viene ripetuto l'appello a

“svegliarsi” dopo vent'anni di torpore.

Nella lotta aspramente combattuta si decidono l'oggi e il domani.

Tutti devono parteciparvi, ma innanzi tutti noi, giovani, perché il

nostro avvenire sia come lo vogliamo: libero! È una lotta contro lo

straniero e contro l'italiano divenuto straniero in patria. Ma è anche

una lotta contro le superstiti abitudini di un costume fascista.

Dobbiamo svegliarci. Per ventidue anni abbiamo atteso inerti. […]

Dobbiamo rifarci una spina dorsale, una spina dritta e solida, non

usa dalla flessione ipocrita e cortigianesca ad abbassarsi alla

transazione e al compromesso. […] Dobbiamo far sì che finisca per

sempre l'era delle irrigimetazioni collettive, dei partiti unici, dei

semiddii, che hanno sempre ragione56.

Se andiamo a rileggere le lettere che De Gasperi scrive a Spataro dal

settembre 1943 al giugno 1944, nel periodo clandestino, durante i mesi

dell'occupazione nazista di Roma, si coglie un pressante e costante invito alla

moderazione e alla prudenza. De Gasperi invita il suo più stretto collaboratore a

non usare toni troppo decisi, che definisce di stampo «giacobino», a moderare il

linguaggio, ad evitare le scelte nette, le parole troppo audaci, i «manifesti

guerraioli», i progetti di riforma troppo avanzati, ammonendo non solo Spataro,

ma anche Scelba, Gronchi, Giordani, Tupini a non sbandierare le loro simpatie 55 G. Tupini, De Gasperi, una testimonianza, Il Mulino, Bologna 1990, p. 56. 56 Oggi!, in «La Punta», 23 febbraio 1944.

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repubblicane. De Gasperi voleva evitare che i giovani venissero suggestionati

dall'«integralismo verbale». Tale ragionamento vale anche per questi primi

numeri de «La Punta»: in una lettera datata 20 febbraio 1944, a cavallo fra il

primo e il secondo numero, De Gasperi scrive a Spataro infatti che prova «un

po' di esitazione per La Punta, non per chi la scrive, ma per il precedente.

Ricordati che Sturzo non volle mai né avanguardie né retro»57.

Il leader trentino non ha infatti tutti i torti preoccupandosi della linea

editoriale del giornale giovanile. È Tupini stesso a ricordare qualche

“dispiacere” procuratogli per alcuni pronunciamenti apertamente repubblicani

apparsi su «La Punta»: tramite il solito Spataro, uno sconsolato De Gasperi gli

prega di astenersi di entrare nella polemica, evitando così che il giornale

“guasti” la tattica fino a quel momento messa in campo58.

Nel numero del 23 febbraio 1944, infatti, si analizza, in modo

apertamente filo-repubblicano, il dilemma monarchia-repubblica che anima gli

animi giovanili:

Il problema istituzionale non si esaurisce nella formula monarchia o

repubblica: ma la soluzione della formula costituisce la premessa di

ogni altra riforma. […] Tutto […] si riduce al sapere, se esiste una

volontà popolare decisa al cambiamento. Se questa volontà esistesse;

se esistesse la certezza giuridica che la maggioranza del popolo vuole

l'abdicazione, la permanenza del sovrano alla suprema direzione dello

stato, sarebbe insostenibile […] Di fronte alla inderogabile incapacità

57 G. Fanello Marcucci, Alle origini della Democrazia cristiana 1929-1944. Dal carteggio Spataro-De Gasperi, Morcelliana, Brescia 1982, p. 256.

58 G. Tupini, De Gasperi, una testimonianza, cit., p. 56. A proposito di pronunciamenti apertamente filo-repubblicani, si legga un articolo apparso a ridosso del 25 aprile: per «i giovani rivoluzionari» dei gruppi giovanili, Democrazia cristiana non significa «partito esistente del capitalismo»; si chiede «aconfessionalità, presa di posizione contro la monarchia fascista»: «anche se una decisione in senso repubblicano possa far rifuggire dalle nostre file qualche timorato borghese, non dovremmo esitare»; L. Iraci, Finestra aperta. Decidersi, in «La Punta», 9 aprile 1945.

33

dimostrata dall'istituto monarchico a garantire le libertà costituzionali,

si osserva che non può imputarsi al re, l'operato dei governi: “il re

regna, ma non governa”. Se l'enunciato ha un senso, è solo questo: che

la monarchia, nell'ordinamento dello stato, conta soltanto per la sua

funzione decorativa e per l'incidenza della lista civile nel bilancio delle

spese. Se è così, qualcuno potrebbe replicare che la monarchia è un

lusso che un paese rovinato come il nostro non può pagarsi59.

Sempre nel numero del 23 febbraio, lo stesso Tupini commenterà, in

tono marcatamente filo-democratico i risultati del Congresso di Bari del 28-29

gennaio 1944, ovvero l'incontro dei Comitati di liberazione nazionali riunitisi

nel capoluogo pugliese. L'assise, a suo avviso, è deludente: nonostante

l'entusiasmo che certo si respirava, l'atmosfera si è rivelata

59 L'autore dell'articolo scrive inoltre che «Dal punto di vista teorico, il problema delle forme di governo, per noi, è nettamente risolto, e nel senso: che tutte le forme sono buone, purché corrispondano al loro fine che è il bene comune (Leone XIII, Au milieu, 1892). Giudice della corrispondenza, il popolo soggetto del bene comune. Nella concezione sociale cattolica, la monarchia ha un valore strumentale; se lo strumento non serve più, si cambia; diciamo di più: il popolo ha il diritto di cambiare la forma di governo anche se questa risponde al fine, e col solo proposito di sostituirne un'altra, ritenuta egualmente adatta a soddisfare le esigenze del bene comune. La monarchia si afferma, però, comunemente, rappresenta una garanzia di conservazione sociale, nel senso migliore della espressione: di difesa cioè degli istituti tradizionali: religione, famiglia, proprietà. Passi per la proprietà: in quanto al resto la tesi si basa su una visione “medievale” o astratta della monarchia»; cfr. Del dominio dei re, in «La Punta», 23 febbraio 1944. nello stesso numero, un altro articolo fornisce indicazioni sull'idea di Stato che i redattori de «La Punta» intendono portare avanti: «Vogliamo innanzitutto che sia riconosciuto come metodo più idoneo a regolare la convivenza civile il metodo della libertà. Vogliamo quindi l'avvento di una vera democrazia ove alla libertà si associ la giustizia e l'esercizio dei diritti non sia reso impossibile dalle diseguaglianze economiche. […] Il suffragio universale dovrà dar vita a una assemblea politica che decida dei più importanti problemi della vita nazionale, non escluse le dichiarazioni di guerra e le richieste di pace. […] È nel nostro programma anche la lotta all'accentramento amministrativo dello Stato. Non si vuole certo disintegrare lo Stato ma renderlo effettivamente quello che deve essere: non una soprastruttura della società cioè, ma la società organizzata»; cfr. Il nostro Stato, in «La Punta», 23 febbraio 1944. Sul tema del decentramento i redattori de «La Punta» torneranno anche il mese successivo, considerando il progetto della nascita dell'ente Regione proposto dalla Dc «certamente interessante, che noi speriamo sia più dettagliatamente formulato»; cfr. Il decentramento e le “autonomie”, in «La Punta», 29 marzo 1944.

34

troppo fumogena e troppo poco concreta nelle sue risoluzioni.

Avremmo voluto vedere uscire dal Congresso qualche idea nuova

circa l'indirizzo della democrazia di domani, che la vecchia

formula liberale, simboleggiata da Croce, non ci sembra capace di

realizzare. Più che una qualunque democrazia liberale vecchio

stile, senza costrutto organico e senza anima, responsabile

anch'essa dell'avvento del fascismo e della devastazione morale e

materiale da questo operata nel Paese, avremmo preferito sentir

proclamare e veder profilarsi l'idea di una democrazia nuova, di

una democrazia cioè che vorremmo chiamare libertaria, la quale

sola ha un senso e uno scopo, che è quello di restaurare una vera

libertà60.

Tupini coglie comunque l'occasione per per lanciare una stoccata a

socialisti, comunisti e azionisti, rei di aver voluto formare, all'interno del

Congresso, un movimento che mettesse immediatamente in stato d'accusa il re,

senza però consultare preventivamente gli italiani:

Vogliamo che sia il popolo ad esprimere il suo pensiero a riguardo

e non i partiti a farlo trovare davanti al fatto compiuto […] Noi

siamo contro ogni impostazione che viene dall'alto. Noi vogliamo

veramente il popolo padrone dei propri destini. Noi crediamo che

una democrazia, che sia veramente potere di popolo, debba essere

governata dal popolo a mezzo dei suoi rappresentanti liberamente

eletti e costituiti. Per noi bolscevismo e fascismo quasi si

equivalgono, tanto da poter definire il fascismo una specie di

bolscevismo di destra e il bolscevismo una specie di fascismo di

sinistra61.

60 Grint, Preludio a Bari, in «La Punta», 23 febbraio 1944. 61 Grint, Stile, in «La Punta», 29 marzo 1944.

35

Resta il fatto che, secondo Tupini, la monarchia è in completa antitesi

con ogni ideale democratico ed «è divenuta oggi il palladio della conservazione

sociale» nonché «una efficientissima ciambella di salvataggio di molte, di

troppe camicie nere»62.

In merito alla questione istituzionale, emersa come si è visto con forza

già nei numeri clandestini del giornale, la posizione di Andreotti apparirà assai

più sfumata, propendente per un prudente agnosticismo.

Vi è Repubblica e Repubblica, e la propaganda sovvertitrice di Conti e di

Pacciardi, le dottrine demagogiche di Pietro Nenni, quelle per noi prive

di anima del partito d'azione, sono tutt'altro che confortanti per

l'affermazione della idea repubblicana. Proprio perché non ignoriamo il

pericolo che la monarchia si trovi in condizioni tali da doversi schierare

accanto alle forze giustamente dichiarate reazionarie (dei militari vecchio

stile, degli agrari, delle grandi industrie, dell'alta burocrazia), non

pensiamo che le forze popolari che avvertano il pericolo che una

repubblica possa per loro essere una beffa, si debbano domandare se non

sia il caso di offrire a questa monarchia la possibilità di favorire una vera

politica democratica in Italia, abbandonando al loro destino le forze

62 Scrive Tupini: «La questione istituzionale è sempre all'ordine del giorno della pubblica discussione e vi rimarrà fino a che non passerà all'ordine del giorno della Costituente. La Direzione della Democrazia Cristiana non ha ancora detto la sua parola e sta ancora consultando il Partito. Noi intanto possiamo affermare che la gioventù democristiana è nella stragrande maggioranza per la repubblica, per il significato storico che tale posizione ha come espressione della volontà decisa di democrazia, perché proprio nella repubblica riconosce oggi una obiettiva e concreta garanzia di libertà, sociale oltre che politica, e perché ha superato da tempo tutte le argomentazioni monarchiche che si compendiano nella esaltazione della forza della tradizione. […] […] Una repubblica dunque: ma intendiamoci, Pietro Nenni, una repubblica democratica e non socialista, come «l'Avanti!» ha scritto, dando buon pretesto ai monarchici per tacciarlo di monopolista o peggio. […] La repubblica non dovrà essere il cavallo di Troia di nessun monopolio, ma tale da rappresentare l'espressione del minimo della volontà popolare, ispirata a metodi di libertà. Dovrà essere la casa per tutti. E perché tale sia, noi vogliamo partecipare a costruirla»; G. Tupini, Re o Presidente?, in «La Punta», 13 agosto 1944.

36

retrive ora nominate. Soltanto quando i fatti dimostrassero non più

realizzabile una tale ipotesi, dovrebbero queste forze popolari porsi al

centro di una iniziativa repubblicana da loro manovrata. L'iniziativa regia

del 25 luglio, all'infuori di qualsiasi sfruttamento propagandistico, ha un

valore che non si può non meditare63.

Pure le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana64, d'altronde,

vengono passate criticamente al vaglio dai giovani de «La Punta» già nei

numeri clandestini.

Noi chiediamo che il Partito formuli un suo programma, per quanto

possibile, preciso. Sino ad oggi sono state indicate solo delle linee

direttive, dei principi generali, delle «Idee ricostruttive». Su di esse

tutti, troppi sono d'accordo. E questo non ci soddisfa, ci dà

agitazione. Soltanto di fronte a una definizione chiara degli scopi

del Partito potrà aversi la definizione precisa dei suoi membri. Noi

amiamo le posizioni nette, noi vogliamo l'omogeneità nel Partito.

Sarà meglio essere di meno, ma persuasi assertori di una stessa

idea65.

Accanto alla mobilitazione giovanile, durante il periodo clandestino a

63 G. Andreotti, Linee di una politica popolare, in «La Punta», 12 febbraio 1945. Come ricorda lo stesso Tupini, infatti, «In merito a questa questione non ero dello stesso avviso del Delegato nazionale Giulio Andreotti secondo il quale il Movimento giovanile della Dc doveva restare agnostico in merito al problema istituzionale. Doveva cioè lasciare la libertà di votare secondo coscienza senza che il partito prendesse una posizione ufficiale. Io invece ero per un'esplicita dichiarazione in favore della Repubblica»; cfr. W.E. Crivellin (a cura di), Cattolici, Chiesa, Resistenza, cit., p. 415.

64 Pubblicato come opuscolo nel 1943, le Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana costituiscono una sorta di primo manifesto programmatico della Dc. Alla stesura del documento parteciparono Gronchi, Gonella, Bonomi, Campilli, Saraceno, Corsanego, Scelba, Spataro. Nonostante la conferma dell'esistenza di un lavoro di squadra, la mano di De Gasperi è evidente; cfr. G. Formigoni, Alcide De Gasperi 1943-1948. Il politico vincente alla guida della transizione, in A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, cit., pp. 22-23.

65 Noi e il Partito, in «La Punta», 29 marzo 1944.

37

Roma, quando ormai le truppe alleate stanno passando all'attacco ad Anzio, «La

Punta» dedica ampio spazio a un altro fenomeno controverso per il neonato

partito cattolico: la partecipazione femminile.

Le giovani Democratiche Cristiane, che profondamente sentono la

missione della donna illuminata dai principi del Vangelo, sono al

lavoro: nel silenzio della sera o in piccoli gruppi con fervore

cuciono e sferruzzano: dalle loro mani escono calze e maglioni,

sciarpe e bende, e il tutto viene inoltrato ai giovani che vegliano

lontano e nascosti; altrove le infermiere approntano i pacchi di

medicazione. Le donne sono al loro posto di battaglia e

combattono sul loro fronte con fermezza; la loro opera è profonda,

se pur meno appariscente e tutte sono sicure che con maggiore

coraggio gli uomini agiranno se confortati dalla serena assistenza

femminile66.

Dalla lettura de «La Punta» apprendiamo poi che è stato formato a

Roma un Comitato giovanile femminile cui spetta il compito

di accudire fra tante difficoltà alla vita domestica delle famiglie,

per sostenere con la parola e con l'azione lo spirito di resistenza e

la fede in un avvenire di libertà e di pace. Il Comitato raccomanda

come opera di alta solidarietà sociale l'assistenza agli sfollati e ai

sinistrati, attivamente compiuta in questi giorni dalle nostre

giovani e una più intensa propaganda del programma democratico-

cristiano adeguato alle diversità degli ambienti e dei ceti67.

Partecipazione giovanile, partecipazione femminile e, come, terzo

elemento, vita universitaria: questi i tre argomenti principali trattati da «La

66 Ragazze in linea, in «La Punta», 23 febbraio 1944.67 Un appello alla gioventù femminile, in «La Punta», 29 marzo 1944.

38

Punta» nel breve frangente della clandestinità. Oltre alla già citata segnalazione

della manifestazione del 28 gennaio, precisa è l'accusa nei confronti dei molti

professori collusi con il regime fascista.

A sentirli, i nostri «ordinari», dopo il 25 luglio 1943, tutti […]

erano stati sempre (s'intende intimamente!) antifascisti. […] Sono

pur sempre quegli stessi che presero lo scudetto per ottenere la

cattedra […] quelli che già – nella quasi totalità – giuraron fede al

fascismo monarchico; quelli che imbracciarono il moschetto, non

per difendere la Patria, ma per montare la guardia alla mostra della

rivoluzione fascista; quelli che ridussero le loro filosofie entro gli

schemi del politicantismo gentiliano o asservirono la scienza alla

bestialità razzistica […] Ma ora basta! Nell'Italia di domani essi

non risaliranno in cattedra. Né credano di essere insostituibili68!

1.3 La formalizzazione organizzativa

Un salto qualitativo nella partecipazione dei giovani all'azione partitica

avviene inevitabilmente dopo la liberazione di Roma del 4 giugno 1944. Tupini

stesso è testimone dell'entrata degli angloamericani in città e soprattutto delle

trattative tenutesi fra Alleati e Cln al Grand Hotel di Roma69. Nobili ricorda di

essere stato

68 Amleto in cattedra, in «La Punta», 29 marzo 1944. Si legga, su questo punto, anche un articolo del 4 settembre: «Il nostro idealismo ci ha fatto sembrare ancora più amara la delusione provata quando, rientrati dalle bande od usciti dai covi dove si lottava e non solo a chiacchiere, contro il tedesco, abbiamo rivolto lo sguardo a quegli uomini che dovrebbero addestrarci alla vita, illuminandoci sulla vera bellezza della libertà. In questo momento avremmo voluto vedere voi professori universitari, che impersonate la scienza e la cultura – unico grande patrimonio ancora rimastoci – levarvi serenamente al di sopra di ogni contesa, dando spettacolo di concorde fattiva coesione e non di cerimonie e di intrighi»; cfr. Bottega universitaria, in «La Punta», 4 settembre 1944.

69 G. Tupini, I democratico cristiani. Cronache di dieci anni, Garzanti, Milano 1954, p. 76.

39

incaricato il 4 giugno stesso dal CLN di occupare la sede della

Democrazia Cristiana, che era il palazzo di piazza del Gesù, dove

c'era la Federazione nazionale dei bananieri (una federazione che

era stata istituita durante il periodo fascista, perché dalla Somalia e

dall'Etiopia venivano le banane, quindi c'era una corporazione

molto importante). L'occupai con cinque partigiani, che erano

comandati da una persona che si chiamava Albertini. Aprimmo con

l'accetta il portone, insieme all'on. Umberto Tupini - il papa di

Giorgio Tupini - anche lui compagno di scuola dell'Apollinare.

Aspettai che arrivassero il presidente De Gasperi, l'avv. Scelba e

l'avv. Spataro. Occupammo il primo piano - che era il piano, direi,

di rappresentanza della Federazione - dove hanno la loro sede,

anche dopo la diaspora, i vecchi democristiani70.

Uno dei primi giornali apparsi per le vie della città pochi istanti dopo

l'entrata delle truppe alleate è proprio «La Punta», «con un titolo – ricorda

Tupini – che interpretava il sentimento di liberazione di una popolazione che

aveva vissuto nell'incubo: Al Sole!»71.

Della necessità sentita dalla dirigenza Dc di convogliare verso il partito

le masse giovanili, è sintomatico il rilievo dato da «Il Popolo», già all'indomani

della liberazione della capitale, all'affluenza crescente dei giovani nella

Democrazia cristiana.

Le sedi del nostro partito offrono lo spettacolo di una intensa e

rigogliosa attività. Le iscrizioni continuano in gran numero […]

Molti sono i giovani che stanno a testimoniare la fecondità della

tradizione sociale cristiana, passibile di aggiornamenti e progressi

70 http://archives.eui.eu/en/files/transcript/15888?d=inline (URL consultato il 16 maggio 2016).

71 G. Tupini, I democratico cristiani, cit., p. 76.

40

ma ricca di una perenne freschezza perché fondata su basi che non

possono crollare. Merita di essere particolarmente sottolineato

l'efficace contributo che i giovani democratici cristiani hanno dato,

con particolare abnegazione, all'infaticabile attività di questi giorni.

Il loro fattivo contributo è garanzia di promettente lavoro72.

Oltre al compiacimento per un attivismo che si sviluppa

spontaneamente, c'è nelle espressioni della leadership Dc del 25 giugno il

tentativo di stimolare questo entusiasmo nei confronti del partito, sia pure con

accento più cauto, allusivo delle ben precise difficoltà con l'ambiente cattolico.

Abbiamo già l'altra volta sottolineato l'affluenza dei giovani nel nostro

Partito. Si sa che la Dc, mentre ha, come e più degli altri movimenti

politici, delle preoccupazioni educative delle nuove generazioni, può

contare su tutto un lavoro formativo generale, compiuto da altre opere

da essa distinte, e verso le quali guarda con molta deferenza e fiducia.

Ci sono quindi – ed i giovani lo avvertono – punti di contatto ed

interferenze da chiarire., cosa che verrà quanto prima fatta, si è certi,

con termini di comune soddisfazione. Ai giovani la Dc presenta

l'invito a sentire la politica come una manifestazione seria ed

impegnativa, che richiede oltre all'entusiasmo di una adesione iniziale

tutto un lavoro personale di studio e di formazione senza cui l'azione

esterna non ha un contenuto stabile né un effettivo valore73.

Ora che la capitale e una larga fetta del centro-sud Italia è libera,

prioritaria diventa l'organizzazione e la stabilizzazione della nuova formazione

politica. La Dc, d'altronde, come evidenzia Mario Scelba intervenendo a un

congresso in Sicilia, vuole essere «il partito della giovinezza […] Quanto agli

anziani, è naturale un certo contrasto ma è necessaria la matura comprensione e 72 Affluenza dei giovani nella Democrazia Cristiana, in «Il Popolo», 5 giugno 1944.73 Democrazia cristiana. Giovani nella Dc, in «Il Popolo», 25 giugno 1944.

41

il rispetto […] attraverso i giovani, entusiasti e convinti, generosi e intelligenti,

noi conquisteremo anche gli anziani, vedremo i padri seguire i figli»74.

La necessità dell'inquadramento dei giovani diventa, secondo Andreotti,

unica garanzia per contribuire alla realizzazione di quella vocazione unitaria cui

i cattolici erano chiamati anche in politica. In una lettera inviata a Nobili

nell'ottobre del 1944 delinea quali sono le problematiche giovanili dell'ora

presente concentrandosi sull'annoso problema dell'autonomia dal partito:

C'è un ostacolo fondamentale al lavoro di tutti noi: la mancanza di

umiltà. Ci crediamo costantemente arrivati, in possesso di tutta la

verità, non abbisognevoli di guida e di consiglio, migliori degli altri;

un atteggiamento ipercritico ci fa porre dinnanzi ai compagni come

severi censori, mentre sentiamo pochissimo il valore e lo spirito della

disciplina di partito […] io non nego davvero che nel Partito vi sono

molte cose e diversi atteggiamenti che possono dispiacere, ma come

potremo migliorare il partito stesso se non con un lavoro intenso e

travolgente dall'interno? […] O si sente l'impegno politico che ci lega

al partito ed allora vi si deve corrispondere con entusiasmo o si ha

un'idea formale e non da giovani, del partito medesimo, ed allora si

deve riconoscere di essere su una strada non buona […] Noi non

abbiamo un'autonomia nel partito, quali giovani ma è proprio questa la

nostra forza. Se separati dagli altri, con tutte le autonomie possibili,

non potremmo compiere un lavoro politico proficuo75.

La posizione di Andreotti è probabilmente influenzata dalla vicenda

dell'autoscioglimento del Comitato giovanile romano, compiutosi durante la

riunione del 25 giugno76: un articolo de «Il Popolo» allude infatti al verificarsi

74 L'intervento di Scelba è citato in G. Staffa, Il Movimento Giovanile Democristiano (1943-1948), Quaderni FIAP, Roma 1976 , p. 292.

75 Ivi, pp. 292-293.76 Democrazia cristiana. Il movimento giovanile romano, in «Il Popolo», 27 giugno 1944.

42

di scontri interni sia per l'urgenza, sentita dai giovani, di un'autonomia

organizzativa, sia per il profilarsi di contrasti sull'orientamento generale del

partito. Si richiama infatti al buon senso contro «l'influenza che l'estremismo

esercita sui giovani […] i giovani – almeno molti di essi – sanno bene come in

politica quasi mai le posizioni estreme siano le migliori […] Il buon padre di

famiglia usa sorridere con tranquillità nel vedere i suoi figli entusiasti di

programmi estremi ripetendo sereno che con l'età gli angoli acuti torneranno

senza meno in retta posizione, in ogni settore della vita»77.

Nelle parole di Andreotti, in ogni caso, l'assenza di autonomia, tradotta

nella decisione di scartare l'ipotesi di un modello organizzativo di tipo

federativo, diventa la chiave di volta per un'azione che rifiutando gli eccessi di

giovanilismo, dia prova di fedeltà agli ideali e ai valori che ispirano l'operato del

partito cattolico, rispondendo alla diffidenza degli anziani attraverso una

collaborazione attiva nell'attuazione della strategia degasperiana di mediazione

di interessi contrastanti78.

La dirigenza, in ogni caso, appare decisamente orientata a razionalizzare

la partecipazione giovanile. Già la sera dell'8 giugno una prima riunione

ampliata nella sede del partito puntualizza quelli che saranno i principali

problemi che i Gruppi giovanili si troveranno ad affrontare: l'organizzazione dei

costituendi nuclei, il rapporto di questi con la Direzione e con gli organismi

ecclesiastici di formazione giovanile, le relazioni con i movimenti giovanili di

diversa colorazione politica. Con Spataro è presente anche Umberto Tupini;

quest'ultimo smorza i toni della discussione sottolineando come «molto spesso

si è parlato di un problema dei giovani. Tale problema non c'è, poiché ogni

giovane risolve da sé il problema della propria azione. Un tale problema di pone

77 Equilibrio politico, in «Il Popolo», 29 giugno 1944.78 Così V. Capperucci, I giovani della Democrazia cristiana da De Gasperi a Fanfani, in G.

Quagliariello (a cura di), La politica dei giovani in Italia (1945-1968), Luiss University Press, Roma 2005, p. 41.

43

solo in tempi di dittatura, quando non v'è libertà»79.

La fine del giugno 1944 è il frangente definitivo: un passo decisivo

nell'organizzazione della presenza politica dei giovani della Dc viene compiuto

infatti con la circolare approvata dalla Giunta esecutiva centrale al termine della

riunione del 29 giugno. Scrive infatti De Gasperi in una direttiva ai comitati

provinciali e alle sezioni di partito:

Il partito che guarda i giovani come i più ardenti e generosi assertori

del suo programma ed alla garanzia migliore del suo avvenire non può

disinteressarsi della loro formazione politica e deve favorire

opportunamente la loro attività. A questo scopo si invitano le sezioni

del partito a costituire nel loro seno, a richiesta di almeno 5 giovani

aderenti, gruppi giovanili di studio e di propaganda80.

Il giorno seguente la Direzione nazionale sancisce l'avvenuta

strutturazione81. Già il 1° luglio, a Roma, nella sottosezione «Centro», troviamo

la notizia della costituzione della prima Giunta esecutiva di un Gruppo

giovanile, così composta: Franco Nobili, capo sottosezione; Giancarlo Ferretti,

segreteria; Giancarlo Bonanni, organizzazione; Pietro Colaiacono, stampa e

propaganda; Giorgio Sacerdote, politica82.

La costituzione di tali «Gruppi giovanili di studio e propaganda» viene

agganciata all'unità minima del decentramento partitico, cioè la sezione

comunale, la quale partecipa alla direzione dei Gruppi attraverso la nomina di

un delegato sezionale per i problemi giovanili. L'organizzazione giovanile,

79 Convegno giovanile, in «Il Popolo», 9 giugno 1944.80 A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, Vol. III Tomo I, cit., p. 692. 81 «In un'ampia discussione si sono fissati […] i criteri direttivi circa l'organizzazione interna

del partito, le norme sul tesseramento, l'inquadramento dei giovani e delle donne»; ASILS, Fondo Democrazia cristiana, Direzione nazionale (d'ora in poi Dc, Dn), s.1, f.1, Verbale della riunione del 30 giugno 1944.

82 Adunanza di giovani, in «Il Popolo», 5 luglio 1944.

44

inoltre, segue puntualmente le tappe della ramificazione del partito dalla

periferia al centro: come le sezioni comunali fanno capo alle sezioni provinciali,

da cui le prime vengono coordinate, così il controllo dei delegati sezionali spetta

a un delegato provinciale, espresso dalla sezione provinciale. L'insieme dei

delegati provinciali trova infine il suo centro di riferimento nel delegato

nazionale che, nell'organizzazione della Dc, svolge le mansioni del suo ufficio a

livello di Direzione nazionale83.

Da ciò appare evidente la correlazione fra l'organizzazione partitica e

l'organizzazione giovanile, soprattutto in ordine ai criteri di fondo che

presiedono all'articolazione delle strutture. Come per il partito in generale, che

decentralizza l'iniziativa politica nello stesso momento in cui ne mantiene il

costante controllo, così anche per i Gruppi giovanili il principio è quello della

“articolazione della centralità”.

Con il rendere capillare la propria presenza nelle sezioni comunali e

nelle province, l'organizzazione dei Gruppi giovanili si ramifica:

“perifericizzandosi”, se così si può dire, essa viene a godere di un certo margine

di autonomia, e può costituire un migliore collettore del consenso giovanile

verso il partito. Peraltro il verticismo dell'organizzazione, l'inserimento del

delegato nazionale nella direzione politica, garantiscono l'ortodossia

dell'iniziativa giovanile e il controllo costante di questa da parte dell'apparato

centrale del partito: il consenso così ottenuto trova difficoltà a disperdersi.

Si tende a realizzare, quindi, un sistema di tipo misto in cui i Gruppi

giovanili, pur avendo una struttura intermedia e nazionale propria, si pongono

come parte integrale della complessiva formazione. Il collegamento tra giovani

83 Le direttive contenenti i criteri fondamentali per l'organizzazione e inviate ai comitati provinciali e alle sezioni di partito attengono ai seguenti punti: sede del partito, struttura delle sezioni (comunali, rionali, frazionali) e dei comitati provinciali, iscrizione dei soci, gruppi giovanili, stampa e propaganda, presenza negli enti locali e presso il movimento sindacale e cooperativo. Il testo integrale della Giunta esecutiva centrale si trova in Atti e documenti della Democrazia Cristiana. 1943-1959, Cinque Lune, Roma 1959, pp. 41-46.

45

e partito «avviene a livello di base con la partecipazione degli iscritti sia alle

attività del Movimento che del Partito, e a livello degli organi dirigenti» con

l'inclusione di diritto della dirigenza giovanile negli organi centrali e con la

ratifica delle elezioni dei delegati giovanili «da parte degli organi di partito

territorialmente competenti». Un sistema misto, dunque, che «assicura un

minimo di rappresentanza negli organismi dirigenti di Partito e di categorie di

iscritti che, per ovvie ragioni, sono di solito sotto-rappresentati e, al tempo

stesso assicura il controllo del Partito su questi sottogruppi»84.

Sulla base delle esaminate direttive del 29 giugno, la presenza giovanile

della Dc risulta confermata e meglio specificata in occasione del Congresso di

Napoli dell'Italia liberata del 29-31 luglio 1944. Durante i lavori viene

affrontato, tra gli altri, il problema dell'organizzazione dei Gruppi giovanili:

anzi, vengono enunciati in materia dei principi decisivi per le modalità di

inserimento dei giovani nella Dc. Vengono ribadite, infatti, in tale sede,

l'ammissibilità nel partito dei giovani diciottenni e l'indicazione contenuta nel

citato documento del 29 giugno sulla necessità di “formare gruppi di studio e

propaganda”.

Indicativo sul modo con cui se ne discusse è il commento di Andreotti

su «La Punta»: a Napoli vi furono

idee talora contrastanti, entusiasmi da mitigare, desideri esposti

non sempre con comprensibilità e chiarezza: quel che però conta è

che un problema dei giovani sia da noi avvertito, studiato, curato85.

In sede di dibattito, aperto da Scelba, relatore sul progetto di statuto, con

l'affermazione della doverosità di formare gruppi di studio e di propaganda per 84 G. Poggi (a cura di), L'organizzazione partitica del Pci e della Dc, Istituto Cattaneo – Il

Mulino, Bologna 1968, pp. 258-259.85 G. Andreotti, Tradizione ininterrotta. La partecipazione dei giovani al partito, in «La

Punta», 13 agosto 1944.

46

la formazione dei giovani, emersero due diverse impostazioni: la prima,

teorizzata da Ezio Vanoni, prevedeva «la costituzione di una Federazione

giovanile aderente ma non confusa con il partito86; la seconda, sostenuta da

Mario Cingolani, con l'appoggio di Scelba, tendeva a privilegiare una maggiore

limitazione dell'autonomia a vantaggio di una più marcata aderenza alle restanti

strutture partitiche87.

Vanoni precisò il suo punto di vista affermando che «i giovani temono

che entrando nel Partito siano posti in una condizione di minorità. La soluzione

della Federazione eliminerebbe questo stato; senza dire che essa verrebbe ad

aprirsi anche a giovani non aderenti al Partito»88. La concezione dello spazio e

del ruolo dei giovani indusse comunque il Congresso a privilegiare la proposta

di Scelba e Cingolani.

Poco importa, come hanno sottolineato efficacemente le analisi di De

Stefanis e Staffa, che ad un grado minore di autonomia corrispondesse nei fatti

un grado minore di ideologia e, dunque, una perdita di incisività e di efficacia

dell'azione giovanile. Quello che conta, di fronte alle sfide ricostruttive e

soprattutto all'esigenza di fronteggiare filtri extra partitici di formazione e di

selezione, è evitare di alimentare tendenze centrifughe in grado di minare

l'unità, creando fratture insanabili. I problemi dei giovani diventano così

86 C. Dané (a cura di), Dai Congressi DC dell'Italia liberata (1943-1944) alla prima Assise Nazionale (1946), Cinque Lune, Roma 1986, p. 87. In risposta alla proposta di Vanoni intervengono anche Stefano Riccio e Umberto di Simplicio: il primo «si dichiara contrario ai gruppi professionali in seno alle Sezioni e alla costituzione di una Federazione Giovanile»; il secondo «si dichiara contrario ad immettere nel Partito i giovani con posizione pari a quella degli anziani»; cfr. Ibidem. Stefano Reggio d'Aci «chiede che si prepari per i giovani un clima accogliente e cordiale»; Fiorentino Sullo «pur comprendendo l'esigenza organizzativa di un pre-partito di giovani, crede che questi debbano essere preparati a lavorare in comunione con gli anziani»; Emanuele Rivieccio «sostiene la proposta di Vanoni»; cfr. Ivi, p. 88.

87 «Si deve andare incontro ai giovani a cuore aperto. Ritiene che non occorra creare una Federazione Giovanile autonoma, sembrandogli efficace forma di organizzazione quella dei gruppi di studio e propaganda»; cfr. Ibidem.

88 Ibidem.

47

un'unica realtà con quella del partito, mentre le spinte riformistiche di cui essi

sono interpreti vengono assorbiti in una logica di stabilizzazione e

compromesso89.Quali sono dunque i compiti essenziali affidati ai Gruppi giovanili?

Essenzialmente quattro, come emerge dall'articolo 11 dello Statuto provvisorio

approvato a Napoli: lo studio e l'osservazione della vita politica nelle sue

molteplici manifestazioni, con particolare riferimento ai problemi locali; lo

studio e la «volgarizzazione» del programma della Democrazia cristiana; la

cooperazione allo sviluppo delle organizzazioni del partito; la promozione di

attività assistenziali, sportive e ricreative90.

I Gruppi giovanili nascono dunque come canali di reclutamento del

consenso e come strumenti di penetrazione ideologica, politica e culturale che si

snodano dal centro del partito verso la periferia e viceversa, mentre

l'inserimento del delegato nazionale nella direzione politica, formalizzato nella

riunione della segreteria nazionale del 19 agosto91, garantisce l'allineamento

dell'iniziativa giovanile ed il controllo costante di questa da parte del partito.

Il commento di Andreotti su «Il Popolo» del 2 agosto, a Congresso

appena concluso, è esemplificativo dei risultati raggiunti e della motivazione di

alcune decisioni.

Al Congresso di Napoli si è parlato molto dei giovani. Si può anzi

dire che […] quello dei giovani sia stato il problema dominante. Se

ne prende atto con tanto maggior compiacimento quanto più ferma

era stata la fiducia che la saldatura fra le diverse generazioni si

sarebbe realizzata nel nostro Partito con maggior facilità che negli

altri. […] La Democrazia cristiana ha, nell'organizzare

89 V. Capperucci, I giovani della Democrazia cristiana da De Gasperi a Fanfani, cit., p. 41.90 ADCPG, f. Deliberazioni (1944-1993), b.1, Circolare del 16 agosto 1944.91 Atti e documenti della Democrazia Cristiana, cit., p. 53.

48

l'inquadramento dei giovani, preoccupazioni specifiche che altri

non hanno. Essa deve (e può) tener conto dell'esistenza di una serie

piuttosto vasta di opere di formazione cristiana per i giovani, sia

nell'Azione Cattolica che altrove. Per questo si è voluto limitare la

funzione dei giovani nel partito a compiti di studio e propaganda

svolti entro Gruppi costituiti presso ciascuna sezione; questo non

toglie naturalmente che si renda necessaria una coordinazione di

questi Gruppi sul piano locale e su quello nazionale, al fine di

rendere omogeneo ed efficace l'operato92.

La strutturazione dei Gruppi giovanili vede nell'agosto un altro passo in

avanti. Oltre alla stabilizzazione, a partire dal 13, della pubblicazione de «La

Punta» come supplemento settimanale de «Il Popolo», con direttore confermato

Giorgio Tupini93, il 20 la Segreteria nomina i nuovi vertici dei movimenti

femminile e giovanile: nel caso che qui ci riguarda, il delegato nazionale dei

Gruppi giovanili diventa Giulio Andreotti94.

92 G. Andreotti, Posizione dei giovani, in «Il Popolo», 2 agosto 1944.93 Tupini ricoprirà questa carica fino al febbraio 1945; cfr. Lettera di Giorgio Tupini ad Alcide

De Gasperi, in «La Punta», 11 marzo 1945. Da quella data la direzione passerà ad Andreotti coadiuvato da Manlio di Celso, co-direttore, Mario Mariani, redattore-capo, Giorgio Sacerdote, redattore per gli Esteri, Francesco Casa, redattore letterario, Tullio Lollobrigida, redattore per la parte organizzativa del partito, Franco Evangelisti, redattore sportivo; cfr. Riunione della “Punta”, in «La Punta», 24 settembre 1945. Da segnalare l'impulso dato soprattutto da Evangelisti all'attenzione per le vicende sportive; si veda, ad esempio, il grande rilievo dato da «La Punta» alla lettera che De Gasperi invia alla «Gazzetta dello sport» nel novembre del 1945; I partiti politici e lo sport nel pensiero di Alcide de Gasperi, in «La Punta», 19 novembre 1945. Saranno comunque numerosi gli articoli a tema sportivo che appariranno sulle pagine del giornale giovanile: si leggano, ad esempio, Quattro parole con Gino Bartali, in «La Punta», 23 ottobre 1945; Ritorna Carnera!, in «La Punta», 12 novembre 1945; Divagazioni sul ciclismo, in «La Punta», 10 dicembre 1945; In margine al campionato, in «La Punta», 14 gennaio 1946; Come Primo Carnera conquistò il massimo titolo pugilistico mondiale, in «La Punta», 16 dicembre 1946.

94 «I delegati avranno i loro uffici presso la Direzione del Partito e opereranno in stretta collaborazione con la Segreteria secondo le sue direttive»; ASILS, Dc, Dn, s.1, f.1, Verbale della riunione del 20 agosto 1944. Per quanto riguarda il Movimento femminile, si vedano le considerazioni fatte da Ada Alessandrini nel 1946; a suo avviso tale movimento, nato come organo autonomo, era troppo legato al resto del partito. Le sue dirigenti locali

49

L'editoriale che il neo delegato nazionale scrive il giorno successivo alla

propria nomina sulle pagine de «La Punta» chiarifica quale sarà l'impostazione

della propria linea politica.

Si è parlato molto in questi giorni della nostra posizione di centro.

Naturalmente l'espressione non va intesa come adesione ad un

qualsiasi ordine costituito ma occorre ricordare da un lato che ogni

ordine oggi è allo stato di creazione e dall'altro che tutta la vita, e

quindi anche quella politica, è una sintesi risultante dalla

composizione di mille forze convergenti o divergenti, che

sussisteranno finché il mondo resterà sotto il retaggio del disordine

e della colpa morale. Posizione tale da permettere di salvaguardare

gli interessi di tutti, ed in primo luogo dei più umili in una visione

concreta e serena della situazione politica e sociale la quale male

tollera improvvisazioni e demagogie. […] Occorre abbandonare

l'idea che “centro” e gioventù siano dei termini del tutto

inconciliabili e che la gioventù sia – fisiologicamente – portata a

sinistra nel senso più stretto della parola95.

Come già accennato circa la questione istituzionale, appare rilevante

individuare una certa differenza d'impostazione fra Tupini e Andreotti. Il primo

appare più sensibile alle parole d'ordine progressiste del movimento:

dovevano essere scelte dalle assemblee sezionali maschili e femminili, e non solo da quelle femminili. Così come le dirigenti nazionali dovevano essere espressione delle varie correnti e non portare avanti solo una visione femminile, che rischiava di essere segregata e non considerata dal partito. In quest'ottica si doveva anche passare, da «una fittizia stampa femminile di interesse necessariamente ristretto e trascurabile», ad un impegno condiviso affinché i problemi della donna venissero trattati dalla stampa ufficiale del partito; per tutto questo cfr. E. Salvini, Ada e le altre. Donne cattoliche tra fascismo e democrazia, Franco Angeli, Milano 2013, p. 201.

95 G. Andreotti, Noi, in «La Punta», 21 agosto 1944. Poco più di un anno dopo, a guerra appena terminata confermerà che, a suo avviso, «L'Italia abbisogna di una forte politica di centro che sia accogliente di tutte le forze democratiche e che dia allo Stato il necessario prestigio senza compromettere le libertà dei cittadini»; G. Andreotti, Studi per la Costituente, in «La Punta», 24 settembre 1945.

50

l'antifascismo come elemento positivo di propulsione ricostruttiva, oltre che

fattore puramente negativo di lotta armata contro il nazifascismo, la necessità di

costruire nuovi assetti politico-sociali attraverso l'unità delle forze popolari, pur

comunque mantenendo alcune valutazioni integralistiche e altre polemiche nei

confronti delle sinistre:

L'antifascismo deve vivere: esso deve essere l'infossatore di un

vecchio costume e il creatore di uno nuovo. […] Se ieri l'Italia era

separata in due grandi categorie – fascisti e antifascisti – oggi non

deve essere separata in sei o magari più scompartimenti. Dobbiamo

comprendere il significato di collaborazione, diremo sportiva della

vita dei partiti. Essi non devono spingere il pesante e squassato

carro nazionale in sei o più direzioni diverse, ché allora andremo di

nuovo alla deriva96.

Resta in piedi dunque la sostanza di una impostazione rinnovatrice che

ruota intorno al concetto di “libertà”97: e l'aspirazione a una politica progressista

porta Tupini a polemizzare – pur larvamente – con una dirigenza di partito

96 G. Tupini, Antifascismo, in «La Punta», 13 agosto 1944. Si consideri, anche su questo punto, la diversa posizione di Andreotti. Essendo il nemico, il fascismo, ancora nemico comune, molta strada si deve ancora percorrere insieme ai comunisti ma c'è un limite ben preciso: «non accetteremo mai che questa lotta comune diventi strumento di odio e di ingiustificati interessi classisti. Né, d'altro canto, possiamo tollerare che chiamino democratici quanti per loro natura negano il metodo della libertà». I comunisti, con la loro pretesa di monopolizzare l'antifascismo, vengono additati di «intransigenza di nuovo conio» e la stragrande maggioranza del paese è contraria a qualsiasi forma di dittatura, sia pure quella del proletariato. E a chi sostiene che il comunismo di oggi ha forme assai diverse da quelle violente di inizio secolo, Andreotti nota come, mutando le condizioni generali, anche il comunismo cambia, mantenendosi però sempre ispirato «da quella violenza che è implicita nella sua dottrina»; cfr. G. Andreotti, Antifascismo, ma quale?, in «La Punta», 26 marzo 1945.

97 Si veda, ad esempio, ciò che Tupini scrive nel settembre 1944: «Non vorremmo che ci si limitasse a parlare di democrazia. Qualche esegeta ufficiale parlò anche di democrazia fascista. […] La libertà (di vivere, di pensare, di lavorare) non può stare senza la democrazia potrebbe stare senza la libertà»; cfr. G. Tupini, Libertà, in «La Punta», 4 settembre 1944.

51

tendente ad appiattire i connotati riformatori dell'attivismo dei suoi quadri, e a

rivendicare, anche formalmente, quella collocazione di sinistra moderata

mediante la quale i militanti cattolici possono collegarsi con i giovani delle altre

forze popolari.

Non mancano, d'altronde, sulle pagine de La «Punta» molti altri

interventi a carattere decisamente progressista, come gli articoli relativi al

problema del lavoro, da non ridursi «a semplice problema, potremmo dire, di

polizia, limitato entro l'ambito delle providenze intese ad evitare reazioni da

parte delle classi più facilmente soggette alla disoccupazione» ma da inserirsi in

un discorso più «rivoluzionario», ovvero la creazione di un nuovo sistema

economico nel quale nessuna forza produttiva resti senza adeguato impiego98.

Il fronte del lavoro è sufficientemente rappresentato anche nel

campo politico da quelle correnti che si sono assunte l'impegno di

firmare il patto di unità sindacale. Forze politiche che per il fatto di

essere nettamente distanziate sul piano ideologico offrono la

garanzia che le forze del lavoro non saranno facilmente trascinate

verso avventure economiche pericolose. Mentre le forze del

capitale non hanno una fisionomia politica definita, non dicono

chiaramente quel che pensano politicamente, non assumono delle

responsabilità collettive, non offrono garanzie chiare per il domani.

[…] Questa comprensione e questo alto civismo delle classi

lavoratrici chiedono doverosamente un riscontro nella classe

capitalistica99.

Anche in questi casi è Spataro a doversi occupare delle intransigenze

dei giovani, spesso intervenendo in modi che non lasciano adito a dubbi: seppur

convinto che i giovani devono essere «la pattuglia di punta del nostro

98 Diritto al lavoro, in «La Punta», 13 agosto 1944.99 L. Bellotti, Coscienza padronale e fronte del lavoro, in «La Punta», 4 settembre 1944.

52

movimento, l'avanguardia di tutte le ore», per «influire sui movimenti politici –

spiega – non si può rimanerne fuori ma entrarvi, per esercitare una propria

influenza: e per esercitare influenza in modo costruttivo la prima regola è

rispettare la disciplina»100. Lo stesso Andreotti è costretto più volte a intervenire

per smorzare i toni del conflitto intergenerazionale e riallineare «La Punta» alla

strategia del partito. Il 4 settembre scrive:

Cosa vogliamo noi giovani? Non è facile dirlo, e siamo più portati

a rilevare le inefficienze altrui che non ad agire noi con tenacia e

con fede […] anche se – in ipotesi – nessuno degli uomini di prima

fosse a noi gradito o ci sembrasse all'altezza, occorrerebbero altri

motivi per invitare ugualmente ad un lavoro intenso e (non

spaventi la parola) disciplinato nelle file dei partiti. […]

Sacrificando quindi eventuali diffidenze o prematuri e affrettati

giudizi, i giovani debbono oggi dare tutta la loro opera perché i

Partiti si affermino: non per un bene di parte, ma per l'Italia101.

Il primo appuntamento in cui poter tracciare un bilancio delle scelte

fatte e degli orientamenti da adottare per il futuro è la riunione del Consiglio

nazionale del 9-11 settembre 1944. Il vice segretario Scelba si sofferma sulla

situazione politica e organizzativa del partito, sottolineando l'urgenza di un

potenziamento periferico; allo stesso tempo richiama l'esigenza di conquistare

gli spiriti dei più giovani, mirando ad un maggiore affiatamento tra le vecchie e

le nuove energie confluite all'interno della Dc e auspicando una imminente

uscita da quella posizione difensiva assunta dal partito nel rapporto con le altre

forze politiche102. 100ASILS, Fondo Giuseppe Spataro (d'ora in poi CS), Discorsi, b.40, sc.163, Dattiloscritto per

un discorso ai giovani.101G. Andreotti, Il ruolo dei giovani, in «La Punta», 4 settembre 1944.102ASILS, Fondo Democrazia cristiana, Consiglio nazionale (d'ora in poi Dc, Cn), s.1, f.1-3,

Verbale della riunione del 9-11 settembre 1944.

53

Per Andreotti il problema maggiormente sentito dai giovani rimane

quello del programma: non è ancora chiaro, si tende e non farlo discutere e, più

in generale, la Dc pecca di un eccesso di «formalismo». Il delegato nazionale

sembra dare credito ai timori degasperiani: i giovani «risentono dello stato

d'animo lasciato dal fascismo e dalla guerra» e, pur avversando la dittatura e i

motivi del conflitto mondiale in cui si è imbarcata l'Italia, nutrono ansie di

rinnovamento che sembrano frustrate dai vecchi partiti. Ma ancora più di tutto

ciò, ancor più che la scarsa efficienza organizzativa – occorre innanzitutto

aumentare le pubblicazioni, nota Andreotti –, ancor più che l'influenza del

comunismo, ancor più che i problemi di natura strettamente sociale, il problema

maggiormente sentito dai giovani è quello dell'assetto istituzionale della nuova

Italia; Andreotti sottolinea però il fatto che «il Partito non ne deve essere

condizionato»103.

Nelle risposte fornite al delegato nazionale, tale questione non viene

però trattata. Scelba si limita a sostenere che «la presenza di uomini del passato

non significa soltanto mettere in secondo piano i valori nuovi»104; Attilio

Piccioni ritorna sulla questione dell'ipotesi di una Federazione giovanile dotata

di maggiore autonomia, sollevata ancora da Andreotti, rimarcando ancora una

volta la sua contrarietà: i giovani, «quando sono capaci possono aprirsi le strade

del nostro partito senza bisogno di concedere loro speciali privilegi […] Noi

tutti siamo stati giovani e siamo andati avanti per nostro merito per il nostro

lavoro senza essere favoriti da speciali condizioni statutarie»105.

Al termine della riunione del Consiglio nazionale viene redatto un

documento conclusivo intitolato Indirizzi e caratteri dell'organizzazione

giovanile:

103Ibidem.104Ibidem.105Ibidem.

54

Nelle sue riunioni del 9, 10 e 11 settembre 1944 il Consiglio

Nazionale del Partito RIVOLSE un pensiero di affettuosa

comprensione per tutta la gioventù italiana, tormentata, nella carne

e dello spirito, dalla guerra e dalle altre conseguenze della

disastrosa politica del ventennio fascista. AFFERMÓ la necessità

che i giovani – nei quali esprime la sua piena fiducia – conseguano

una seria formazione politica, in un fattivo contributo alla ripresa

civile della Nazione. RILEVÓ con soddisfazione – dai rapporti dei

consiglieri – che in molte province i giovani sono in pieno nella

vita del Partito, occupando anche posti di responsabilità, dopo aver

diretto magnifici nuclei nella lotta partigiana. RIBADÍ il

convincimento che una larga immissione di forze giovanili darà al

Partito, oltre alla feconda continuità nel tempo, anche un tono di

perfetta rispondenza a quelli che sono i bisogni dell'ora. PRESE

ATTO con compiacimento dell'avvenuta nomina, fatta dal

Segretario politico, di un delegato nazionale per i gruppi giovanili,

esprimendo la certezza che attraverso una stabile collaborazione

delle varie attività dei gruppi, l'opera loro corrisponderà in pieno

alle aspirazioni dei giovani e riuscirà veramente efficace per il

Partito106

Il commento di un lettore de «La Punta» a tale documento non è certo

dei più benevoli.

Noi non vogliamo sminuire ora l'importanza di questa

affermazione […] tutta questa importanza data ai giovani ha

piuttosto lo scopo, a parer nostro, di voler sminuire i loro ardenti

spiriti, la loro volontà irruente, anziché di valorizzare una forza

capace di imprimere al cammino della storia un passo più agile

106ASILS, Dc, Dn, s.1, f.1-3, Indirizzi e caratteri dell'organizzazione giovanile.

55

[…] ci riferiamo alla morsa d'acciaio che si cerca di stringere

intorno ai giovani con l'aria invece di volerli proteggere. Ognuno

sa quello che vale (o dovrebbe!). E nessuno più di noi è cosciente

dei propri limiti. Ed in virtù di questa coscienza che vogliamo

libertà nella nostra espressione […] Noi chiediamo che i più

maturi ci diano un apporto di preparazione e diamo loro in cambio

la nostra concezione avveniristica, cioè per dirla con termini più

attuali, rivoluzionaria e progressiva107.

Andreotti prospetta dunque come primaria l'esigenza – che è anche di

Tupini – che l'aggancio con gli strati giovanili risulti stabilizzato sulle parole

d'ordine della democrazia riformistica e dell'antifascismo. Al tempo stesso, il

delegato nazionale non intende rompere con la dirigenza moderata del partito:

ribadisce, sulle pagine de «La Punta», che il programma di lavoro riservato ai

giovani è «del tutto confacente alla mentalità e alle aspirazioni nostre» e che ora

«lo si segue e si ama»108; assicura dunque che le potenziali tendenze centrifughe

dei Gruppi giovanili verranno irretite in scelte di sostanziale moderazione e

compromesso. Rimane ferma, in ogni caso, l'istanza per il potenziamento

strutturale e propagandistico di un'organizzazione che cerca nel proprio

consolidamento la contropartita di quanto concede alla dirigenza in fatto di

autonomia politica.

Nei propri Appunti per un discorso ai giovani il delegato nazionale

svela in modo ancora più chiaro quali sono le principali questioni aperte.

Premettendo che una grande maggioranza dei giovani è ancora del tutto assente

dalla vita pubblica, nota come sia solo una minoranza a vedere nei partiti

politici la forma migliore di contributo alla nascita del paese. All'interno di

questa minoranza, inoltre, vi sono poi coloro i quali «bizantineggiano con 107Il significato della giovinezza, in «La Punta», 9 ottobre 1944.108G. Andreotti, Tradizione ininterrotta. La partecipazione dei giovani al Partito, in «La

Punta», 19 agosto 1944.

56

velleità di autonomie non solo organizzative – e già questo è un principio non

accettabile perché nuoce a quella unità che è la forza di una corrente politica»109.

Il desiderio di una Federazione giovanile autonoma è vivo solo nelle grandi

città: l'imperativo rimane «insistere molto sul fatto che il partito è unitario»110.

Ai giovani che obiettano la scarsa chiarezza e incisività del programma della Dc

si risponda che è la situazione stessa ad essere fluida e non definitiva: «fare

dichiarazioni definitive potrebbe agevolare il gioco di altre forze politiche e

d'altro canto, è illusorio credere che dicendo sì alla monarchia o alla repubblica

si risolva la tremenda condizione generale»111; a chi si lamenta per la scarsa

organizzazione si risponda che a ciò si rimedia lavorando e i giovani devono

essere i primi a dare il loro contributo; a chi nota la difficoltosa assonanza fra i

giovani e «quelli di prima», si risponda che tali divergenze possono essere

risolte nel concreto lavoro quotidiano112.

Nonostante tale lunga serie di problematiche e interrogativi ancora

senza risposta, la macchina organizzativa dei Gruppi giovanili si mette

timidamente in moto. Con una circolare, datata 15 settembre 1944 e inviata a

tutti i segretari comunali italiani, Andreotti, in grande sintesi e senza lasciare

spazio a dubbi o discussioni, detta la linea della struttura di ogni singolo Gruppo

giovanile. La premessa è chiara: la Dc a differenza di altri partiti, non ha

ritenuto necessario dare vita a un'autonoma organizzazione giovanile ma «non

per questo dimentica che i giovani hanno – per la preparazione e per l'azione

109ASILS, CS, Discorsi, b.40, f.163, sottof. 33, Manoscritto a firma Andreotti, Appunti per un discorso ai giovani.

110Ibidem.111Ibidem. Scriverà Andreotti su «La Punta» circa un anno dopo, a guerra terminata, che «Se

il partito non ha preso finora una posizione definitiva sul problema istituzionale, ciò è avvenuto perché esso intende rispettare nel modo più assoluto la libertà dei suoi membri e non chiede loro una decisione che non sia stata esaurientemente meditata e discussa»; cfr. G. Andreotti, Difendere la democrazia, in «La Punta», 1 ottobre 1945.

112ASILS, CS, Discorsi, b.40, f.163, sottof. 33, Manoscritto a firma Andreotti, Appunti per un discorso ai giovani.

57

politica – esigenze e funzioni particolari»113.

Va dunque chiarito che il partito è unitario e che i giovani, quando

hanno raggiunto i ventuno anni e quindi l'età minima per iscriversi alla Dc,

godono di tutti i diritti ed hanno tutti i doveri fissati per gli aderenti al partito

stesso: «l'appartenenza al gruppo giovanile – che non è un altro partito – deve

quindi riguardarsi oltreché volontaria e facoltativa, anche come sussidiaria

rispetto alla vita comune di partito»114.

Sarà possibile inoltre partecipare all'attività anche se non si ha raggiunto

la maggiore età: in questo caso, però, si è semplicemente “soci aggregati” e non

si possono assumere impegni politici né prendere parola durante le riunioni

della sezione. Le attività del Gruppo giovanile saranno: studio e formazione,

ovvero si dovranno promuovere corsi e convegni integrati da opportune

pubblicazioni per la formazione “politica” con riferimento a tutti gli ambienti e

le categorie. Particolare approfondimento dovrà essere dedicato al programma

del partito, inquadrandolo storicamente e comparando con quello degli altri

movimenti politici. In secondo luogo i Gruppi giovanili si dovranno occupare di

propaganda, funzione affidata prevalentemente ai giovani e da realizzare con

specializzazione ambientale per le varie categorie sociali. A breve – scrive

Andreotti – a Roma verrà organizzato un corso per propagandisti ed è in

preparazione un volume per la formazione alla propaganda. In terzo luogo ci si

occuperà di assistenza: opere di carità sociale, case delle studente, aiuti per la

ripresa del lavoro e per una elementare ricostruzione edilizia; ricreazione, intesa

non solo come organizzazione di spettacoli ma quale centro di studio per le arti,

la letteratura, il cinema, il teatro; sport, riconosciuto fondamentale mezzo di

“propaganda indiretta”, specie fra i ceti popolari.

113ASILS, Fondo Giulio Andreotti, (d'ora in poi CA), serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile. Circolare di Giulio Andreotti, 15 settembre 1944.

114Ibidem.

58

Massiccia dovrà essere la presenza dei giovani Dc fra operai e

contadini: a tali categorie dovranno essere riservati posti negli organismi

dirigenti sezionali; e massiccia dovrà essere anche la presenza e nelle scuole,

presenziando attivamente nelle associazioni studentesche.

Un capitolo importante è riservato alle “relazioni esterne” del Gruppo

giovanile: andrà evitata «qualsiasi manifestazione in contrasto con altre

organizzazioni giovanili istituite con finalità diverse, cioè extrapolitiche. Con i

giovani degli altri partiti si potrà avere, oltre ai rapporti di amicizia, anche

comunanza di qualche attività specifica (specie di studio, assistenziali, ecc.)

all'infuori però di una stabile organizzazione»115.

Rimane ancora aperta una sola questione: l'età massima per partecipare

al Gruppo giovanile, che per il momento è fissata a 26 anni ma tale limite non è

rigorosamente tassativo116.

L'ultimo passo, infine, dell'avvenuta strutturazione dei Gruppi giovanili

all'interno del partito avviene nel dicembre del 1944. La Segreteria politica

rafforza infatti gli organismi centrali con la costituzione di una Commissione

consultiva centrale giovanile con compiti, ausiliari a quelli del delegato

nazionale, di coordinamento e unificazione delle politiche adottate nelle diverse

realtà regionali. Ne entrano a far parte Ferdinando Antonietti, Manlio Baldi,

Franco Corsanego, Cesare Dall'Oglio, Romeo Corsanego, Cesare

dell'Ostermann, Pietro Marini Clarelli, Salvatore Matricardi, Tommaso Mauro,

Francesco Migliori, Franco Nobili, Giuseppe Palma, Mario Ricci. Nino Rizzo,

Giorgio Sacerdote, Giorgio Tupini, Mario Ungaro117.

115Ibidem.116Ibidem.117La Commissione Consultiva Centrale dei Gruppi Giovanili, in «Il Popolo», 27 dicembre

1944.

59

1.4 Le diverse realtà regionali

Una volta stabilizzata e strutturata, nel modo appena descritto, a livello

centrale l'organizzazione dei Gruppi giovanili, la dirigenza nazionale si trova a

dover fare i conti con una situazione italiana assai varia e frammentata. Se il sud

Italia da poco liberato vede un fiorire di iniziative politiche giovanili, nel nord

ancora occupato dalle truppe nazifasciste infuria la guerra di Liberazione: i

contatti sono discontinui, strettamente legati al maggiore o minore attivismo di

qualche singolo e senza quella stabilità che può derivare da una vera e propria

organizzazione politica di massa.

In una relazione esistente tra le carte Spataro vengono così descritti, per

la questione che qui ci riguarda, i rapporti con il nord Italia alla fine del 1943:

Pressione nazifascista aumenta, giovani o presentarsi alle armi o

alla macchia. Fra giorni partirà un giovane veneto [per quante

accurate indagini compiute non siamo riusciti a sapere chi fosse]

che resterà in Alta Italia per curare movimento giovanile nelle varie

regioni118.

In Alta Italia l'organizzazione giovanile aveva già iniziato a compiere i

primi passi. In Liguria, ad esempio, era attiva già fin dall'ottobre del 1943119. Per

quanto riguarda questa regione, si deve aggiungere che, in un primo momento,

Taviani si era mostrato contrario a costituire un movimento giovanile autonomo

in seno alla Dc, ritenendo che in un partito moderno dovessero vigere precise

norme che consentono ai giovani di poter giungere in largo numero alle cariche,

sia a livello locale e regionale che nazionale. Tuttavia, visto che i movimenti

118F. Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia Cristiana, vol. I, Le origini: la Dc dalla Resistenza alla Repubblica 1943-1948, Cinque Lune, Roma 1987, p. 51.

119Ivi, p. 69.

60

giovanili erano stati costituiti ormai in tutti gli altri partiti, anche Taviani si era

convinto a promuovere un analogo movimento democristiano, di cui fu a capo

Giampaolo Novara, coadiuvato da Enzo Martino, Gianni Baget Bozzo e Gianni

Dagnino. Nell'autunno del 1944 uscirà il giornale dei Gruppi giovanili, L'Età

nuova, diretto da Novara stesso, che, intanto aveva riorganizzato le Sap

«Patria», con il nome di battaglia Rissetto, prima di cedere il posto all'avv.

Borgna (Passalacqua), a cui succederanno Dino Gallo e Alberto Boyer120.

Negli appunti per la relazione politica che Spataro doveva svolgere

nella riunione del 5 aprile 1944 alla Commissione centrale, le notizie sul nord

Italia sono più dettagliate ma si segnala ancora, senza fornire ulteriori

indicazioni, che «nei prossimi giorni si recherà in Alta Italia per rimanervi un

giovane amico veneto il quale curerà il movimento giovanile»121.

Nella stessa relazione del 5 aprile, Spataro delinea la situazione della Dc

in Italia meridionale con un cenno alle attività dei giovani. Da essa emergono

alcuni dati: la scelta di Napoli quale recapito per il Sud, l'importanza data alla

stampa, i contatti stabiliti per lo più con i vecchi popolari, la ricerca del

consenso tra gli aderenti all'Azione cattolica, tra i giovani in modo speciale.

Nelle istruzioni mandate a Napoli e in altre città abbiamo sempre

raccomandato vivamente di curare l'adesione al Partito dei giovani:

e per questo a Napoli avevamo fatto il nome di Jervolino, non per

l'età di questi (50 anni) ma perché questi, per le cariche ricoperte

nella GC e nell'Azione cattolica napoletana, ha la possibilità di

convogliare verso la Dc la nuova generazione. Rimane

naturalmente da svolgere a Napoli, come in tutta l'Italia, l'opera di

120C. Brizzolari, La rinascita della Dc in Liguria, in F. Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia Cristiana, vol. II, De Gasperi e l'età del Centrismo (1948-1954), Cinque Lune, Roma 1988, pp. 401-404.

121F. Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia Cristiana, vol. I, Le origini: la Dc dalla Resistenza alla Repubblica 1943-1948, cit., p. 51

61

proselitismo anche tra quelli che, pur non provenendo dall'azione

cattolica, non si sono compromessi col fascismo e si orientano

verso il nostro movimento122.

Un caso assai precoce di strutturazione dei Gruppi giovanili è quello

sardo. Il 28 maggio 1944, a Oristano, si tiene il primo congresso regionale della

Dc regionale, convocato da Antonio Segni. Alla relazione Segni fa seguito

l'intervento sull'organizzazione del partito nell'isola del segretario provinciale

cagliaritano Amicarelli il quale, dopo aver ribadito il carattere aconfessionale

del partito e aver escluso la partecipazione attiva del clero, pone l'attenzione sul

ruolo e sul coinvolgimento dei giovani nella vita politica: per incoraggiarli a

una militanza partitica attiva, viene riconosciuta una loro rappresentanza nei

quadri, permessa la presenza di un loro designato nei comitati provinciali e

stabilite precise regole per le elezioni interne ai Gruppi giovanili123.

Nonostante queste decisioni, un anno dopo, il 29 e 30 settembre 1945, a

Sassari, durante i lavori del II Congresso regionale, il segretario regionale

Salvatore Mannironi, affrontando il tema del reclutamento e della formazione

dei giovani, sottolinea come molti siano «politicamente sfasati», perché

risentono ancora degli effetti dell'educazione fascista, che li ha resi «scettici o

ancora imbevuti di fascismo». La situazione giovanile non si presenta però

compromessa:

vi è tuttavia una massa su cui dobbiamo e possiamo contare: ed è la

massa che ci proviene dalle fila dell'Azione cattolica. Quei giovani

ci vengono in gran parte già formati: perciò il segreto sta nel

coltivarli e nell'impedire che vadano dispersi. Ricordiamoci che i

migliori quadri la Democrazia li ha tratti da quegli elementi che

122Ivi, p. 59.123L. Lecis, La Democrazia cristiana in Sardegna (1943-1949). Nascita di una classe

dirigente, Guerini e Associati, Milano 2012, p. 96.

62

provenivano dall'Azione cattolica. L'azione politica è tanto più

efficace e sicura quando è svolta in senso democratico cristiano da

elementi di sicura preparazione sociale e soprattutto di solida

formazione morale. Inquadrare i giovani è dunque estremamente

necessario; a costo di qualunque sacrificio per il partito. Le sezioni

giovanili devono avere la loro ragionevole e necessaria autonomia,

il segreto della rinascita sta tutto nel saper trovare l'elemento

dirigente che, con azione costante, si affianchi agli altri organismi

dirigenti del partito124.

È comunque nel maggio del 1944 che, a livello organizzativo, troviamo

la prima menzione di un movimento giovanile strutturato nel nord Italia: De

Gasperi scrive infatti a Spataro che la Dc nell'Alta Italia avrebbe dovuto

organizzarsi sulla base di una segreteria politica all'interno della quale Giuseppe

Criconia avrebbe rappresentato i diversi gruppi giovanili sorti nel territorio

ancora occupato125. Criconia, impiegato dell'Iri per interessamento di Pasquale

Saraceno, e dopo aver svolto la tesi di laurea con Ezio Vanoni, su richiesta di

Pietro Mentasti era entrato nella Resistenza proprio con il compito di assicurare

un collegamento fra giovani126.

Se Roma, come abbiamo visto, aveva rappresentato per ovvi motivi il

primo nucleo di organizzazione dei Gruppi, un ruolo altrettanto importante, in

particolare per le figure politiche destinate ad emergere lo ricoprirà l'Emilia

Romagna e, in particolare Bologna.

Al diciassettenne siciliano, ma trasferitosi nella città felsinea a seguito

del padre, Giovanni Galloni, alla fine del 1944 viene infatti ordinato di

124Ivi, p. 185. Il 22-23 dicembre 1945 a Oristano si terrà infine il I Convegno regionale dei Gruppi giovanili della Sardegna che vedrà la riconferma di Pietro Fedda nella carica di delegato regionale; cfr. Il I° Convegno regionale dei Gruppi Giovanili sardi, in «La Punta», 14 gennaio 1946.

125G. Tupini, I democratico cristiani, cit., p. 94. 126F. Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia Cristiana, vol. I, cit., p. 161.

63

abbandonare momentaneamente la formazione partigiana in cui è arruolato

sull'Appennino per trasferirsi in città e animare il giornale clandestino dei

giovani Dc, in fase di elaborazione, che verrà diretto da Achille Ardigò127.

A Bologna, come ricorda uno dei presenti, Franco Pecci, le prime

riunioni clandestine della Dc si erano svolte già durante il 1943 e al loro interno,

l'anno successivo, aveva iniziato a prendere vita un gruppetto di giovani

formato da Pecci stesso insieme a Galloni e a Giovanni Battista Cavallaro128.

127«Negli ultimi anni di vita del fascismo a Bologna, dove vivevo e studiavo, fra il 1944 e il 1945, si venne formando, nella Resistenza, un gruppo di giovani analogo a quello descritto da Chiarante a Bergamo. A Bologna, di questi giovani, il più autorevole era Achille Ardigò ma erano presenti anche il giornalista dell'Avvenire Giovanni Battista Cavallaro, il mio coetaneo Franco Pecci […] A livello regionale, già in periodo clandestino, avevamo collegamenti con formazioni nella collina di Modena […] oltre che con la provincia di Ravenna […] ma soprattutto con la zona di Reggio Emilia. […] La mia partecipazione alla Resistenza nelle formazioni di montagna fu sospesa, dopo poche settimane, alla fine del 1944 quando ricevetti l'ordine di trasferirmi in città come collaboratore del giornale clandestino “La Punta”, organo dei giovani Dc per l'Italia occupata. Il Direttore era Achille Ardigò. Si trattava tuttavia di un'attività non meno pericolosa»; cfr. G. Galloni, Postfazione. La Costituzione come base dell'alternativa, in G. Chiarante, Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie dagli anni Cinquanta, Carocci, Roma 2006, pp. 183-185. Si veda anche la breve testimonianza rilasciata da Galloni in V. Capperucci (a cura di), Testimoni della storia. Il centro-sinistra quarant'anni dopo, in «Ricerche di storia politica», a. 6, n. 3, ottobre 2003, pp. 410-411.

128Il gruppo bolognese: da Gronchi a Dossetti attraverso Lenin. Intervista a Franco Pecci, in «Cristiani a confronto», n.3 (36), maggio-giugno 1981, pp. 46-47. Cavallaro relazionerà poi, durante i lavori del I° Congresso della Dc bolognese nell'ottobre 1945, in qualità di delegato provinciale dei Gruppi giovanili, sull'attività dei giovani a Bologna: «Egli osserva innanzitutto come notevoli siano il numero e l'opera dei giovani nell'ambito del Partito, contrariamente ad ogni possibile previsione, secondo cui i giovani, cresciuti in clima fascista, non avrebbero dovuto sentire il problema politico. Si pone quindi ilo quesito se esista realmente un problema giovanile o se pure il fatto che tutti i Partiti oggi sono assillati dal medesimo problema non rappresenti che lo strascico di un atteggiamento del Fascismo, che avrebbe creato e alimentato un problema dei giovani inesistente, senza risolverlo. Secondo l'oratore il problema esiste, in quanto oggi abbiamo dei giovani senza giovinezza, stanchi, scettici, costretti a rinunciare ad ogni ideale di pace e di famiglia, perché continuamente incalzati da una penosa realtà politico-economica. […] la necessità della risoluzione investe direttamente l'interesse del Partito, poiché i giovani, con la freschezza dinamica della loro ingenuità, posseggono spesso quella limpida intuizione della realtà che può mancare oggi all'uomo più consumato nella politica. […] Proprio la formazione della personalità in senso democratico è il primo compito che si deve proporre chi diriga un movimento giovanile […] Necessarissimi poi, oltre quelli con le collaterali organizzazioni apolitiche, i contatti con i giovani degli altri Partiti: il problema giovanile, già sopra accennato, è il medesimo per tutti, di qualunque tendenza siano e i punti di avvicinamento e

64

Ricorda Ardigò:

Tra i fattori della faticata e non generalizzata trasformazione in

politica della resistenza morale, assistenziale, militare, dei cattolici

antifascisti, credo siano stati rilevanti i seguenti: a) la non

preparazione sul piano socio-politico e dottrinale ideologico dei

cattolici delle generazioni nate o educate sotto il fascismo […] b)

la totale separazione, nel periodo clandestino, tra ex aderenti al

partito popolare e giovani cattolici antifascisti. Si trattò di una

separazione non solo fisica, per assenza di contatti e di reciproca

conoscenza, ma anche, successivamente, culturale e psicologica

[…] c) una carenza di sistematici collegamenti politici con i gruppi

clandestini dell'Emilia nord e della Romagna, con i gruppi di E.

Gorrieri, di G. Dossetti e di B. Zaccagnini. È pur vero che nel

secondo semestre del 1944 il gruppo bolognese riuscì a stampare

«La Punta – organo del movimento giovanile della Democrazia

Cristiana» che veniva diffuso anche a Ferrara e credo nella

Romagna129.

Nel dicembre del 1944, infatti, viene diffuso il primo numero de «La

Punta. Organo della gioventù democratica cristiana. Edizione per l'Italia

occupata»: è questo il primo giornale cattolico antifascista che esce a Bologna

dopo la soppressione, nel 1926, de «La Sorgente»130.

Il giornale, stampato nella tipografia dei Frati di Santa Croce131, riflette

di convergenza sono infiniti. […] L'oratore termina chiedendo che venga preso seriamente in esame il problema giovanile, che si cerchi di comprendere i giovani anche nelle loro eccessive esuberanze e intemperanze, che soprattutto si eviti di frantumare in essi quell'ideale con cui tutti sono entrati nella vita politica»; cfr. Il movimento femminile e quello dei giovani, in «La Sorgente», 18 ottobre 1945.

129L. Bergonzini, La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti, vol. I, cit., p. 154.130Cfr. la testimonianza di Carlo Strazziari in ivi, pp. 383-384.131L. Bergonzini, L. Arbizzani, La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti, vol. II,

La stampa periodica clandestina, Istituto per la storia di Bologna, Bologna 1969, pp. 969-970. Ricorda infatti Angelo Salizzoni: «In mezzo a difficoltà enormi venne impostato il

65

ancora il clima di occupazione con il richiamo all'unità con le altre forze per la

liberazione della Patria, e ha funzioni ancora prettamente propagandistiche,

senza cenni all'organizzazione132.

Nel n.3, composto di due pagine e che si apre con un appello ai giovani

democristiani alla Resistenza e con una citazione di Giorgio La Pira133, sono

presenti tre articoli: Nuova democrazia, La giornata del partigiano e del

soldato e Semente eroica.

Nel primo di questi tre, in cui l'autore guarda con fiducia già al

dopoguerra, si scrive che

sulle rovine dell'Europa è per sorgere l'alba della nuova storia che

svincolerà i popoli dalle tutele oligarchiche per renderli alle loro

responsabilità più dirette, per dare ad ogni uomo la parte di lavoro

e di ricchezza, di libertà e di dovere sociale, che abbatta i corrosivi

antagonismi della lotta di classe e della guerra delle nazioni. […] I

giovani cristiani e tutti quelli che sentono immortale l'appello

evangelico del Cristo non possono acquietarsi nel tepore degli

egoismi rinserrati e dubitosi, vivere ai margini delle vie battute

dall'azione dov'è meno rischiosa ma ben triste ed inutile la vita.

[…] Giungono a questo proposito, illuminatrici e intensamente

nostro giornale clandestino, “La Punta”, opera quasi esclusiva del nostro Ardigò, e che riuscivamo a fare stampare nella tipografia dei Frati di Santa Croce. Fu questo un mezzo assai proficuo per fare arrivare la nostra voce e stringere le maglie di una certa organizzazione»; cfr. L. Bergonzini, La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti, vol. I, cit., pp. 55-56.

132 Allo stato attuale della ricerca solo due copie di questa edizione de «La Punta» bolognese sono reperibili: il n. 3 del febbraio 1945 e il n.4 del marzo 1945.

133«GIOVANI DELLA D.C.! Nell'imminenza delle ore risolutive le direttive per voi sono: Unità con le altre forze per la liberazione della Patria. Organizzazione all'interno. Propaganda e proselitismo all'esterno. Dedizione, entusiasmo, cosciente preparazione professionale e politica. Coraggio»; «Il desiderio di libertà è il più vitale fra i desideri dell'uomo. Più è violato, più rinvigorisce perché la libertà è una fortezza imprendibile nella quale saldamente si rinserra la personalità dell'uomo. Giorgio La Pira»; in «La Punta. Organo della gioventù democratica cristiana. Edizione per l'Italia occupata», a. II, n. 3, febbraio 1945.

66

ispirate le parole dell'allocuzione natalizia del Santo Padre; è il

sigillo della Storia e della Provvidenza che conchiude il ciclo

bimillenario dei governi minoritari i quali hanno perennemente

condotto alla guerra le masse loro soggette sotto i falsi miraggi

della prosperità, del prestigio della gloria gravida di sangue. […]

ed è forse necessario ricordare che un governo temperato, di forma

popolare, armonizzante con la dottrina cattolica del rispetto della

dignità e libertà umana rappresenta la miglior salvaguardia

dell'ordine interno e la miglior garanzia della prosperità dello

Stato? […] è l'avvento del “Regnum Dei”, che s'attua anche

attraverso le vie inevitabilmente difficili ma proficue della politica,

del Partito, della vita nazionale134.

Se in Semente eroica viene ricordata l'uccisione sull'Appennino

bolognese, da parte delle SS, di don Ubaldo Marchioni e dei suoi parrocchiani

nel settembre del 1944, quella che sarà definita poi la strage di Marzabotto, in

La giornata del partigiano e del soldato leggiamo un incitamento al coraggio

dei

cari amici delle Fiamme Verdi e a tutti quanti altri patrioti che

hanno dovuto sperimentare l'iniziale conflitto fra la salda

formazione religiosa e morale e gli obblighi,, gravi, ineluttabili,

della giusta lotta. Combattere senz'odio i nemici sleali e barbari,

soffrire perdonando ai banditi affamatori ed assassini d'Italia,

alternare la preghiera alla vegli, alle fatiche della marcia, ai

combattimenti è divenuto oggi il vostro ideale già provato e

sicuro135.

134Nuova democrazia, in «La Punta. Organo della gioventù democratica cristiana. Edizione per l'Italia occupata», a. II, n. 3, febbraio 1945.

135La giornata del partigiano e del soldato, in «La Punta. Organo della gioventù democratica cristiana. Edizione per l'Italia occupata», a. II, n. 3, febbraio 1945.

67

Il n.4 si apre con Ricostruzione!, in cui si lanciano proposte di pace per

l'Italia del dopo conflitto.

Vincere l'odio in noi, abbattere il senso aspro della vendetta, contro

i torturatori e i traditori d'Italia è il sublime comando della Civiltà

cristiana che non esclude la severa e la serena giustizia ma libera il

combattente dal contagio della violenza. Per ricostruire una buona

volta per sempre sulla via del progresso tecnico e spirituale, senza

nuovi pericoli di rovinose catastrofi, occorre infatti distruggere lo

spirito bestiale della guerra […] Non lotte di classe dunque, non

più sangue fraterno, ma eliminazione del colpevole industrialismo

fascista che ha voluto la guerra per vendere i suoi fucili e i suoi

cannoni, eliminazione dei ladri corrotti e corruttori, rieducazione

degli incapaci e lavoro sicuro per gli onesti con doveri e sacrifici

proporzionali e coscienti, con la partecipazione di ogni categoria

lavoratrice ai diritti ed ai frutti della ricostruzione avvenuta. […]

Nella ricostruzione, ancor più che nella lotta, il giovane

democratico cristiano dev'essere il migliore degli italiani136.

Parallelamente, anche a Modena, su impulso di Ermanno Gorrieri, già

all'inizio dell'aprile del 1944 era uscito il primo numero della pubblicazione del

Movimento giovanile democratico-cristiano, chiamato anch'esso «La Punta»137.

136Ricostruire!, in «La Punta. Organo della gioventù democratica cristiana. Edizione per l'Italia occupata», a. II, n. 4, marzo 1945. Gli altri articoli del numero sono La Democrazia Cristiana e il problema agrario, in cui si tenta una prima analisi della situazione dell'agricoltura nella pianura padana dopo i tremendi danni dell'autarchia mussoliniana e della guerra; Grazie, signor Farinacci!, in cui si risponde agli attacchi anticlericali del gerarca di Cremona; Da meditare, ovvero un invito ai giovani ad entrare nelle file della Resistenza.

137Per le vicende della versione modenese de «La Punta» si veda M. Carrattieri, M. Marchi, P. Trionfini, Ermanno Gorrieri (1920-2004). Un cattolico sociale nelle trasformazioni del Novecento, Il Mulino, Bologna 2009, pp. 156-158; M. Campana, La Punta, in «Rassegna annuale dell'Istituto storico della Resistenza modenese», n. 8, 1967, pp. 42-49; P. Albenghi, Le origini della Democrazia cristiana modenese 1943-1948, Istituto De Gasperi dell'Emilia Romagna, Bologna 1992, pp. 23-24.

68

Ricorda Gorrieri:

Noi abbiamo avuto qualche contatto con i giovani di Roma, che

erano Andreotti, Nobili e Tupini, prima che andassimo in

montagna, nei primi mesi del '44 – a febbraio o marzo, credo –

attraverso Tacoli: ci portò a casa un giornaletto che si chiamava

«La Punta»138.

Il gruppo modenese presenta la nuova pubblicazione come «l'organo

della gioventù democratico-cristiana studente e lavoratrice». La scelta del nome

è direttamente riconducibile al periodico giovanile romano della Dc. Pur non

mancando nella presentazione i richiami alla tradizione democratico-cristiana

(si parla di un allineamento «accanto al fratello più anziano “Il Popolo” per la

lotta comune»), il tratto principale riguarda la connotazione generazionale: è ai

giovani che si rivolge «La Punta» e il primo obiettivo è quello di sollecitare la

loro mobilitazione per riappropriarsi di quello spazio della politica che era stato

invaso dalle retoriche del regime fascista.

«La Punta» è uno dei fogli che consacra definitivamente

l'inserzione della gioventù italiana nel movimento vivo delle nostre

correnti politiche. La lacuna di ventun'anni di oscurantismo si va

colmando e il nostro foglio si propone di chiarire quelle idee che

fossero ancora confuse, di additare la via ai disillusi o ai

disorientati del regime totalitario139.

Dei giovani dev'essere curato l'aspetto dell'inserzione nello spazio

138P. Trionfini (a cura di), (Quasi) un'autobiografia. L'ultima intervista di Ermanno Gorrieri, I Quaderni del Ferrari, Modena 2007, p. 33.

139Ai Giovani, in «La Punta. Organo della gioventù democratico-cristiana studente e lavoratrice», 1° aprile 1944.

69

democratico, ma non si deve trascurare l'apporto concreto che essi possono

fornire alla rinascita del paese e alla sua ricostruzione.

Comunque, questa gioventù, che si è maturata attraverso un

processo di tempo e di eventi anormali, porta nella sua formazione

l'impronta di un travaglio che non può essere cancellato, pur

accettando come prezioso retaggio una gloriosa tradizione, sente di

possedere una visione dei problemi della vita odierna aderente alla

modernità dei tempi. A tutti i giovani, dunque, «La Punta» lancia il

suo appello. Quando la casa brucia non è lecito essere assenti.

Racchiudersi nella propria indifferenza vuol dire tagliarsi fuori

dalla vita, vuol dire dar prova di malaccorto egoismo perché la

storia cammina, perché la storia è fatta dagli uomini con l'aiuto di

Dio, perché se noi non partecipiamo a farla, la faranno gli altri

contro di noi140.

L'importanza dei giovani e quella di compenetrare le differenti

sensibilità nello sforzo resistenziale, per poi trovarsi preparati alla prova post-

bellica con un partito non attraversato da lacerazioni generazionali, è senza

dubbio un tema fatto proprio dal gruppo giovanile modenese leggendo i primi

scritti pubblicati da De Gasperi sull'edizione clandestina de «Il Popolo» che su

questo punto si soffermano in maniera particolare.

L'articolo successivo è una vera e propria Presentazione del Movimento

giovanile democratico-cristiano che non si discosta molto, nei toni e nei

contenuti, dalla presentazione iniziale del foglio, se non per un richiamo diretto

sempre ai giovani e alla «responsabilità dell'avvenire della Patria»141.

È il terzo e conclusivo testo del primo numero che conferma quanto la

140Ibidem.141Presentazione del Movimento giovanile democratico-cristiano, in «La Punta. Organo della

gioventù democratico-cristiana studente e lavoratrice», n. 1, 1° aprile 1944.

70

componente giovanile modenese raccolta intorno a Gorrieri abbia ormai fatto

proprie le parole d'ordine dei testi fondativi della Democrazia cristiana che De

Gasperi sta faticosamente cercando di organizzare. In realtà La Democrazia

cristiana come l'intendiamo noi giovani ripropone la centralità del pensiero di

Giuseppe Toniolo e la sua definizione di Democrazia cristiana come un

«ordinamento civile nel quale tutte le forze sociali, giuridiche ed economiche

nella pienezza del loro sviluppo gerarchico cooperano proporzionalmente al

bene comune e all'ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi

inferiori»142.

I giovani de «La Punta» si presentano dunque con un agile, ma

comunque ben definito, bagaglio ideologico di riferimento, si soffermano sui

concetti di ordine naturale e di speculare attenzione alla giustizia sociale, e

ancora una volta concludono facendo proprio il carattere aperto e permeabile

della Dc, così come presentato da De Gasperi nel novembre 1943.

noi, e ciò sia ben chiaro, vogliamo essere aperti a tutte le

esperienze, a tutte le innovazioni, anche le più ardite e da

qualunque parte ci vengano, unici limiti i principi ideologici

fondamentali della Democrazia cristiana perché crediamo che quel

che costituisce l'essenza di un modello sociale e lo differenzi dagli

altri sia appunto il substrato ideologico143.

L'articolo si chiude con una critica di principio sia al liberalismo sia al

socialismo, osservando che per il liberalismo «imperava la libertà-anarchia a

scapito della giustizia» e per il socialismo «la giustizia-livellamento sociale a

scapito della libertà», mentre «la D.C. Propugnando i principi di libertà e

142La Democrazia cristiana come la intendiamo noi giovani, in «La Punta. Organo della gioventù democratico-cristiana studente e lavoratrice», n. 1, 1° aprile 1944.

143Ibidem.

71

giustizia tende a creare i presupposti indispensabili per un sano equilibrio

sociale in cui la personalità umana si sviluppi non a danno degli altri ma in

armonia col bene della collettività»144. E propone una definizione della Dc

«come un movimento tendente a instaurare un ordinamento democratico della

società ispirato ai principi del Cristianesimo, nella libertà e nella giustizia

attraverso la rieducazione delle coscienze in unità di sforzi»145.

Degli altri due numeri dell'edizione modenese de «La Punta» che

possediamo, il numero IV uscì nel febbraio del 1945 si presenta ora come foglio

anche delle Squadre d'Azione “Italia”, oltre che del movimento giovanile Dc.

Nell'articolo di fondo, intitolato Dieci mesi, si fa riferimento ai fogli

ciclostilati usciti nella primavera del 1944 di cui abbiamo presentato il primo

numero e si spiega il lungo silenzio di dieci mesi.

I primi numeri di questo foglietto uscirono a ciclostile, per

iniziativa di alcuni giovani, nella primavera del 1944, dieci mesi or

sono. […] Non è stata mancanza di fede, né di coraggio e

nemmeno di mezzi, quella che ci ha impedito di scrivere in questo

periodo: se abbiamo lasciato la penna, è solo perché abbiamo preso

in mano il fucile e siamo andati in montagna. Chi subito, chi dopo

un po' di meditazione in galera, quasi tutti quelli di allora ci

accorgemmo che più che le parole, per scuotere l'inerzia della

gioventù modenese, sarebbe valsa l'azione; e chi non venne su,

rimase in pianura per aiutarci da giù. Nacque così, da quel gruppo

di giovani, la formazione Democratica Cristiana, che divenne ben

presto battaglione, e poi la brigata “Antonio Ferrari”, ed ora il

nuovo Comando della Divisione Modena146.

144Ibidem.145Ibidem.146Dieci mesi, in «La Punta. Foglio del Movimento giovanile democratico cristiano e delle

Squadre d'azione “Italia”», n.4, febbraio 1945.

72

Il punto centrale dell'articolo è il richiamo ai giovani all'azione e alla

Resistenza.

Non è senza significato che un unico foglio sia l'organo della

sezione giovanile del Movimento democratico cristiano e delle

Squadre d'Azione “Italia”. Coerentemente alle idee che in aprile ci

spinsero a passare dallo scrivere all'agire, oggi noi pensiamo che

non possono esistere giovani aderenti al nostro Movimento che si

accontentino di un'adesione platonica, senza da questa passare

all'azione e alla lotta. Troppo facile è affermare di essere della

nostra idea, adattandosi poi a tutti i compromessi e chiudendosi nel

guscio egoistico della propria incolumità personale. Troppo facile

sarà fare i Democratici Cristiani domani, a liberazione avvenuta, e

oggi starsene tranquilli per salvarsi la pelle: lasciamo che questo lo

facciano le persone anziane, ma non noi giovani: almeno loro

hanno la scusa della famiglia! Troppo facile (e questo lo diciamo

per certi giovani cattolici) è seguire col cuore coloro che

combattono e pregare per loro nel segreto della propria cameretta.

Non lamento, ma azione è il precetto dell'ora147!

Segue nel numero IV un articolo dedicato alla puntualizzazione

ideologica.

Non è vero che la Democrazia Cristiana sia “il partito dei ricchi”,

cioè il partito conservatore e capitalista che si contrappone al

comunismo, quel che ci divide dalla dottrina comunista sono le sue

idee materialistiche, totalitarie, contro la democrazia e la religione,

oltre ai suoi metodi rivoluzionari di lotta, non il programma di

rinnovamento sociale ed economico in favore delle classi

lavoratrici. Nessuno perciò si illuda di potersi appoggiare a noi

147Ibidem.

73

come un tempo al fascismo, per salvare i suoi privilegi. [non è

vero] che la Democrazia Cristiana sia il “partito dei preti”: non si

richiede a nessuno di entrarvi, né la fede di battesimo né tanto

meno il santino della Comunione pasquale: quel che si richiede è

soltanto che siano condivise le nostre idee politiche e sociali e la

sincera intenzione di realizzarle al di sopra degli interessi personali

e di classe148.

Il numero V de «La Punta» ha la stessa intestazione della precedente

entiene in apertura una Dichiarazione programmatica di De Gasperi149, due

articoli interni intitolati Chi sono e cosa dicono i partigiani della Brigata Italia

e 18 marzo, e un articolo di chiusura intitolato Mentalità democratica.

L'articolo Chi sono e cosa dicono i partigiani della Brigata Italia è una

presentazione dei partigiani in cui è dato cogliere alcuni temi del pensiero dei

giovani Dc.

Siamo di tutte le condizioni sociali, in prevalenza operai e

contadini: la classe dirigente colta italiana ha mancato ancora una

volta, purtroppo, alla sua missione, abbandonando a se stessa la

massa che chiedeva solo una guida sapiente e sicura. […] Siamo

dei “fuori legge” che tutti possono accoppare e gettare in fondo a

un fosso come si fa di una bestia: la legge infatti, quale è quella

che governa la società che ci ha sconfessati, non è fatta per noi,

148Non è vero, in «La Punta. Foglio del Movimento giovanile democratico cristiano e delle Squadre d'azione “Italia”», n. 4, febbraio 1945. Gli altri articoli del numero 4 sono: I migliori, che ricorda gli impiccati di S. Giacomo Roncole di Mirandola; Le brigate e le S. d'A. “Italia”, Disertori, alcune note cospirative scritte in codice e le indicazioni per ascoltare le trasmissioni di Radio Emilia, operante in quel periodo nel libero territorio della Repubblica di Montefiorino e messa in opera dalle formazioni partigiane della Dc.

149La Dichiarazione programmatica è riportata dalla stampa nazionale democristiana, che usciva a Roma ormai liberata, di cui qualche cosa raggiunse il territorio libero di Montefiorino in quei primi mesi del 1945 ad opera del Comandante Irmo Messori che attraversò le linee nemiche, si spinse a Roma e prese contatti con alcuni esponenti della Dc e ritornò riportando stampe e opuscoli. Cfr. M. Campana, La Punta, cit., p. 48.

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perché non è frutto della libertà […] “Ribelli” è ancora il nome che

più ci piace, “ribelli per amore” come dice la nostra preghiera:

amore del nostro paese, della giustizia, della libertà150.

Sempre nel periodo della clandestinità usciranno anche a Firenze due

numeri de «La Punta», il n.4 del giugno 1944 e il n.5 datato 8 luglio 1944,

redatti da Vittore Branca, Odoardo Strigelli e Gian Carlo Zoli, figlio di Adone.

«La Punta» qui si presentava come l'espressione di un gruppi di giovani toscani

in parte aderenti alla Democrazia cristiana e in parte non ancora esplicitamente

impegnati in alcun partito151; «La Punta» a Firenze riportava che

si è costituito il 30 giugno anche a Firenze il Comitato regionale

del Fronte della gioventù, dal quale è stata in questi giorni chiesta

e ottenuta l'adesione e la collaborazione dei giovani della

Democrazia cristiana. La Punta prende da ciò occasione per

porgere al Fronte e al suo organo La giovane Italia un vibrante

fraterno saluto. Sorto durante i 45 giorni del governo Badoglio e

consolidatosi dopo l'armistizio, il Fronte si trovava dinanzi una

gioventù incretinita lentamente per lunghi anni, come il motto

150Chi sono e cosa dicono i partigiani della Brigata Italia, in «La Punta. Foglio del Movimento giovanile democratico cristiano e delle Squadre d'azione “Italia”», n.5, marzo 1945. In 18 marzo si prende ispirazione dalla morte del Direttore didattico di Montefiorino Francesco Cocchi, il maggior responsabile dell'eccidio di Monchio, Costrignano e Susano; in Mentalità democratica si fa una disamina su cosa sia il metodo democratico, come esso sia fondato sulla pluralità dei partiti, come il voto sia fondamentale. Cfr. M. Campana, La Punta, cit., p. 48.

151P.L. Ballini, La Democrazia cristiana, in E. Rotelli (a cura di), La ricostruzione in Toscana dal Cln ai partiti, Il Mulino, Bologna 1981, vol.II, p.101. L'autore riporta anche uno stralcio di un articolo apparso su tale edizione fiorentina: «Accanto alla proclamazione del diritto al lavoro si è venuta a porre così quella del diritto all'istruzione […] Anzi la Democrazia Cristiana […] ha propugnato e propugna la necessità di istituire uno stipendio scolastico: cioè una retribuzione mensile da corrispondere a tutti gli studenti che ne abbiano bisogno, in modo che le famiglie non solo non debbano essere esenti da spese, ma non debbano rinunciare neppure a quell'apporto finanziario che i figli lavorando potrebbero dare»; cfr. Per la scuola del popolo, in «La Punta», 15 giugno 1944. Allo stato attuale delle fonti non è possibile stabilire a quale delle due edizioni clandestine si faccia riferimento.

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della GIL lasciava supporre, e avvilita ed umiliata attraverso i GUF

in uno dei suoi patrimoni più preziosi, la Cultura. L'iniziativa del

Fronte partì dall'Italia settentrionale. Gli aderenti si proposero di

svolgere un'azione comune di preparazione dei giovani ai problemi

della vita a cominciare dai più immediati: e tra i più immediati

dalla riconquista della Indipendenza e della Libertà. I giovani dei

vari partiti politici rinunciano in tal modo a svolgere nel Fronte

un'attività che possa offendere i principi di uno qualsiasi dei partiti

antifascisti, e per compensano potenziano nel coordinamento degli

sforzi la loro azione per ciò che da tutti è riconosciuto come il bene

comune. Dal febbraio scorso il Fronte attraverso comitati locali

costituiti nei principali centri funziona in pieno nell'Italia

settentrionale fino a Bologna e, come dicevamo, si è esteso

recentemente alla Toscana. Al suo attivo esso vanta già importanti

successi. A Milano lo sciopero generale è stato organizzato anche

dal Fronte; a Torino oltre un terzo delle formazioni partigiane

operanti viene alimentato dal Fronte; a Bologna gli aderenti al

Fronte stanno disarmando i fascisti. Ma oltre a questa lotta a fondo

contro gli oppressori nazifascisti ancora più preziosa si rivelerà in

avvenire l'azione del Fronte152.

Nell'Italia occupata dunque l'organizzazione giovanile della Dc è

presente, seppur con notevoli differenze regionali, fin dalla fine del 1943. A

Venezia, ad esempio, i Gruppi giovanili

si organizzarono fin dal novembre 1943. […] Ben presto i gruppi

si moltiplicarono e nell'aprile del 1944 vennero coordinati tra di

loro da un Comitato esecutivo giovanile provinciale […] I giovani

della DC svolsero un'attività intensa e continua che si può così

ripartire: attività militare, servizio informazioni militari e politiche,

152L'articolo del n.5 de «La Punta» è citato in P. De Lazzari, Storia del Fronte della Gioventù, cit., pp. 59-60.

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aiuto ai prigionieri alleati, propaganda e stampa. […] molti dei

nostri furono inquadrati nei GAP […] Com'è naturale alcuni dei

nostri come il Giordani, Sergio Lionello e Francesco Santini

finirono nelle galere fasciste mentre altri andarono ad ingrossare le

fila delle formazioni partigiane. Alcuni di essi raggiunsero gradi

importanti come Michele Bellavitis, comandante di battaglione e

poi commissario di Brigata; Favretti Sergio, commissario di

Brigata; Guido Bellemo, commissario di Battaglione. Al momento

dell'insurrezione i nostri giovani al comando di Umberto Villani e

Ruggero Micali non hanno esitato a fare la loro parte e a farla

bene. […] La stampa clandestina della DC a Venezia cominciò ad

essere diffusa nel marzo 1944, ad opera dei giovani che in questo

settore si divisero il compito con la Sezione Femminile. Qualche

giovane collaborò anche all'opera di redazione e scrisse sulla

«Libertà» e «Fratelli d'Italia», stampati a Padova e sulla

«Barricata», tirata in ciclostile a Venezia153.

La fine della guerra vede ovviamente l'immediata stabilizzazione dei

Gruppi giovanili all'interno del partito. I democristiani piacentini, ad esempio,

già con il primo numero del loro settimanale «Idea democratica» del 1

settembre 1945, si interessano di scuola e di giovani. Analizzando in particolare

il rapporto tra il partito e le nuove leve, si sottolinea come questi ultimi siano

disorientati e politicamente impreparati per il clima in cui sono vissuti fino ad

allora. Viene, però, riconosciuta importante per la democrazia la loro

presenza154. Il 24 settembre 1945, inoltre, durante i lavori del I Congresso

provinciale della Dc piacentina, vi sarà poi ampio spazio per i giovani: ne parla

Picci Malchiodi, delegato dei Gruppi giovanili, facendo esplicito riferimento a

153Il contributo dei giovani demo-cristiani nella lotta di Liberazione a Venezia, in «La Punta», 8 ottobre 1945.

154E.F. Fiorentini, La Democrazia cristiana a Piacenza. Appunti per una storia, Editrice Berti, Piacenza 2004, p. 82.

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coloro che nei ranghi delle forze partigiane hanno sacrificato la loro vita155.

Se nell'ottobre del 1944 Andreotti e Cesare Dall'Oglio si erano dovuti

fermare in Umbria, senza poter procedere verso nord, e limitarsi a incontrare i

Gruppi giovanili di Perugia e Orvieto, tenendo poi un discorso ai giovani riuniti

ad Assisi156, un anno dopo, nell'ottobre del 1945, Dall'Oglio, incaricato da

Andreotti all'organizzazione nazionale, potrà compiere un viaggio in Alta Italia,

per allacciare rapporti e pianificare l'organizzazione territoriale; presiederà

infatti un convegno giovanile a Bergamo e uno a Milano e visiterà i gruppi

giovanili di Bologna, Modena e Reggio Emilia157. Nel dicembre del 1945,

infine, a Roma viene riunita, alla presenza del vice segretario Dossetti, una

Commissione nazionale giovanile per impostare il lavoro per il dopoguerra:

presenti i delegati regionali dei Gruppi giovanili di Sardegna, Sicilia, Calabria,

Campania, Puglia, Lazio, Umbria, Marche, Toscana, Emilia Romagna, Liguria,

Piemonte, Lombardia e Venezie158.

1.5 I rapporti con il Fronte della gioventù

Un'innovazione importante era intanto sta introdotta da Andreotti e

Dall'Oglio all'interno dell'organizzazione giovanile. La circolare inviata a tutte

le sezioni il 22 marzo 1945, infatti, modificava le procedure di nomina delle

cariche. Si stabiliva che i giovani stessi avrebbero eletto in prima persona il

delegato delle sezioni comunali, e che i delegati sezionali avrebbero eletto il

delegato provinciale. Si attuava così un'inversione dei meccanismi approntati

nella strutturazione dell'estate 1944: non saranno più le sezioni a stabilire quale

155Ivi, p. 91.156Gioventù nostra, in «La Punta», 9 ottobre 1944.157Gioventù nostra, in «La Punta», 8 ottobre 1945.158Gioventù nostra, in «La Punta», 17 dicembre 1945.

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incaricato debba occuparsi dei problemi giovanili, in modo da mettere a capo

del Gruppo una persona designata dagli “anziani”, ma è il Gruppo che,

scegliendosi il proprio delegato, attraverso questo parteciperà alle decisioni

della sezione comunale, e al tempo stesso collaborerà alla elezione del delegato

giovanile provinciale159.

Il 27 marzo, con un'altra circolare a firma Andreotti-Dall'Oglio,

verranno poi chiariti i criteri con cui verrà strutturata la segreteria del delegato

nazionale – con la creazione di un Esecutivo e di una Commissione consultiva

centrale –, quelli di formazione e di gestione del Gruppo giovanile a livello

sezionale e provinciale, ed infine le linee di azione del delegato provinciale160. 159ADCRE, f.D2, b. “Movimento giovanile D.C.”, Circolare di Giulio Andreotti e Cesare

Dall'Oglio, 22 marzo 1945. Alcune notazioni tecniche. Dell'elezione del delegato giovanile è incaricata l'Assemblea del Gruppo giovanile di sezione, sotto la presidenza del delegato provinciale o di un rappresentante appositamente nominato. Per la validità della seduta dell'Assemblea è necessaria la presenza di almeno dieci iscritti, la metà più uno dei soci: l'elezione avviene a scrutinio segreto e a maggioranza semplice, e la ratifica spetta al Centro provinciale del movimento giovanile. L'Assemblea, oltre alla funzione elettiva, ha l'incarico di stabilire attraverso la discussione le direttive di lavoro del Gruppo, e a ciò essa è convocata obbligatoriamente ogni due mesi e, in procedura straordinaria, ogni volta che lo richiedano con motivazione scritta un terzo dei soci. Il delegato giovanile rappresenta il Gruppo, promuovendone l'attività e coordinandone i rapporti intra e extra partitici: in questo senso, egli partecipa con voto deliberativo alla riunioni della direzione della sezione. Nei Gruppi con più di trenta iscritti inoltre è prevista la presenza di un Esecutivo nominato dal delegato e ratificato dall'Assemblea. I membri dell'Esecutivo svolgono funzioni specifiche (preparazione sociale, studenti, lavoratoti, ecc.) e vanno ascoltati da parte del delegato almeno una volta al mese; cfr. G. Poggi, L'Organizzazione partitica, cit. pp. 259-260.

160«A seguito delle decisioni adottate in seno al Consiglio Nazionale del Partito circa la riorganizzazione dei Gruppi Giovanili, questi vengono costituiti sulla base seguente; CENTRO: Delegato nazionale. - Comitato Esecutivo a) Incaricato Organizzazione e Propaganda; b) Incaricato Rapporti con altre Organizzazioni; c) Incaricato Operai-Contadini e problemi del Lavoro; d) Incaricato per le Università. Commissione Consultiva Centrale: Studi politico-sociali; organizzazione studenti universitari; organizzazione studenti medi; collegamento sindacali; collegamento ACLI; collegamento organizzazioni cattoliche; rapporti con altri partiti; giornali e servizio stampa; sport; attività artistiche; nucleo propagandisti; una rappresentante della Gioventù femminile di Dc. PERIFERIA: SEZIONE: il Gruppo Giovanile è presieduto da un Delegato di Sezione, nominato dal Segretario Politico su designazione dei giovani riuniti in assemblea. PROVINCIA: i Gruppi Giovanili della Provincia sono presieduti da un Delegato provinciale, nominato dal Segretario del Comitato Provinciale, su designazione dei Delegati dei Gruppi Giovanili Sezionali, riuniti in assemblea. Egli è membro di diritto del Comitato Provinciale.

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Un'altra decisione carica di conseguenze era quella emersa circa un

anno prima dalla riunione del Consiglio nazionale della Dc del 28 febbraio – 3

marzo 1944 in cui venivano dichiarate «inammissibili e incompatibili l'adesione

e l'appartenenza degli iscritti alla Democrazia Cristiana a gruppi politici estranei

all'organizzazione del Partito»161.

Con tale affermazione il Consiglio nazionale formalizza l'indipendenza

politica del partito. Ciò da un lato testimonia un processo di autonomizzazione

nei confronti degli organismi cattolici extra partitici, dall'altro costituisce una

delle prime, espresse attestazioni di scissione di responsabilità nei confronti

degli altri partiti italiani; la collaborazione all'interno del Cln comincia a

vacillare e si intravede già quello scontro con le forze della sinistra, che solo un

modificarsi della situazione internazionale permetterà di perfezionare162. È una

Ovviamente, dove l'organizzazione si trova agli inizi, i Segretari Politici ed i Segretari dei Comitati Provinciali conferiranno d'autorità l'incarico di Delegato Provinciale a giovani ben preparati e d'iniziativa, i quali daranno tutta la loro opera perché nel più breve tempo possibile un minimo di quadri possa permettere di procedere alla designazione di cui s'è fatto sopra parola. NORME PER IL DELEGATO PROVINCIALE. - Il Delegato provinciale dovrà: a) Circondarsi di un Comitato Esecutivo e di una Commissione Consultiva sulla base di quanto costituito per il Centro Nazionale. b) Dividere la Provincia in Zone, imperniando ciascuna sulla Sezione più importante e dalla quale si possa più facilmente accedere alle altre dipendenti. Porrà a capo di ogni Zona un Delegato Gruppi Giovanili di Zona. c) Curare, con la collaborazione dei Delegati di Zona, dei Membri dell'Esecutivo e della Commissione Consultiva, che in ogni Sezione sia costituito e viva il Gruppo Giovanile, con tutte le sue attività, promuovendo dei convegni di Zona e poi dei Convegni Provinciali. d) Dare la massima importanza allo studio delle questioni del lavoro e all'attiva partecipazione dei giovani alla vita sindacale, alle commissioni interne, delle Camere del Lavoro e delle ACLI. e) Promuovere un corso di lezioni politico-sociali, specie per i propagandisti. f) Formare salde squadre sportive. Cfr. ASILS, CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile. Circolare di Giulio Andreotti e Cesare Dall'Oglio, 27 marzo 1945. Nel luglio del 1945 all'interno di ogni Sezione giovanile provinciale andrà poi creata – secondo le indicazioni fornite da Andreotti – un Incaricato per lo sport, «Questa nuova figura dell'Esecutivo è molto importante, stanti le particolari funzioni che noi abbiamo assegnato all'organizzazione sportiva»; cfr. ASILS, CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile. Circolare di Giulio Andreotti, 13 luglio 1945.

161Atti e documenti della Democrazia cristiana, cit. p. 117.162Nel giugno del 1945 «La Punta» scrive infatti che «i partiti di estrema portano nella vita

della Nazione solo squilibrio […] I CLN vanno sostituiti al più presto dai normali organismi politici e amministrativi democraticamente ricostituiti»; Il problema del Fronte Unico Giovanile. Una dichiarazione dei gruppi Giovanili della Democrazia Cristiana, in

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decisione, per ciò che qui ci riguarda, che va a modificare gli equilibri

all'interno del Fronte della gioventù.

Le relazioni fra i movimenti giovanili dei vari partiti sono strettamente

legate ai rapporti interpartitici e al grado di coesività che le forze politiche

riescono a mantenere man mano che si passa dalla iniziativa antifascista alla

proposizione di idee ricostruttive per il Paese. In questo senso, allo scollamento

dell'unità delle forze democratiche – che comincia ad attuarsi già dalla fine del

1944 – corrisponde il disintegrarsi dell'organizzazione giovanile unitaria, il

Fronte della gioventù163.

«La Punta», 4 giugno 1945. si legga comunque anche ciò che scrive Manlio Di Celso il 15 ottobre 1945: «Il luogo comune di tutti i reazionari, che cioè il governo del C.L.N. è un fascismo a sei, non regge alla critica. Non vi è alcuna analogia tra una costellazione politica che vai dai liberali ai comunisti, dai monarchici ai repubblicani, dai cattolici agli atei e il partito unico, in cui tutti agivano, parlavano, pensavano, vestivano e talvolta camminavano allo stesso modo. […] Fino a che non vi saranno le elezioni, l'unica alternativa al regime dei sei partiti è una dittatura regia, che il paese in grandissima parte respinge. Il problema non è dunque di condannare in linea di principio il governo del C.L.N., unico possibile se si vuole esser fedeli alla democrazia, ma di cercar di migliorarne il funzionamento»; M. Di Celso, Il governo dei C.L.N., in «La Punta», 15 ottobre 1945.

163Si legga, per quanto riguarda l'attività nel Fdg, la testimonianza del reggiano Ermes Grappi: «Che cosa facevamo noi del Fronte della Gioventù? Beh, si potrebbero dire tante cose. Almeno voglio ricordare un'iniziativa che ebbe grande successo e che suscitò clamore. In occasione della manifestazione che fecero le donne il 13 aprile 1945, la “giornata insurrezionale”, andammo in tutte le scuole, in tutte le aule, utilizzando l'altoparlante di cui quasi tutte disponevano, incitando gli studenti ad uscire e ad unirsi alle donne. In una scuola che non disponeva di altoparlante, corremmo per i corridoi ed aprimmo tutte le porte delle aule rivolgendo l'invito a gran voce. La grande maggioranza degli studenti uscì, una parte anche solo per marinare la scuola, ma una parte, la più numerosa, si unì alle donne che dilagavano nelle strade cittadine. In quella vicenda noi perdemmo un bravissimo compagno di 19 anni, Marcello Bigliardi, portato alla caserma Muti, seviziato e ucciso nella giornata stessa. […] Il Fronte della Gioventù, come già detto, doveva essere aperto a rapporti provenienti da varie parti, ma noi, che lo avevamo fondato, ne eravamo anche gelosi e restii a dare troppo spazio a chi intendeva entrare e insediarsi in posti di comando quando l'organizzazione si era già consolidata. Noi eravamo in quel periodo in contatto con Giuseppe Dossetti, che era a Cavriago. I democristiani, quando videro che il Fronte della Gioventù aveva una sua organizzazione, le cui iniziative venivano propagandate in manifesti, che riusciva persino a pubblicare un giornalino, “Riscossa giovanile”, che il PCI, attraverso il Fronte della Gioventù, si metteva in collegamento con i giovani, chiesero di entrarvi. Gli facemmo questo discorso però: “Ah no, è comoda, dovete partire dalla gavetta, non potete avere diritto di rappresentanza negli organismi, sia pure clandestini, di direzione del movimento, perché voi, eh!, siete arrivati ultimi”. Ma i

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Nel maggio del 1944, ad esempio, il giornale del Fronte della gioventù

del Piemonte, Noi giovani, aveva concesso largo spazio all'adesione dei giovani

cattolici:

è di questi giorni l'adesione della Democrazia cristiana al FdG.

L'accordo è stato concluso su base nazionale tra i rappresentanti

del Fronte e i rappresentanti del movimento giovanile della

Democrazia cristiana. La notizia verrà pubblicata sul prossimo

numero di Democrazia cristiana e sul Bollettino del Fronte della

gioventù. I giovani del Fronte danno il loro cordiale benvenuto ai

giovani demo-cristiani, dei quali hanno già avuto la possibilità di

apprezzare la serietà e lo spirito combattivo, grazie a

collaborazioni locali avvenute ancor prima dell'adesione

ufficiale164.

Ma man mano dunque che l'unità antifascista si incrina, la dirigenza

della Dc e dei Gruppi giovanili modifica il proprio atteggiamento. E se è ancora

giustificata, nel luglio '44, l'adesione all'appello unitario «al governo nazionale

ed alle autorità alleate di partecipare in schiere compatte accanto agli eserciti

delle Nazioni Unite, alla guerra per la liberazione della patria e di tutti i popoli

oppressi»165, appare altrettanto conseguente con l'evoluzione dei rapporti

democristiani non accettarono. […] l'entrata di giovani democristiani nel Fronte della Gioventù andò avanti per un po' di tempo, ma non si risolse senza traumi. Non è che abbiamo avuto un segno tangibile del loro impegno, ma il loro ingresso segnò la legittimazione, diciamo così, di un'altra forza politica. Infatti la loro presenza ebbe effetti molto positivi per il movimento clandestino perché determinò il riconoscimento, alla fine di ottobre del 1944, del Fronte della Gioventù da parte del CLNP (Comitato di liberazione nazionale provinciale)»; E. Grappi, La mia vita nel Novecento, a cura di G. Bertani, Corsiero editore, Reggio Emilia 2016, pp. 36-39.

164Noi giovani, 15 maggio 1944, citato in P. De Lazzari, Storia del Fronte della Gioventù, cit., p. 60.

165Firmatari i Gruppi giovanili DC, La Federazione giovanile comunista e quella socialista, il Movimento giovanile del Partito democratico del lavoro e quello dei Cattolici comunisti, l'Unione goliardica per la libertà, la Federazione giovanile del Partito d'azione; cfr. G. Staffa, Il Movimento Giovanile Democristiano (1943-1948), cit., p. 41.

82

interpartitici, l'aggiustamento di tiro che si sostanzia nelle affermazioni di

Andreotti su «Il Popolo» del 25 novembre 1944. Rispondendo a Mauro

Scoccimarro che, in un discorso ai giovani comunisti, prospettava l'esigenza di

costituire una grande organizzazione di massa giovanile, Andreotti si chiede

Quali fini avrebbe tale associazione? Quello di far valere i diritti

della gioventù, risponde l'oratore e polemizza con noi perché ci

siamo opposti ad uno stabile Fronte con tutti gli altri giovani dei

Partiti. Ma non pensa che proprio perché vogliamo l'unione dei

giovani noi la cerchiamo su un terreno meno effimero e più lontano

da ogni sospetto di voler creare un nuovo partito – quello dei

giovani – i cui scopi sarebbero o inutili o tendenziosi166?

Durante la riunione del Cln della Liguria del 14 aprile 1944 Taviani

precisava che il proprio partito

è disposto ad accettare che il Comitato di coordinamento

femminile assuma il nome di Gruppi di difesa della donna, ma in

nessun modo, per quanto riguarda le donne e soprattutto i giovani,

è disposto ad accettare l'organizzazione unica, sia pure nel solo

campo politico, in quanto il problema femminile e giovanile

importa una particolare delicatezza per quanto riguarda

l'educazione, argomento in cui, non soltanto la Dc, ma i cattolici in

genere, non possono non avere una vivissima sensibilità167.

Benigno Zaccagnini ricorda come, nel settembre '44, la volontà del Pci

era quella di inserire, in seno al Cln ravennate,

166G. Andreotti, Uno stato di giovani, in «Il Popolo», 25 novembre 1944.167C. Brizzolari, La rinascita della Dc in Liguria, cit., p. 402.

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le cosiddette organizzazioni di massa (Gruppi di difesa della

donna, Fronte della Gioventù, Fronte della cultura), ma ciò portava

inevitabilmente allo snaturamento della composizione partitica del

comitato e dei rapporti di forza esistenti. Vi furono vari incontri in

cui sostenni che non vi era da parte nostra nessuna obiezione ad un

inserimento di una rappresentante femminile […] mentre

configuravamo gli altri due organismi come espressione

fiancheggiatrice del partito comunista […] D'altronde, né il Fronte

della Gioventù, né quello della cultura ci sembrava possedessero

caratteristiche proprie ma germinavano nell'alveo politico già

esistente e dalle forze partigiane che si riconoscevano nell'attività

del C.L.N.; per questi motivi noi cattolici non eravamo d'accordo

di concedere ad essi un voto deliberativo in seno al comitato,

mentre ritenevamo opportuno o inserire un rappresentante

giovanile e del mondo culturale per ogni espressione partitica o

evitare la loro istituzionalizzazione riconoscendo loro un ruolo

organizzativo e consultivo con l'intesa che sarebbero stati

consultati per i problemi a loro competenti168.

La decisione del Consiglio nazionale viene infatti ratificata il 18

dicembre 1944, sulla scia della posizione di Andreotti appena citata: viene

riaffermata «la impossibilità per i giovani democratici cristiani di aderire ad una

stabile organizzazione con altre forze o movimenti, data la posizione dei Gruppi

Giovanili in seno al Partito del quale sono parte integrante ed inscindibile ed al

quale d'altro canto – in una fattiva e democratica cooperazione interna – hanno

il modo di dare il massimo contributo di opere e di pensiero»169.

Come si diceva, il Pci poteva contare sulla esperienza di una

organizzazione giovanile che nel corso del ventennio aveva continuato ad

168B. Zaccagnini, La partecipazione dei cattolici al C.L.N., in AA.VV., Cattolici nella Resistenza ravennate, Edizioni del Centro studi «Giuseppe Donati», Ravenna 1975, p. 45.

169Un o.d.g. sul Fronte della Gioventù, 18 dicembre 1944, in «La Punta», 1 gennaio 1945.

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operare nella clandestinità, mantenendo una propria struttura, per quanto

effimera, dei propri organi di stampa, dei contatti internazionali. Alla luce di

questa premessa, potrà a prima vista apparire difficile da comprendere perché,

ancor prima della definitiva fine del conflitto, il Pci avesse deciso di far cessare

l'esperienza autonoma della propria federazione giovanile al fine di potenziare

le organizzazioni unitarie – in primo luogo proprio il Fronte della gioventù. In

realtà questa scelta ripropone in un ambito dai confini delimitati il ben più

ampio problema della natura esogena o endogena della strategia comunista

dopo il ritorno di Togliatti in Italia. Era stato, d'altronde, lo stesso Stalin a

raccomandare a Thorez di praticare in Francia una politica di larghe alleanze, da

sfruttare in funzione di difesa, e, quando la situazione si fosse evoluta, in

funzione d'attacco. In tale quadro, un riferimento specifico veniva fatto

all'ambito giovanile. Individuato come uno dei terreni sui quali praticare le

alleanze, Stalin aveva sottolineato come l'organizzazione operante in tale campo

«non de[bba] chiamarsi gioventù comunista. Si deve tener conto del fatto che le

etichette spaventano molto alcune persone»170. Si può dunque ipotizzare che la

medesima raccomandazione fosse stata elargita anche al leader italiano171.

Tale convinzione non è certo smentita dalla ricostruzione della politica

praticata dal Pci in questo ambito della politica nazionale. D'altro canto, la

scelta di privilegiare gli organismi unitari può trovare una spiegazione

convincente sia alla luce della politica di lungo periodo del partito nei confronti

della gioventù, sia in considerazione delle sue contingenti urgenze politiche.

La scelta unitaria operata alla caduta del fascismo propose, in forme più

radicali, la stessa strategia ciellenistica che il partito seguì nell'arena politica

170M. Lazar, La strategia del Pcf e del Pci dal 1944 al 1947: acquisizioni della ricerca e problemi irrisolti, in E. Aga-Rossi, G. Quagliariello (a cura di), L'altra faccia della luna. I rapporti tra PCI, PCF e Unione Sovietica, Il Mulino, Bologna 1997, p. 89.

171G. Quagliariello, La formazione della classe politica in Italia (1945-1956), in G. Orsina, G. Quagliariello (a cura di), La formazione della classe politica in Europa, cit., p. 37.

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principale. A tal proposito è emblematico che Renzo Trivelli, uno dei segretari

nazionali della Fgci di questo dopoguerra, in sede di rievocazione storica

individuasse la Dc e il Pli come i più acerrimi nemici dello sforzo del Pci in

ambito giovanile172.

L'obiettivo più immediato di Togliatti, dunque, era quello di rafforzare

la collaborazione con i democristiani, cercando di estenderla anche nel campo

dell'associazionismo giovanile. E in quest'ottica, quindi, che si deve valutare

l'attenzione nei confronti di movimenti unitari quali il Fronte della gioventù, che

raccoglievano giovani di matrice politica alquanto eterogenea, nello spirito

dell'unità ciellenistica. Tali organismi unitari non essendo legati, in modo

esclusivo, ad un partito specifico, rappresentavano un utile terreno di incontro

tra cattolici e marxisti, facendo il gioco della politica togliattiana173.

172Sostiene Trivelli che «l'iniziativa che portò all'indebolimento e poi alla scomparsa del F.d.G. non fu qualcosa che promanasse dai giovani e nemmeno, essenzialmente, dai movimenti giovanili, ma da determinati partiti, soprattutto dal Partito liberale e dal Partito democristiano»; cfr. R. Trivelli, La gioventù comunista, cit., p. 118. In realtà il Fronte della Gioventù non ottenne mai risultati significativi sul piano strettamente organizzativo, attirandosi le critiche di esponenti qualificati del Partito comunista, che già nel 1947 ritenevano il Fronte un esperimento sostanzialmente fallito; cfr. G. Marimpietri, La federazione giovanile comunista: strutture organizzative e cambiamenti statutari nel periodo 1949-1956, in G. Orsina, G. Quagliariello (a cura di), La formazione della classe politica in Europa, cit., p. 232.

173Il Pci sostenne in proprio quasi integralmente lo sforzo di tenere in vita le organizzazioni unitarie. E, d'altro canto, vi sono documenti eloquenti che attestano la volontà politica di esercitare l'egemonia e il controllo su di esse. A tal proposito, va anche tenuto presente che i giovani iscritti al Pci ebbero il preciso obbligo di militare nelle organizzazioni unitarie di massa e che, nello stesso tempo, essi furono inquadrati in una struttura parallela interna che aderì perfettamente alla struttura del partito. Questo sdoppiamento della struttura trovò un momento di raccordo solo dopo le elezioni del 1948 quando, persa la partita per una conquista del potere in tempi brevi, il partito dovette modificare la sua struttura, adattandola ad una strategia di lungo periodo che sarebbe passata per una fase di opposizione che si prospettava di non breve durata. Questa esigenza spinse a chiudere il capitolo degli organismi unitari e a ricostituire, nel 1949, la Federazione giovanile comunista italiana. Non si trattò di un nuovo inizio, bensì di un cambiamento di strategia che, in ogni caso, restò modellata sulle esigenze della politica generale del partito. Una ammissione, in tal senso, proviene dalla già citata ricostruzione di Trivelli, che rievocando la rifondazione della Fgci, così scriveva: «Se un inizio, per questo dopoguerra, può essere da noi considerato l'aprile del 1949, anno in cui si ricostituì la Federazione giovanile comunista italiana, questo non sarebbe che un inizio del tutto particolare e circoscritto, e

86

Rimangono ancora però, nel campo dei rapporti con gli altri movimenti

giovanili e in quello della partecipazione ad organismi unitari, ampie zone

oscure. A Roma, ad esempio, all'inizio di aprile 1945, nasce la Commissione

consultiva giovanile e la Segreteria giovanile della Confederazione generale

italiana del lavoro; la prima è composta da 15 giovani rappresentanti delle

principali categorie professionali e correnti sindacali; la seconda si compone di

tre elementi: Arnaldo Bertolini per il Partito socialista, Enrico Berlinguer per il

Pci ed Edmondo Albertini per la Dc. «I nostri incaricati […] cerchino almeno di

non farsi rimorchiare da giovani di altri partiti», è il commento di Andreotti174.

anche non del tutto comprensibile ove non si tenesse presente un più lontano passato, che, attraverso la costituzione del Fronte della gioventù, ridiscende, giù giù, verso l'atto del 1921»; cfr; R. Trivelli, La gioventù comunista, cit., p. 117. Questa compenetrazione tra federazione giovanile e partito può rilevarsi per tutto il periodo qui preso in considerazione, che per la Fgci coincise con la permanenza di Enrico Berlinguer alla guida dell'organizzazione. D'altro canto, la comparazione con le altre esperienze giovanili aiuta a chiarire che tale natura eterodiretta della Fgci, che presuppone «una intima unità ideale e politica con il Partito», rappresentò un motivo di originalità nel panorama delle organizzazioni giovanili di partito del secondo dopoguerra. In questi anni, infatti, la Fgci non fu né un gruppo di pressione generazionale, né tanto meno uno strumento di lotta interna fra correnti. La sua storia, piuttosto, fu quella di un organismo pronto a modellarsi e a ridefinirsi secondo le esigenze strategiche fissate da entità superiori, sulla base della condivisione di una sostanziale alterità nei riguardi del sistema e delle regole della liberaldemocrazia; cfr. G. Quagliariello, La formazione della classe politica in Italia, cit., pp. 39-40. Sulla nascita della Fgci mi permetto di rinviare anche ad A. Montanari, Reggio Emilia, 22 maggio 1949. Il popolo comunista: la rinascita della Fgci in Emilia Romagna, in L. Capitani (a cura di), Emilia Rossa. Immagini, voci, memorie dalla storia del Pci in Emilia Romagna (1946-1991), Vittoria Maselli, Reggio Emilia 2012, pp. 200-204.

174«La Commissione ha per scopo principale la difesa degli interessi dei giovani lavoratori nelle controversie con i datori di lavoro a carattere nazionale; la tutela degli interessi giovanili nei sindacati, particolarmente durante la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro; la formazione di una cultura e coscienza sindacale nei giovani, e la propaganda perché la gioventù lavoratrice aderisca in massa ai sindacati della CGIL. […] Accanto ad ogni delegato provinciale dei Gruppi Giovanili […] dovrà esservi un altro giovane in qualità di incaricato provinciale per i problemi del lavoro. L'incaricato provinciale dirigerà e coordinerà tutto il lavoro organizzativo della provincia, mantenendosi in stretto contatto con l'Incaricato nazionale e con i locali dirigenti delle ACLI. Anche gli altri incaricati di zona e sezionali prenderanno contatto con le ACLI. […] I nostri incaricati dovranno aver cura che nei vari comitati che costituiranno non manchi la rappresentanza dell'elemento femminile, e perciò prenderanno opportuni accordi con i nostri gruppi femminili. Di vitale importanza è il promuovere corsi di sociologia cristiana per i lavoratori. […] I nostri incaricati […] cerchino almeno di non farsi rimorchiare da giovani di altri partiti»; ASILS,

87

Ancora il 26 marzo 1945 il delegato nazionale si vede costretto a

ribadire, con una circolare inviata a tutti i delegati provinciali, che «non è

compatibile per un iscritto al Partito l'adesione contemporanea a qualsiasi altra

organizzazione politica sia individuale sia collegiale compresi i “consigli”,

“fronti” e “movimenti” tanto monarchici che repubblicani»175.

L'autonomia del movimento giovanile della Dc nei confronti del Fronte

della gioventù viene ribadita sempre nel marzo '45 dall'Esecutivo del comitato

per l'Alta Italia che, nel Bollettino n.511, scrive che

il movimento giovanile democristiano organizzato nelle sezioni

regionali, provinciali, comunali, deve, in linea di massima,

mantenere la sua indipendenza sul piano educativo, ideologico,

propagandistico. Il contatto coi movimenti giovanili di altri partiti,

o con altri movimenti cosiddetti apolitici, deve avvenire sulla base

di comitati regionali o provinciali di coordinamento delle attività

giovanili antifasciste […] La Dc non ritiene rispondente alla realtà

delle cose un'organizzazione giovanile unitaria, almeno per quanto

riguarda l'organizzazione e la propaganda. È non solo

sconveniente, ma anche assai pericoloso per la salvezza degli

istituti democratici, voler imporre l'unità là dove l'unità non esiste,

e c'è solo, al massimo, una volontà sincera di collaborazione per

quanto riguarda particolari settori di attività176.

La situazione nelle diverse realtà regionali si presenta però ancora

nebulosa, come evidenzia Gorrieri il 29 aprile, prendendo atto che ben prima

dell'organizzazione del gruppo giovanili Dc provinciale, molti ora «organizzati»

CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile, Circolare di Giulio Andreotti e Edmondo Albertini, 4 aprile 1945.

175ADCRE, f.D2, b. “Movimento Giovanile D.C.”, Circolare di Giulio Andreotti, 26 marzo 1945.

176C. Brizzolari, La rinascita della Dc in Liguria, cit., p. 403.

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dalla Dc avevano già aderito al Fronte della gioventù e – scriveva Gorrieri – «è

necessario che essi precisino che dare adesione è di carattere provvisorio in

attesa di istruzioni dal Centro, giacché non ci risulta che il nostro Partito abbia

ufficialmente aderito a tale organizzazione»177.

La dirigenza giovanile intende comunque depotenziare la propria

presenza negli organismi unitari. Gli organi centrali esercitano condizionamenti

sulla periferia affinché questa non valorizzi la propria presenza nel Fronte della

gioventù, e tali condizionamenti possono apparire giustificati, stanti soprattutto

le buone relazioni esistenti fra giovani cattolici e giovani comunisti in alcune

regioni, specie in Emilia. Il 27 maggio 1945, ad esempio, vengono riprese e

sviluppate le soluzioni già precisate nel citato ordine del giorno del dicembre

1944:

una coordinazione di lavoro anche in forma stabile tra varie forze

giovanili può essere proficua ma una vera e propria associazione è

di per sé contrastante con il metodo democratico […] Una

concezione unitaria e di massa è il portato tipico dei regimi

totalitari […] noi siamo forti e non abbiamo bisogno di mendicare

un posto nella vita politica da chicchessia178.

177ADCRE, f.D2, b. “Movimento Giovanile D.C.”, Lettera di Ermanno Gorrieri, 29 aprile 1945.

178Il problema del Fronte Unico Giovanile. Una dichiarazione dei gruppi Giovanili della Democrazia Cristiana, in «La Punta», 4 giugno 1945. Si veda la risposta che Davide Lajolo scrive su «l'Unità» 5 giorni dopo: «Qualcuno ha blaterato contro questa organizzazione, ha sofisticato. Strane accuse invero contro un organismo espresso dalla lotta e che proprio i giovani in libera scelta si sono costruito»; Ulisse, I giovani per un Governo democratico, in «l'Unità», 9 giugno 1945. Si noti anche che i dirigenti del Fronte avevano fin dal 1944-45 tentato di agganciare anche la dirigenza della Giac. Gedda e, dopo di lui, Carretto, avevano opposto un costante rifiuto, contestando l'ambizione del Fronte di porsi come organismo rappresentativo della gioventù italiana. Nel 1947-48 l'irrigidimento delle barriere politico-ideologiche indebolì, al pari della strategia di Togliatti, le aspirazioni del Fronte che, nei confronti della Giac, oscillò fra accattivanti riconoscimenti e ostilità a volte sprezzanti; così F. Piva, La gioventù cattolica in cammino. Memoria e storia del gruppo dirigente (1946-54), Franco Angeli, Milano 2004, pp. 47-48.

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A Parma dunque, ad esempio, dove a un giovane democristiano, Franco

Valla, nel Fronte della gioventù locale era stata affidato nel gennaio 1945 il

delicato settore stampa e propaganda, a fine maggio il Comitato direttivo del

Fronte prendeva atto del ritiro temporaneo per disposizioni superiori di partito

dei giovani democristiani, per cui la stessa segreteria del Comitato direttivo,

tenuta dal democristiano Zanzucchi, veniva affidata al giovane azionista

Rosselli179.

Questo atto si concretizza all'inizio di giugno con un distacco definitivo

dei giovani democristiani, poiché la segreteria provinciale Dc riteneva che il

Fronte della gioventù si avviasse a divenire «organizzazione non solo unitaria,

ma unica, assorbente, esclusiva della gioventù italiana»180. L'accusa rivolta al

Fronte era quella di voler monopolizzare le organizzazioni giovanili e questo

disegno si manifestava nella pretesa «di subentrare direttamente e

totalitariamente nell'eredità di impianti e mezzi delle disciolte organizzazioni

uniche fasciste»181.

Andreotti contribuisce personalmente alla difesa di tale linea. Il 4

giugno scrive a tutti i comitati provinciali affinché gli venga immediatamente

segnalato il nominativo dell'incaricato per i rapporti con le altre organizzazioni.

Ogni quindici giorni ogni delegato provinciale dovrà inviargli una relazione

dettagliata sulle attività e sui rapporti avuti con altri partiti, movimenti,

associazioni; «Per le Province del Nord recentemente liberate si richiede una

relazione sull'attività clandestina e partigiana, soprattutto quella esplicata in

comune con altri movimenti»182. Solo in un caso i Gruppi giovanili Dc potranno 179P. Calzolari, Giovani comunisti parmensi dal Fronte della gioventù alla Federazione

giovanile comunista (1943-1949), in F. Sicuri (a cura di), Comunisti a Parma. Atti del convegno tenutosi a Parma il 7 novembre 1981, STEP, Parma 1986, pp. 361-362.

180Ivi, p. 362.181Ibidem.182ASILS, CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile, circolare di Giulio

Andreotti, 4 giugno 1945. Andreotti aggiunge in tale circolare anche indicazioni riguardanti l'inizio della campagna per l'italianità di Trieste: «In ogni capoluogo di Provincia d'accordo

90

collaborare apertamente con i giovani del Pci, degli altri partiti o ad iniziative

promosse da Fronte della gioventù, ovvero per la creazione di comitati

provinciali “pro-voto” ai diciottenni e ai soldati183.

Resta fermo il divieto di partecipare a qualsiasi organizzazione, sia essa

«fronte» o «consiglio», esterna al partito: «Si chiede all'uopo, se in qualche

regione, provincia o città siano avvenute queste adesioni sia collegialmente che

isolatamente […] di comunicarcelo, specificandone l'entità e il motivo»184.

Un tale atteggiamento di rottura porta, in taluni casi, a episodi

«tumultuosi» e «turbolenti», come quelli che si verificano a Palermo durante i

lavori del Convegno regionale della gioventù dell'isola. Dall'11 al 13 settembre

1945 si riuniscono nel capoluogo siciliano i rappresentanti dei Gruppi giovanili

Dc, dell'Azione cattolica, dei membri della Fgs, dei giovani del Partito

comunista, del Partito d'azione, del Partito repubblicano, di quello liberale e di

quello democratico del lavoro; nonostante le buone intenzioni iniziali e la

volontà di discutere gli infiniti problemi che affliggono la gioventù siciliana,

«non si è riusciti a mantenere i lavori del Convegno in quella atmosfera di

sincerità e di solidarietà che speravamo invece il convegno potesse avere», a

causa della «inconsulta intemperanza ed il settarismo di alcuni delegati che

hanno portato nel Congresso metodi e frasi abituali del fucilato di Dongo»185.

Se il primo giorno dei lavori, fra saluti istituzionali e buone intenzioni,

tutto scorre nel migliore dei modi, la mattina del 12, quando entra nel vivo la

con le altre organizzazioni religiose, sociali, politiche, culturali, sportive ecc. costituire comitati affermanti l'italianità di Trieste e l'integrità dei confini nazionali. Si istituiscano e si organizzino manifestazioni, comizi; si stampino volantini; si scrivano articoli sulla stampa locale; si votino odg nel senso desiderato. Tali manifestazioni potranno venire turbate, od almeno ostacolate da elementi di ben individuato indirizzo politico, ma questo non interrompa in alcun modo l'organizzazione di quanto sopra detto. Si agiti il problema, e lo si discuta dai nostri giovani, in ogni scuola, negozio, officina, ufficio».

183Ibidem.184Ibidem.185Congresso della gioventù siciliana, in «La Punta», 24 settembre 1945.

91

parte di discussione politica, i giovani socialisti presentano una mozione in cui

chiedono l'invio di un solidale saluto ai giovani spagnoli antifalangisti; vi sono

vive discussioni e, al fine di evitare rotture troppo evidenti, si giunge a un

accordo e la mozione viene ritirata. Il terzo giorno, però, «la seduta è

tempestosa», «elementi turbolenti suscitano nel frattempo clamori incomposti

tanto da rendere la seduta troppo vivace», «il pomeriggio è anch'esso

caotico»186: Michele Anselmo, delegato regionale dei Gruppi giovanili, presenta

a sua volta una mozione in cui chiede un solidale saluto ai giovani di tutto il

mondo impegnati in battaglie per la libertà; essendo in disaccordo sia socialisti

che comunisti, e vedendo il ritiro dei giovani del Partito liberale, anche i giovani

della Dc decidono di ritirarsi, «dopo il saggio di intolleranza dato da alcune

correnti contro la libertà di pensiero e di parola»187. La sera del 13 il Convegno

sancisce la nascita del Fronte della gioventù siciliana, di cui faranno parte

comunisti, socialisti, azionisti, repubblicani e democratici del lavoro.

Un pressoché identico atteggiamento di rottura è assunto d'altronde nel

medesimo periodo dalla dirigenza giovanile in tema di organizzazione degli

studenti universitari. Dal commento de «La Punta» del 21 maggio 1945 relativo

al I Congresso degli universitari romani, si evince la profonda rottura

congressuale; scartata l'opzione federativa, proposta dalle sinistre e avversata

dai cattolici, i giovani si trovano costretti a costituire un Comitato di

coordinamento in cui le diverse associazioni nutriranno amplissime libertà

organizzative e politiche188.

Anche in questo caso furono gli studenti comunisti a farsi per primi

promotori degli organismi rappresentativi studenteschi universitari; anche in

questo caso, dunque, la strategia riproponeva in un ambito politico particolare

186Ibidem.187Ibidem.188I Congresso Democratico degli universitari romani, in «La Punta», 21 maggio 1945.

92

la stessa strategia unitaria che il Pci stava sviluppando a livello nazionale189. È

fuori dubbio, però che nell'immediato post-fascismo la Fuci poté contare su una

centralità tra gli studenti cattolici determinata dalla specifica natura universitaria

dell'organizzazione, da una elaborazione che aveva scavato più in profondità e,

infine, da una certa continuità del gruppo dirigente. Va inoltre ricordato come

nella primissima fase mancò una specifica organizzazione degli studenti

universitari della Dc: i Cud, Centri universitari democristiani, infatti, si

sarebbero formati non prima del marzo 1945190.

Tali organizzazioni reagirono, come si può intuire, di fronte ai progetti

di organizzazione unitaria e sindacale proposta dai comunisti, cercando di

contrastare il loro progetto dei Consigli, negando cioè la necessità di un

organismo nazionale degli studenti universitari e rivendicando come

irrinunciabile il principio del pluralismo associativo191.

Ritornando su un piano più strettamente di organizzazione partitica, la

189Questo disegno veniva da lontano: già nel 1944 gli studenti comunisti del Nord diedero vita all'Associazione Universitaria Studentesca mentre, contemporaneamente, dal dicembre 1943 operò nel centro-sud l'Unione studenti italiani. Entrambe le strutture erano pensate come organismi unitari, che nel corso della lotta per la liberazione e la riunificazione del paese averebbero operato su base interpartitica e, contemporaneamente, avrebbero avuto il compito di preparare la edificazione di un unico organismo di massa degli studenti italiani di natura sindacale, al quale sarebbe spettato un ruolo da protagonista nella stagione democratica che si annunciava. In tale quadro, i Consigli di Interfacoltà furono espressamente previsti come la più importante articolazione, a livello decentrato, della futura unione nazionale. Questo progetto scontò le esigenze contingenti della lotta politica ma in esso possono anche cogliersi suggestioni provenienti da analisi e sensibilità stratificatesi nel tempo; cfr. G. Quagliariello, La formazione della classe politica in Italia, in G. Orsina, G. Quagliariello, La formazione della classe politica in Europa, cit., p. 55.

190Sui Cud cfr. Movimento giovanile DC, Centri Universitari Democristiani, Scuola salesiana del libro, Roma 1951.

191 Nel 1946 i Consigli rappresentavano comunque una realtà ineliminabile, che aveva attecchito pressoché in tutti gli atenei italiani. Per i cattolici (e per i goliardi) l'unica strada perseguibile divenne quella di contrapporre al progetto comunista una diversa soluzione che, senza negare la necessità di un organismo nazionale, garantisse pluralismo e autonomia associativa. Attraverso questo percorso si giunse, nel 1948, alla formazione dell'Unuri: l'unione degli studenti universitari che avrebbe egemonizzato l'esperienza politica dei giovani negli atenei fino al 1968; cfr. G. Quagliariello, La formazione della classe politica in Italia, cit., p. 59.

93

partecipazione al Fronte della gioventù costerà l'allontanamento dalla Dc ad

alcuni esponenti giovanili romani.

L'attività di alcuni giovani della sezione romana era infatti stata intensa

fin dalla fine del 1944. Mario Montesi aveva organizzato in seno alle

sottosezioni romane gruppi di studio e propaganda che avevano eletto un

comitato giovanile romano; quest'ultimo aveva nominato a sua volta una propria

giunta esecutiva giovanile romana di dieci membri. Essa aveva organizzato un

primo convegno l'11 e 12 novembre 1944 nel salone dei Piceni in piazza S.

Salvatore in Lauro; il convegno era stato presieduto da Montesi e si era

articolato nelle relazioni di Benedetto Todini, Achille Albonetti e Giorgio La

Morgia, tutti giovani della corrente più a sinistra della Dc. Il 15 gennaio 1945,

in seno al gruppo di Canaletti Gaudenti e Ravaioli era nato poi il quindicinale

«Politica d'Oggi», vivace espressione delle idee dei Dc romani, di spiccate

tendenze repubblicane192.

La dirigenza giovanile romana, già dai primi giorni dell'insediamento di

Andreotti a delegato nazionale, aveva mostrato una certa indifferenza verso la

politica moderata degli organismi centrali, e una prima forma di polemica si può

ritrovare nel caso di Benedetto Todini, «responsabile – secondo lo stesso

Andreotti – di “azzardati dialoghi” coi giovani comunisti»193.

Nella riunione della direzione nazionale del 5 gennaio 1945 Scelba nota

che, se la situazione del partito non presenta particolari preoccupazioni, «il

problema centrale e più difficoltoso è quello riguardante i compiti dei gruppi

giovanili, data la tendenza sempre più presente, e specie a Roma, […] di uscire

dai limiti statutari per occuparsi dei problemi strettamente politici»194. I giovani

192Per le vicende della rivista e del gruppo raccolto intorno ad essa si veda G. Boffi, Domenico Ravaioli e «Politica d'Oggi». Alle origini della Dc romana (1944-1948), in F. Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia Cristiana, vol. IV, Dal Centro Sinistra agli «Anni di Piombo», Cinque Lune, Roma 1989, pp. 347-396.

193R. Orfei, Andreotti, Feltrinelli, Milano 1975, p. 37.194ASILS, Dc, Dn, s.1, f.2, Verbale della riunione del 5 gennaio 1945.

94

romani hanno infatti chiesto la convocazione di un congresso nazionale per

discutere più a fondo i problemi che riguardano i Gruppi e hanno già fissato la

data di un convegno in cui analizzeranno la linea della Dc; Andreotti, «dato che

le sue occupazioni non gli consentirebbero di seguire adeguatamente» tali

problemi, ha inviato una lettera in cui presenta le proprie dimissioni195. A questo

punto Giuseppe Fuschini evidenzia che «a seguire l'attività dei gruppi giovanili

dovrebbe essere posto non un giovane ma un esperto anziano» e propone il

nome di Mario Cingolani; per Spataro e Gonella «la nomina di un anziano a

delegato nazionale potrebbe non riuscire gradita ai giovani, dato il loro stato

d'animo»196.

Il 12 gennaio, durante una seconda riunione della direzione nazionale,

Scelba riporta di aver partecipato a una riunione dei Gruppi giovanili romani

della Dc. Essi lamentano scarsa attenzione nei loro confronti da parte degli

“anziani”, rivendicano il diritto di esprimersi sulla linea del partito e trovano

intollerabile che il delegato nazionale e la commissione consultiva siano stati

scelti dall'alto. Nonostante le rassicurazioni fornite da Scelba, i delegati

giovanili hanno espresso la loro volontà di dimettersi in massa nel caso in cui le

loro osservazioni non fossero state prese in seria considerazione197.

A quel punto Andreotti difende lo schema di ordinamento dei Gruppi

realizzato da lui e Dall'Oglio che soddisferebbe, a suo parere, le richieste di

autonomia continuamente avanzate. De Gasperi si dimostra deciso: «al di sopra

di ogni ordinamento formale occorre che i giovani acquistino coscienza dei

doveri dell'ora e dei compiti loro spettanti di difesa organizzativa del Partito e

del suo programma»198. Cingolani sarà incaricato di avviare trattative, a nome

della Direzione, con questi giovani, ci sarà spazio per eventuali modifiche

195Ibidem.196Ibidem.197ASILS, Dc, Dn, s.1, f.2, Verbale della riunione del 12 gennaio 1945.198Ibidem.

95

organizzative ma, come sottolinea in chiusura Scelba, a Cingolani verranno date

istruzioni precise per evitare di impegnarsi in accordi che poi non potrebbero

essere approvati dalla Direzione stessa199.

La turbolenta vicenda dei giovani romani, come scrive Nobili in una

lettera ad Andreotti, si spiega con l'influenza delle idee di Domenico Ravaioli e

del gruppo raccolto intorno a «Politica d'Oggi»200, portate all'interno dei Gruppi

giovanili romani proprio da Todini201.

Visti i positivi risultati del Convegno dell'11-12 novembre, infatti, la

giunta esecutiva del movimento giovanile romano ha in programma una nuova

iniziativa: un altro convegno da tenersi il 28-29 gennaio 1945, che dovrebbe

rappresentare il primo grande momento di azione politica dei giovani Dc di

Roma.

L'iniziativa non avrà mai luogo a causa dell'azione combinata di

Andreotti e Scelba; essi convincono i delegati dei gruppi giovanili

sottosezionali a votare un ordine del giorno in cui dichiarano «sciolte, perché

giuridicamente inesistenti, tutte le assemblee della Sezione Romana, e

rassegnano le dimissioni da tutte le cariche finora ricoperte in qualità di

giovani»202.

199Ibidem.200Secondo Vera Capperucci, il breve intervento di De Gasperi risulta indicativo del difficile

incontro all'interno del partito tra le generazioni più anziane e quelle più giovani. Il principale emotivo di attrito scaturiva dal timore dei giovani circa l'effettiva novità della Democrazia cristiana, tanto rispetto al suo impegno programmatico, quanto soprattutto alla formazione della classe dirigente che ne avrebbe assunto la guida; cfr. A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, vol.III, tomo I, cit., p. 739 n.

201ASILS, CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile, appunto dattiloscritto di Giulio Andreotti, s.d. Già nell'ottobre del 1944 l'elezione di un Comitato romano della Dc aveva visto uno screzio fra Ravaioli e i giovani raccolti intorno a «La Punta». Scrive Ravaioli infatti al giornale che «Tu dici di sinistra: ma dirsi di sinistra e repubblicani senza spirito repubblicano e di sinistra non è che un aspetto del vecchio agnosticismo: un risultato di avvenimenti che camminano fuori da noi»; D. Ravaioli, Cara “Punta”, in «La Punta», 9 ottobre 1944.

202Per questo passaggio cfr. G. Boffi, Domenico Ravaioli e «Politica d'Oggi», cit., pp. 363-365.

96

Achille Albonetti, commentando l'accaduto, sottolinea la necessità di

costituire quanto prima una federazione nazionale di tutti i gruppi giovanili Dc.

Sempre nello stesso articolo si legge che

la prova più importante [dell'esigenza di un'espressione unitaria dei

giovani, NdA] è il presunto «Organo della Gioventù Democratico

Cristiana» «La Punta», la quale esce come espressione di tutti i

giovani democratico-cristiani (lo dice chiaro il sottotitolo) a

somiglianza degli altri settimanali giovanili [degli altri partiti,

NdA]. Ed allora le funzioni locali e culturali dove vanno a finire?

Per amor del vero bisogna aggiungere che, ad interrogazioni

facenti notare questa contraddizione, il Vice-Segretario del Partito

avv. M. Scelba rispondeva essere il giornale frutto di «un'iniziativa

privata». A parer nostro sarebbe ridicolo proibire la discussione

politica in un'organizzazione giovanile, adducendo come

giustificazione un'esigenza di unità203.

Tali parole suonano come un'indiretta smentita a quella sorta di

legittimazione che «La Punta», e chi la dirige, credono di trovare nella

manifestazione giovanile del 12 giugno 1945. La prima grande manifestazione

dei giovani democratici cristiani in Roma: questo il titolo a tutta pagina con cui

«La Punta» saluta l'avvenimento riportando per intero il comizio di Andreotti al

Volturno in cui afferma, fra l'altro

Diffidate, amici, di alcuni, che vi fanno una propaganda

repubblicana, dicendo che con la sola Repubblica vengono risolte

tutte le questioni che oggi gravano sulla vita del nostro Paese204.

203A. Albonetti, Lo scioglimento dei Gruppi Giovanili Romani, in «Politica d'Oggi», a.I, n.2, 30 gennaio 1945.

204Il discorso di Giulio Andreotti, in «La Punta», 25 giugno 1945, citato in G. Boffi, Domenico Ravaioli e «Politica d'Oggi», cit., p. 364.

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Dopo il discorso di Andreotti i giovani raggiungono in corteo piazza del

Gesù dove De Gasperi li saluta con un discorso. L'avvenimento trova eco nel

numero successivo de «La Punta» nel quale si sostiene che la manifestazione,

frutto di «lavoro e tenacia», è la miglior smentita di «coloro che con comizi,

tumultuosi cavilli, “inalberature”, gesti indisciplinati ed incontrollati credevano

di poter creare un'atmosfera politica, di “plasmare le anime”, come essi

dicevano»205.

Sul numero di luglio di «Politica d'Oggi», il trafiletto Punta velenosa

apostrofa il predetto articolo come «le più idiote scempiaggini che siano mai

entrate nella mente d'un camerata»206.

Nonostante il dialogo intavolato da Cingolani, la situazione non sembra

trovare via d'uscita. Il 19 aprile viene convocata la prima assemblea dei Gruppi

giovanili della capitale: a presiederla è Umberto Tupini; la riunione è

«tumultuosa»207. Ricorda Nicola Signorello che «il clima era arroventato, con

scontri politici assai aspri. Solo l'autorità e l'abilità del Presidente Umberto

Tupini potevano evitare incresciosi sconfinamenti»208.

La Direzione si vede dunque costretta a prendere decisioni drastiche.

Come primo passo, il 9 marzo viene confermata e rafforzata la posizione di

Andreotti nel ruolo di delegato nazionale209.

Il 28 aprile, in seconda istanza, la Direzione nazionale espelle dalla Dc i

giovani romani Achille Albonetti, Francesco Angelicchio, Vittore Basili,

Giorgio La Morgia, Marcello Quintiliani e Andrea Trotta.205Metodo, in «La Punta», 9 luglio 1945.206Punta velenosa, in «Politica d'Oggi», 15 luglio 1945.207Così la descrive Andreotti in una lettera scritta a Ravaioli dopo che su «Politica d'Oggi»,

firmato dallo stesso Ravaioli, era apparso un articolo pieno di «insolenze e contumelie» nei suoi confronti: cfr. G. Andreotti, A Domenico Ravaioli, in «La Punta», 22 ottobre 1945.

208N. Signorello, A piccoli passi. Storie di un militante, Newton Compton Editori, Roma 2011, p. 52.

209ASILS, Dc, Dn, s.1, f.2, Verbale della riunione del 10 marzo 1945.

98

Con riferimento alle disposizioni dello Statuto e al deliberato

dell'ultimo Consiglio nazionale circa la inammissibilità

dell'appartenenza a gruppi politici estranei al Partito, riconfermato

che la tendenza repubblicana ha avuto ed ha piena e legittima

cittadinanza entro l'organizzazione del Partito ma che nessuna

tendenza può tuttavia costituirsi in gruppi distinti né esprimersi in

adesione a formazioni politiche al di fuori del Partito stesso, ha

constatato con rammarico che i giovani Albonetti Achille,

Angelicchio Francesco, Basili Vittore, La Morgia Giorgio,

Quintiliani Marcello e Trotta Andrea, i quali si erano messi contro

la suddetta disciplina del Partito in pubbliche manifestazioni, e

nonostante i ripetuti richiami hanno persistito nel loro

atteggiamento incompatibile con la disciplina stessa, si sono con

ciò posti fuori dal Partito, del quale di conseguenza cessano di fare

parte. […] gli iscritti al Partito non possono né aderire né

appartenere ad altri movimenti politici. In seguito a questo

provvedimento la Direzione del Partito invitò un gruppo di giovani

che avevano aderito al Fronte Repubblicano della Gioventù a

ritirare la loro adesione. L'invito venne accolto dalla maggioranza

del gruppo, meno dai sei giovani di cui si fa cenno nel resoconto

che abbiamo riferito, i quali nonostante le più volte rinnovate

esortazioni della Segreteria Politica a considerare le fondamentali

esigenze della unità del Partito e di quella disciplina che è

indispensabile per la vita e per l'azione di qualsiasi, movimento

politico, specialmente in regime democratico non vollero recedere

dal loro atteggiamento210.

210Democrazia Cristiana. Bollettino della Direzione del Partito, n.2, 30 aprile 1945. Si legga quello che scriverà Basili sul settimanale gronchiano «Politica Sociale» cinque anni dopo: «La folgore è passata ma nessuno ha sentito il suo fremito e il suo monito. Nessuno ha capito che gli eventi storici, la guerra e la rivoluzione civile, così cruentemente abbattutesi nel nostro suolo, richiedevano un integrale rinnovamento della vita, la riforma di tutto un costume civile e morale, un organismo vitale e giovane […] La storia presentava multa bona un'occasione propizia alla nascente democrazia; poneva sul tappeto vitali problemi da

99

Con lo stesso provvedimento viene espulso dalla Dc anche Todini il

quale, come si ricorderà, era stato membro della redazione clandestina de «La

Punta» durante l'occupazione nazifascista di Roma: «Presa poi in particolare

esame la condotta di Benedetto Todini, caratterizzata da persistente faziosità e

scorrettezza politica, la Direzione lo ha dichiarato espulso dal Partito»211.

Nel maggio del 1945 infine la stabilizzazione del turbolento universo

giovanile romano – pur se perdureranno nel tempo screzi fra “giovani” e

“vecchi”212 – culmina con l'elezione delle nuove cariche: Franco Evangelisti

risulta eletto delegato giovanile romano213.La nuova atmosfera è palpabile: dopo un appello della dirigenza

risolvere, riforme da attuare, la prima fra tutte quella sociale, l'abolizione dei privilegi e della lotta di classe. […] L'occasione purtroppo si è lasciata sfuggire […] I “vecchi”, che i giovani non conoscevano, tornarono alla ribalta della vita politica troppo spesso con rancori e passioni, con desideri finalmente da appagare; tornarono per rifarsi d'un fatto personale, d'un torto subito per sfruttare la situazione. Non compresero il momento e scagliarono pietre su pietre. Chi era senza peccato? Solo i giovani non avevano peccato né prima né dopo. […] E i giovani, nauseanti, si sbandarono dinanzi alla politica faziosa, fatta di ripicche, di polemiche, di raggiri, di parte. […] Sulla scena sono rimasti i vecchi, circondati da pochi giovani arrivisti; i delfini, i soliti figli di papà, i bambinoni precoci, i viziati fin dalla nascita. Passata la prima paura, i ricchi han finito per vincere»; Tito (Vittore) Basili, Eliminare i diaframmi, in «Politica Sociale», 25 maggio 1950.

211Da rilevare come «La Punta» e «Politica d'Oggi» reagiscano in modo differente a tale operazione. L'organo ufficiale del Movimento tenta di equilibrare la spinta a destra di queste ultime iniziative, sostenendo la necessità di un atteggiamento repressivo anche nei confronti dei giovani democristiani che partecipano a nuclei monarchici (rimane però il fatto che l'epurazione colpisca solo a sinistra), e mette in evidenza l'orientamento centrifugo degli espulsi; la pubblicazione repubblicana invece fa un sintomatico panegirico della solerzia antifascista e dell'impegno democratico dei dirigenti epurati. Cfr. Provvedimenti disciplinari della Direzione del Partito, in «La Punta», 30 aprile 1945; Contro il Fronte Repubblicano, in «Politica d'Oggi», 15 maggio 1945.

212Si veda, ad esempio, la circolare inviata da Canaletti Gaudenti a tutte le sezioni romane nel gennaio 1946: «In una recente riunione dei Delegati Romani dei Gruppi Giovanili mi si è fatto rilevare che in molte Sezioni non vi è tra gli iscritti quella unione di intenti e di opere, indispensabile per una efficiente attività del nostro Partito. […] Invito pertanto i Segretari delle sezioni di Roma ad avere maggiore comprensione per i giovani, a non intralciare i loro campi specifici di attività (sport, allestimento di intrattenimenti ecc.), ad intensificare infine la parte riguardante la preparazione politica e la propaganda»; cfr. A tutte le Sezioni della D.C. di Roma, in «La Punta», 14 gennaio 1946.

213L'elezione dell'Esecutivo giovanile romano, in «La Punta», 14 maggio 1945.

100

giovanile alla base214, Andreotti può partecipare senza polemiche alla riunione

dei delegati romani del 18 maggio215, e può garantirsi, anche se l'Esecutivo della

città conserva un orientamento repubblicano, come manifestato alla vigilia del I

Congresso nazionale216, che il pluralismo degli atteggiamenti rimanga

costantemente controllato.

Il I Congresso dei Gruppi giovanili di Roma sancirà la definitiva

normalizzazione: il 22 e 23 settembre 1945, infatti, Evangelisti è eletto delegato

provinciale con Signorello come vice incaricato per organizzazione e

propaganda; intervengono, durante i lavori congressuali, anche Pietro Scoppola,

Giulio Pastore, Ernesto Kustermann217.

Durante tale assise il primo problema dibattuto è quello istituzionale.

Per Signorello «i giovani romani si sono da tempo pronunciati per la repubblica

e per impedire infiltrazioni monarchiche nel partito (denunciate da un

documento posseduto ed esibito) è necessario che al più presto si convochi il

Congresso Nazionale dal quale dovrà uscire chiarificata la linea politica dei

democratici cristiani»218; Evangelisti «dà lettura del documento (cui ha

214Vita del Movimento Giovanile a Roma. Appello, in «La Punta», 28 maggio 1945.215Vita del Movimento Giovanile a Roma. Assemblea di Delegati giovanili, in «La Punta», 28

maggio 1945.216Tale orientamento appare in Movimento Giovanile romano, in «La Punta», 18 giugno 1945

e in due articoli successivi di Evangelisti: F.E., Metodo, in «La Punta», 9 luglio 1945; F. Evangelisti, Code di paglia, in «La Punta», 30 luglio 1945.

217Il Congresso dei giovani demo-cristiani di Roma, in «La Punta», 1 ottobre 1945.218Ibidem. Evangelisti sollecita la convocazione del Congresso nazionale della Dc anche il 5

ottobre su «La Punta»: «Nel nostro Partito la Direzione Centrale non è stata eletta in seguito a regolare democratica elezione dal basso. Questo stato provoca mille appunti e attacchi sulla linea di condotta che il Partito segue, da parte di chi con tutta coscienza crede che l'immissione di nuove energie, sarebbe di salutare effetto per il potenziamento della Direzione stessa. […] è tempo di finirla con questa situazione di interminabile provvisorietà, è tempo che si esca dall'equivoco e si attui finalmente il metodo democratico; oltremodo auspicabile ora che le contingenze non sono più tali da far sopportare situazioni di emergenza. […] Si brucino quindi le tappe e si convochi il Congresso alla fine dell'anno in corso. Soltanto in questo modo la D.C. potrà assumere quel ruolo di guida nell'agone politico, al quale nonostante tutto crediamo ancora di poter arrivare»; F. Evangelisti, Tutti d'accordo: Congresso immediato, in «La Punta», 5 ottobre 1945.

101

accennato il relatore politico) consistente in una circolare segreta dell'Unione

Monarchica nella quale si dispone un'immediata infiltrazione nella D.C. degli

affiliati all'Unione»219; Scoppola «esprime l'opinione che il Partito si faccia

propugnatore di un blocco democratico di centro sì da impedire che il Paese si

trovi di fronte al dilemma reazione o bolscevismo»220.

Sintetizza così Sacerdote: «Già da tempo su “La Punta” sono apparsi

vari articoli in favore del Congresso e per la risoluzione in senso repubblicano

del problema istituzionale in seno al Partito; quasi tutti i settimanali

democristiani in Italia sono con noi. Cosa si attende ancora?»221.

219Ibidem. All'interno del Gruppo giovanile romano è Evangelisti a farsi portatore delle istanze più prettamente anti-monarchiche: Scrive, ad esempio, nel novembre 1945 che «nell'attuale momento, nel quale le forze monarchiche hanno sferrato la loro offensiva con ogni messo (violenze, giornali pseudo-indipendenti, ex uomini politici inebetiti in età avanzata) come mai un grande partito come il nostro non sente ancora l'obbligo improrogabile verso il popolo italiano di pronunciarsi sulla questione? […] E c'è ancora chi parla di visione superiore, di tattica, di unità!»; cfr. F. Evangelisti, Inconvenienti dell'agnosticismo, in «La Punta», 12 novembre 1945. Si legga anche ciò che scrive nel dicembre dello stesso anno: «Tutto previsto, tutto regolare, tutto logico. La corrente monarchica in seno al Partito si è organizzata, ha preso fiato, ha alzato la testa. […] Recentissima è la notizia della costituzione di una destra democratico cristiana. Carlo Petrone, l'indicato e presunto capo, ne smentisce l'autenticità ma annuncia la pubblicazione di “Iniziativa”, un settimanale di tendenza nettamente monarchica. […] la Democrazia cristiana deve uscire immediatamente dall'agnosticismo. Deve farlo per non inasprire le particolari tendenze e rendere sempre più difficile l'opera di coesione e di unità e soprattutto per indirizzare sulla via giusta la parte notevole del popolo italiano che a lei guarda con fiducia, assumendone la guida»; F. Evangelisti, La destra all'attacco?, in «La Punta», 31 dicembre 1945.

220Ibidem.221G. Sacerdote, Dobbiamo deciderci: Congresso e Repubblica, in «La Punta», 17 dicembre

1945.

102

Capitolo III primi passi nell'Italia repubblicana (1945-1948)

2.1 Il primo Convegno nazionale dei Gruppi giovanili Dc

Vista anche l'offensiva che il Fronte della gioventù sta ormai portando

in tutta Italia, non limitandosi più al solo nord del paese222, la creazione di un

coordinamento nazionale di tutte le forze giovanili che intendevano far parte a

pieno titolo del neonato partito non può più essere ritardata; paradossalmente, in

alcuni casi, il movimento giovanile della Dc non aveva nemmeno potuto

organizzarsi autonomamente poiché in molte sezioni i giovani erano «l'elemento

propulsivo, e se dovessero vivere una vita propria la sezione degli adulti

morirebbe»223.

Dal 12 al 17 giugno, dunque, viene organizzato a Roma, presieduto da

Giuseppe Dossetti224, il primo incontro nazionale di tutti i delegati dei Gruppi

222Il 14 giugno 1945, a Roma, era nato un Comitato promotore col fine di espandere il Fronte della gioventù nell'Italia centro-meridionale; cfr. Un comitato promotore del Fronte della gioventù per l'Italia centro-meridionale, in «l'Unità», 14 giugno 1945. A fine giugno 1945 il Fronte della gioventù viene costituto nelle Marche, in Abruzzo, nel Lazio, nella Campania, in Puglia, Sicilia e Sardegna; La costituzione del Fronte della gioventù in numerose province italiane, in «l'Unità», 28 giugno 1945.

223È il caso specifico di Perugia descritto in M. Tosti, Le origini della Democrazia cristiana in Umbria. Organizzazione e orientamenti, in B. Bocchini Caimani, M.C. Giuntella (a cura di), Chiesa, Cattolici, Resistenza nell'Italia centrale, Il Mulino, Bologna 1997, p. 231.

224Dossetti si era reso partecipe di un'iniziativa da segnalare, nel periodo immediatamente successivo alla Liberazione, ovvero la nascita dell'Ogi, «Organizzazione giovanile italiana». Essa era sorta come associazione apartitica dedicata ai giovani che intendevano impegnarsi politicamente ma era di fatto collaterale alla Dc. La ragione ultima della sua costituzione era evidente: Dossetti aveva inteso creare qualcosa che potesse competere con il più forte Fronte della gioventù. Lo scopo fondamentale dell'Ogi, che a Reggio Emilia arriverà a contare 4000 iscritti e si radicherà anche a Modena, Parma e Trieste, veniva allora fissato ufficialmente dallo Statuto nella «ricostruzione morale e materiale della

103

giovanili Dc. Come ricorda Galloni, è la prima occasione, «nonostante le

condizioni di viaggio fossero ancora pessime […] per prendere contatti con il

cosiddetto Vento del Nord»225.

Tutte le problematiche prima accennate – le relazioni con gli altri

movimenti giovanili, la democrazia interna, le scelte istituzionali – trovano una

confluenza nell'ambito dell'ampio dibattito che si sostanzia in tale Congresso;

l'appuntamento è importante, e non solo per i rappresentanti giovanili che, per la

prima volta, possono avere uno scambio di vedute globali sull'attività della

gioventù della Dc. Vi sono ovvie difficoltà logistiche, specie per la situazione di

assestamento nel nord, e la rappresentanza settentrionale rimane esigua;

comunque, la partecipazione è estesa, articolata e soprattutto testimonia

l'articolazione dei Gruppi su tutto il territorio nazionale226.

Patria»; di fatto, mediante lo svolgimento di attività sportive e culturali, l'Ogi doveva servire come anticamera nell'impegno politico all'interno del partito, dal quale peraltro dipendeva finanziariamente. Nel volgere di un anno, però, l'associazione chiuderà i battenti: da un lato essa veniva surclassata dai Gruppi giovanili della Dc, che andavano imponendosi ovunque; dall'altro la competizione con le associazioni collaterali all'Azione cattolica – oltre che con il Fronte della gioventù – era diventata sempre più stringente; cfr. E. Galavotti, Il professorino. Giuseppe Dossetti tra crisi del fascismo e costruzione della democrazia 1940-1948, Il Mulino, Bologna 2013, pp. 268-269.

225G. Galloni, Postfazione. La Costituzione come base dell'alternativa, cit., p. 185.226Presenti ai lavori congressuali «Criconia Giuseppe della Segreteria dell'Alta Italia;

Calcagno Gabriele per Torino e le altre province del Piemonte; Marchesi Giuseppe per Milano e le altre province della Lombardia; Boyer Alberto e Baget Gianni per Genova; Tiso Sergio per Verona; Grifa Michele per Bologna; Dossetti Ennio per Reggio Emilia; Bertolani Oliviero per Modena; Goberti Giuseppe e Cananzi Enzo per Forlì; Pucci Pacifico per Ravenna; Fratini Mario e Montillo Fulvio per Ancona; Ciotti Fernando per Ascoli; Regini Ettore e Acquatini Giulio per Macerata; Della Fornace Anteo per Pesaro; Scotti Lamberto, Bussetti Aldo e Lisi Renato per Firenze; Amic Cesare per Pistoia; Mellini Alessandro e Landi Luciano per Arezzo; Nieri Adolfo per Lucca; Viviani Giovanni e Monti Mario per Siena; Villari Giuseppe per Camerino; Battistacci Giorgio e Ciacci Otello per Perugia; Drudi Aldo per Terni; De Blasi Mario per Pescara; Sorgi Tullio per Teramo; Gabriele Aldo per Sulmona; Cricitti Gabriele per Chieti; Bonanni Giancarlo e Evangelisti Franco per Roma; Camilli Romolo per Viterbo; Martellucci Ermo per Latina; Stazi Bruno e Baccari Benedetto per Napoli; Lepore Crispino per Benevento; Salvatore Bruno per Salerno; Manfredonia Felice e Del Pezzo Pio per Caserta; Pastena Ettore per Avellino; Antuofermo Angelo e Dell'Andro Renato per Bari; Di Meo Gustavo per Foggia; De Nitto Gilberto per Brindisi; Argini Alessandro per Lecce; Laraia Vito per Potenza; Carditello Filippo e Farias Giuseppe per Reggio Calabria; Gallo Ettore e Carelli Giovanni per

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Nel discorso di apertura dei lavori227 De Gasperi compie un'importante

apertura nei confronti dei giovani. Siamo, ricordiamolo, nel bel mezzo della

crisi del governo Bonomi.

Mi trovo a trattare una crisi politica in cui le ambizioni dei partiti,

le concorrenze personali, le differenze ideologiche, le difficoltà

oggettive sembrano insuperabili; in cui l'ingegno, la esperienza,, le

varie proposte affinate dagli esperimenti passati sembrano non

essere sufficienti a trovare una soluzione di collaborazione, di

pacificazione di tutte le forze in contrasto. Evidentemente noi

siamo troppo vecchi. Noi non sappiamo attingere ad una forza

ringiovanitrice, a una forza rinvigoritrice, a una forza che superi le

obiezioni quotidiane. Io sento il bisogno innanzi a voi di fare questa

confessione e quasi di domandarvene scusa. Eppure mi pare di

essermi lasciato guidare in tutta la vita solo da questo sentimento:

fare quello che vuole la coscienza sempre, giovine, eterna, di questa

nazione228.

Cosenza; Anselmo Michele e Bagnasco Umberto per Palermo; Ballatore Rosario per Trapani; Gullati Carmelo per Messina; Bellucci Santi Vittorio per Siracusa; De Simone Salvatore per Enna; Tuttobene Francesco e Torrisi Mariano per Catania». Cfr. I partecipanti al convegno, in «La Punta», 18 giugno 1945.

227L'elenco delle relazioni al convegno fu questo: il 12 giugno, la prolusione di De Gasperi; il 13 giugno Cesare Dall'Oglio su «Problemi dell'organizzazione», una visita alle redazioni de «Il Popolo» e de «La Punta», e in chiusura della giornata un altro dibattito sui problemi dell'organizzazione; il 14 giugno «La tradizione sociale cattolica e la Democrazia Cristiana» di Giorgio Tupini, una visita alle Acli, Giulio Romano su «Relazione sull'Organizzazione Nazionale Studenti Medi», Manlio Baldi su «Relazione sull'Organizzazione Nazionale degli Studenti Universitari»; il 15 giugno «Problemi organizzativi del lavoro» di Albertini, una visita al Circolo «Veritas», Criconia per il Programma economico-sociale; il 16 Franco Nobili su «Rapporti con gli altri movimenti», una visita alla Confederazione nazionale del lavoro, una relazione su partigiani e soldati; il 17 la chiusura con Giulio Andreotti in «Il nostro problema di giovani» e il ricevimento nella sede della Dc; cfr. ASILS, CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile, Programma del primo convegno dei Gruppi giovanili.

228De Gasperi riafferma ai giovani le ragioni ideali della Democrazia Cristiana. Libertà per noi e per tutti, in «Il Popolo», 13 giugno 1945. Nell'ottobre del 1945 arriverà anche l'importante riconoscimento dell'importanza dei giovani e dei Gruppi giovanili da parte di Sturzo, attraverso una lettera dall'America: «La vostra voce di richiamo perché io ritorni in patria mi è tornata la più gradita di tutte. […] Quei giovani che han saputo resistere alle

105

De Gasperi sposta poi l'attenzione sul problema della libertà: «Noi

vogliamo essere il Partito soprattutto della libertà: la libertà per noi, libertà per

la nostra coscienza, per la nostra dignità, per la nostra attività pubblica e privata,

ma della libertà anche per gli altri: la libertà del popolo italiano nei rapporti

internazionali, ma soprattutto nei rapporti interni»229. Per il leader trentino la Dc

si opporrà con ogni mezzo al ritorno di tentativi antilibertari, a nuove dittature, a

minoranze che impongono con la violenza la propria volontà: «Vogliamo

impedire che attraverso macchinazioni di parte o suggestioni di folle

irresponsabili si possa imporre al popolo italiano – che ha il diritto di ricorrere

all'arma delle schede e d'affermarsi liberamente, che si possano imporre delle

soluzioni che non sono sue»230.

Nei propri appunti preparatori Andreotti – che al termine dell'incontro

sarà confermato delegato nazionale231 – aveva evidenziato i punti fondamentali

su cui sarebbero ruotati i lavori congressuali e la linea che personalmente

avrebbe tenuto. Innanzitutto, sulle questioni prettamente politiche spetta agli

organi competenti prendere posizione; ai giovani deve essere riservata la facoltà

di proporre soluzione ai problemi organizzativi ed attivistici. Nel convegno ci si

facili infatuazioni fasciste di grandezze materiali prive di significato morale, oggi sono i più preparati a resistere alle vuote demagogie e ai tentativi di nuove dittature. La libertà, riottenuta al momento del più grave disastro per la Patria, vi sia cara sopra ogni altra civile conquista, perché con la libertà il Paese può rifarsi moralmente e civilmente, ma senza libertà l'Italia andrà in dissoluzione»; cfr. Appello di d. Sturzo ai giovani della Democrazia Cristiana, in «La Sorgente», 18 ottobre 1945.

229Ibidem.230Ibidem.231«I Delegati Provinciali dei Gruppi Giovanili del Partito […] hanno espresso la loro

riconoscenza e fiducia nel Delegato Nazionale e nell'Esecutivo, riconfermandogliela fino al prossimo Convegno Nazionale. L'Esecutivo Nazionale rimane così composto: dott. Cesare Dall'Oglio con incarico dell'organizzazione e propaganda; Edmondo Albertini per i problemi del lavoro; Manlio Baldi per gli studenti; Franco Nobili per i rapporti con le altre organizzazioni; dott. Giuseppe Criconia per l'organizzazione nell'Italia settentrionale»; cfr. Movimento Giovanile. Il primo Convegno Nazionale dei Delegati Provinciali, in «Democrazia Cristiana. Bollettino della Direzione del Partito», n.3, 14 luglio 1945.

106

soffermerà in modo particolare sulla partecipazione al Fronte della gioventù, a

cui, per ovvi motivi, si lega sia la questione dei Cln sia la questione

istituzionale.

L'unità di tutte le forze antifasciste, giovanili e non giovanili, sino

alla liberazione dal giogo nazifascista, è stata senza dubbio non

solo misura necessaria per l'efficienza nella lotta e nella resistenza,

ma proficuo esperimento di fraternità derivata dall'amore per i

comuni ideali di libertà e di pace. Lo svolgersi degli eventi

nell'Italia via via liberata ha però messo in chiara luce che contare

su di un'armonia assoluta e perpetua delle varie correnti politiche

restituite a libertà sarebbe ingenuo e colpevole. […] Il problema

del Fronte Unico Giovanile non è appunto che un aspetto di quello

più vasto dei Comitati di Liberazione […] i quali sono organismi

che vanno sostituiti, appena possibile materialmente, dai normali

organi politici e amministrativi democraticamente ricostituiti,

proprio come logico derivato della conseguita “liberazione”232.

232 «Spetta […] alle Assemblee e ai Consigli del Partito prendere posizione sulle questioni di carattere strettamente politico, essendo invece riservato alle assise qualificate di “giovani” il porre la soluzione di problemi organizzativi e attivistici. […] Un problema su cui nel Convegno dovremo fermarci in modo particolare è il Fronte Unico della Gioventù, organizzazione unitaria sorta nel Nord agli effetti della guerra di liberazione. La Democrazia cristiana ha concordemente ritenuto […] che cessata ormai la fase cospirativa e insurrezionale il “Fronte” abbia assolto con onore al suo compito e quindi i nostri debbano ovunque uscirne fuori. […] I giovani democratici cristiani promuoveranno invece dove possibile la formazione di organi consultivi giovanili, di secondo grado, cioè espressione non d'individui ma di gruppi i quali tutti conservano piena autonomia e libertà di manovra.: tali commissioni la cui funzione è organizzativa e non politica sono utili punti di incontro di varie forze per problemi specifici e, come ho detto, di natura tecnica. Sarà inoltre curato con attenzione speciale il coordinamento di tutte le forze cattoliche che conservano una loro opera comune, oltre ogni partizione politica. […] Di questa onnipotenza dei Comitati di Liberazione si vorrebbe che i giovani – così come le donne – unendosi in “organizzazione unitarie di masse” (brutto linguaggio di fonte facilmente identificabile) fossero la riserva e la base. Noi invece pensiamo che una concezione politica siffatta è il portato tipico dei regimi totalitari di cui conosciamo bene le attuazioni e che la insistenza con cui i comunisti perseguono queste campagne unitarie e “superpolitiche” mostra chiaramente di chi sarebbe il vantaggio della loro realizzazione»; cfr. ASILS, CA, serie “Democrazia cristiana”, b.997, Movimento giovanile, Appunti di Giulio Andreotti in preparazione del primo convegno nazionale dei Gruppi giovanili, (s.d.)

107

Il primo convegno nazionale chiude la questione dell'inquadramento dei

giovani all'interno del partito – confermando la linea adottata fino a quel

momento233 – ma contemporaneamente pone fine definitivamente anche alla

questione istituzionale, obbligando Andreotti a riconoscere come orientamento

maggioritario quello repubblicano, pur senza rinunciare alle sue

caratterizzazioni personali.

A chiusura dei lavori, infatti, «l'odg con affermazione repubblicana è

stato approvato con la seguente votazione: 62 favorevoli, 4 astenuti e 2

contrari»234 – fatto che riveste ancora più importanza tenendo conto che la

maggior parte dei convenuti proveniva dall'Italia centrale e meridionale – e il

testo viene pubblicato il giorno seguente sulle pagine de «Il Popolo»:

I Delegati Provinciali dei Gruppi Giovanili della Democrazia

Cristiana, riuniti nel I Convegno Nazionale di Roma, presa in

esame la questione istituzionale: Mentre riconoscono che gli organi

direttivi del Partito hanno rispettato le esigenze del metodo

democratico; Ritengono che il maturare degli eventi abbia reso

ormai urgente la convocazione del Congresso per una netta presa di

posizione; Convinti che una vera democrazia trovi piena

realizzazione e garanzia nella forma repubblicana, che la

monarchia per i suoi precedenti storici abbia perduto nella Nazione

ogni prestigio, condizione indispensabile alla sua funzionalità e

soprattutto persuasi che la permanenza dell'istituto monarchico

polarizzando e potenziando le forze conservatrici, impedirebbe la

fondazione del nuovo Stato democratico, si dichiarano decisi

233Si veda, ad esempio, l'intervento di Dall'Oglio: I lavori del Convegno. La relazione Dall'Oglio, in «La Punta», 25 giugno 1945.

234La terza giornata del Convegno dei giovani. Il programma politico del Partito all'esame dei congressisti. Un o.d.g. sul problema istituzionale. Discorsi di Scelba e Fuschini, in «Il Popolo», 16 giugno 1945.

108

assertori di una repubblica democratica, non come meta politica a

sé stante, ma come mezzo di attuazione di quelle conquiste

economiche e sociali alle quali tutto il popolo italiano giustamente

aspira; Auspicano che il prossimo Congresso Nazionale consacri la

volontà repubblicana del Partito, nella certezza che la Democrazia

Cristiana può garantire all'Italia una repubblica realizzatrice di

libertà e di giustizia, al di fuori di ogni monopolio di parte o di

fazione235.

La risultante delle indicazioni politiche emerse nel Convegno si può

ritrovare in quel «promemoria per la Direzione del Partito» che puntualizza la

posizione del movimento nei confronti dei più rilevanti temi dibattuti a Roma e

redatto da una Commissione composta da Criconia, Alberto Boyer, Lamberto

Scotti, Peppino Fabbri, Dall'Oglio e Michele Anselmo, promemoria per il quale

è lecito presumere, secondo Malgeri, un sostanziale intervento dello stesso

Dossetti236.

Se in tale documento viene accettato il ruolo che la Dc sta svolgendo

nell'assestamento del sistema politico, si criticano però le modalità d'intervento

e gli strumenti organizzativi utilizzati: in questo senso viene lamentata «la

mancanza di decisione, di spirito di iniziativa e di attivismo nella vita interna

del Partito e nella sua organizzazione ed opera di propaganda e di conquista»237.

È puntualizzata anche la «insufficiente selezione degli iscritti e dei dirigenti

spesso legati ad interessi o a concezioni e programmi estranei agli ideali del

Partito»238; mentre si segnala la scarsa incidenza di determinate forze sociali

(partigiani, giovani, donne, classe operaia) sulle decisioni del partito239.

235La fine dei lavori del Convegno Giovanile, in «Il Popolo», 17 giugno 1945.236F. Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia cristiana, vol. I, cit., p. 161.237Il documento è citato in G. Staffa, Il Movimento Giovanile Democristiano (1943-1948),

cit., p. 60.238Ibidem.239Ibidem.

109

Le preoccupazioni emerse dal «promemoria per la Direzione del

Partito» testimoniano il rapporto sempre più intenso instauratosi fra Criconia e

Dossetti viste le frustrazioni di entrambi di fronte alle difficoltà del movimento

giovanile. Già nel luglio del '45 il primo aveva scritto a Luigi Gui per proporgli

la convocazione di un convegno dei giovani dell'Alta Italia col fine di elaborare

una serie di punti da esporre al Consiglio nazionale che si sarebbe svolto in

agosto; Gui lo aveva però fermato adducendo che i giovani non avevano «le

idee chiare» e che non era opportuno determinare «scompigli»240.

Le divergenze di ordine politico, e non solo, con la struttura romana

sono infatti sempre più evidenti. Dopo una riunione a Verona dei delegati

giovanili regionali del nord Italia il 30-31 gennaio 1946, Criconia invia una nota

“strettamente riservata” a tutti i rappresentanti giovanili di quell'area geografica

non risparmiando critiche serratissime al partito, nell'imminenza delle elezioni

amministrative e dello stesso I Congresso nazionale della Dc. Criconia lamenta

una «condotta piuttosto lenta e incerta e scarsa di iniziativa e di vigore»241; in

particolare «il Partito deve raggiungere una chiara autonomia nei confronti delle

Autorità Ecclesiastiche ed i suoi dirigenti»242. L'attuale organizzazione

giovanile, sottolinea, ha portato al risultato di dividere le forze e aumentare la

burocrazia; la parte «anziana» del Partito ritiene «di aver data sufficiente

rappresentanza alla parte giovanile negli organi direttivi del Partito concedendo

ad essa il solo rappresentante previsto dal regolamento»243; in ultima istanza la

accentuata diversità della situazione ambientale tra le varie zone d'Italia «non

consente una regolamentazione rigidamente uniforme» all'interno del Partito

240E. Galavotti, Il professorino, cit., p. 350.241ADCRE, f.D2, b. “Movimento Giovanile D.C.”, Lettera di Giuseppe Criconia, 20 febbraio

1946. Le critiche mosse da Criconia non sfuggiranno certo ad Andreotti: nel maggio 1946 il delegato nazionale scriverà infatti che l'incontro di Verona «fu assai crudo verso le forme vigenti»; cfr: G. Andreotti, Guardiamo a noi, in «La Punta», 6 maggio 1946.

242Ibidem.243Ibidem.

110

stesso244.

Esemplificativa di una situazione di tensione molto simile a quella

descritta da Criconia può essere quella di Cremona descritta da Giovanni

Lombardi a Ottorino Rizzi nel gennaio del 1946:

Il problema dei giovani benchè fosse stato ampiamente discusso prima

ancora del Congresso, non ebbe mai, se non in questi ultimi tempi, una

soluzione definitiva. Ma anche oggi, nonostante qualche tentativo,

rimane troppo da fare in questo campo. Ho l'impressione che le sedute,

nelle quali s'incontrano i rappresentanti dell'A.C. del clero e del Partito

[…] siano rimaste prive di risultati pratici. Alcuni rilievi: i nostri

giovani se la prendono con l'A.C. e con i nostri dirigenti del Partito. I

problemi dei rapporti con l'A.C. essi non hanno dimostrato di saperli

risolvere, ma è anche vero che da parte dei dirigenti nostri non c'è

stato, da un po' di tempo, quell'assiduo interessamento per aiutare i

giovani a risolvere i loro problemi. Essi sono pure in disaccordo con il

Comitato Cittadino. Giustificato o meno tale atteggiamento (mi pare

che dall'una e dall'altra parte esistano degli equivoci) è necessario

provvedere perché cessi tale stato di cose245.

Alle preoccupazioni di Criconia risponderà infatti Dossetti; il reggiano

stava diventando un interlocutore importante per i settori giovanili del partito,

che trovavano incarnate in lui quelle pulsioni di rinnovamento che in altri settori

democristiani risultavano invece sistematicamente compresse. Significativo il

riscontro dato a Criconia:

Ciò che tu mi hai scritto sul convegno di Verona, mi conferma il

244Ibidem.245Archivio della Democrazia cristiana, Comitato regionale dell'Emilia Romagna, depositato

presso Archivio di Stato di Bologna, d'ora in poi ADCER, b.1, fasc. Varie anni 1946-47, Lettera di Giovanni Lombardi a Ottorino Rizzi, 1 gennaio 1946.

111

disagio e la crisi interna dei gruppi giovanili: evidentemente essi

non hanno ancora trovato il loro ubi consistam; né possono

trovarlo, permanendo l'attuale stato di cose. […] Non è esatto che

io volessi la soppressione della Punta: sono convinto che con la sua

diffusione limitatissima, essa non adempie a una funzione di

rilievo. Però io non ho preso nessuna iniziativa e non ho

manifestato alcun proposito di strangolamento. Come Andreotti sa

molto bene, l'iniziativa è partita da Restagno che – contro i miei

desideri, ma per ragioni finanziarie – avrebbe voluto unificare tutti

i periodici della Direzione in un unico minestrone246.

Galloni, delegato regionale dell'Emilia Romagna, fotografa nei propri

ricordi d'altronde il disegno complessivo.

Con la delegazione regionale del movimento giovanile, che si muoveva

in stretta intesa con Dossetti, si diede vita a un'attività formativa in tutte

le province del Nord Italia. Ricordo i collegamenti con Padova attraverso

l'allora delegato regionale dei giovani Carlo Donat-Cattin, con Genova e

con il vicedelegato regionale Gianni Baget Bozzo, con il delegato

regionale della Lombardia Grandi. D'accordo con Dossetti si

proponevano convegni formativi composti da pochi giovani, non più di

trenta. Venivano sentiti come relatori perlopiù Lazzati docente di Milano

o La Pira, docente di Firenze. Si parlava del cattolicesimo democratico

francese, come quello di Maritain, Mounier, Journet. Io stesso venivo

chiamato a parlare del popolarismo di Sturzo. I convegni erano di solito

conclusi da Dossetti. […] Tra i delegati regionali e provinciali dell'Alta

Italia si incominciò a preparare […] il Convegno per l'elezione del

delegato nazionale al posto di quello in carica247.

246E. Galavotti, Il professorino, cit., pp. 351-352.247G. Galloni, Postfazione. La Costituzione come base dell'alternativa, cit., p. 186.

112

2.2 I rapporti internazionali

Prima di continuare l'analisi delle politiche “interne” ai Gruppi giovanili

occorre soffermarsi brevemente su un altro aspetto di non minore importanza: le

politiche per modo di dire “estere”. La situazione postbellica, infatti, presentava

un quadro delle relazioni internazionali radicalmente diverso rispetto a quello

definitosi tra le due guerre mondiali e la stessa percezione del ruolo che un

paese come l'Italia avrebbe potuto giocare in campo internazionale era

profondamente mutata.

L'idea di dar vita a una organizzazione internazionale dei partiti politici

a ispirazione cristiana non aveva trovato terreno fertile negli anni dell'egemonia

liberale, dalla Restaurazione alla fine del secolo XIX; le diverse situazioni

politico-religiose nazionali rendevano difficile una unità d'intenti e un rapporto

di collaborazione tra forze politiche che pur si ispiravano a valori comuni248.

Le prime realizzazioni a livello internazionale di organizzazioni

politiche di ispirazione cristiana cominciano a formarsi alla fine del primo

conflitto mondiale. Proprio in seno al Partito popolare italiano, grazie anche alla

convinta determinazione di Sturzo, aveva preso corpo il “sogno” di

un'Internazionale democristiana249.

Tale sogno svaniva nella tragedia della guerra; ma proprio la guerra, con

le sue drammatiche conseguenze, favorì una più convinta volontà di intesa e di

collaborazione fra i partiti di ispirazione democratico-cristiana, molti dei quali,

come la Dc, assumevano un ruolo di primissimo piano nella vita politica

europea.

248F. Malgeri, Il sogno dell'internazionale DC, in J.D. Durand (a cura di), Les Nouvelles équipes internationales. Un movimento cristiano per una nuova Europa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008, pp. 107-109.

249R. Papini, Il coraggio della democrazia. Sturzo e l'Internazionale popolare tra le due guerra, Studium, Roma 1995, pp. 96-97.

113

Alcune dinamiche di collaborazione internazionale fra partiti possono

essere rilevati anche all'interno dei rispettivi movimenti giovanili.

Il 10 novembre del 1945, infatti, a Londra, nasce la World federation of

democratic youth. Nella capitale inglese si ritrovano 16 delegazioni di diversi

paesi, ognuna composta da 21 elementi: per i Gruppi giovanili Dc vi

partecipano Nobili, Albertini e Manlio Mazzotti, e della delegazione italiana fa

parte anche il segretario generale della Gioventù di Azione cattolica Emilio

Colombo250. L'invito a partecipare era stato pubblicato con grande rilievo da

«La Punta»251, e, prima della riunione, l'atteggiamento ufficiale dei giovani Dc

era stato sostanzialmente ottimistico252.

È di buon auspicio che la prima manifestazione di un organismo

delle Nazioni Unite, cui l'Italia partecipa in condizioni di piena

parità, sia la Conferenza mondiale della Gioventù. Ciò dimostra

che i giovani, i quali pure hanno fatto, come combattenti, la più

diretta e più dura esperienza della guerra, non intendono indulgere

a quegli sterili rancori che avvelenano i rapporti internazionali e

che sono egualmente pregiudizievoli a tutti i popoli. La

delegazione italiana si reca a Londra animata da un vivo

sentimento di gratitudine verso il Consiglio Mondiale della

Gioventù […] Come è noto, quattro temi sono proposti alla

discussione dei giovani: contributo della gioventù nella lotta al

nazifascismo; punto di vista dei giovani sui problemi della

ricostruzione morale e materiale del dopoguerra; problemi

giovanili specifici; organizzazione internazionale della gioventù253.

250ADCRE, f. D2, b. “Rapporti con altri partiti”, Circolare di Franco Nobili, 8 dicembre 1945.

251M. Mariani, I giovani democristiani invitati a Londra dal Consiglio Mondiale della Gioventù, in «La Punta», 19 marzo 1945.

252M. Di Celso, I giovani democristiani e la Conferenza della Gioventù, in «La Punta», 17 settembre 1945.

253M. Di Celso, La nostra voce a Londra, in «La Punta», 29 ottobre 1945.

114

La realtà a Londra, secondo quanto riporta Nobili, sarà radicalmente diversa:

Il livello intellettuale e culturale della conferenza è stato

bassissimo. La procedura è stata quanto di meno democratico si

potesse immaginare. Mentre l'assemblea dissertava a vuoto, il

“presidium” conduceva avanti i lavori sottoponendo all'assemblea,

di quando in quando, i risultati, che venivano approvati in blocco e

in genere per acclamazione. Così fu per lo statuto della

federazione mondiale della Gioventù democratica che venne

approvato dopo un'unica, affrettata lettura, senza una discussione

adeguata. […] Lo statuto della federazione ha carattere esecutivo:

esso impegna cioè le organizzazioni aderenti ad eseguire le

deliberazioni degli organi della Federazione, che hanno poteri

assai ampi, creando così, per le organizzazioni dipendenti da

organi superiori (come il nostro Movimento giovanile) una

situazione insostenibile: si verrebbe infatti a dipendere da due

autorità che nulla permette di presumere concordi. Questa – oltre il

carattere comunisteggiante di tutta l'organizzazione – è la ragione

principale per cui non abbiamo aderito254.

254ADCRE, f. D2, b. “Rapporti con altri partiti”, Circolare di Franco Nobili, 8 dicembre 1945. Si legga anche la ricostruzione di Nobili delle decisioni prese a Londra dalla delegazione italiana della Cgil: I rappresentanti della Commissione Giovanile della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (C.G.I.L.) si trovarono allora divisi, in merito all'adesione a detta Federazione; infatti il rappresentante comunista era per l'adesione incondizionata, i rappresentanti democristiano e socialista (elemento antifusionista del PSI) erano invece contrari. Si stabilì allora che la questione si sarebbe dovuta discutere al ritorno della delegazione a Roma in comune accordo con la Segreteria Confederale; ma il giovane Fredduzzi, rappresentante comunista nella Commissione Consultiva presso la CGIL, agendo all'insaputa degli altri due rappresentanti della Commissione stessa, informò telegraficamente l'On. Di Vittorio, il quale di comune accordo con l'On. Lizzadri (elemento notoriamente fusionista del PSI) senza informare il nostro rappresentante On. Grandi, firmò un telegramma nel quale si dava mandato alla Commissione Giovanile di aderire al WFDY. In questo modo la Commissione Consultiva Giovanile della CGIL si è trovata a fare parte della WFDY costringendo all'adesione i giovani democristiani e socialisti, i quali come iscritti ai loro rispettivi partiti, non avrebbero voluto farne parte. Si è cercato da parte nostra di ottenere il ritiro dalla Federazione della Commissione Giovanile della CGIL ma anche

115

Il risultato del convegno di Londra, insomma, per Mazziotti, «è stato

quanto mai sconfortante: non per partito preso ma per semplice amore della

verità dobbiamo dire che quasi mai ci è avvenuto di ascoltare un'idea che

uscisse fuori dalla banalità del frasario politico oggi di moda»255.

Scrive Dall'Oglio:

Sono stati sbandierati da alcuni i fronti unitari e le così dette

organizzazioni di massa: ma non è nel rafforzare tutti i giovani nel

nebuloso e nel generico che si formano le personalità, tutti

riducendo, delle più diverse tendenze, sotto il comune

denominatore di un antifascismo che pare ignori che quell'effimera

ed artificiale unitarietà fu caratteristica del defunto regime256.

Puntualizza infine Manlio di Celso:

Noi siamo lieti che alcune organizzazioni giovanili italiane

occupino i posti assegnati all'Italia nel Consiglio della Federazione

Mondiale della Gioventù Democratica, ma non intendiamo affatto

che queste si arroghino il diritto di una rappresentanza totale della

nostra gioventù. Non c'è rappresentanza dove non c'è mandato e

nessuno ha conferito a quelle organizzazioni il mandato di

rappresentare gli assenti. Sia ben inteso che qualunque tentativo di

attribuirsi diritti arbitrari incontrerebbe da parte nostra una netta e

decisa reazione257.

per il parere che alcuni democristiani i quali non volevano che all'estero si fosse criticata la manovra secessionista della CGIL come un atto di poca serietà, si dovette cedere a tale opinione e si tirò avanti fino ad ora»; cfr. Ibidem.

255M. Mazziotti, Esiste una politica giovanile?, in «La Punta», 10 dicembre 1945. 256C. Dall'Oglio, I giovani nella Democrazia Cristiana, in «La Punta», 10 dicembre 1945. 257M.d.C., Note sulla conferenza di Londra, in «La Punta», 21 gennaio 1946.

116

Una dialettica più o meno analoga torna a verificarsi al Congresso

internazionale degli studenti che si svolge a Praga dal 17 novembre al 4

dicembre 1945 alla presenza di 800 delegati di oltre 63 paesi258. Benché fossero

presenti la maggior parte delle organizzazioni universitarie cattoliche, tra cui

quelle francesi, belghe, inglesi, svizzere, olandesi, austriache, ed i

rappresentanti dei movimenti giovanili democristiani di Francia, Belgio,

Ungheria, Svizzera e Italia, «si è dovuta subire durante i lavori della conferenza

una superiorità comunista, superiorità diretta dalla numerosissima delegazione

sovietica e dovuta a una preparazione al Congresso che mancata nelle

organizzazioni cattoliche è stata invece accurata in quelle comuniste»259. Anche

a Praga, come riporta Nobili, i risultati sono stati deludenti: «La non elettività

della maggior parte dei delegati […] non ha permesso al congresso di prendere

decisioni su alcun problema, ma soltanto di esprimere voti e raccomandazioni al

Comitato preparatorio costituitosi allo scopo di preparare un nuovo

Congresso»260.

In entrambe le occasioni, sia a Londra che a Praga, l'occasione è però

propizia per i delegati dei Gruppi giovanili Dc per stringere contatti con

organizzazioni giovanili di ispirazione cristiana di altri paesi. A Londra, ad

esempio, si era avuto modo di confrontarsi con i giovani rappresentanti del

Mouvement républicain populaire261, tanto che Nobili e Albertini, dal 18 al 18

258ADCRE, f. D2, b. “Rapporti con altri partiti”, Circolare di Franco Nobili, 13 dicembre 1945. «I lavori hanno avuto come oggetto di dibattito la partecipazione degli studenti alla lotta armata e alla guerra di liberazione di ogni paese contro i tedeschi, l'esame dell'attuale situazione delle sedi universitarie danneggiate dalla guerra, l'organizzazione internazionale universitaria, ed i rapporti fra questa nuova organizzazione studentesca e le altre organizzazioni giovanili internazionali»; cfr. F. Nobili, Il Congresso degli studenti a Praga, in «La Punta», 21 gennaio 1946.

259Ibidem.260F. Nobili, Il Congresso degli studenti a Praga, in «La Punta», 21 gennaio 1946.261Sul Mouvement républicain populaire si veda G. Vecchio, La Democrazia cristiana in

Europa (1891-1963), Mursia, Milano 1979, pp. 99-107.

117

dicembre 1945262, avevano potuto partecipare al II Congresso del partito

francese263.

A Praga, invece, come riporta Nobili,

Maggiormente proficui sono stati i contatti con i rappresentanti

dell'Azione cattolica con i quali ci siamo potuti incontrare varie

volte nella sede della “Pax Romana” a Praga. I vari rappresentanti

nei colloqui avuti con loro ci hanno espresso la loro

preoccupazione nel non avere i cattolici delle organizzazioni

internazionali efficienti e talmente attrezzate da far fronte a

qualsiasi altra organizzazione similare internazionale contraria ed

opposta. Nell'ultima riunione che si è svolta nell'abbazia di Stracov

e che era presenziata dall'Incaricato d'Affari della S. Sede Mons.

Forni, i delegati cattolici hanno formulato voti per una più

efficiente organizzazione internazionale universitaria presentando

anzi dei progetti che verranno discussi nel prossimo congresso

della “Pax Romana” che si terrà a Friburgo in Svizzera nella prima

decade di marzo del c.a264.

262M.B., Il Congresso del M.R.P., in «La Punta», 7 gennaio 1946.263«In seno al Partito esistono delle branche specializzate che corrispondono pressapoco ai

nostri Movimenti Giovanili e Femminili. […] La delegazione italiana ha avuto, soprattutto il giorno della chiusura del Congresso numerosi contatti con gli esponenti del MRP. Ad un ricevimento offerto dal Ministro degli Esteri Bidault, questi ha brindato con la Delegazione italiana all'amicizia italo- francese e ha avuto parole di amicizia per De Gasperi. […] Nell'ultimo colloquio che Nobili ebbe con Gilibert si è deciso di inviare a tutti i movimenti giovanili uno schema di statuto di costituzione di un ufficio internazionale di informazioni da esaminare e da approvare poi in un eventuale incontro tra i vari rappresentanti. Tali schemi sono già stati inviati ai movimenti giovanili democristiani dei seguenti Paesi: Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Francia, Inghilterra, Olanda, Spagna (Baschi), Sud-America, Svizzera, Ungheria»; cfr. ADCRE, f. D2, b. “Rapporti con altri partiti”, Circolare di Franco Nobili, 28 dicembre 1945.

264ADCRE, f. D2, b. “Rapporti con altri partiti”, Circolare di Franco Nobili, 13 dicembre 1945. Nobili riporta anche i contatti avuti a Praga con i rappresentanti del Partito della democrazia popolare: «Il Partito che ha dato la maggior parte di iscritti alla lotta della resistenza ed alla guerra di liberazione è oggi diretto da mons. Sramek il quale, inoltre, insieme a mons. Hala e all'Ing. Procaska, rispettivamente Ministri delle Poste e dell'Igiene, come Vice presidente del Consiglio rappresenta la Democrazia Popolare nel governo di coalizione che costituitosi a Londra durerà fino alle elezioni politiche. Con i tre Ministri

118

A Praga sono comunque fitti anche i confronti con i rappresentanti dei

movimenti giovanili di ispirazione cristiana di diversi paesi, anche extra

europei265.

Abbiamo tutti potuto notare come esiste una politica comunista

abbiamo avuto la possibilità di incontrarci in colloqui privati durante i quali essi hanno avuto parole veramente di ammirazione per l'On. De Gasperi e per la Democrazia Cristiana in genere, mentre si sono mostrati favorevoli alla costituzione di un ufficio internazionale di coordinamento fra i movimenti Dc, ritenendolo utile e necessario. L'organizzazione della Democrazia popolare, estesa per tutta la Repubblica Cecoslovacca meno che in Slovacchia dove è impossibile la costituzione di un partito di ispirazione cristiana (proibizione del governo) per il fenomeno di collaborazione “Tiso”, è simile alla nostra su campo nazionale, provinciale e comunale con organi intermedi di collegamento regionale e dipartimentale. Il Movimento giovanile diretto dal deputato Ing. Synek Siudrich è bene organizzato. I suoi iscritti numericamente non molti, hanno partecipato nella maggior parte alla resistenza clandestina ed alla guerra di liberazione facendo acquistare la loro movimento un enorme prestigio sulla massa per lo più agnostica dei giovani. Il movimento giovanile che gode nei confronti del partito di una autonomia organizzativa e amministrativa ma non politica, possiede una struttura organizzativa simile alla nostra. I giovani demopopolari con i quali ci siamo più volte incontrati illustrando loro i nostri gruppi giovanili e la nostra attività, svolgono nelle loro sedi, che sono le stesse del partito, attività soprattutto sociale culturale e sportiva. I giovani studenti ed operai hanno creato università popolari, doposcuola e palestre ginnastiche alle quali aderiscono con entusiasmo anche giovani indipendenti. La direzione del movimento giovanile è affidata all'Ing. Synek Siudrich che insieme ad altri 6 giovani costituisce l'esecutivo del movimento stesso, mentre la commissione centrale è composta dall'Esecutivo e dai 18 delegati provinciali. Nell'organizzazione del movimento giovanile è da notare che l'iscrizione a questo va fin dai 14 anni acquistando la persona con la semplice adesione il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni delle cariche sociali. Possibilità di collaborazione tra i due Partiti e tra i due movimenti giovanili. A Praga, come abbiamo già detto, i rapporti tra noi ed i rappresentanti della Democrazia Popolare (in particolare con il capo dei giovani Ing. Siudrich) sono stati cordialissimi. Circa una eventuale internazionale giovanile democristiana abbiamo potuto parlare in alcuni colloqui avuti con mons. Sramek, con mons. Hale e con l'Ing. Prockaxks. Queste tre personalità della Democrazia Popolare si sono mostrate favorevoli verso tale organizzazione sperando di poterla attuare presti anche per i partiti. Nella riunione che fu fatta nella sede della Democrazia Popolare ed alla quale parteciparono i rappresentanti dei vari movimenti giovanili democristiani essi furono inoltre concordi nella creazione immediata di un ufficio d'informazione internazionale che dovesse poi tramutarsi in un organismo a cui potessero federarsi tutti i movimenti giovanili»; cfr. Ibidem. Su Pax Romana si veda G. Campanini, Pax Romana fra memoria e futuro. Nel sessantesimo di fondazione del «ramo intellettuale», in «Studium», a.103, n.4, luglio-agosto 2007, pp. 499-513.

265«Al Congresso di Praga erano presenti anche i rappresentanti dei movimenti giovanili democristiani dei seguenti paesi: Austria (partito cristiano-sociale), Belgio (partito

119

internazionale la quale ha creato in ogni paese il Fronte della

Gioventù e il Fronte della Donna, cercando l'adesione a tale

organismo delle masse democratiche cristiane per l'unificazione di

tutta la gioventù e di tutte le donne. In tutti i paesi meno in

Cecoslovacchia, dove ancora per ragioni tattiche ciò non è potuto

avvenire, i democristiani sono contrari a tali organismi di massa

che in ciascuna nazione stavano esautorandosi e si possono

identificare senz'altro come movimenti para comunisti266.

La strategia internazionale nei confronti dei giovani messa in piedi dai

partiti comunisti è talmente evidente che la discussione si orienta verso la sola

soluzione possibile: la creazione di un «ufficio internazionale d'informazione»

giovanile da tramutare, in un secondo momento, in organismo permanente.

Come sede di tale ufficio informazioni fu proposta dai vari

delegati l'Italia e fu dato ai delegati italiani l'incarico di studiare un

progetto di organizzazione internazionale che si sarebbe dovuto

diffondere a tutti i movimenti giovanili che in una prossima

riunione da decidere, avrebbero poi, intese le loro direzioni

centrali, raggiunto l'accordo definitivo. Da tutti i rappresentanti,

noi italiani abbiamo avuto parole di ammirazione per l'Italia e per

la Democrazia Cristiana che, benché all'estero sia poco conosciuta

sulla sua organizzazione e sulla sua attività, è ritenuta come il

principale movimento politico dei cattolici e verso la quale sono

cristiano-sociale), Cecoslovacchia (partito democrazia popolare), Francia (movimento repubblicano popolare), Olanda (movimento popolare), Sud America, Spagna-Baschi (partito nazionale basco), Svizzera (partito conservatore), Ungheria (partito dei piccoli proprietari). Quello che abbiamo notato è stata la differenza che esiste tra alcuni paesi democristiani ed altri. Infatti alcuni come il Belga e il Francese ed il Cecoslovacco hanno fatto presente il rinnovamento avvenuto nel proprio partito subito dopo il termine della guerra, sia nei quadri dirigenti e sia nel programma economico-sociale, invece altri partiti come lo svizzero e l'olandese non hanno avuto tale rinnovamento rimanendo sulle stesse posizioni economiche e sociali dell'anteguerra»; cfr. Ibidem.

266Ibidem.

120

rivolti gli sguardi attenti di tutti gli altri movimenti affini. Il nome

dell'On. De Gasperi è conosciutissimo ed egli è ritenuto come

l'unico uomo che in questo momento possa ridare al paese una

vera democrazia ed una vera libertà267.

Un secondo incontro internazionale degli studenti si terrà ancora a

Praga, a partire dal 22 agosto del 1946. Manlio Baldi, sulle pagine de «La

Punta» avverte il Comitato internazionale che lavorava all'organizzazione di tale

appuntamento puntualizzando che, per quanto riguarda la situazione italiana,

tuttora «non vi è un organismo nazionale ma soltanto diverse organizzazioni

studentesche»268. Questo anche in risposta a «l'Unità»; il quotidiano del Pci

sollevava dubbi sulla effettiva rappresentatività della delegazione italiana

denunciando, alla fine del luglio, «una serie di manovre per evitare la

discussione»269. Aldo Vercellino, sempre su «l'Unità», aveva denunciato

«manovre contro l'unità dei giovani»:

da fatti fin troppo chiari risulta che Franco Nobili è la persona

meno indicata per parlare […] Anzitutto, per chi non lo sapesse,

Franco Nobili è colui che, firmata a Londra una dichiarazione sul

F.M.D.G., fu tanto conseguente e chiaro da mettervi una croce

sopra non appena di ritorno in Italia. Poco dopo si recò a Praga

dove, con i suoi interventi, tentò invano di sabotare la Conferenza

Internazionale degli Studenti. Ora sembra che abbia intenzione di

recarsi di nuovo a Praga col preciso intendimento di impedire la

costituzione di un organismo studentesco internazionale270.

267Ibidem.268ADCRE, f. D2, b. “Rapporti con altri partiti”, Circolare di Manlio Baldi, 30 luglio 1946. Si

legga anche M. Baldi, La nostra posizione, in «La Punta», 15 luglio 1946.269Il congresso internazionale degli studenti, in «l'Unità», 26 luglio 1946.270A. Vercellino, Manovre contro l'unità dei giovani, in «l'Unità», 13 luglio 1946.

121

Anche in questa occasione le aspettative alla partenza sono molto alte;

per Baldi potrà essere una buona occasione per dare vita a un «“Ufficio

internazionale universitario” che promuova scambi culturali e la conoscenza

degli studenti fra i vari Paesi; che risolva esclusivamente tutti i problemi di

carattere internazionale che interessano gli studenti universitari in quanto

tali»271, un Ufficio internazionale che in ogni caso «soprattutto non vincoli

l'indipendenza dei vari organismi che ne facciano parte»272. Nobili aveva inoltre

sottolineato come, a suo avvio, dovranno essere «esclusi tra il nuovo organismo

internazionale universitario e la Federazione Mondiale della Gioventù qualsiasi

vincolo o rapporto organizzativo caldeggiato invece da alcuni nostri

colleghi»273.

Anche il secondo incontro di Praga, secondo l'opinione dei giovani

delegati democristiani, registra però pessimi risultati e la scintilla è la questione

triestina, nodo politico su cui si era dibattuto ampiamente su «La Punta»274;

l'aperto dissidio di Nobili con la dirigenza del Fronte della gioventù era

d'altronde già iniziata ben prima di partire per la capitale ceca275, ed era stato

271M. Baldi, Contributo giovanile alla pace fra i popoli, in «La Punta», 19 agosto 1946.272Ibidem.273F. Nobili, Cosa diremo a Praga, in «La Punta», 12 agosto 1946.274Al centro di una contesa internazionale fra Italia e Jugoslavia, Trieste veniva dipinta sulle

pagine de «La Punta» come una città in balia delle carneficine compiute dalle truppe di Tito e della giustizia sommaria cui erano avvezzi quei «novelli Unni»; la disperata situazione politica ed economica era causata dal «sogno imperialista del Maresciallo Tito»; cfr. P. De Simone, Il dramma della Venezia Giulia. Situazione economica dell'Istria, in «La Punta», 21 gennaio 1946. Scrive Andreotti: «Ho incontrato domenica a Milano amici che provenivano da Trieste e dalle altre città giulie, dell'una e dell'altra zona: uno veniva da Capodistria, sfuggito quattro giorni prima alla bestiale razzia fatta dagli slavi ubriachi e fanatici, che è costata la vita a sei innocenti italiani […] certo la corda così tesa potrebbe spezzarsi. Oggi comunque si impone il dovere della fraternità piena e della solidarietà affettuosa con gli italiani dell'Istria e della Dalmazia che stanno combattendo una battaglia durissima […] L'Unità di Roma ancora una volta ha voluto in occasione dei fatti di Capodistria propinare la sua ipocrita ed ambigua predica agli italiani […] ci auguriamo insieme che siano messi al bando tutti coloro, servi sciocchi ed usurpatori di rappresentanze, che tentano di castrare il Paese in omaggio alle loro ideologie di parte»; cfr. G. Andreotti, Viva Trieste, in «La Punta», 12 novembre 1945.

275«Il non troppo giovane comunista Aldo Vercellino nel numero dell'Unità di ieri in un

122

aggravato dall'espulsione dalla Dc, il 25 agosto, di Valentino Galeotti, membro

dei Gruppi giovanili reo di partecipare alla delegazione del Fronte della

gioventù guidata da Berlinguer in visita a Mosca proprio in quei giorni e di

rilasciare a «l'Unità» dichiarazioni ampiamente positive sulla libertà religiosa e

di culto nell'Urss di Stalin276.

Il Comitato promotore a Praga non ammette, infatti, i due triestini

“italiani”, ne proclama l'espulsione causando il ritiro della delegazione

democristiana277.

Giuliano Pajetta commenta su così su «l'Unità» la decisione presa dalla

delegazione guidata da Nobili.

Una volta di più occorre ristabilire la verità […] Dal Congresso

non si è ritirata la delegazione italiana come tale, ma una parte dei

violento e quanto mai settario articolo contro i giovani cattolici in genere, ci onora di nominarci paladini di «attacchi a fondo» contro la Federazione Mondiale della Gioventù democratica […] L'articolista però, e non abbiamo ben compreso il perché, non specifica il motivo di questi violenti attacchi, giustificati invece, com'è noto, da una lettera della FMGD stessa ai quattro Ministri degli Esteri riuniti a Parigi per la stesura del trattato di pace con l'Italia, nella quale si chiedeva che le questioni di Trieste e della Venezia Giulia fossero risolte secondo le proposte della Jugoslavia. E cosi prendendo spunto da un passo compiuto, nelle funzioni di presidenti della Delegazione italiana al Congresso di Londra, da noi e da Matteo Matteotti, dirigente della FGS, ci si accusa di poca chiarezza di idee e di fatti solo perché ci siamo opposti e ci opponiamo acché le organizzazioni giovanili italiane aderiscano a movimenti giovanili internazionali legati a ideologie politiche comunisteggianti e di natura chiaramente antidemocratica»; cfr. F. Nobili, Chiarire e non confondere, in «La Punta», 6 agosto 1946.

276«Valentino Galeotti, membro dell'organizzazione giovanile della Democrazia cristiana, ha dichiarato di aver voluto in particolare accertare la fondatezza delle voci che circolano sulla libertà di credo nell'U.R.S.S. Ho potuto constatare – ha detto – che ogni cittadino sovietico è pienamente libero di seguire una qualsiasi confessione religiosa, di aderire ad una qualsiasi comunità religiosa e di praticare le cerimonie religiose che crede. Il governo sovietico mantiene un atteggiamento perfettamente imparziale nei confronti di tutte le Chiese esistenti nell'U.R.S.S.»; É tornata dall'Unione sovietica la delegazione giovanile italiana, in «l'Unità», 20 agosto 1946. «Il Galeotti, come il suo collega Nisi, benchè iscritti alla D.C., per la loro appartenenza al F.D.G. e per il comportamento tutt'altro che coerente a quella disciplina minima, ma pur indispensabile, richiesta a qualsiasi aderente al nostro movimento, sono da considerarsi espulsi dal Partito»; Il caso”Galeotti”, in «La Punta», 26 agosto 1946.

277T. Lollobrigida, Cosa succede al Congresso di Praga?, in «La Punta», 26 agosto 1946.

123

suoi membri, mentre gli studenti socialisti, comunisti e

indipendenti partecipano ai lavori. […] Qualche settimana prima

del Congresso il Comitato organizzatore di Praga comunicava agli

universitari italiani le modalità della partecipazione, annunciando

tra l'altro […] che non potevano essere considerati membri della

Delegazione italiana eventuali delegati universitari triestini, non

essendo definita la nazionalità di tale città. […] Ma qualcuno a

Praga la sciocchezza la vuole fare lo stesso278.

Per Nobili invece

come già a Londra anche a Praga, accertato il fatto della strana

assoluta prevalenza dei delegati marxisti in quasi tutte le

delegazioni, il Congresso invece di discutere i problemi della

gioventù studentesca in campo internazionale si è attardato in

prolungate discussioni di carattere politico con le inevitabili diluite

finali affermazioni di “lotta in tutto il mondo per l'abbattimento del

fascismo e per il consolidamento della democrazia”. Affermazioni

per noi puramente retoriche e senza alcun contenuto279.

A Nobili risponde a propria volta Giorgio Napolitano:

278Continua Pajetta: «E così, nel momento in cui sorge una grande Federazione Mondiale, a cui aderiscono le Associazioni Studentesche di tutti i Paesi, ad eccezione dell'Olanda, con questi milioni di studenti democratici non dovrebbero stare gli italiani. Secondo l'opinione dei “fucini” e di alcuni “goliardissimi” è meglio restarne fuori come se ne stanno fuori gli studenti falangisti spagnoli o quelli monarchici di Tsaldaris. Un “bel gesto” nazionalista e una nuova insania antitaliana. Non sappiamo a chi farà rapporto Franco Nobili, se alle gerarchie vaticane in quanto eletto nelle liste della FUCI, o all'on. De Gasperi in quanto esponente giovanile democristiano o a tutti e due assieme. Può darsi che qualcuno lo feliciti e gli dica che è stato conseguente alla linea che ha voluto Ivo Murgia a Salamanca in casa di Franco e non Galeotti a Mosca fra i giovani sovietici»; G. Pajetta, Nazionalismo di cattiva lega, in «l'Unità», 31 agosto 1946.

279F. Nobili, Il congresso goliardico a Praga. I delegati triestini e le ragioni del nostro ritiro, in «La Punta», 8 settembre 1946.

124

Franco Nobili sul «Popolo» sostiene che fra i delegati vi era una

«strana assoluta prevalenza di marxisti» […] e come comunista

non avrei che da congratularmene dato che erano rappresentati

democraticamente 2600000 studenti dei 35 principali paesi del

mondo280.

Come a Londra, al termine dei lavori congressuali, era nata la

Federazione mondiale della gioventù, dal secondo appuntamento di Praga

nascerà la Unione internazionale degli studenti: per Nobili, «entrambi strumenti

del disegno comunista di soggiogare la gioventù mondiale»281.

2.3 Roma, Assisi, Firenze.

Se deludenti erano stati, come abbiamo visto, gli appuntamenti di

Londra e Praga, altrettanto deludente era stato per i Gruppi giovanili il primo

Congresso nazionale della Dc svoltosi a Roma dal 24 al 28 aprile 1946, a cui i

rappresentanti avevano potuto partecipare ma con semplice facoltà di parola,

non di voto282.

Il 23 aprile i delegati giovanili si erano riuniti nella sede di piazza del

Gesù per discutere i punti riguardanti la loro organizzazione presenti nella

bozza del progetto di statuto del partito. Dopo gli interventi di Andreotti,

Dall'Oglio, Criconia, Nobili, Ardigò, Gui e Felice Manfredonia, veniva

nominata una commissione con l'incarico di presentare al Congresso degli

280Il congresso internazionale degli studenti a Praga. É nata l'U.I.S., in «l'Unità», 31 agosto 1946.

281ADCRE, f. D2, b. “Rapporti con altri partiti”, Circolare di Franco Nobili, 9 settembre 1946.

282C. Dané (a cura di), Dai Congressi DC dell'Italia liberata (1943-1944) alla prima Assise Nazionale (1946), cit., p. 108.

125

emendamenti proposti; il 25 aprile, invece, in occasione dell'anniversario della

Liberazione, i Gruppi giovanili avevano inaugurato una mostra storico-

propagandistica, allestita nella sede di piazza del Gesù, realizzata con il

concorso dei maggiori centri dove si era svolta l'attività partigiana

democristiana283.

Nonostante tutto, le parole di De Gasperi in apertura dei lavori erano

state elogiative284; una voce di sostegno era arrivata inoltre da Ravioli: «la DC è

un partito di giovani, non l'erede del vecchio conservatorismo cattolico»285; un

elemento di interesse per i giovani, inoltre, era consistito nella conferma, in sede

di assise politica, di quanto già precedentemente assunto a livello giovanile, e

cioè l'affermazione dell'orientamento repubblicano che ottenne al congresso il

69,1% dei voti. La soddisfazione dei giovani per questa decisione era stata

evidente, come testimonia l'intervento di Franco Maria Malfatti su «La Punta» il

6 maggio, tre giorni prima dell'abdicazione di Vittorio Emanuele III in favore

del figlio Umberto.

Nel 1924 quale ostacolo oppose il re al fascismo? […] La

monarchia che permise il fascismo, la monarchia che lo sopportò

per venti anni, la monarchia che assalì l'Etiopia, la Spagna,

l'Albania, la Francia, la Russia, la Jugoslavia, la Grecia,

l'Inghilterra, l'America, la monarchia screditata nei suoi

rappresentanti che, servili, soggiacquero alla tirannia e, succubi,

servirono il despota […] Le ragioni addotte dai monarchici non

sono affatto convincenti, né vale ormai affermare che la repubblica

283Ivi, pp. 112-113284«Nel Movimento Giovanile abbiamo avuto: un Convegno Nazionale, 13 Convegni

regionali, 152 Convegni provinciali, centinaia di visite di propaganda. Una delegazione giovanile democristiana ha partecipato a Londra al Congresso mondiale della gioventù ed a Praga a quello internazionale degli universitari. I giovani hanno svolto una intensa attività sportiva, vincendo campionati periferici nelle squadre della «Libertas», il cui Centro nazionale è stato egregiamente diretto da Giammei»; cfr. Ivi, p. 139.

285Ivi, p. 229.

126

rappresenta il salto nel buio: la Democrazia Cristiana

pronunziandosi a favore della forma repubblicana ha validamente

contribuito a smantellare questo luogo comune. Il frazionamento

delle forze crea uno stato non appoggiato dalla totalità del popolo,

uno stato debole esposto alle avventure liberticide, siano esse

reazionarie, siano esse rivoluzionarie286.

L'inadempimento di uno dei punti del programma di convocazione del

Congresso, quello cioè dell'approvazione del testo definitivo dello statuto, e il

rinvio della sua stesura definitiva stessa, aveva però penalizzato notevolmente i

Gruppi giovanili, determinando il rinvio di una regolarizzazione completa dei

Gruppi stessi.

Dall'Oglio alla vigilia del Congresso chiedeva infatti

nuove linee di struttura dei Gruppi Giovanili […] non ritorno al

vecchio articolo 11, sia per il principio paternalistico che lo

caratterizza, diseducativo per i giovani sia perché, non prevedendo

una organizzazione nazionale, non fornisce uno strumento idoneo a

contrastare il Fronte della Gioventù e le Federazioni Giovanili […]

l'età di appartenenza ai gruppi Giovanili fissata dal

quattordicesimo al ventunesimo – ventitreesimo circa, e non più

sino al ventottesimo287.

D'altronde, è la giustificazione adottata dalla dirigenza, «il partito è un

organismo ancora giovane, in fase di sviluppo, e che pertanto le sue norme

statutarie debbono adeguarsi al processo formativo tuttora in corso»288.

286F.M. Malfatti, Il Congresso ha detto: REPUBBLICA, in «La Punta», 6 maggio 1946.287C. Dall'Oglio, Il nuovo statuto del partito e i Gruppi giovanili, in «La Punta», 18 marzo

1946.288«Il Congresso Nazionale del Partito dell'aprile 1946 prese in esame e deliberò soltanto

parte del progetto di Statuto presentato dall'apposita Commissione, e precisamente solo la parte relativa agli organi nazionali centrali. Il testo fu demandato all'esame di una

127

Al termine del Congresso Nobili lamenta che per i Gruppi giovanili si

tratta di un “nulla di fatto”: permarrà ancora dunque, a suo parere, una certa

difficoltà sul piano concreto del lavoro289. Per Andreotti occorreva a quel punto

«trovare il tempo per occuparci delle nostre questioni che vorrei chiamare

“giuridico – organizzative”. Ma bisogna intendersi»290; per il delegato nazionale,

infatti, furono proprio i delegati del Nord, che a suo parere avrebbero dovuto

appoggiare forme più agili di organizzazione vista la varietà di esperienze, a

portare nel primo congresso dei Gruppi giovanili un «certo non utile culto di

schemi e di statuti» il cui scotto i giovani fanno ancora fatica a pagare291.

Problemi organizzativi investono anche «La Punta» stessa, di cui, nel

novembre 1946 viene ventilata la chiusura in vista dell'uscita del nuovo

settimanale del partito: i Gruppi giovanili avrebbero avuto in quel caso quindi a

disposizione solo poche colonne su tale settimanale292. È lo stesso Andreotti a

lamentarsi amaramente per la scarsità di fondi a disposizione, con casi di

federazioni locali in gravi difficoltà economiche, soprattutto se relazionate alle

somme ingenti a disposizione dei gruppi giovanili degli altri partiti293.

«La Punta» aveva visto inoltre due importanti abbandoni, quelli di

Sacerdote, che ne era stato capo-redattore e per tre mesi co-direttore, e Mariani,

che da tre anni ne era capo-redattore. Ufficialmente l'abbandono è per «motivi

Commissione eletta dal Congresso stesso. La Commissione rielaborò il progetto precedente e sottopose i risultati dei suoi lavori al Consiglio Nazionale del Partito, nella sessione del 18-22 settembre 1946. Il Consiglio Nazionale, a sua volta, dopo aver approvato la massima parte degli articoli del progetto ma nell'impossibilità di esaminarlo integralmente stante la mole del suo lavoro, deliberò il seguente o.d.g: “Il Consiglio Nazionale, dopo aver approvato lo Statuto nelle sue linee essenziali, e nella impostazione strutturale […] dà mandato ad apposita Commissione per la stesura definitiva del testo […] Lo Statuto è definitivo nei limiti in cui può parlarsi di definitività a questo propositi»; cfr. ASILS, Dc, Dn, s.5 f.5, Verbale della riunione del 13 ottobre 1946.

289F. Nobili, Per i Gruppi Giovanili niente di fatto, in «La Punta», 6 maggio 1946. 290G. Andreotti, Guardiamo a noi, in «La Punta», 6 maggio 1946.291Ibidem.292F. Evangelisti, Parole chiare. Difendiamo “La Punta”, in «La Punta», 11 novembre 1946.293G. Andreotti, Senso morale, in «La Punta», 25 novembre 1946.

128

professionali»294; la realtà è ben diversa.

Sacerdote, in un articolo intitolato Essere o non essere, muove critiche

infatti all'atteggiamento anticomunista pregiudiziale e sottolinea piuttosto la

necessità di dimostrare che la Dc sarebbe in grado, se solo lo volesse, di

realizzare concretamente gli slanci ideali dei suoi avversari: si possono

soddisfare i giusti diritti delle classi lavoratrici senza violenze, odi, rivoluzioni,

e nel pieno rispetto della legge.

Purtroppo non sempre, vorremmo dire quasi mai, una gran parte di

democristiani ha sentito il dovere di mantenere fede al programma

e di essere realmente al servizio dei lavoratori. […] Molti sono stati

coloro che hanno creduto di trovare nella Democrazia Cristiana la

possibilità di difendere fino in fondo i loro sporchi interessi

personali, le proprie posizioni privilegiate, i loro capitali,

infischiandosene altamente se ciò perpetuerebbe uno stato di

malessere e di avvilimento per una grande massa di persone. […]

Per loro, per questi uomini legati a concezioni reazionarie, basate

sul tradizionale conformismo clerico-moderato, ci vorrebbe

veramente una rivoluzione, un mese solo di esperienza rossa, di

dittatura bolscevica295.

Lo scontro con Andreotti è inevitabile. Il delegato nazionale risponde

infatti alle accuse sostenendo che

Essere o non essere, amleteggia l'amico redattore ed aderisce alla

critica di quanti asseriscono che la Dc non abbia tenuto fede alle

promesse e ai programmi elettorali del 2 giugno. […] Ma la verità

e benaltra e ci vuole un candore ingenuo per lasciarsi imbrigliare

294Sacerdote e Mariani lasciano “La Punta”, in «La Punta», 28 ottobre 1946.295G. Sacerdote, Essere o non essere, in «La Punta», 28 ottobre 1946.

129

dai lacci vischiosi che gli avversari politici ci gettano fra le fila.

Vorrei che tutti i giovani del partito sentissero una potente

avversione verso i luoghi comuni, alle frasi generiche, alle accuse

non specificate […] Nenni e Togliatti cercano di stringerci nella

stretta di una sopraffazione296.

A questo punto le accuse di Sacerdote si fanno più circostanziate:

Rinuncio a soffermarmi sull'accusa fattami di aver usato «luoghi

comuni, frasi generiche, accuse non specificate» perché non trovo

opportuno raccoglierle per una polemica «personale» […] Vorrei

soltanto domandare all'amico direttore cosa egli ha detto di molto

nuovo, di originale, di specificato […] Le recenti elezioni

amministrative hanno dato, con i loro risultati, una testimonianza

chiara di quali effetti abbia ottenuto la nostra cosiddetta «politica

di centro»: all'atto pratico si è fatta una politica equivoca, non ci si

è mai apertamente imposti dinnanzi agli avversari di destra o di

sinistra, si è sempre tergiversato tra l'una e l'altra parte297.

Le dimissioni di Sacerdote sono ormai inevitabili e non fanno che

attirare altre critiche sul delegato nazionale, come quelle che un lettore de «La

Punta» scrive il 16 dicembre: «avevi un organo di stampa a disposizione e ti sei

sempre indugiato giovane vecchio […] a sottilizzare, a distinguere, a ragionare

dei se e dei ma senza mai avere una fiamma, senza mai un impeto, o uno

slancio, terribilmente saggio e terribilmente riflessivo»298.

L'ampliamento dello spazio occupato dai giovani all'interno della Dc

comporta anche problemi di rapporti con quegli altri organismi interpartitici che

296G. Andreotti, Noi vivi, in «La Punta», 11 novembre 1946.297G. Sacerdote, Risposta a Giulio Andreotti. Per la chiarificazione in seno al Partito, in «La

Punta», 25 novembre 1946.298L. Somma, Lettere amaranto, in «La Punta», 16 dicembre 1946.

130

sono in maggior contatto con i Gruppi stessi e che vengono a subire un

conseguente ridimensionamento di collocazione politica. Rientra in questo

ambito la frizione con l'organizzazione sportiva della Dc, la Libertas, diretta da

Enrico Giammei: scrive Evangelisti che «il discorso è sempre il solito. Contro

l'accentramento chiediamo libera iniziativa»299. Alcune lettere inviate alla

redazione de «La Punta» testimoniano infatti come «i giovani che

rappresentano la stragrande maggioranza dei praticanti le varie discipline

sportive sono estromessi dalla direzione centrale e provinciale del

movimento»300.

Se si considera l'attenzione data dall'organizzazione giovanile allo sport

in quanto canale di primo contatto con i coetanei, si comprende come la critica

alla gestione della Libertas non sia di così poco conto. A ciò si aggiunga che su

questo punto si intrecciava la problematica ancora aperta riguardante la gestione

dell'immenso patrimonio dei beni appartenuti all'ex Gioventù italiana del

littorio su cui avanzava richieste il Fronte della gioventù301.

La serie di problematiche ancora irrisolte venne però messa in secondo

piano vista la contingenza di fatti nazionali di rilievo. Il 2 giugno 1946, infatti,

si svolgerà il referendum istituzionale, e l'Assemblea costituente, salutata fin dai

suoi primi passi con grande calore da «La Punta»302, si riunisce per la prima

volta nel Palazzo di Montecitorio il 25 giugno 1946. Proprio la Costituente

299F. Evangelisti, L'organizzazione sportiva ai giovani, in «La Punta», 16 dicembre 1946.300Un problema non risolto. In polemica con la “Libertas”, in «La Punta», 11 novembre

1946.301«La questione della paternità dei beni sportivi che costituirono il patrimonio delle disciolte

organizzazioni fasciste quali la GIL, FOND, Case del Fascio, Accademie fasciste ecc. è oggi molto controversa. Il Fronte della Gioventù nel recente suo congresso nazionale ha alzato la voce per rivendicarle in suo favore […] Necessità però di rivendicare allo Stato democratico la proprietà dei beni mobili e immobili delle disciolte organizzazioni fasciste, affidandone la gestione agli organi territoriali di esso, Comune e Provincia e consentendone l'uso a chiunque»; cfr. Il fronte della Gioventù ed i beni sportivi delle disciolte organizzazioni fasciste, in «La Punta», 11 marzo 1946.

302M. Barone, La via della democrazia, in «La Punta», 4 marzo 1946.

131

aveva visto il primo banco di prova operativo per i Gruppi giovanili. Dal

settembre 1945, infatti, tutte le federazioni provinciali erano state chiamate a

svolgere una grande inchiesta sui problemi che la Costituente sarebbe stata

chiamata ad affrontare303: «Il fatto organizzativo che oggi inizia – nota Andreotti

– e con cui intendiamo di coordinare il lavoro di tutti, non deve far dimenticare

che non si tratta di sterili accademie ma di una vera e propria rivoluzione da

preparare e da attuarsi sul terreno giuridico»304.

L'inchiesta è suddivisa in tre grandi temi: il primo, la forma e

costituzione del nuovo stato; il secondo, il programma economico e sociale; il

terzo, i temi che riguardano particolarmente i giovani: età per il godimento dei

diritti politici, obbligatorietà del servizio militare, protezione sindacale del

lavoro minorile, organizzazione scolastica, emigrazione dei giovani. A

coordinare i lavori in qualità di segretario della Commissione centrale per

l'inchiesta sulla Costituente era stato chiamato Pietro Scoppola305; ai lavori di

ogni sezione provinciale «è opportuno siano invitati anche i giovani non iscritti

al Partito»306.

La distanza dal precedente convegno giovanile, l'affollarsi di problemi

irrisolti in quanto non dibattuti in assise a carattere nazionale unitario, le

pressioni per lo svolgimento del Convegno già incidenti da un anno e non

soddisfatte307, furono fattori che resero politicamente sostanzioso il dibattito

303ADCRE, f. D2, b. “Movimento Giovanile D.C.”, Circolare di Cesare Dall'Oglio, 21 settembre 1946.

304G. Andreotti, Studi per la Costituente, in «La Punta», 24 settembre 1945.

305L'inchiesta sulla Costituente, in «La Punta», 29 ottobre 1945.306Movimento giovanile. Le Commissioni di studio per i problemi della Costituente, in

Democrazia Cristiana. Bollettino della Direzione del Partito, n.5, 30 settembre 1945.307Si veda, ad esempio, l'articolo di Criconia del 15 luglio 1946: «Si deve riconoscere che già

dall'anno scorso, superato il primo periodo di assestamento e a man mano che gli aderenti andavano prendendo coscienza della propria posizione nel Partito, soprattutto dai più attenti e sensibili si era cominciato a provare un senso di disagio che era andato sempre più acuendosi. Fui io stesso a denunciarlo, e i colleghi dell'Esecutivo nazionale lo ricorderanno»; cfr. G. Criconia, La missione dei giovani nel Partito, in «La Punta», 15

132

tenutosi durante II Congresso nazionale dei gruppi giovanili, svoltosi ad Assisi

il 24 e 25 gennaio 1947. Il lavoro, questa volta, venne impostato a gruppi e

sottogruppi: il primo doveva trattare dell'organizzazione e del regolamento

interno del movimento (relatori Dall'Oglio e Tupini), della campagna sulla

democrazia (relatori Annibale Bernardini e Tommaso Mauro), dello sport e

delle attività ricreative (relatore Alberto Marsili), degli studenti medi e

universitari (relatore Baldi); il secondo gruppo, infine, degli operai e dei

contadini (relatori Albertini e Cirillo Matassoni), della stampa e della

propaganda (relatore Evangelisti), dei rapporti con le altre organizzazioni e

delle questioni internazionali (relatore Nobili). Tra i delegati provinciali

presenti si affacciano nomi che avranno un peso notevole nelle vicende future:

Gianni Baget-Bozzo per Genova, Gabriele Amorth per Modena, Carlo Donat-

Cattin per Aosta, Bartolomeo Ciccardini per Perugia, Arnaldo Forlani per

Pesaro308.

Nonostante l'ampia discussione e la vastità dei temi analizzati, il ruolo

politico dei Gruppi giovanili nel partito e nella società non sembra mutare: un

immobilismo che sembra formalizzato dalla conferma di Andreotti a delegato

nazionale con 50 voti a favore e 20 schede bianche, queste ultime in gran parte

dei delegati del nord309 fra cui Angelo Gaiotti per il Veneto, Giovanni Galloni

per l'Emilia, Giampaolo Novara per la Liguria, Vittorio Sabbione per il

Piemonte310.

Nella propria relazione il delegato nazionale uscente aveva chiesto di

«non dar credito alla leggenda che noi “romani” siamo pregiudizialmente

sottomessi alle regole dettate dall'alto senza discuterne mai la bontà e

luglio 1946.308ADCRE, f. D3, b. “Movimento Giovanile 1947”, Estratto degli interventi del Convegno

nazionale di Assisi, (s.d.).309Le votazioni, in «La Punta», 6 marzo 1947.310F. Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia Cristiana, vol. I, cit., p. 162.

133

l'opportunità»311; contro di lui, non si era riusciti a convergere sulla candidatura

di Amorth – che non viene nemmeno proposta – e la finale candidatura di

Donat-Cattin, esponente della sinistra del nord, viene ritirata qualche istante

prima della votazione312. Decisiva appare in questa situazione, oltre alla scarsa

abilità tattica dell'opposizione ad Andreotti, anche la latitanza dal convegno di

Dossetti, cioè dell'unica persona che gode presso i giovani di un'autorità capace

di creare, con un minimo di retroterra, una candidatura alternativa con

possibilità di successo a quella del delegato nazionale uscente.

I contrasti interni vengono sanati cooptando l'esponente più autorevole

dell'opposizione, e così Amorth, tramite una formale investitura da parte del

Comitato nazionale eletto ad Assisi, viene nominato vice delegato nazionale,

con Cesare Dall'Oglio responsabile dell'organizzazione e

dell'amministrazione313. Con l'insediamento di un uomo di sinistra come Amorth

a questa carica centrale, si tenta di impedire all'opposizione di estremizzare il

proprio dissenso, e di rompere in tal modo l'equilibrio dei Gruppi. La volontà di

superare il dualismo nord-sud all'interno dell'organizzazione non impedisce a

311La relazione Andreotti, in «La Punta», 6 marzo 1947.312Ricorda Galloni: «Il convegno fu fissato ad Assisi nel gennaio 1946. nei primi incontri

preparatori tenuti a Milano emerse la candidatura di Carlo Donat-Cattin, sindacalista e giornalista del «Popolo nuovo». Ci presentammo ad Assisi sicuri di avere in mano la vittoria. Ma così non era perché Donat-Cattin sbagliò l'intervento al convegno con un attacco controproducente nei confronti dei giovani del Centro-Meridione e fu facile così per Andreotti acquisire tutti i consensi del Centro-Sud e anche di alcuni delegati delle province vicine alla Jugoslavia di Tito che Andreotti gestiva, come segretario particolare di De Gasperi, per sostenere l'italianità di quelle zone. Il terzo giorno del convegno come delegati regionali del Nord ci facemmo ricevere da Andreotti per dirgli che avevamo già raggiunto la maggioranza dei voti e lo invitavamo a non presentarsi candidato per evitare la sconfitta. Ma Andreotti, con molta pacatezza, ci rispose che la mattina stessa aveva già ricevuto alcuni delegati del Nord e che non riteneva possibile il suo ritiro. In quel momento, la nostra delegazione, comprendendo di aver perduto la battaglia, rinunciò alla propria candidatura e votò scheda bianca»; cfr. G. Galloni, Postfazione. La Costituzione come base dell'alternativa, cit., pp. 186-187.

313ASILS, Dc, Cn, s.3, f. 3, Verbale della riunione del Consiglio nazionale del 18-21 marzo 1947.

134

Evangelisti di parlare di una vera e propria «scissione» avvenuta ad Assisi314;

Baget Bozzo gli risponde che «non si era venuti per sopraffare nessuno» e che

«il Convegno ha mostrato ancor maggiormente, se pur ve n'era bisogno, che il

problema della fusione spirituale fra le due parti d'Italia è un problema cruciale

per il Partito e per il Paese»315.

Questo modificarsi della situazione interna è testimoniato dalla riunione

dell'Esecutivo del 17 maggio 1947, incentrata essenzialmente sul problema

della prosecuzione del Tripartito. È sintomatico che il dibattito assuma, più che

in altre occasioni, toni polemici nei confronti della dirigenza del partito – anche

da parte di uomini notoriamente prudenti –, e così non destano sorpresa gli

attacchi di Donat-Cattin ai democristiani di governo:

Fondamentale è il fatto della mancanza di capacità tecnica ed

organizzativa dei nostri uomini di governo […] Nei vari ministeri

non si è governato sul piano economico e politico con un indirizzo

Dc: forse questa condotta è dovuta a cause specifiche ma dai fatti

appare chiaro come non siamo riusciti a realizzare quelle che erano

le nostre teorie politiche, sociali ed economiche. La crisi è

avvenuta per svuotamento interno, per mancanza di funzionamento

organizzativo del Partito316.

Non destano sorpresa, dunque, neppure le affermazioni di Amorth sulla

positività dell'unità antifascista: meno scontati invece l'intervento di Luciano

Dal Falco sul tema del potenziamento del partito e soprattutto quello di

Andreotti la cui perplessità nei confronti dell'allontanamento dei comunisti

appare per lo meno più sfumata rispetto al netto anticomunismo e

314F. Evangelisti, Lettere amaranto, in «La Punta», 13 marzo 1947.315G. Baget Bozzo, Dichiarazione di voto, in «La Punta», 13 marzo 1947.316ADCRE, f. D3, b. “Movimento Giovanile 1947”, Estratto del verbale della riunione

dell'Esecutivo nazionale, 25 maggio 1947.

135

antiunitarismo del delegato nazionale in materia di organizzazione giovanile317.

Nella stessa riunione dell'Esecutivo viene compiuto un altro importante

passo in avanti dal punto di vista organizzativo: dal 1948, in concomitanza con

la campagna per il tesseramento della Dc, inizierà anche il riconoscimento

ufficiale della partecipazione ai Gruppi giovanili. Viene infatti precisato che

La tessera del Partito è unica. Agli aderenti ai Gruppi Giovanili

viene applicata sulla tessera stessa un bollino annuale fornito dal

Centro Nazionale. […] I Gruppi Giovanili riuniscono gli iscritti al

Partito d'età fra i 18 e i 25 anni i quali intendono farne parte. I

dirigenti possono essere riconfermati in carica fino all'età di 28

anni compiuti318.

Al fine di ricomporre la frattura apertasi ad Assisi anche il delegato

emiliano-romagnolo Galloni viene inserito nell'Esecutivo con la delega alla

“formazione”; insieme a Malfatti, Ciccardini e Baget-Bozzo darà vita da lì a

breve a «Per l'Azione» che, una volta sospese le pubblicazioni de «La Punta»

nel giugno del 1947319, diverrà il principale – e degno di grande interesse –

organo di stampa dei Gruppi giovanili320.

317ADCRE, f. D3, b. “Movimento Giovanile 1947”, Estratto del verbale della riunione dell'Esecutivo nazionale, 25 maggio 1947.

318Gruppi Giovanili, in «Democrazia Cristiana. Bollettino della Direzione del Partito», a.1, n.7, 15 agosto 1947. Ancora nell'ottobre del 1947 si segnala come «È stato fatto osservare alla Direzione Centrale come talvolta alle attività dei G.G. Partecipino iscritti al Partito di età non più canonica. […] Dobbiamo anche rilevare che a qualche Convegno Giovanile vi prendano parte anche elementi anziani minacciando di trasformare i Convegni di un settore ben definito dell'organizzazione del Partito in un Convegno di carattere generale. Questo fatto ingenera, evidentemente, della confusione»; cfr. ADCRE, f. D3, b. “Movimento Giovanile 1947”, Circolare di Cesare Dall'Oglio, 30 ottobre 1947.

319Gruppi Giovanili, in «Bollettino organizzativo della Direzione centrale della Democrazia cristiana», a.1, n.4, 1 luglio 1947.

320«Su indicazione forse dello stesso Andreotti, fu suggerito a Cesare Dall'Oglio di mettersi in contatto con me, a Bologna, per offrirmi di entrare nell'esecutivo nazionale dei giovani esercitandovi l'incarico della formazione. Rinviai la mia discesa a Roma per il I° settembre 1947, pur mantenendo il ruolo di delegato regionale dell'Emilia. Con la collaborazione di

136

Parlare di Per l'Azione significa – non c'è dubbio – parlare dei

giovani della Democrazia Cristiana. E nella politica italiana del

dopoguerra dire giovani della Democrazia Cristiana ha sempre

corrisposto ad una posizione ben determinata nel concerto delle

forze politiche, anche in rapporto al partito maggiore, il cui statuto

attribuisce al movimento la qualifica di «speculazione

organizzativa». In realtà la tradizionale autonomia dei Gruppi

Giovanili in seno alla D.C., di cui non mancarono espressioni

estreme e riflessi nocivi, è sempre stata qualcosa di più che un mero

fatto organizzativo, senza mai scadere al livello corporativo di

gruppo di pressione giovanile sul partito al potere. Questa

autonomia infatti si è espressa in una linea politica, generalmente

spostata a sinistra rispetto a quella ufficiale democratica cristiana,

ma qualificata nei tempi di maggiore incidenza da uno sforzo di

comprensione critica del ruolo della D.C. nello stato italiano. […] Il

partito andava verso il suo 18 aprile, e si parlava fra i giovani con

entusiasmo e apprensione di «partito nazionale», quando Giovanni

Galloni fondò Per l'Azione […] La rivista fu inizialmente l

bollettino della preparazione sociale in seno al Movimento

giovanile, mentre la figura dell'attivista dominava la scena politica,

e per questo ci si preoccupava di dargli una concreta visione

finalistica. Ben presto apparve il parallelismo che sussiste fra

azione e formazione321.

Ardigò, Pecci e Giovanni Battista Cavallaro stavo organizzando un convegno a Faenza con partecipazione nazionale. Sceso a Roma proseguii con l'organizzazione di altri convegni di studio per i giovani. Contemporaneamente diedi vita alla redazione di un bollettino ispirato all'esempio della federazione giovanile dell'MRP (Mouvement Républicain Populaire) che avevo chiamato “Per l'Azione”, destinato al collegamento e alla preparazione culturale. Per fare questo bollettino mi avvalsi, a Roma, della collaborazione di Franco Maria Malfatti, che in quell'epoca non era ancora iscritto al partito; di Gianni Baget Bozzo, che avevo conosciuto alla preparazione dell'ultimo convegno nazionale del movimento giovanile, e di Bartolo Ciccardini che era già collaboratore di Dossetti in “Cronache sociali” e che mi aiutò anche tecnicamente a trasformare il foglio in organo di stampa»; cfr. G. Galloni, Postfazione. La Costituzione come base dell'alternativa, cit., p. 187.

321Antologia di “Per l'Azione”, Arti Grafiche Nobili, Terno 1961, pp. 3-6.

137

Il precario equilibrio interno nato ad Assisi deve anche affrontare la

successione ad Andreotti una volta che il delegato nazionale viene chiamato da

De Gasperi al governo, come sottosegretario alla Presidenza del consiglio. Il

problema, pur prettamente organizzativo, presenta spiccati connotati politici. Il

tema viene affrontato nella riunione del Consiglio nazionale giovanile del 12

giugno 1947. L'ipotesi che si rivelerà vincente è quella di una momentanea

reggenza Dall'Oglio: la candidatura Amorth sfuma e, anzi, lo stesso Amorth

rassegnerà le proprie dimissioni da vice delegato nazionale. Per Galloni «con la

speranza di potergli sostituire un altro Vice Delegato del Nord proposi Dal

Falco di Verona il quale servisse ad equilibrare il Delegato Nazionale del

Centro. Purtroppo, passati a votazione, per l'improvvisa defezione di alcuni

Delegati del Sud che disperdevano i loro voti, risultava eletto Vice Delegato

Nazionale Franco Nobili con 9 voti contro 8 di Dal Falco»322.

È indubbio comunque l'impulso che il Galloni riuscirà a impartire

all'organizzazione intera. Oltre alla nascita di «Per l'Azione», infatti, si

effettueranno un convegno sui problemi del Mezzogiorno a Milano dal 12 al 15

giugno; sempre a Milano si terrà il primo Convegno nazionale giovanile sui

problemi del lavoro dal 6 al 12 ottobre 1947323, a Roma il primo Convegno

nazionale degli incaricati speciali per lo Sport e le attività ricreative dal 17 al 19

ottobre 1947324, a Brescia il Convegno nazionale di studio per i problemi del

lavoro il 6-10 ottobre 1947 ma anche un campeggio invernale a Campitello di

Fassa dal 27 dicembre 1947 al 25 gennaio 1948325.322ADCRE, f. D3, b. “Movimento Giovanile 1947”, Circolare di Giovanni Galloni, 16 giugno

1947.323Gruppi Giovanili, in «Bollettino organizzativo della Direzione centrale della Democrazia

cristiana», a.1, n.9, 15 settembre 1947.324ADCRE, f. D3, b. “Movimento Giovanile 1947”, Circolare di Cesare Dall'Oglio, 27

settembre 1947.325Gruppi Giovanili, in «Bollettino organizzativo della Direzione centrale della Democrazia

cristiana», a.1, n.13-14, 1 dicembre 1947.

138

Sempre nell'ambito di questa impostazione galloniana, infine, si colloca

l'idea, enunciata nella riunione del Comitato nazionale del 29 ottobre 1947, di

istituire dei Centri di preparazione sociale al fine di irrobustire il bagaglio socio-

culturale del personale giovanile democristiano326.

Tale interesse per la formazione, e la volontà della dirigenza giovanile

di approfondire le problematiche meridionali, deriva non solo dall'esigenza di

ottenere il consenso giovanile del sud Italia, ma anche da quella di arrivare con

spinta propulsiva all'imminente II Congresso della Dc. Il Congresso di Napoli

risulterà, però, ancora una volta, assai deludente per i Gruppi giovanili: gli unici

fatti da segnalare sono l'ingresso di Tupini e Dall'Oglio nel Consiglio

nazionale327, l'intervento di Dall'Oglio, l'unico da parte giovanile, sui problemi

del meridione328, e la firma di Morlino a una mozione sempre sulla questione

meridionale329.

Alla fine del 1947, a Firenze, dal 18 al 21 dicembre, il III Congresso

nazionale dei gruppi giovanili chiuderà questo primo quinquennio di vita

incentrato sul potenziamento dell'organizzazione e alle prime attività

strettamente politiche. Nobili, nella propria relazione introduttiva, riprende

l'argomento dell'attività foormativa, sottolineando come nell'Italia settentrionale

gli studi si incanalassero per «tradurre sul terreno politico le premesse

filosofiche maritainiane mentre in Italia meridionale erano i problemi del

Mezzogiorno quelli che giustamente tenevano il campo»330. L'orientamento del

Congresso, che vide la conferma di Dall'Oglio quale delegato nazionale, è

chiaramente espresso nella mozione conclusiva. Tre le direttrici d'azione

326ADCRE, f. D3, b. “Movimento Giovanile 1947”, Appunto dattiloscritto Il Centro di Preparazione Sociale firmato da Giovanni Galloni, (s.d.).

327G. Tupini, I democratici cristiani, op. cit. p. 184.328ASILS, Fondo Democrazia cristiana, serie Congressi nazionali (d'ora in poi Dc Congr.),

s.1, f.2, II Congr. Naz. 1947/05/05- 1948/01/08329Ibidem.330F. Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia Cristiana, vol. I, cit., p. 162.

139

individuate per il futuro dei gruppi giovanili: la prima, il convogliamento di

tutte le energie per le future elezioni del 18 aprile 1948; la seconda, la

formazione dei giovani iscritti, da operarsi tramite il potenziamento dell'attività

di studio al fine della penetrazione delle idee elaborate «tra la gioventù italiana

per strapparla allo scetticismo ed alla insensibilità ai valori spirituali e politici

oggi in essa dominanti»331; la terza, una innegabile novità, lo stimolo che i

Gruppi giovanili si impegnano a dare al Governo su «provvedimenti di

carattere legislativo che riguardano gli interessi più vivi della gioventù italiana

(sanitari, scolastici...) la quale non deve avere l'impressione errata che nella

risorta vita democratica i suoi problemi non siano tenuti nella giusta

considerazione»332.

Il punto su cui la dirigenza giovanile intende comunque focalizzare

l'intervento dei quadri e della base è quello della consultazione elettorale. Sulla

base della circolare Piccioni del 16 gennaio 1948, a sua volta emersa come

risultante politica del dibattito svoltosi in consiglio nazionale nei giorni 11-12

gennaio333, i Gruppi giovanili sono incaricati di organizzare manifestazioni di

massa della Dc in vista delle consultazioni del 18 aprile e di avvicinare in modo

prioritario determinati strati sociali, i giovani ovviamente, e le forze contadine.

331ADCRE, f. D5, b. “Movimento Giovanile”, Circolare di Cesare Dall'Oglio, 27 gennaio 1948.

332Ibidem.333Ibidem.

140

Capitolo IIILa parentesi dossettiana (1948-1952)

3.1 Le elezioni del 18 aprile; nuovi stimoli e nuove direttive d'azione.

Nella storia dei Gruppi giovanili Dc il 1948 può considerarsi un punto

di svolta, soprattutto per le conseguenze che “la troppo pesante vittoria” ebbe

sulla definizione formale e sugli orientamenti ideali del movimento.

Il 15 febbraio 1948 De Gasperi, in un lungo e accorato intervento

durante i lavori del Consiglio nazionale dei Gruppi giovanili, aveva espresso

chiaramente la propria posizione, concentrandosi quasi esclusivamente proprio

sulla battaglia elettorale che si stava per intraprendere. Il filo diretto – a suo

avviso – che legava il Pci a Mosca era più evidente che mai e la strategia

adottata era quella di infiammare la situazione italiana: «I lupi di ieri – aveva

sostenuto il leader trentino – si presentano oggi in veste d'agnello e accusano

noi di portare discordie»334.

Il medesimo tono sarà usato da De Gasperi poco più di un mese dopo, il

1° marzo 1948, intervenendo ad un incontro dei Gruppi giovanili delle Marche.

Bisogna tenere presente che per le teorie, le dottrine e le epidemie

non esistono frontiere. È per questo che l'esempio della

Cecoslovacchia costituisce un monito per noi. Anche là si è avuto

un patto di azione tra comunisti e parte dei socialisti; anche là si

crearono istituzioni che pretendono di avere il diritto

334L'intervento è in A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, vol.III, tomo II, Alcide De Gasperi e la fondazione della democrazia italiana 1943-1948, Il Mulino, Bologna 2008, pp. 1147-1161.

141

rappresentativo e costituente e che, quando il parlamento non è di

loro gradimento, vogliono imporre la loro volontà. Quei comitati

sono stati creati anche in Italia e attendono l'ora propizia, in

agguato e in riserva. Se un bel giorno la votazione elettorale non

sarà sufficientemente favorevole, o sarà dubbiosa, questi comitati

si leveranno a parlare in nome del popolo e negheranno quella che

è la base legittima del suffragio universale e della democrazia, cioè

la forma del Parlamento335.

Per quanto riguarda la questione giovanile in preparazione alle elezioni

del 18 aprile, De Gasperi alludeva evidentemente nei propri interventi anche a

ciò che il Fronte democratico popolare stava portando avanti in tale settore; se

alla fine del 1947 era stata siglata l'Alleanza giovanile, «che, con

approssimazione, era, in campo giovanile, il corrispettivo del Fronte

democratico popolare»336, l'8 febbraio 1948, in occasione dell'apertura della

campagna elettorale, a Genova, alla presenza di «oltre 15.000 giovani delegati

da tutt'Italia […] in un grande capannone dei cantieri navali dell'I.R.I. dopo che

si era svolto, per tutta la città, un interminabile corteo ed un grande comizio»337, 335Ivi, p. 1169. 336R. Trivelli, La gioventù comunista, cit., p. 120. Tale organismo, una sorta di contenitore in

cui far confluire Fronte della gioventù, l'Associazione ragazze d'Italia, le Staffette della libertà ecc., in verità proprio a ragione della sua natura composita, non ottenne risultati particolarmente brillanti, scontando probabilmente gravi ritardi sul piano organizzativo; cfr. G. Marimpietri, La federazione giovanile comunista: strutture organizzative e cambiamenti statutari nel periodo 1949-1956, in G. Orsina, G. Quagliariello (a cura di), La formazione della classe politica in Europa, cit., p. 233.

337Così scrive l'autore in ivi, p. 121. «Due furono gli elementi del successo delle A.G. Il primo fu il carattere stesso del movimento, che si proponeva di affrontare e risolvere subito – con iniziative dirette – i problemi più gravi della condizione umana del giovane. Infiniti furono gli “scioperi a rovescio”, la pressione sulle autorità locali e centrali per ottenere lavoro, sussidi, assistenza; le agitazioni promosse perché fossero positivamente e tempestivamente risolti problemi di vita, di formazione, di cultura che direttamente interessavano le masse giovanili. Nell'Italia del 1947-'48 un simile movimento rispondeva davvero ai mille bisogni, alla folla di questioni acute, non risolte, alle aspirazioni insoddisfatte di tutta una generazione che aveva provato le sofferenze del conflitto ma che era animata adesso da una sconfinata volontà di vivere, da una vera e propria avidità di una nuova esistenza, e che si scontrava però – questo fu il dramma di allora – con le mille e

142

un Congresso – aperto dai discorsi di Berliguer, Giuliano Pajetta e Longo –

aveva eletto il Comitato nazionale delle Avanguardie garibaldine, ovvero

l'organizzazione ufficiale di base dei giovani aderenti ai partiti che facevano

parte del Fronte338.

Il nuovo bollettino giovanile democristiano «Per l'Azione» trova nella

campagna elettorale del 1948 il proprio primo banco di prova. Nato, come si mille angustie del dopoguerra, più profondamente insopportabili non solo perché ora c'era la pace, ma anche perché, rotto l'isolamento fascista, aperte le finestre d'Italia sull'Europa e sul mondo, venivano ai giovani italiani, per mille vie diverse, le immagini di un'altra realtà, di un'altra esistenza. E le Avanguardie Garibaldine seppero cogliere – soprattutto fra i giovani più combattivi e aperti – questo momento della volontà, del desiderio, ed indicare un terreno d'impegno. Il secondo elemento di questo subitaneo successo, e che poi è strettamente collegato a quanto sin qui considerato, fu dato dal fatto che, in collegamento con la battaglia del Fronte Democratico Popolare, le A.G. dettero ai giovani la netta impressione che, nell'imminenza del voto del 18 aprile, si stava ingaggiando “l'ultima battaglia”, che le masse popolari italiane erano alle soglie del potere, e che a loro, giovani di una Italia nuova, sarebbe toccato in sorte il compito di rifare davvero l'Italia»; cfr. Ivi, pp. 120-121.

338«Il Comitato delle “Avanguardie Garibaldine Giovanili” eletto al Congresso di Genova, in applicazione alle decisioni del Congresso, ha così fissato la carta costitutiva delle “Avanguardie Garibaldine Giovanili” che si sono costituite in queste settimane in tutta Italia. I. Le “Avanguardie Garibaldine e Giovanili” sorgono nei luoghi di studio, di lavoro e di svago della gioventù e sono organizzazioni elementari, democratiche, educative del corpo e della mente delle giovani e dei giovani d'Italia. II. Le “Avanguardie Garibaldine e Giovanili” si propongono: 1) l'educazione fisica, morale ed intellettuale delle giovani generazioni secondo la massima “mente sana in corpo sano”; 2) il miglioramento culturale e professionale e l'avviamento alla vita delle giovani e dei giovani, e la loro preparazione ai compiti che li attendono; 3) la difesa della salute, del lavoro e delle aspirazioni sociali della gioventù; 4) la formazione del carattere giovanile mediante lo studio, il lavoro e l'attaccamento alla famiglia e alla patria. III. Le “Avanguardie Garibaldine e Giovanili” hanno come distintivo il fazzoletto rosso col bordo tricolore a ricordo delle tradizioni di solidarietà nazionale ed umana ereditata dal Risorgimento italiano e dalle gesta di Giuseppe Garibaldi. IV. Le “Avanguardie Garibaldine e Giovanili” non sono organizzazioni a carattere militare o paramilitare. Nelle manifestazioni pubbliche, nelle quali si esprimono lo spirito e gli ideali giovanili, nelle manifestazioni ginniche e sportive, le “Avanguardie Garibaldine Giovanili” adotteranno le forme necessarie per dare ad ogni manifestazione l'indispensabile carattere di ordine, di compostezza e di disciplina civile. V. Le “Avanguardie Garibaldine e Giovanili” sono aperte a tutti i giovani e a tutte le giovani senza distinzione di convinzione politica e religiosa. Esse operano democraticamente, con disciplina liberamente consentita, mediante l'educazione, la sana emulazione, la persuasione e il libero dibattito, sotto la guida di organismo e dirigenti liberamente eletti»; cfr. Avanguardie garibaldine, in «l'Unità», 19 febbraio 1948. Si legga anche E. Berlinguer, Avanguardie garibaldine, in «l'Unità», 7 febbraio 1948 e l'intervista a Longo in Settemila delegati di tutta Italia al grande Congresso giovanile di Genova in «l'Unità», 27 gennaio

143

accennava, nell'ambito delle attività di studio e formazione affidate al bolognese

Galloni, tale bollettino, poi rivista, deve il proprio titolo all'influsso sui primi

redattori del periodico dei giovani francesi del Mrp, intitolato appunto «Pour

servir»339; è solo uno dei molti influssi d'oltralpe sui giovani democristiani, basti

pensare a quello dell'esperimento economico – aziendale – comunitario barbu,

e al riferimento inevitabile ai maestri Maritain e Mounier, su una cultura

giovanile altrimenti concentrata su autori e maestri nazionali: alcuni liberal-

democratici come Guido Dorso, Guglielmo Ferrero, Piero Gobetti, Gaetano

Salvemini, Giustino Fortunato, altri cattolico-liberali e popolari, come Luigi

Sturzo, Francesco Luigi Ferrari, Giuseppe Donati, ed uno, sullo sfondo ma non

inerte, come il comunista Antonio Gramsci, rilevatore di grandi conquiste

nazionali e di funzioni legate al partito “nuovo principe”340. «Per quanto possa

sembrare un paradosso – scrive Malfatti nel 1952 – non credo di sbagliare se

dico che l'uscita dell'opera di Gramsci ha rappresentato un avvenimento atteso

ed un lievito culturale importante per la gioventù democristiana»341.

L'avvicinarsi delle elezioni aveva orientato i redattori di «Per l'Azione»

- il cui direttore Baget Bozzo sarà affiancato poi, nel giugno del 1948, da

Franco Nobili – verso questo fondamentale passaggio: scrive infatti Dal Falco

che «la posta in gioco è fra due concezioni di vita, o meglio, premesse di

concezione di vita, sboccanti o nella pace (democrazia) o nella guerra

1948. Sul Congresso di Genova si veda Cinquantamila giovani a Genova, in «l'Unità», 10 febbraio 1948.

339L'attenzione costante verso l'esperienza francese del Mrp e in particolare verso le Equipes Jeunes è testimoniata in diverse occasioni: si veda, ad esempio, Esperienze utili. I giovani dell'M.R.P., in «Per l'Azione», n.3, s.d.; F.M.M., Il IV Congresso dell'M.R.P., in «Per l'Azione», n.10, giugno 1948.

340Su Gramsci legga, a titolo esemplificativo, L. Elia, I giovani, il mito comunista e il dizionario della paura, in «Per l'Azione», n.8, novembre 1951. Si noti infine l'attenzione dedicata da «Per l'Azione» all'esperienza dei preti-operai con particolare riferimento a padre Jacques Loew; cfr. U. Zappulli, In missione proletaria, in «Per l'Azione», n.6, luglio-agosto 1951. Su Loew e sui preti operai cfr. M. Margotti, Lavoro manuale e spiritualità. L'itinerario dei preti operai, Studium, Roma 2001.

341F.M. Malfatti, Editoriale, in «Per l'Azione», n.1, gennaio 1952.

144

(dittatura)»342; per Baget Bozzo «in queste elezioni si vota per la libertà. Se il

Fronte avesse la maggioranza alle elezioni, il Partito Comunista ne

approfitterebbe per realizzare la sua ormai sperimentata tecnica del colpo di

stato. Quindi le elezioni investono in pieno il problema della libertà»343.

Tra il gennaio e il febbraio 1948 la dirigenza giovanile democristiana

imposta anch'essa il lavoro in vista del 18 aprile seguendo due direttive: la

propaganda nelle campagne e l'organizzazione delle manifestazioni di massa.

Per quanto riguarda la prima, Dall'Oglio sottolinea che si tratta del «più

importante impegno specifico assunto dal movimento. Le popolazioni contadine

sono ora le più sottoposte alla pesante propaganda comunfusionista, e in ogni

borgo, frazione, casolare, deve giungere il giovane democristiano a chiarificare

e ad illuminare. Utilissimo sarà abbinare le manifestazioni di massa con

convegni illustranti a grandi linee il nostro pensiero circa i problemi sociali ed

economici dell'agricoltura»344.

In aggiunta a ciò, «Per l'Azione» specifica che «non bisogna rivolgersi

con prevalenza eccessiva al ceto medio cittadino che, politicamente più

sensibile, compirà la sua scelta in senso non comunista»345 ma che «le zone

pericolose si trovano in questa consultazione elettorale sia nel proletariato

industriale del Nord che in quello agricolo del Sud. Per i ceti medi, oltre che

sulla organizzazione elettorale e sugli slogan anti astensionistici, dobbiamo

contare sulla penetrazione e sulla valorizzazione della Democrazia Cristiana

come “Partito forte”, segnalando particolarmente la sua azione sul piano della

restaurazione dell'ordine pubblico»346. In linea generale occorre però ricordare

che «la campagna elettorale impostata sul tono violento può creare una psicosi

342L. Dal Falco, Considerazioni sul P.S.L.I., in «Per l'Azione», n.7, s.d.343G. Baget Bozzo, Difesa della libertà, in «Per l'Azione», n.7, s.d.344ADCRE, f. D5, b. “Movimento Giovanile”, Circolare di Cesare Dall'Oglio, 19 gennaio

1948.345Sulla campagna elettorale, in «Per l'Azione», n.6, s.d.346Ibidem

145

di guerra fredda e determinare intolleranze e violenze, inducendo questi settori

dell'elettorato all'astensione. Per questo più che parole e presentazioni aspre e

polemiche, dobbiamo dare il senso di forza della Democrazia Cristiana. Ci pare

quindi che anche considerazioni di stretto ordine elettorale debbano indurci

verso una forma di propaganda positiva e ragionata»347.

Per quanto riguarda invece l'organizzazione delle manifestazioni di

massa Dall'Oglio fornisce precise indicazioni sia politiche che logistiche e, se le

Avanguardie garibaldine si distinguevano in tali occasioni per il fazzoletto rosso

con bordo tricolore annodato al collo come distintivo, i Gruppi giovani della Dc

porteranno un fazzoletto bianco con lo scudo crociato348.

Lo scontro pre-elettorale si concretizza sulle pagine di «Per l'Azione»

anche con un numero speciale che si pone «il problema fondamentale di questo

347Ibidem.348«Le manifestazioni di massa dei GG sono dei Convegni a base allargata degli iscritti e dei

simpatizzanti ai Gruppi, i quali hanno lo scopo di dare una sensazione fisica ed esterna del movimento, la quale sia di effetto sugli avversari che si rendono conto della nostra importanza; sulle persone politicamente non decise e sui nostri stessi iscritti, che acquistano una maggiore coscienza del numero e della forza dei G.G., accrescendosi così il loro entusiasmo. È chiaro che la vita dei G.G. Si svolge secondo direttive e proponendosi mete ben più sostanziali dei convegni di massa. Anche questi però sono necessari, particolarmente in circostanze politiche quali le elettorali. […] Gli elementi fondamentali delle manifestazioni di massa: a) Scelta della località 1) Politico 2) Logistico: è bene sempre aver presente che il segreto della riuscita è quasi tutto nell'efficienza dei mezzi di trasporto. In relazione a questa esigenza è fondamentale la scelta di una località che, quale nodo stradale o ferroviario, o meglio sia l'uno che l'altro, garantisca: […] b) I Partecipanti […] 2) La manifestazione di massa organizzata dai G.G. comprende in genere i propri aderenti, e quindi i giovani. Come però in esperienza fatte è avvenuto, potrà essere ottima cosa estendere la partecipazione prima alle giovani poi a tutti gli iscritti e simpatizzanti che lo desiderino. […] d) Apparato esterno: ciascun partecipante dovrebbe avere un ampio fazzoletto bianco con lo scudo crociato da tenere al collo. […] e) servizio d'ordine e sicurezza: […] Posti di blocco lungo il percorso. Sono creati presso località provviste di telefono secondo i criteri del Centro responsabile della manifestazione, i quali provvedono a segnalare il passaggio degli automezzi e quanto altro sarà ritenuto utile. 3) I dirigenti responsabili della manifestazione di massa. a) Delegato di G.G. di base […] b) Capo colonna […] c) Il responsabile treno […] d) Responsabile posti di blocco […] e) I responsabili del luogo della manifestazione […] f) Il responsabile generale della manifestazione di massa»; ADCRE, f. D5, b. “Movimento Giovanile”, Circolare di Cesare Dall'Oglio, 26 gennaio 1948.

146

momento: il problema del comunismo». Al suo interno l'analisi dell'azione

politica del Pci viene affidata a Baget Bozzo, secondo il quale «in Italia

l'assenza di una sinistra democratica ha permesso al partito comunista di

bloccare intorno a sé tutte le sparse forze di sinistra e tentare la politica dei

fronti, sul tipo dell'Europa orientale»349; a suo avviso «si possono ricavare

alcune costanti nello studio della conquista del potere. Esse sono: 1) la

creazione di un fronte popolare di vari partiti; 2) la capilarizzazione della sua

organizzazione; 3) il progressivo dominio comunista di tutte le più importanti

organizzazioni di massa»350. Se è vero che «una formula simile fu tentata in

Italia con il C.L.N.»351, risulta lecito, a suo parere, porsi la domanda: «É la

prospettiva del fronte popolare, di questa alleanza di ceti sociali soltanto

elettorale?»352 dato che «un'ipotesi insurrezionale non è stata esclusa dai

responsabili comunisti»353.

Ad Achille Ardigò viene invece affidata l'analisi della politica estera

dell'Unione sovietica, «improntata – a suo avviso – ad un determinismo

integrato da un freddo realismo»354. «Crediamo – prosegue Ardigò – sia inutile

dimostrare che non siamo favorevoli ad un conflitto per la risoluzione di questa

situazione. Anzitutto perché crediamo sia possibile una coesistenza pacifica tra

un sistema comunista ed un sistema capitalista, in secondo luogo perché non

crediamo che una guerra potrebbe risolvere un simile imponente problema»355;

«occorre – conclude – a nostro modo dimostrare che la democrazia, cosiddetta

borghese, può portare alla giustizia senza bisogno della soppressione della

libertà. Bisogna superare capitalismo e comunismo in una nuova forma di vita

349G.B.B., L'azione politica del Partito comunista italiano, in «Per l'Azione», n.6, s.d.350Ibidem.351Ibidem.352Ibidem.353Ibidem.354A.A., La politica estera comunista, in «Per l'Azione», n.6, s.d.355Ibidem.

147

più umana, più cristiana in definitiva»356.

A Malfatti spetta invece l'analisi delle politiche messe in campo dal Pci

nell'Italia meridionale, «anche perché il Comunismo si è rivelato fra i partiti più

interessati a questa zona d'Italia»357. «Che il P.C.I. - nota Malfatti – abbia dei

meriti nei riguardi dell'Italia meridionale crediamo sia innegabile:

l'organizzazione politica iniziata nelle precedenti elezioni ha portato molti strati

popolari, nel passato aggregati al blocco agrario e agli esponenti del

trasformismo meridionale, a schierarsi a favore delle istituzioni repubblicane.

Fatto di grande importanza, perché rappresenta l'inizio dello sbloccamento della

caratteristica situazione politica meridionale, e l'inserimento delle forze popolari

del Sud nel movimento democratico meridionale»358. A questa fase iniziale della

politica del Pci nei confronti del Mezzogiorno, però, nota Malfatti, «ne è seguita

un'altra che meglio ne individua l'obiettivo finale di conquista del potere a tutti i

costi. L'azione del Comunismo nei rispetti del Mezzogiorno è stata inquinata da

considerazioni elettoralistiche che gravemente compromettono l'intrapresa

democratizzazione del Sud»359.

Con un grande convegno a Foggia il 5-6 marzo 1948360 e con una serie

356Ibidem.357F.M.M., La politica meridionale del P.C.I., in «Per l'Azione», n.6, s.d.358Ibidem.359Ibidem.360Il Convegno di Foggia, in «Per l'Azione», n.7, s.d. Ne viene riportata la mozione finale: «I

partecipanti al Convegno Giovanile di Foggia sulla riforma agraria constatano l'urgenza indilazionabile di una radicale riforma agraria premessa necessaria per la risoluzione della questione meridionale; affermano che il diritto di proprietà, oltre che tendere alla soddisfazione delle esigenze della persona umana, ha una funzione sociale. Dall'adempimento di tale funzione sociale la proprietà dei mezzi di produzione riceve fondamento giuridico; constatano che nel suo complesso l'odierna proprietà terriera meridionale non ha adempiuto alla sua funzione sociale. È quindi giuridicamente giustificato l'organico intervento dello Stato per garantire la funzione dei beni della terra nell'interesse della comunità; ritengono mezzo più efficiente per garantire nel Mezzogiorno d'Italia l'adempimento di tale funzione, la limitazione della proprietà fondiaria secondo l'art.44 della Carta Costituzionale, integrata alla trasformazione fondiaria e accompagnata da un'organica opera di bonifica che aumenti la produttività e garantisca migliori rapporti sociali. Alla trasformazione fondiaria, se compiuta a carico dello Stato, deve seguire la

148

di inchieste sulla proprietà fondiaria nel Meridione, come ad esempio quella

sulla situazione calabrese361 i Gruppi giovanili della Dc si avvicinavano, con

l'approssimarsi della tornata elettorale, alle problematiche del Mezzogiorno.

L'incontro di Foggia ha posto, secondo «Cronache Sociali» l'accento

«su l'aspetto fondamentale del nostro problema politico: la riforma delle

strutture»362. Per la rivista dossettiana «particolarmente nel Mezzogiorno d'Italia

si sente la necessità di costruire la comunità italiana su basi nuove: perché là,

particolarmente, la frattura tra la cultura e la civiltà, da un lato, e le masse

lavoratrici, dall'altro, è acuta e intensa»363; «in un momento in cui la campagna

elettorale si conduce soprattutto su motivi di «politica pura» è necessario che

qualcuno si preoccupi di affrontare ad occhi aperti la realtà sociale del nostro

tempo; e ci piace sottolineare che siano stati dei giovani a farlo, superando ogni

quotizzazione. La limitazione deve venire in base al rapporto tra l'estensione e l'intensità culturale tenendo conto della produttività del terreno. I frutti della produzione devono essere equamente divisi tra coloro che vi partecipano; affermano che la quotizzazione deve avere esecuzione immediata ma deve essere preceduta nei terreni inclusi nei comprensori di bonifica dall'esecuzione delle opere indispensabili ad assicurare tollerabili condizioni di vita per i coloni; ritengono che lo Stato deve intervenire a) per impedire la frantumazione della proprietà fondiaria, favorendo la costituzione di unità produttive superiori aventi un effettivo valore economico; b) promuovendo la diffusione della cooperazione agricola, con l'intervento presso enti pubblici e privati affinché concedano terreni ad affittanza collettiva e miglioria alle cooperative; c) modificando i contratti di mezzadria con la fissazione di una quota di conguaglio, variabile in rapporto alla produttività delle regioni agricole, correggendo così la rigidità del contratto unico nazionale; intervenendo sugli altri contratti affinché assicurino al lavoratore una parte equa del reddito della terra, interessandolo soprattutto a migliorarla; d) favorendo la risoluzione al problema del bracciantato fisso attraverso forme di compartecipazione agli utili delle aziende agricole sulla base dell'apporto al processo produttivo, e del problema del bracciantato avventizio con la concessione dei terreni espropriati e cooperative di contadini e con una avveduta politica emigratoria; e) assicurando nel frattempo condizione stabile di occupazione al bracciantato attraverso la proroga delle leggi Fanfani-Segni sul più ampio impiego dei lavoratori agricoli; f) con la preparazione tecnica e sociale dei lavoratori della terra ricorrendo anche al concorso finanziario dei datori di lavoro ed istituendo il tecnico condotto, garanzia di sviluppo dell'Agricoltura Meridionale; auspicano che questi principi vengano introdotti nell'ordinamento giuridico dal prossimo Parlamento Nazionale».

361La proprietà fondiaria in Calabria, in «Per l'Azione», n.7, s.d. 362Mozione economica del Congresso del Gruppi Giovanili D.C., in «Cronache sociali», n.5,

15 marzo 1948.363Ibidem.

149

facile empirismo»364.

Il nuovo corso della politica meridionalistica era stato d'altronde al

centro di un altro Convegno organizzato dai Gruppi giovanili dal tema La

gioventù democristiana esamina a Napoli i problemi della redenzione del

Mezzogiorno, svoltosi presso il Convitto delle Canocchie a Napoli, dal 23 al 27

luglio del 1947. Malfatti, analizzando i risultati dei quattro giorni di Congresso,

aveva evidenziato che i giovani democristiani avevano resistito al cadere sia in

una facile trattazione frammentaria dei singoli problemi, sia «nell'eccessivo

tecnicismo» andando al di là dei limiti di un convegno politico e del suo

carattere giovanile. I giovani democristiani – continuava Malfatti – avevano,

invece, proceduto ad una trattazione unitaria del problema meridionale,

trovando «un comun denominatore ai vari temi trattati». Essi, dimostrando di

aver compreso il problema meridionale, avevano saputo individuare i punti

fondamentali attraverso i quali era possibile avviare la soluzione della

questione. Da questi giovani – concludeva Malfatti - «appellandosi allo spirito

della dottrina sociale cristiana», sarebbe venuto «un valido contributo a quella

rivoluzione meridionale» che figurerà poi all'ordine del giorno del II Congresso

nazionale365.

Il contenuto delle singole relazioni svolte a Napoli, con le analisi

puntuali della varie realtà meridionali, che partiva dall'esame dei dati statistici

riguardanti le singole materie di studio, esprimeva il nuovo atteggiamento che

caratterizzava il meridionalismo dei Gruppi giovanili di quegli anni.

Così Manlio Mazziotti a Napoli si era soffermato sulla questione

364Ibidem.365F.M. Malfatti, Risultati del Convegno, in «Popolo e libertà», n.31, 3 agosto 1947. I vari

temi sui quali si era sviluppata la discussione a Napoli furono oggetto delle seguenti relazioni: Questioni agrarie, relatore Manlio Mazziotti; Esigenze dei lavoratori, relatore Nicola Signorello; Aspetti politici, relatore Tommaso Morlino; Presupposti della ripresa economica, relatore Luigi Osti; Il Mezzogiorno e le autonomie regionali, relatore Mario Barone.

150

agraria, affermando, sulla base dei dati disponibili, che la distribuzione della

terra non era, nel Sud, sostanzialmente più iniqua che nel Nord. La differenza

tra le due parti d'Italia – a suo avviso – consisteva nel «grado del suo progresso,

essenzialmente inferiore da quello raggiunto dal Settentrione e da buona parte

dell'Italia centrale». Parlare quindi di Riforma agraria, intesa come divisione

della terra per migliorarne le condizioni, era, per il relatore, pura demagogia.

Occorreva invece intendere la Riforma agraria come bonifica integrale del

Mezzogiorno, e a tal fine, dati gli ingenti costi che l'operazione comportava, era

necessario «l'intervento di due fattori essenziali: iniziativa privata e crediti

esteri». Il problema agricolo del Mezzogiorno – aveva proseguito Mazziotti –

poteva dirsi dominato da due diversi elementi, tra loro connessi: «un ambiente

fisico avverso e una struttura sociale arretrata». Quindi, la «sua soluzione è

condizionata alla trasformazione di questo ambiente e alla modernizzazione di

questa struttura»366.

Riguardo ai problemi del mondo del lavoro, Signorello aveva esaminato

il problema storicamente, evidenziando come, ogniqualvolta che da parte di

borghesi ed intellettuali meridionali, sia in età moderna nel Regno di Napoli,

che in età contemporanea nell'Italia post unitaria, fosse stato fatto un tentativo

di riforma politico-sociale, i contadini e gli operai meridionali non avevano mai

appoggiato tali tentativi, anzi si erano quasi sempre opposti ad essi. «La causa

della mancata alleanza tra i lavoratori e gli intellettuali meridionali – sostenne

Signorello – è da ricercare nell'indirizzo che questi ultimi hanno sempre dato ai

loro conati rivoluzionari»367. Era infatti sempre mancato nel passato – aveva

continuato Signorello – il legame tra gli interessi delle masse lavoratrici e quelli

che andavano connessi a una radicale riforma della struttura sociale e politica

del Mezzogiorno. Quindi, la conseguenza immediata era stata un sempre

366M. Mazziotti, Questione agraria, in «Popolo e libertà», n.31, 3 agosto 1947.367N. Signorello, Esigenze dei lavorati, in «Popolo e libertà», n.31, 3 agosto 1947.

151

maggior isolamento dei lavoratori del Sud del Paese, rispetto a quelli del resto

d'Italia ed un «più inumano» assoggettamento dei contadini ai proprietari agrari,

che hanno sempre sviluppato tranne rare eccezioni, una politica

fondamentalmente contraria alle classi povere del mondo rurale. Occorrevano

quindi nuovi quadri dirigenti, capaci di affrontare e risolvere «su di un piano

unitario e solidaristico le fondamentali esigenze dei lavoratori del

Mezzogiorno»368.

3.2 Gestione e conseguenze del risultato elettorale.

La gestione del risultato elettorale del 18 aprile metterà ben presto in

tensione la Dc: la “troppo pesante vittoria” pone allo scoperto, tra gli altri limiti,

anche un deficit di cultura politica nel partito e, come nota Baget Bozzo, una

scelta frettolosa di alcuni candidati in determinate zone del Paese oltre a una

mancanza di precise linee programmatiche su talune questioni.

«La Democrazia cristiana – scrive – ha intenso la necessità, per

un'efficace difesa della libertà, di bloccare attorno a sé, attorno a un centro forte

le forze anticomuniste del paese: che se no si sarebbero frazionate in gruppi e

gruppetti, proprio mentre le forze comuniste raggiungevano il massimo della

concentrazione. Per questo comprendiamo come la Direzione del Partito abbia

rinunciato a precise definizioni programmatiche e si sia accontentata di

indirizzare agli elettori un manifesto generico e comprensivo di varie

informazioni»369. «Certo – puntualizza – con questo la Democrazia Cristiana

non si è legata le mani con nessuno: le resta indiscutibilmente aperta la porta

per rinnovamenti di struttura: per la riforma agraria, per la riforma industriale.

368Ibidem.369G. Baget Bozzo, Difesa della libertà, in «Per l'Azione», n.7, s.d.

152

Corrispettivo necessario di questa politica avrebbe dovuto però essere una

scelta più accurata di candidati e una maggiore intransigenza nei rapporti

elettorali onde assicurare al Gruppo Parlamentare quella omogeneità di

indirizzo e quel senso di disciplina di partito necessari per realizzare una

organica politica economica»370.

Una medesima preoccupazione è condivisa anche da Dall'Oglio. Nel

primo editoriale del post-elezioni il Delegato nazionale, con l'intenzione di non

unire «Per l'Azione» «al coro variopinto dei commenti sulle elezioni di

domenica 18 aprile, molti dei quali denotano un notevole superficialismo

punteggiato di luoghi comuni»371, nota che ben prima del 18 aprile il bollettino

dei Gruppi giovanili aveva toccato l'argomento delle candidature:

«Affermammo allora come grave errore il non interamente valorizzare quel

larghissimo consenso che in parte si prevedeva per la DC, creando al Partito

uno strumento parlamentare il quale rispondesse in pieno alla battaglia sociale

che oggi iniziamo; strumento parlamentare da non appesantire con l'inclusione

di elementi troppo legati a quegli interessi che in parte dovranno essere da noi

piegati. […] Non vogliamo fare anticipazioni e processi alle intenzioni, solo i

fatti – e ce lo auguriamo – diranno se i nostri timori furono infondati»372.

Su tale tema torna anche Albonetti. «Non crediamo – sostiene in una

lettera alla redazione – si possa più a lungo tollerare che ristretti comitati,

composti spesso dai mandanti dei futuri candidati, decidano su di un argomento

così vitale, qual'è la compilazione di una lista elettorale»373. «Né tantomeno

crediamo – aggiunge – si possa ancora assistere senza preoccupazione al

ripetersi del deprecato fenomeno, a cui dava luogo il sistema uninominale, della

370Ibidem.371C. Dall'Oglio, Compiti nuovi, in «Per l'Azione», n.9, s.d.372Ibidem.373A. Albonetti, I partiti e la formazione delle liste elettorali, in «Per l'Azione», n.9, 1-15

maggio 1948.

153

lotta personale e senza quartiere tra candidati, e per di più tra candidati della

stessa lista»374. «Non desideriamo accusare nessuno. Ogni comitato elettorale

dei partiti – conclude – potrebbe dirci qualcosa sull'argomento e qualcosa

certamente non molto edificante. Il vizio del resto più che attribuirsi alle

persone, va da ricercarsi nel metodo»375.

Nella propria risposta la redazione ammette che «Albonetti ha

prospettato un problema che per tutti gli amici dirigenti giovanili ha un

indubbio interesse e un evidente sapore di attualità. Le iniziative dei giovani

intese ad eliminare candidature di dubbia coerenza democratica e cristiana sono

state notevoli anche se non sempre vittoriose»376; la redazione, inoltre, lamenta

il fatto che «uomini di sicuro valore, che alla vita del Partito e della Costituente

avevano dato un apporto sostanziale, non siano oggi rappresentanti

democristiani a Montecitorio; e che il clientelismo locale e gli interessi

personali abbiano tenuto incontestabilmente la piazza»377.

Un giovane militante di Taranto, sempre dalle pagine di «Per l'Azione»

denuncia apertamente la connivenza di molti notabili Dc con il potentato locale.

Cari amici, abbiamo vinto le elezioni, in queste contrade, battendo

il Fronte e i Liberali, anche nei due paesi rimasti ancora a regime

feudale. Battuti nel mio Paese dopo centinaia di anni di dominio

padronale, per la prima volta “i Signori” […] Ieri sera

commemorammo con una dimostrazione che volevo grandiosa, la

vittoria della DC; di millecinquecento elettori che votarono per noi,

ce ne saranno stati solo una cinquantina dietro il corteo! Tutte

donne! Presentando l'oratore, io dissi due parole incitando la gente

ad avere fede e coraggio, a mostrarsi senza paura per quello che si

374Ibidem.375Ibidem.376Ibidem.377Ibidem.

154

è, a non credere più nell'invincibilità dei Signori. […] Mi è bastata

questa frase per farmi mettere tra i rivoluzionari più terribili, tra i

più celebri sovversivi […] Quel che maggiormente mi addolora

però è che gli esponenti del nostro Partito hanno addirittura fatto le

proprie scuse ai «Signori» […] Vedete che situazione? E cosa devo

fare378?

Malfatti risponde che «Non si può chiedere la totale abnegazione a

quegli iscritti che per agire integralmente da democristiani sono offesi, vilipesi,

impediti nella loro azione da pseudo compagni del Partito; non si può chiedere a

costoro la rinuncia […] alla propria dignità e a persistere malgrado le villanie, le

beffe, spesso le ingiurie di piccoli ras locali!»379; «Non lo si può chiedere –

spiega Malfatti – perché sarebbe immorale, oltre che ingiusto. Bisogna invece

non attestare solo a parole la propria solidarietà, ma con i fatti. E ciò è compito

in primo luogo della Direzione. […] È compito del Partito, e dei suoi organismi

a ciò preposti, la lotta al clientelismo, al trasformismo, al personalismo»380.

Il 1948 per i Gruppi giovanili può considerarsi un punto di svolta anche

per quanto riguarda le prospettive internazionali del movimento. A Fiuggi dal 29

al 31 luglio 1948, infatti, si tiene il primo congresso della sezione giovanile

delle Nei. Oltre 100 i delegati presenti, rappresentanti i giovani di Francia,

Inghilterra, Olanda, Belgio, Ungheria, Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia,

Austria, Catalogna, Danimarca, Finlandia, Germania, Lussemburgo, Paesi

Baschi, Svezia, Svizzera381. Relatori italiani al Congresso sono Piccioni e

Taviani e al termine dei lavori congressuali interviene anche De Gasperi. Tutti si

soffermano su tre concetti cardini, particolarmente sentiti dalla Dc, che li

avrebbe sostenuti con tenacia nel corso degli anni all'interno delle Nei:

378Colloqui, in «Per l'Azione», n.10, giugno 1948.379Ibidem.380Ibidem.381ADCRE, f. D5, b. “Movimento giovanile”, Circolare di Franco Nobili, 9 agosto 1948.

155

l'anticomunismo attivo, la laicità, l'importanza del legame atlantico. A Fiuggi il

segretario della Dc Piccioni individua nella libertà il principio ispiratore della

dottrina democratica e ricorda che «proprio la libertà minacciata» era stata la

ragion d'essere della vittoriosa campagna elettorale. L'ultimo intervento è, come

si diceva, di De Gasperi, il quale ricorda ai delegati dei 16 paesi intervenuti la

necessità e l'importanza del legame atlantico, definito un legame non solo

economico e strategico, ma anche morale e ideale382.

L'incontro di Fiuggi, svolto sul tema La dottrina politica della

Democrazia cristiana, vede la prima presenza tedesca ufficiale a un congresso

Nei, anticipata da un'accorata “Lettera sulla pace”, scritta dai giovani cattolici

tedeschi e apparsa sulle pagine di «Per l'Azione» nel marzo precedente:

Della tirannia tedesca voi avete terribilmente sofferto. Come

gioventù cattolica, anche noi soffrimmo per molto tempo

individualmente e nelle nostre organizzazioni, e facemmo molti

sacrifici per la libertà e la vita. Noi non facciamo poco caso al

delitto contro l'umanità, ma abbiamo coscienza dolorosa del

disprezzo che pesa sul nostro popolo per colpa del nazismo. […]

Informatevi del numero di tedeschi che sono stati uccisi nelle

provincie verso l'est: più di dieci milioni! Informatevi della miseria

senza nome, nella quale siamo abbandonati, senza vedere una

prospettiva di miglioramento. Informatevi della situazione

dell'economia tedesca e dell'alimentazione. Con molta convinzione

noi vi diciamo: una soluzione del problema sociale tedesco ed un

risollevamento dalla miseria è semplicemente impossibile senza

una pace giusta e moderata, che ci renda la possibilità di vivere

verso est. […] è in corso una decisione importante: ne va del

382T. Di Maio, I Partiti democratici cristiani in Italia e Germania e le Nouvelles Equipes Internationales, in J.D. Durand (a cura di), Les Nouvelles équipes internationales, cit., pp. 250-252.

156

Regno di Dio383.

A Fiuggi nasce ufficialmente la Section Jeunes delle Nei, accolta con

soddisfazione anche da «Cronache sociali» secondo cui «per il numero

consistente dei partecipanti al convegno, per la loro diversa origine nazionale,

per la validità della maggior parte degli interventi»384 e «per il ruolo che i

giovani e le giovani di fede democratica e cristiana avranno nell'Europa unita di

domani: per tutte queste ragioni è opportuno considerare attentamente i lavori di

Fiuggi»385. «Il Congresso, è vero, – continua la rivista – non aveva alcun potere

deliberativo. Esso è tuttavia servito a svolgere un lavoro proficuo di conoscenze

reciproche»386; «O si farà l’Europa – è la conclusione – o moriranno le nostre

patrie»387.

Il 19 e 20 novembre 1948 Nobili sarà poi a Parigi per la sessione

plenaria della sezione giovani delle Nei, nel corso della quale i rappresentanti di

13 paesi europei decideranno l'enunciazione di una carta sociale per i giovani e

la convocazione di un congresso internazionale che si terrà a Hofgastein, presso

Salisburgo, nel luglio 1949388. A Hofgastein una mozione sull'indivisibilità

dell'Europa proclama come facenti parte integrante di quelle unità le nazioni che

possono esprimersi solo attraverso la voce dei loro rappresentanti in esilio.

Vengono condannati i sistemi dittatoriali e l'oppressione di ogni forma di libertà,

protestando contro le persecuzioni di cui le prime vittime erano all'Est le

comunità cristiane e le organizzazioni democratiche. La mozione alza inoltre

una protesta vigorosa contro l'arresto e la condanna di dirigenti religiosi e

383Un grido dalla Germania, in «Per l'Azione», n.7, s.d.384I partiti democratici-cristiani d'Europa al Congresso di Fiuggi, in «Cronache sociali»,

n.16, 31 agosto 1948.385Ibidem.386Ibidem.387Ibidem.388Gruppi Giovanili. Nouvelles équipes internationales, in «Bollettino organizzativo della

Direzione centrale della Democrazia Cristiana», a. II, n.2, 5 dicembre 1948.

157

politici quali mons. Stepinac, il cardinale Mindszenty, Nikola Petkov, Iuliu

Maniu, i vescovi romeni e i pastori bulgari389. Nel 1951, infine, dal 22 al 29

giugno, a Strasburgo si tenne la Conferenza europea della gioventù390 e a

Loreley sul Reno, nei pressi di Francoforte, dal 20 al 28 agosto, un grande

raduno della gioventù democratico-cristiana europea391, quest'ultimo preceduto,

dal 23 al 21 luglio, da un incontro a Berlino in cui la Sezione giovanile divenne

Jeunes Démocrates-Chretiens (UIJDC) e che da allora verrà rappresentata nel

Comitato direttivo delle Nei392. La riunione di Berlino, come osservava Malfatti,

«alla quale hanno partecipato i rappresentanti di tutte le sezioni nazionali e due

osservatori per la Norvegia e la Svezia rivestiva una notevole importanza per

due ragioni: la prima perché seguiva alla Conferenza Europea della Gioventù di

Strasburgo nella quale […] la predominanza delle forze socialiste ha

chiaramente indicato la inefficienza attuale delle forze cattoliche e

democristiane in specie, conferenza nella quale in breve i giovani delle N.E.I.

sono stati duramente sconfitti. La seconda perché dopo Strasburgo su iniziativa

del Segretario generale della Gioventù Democristiana Tedesca (CDU) Ziegler e

del Presidente dalla sezione Giovani delle N.E.I. Leo Schurmann fu inviata ai

responsabili delle Sezioni Nazionali dei giovani delle NEI una circolare nella

quale si lanciava la proposta di costruire a Berlino l'Unione Internazionale della

Gioventù Democristiana»393. Si trattava, in altre parole, «di prendere atto di una

permanente situazione di inefficienza e di inconcludenza politica della Sezione

Giovani delle NEI, e di passare senz'altro alla costituzione dell'Internazionale

389Ş. Delureanu, L'Europa dell'esilio, in J.D. Durand (a cura di), Les Nouvelles équipes internationales, cit., pp. 172-173.

390Strasburgo, in «Per l'Azione», a. VI, n.6, luglio-agosto 1951.391ADCRE, f. D12, b. “Movimento Giovanile”, Circolare di Franco Nobili, 8 settembre 1951.392R. Papini, L’Internazionale DC. La cooperazione tra i partiti democratici cristiani dal

1925 al 1985, Franco Angeli, Milano 1986, p. 85. Si legga anche G. Vecchio, Alla ricerca del partito. Cultura politica ed esperienze dei cattolici italiani nel primo Novecento, Morcelliana, Brescia 1987.

393F.M Malfatti, Incontro a Berlino, in «Per l'Azione», a. IV, n.7, settembre-ottobre 1951.

158

Giovanile Democristiana, analogamente a quanto fatto dalla Gioventù Socialista

e dalla Gioventù Liberale. A Berlino – continuava Malfatti – invece una grossa

delusione ci attendeva, e delusione non già perché non si sono raggiunte delle

mete da noi suggerite, ma perché si è anche elusa la discussione cordiale, ma

sincera e approfondita sulle ragioni dell'inefficienza e della sterilità dell'azione

della Sezione Giovani delle NEI»394. Quali erano, secondo Malfatti, i principali

punti di debolezza delle Nei e della Sezione giovanile? Innanzitutto, a suo

avviso, «le NEI non sono un organismo partitico, equivoche quindi nella loro

struttura organizzativa. Per questa equivocità organizzativa organizzativa, che

pone per esempio sullo stesso piano partiti politici, gruppi culturali, personalità

che si ispirano alla dottrina sociale cristiana, ne deriva che le NEI sono un

organismo indeterminato sul piano politico, strana associazione il cui scopo –

l'Europa – resta una troppo facile etichetta qualificativa se non specificato a

sufficienza in una precisa e conseguente linea politica. Ne deriva una ancor più

grande genericità e indeterminatezza per la Sezione Giovani, la cui azione in

ogni caso sarebbe più sfumata, e quindi una disorganicità di iniziative, di tempi,

di modi, tale da rendere perfettamente comprensibile per esempio la sconfitta di

Strasburgo»395. A preoccupare Malfatti era poi soprattutto l'attività dei giovani

comunisti: «Di fronte alla parata totalitaria effettuata nella Berlino Est»,

concludeva, «ci sembra che non siano consentiti indugi»396. «Noi – gli fa eco

394Ibidem.395Ibidem.396Ibidem. Malfatti si riferisce al terzo Festival internazionale della gioventù e degli studenti

per la pace tenutosi nella parte orientale della città tedesca dal 5 al 19 agosto 1951; si veda, ad esempio, Giovani di 90 paesi in viaggio per Berlino verso il Festival della gioventù per la pace, in «l'Unità», 1 agosto 1951; Berlino accoglie oggi le delegazioni giunte da 90 paesi per l'inizio del Festival, in «l'Unità», 5 agosto 1951 e il bilancio finale di Berlinguer, presidente della Federazione mondiale della gioventù democratica in Il grandioso successo del Festival di Berlino, in «l'Unità», 2 settembre 1951. L'importanza attribuita alle varie campagne per la pace e il successo del Festival di Berlino è riscontrabile in un documento stilato dalla stessa Fgci in cui si sostiene che «Il tena della lotta per la pace e per l'indipendenza nazionale è stata fondamentalmente costante, anche se con notevoli difetti, nella nostra azione in questi tre anni. Nel periodo di preparazione del VII Congresso,

159

Ciccardini in un editoriale – siamo in condizioni sfavorevoli rispetto alla

Federazione Giovanile Comunista. Essa ha più mezzi, più stampa specializzata,

usufruisce di un'organizzazione capillare di Partito più efficiente, delle

commissioni di deputati portano la sua voce sui più disparati problemi in

Parlamento. Tutto ciò influisce ovviamente sulla portata delle attività a livello

mentre il Governo, in legame con lo scatenamento della guerra di Corea e con l'aggravamento della situazione internazionale sviluppava la cosiddetta crociata contro le forze democratiche e mentre si faceva particolarmente intensa ed aggressiva l'attività neofascista tra i giovani, il C.C. della FGCI lanciava una grande campagna di dibattiti “sulla Patria e la pace”. Prima e dopo il Congresso questi dibattiti si svilupparono ampiamente in tutto il paese e si riuscì in tal modo a stabilire dei contatti con gruppi giovanili di ogni tendenza sviluppando una utile azione di chiarificazione e di orientamento che diede già alcuni frutti nella notevole partecipazione giovanile con alle grandi manifestazioni contro la venuta del generale Eisenhower e nella spontanea ed impetuosa protesta contro l'arrivo delle cartoline rosa e il prolungamento della ferma. Il 18 marzo 1951, nel quadro d'una vasta campagna per lo sviluppo del movimento giovanile dei partigiani della pace, fu organizzata una “giornata nazionale della gioventù per la pace”, nel corso della quale furono promosse centinaia di assemblee, dibattiti e comizi per la pace, senza però riuscire a dare alla giornata l'ampiezza che avremmo desiderato. A questa data veniva segnalata la costituzione di oltre 1000 Giunte Giovanili provinciali e locali dei Partigiani della Pace. Notevole è stato anche il contributo della gioventù alla grande campagna, lanciata dal Consiglio mondiale della Pace nella sua sessione di Berlino, per la raccolta di adesioni alla proposta di un patto di pace dei Cinque grandi. La campagna di raccolta di firme fu accompagnata da una azione di propaganda e di dibattito. Particolare valore come stimolo ad una azione unitaria ebbero le lettere aperte (stampate in parecchie decine di migliaia di copie) indirizzate ai giovani e alle ragazze di Azione Cattolica, ai giovani studenti, alle ragazze tessili ecc. in legame con la campagna per un patto di pace, venne preparata, nonostante notevoli difficoltà frapposte dal governo la partecipazione della gioventù italiana al 3° Festival Internazionale della Gioventù e degli Studenti per la Pace, a Berlino, nell'agosto del 1951, al quale venne inviata una delegazione di oltre 1300 fra giovani e ragazze, con complessi artistici e culturali, rappresentanze sportive e mostre artistiche sulla vita e sulle lotte della gioventù italiana. La preparazione prima, e poi la popolarizzazione del festival furono accompagnate da una intensa azione di propaganda per l'amicizia tra i popoli. Nel corso dell'assemblea per il disarmo e la pace, tenutasi a Roma nei giorni 24-25 novembre 1951, i 105 giovani di tutte le correnti politiche (cattolici, repubblicani, socialdemocratici, missini, comunisti, socialisti e indipendenti) che parteciparono all'assemblea costituirono una commissione che approvò un appello rivolto a tutta la gioventù italiana in difesa della pace. I giovani cattolici e repubblicani, pur dichiarando le loro riserve verso il Movimento dei Partigiani della Pace, espressero, uniti a tutti gli altri giovani, la loro volontà di giungere all'unità di tutta la gioventù per far prevalere una politica di distensione internazionale, di disarmo e di pace» ; cfr. Archivio del Partito comunista italiano presso Istituto “A. Gramsci” di Roma, d'ora in poi APCIG, carte Fgci, b. 1954/2, f. 0423-2571, Informazione sull'attività del C.C. della F.G.C.I. Dal VII°

160

internazionale»397.

Il 1948 per i Gruppi giovanili può considerarsi un punto di svolta inoltre

per una loro più forte strutturazione in senso partitico.

Forte del proprio consenso – e gettando lo sguardo alle elezioni del

1948 – De Gasperi si era spinto, durante il Congresso di Napoli, a disegnare per

la Dc l'identikit di «Partito della nazione»: cioè di una formazione politica che

ambiva ad ampliare la propria forza avvalendosi dell'appoggio di personaggi

eminenti, anche se non formalmente iscritti al partito398. Baget Bozzo, in un

articolo intitolato proprio Partito nazionale, puntualizza però che «il pericolo

sta in una certa deformazione di cui la formula è suscettibile: ossia che la vastità

delle forze che si è coagulata intorno alla Democrazia Cristiana venga intesa

come limite alla libertà e alla autonomia di programmi e di azioni della

Democrazia Cristiana per ricercare una linea mediana che non urti troppo queste

forze. Il Partito deve continuare oggi più che mai la sua opera di orientamento

rinnovatore nei confronti del Paese»399. Parecchie forze, a suo avviso, si sono

avvicinate alla Dc durante lo sforzo elettorale, «e forze ad esempio dell'A.C.

organizzata nei Comitati Civici. Bisogna che la partecipazione elettorale diventi

in queste forze coscienza politica»400; tali forze «hanno visto la loro lotta

soprattutto come lotta per la libertà della Chiesa dal pericolo comunista. Oggi

debbono sentire che la vittoria impone loro la responsabilità di partecipare alla

costruzione di una città umana»401. Da queste considerazioni deriva, secondo

Baget Bozzo, un compito nuovo per i Gruppi giovanili: «portare questi giovani,

che hanno certo una formazione cristiana a liberarsi dalla mentalità “ordine e

congresso del Partito all'ottobre 1954, s.d.397B. Ciccardini, Editoriale, in in «Per l'Azione», a.IV, n.8, novembre 1951.398A. De Gasperi, Scritti e discorsi politici, vol.III, tomo II, cit., pp. 1112-1131.399G.B.B. Partito nazionale, in «Per l'Azione», n.9, 1-15 maggio 1948.400Ibidem.401Ibidem.

161

autorità” per assumere quella “giustizia e libertà”»402.

L'evoluzione in senso partitico dei Gruppi giovanili può essere colta

sotto due differenti aspetti. Innanzitutto va rilevato come i giovani presero

posizione con forza per una forma-partito che portasse la Dc a costituirsi in

moderno partito di massa, sul modello che veniva offerto dalla esperienza del

“partito nuovo” di Togliatti.

L'indicazione trovò una spiegazione contingente nella opposizione ai

Comitati di Gedda e nel timore che un partito “a struttura debole” potesse

offrire loro eccessivi spazi. La centralità della organizzazione di partito –

analizzata in ben tre convegni giovanili nazionali, a Roma (2-3 dicembre 1948),

Torino (15-16 dicembre 1948), Vibo Valentia (22-23 dicembre 1948)403 e con

una “gara di cultura” con premi in denaro404 – e una sua funzione istituzionale

forte nell'ambito del più vasto mondo cattolico furono visti come elementi di

rottura positivi con la precedente storia dei cattolici in politica, al punto da

suscitare una orgogliosa rivendicazione di originalità da parte di questa

generazione di cattolici che, per prima, si stava formando e definendo intorno al

partito di massa. Questa opzione si manifestò attraverso il bisogno di

definizione: in primo luogo di una posizione politica che fosse in grado di far

interagire la ricerca culturale con la politica contingente. I Gruppi giovanili si

trovarono così ad operare su di un terreno per loro in gran parte inedito, favorito

in ciò anche dalla perdita di centralità di associazioni come la Fuci, che

tradizionalmente avevano svolto un ruolo egemone in ambito culturale405. La

scelta spinse i giovani democristiani – anche al di là dei loro intendimenti

402Ibidem.403Gruppi Giovanili. Campagna nazionale di studio, in «Bollettino organizzativo della

Direzione centrale della Democrazia Cristiana», a. II, n.2, 5 dicembre 1948. 404Gruppi Giovanili. Gara di cultura, in «Bollettino organizzativo della Direzione centrale

della Democrazia Cristiana», a. II, n.2, 5 dicembre 1948. 405Su questa fase “discendente” della Fuci, cfr. G. Marcucci Fanello, Storia della Fuci,

Studium, Roma 1971, pp. 219 ss.

162

espliciti – ad assumere una definizione correntizia all'interno del partito. Tale

deriva fu, negli anni subito successivi alla vittoria del '48, contrastata da

posizioni interne al movimento. Ben presto, però, i gruppi giovanili divennero

uno dei punti forza del dossettismo all'interno del partito e, dopo l'abbandono

della politica da parte di Dossetti, il rifugio dei suoi seguaci che scelsero di

perseverare nell'impegno406.

Un'altra conseguenza immediata della vittoria elettorale fu la nomina di

un nuovo Esecutivo nazionale, ratificato durante la riunione del Comitato

nazionale giovanile del 9-13 maggio 1948: oltre alla nomina di due vice-

segretari nazionali, Franco Nobili e Attilio Ruffini, che affiancheranno

Dall'Oglio, il nuovo Esecutivo risulta composto da Luciano Ciminelli

all'organizzazione, Baget Bozzo alla preparazione sociale, Attilio Ruffini al

segretariato della gioventù, Lino Matassoni ai problemi del lavoro, Agostino

Greggi ai Cud, Franco Nobili ai rapporti esteri407.

Una importante novità che emerge da tale nuovo Esecutivo è

evidentemente la nomina di Baget Bozzo alla preparazione sociale. Da questo

momento in poi, infatti, prenderà vita uno strumento nodale della strategia

formativa dei Gruppi giovanili: il Centro di preparazione sociale (Cps).

La formazione dei quadri di partito non è oggetto per molti anni di un

ufficio specificatamente costituito nell'ambito della Dc. Fin dal 1944 era stato

fondato l'Ufficio studi propaganda e stampa (Spes), cui Dossetti darà forma e

indirizzo. Ad una segreteria centrale suddivisa in sei servizi: studi, attività

culturale, propaganda, raccolta ed emissione informazioni, stampa periodica,

dovrà corrispondere un ufficio Spes presso ogni Comitato regionale e

406Sulla posizione dei giovani nella geografia del dossettismo cfr. P. Pombeni, Le “Cronache Sociali” di Dossetti. Geografia di un movimento di opinione 1947-1951, Vallecchi, Firenze 1976, pp. 44-45 e 65.

407ASILS, Dc, Sp, s.1 f.4, Verbale della riunione della Segreteria del 17 maggio 1948.

163

provinciale408.

Dossetti resterà responsabile del coordinamento dei due uffici connessi

alla Segreteria centrale anche dopo le sue dimissioni da vice-segretario

nell'aprile '46: all'ufficio organizzazione andrà Giulio Pastore, mentre alla Spes

andrà Amintore Fanfani, che vi rimarrà fino al giugno '47 quando la

responsabilità dell'ufficio passerà a Giorgio Tupini, che resterà nell'incarico fino

al settembre 1951. Nel mezzo del mandato a Tupini si pone l'esperienza della

preparazione e della grande contrapposizione al Fronte popolare nelle elezioni

del 1948. È il primo vero sforzo di azione e propaganda organizzativa della Dc

che tramite la Spes aggiorna i dirigenti, potenzia la struttura, edita il giornale

«Traguardo», forma una rete nazionale di attivisti in corsi provinciali, zonali e

regionali, pubblica un insieme di prodotti di propaganda, efficace e

differenziata409.

I Centri di preparazione sociale affidati a Baget Bozzo rappresentano in

questo quadro indubbiamente una novità e un'urgenza. Per Dall'Oglio, infatti,

«l'opera continua dei comunisti, affidata all'On.le Sereni, di formare

politicamente, attraverso decine di scuole e di circoli di alta cultura marxista, i

propri giovani ha confermato la necessità e l'urgenza di sviluppare delle

iniziative culturali che servano alla formazione sociale dei nostri giovani e

forniscano il materiale per un'ulteriore elaborazione»410.

Istituito con il III Convegno di Firenze del dicembre 1947, il Cps è

definito come «una branca di lavoro dell'esecutivo provinciale dei Gruppi

giovanili […] che si occupa della formazione sociale e politica dei militanti»411. 408Il documento-base, stilato da Dossetti, è pubblicato in C. Dané (a cura di), Parole e

immagini della Democrazia cristiana in quarant'anni di manifesti della SPES, Roma 1985, pp. 13-14.

409G. Tupini, Metodo e azione della propaganda DC, in «Cronache sociali», n. 11-13, 15 luglio 1948.

410ASILS, FG, b.26, f.1, Relazione generale sui Gruppi giovanili, marzo 1949.411Si veda l'opuscolo Il Centro di preparazione sociale, Movimento giovanile Dc, Roma

1951.

164

Due sono i capisaldi: l'analisi storica e l'osservazione della realtà sociale; la

prima è ricerca del significato del proprio tempo, la seconda è affinamento di

«sensibilità sociale» che «umanizza e concretizza schemi di indagine altrimenti

astratti o mitici»412. «Da costituirsi in ogni capoluogo di provincia e in ogni altro

luogo importante»413, il Cps «è composto di un venti, venticinque giovani e

tiene riunioni con una frequenza quindicinale. È opportuno in linea di massima

che allo scopo di assumere una certa unità tra i vari centri esso abbia attinenza,

per quanto larga, con i temi che i G.G. tratteranno nei loro convegni regionali:

1) Il Partito nella democrazia moderna; 2) La Riforma Agraria414».

È soprattutto auspicabile, sottolinea Dall'Oglio, «che tutti i partecipanti

trovino un ambiente che garantisca la più ampia libertà di discussione non

legata a disciplina di nessun genere, stante la natura di incontri privati tra

giovani di orientamento comune»415; per quanto riguarda invece la

composizione sociale, il Cps «è composto di giovani anche se il termine va

interpretato con una larghezza non fissabile in termini di regolamento. Di esso

debbono far parte elementi di varie provenienze sociali»416.

Premettendo che formazione non è accademia, né attivismo ma «aprire

gli occhi e capire»417, vengono definiti gli strumenti di lavoro che, salendo dalla

base informale fino al livello provinciale, sono: il gruppo di studio, il convegno

zonale d'inchiesta, il convegno provinciale di studio. Il gruppo di studio si fonda

su un metodo di lavoro comunitario tendente a identificare pensiero e azione

sociale e al contempo atto a selezionare una nuova classe dirigente giovanile; il

livello successivo, ovvero il convegno zonale d'inchiesta, è il luogo in cui con

412Ibidem.413ASILS, Dc, Sp, s.1 f.4, Verbale della riunione della Segreteria del 17 maggio 1948. 414I centri di preparazione sociale, in «Per l'Azione», n.10, giugno 1948.415ADCER, b.2 fasc. GG Segretariato della gioventù 1948, Circolare di Cesare Dall'Oglio e

Gianni Baget Bozzo, 1 giugno 1948.416I centri di preparazione sociale, in «Per l'Azione», n.10, giugno 1948.417Il Centro di preparazione sociale, cit.

165

osservazioni sul campo e studi concreti si esaminano problemi e questioni con

un'ottica non localistica e al di là di attese clientelari; i problemi locali debbono

essere inquadrati, attraverso più relazioni, nel contesto nazionale e in una teoria

generale, le inchieste debbono essere suddivise tra diversi soggetti sulla base

delle diverse competenze e qualità. Il convegno di studio provinciale, infine,

avviene in collegamento con la segreteria provinciale del partito adulto e con il

movimento femminile, e consente di esporre i migliori esponenti e risultati,

concordando temi e relatori418.

«Per l'Azione» aiuterà la discussione nei Cps attraverso la rubrica

Argomenti e indicherà «dei libri le cui idee fondamentali possono costituire

interessante oggetto di dibattito in seno al Centro»419.

La cellula fondamentale per il funzionamento dei Cps è dunque quella

più informale, il gruppo di studio e viene portato come esempio, tramite una

lettera di Pecci, il funzionamento di quello bolognese.

Il gruppo S.A.S. (Studi a Azione Sociale) di Bologna è una

creatura vecchia e giovane insieme. Vecchia perché corrisponde a

un'intuizione, a una esigenza sentita immediatamente dopo la

liberazione, quando il passaggio dall'azione clandestina a quella

più direttamente politica, in piena libertà, ci scombussolò per la

mancanza di un equilibrio interiore. […] Infatti fin dal '45,

larvamente, e dal '46 con maggior chiarezza, si cercò di mettere in

piedi quello che allora chiamammo G.A.S. (Gruppo Azione

sociale); ma tutti questi tentativi fallirono […] E così, con una

diversa formula, più giusta, è nato nell'aprile di quest'anno il

Gruppo S.A.S. nella sua edizione attuale. Dopo pochissimi mesi di

funzionamento, possiamo affermare che ormai ha solide basi e ha

avuto risultati e affermazioni assai lusinghiere. La via giusta, la

418Per tutto questo cfr. Ibidem.419I centri di preparazione sociale, in «Per l'Azione», n.10, giugno 1948.

166

formula nuova è stata la seguente: non preoccuparsi del tempo e

dei risultati e agire con omogeneità. Perciò prima si sono riuniti i

promotori e hanno incominciato a studiare; poi, a poco a poco, si è

allargata la cerchia. I già aderenti decidevano sulle proposte o

richieste di ammissione di nuovi. Così oggi conta una trentina di

elementi, tutti i migliori attivisti e dirigenti del Partito e delle

A.C.L.I420.

Qual'è il programma di studio del gruppo di Bologna? Esso è

essenzialmente suddiviso in tre punti. Il primo è l'analisi del problema della

profonda modificazione dell'attuale realtà economica e sociale – realtà giunta, a

loro parere, ormai alla fase estrema della propria crisi – attraverso lo studio

delle linee evolutive dell'economia italiana e mondiale e che si concreta in un

programma minimo e massimo per l'instaurazione di una nuova società. Il

secondo punto fissa ed esamina in tutti i suoi aspetti lo strumento necessario per

la realizzazione di quanto sopra: il Partito. Il terzo punto esamina il necessario

allargamento d'orizzonte alle diverse esperienze cristiane dal punto di vista

temporale e geografico421.

Era questo un gruppo preparato più alla specifica azione politica che

sensibilizzato ai problemi della crisi del cattolicesimo (un tema invece molto

sentito da Dossetti), se pure anch'esso di matrice tipicamente cattolica e

resistenziale. Questo gruppo ebbe inizialmente due momenti importanti: la

partecipazione alla costruzione della Democrazia cristiana bolognese, come si è

visto, e l'attività di formazione della nuova classe dirigente Dc422.

Il gruppo bolognese Sas consta di un nucleo centrale di sei giovani di

420I nostri gruppi di studio, in «Per l'Azione», n.3, s.d.; cfr. Il gruppo bolognese: da Gronchi a Dossetti attraverso Lenin, cit.

421Gruppi di studio. Il programma del Gruppo di Bologna, in «Per l'Azione», n.7, s.d.422Così P. Pombeni, Il partito cattolico in Emilia (1945-1951). Note su alcuni centri di

elaborazione ideologica, in P.P. D'Attorre (a cura di), La ricostruzione in Emilia Romagna, Istituto Gramsci, sezione dell'Emilia Romagna-Pratiche editrice, Parma 1980, p. 333.

167

cui fanno parte oltre Galloni anche Achille Ardigò, Giovanni Battista Cavallaro,

Giampaolo Dore, Franco Pecci, Pino Savorani. Esso organizzerà annualmente

dei convegni interregionali di giovani a Faenza che diverranno – tra il 1947 e il

1951 – importanti appuntamenti di riflessione e di dialogo423. Svoltisi sempre fra

settembre e ottobre, i convegni avevano come denominatore comune l'esigenza

dell'«attuazione di una forma più vitale di democrazia» nel tentativo di superare

il dato generazionale per aprirsi ad una critica più globale a certe impostazioni

presenti nel partito. Essi trattarono i seguenti temi: «Apporto giovanile al

movimento sociale cristiano, ieri e oggi» (1947); «Democrazia e cristianesimo»

(1948); «Il decentramento amministrativo nel rinnovamento dello stato

democratico» (1949); «Le possibilità dello sviluppo democratico del ceto medio

della politica italiana» (1950); «Unità dei cattolici per la costruzione dello stato

democratico» (1951).

Il 6-7 settembre 1947 si teneva dunque a Faenza il primo di questi

convegni con la partecipazione di circa quattrocento persone.

Una riflessione importante sui risultati del I incontro di Faenza,

organizzato dai Gruppi giovanili di Bologna e Faenza, è riportato da «Cronache

sociali», mettendo in rilievo che la maggior parte dei convenuti venivano posti

per la prima volta davanti a questioni ideologiche:

Dalla numerosa serie di interventi che hanno seguito ogni relazione

è apparsa con chiarezza una preoccupazione costante e

spontaneamente identica. Essere cioè necessaria premessa e

condizione alla vera unità dei cattolici italiani, in ogni settore, la

chiarificazione delle mete e dei quadri, la coscienza e prassi

cristiana anche nella vita professionale ed economica. Potrà

423Da Faenza '47 a Faenza '84: un messaggio per le nuove generazioni, supplemento a Via Emilia, 3(1984), 3, p. 20, cit. in P. Trionfini, La repubblica dei cattolici, in M. Salvati (a cura di), La fondazione della repubblica. Modelli e immaginario repubblicani in Emilia e Romagna negli anni della Costituente, Franco Angeli, Milano 1999, p. 234.

168

sembrare che i frutti del Convegno siano maturati su posizioni

meramente critiche. Invece, nonostante l'incontro abbia aperto per

la prima volta, a moltissimi fra i convenuti l'orizzonte dei problemi

più attuali della ideologia politico-sociale di parte cristiana,

un'esigenza positiva è certamente rimasta in tutti alla fine dei

lavori. Accanto all'istanza di chiarificazione, la necessità estrema di

riguadagnare il tempo perduto, di costruire con severità i

programmi a medio e lungo termine, il metodo e la tattica per

l'azione dei cattolici nella vita pubblica, la necessità soprattutto

della formazione della base e della nuova classe dirigente sono

state affermate con particolare insistenza dai relatori e nei migliori

interventi424.

Il programma dei lavori si articolava su una lunghissima relazione di

Ardigò dedicata alla storia del movimento cattolico, tesa a dimostrare come si

dovesse superare il programma ottocentesco; su una relazione di Baget Bozzo,

che specificava come il nuovo cristiano «deve mirare alla conquista della

società dall'interno». «La civiltà cristiana di tipo clericale – sostiene

quest'ultimo – che tendeva al dominio del temporale attraverso accordi con la

classe dirigente privilegiata o attraverso il numero è ormai finita. La profonda

rivoluzione nella vita politica operata dal sorgere dei “partiti di massa” che

esprimono una volontà di potenza superante il piano parlamentare, ha da essere

assimilata al cattolicesimo sociale. Un partito cristiano di massa deve essere

partito di formazione cristiana della massa. Perciò, per un partito cristiano, è

più importante formare la massa, attraverso la formazione unitaria dei quadri

direttivi e la definizione organica dei programmi, che avere voti. Ogni successo

conquistato con l'equivoco si sconta»425.

È interessante a questo punto notare come il secondo convegno, che si

424Un congresso giovanile democristiano, in «Cronache sociali», n.8, 15 settembre 1947.425Citato in P. Pombeni, Il partito cattolico in Emilia, pp. 334-335.

169

tiene un anno dopo (4-5 settembre 1948), ritorni sullo stesso schema: ampia

relazione storica di Salizzoni, esame della politica seguita alla liberazione di

Ardigò, considerazioni sul partito di massa di Baget Bozzo. Ma bisogna notare

che il cronista sul numero 17 (1948) di «Cronache Sociali», sostiene in apertura:

«Il movimento cristiano sul piano temporale possiede – per contributo

prevalente del cattolicesimo francese – un'ideologia sociale e a maggior ragione

una concezione generale della comunità e della persona. Esso però manca di

un'organica ideologia politica che sia anche criterio di interpretazione della

storia politica in senso stretto». E così Ardigò notava che «il problema della

comunità cristiana vien sempre più posto in termini di successo di

concentrazione generica di forze, di conquista esterna – e perciò clericale – del

mondo invece che nei giusti termini di unità organica fra settori distanti, di

verità, di formazione, di conquista interiore del mondo»426. Gli faceva eco Baget

Bozzo sostenendo che a suo avviso un partito moderno, basato su principi

democratici interni, «rinnova la propria classe dirigente, divenendo strumento di

progresso, invece che di conservazione. Il pericolo che l'attuale fase involutiva

ha recato, coll'indebolirsi della norma democratica interna, è quello d'un partito

che da ideologica fa empirica la propria direttiva d'azione, che invece d'una

circolazione di èlite opera il cristallizzarsi dei dirigenti in casta chiusa la quale

devia o arresta la autoformazione della base»427.

Oltre al gruppo bolognese, «Per l'Azione» riporta l'attività di quello

romagnolo e di quello bresciano. Il primo non ha una sede precisa in qualche

capoluogo ma «periodicamente, di sera, in qualche sede o davanti a un ceppo

acceso in una casa colonica uno svolge il tema assegnatogli, dopo di che viene

discusso da tutti gli altri che contemporaneamente si sono pure essi approfonditi

426Ivi, p. 335.427Convegno di studi democristiano, in «Cronache sociali», n.17, 15-30 settembre 1948.

170

sul medesimo»428; il piano di studi prevede una prima parte «storica introduttiva,

riguarda l'analisi delle varie correnti politico-economiche che hanno formato la

società presente»429 e una seconda che tratta della società cristiana che si vuole

edificare basata sullo studio dell'uomo «nella sua integralità, come individuo e

come membro della società pluralistica»430.

I membri del gruppo di Brescia hanno invece «cominciato con il leggere

e commentare i brani sociali del Vangelo, Umanesimo integrale di Maritain,

Dalla proprietà capitalistica alla proprietà umana di Mounier, e la lettera

pastorale del Cardinale Souhard»431 e studiano «uno schema di statuto per i

consigli di gestione»432. I risultati di queste riflessioni vengono quasi

settimanalmente pubblicati sui giornali locali e «spiegati alla base»433; il gruppo

bresciano, sottolineano i partecipanti, «non ha presidenti o segretari, è nato e

vive nel segno della più profonda e leale amicizia degli aderenti»434.

L'esperienza di Baget Bozzo alla guida dei Cps avrà però durata assai

breve. Sostituto da Signorello alla fine del 1948 alla direzione di «Per

l'Azione», co-direttore diventerà Nobili, viene sostituito infatti anche questa

volta da Signorello nell'ottobre dello stesso anno nell'Esecutivo nazionale

nell'incarico della preparazione sociale e dunque anche a quello di guida dei

428Gruppi di studio, in «Per l'Azione», n.6, s.d.429Ibidem.430Ibidem.431Ibidem.Si noti che la lettera pastorale di Souhard per la Quaresima del 1948 venne

pubblicata integralmente a puntate su «Per l'Azione» nei numeri 9-10-11. Scrive Baget Bozzo nel numero di giugno di «Per l'Azione»: «Uno dei meriti maggiori di Maritain è quello di aver dato alle giovani generazioni cristiane la coscienza dell'ora storica: e di aver insegnato a loro a vedere il rinnovamento integrale della vita sociale come un grande scopo cristiano. Per rinnovamento sociale noi intendiamo rinnovamento di strutture sociali. […] Se dietro alle spalle degli uomini di governo ci fosse un partito che sentisse profondamente il problema della riforma agraria, della partecipazione operaia, della riforma dell'educazione ecc; ebbene questo sentimento incontenibile troverebbe la sua strada»; G. Baget Bozzo, Verso una nuova cristianità, in «Per l'Azione», n.10, giugno 1948.

432Gruppi di studio, in «Per l'Azione», n.6, s.d.433Ibidem.434Ibidem.

171

Cps435.

Tale avvicendamento non è certo privo di frizioni: Dall'Oglio fa infatti

notare a Gonella in una lettera come, «attraverso abili mascheramenti

intellettualistici», i Cps stanno diventando mezzi per imporre «particolari

soluzioni politiche»436. Dall'Oglio non nasconde che la propria «impostazione

orientativa» del Partito e dei Gruppi giovanili sia radicalmente diversa da quella

di Baget Bozzo e che, nonostante ciò, l'intento è sempre stato quello di trovare

una «risultante che non rappresentasse certo un compromesso, ma una linea

positiva organica»437. Per Signorello, invece, la spiegazione del passaggio di

ruoli è assai più semplice: «Alcuni vedono il Partito in funzione personale […]

Qui sta il problema»438.

Un secondo motivo di frizione che deve affrontare Dal'Oglio è quello

legato alle vicende di un quindicinale giovanile lombardo, «Il Domani», sulle

pagine del quale si alzavano forti le voci di critica nei confronti della dirigenza

Dc. Il primo numero de «Il Domani» esce il 18 marzo 1948 su iniziativa di

Aristide Marchetti, Italo Uggeri439 e del delegato dei Gruppi giovanili di Milano

435Gruppi Giovanili. Modifiche nell'Esecutivo Nazionale dei G.G., in «Bollettino organizzativo della Direzione centrale della Democrazia Cristiana», a. II, n.1, 20 novembre 1948.

436ASILS, FG, b.26 f.1, Appunto dattiloscritto di Cesare Dall'Oglio inviato a Guido Gonella, 1948.

437ADCRE, f. D5, b. “Movimento Giovanile”, Lettera di Cesare Dall'Oglio a Gianni Baget Bozzo, 19 ottobre 1948.

438ADCRE, f. D5, b. “Movimento Giovanile”, Circolare di Nicola Signorello e Cesare Dall'Oglio, 26 novembre 1948.

439Italo Uggeri nasce a Milano il 12 aprile 1923. Dopo la Liberazione inizia l'attività giornalistica e politica. Collaboratore del settimanale «Democrazia», fonda e dirige con Aristide Marchetti «Il Domani». Dal 1952 è caporedattore e poi direttore del settimanale «Il Popolo lombardo». Successivamente diviene responsabile della redazione milanese de «Il Popolo». Negli stessi anni fonda e dirige il periodico tascabile «Sintesi politica» e collabora al quindicinale «La Base». Nel 1962 è a «L'Italia» con Giuseppe Lazzati direttore. Nel 1964, con il cambio di direzione, è licenziato e riassunto l'anno dopo come inviato. Nel 1966 passa a «Il Giorno». Nel 1968 è fra i fondatori del Gruppo dei giornalisti cattolici, intitolato a Giuseppe Donati. Nel 1967 è assunto alla Rai di Milano come caporedattore. Nel 1988 lascia l'azienda per raggiunti limiti di età. Per anni si è dedicato alla vita del sindacato dei giornalisti (Fnsi), è stato segreteraio dell'Unione cattolica stampa

172

Alberto Grandi440, con collegamenti ai delegati giovanili di Liguria, Veneto,

Emilia e Piemonte441. Il progetto è assai ambizioso e lo scopo dei fondatori è,

«nei limiti consentiti e con le possibilità di penetrazione a disposizione»442,

«dare una maturità sociale alla massa dei cattolici. Non basta salvare gli

individui e le famiglie, bisogna salvare anche la società. I comunisti hanno

superato i cristiani nella sete di amore per il prossimo (anche se la dottrina

italiana (Ucsi) e consigliere nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Muore il 12 aprile 1994.440Alberto Grandi (1925-2011) «studente di ingegneria, appartenente ad una famiglia della

borghesia milanese, è attivo nell'Azione cattolica dalla quale assorbe inizialmente e contribuisce ad alimentare poi, quelle posizioni frondiste nei confronti del fascismo e della sua politica culturale […] Nelle file dell'Azione cattolica e nei gruppi sportivi dei GUF, nei quali pratica intensamente l'atletica, il Grandi viene via via ponendosi in aperto antagonismo ideale al regime, in lunghe e sofferte meditazioni, confortate spiritualmente nella evoluzione dalla vicinanza di padre Davide Turoldo soprattutto, oltre che dal colloquio avviato con l'avv. Capocaccia, un intellettuale comunista, che abita nello stesso palazzo. Dopo l'8 settembre si rifugia in Valcuvia; nel successivo gennaio, sceso a Milano, rappresenta il Movimento giovanile democristiano nella fase costituente del Fronte della gioventù. Nel marzo entra in rapporto di collaborazione con Enrico Mattei che gli affida il coordinamento delle squadre di azione patriottica dei giovani democristiani di Milano. Nel Fronte, oltre a prendere parte ad alcune importanti azioni, come quella condotta con Quinto Bonazzola all'Accademia di belle arti di Brera e a scrivere articoli per l'organo centrale dell'organizzazione, Grandi reca un particolare contributo di impegno unitario tra le varie componenti politiche che nella primavera del 1944 assicurano carattere rappresentativo e realmente unitario al Fronte»; cfr. P. De Lazzari, Storia del Fronte della gioventù, cit., p. 45. Il 18 settembre 1944, infatti, «Alberto Grandi e Quinto Bonazzola organizzarono un'azione dimostrativa all'Accademia di Brera. Si sapeva che all'esame di disegno si sarebbero presentati tre studenti del tristemente noto btg. repubblichino Ettore Muti. In collaborazione con simpatizzanti organizzati nella scuola, Bonazzola e Grandi preparano una squadra del Fronte e, partendo dalla vicina chiesa di S. Marco, mescolandosi agli studenti, penetrano nella aule alle 8.30, all'inizio delle lezioni. Allontanato il professore attonito, mentre Bonazzola disarma i tre studenti repubblichini, Grandi salta sulla cattedra e tiene un breve discorso riscuotendo alla fine persino qualche applauso. L'azione termina con la distribuzione del n.2 del giornale del Fronte milanese e di volantini. Il clamore sollevato nell'intera Accademia è tale che il direttore è costretto a sospendere esami e lezioni»; cfr. Ivi, p. 140. Grandi, «uomo che a fianco di Mattei ha contribuito alla nascita e al decollo dell'Eni», sarà amministratore delegato di Montedison, vice-presidente di Montefibre, presidente di Bastogi e presidente di Eni per il biennio 1980-1982; cfr. San Felice piange l'ingegnere gentile, in «Il Giorno», 22 giugno 2011.

441ADCER, b.2 fasc. GG Segretariato della gioventù 1948, Circolare di Italo Uggeri del 26 febbraio 1948.

442ADCER, b.2 fasc. GG Segretariato della gioventù 1948, Circolare di Italo Uggeri 11 febbraio 1948.

173

comunista li ha portati sulla via sbagliata)»443. Per quanto riguarda la vita

politica i redattori intendono «contribuire alla formazione di un partito

democratico cristiano. Non un partito di centro, equilibratore o un partito-

blocco»444 ma si considerano alla ricerca di «un partito che ispirandosi

quotidianamente e inflessibilmente nel suo metodo d'azione ai principi cristiani

voglia trovare una sua via politica che, al di sopra delle divergenze religiose, lo

differenzi da tutti gli altri partiti politici. Perciò sempre maggior specificazione

del nostro partito e difesa di ogni intrusione estranea da qualsiasi parte

provenga»445.

Fin da subito «Il Domani» si caratterizza per una critica serrata ad

alcune scelte della dirigenza, sottolineando come «già dal dicembre scorso

riunendosi a Firenze per il loro III Congresso i giovani avevano messo in

guardia dal pericolo che la formula del partito nazionale facesse degenerare la

DC in un grande rassemblement»446 e «avevamo ripetutamente chiesto che le

liste dei candidati venissero esaminate con criteri di giusta severità»447; «Il

Partito – concludono – deve guardarsi, pena lo scalzare le basi stesse della sua

costruzione, dalla tentazione di valersi del potere religioso»448.

Raccogliendo impressioni da tutt'Italia, «Il Domani» nota, ad esempio,

che i Gruppi giovanili della Provincia di Firenze, dopo aver esaminato «la

struttura della DC, i rapporti con le formazioni a carattere cattolico collaterali, in

rapporto alla delicatezza del momento politico […] considerano necessaria ed

urgente l'affermazione di un integralismo cristiano che deve tradursi attraverso

chiari principi ideologici in attiva affermazione in campo sociale, cercando di

neutralizzare la possibile affermazione di un Partito clerico-moderato, limitante

443Ibidem.444Ibidem.445Ibidem.446Quello che chiedono i giovani, in «Il Domani», 27 giugno 1948.447Ibidem.448Ibidem.

174

la sua azione alla difesa della libertà e dell'ordine»449; «Il Domani» segnala poi

che i Gruppi giovanili di Foggia ravvisano «il pericolo che la DC divenga un

blocco di forze eterogenee guidate da un anticomunismo acquiescente per il

mantenimento di un ordine che urta contro le esigenze della comunità sociale»450

e auspicano «la convocazione di elementi qualificati di ogni provincia per

l'esame della struttura organizzativa perché si abbia una maggiore garanzia di

democraticità nella vita del nostro Partito»451; i Gruppi giovanili di Milano,

infine, chiedono che «le liste dei candidati per le prossime elezioni regionali

vengano compilate con il più largo controllo di iscritti cosicché non avvenga,

come per le recenti elezioni, che si includano candidati sconosciuti o sgraditi

alla maggioranza del Partito, noti e benemeriti solo per le larghe possibilità

finanziarie»452.

Già il 30 settembre 1948, con l'evidente necessità di imporre un minimo

di controllo alla idee fatte circolare da «Il Domani», alla redazione iniziale

milanese ne viene imposta una seconda a Roma, creando dunque due edizioni

parallele del quindicinale453. Il 1° ottobre 1948, poi, la Giunta nazionale approva

una delibera che porta alla creazione di un'unica edizione nazionale de «Il

Domani», con l'impegno di uniformarne il contenuto politico alla mozione

vincitrice del III Convegno nazionale, convegno che aveva visto, è utile

ricordarlo, la vittoria di Cesare Dall'Oglio454.

Oltre a ciò, la “derubricazione”, per volontà del delegato nazionale, di

un articolo di Galloni dalla prima pagina a semplice trafiletto interno455 porterà

449Ibidem.450Ibidem.451Ibidem.452Ibidem.453ADCER, b.2 fasc. GG Segretariato della gioventù 1948, Circolare di Cesare Dall'Oglio del

30 settembre 1948.454ADCER, b.2 fasc. GG Segretariato della gioventù 1948, Circolare di Cesare Dall'Oglio del

25 ottobre 1948.455Scrive Uggeri a Galloni che «il fatto è servito per mettere in discussione l'indirizzo

175

Uggeri a scrivere il 26 ottobre a Dall'Oglio esprimendo tutto il proprio

dispiacere per lacune posizioni drastiche che sono costretto ad

assumere […] Tu dichiari la tua coerenza fin dai primi accordi di

Milano ma qui appunto mi sembra che si parta male perché si parte

da punti diversi. A Milano ci eravamo trovati d'accordo su questi

punti: “Il Domani” nella sua sostanziale impostazione andava bene.

Occorreva solamente smorzare qualche articolo che era opportuno

al Nord ma poteva essere poco accetto al Sud e a Roma e a tale

proposito si era proposto di variare qualche pagina per l'edizione di

Milano e di Roma. […] Se ci doveva essere su argomenti

sostanziali opera di complementarietà questa doveva svolgersi da

Roma nei riguardi di Milano e non viceversa altrimenti sarebbe

stato più opportuno che i dirigenti del Centro Nazionale si fossero

fatti un loro giornale senza rivolgersi a “Il Domani”. D'altra parte

non possiamo essere tacciati di ingenui e sognatori se pensavamo

che “Il Domani” avrebbe potuto, salvo lievi mutamenti, diventare

portavoce nazionale dei GG. infatti “Il Domani” nella sua vita era

libero a tutti, indipendente da correnti e da persone, accetto al

Centro nazionale e obiettivo nei confronti di esso […] L'esperienza

anche dei GG insegna che se la direzione dell'organo di stampa di

un movimento non è affidata al massimo dirigente del movimento

stesso tutto torna a miglior vantaggio di questa organizzazione. La

responsabilità del giornale affidata dalla Giunta Nazionale con un

ODG al Delegato Nazionale deve ritenersi come delega per un

controllo generale. Se invece deve ritenersi responsabilità e

direzione effettiva non si capisce con quale diritto si sia potuto fare

questo senza prima aver interpellato e messo al corrente il

proprietario e la direzione in carica del giornale456.

generale del giornale e provocare la rottura confermata nella lettera inviata poi a Dall'Oglio e di cui ti allego copia»; cfr. ADCER, b.2 fasc. GG Segretariato della gioventù 1948, Lettera di Italo Uggeri a Giovanni Galloni, 26 ottobre 1948.

456ADCER, b.2 fasc. GG Segretariato della gioventù 1948, Lettera di Italo Uggeri a Cesare

176

Nel gennaio 1949 Uggeri puntualizzerà, in un lungo excursus sulla

storia dei Gruppi giovanili, la propria posizione a riguardo. «L'elasticità delle

formule statutarie – scrive Uggeri – e le molteplici necessità da cui è stata

sempre assillata la Democrazia Cristiana hanno spesso sviato i giovani dai loro

compiti primari perché da una parte gli anziani preoccupati dalle lotte politiche

d'oggi avrebbero voluto usarli come massa coreografica nelle manifestazioni e

come vivaio di attivisti e dall'altra parte una corrente di giovani avrebbe voluto,

accanto ad un largo programma di assistenza e di rivendicazione giovanili

(accettate come eredità dal “Fronte della Gioventù”) concedere minima parte

all'opera di formazione e di studio»457. «Il primo scontro – continua Uggeri – fra

questa corrente di giovani, che chiameremo dei “pratici” e che mantiene tutt'ora

la Direzione dei G.G. e la corrente predominante negli altri, che chiameremo dei

“teorici”, ebbe luogo al 2° Convegno Nazionale dei G.G. di Assisi nel gennaio

1947. Ma l'opposizione non si palesò molto chiaramente e si fermò su posizioni

più morali che politiche, più istintive che sistematicamente ripensate, riuscendo

tuttavia a porre il dito sulla piaga dell'esagerato tatticismo e del trasformismo

politico. L'andamento stesso del Convegno fu un esempio deplorevole di questo

tatticismo»458. «Prossimamente – conclude Uggeri – avrà luogo il 4° Congresso Dall'Oglio del 26 ottobre 1948. Ricorda Marchetti: «Io avevo già diretto il quindicinale dell'Associazione partigiani cristianai (Apc) “Il richiamo partigiano e fondato e diretto con Italo Uggeri e Alberto Grandi, il quindicinale dei Gruppi giovanili lombardi “Il Domani” […] Giovanni Galloni era stato collaboratore de “Il Domani”, quello milanese, con Donat Cattin, Malfatti, Sarti, Dal Falco e gli altri giovani leoni. Quando accettammo il trasferimento a Roma, come organo dei Gruppi Giovanili nazionali, dividendo la direzione con Amerigo Petrucci e Francesco Casa, con il secondo numero, proprio per un articolo di Giovanni Galloni contestato dai romani, Italo Uggeri ed io chiudemmo l'avventura romana. Ritornammo a casa con la testata e la delusione pronosticata da Giuseppe Lazzati e Giuseppe Dossetti (che dovette in Direzione difendere il nostro diritto di proprietà»; G. Borsa, G. Mainini (a cura di), La Base in Lombardia. Storia, testimonianze, eredità, Studium, Roma 2013, pp. 148-149.

457I. Uggeri, La situazione dei Gruppi Giovanili, in «Corrente cristiana», a.II, n.I, gennaio 1949.

458Ibidem.

177

Nazionale dei G.G. e le tesi delle due correnti contrapposte verranno presentate

al vaglio dei delegati. Si ripartirà dalle posizioni lasciate in sospeso ad Assisi,

senza nessun preconcetto regionalistico o personalistico e ci saranno coloro che

chiederanno una svolta nella direzione dei G.G. e alle regioni sopraddette

aggiungeranno anche la richiesta di una democratizzazione della loro

organizzazione»459.

Democratizzazione e soprattutto rinnovamento, come chiesto anche dai

Gruppi giovanili lombardi, guidati da Uggeri stesso, in una circolare del 29

maggio 1949; esigenze di rinnovamento che «devono risolversi non nel

rinnegare tutto quanto è stato fatto in passato»460 ma potenziando «nuove attività

che integrino e completino l'azione vecchia sfrondandola semmai nelle parti

ingombranti e non indispensabili»461. «Possiamo domandarci: come si pone oggi

nei G.G. il contrasto tra coloro che sono convinti della necessità di introdurre

queste nuove esigenze e coloro che lo negano? Alcuni rispondono

semplicisticamente: “L'indirizzo dei G.G. oggi è il migliore. Non

preoccupiamoci di coloro che tendono a delle novità: sono degli

intellettualoidi”. E pretendono costoro, che anche senza aver portato ragioni,

dopo aver sentito questa parola, “intellettualoide”, i giovani si acquietino. Noi

pensiamo che si debba invece porre all'attenzione degli iscritti i diversi

orientamenti perché siano essi a scegliere e a decidere»462.

Uggeri si dimetterà comunque dalla carica di delegato regionale per la

Lombardia poco dopo, nell'estate del 1951 dopo un incontro dai toni assai accesi

nei Gruppi giovanili a Milano, lasciando, nel proprio intervento una sorta di

testamento politico per il lavoro futuro: «Si tratta di non accontentarsi di

459Ibidem.460ADCER, b.9, f. Segreteria politica anno 1950, circolare del Comitato regionale lombardo

dei Gruppi giovanili, 29 maggio 1949.461Ibidem.462Ibidem.

178

adesioni alla D.C. E ai G.G. intesi solamente come Baluardo della Chiesa

cattolica e della civiltà cristiana ma di rendere queste adesioni sempre più

coscienti e politicamente mature»463; «Spesso – notava – quando si va alla

sezione e si chiede dove sono i giovani ci si sente rispondere che sono

all'associazione cattolica, all'oratorio ecc., ma, ci si dice, quando ci sarà bisogno

per le elezioni salteranno fuori tutti e si metteranno a servizio del Partito»464.

Le motivazioni della sua scelta sono comunque riscontrabili in una

lettera aperta pubblicata su «Per l’Azione» in cui, con tono sconsolato, rileva

che «i giovani vedono i beni della ex GIL che, anche se creati da un regime

dittatoriale, dovrebbero essere patrimonio della gioventù e invece vengono

adibiti agli usi più diversi»465 e che gli stessi giovani «vedono i milioni che

arricchiscono la vita di determinate competizioni sportive industrializzate e non

riscontrano una corrispondente assistenza per i giovani che vogliono fare dello

sport senza poter diventare dei campioni»466. A tali problemi Uggeri aggiunge

«l'occupazione giovanile non sufficientemente tutelata, le difficoltà

dell'apprendistato e delle qualificazioni operaie, le mancate provvidenze per i

giovani sposi, le mancate iniziative culturali»467; chi, a suo avviso, ha a cuore gli

ideali democratici ha il dovere di impegnarsi affinché «sorgano e si diffondano

circoli e libere associazioni culturali così che i giovani i quali per una qualsiasi

ragione non si sentono di impegnarsi nel Partito Comunista o nell'Azione

Cattolica non siano costretti a passare le giornate libere dagli impegni di lavoro

fra le partite di calcio ed il cinema»468. A Milano, conclude, «si sta sviluppando

un tentativo di iniziativa dei giovani dc per influire sull'opinione pubblica

463La relazione Uggeri, in «Per l'Azione», n.6, luglio-agosto 1951.464Ibidem.465I. Uggeri, La gioventù ha bisogno di un'avanguardia politica, in «Per l'Azione», a. IV, n.1,

gennaio 1951.466Ibidem.467Ibidem.468Ibidem.

179

giovanile che merita di essere ricordata»469.

L'estromissione di Baget Bozzo dall'Esecutivo nazionale e dalla

direzione di «Per l'Azione» e le frizioni circa i contenuti de «Il Domani»

testimoniano – come ricorda Galloni – la ripresa di quello «scontro fra il gruppo

dei delegati provinciali fedeli al delegato nazionale, e politicamente vicini a De

Gasperi e Andreotti, e quello dei delegati provinciali che erano già andati in

minoranza al convegno di Assisi»470. Uno scambio di lettere fra Dall'Oglio e

Galloni del luglio-agosto 1949 consente di farsi un’idea del livello polemico a

cui era giunto tale scontro. Il 18 luglio 1949 Galloni scrive a Dall'Oglio infatti

che ha

appreso, per via indiretta, che nei giorni 22 e seguenti p.v. si terrà a

Roma una riunione di “alcuni” delegati provinciali, scelti da tutta

Italia, compresa la regione emiliana. Non posso che esprimerti il

mio stupore per una iniziativa che pur essendo in sé e per sé

lodevole, pur tuttavia per il modo con il quale è stata lanciata e per

il velo di discrezione di cui è stata circondata, non può suscitare

qualche riserva. […] non si sa bene se la riunione abbia carattere

privato o ufficiale. Ma la prima ipotesi mi sembra subito da scartare

oltre che per il ripetuto e per tutti valido divieto della

organizzazione di tendenze, anche per la natura dell'o.d.g. e per

l'annunciato intervento del Segretario o vice Segretario del Partito.

[…] Non posso quindi non farti rilevare, con quella sincerità e

chiarezza che hanno sempre caratterizzato i nostri rapporti, come

sia rimasto male impressionato da questa iniziativa che, data la

vicinanza del rinnovo delle cariche, potrebbe prestarsi ad

interpretazioni tutt'altro che obiettive sul conto del Centro

Nazionale471.

469Ibidem.470G. Galloni, Postfazione. La Costituzione come base dell'alternativa, cit., p. 190.471ADCER, b.9, f. Segreteria politica anno 1950.

180

Il Comitato nazionale dei gruppi giovanili del 9-13 maggio aveva

approfondito la frattura fra Dall'Oglio – il quale aveva fatto presente il rischio

che da parte dei Gruppi giovanili sarebbero potuti arrivare pronunciamenti di

aperta sfiducia nei confronti di alcuni eletti – e Baget Bozzo, che proseguiva nel

denunciare con preoccupazione che l'attività dei Comitati civici portava con sé il

rischio di un ritorno in Italia del clericalismo pre-fascista; anche Morlino aveva

espresso la propria preoccupazione per lo sfaldamento in atto del Partito che si

trovava così compresso fra due forze: i Comitati civici e il gruppo

parlamentare472. Anche per Malfatti, d'altronde, era in atto un tentativo di

clericalizzazione del Partito e uno svuotamento politico del partito stesso e i

Comitati civici stavano portando, in poche parole, a un ritorno del giolittismo473.

Sulla questione spinosa dei Comitati civici era d'altronde già intervenuto su «Per

l'Azione» anche l'ex presidente della Fuci Ivo Murgia, sottolineando che «in un

momento di eccezionale importanza – d'emergenza, si usa dire – fu ritenuto

opportuno creare organismi straordinari, assolutamente imprevisti, mi sembra

chiaro che tali organismi, quali il Comitato Civico, non abbiano alcune funzione

da svolgere in una situazione normale. I partiti esistono: se un partito in

particolare ha bisogno di potenziamento, lo si faccia in seno a esso»474.

Come si diceva, alla fine del 1948 la frattura interna ai Gruppi è ormai

definitivamente compiuta. Nell'agosto del 1949, relazionando in Segreteria

nazionale, Dall'Oglio sostiene che le campagne iniziate dai Gruppi giovanili

hanno lamentato deficienze e lacune proprio a causa del veto di molti giovani

«dossettiani», in special modo degli elementi del nord Italia475. I veti sono

472SILS, Dc, Sp, s.1 f.4, Verbale della riunione della Segreteria del 17 maggio 1948.473F.M. Malfatti, Orientamenti nei Gruppi Giovanili, in «Politica d'Oggi», anno IV, n.4,

maggio 1948.474I. Murgia, Appunti sulla partecipazione dei cattolici alla vita politica, in «Per l'Azione»,

giugno 1948.475ASILS, Dc, Sn, s.5 f.4, verbale della riunione della Segreteria politica del 23 agosto 1949.

181

comunque incrociati: Galloni, ad esempio, ricorda come «dando il via, nel

settembre 1949 al III Convegno di studi di Faenza, ricevetti il divieto di invitare

a questa assise giovani di altre regioni. Cesare Dall'Oglio mandò addirittura per

il giorno dell'apertura del convegno un suo delegato, che rispondeva al nome di

Mario Bubbico, con il compito di non fare entrare nell'aula i giovani non

appartenenti alla regione»476.

Nel settembre, in Direzione nazionale, Dall'Oglio, notando come sia

spesa molta energia nel lavoro nelle scuole e nelle università, sottolinea che però

si tratta pur sempre di lavoro di élites; i Gruppi giovanili continuano, dopo

quattro anni dalla loro nascita, a vivere nell'incertezza e nella scarsità di mezzi:

chiede, infine, la convocazione al più presto del IV Congresso nazionale dei

gruppi giovanili per risanare le fratture477.

Il paragone con la Fgci anche per Dall'Oglio risulta impetoso. In una

lettera a Gonella, nel marzo '49, il delegato nazionale aveva inoltre avvertito

che, se il Partito comunista per le politiche giovanili mobilitava i suoi migliori

dirigenti – Emilio Sereni, ad esempio – le maggiori personalità della Dc ancora

snobbavano tale settore; la prospettata rinascita della Fgci – aggiungeva

Dall'Oglio – avrebbe messo i comunisti in una posizione di netta superiorità478.

Proprio a causa del rinnovato attivismo del Pci e della sua federazione

giovanile, nell'agosto del 1949 Dall'Oglio lancia una seconda grande “campagna

di studio”: se la prima, nell'anno precedente, era stata dedicata a Il Partito nella

democrazia moderna, per il 1949 il delegato nazionale e il responsabile alla

preparazione sociale Signorello ne impostano una dedicata a Le possibilità di

sviluppo della democrazia italiana in relazione alla esistenza del Partito

comunista: «la campagna – scrivono a tutti i delegati provinciali – ci impegna

476G. Galloni, Postfazione. La Costituzione come base dell'alternativa, cit., p. 190.477ASILS, Dc, Dn, s.7 f.92, Verbale della riunione della Direzione nazionale del 28 settembre

1949.478ASILS, FG, b.26 f.1, Relazione generale sui Gruppi giovanili, Roma marzo 1949.

182

seriamente per cui non bisogna perdere un minuto di tempo»479.

Nella lettera a Gonella sopra citata il delegato nazionale faceva poi

riferimento all'indubbio attivismo che continuava a caratterizzare l'Alleanza

giovanile, attivismo concentrato su un rilancio del pacifismo e sulla critica

radicale dell'adesione italiana al Patto atlantico, inserendosi in quel complesso

fenomeno sviluppatosi proprio dal 1948, e che durerà fino alla metà degli anni

Cinquanta, che ridarà slancio in Italia alla difesa della pace, alla messa al bando

della bomba atomica e alla critica della politica estera di governi centristi480.

A rendere più complessa la vicenda si aggiunga che le posizioni

espresse su «Per l'Azione», per di più, tradivano un non perfetto allineamento

con le direttive degasperiane in materia di politica estera. «Una politica

decisamente ispirata dall'America – scrive Malfatti nel marzo 1948 –

toglierebbe autonomia politica ai Paesi europei che la perseguissero, e si

tradurrebbe in un indirizzo conservatore della loro politica interna»481. «Il Piano

Marshall può significare l'ingresso in un nuovo periodo della nostra storia

nazionale e l'edificazione per la comunità europea di una era storica» solo se,

scrive Baget Bozzo, alle riforme economiche «si accompagneranno le

necessarie trasformazioni sociali»; solo allora «esso assumerà un suo significato

più vasto e impegnativo» e «uscirà dallo stadio della lotta per il pane quotidiano

per impostare invece organicamente il problema della revisione della struttura

sociale italiana»482.

Per quanto riguarda invece l'attivismo dell'Alleanza giovanile, a Napoli,

dal 25 al 28 novembre 1948, si teneva una grande conferenza nazionale,

479ADCRE, f. D11, b. “Gruppi giovanili e studenti medi anni '50 e '60”, Circolare di Cesare Dall'Oglio e Nicola Signorello, 19 agosto 1949.

480Per questo fenomeno G. Vecchio, Guerra fredda e rilancio del pacifismo in Italia (1948-1949), in O. Barié (a cura di), L'alleanza occidentale. Nascita e sviluppi di un sistema di sicurezza collettivo, Il Mulino, Bologna 1988, pp. 261-329.

481F.M. Malfatti, Terza forze e terza via, in «Per l'Azione», n.7, s.d.482G. Baget Bozzo, Difesa della libertà, in «Per l'Azione», n.7, s.d.

183

conclusa con la decisione di promuovere tre grandi campagne: la prima per la

pace, che avrebbe dovuto sfociare in una grande manifestazione a Roma, la

seconda per il lavoro e la terza per la cultura. Era inoltre stato eletto Enrico

Berlinguer alla presidenza e Luigi La Daga dei giovani socialisti come

segretario generale483. «Alla presenza di cinquecento delegati», riporta

«l'Unità», a Napoli si era chiarita «la posizione dei giovani democratici italiani

di fronte alla politica aggressiva e guerrafondaia dei circoli imperialisti

americani»484; gli interventi di Luigi Longo e Alberto Jacometti, segretario del

Psi, erano stati preceduti da quello di Berlinguer, il quale aveva sottolineato che

si trattava di «una conferenza di lotta per la pace» che aveva lo scopo di «far

sentire agli uomini che oggi tentano di far dell'Italia una colonia straniera che la

nostra gioventù non si batterà mai al servizio dell'imperialismo»485. «Dica la

gioventù italiana – questo il testo del telegramma giunto ai convegnisti da parte

di Pietro Nenni – alle vecchie classi dirigenti, la sua ferma volontà di pace e di

un avvenire migliore di libertà e di giustizia»486 e lo stesso Italo Calvino

dedicava sulle pagine de «l'Unità» un lungo articolo ai convegnisti il giorno

della chiusura dei lavori487.

483R. Trivelli, La gioventù comunista, cit., p. 123.484In difesa della pace. Inizia oggi a Napoli l'Assise della Gioventù, in «l'Unità», 25

novembre 1948.485La conferenza dei giovani democratici, in «l'Unità», 26 novembre 1948.486La conferenza dell'Alleanza giovanile a Napoli, in «l'Unità», 27 novembre 1948.487«Molti pregiudizi sono certo caduti domenica mattina a chi ancora ne aveva ed era

presente alla grande manifestazione per la pace, offerta dalla gioventù napoletana ai delegati dell'Alleanza giovanile. Il pregiudizio che i giovani italiani siano apatici e poco combattivi, per primo, e, più grave ancora, il pregiudizio che il Meridione sia qualcosa di statico ed estraneo al movimento democratico; terzo, e più grave di tutti il pregiudizio che le guerre siano fatalità che i popoli non possono impedire. È stata la festa dei giovani per la pace, ma anche la festa di Napoli, del Meridione per la pace. Il che vuol dire che sui loro piani gli strateghi dell'imperialismo hanno da segnare tra quelle linee di resistenza che corrispondono ai possibili fronti e ai confini […] anche il fronte della pace rappresentato da questo popolo […] Un fronte della pace che ha per baluardo l'Unione Sovietica, un attacco ai servi nostrani dell'imperialismo, una promessa di rispondere con la forza popolare a ogni eventuale tentativo guerrafondaio»; I. Calvino, La grande manifestazione di Napoli. Il giuramento per la pace dei giovani democratici, in «l'Unità», 30 novembre 1948.

184

Alla luce anche dei risultati della mobilitazione messa in opera

dall'Alleanza giovanile, Dall'Oglio scrive a Cappi tutta la propria

preoccupazione causata «dall'energia con la quale il Partito Comunista si è

gettato ad organizzare la Federazione Giovanile»; «I comunisti – prosegue –

stanno impiegando per il lavoro tra i giovani alcuni degli uomini più in evidenza

del Partito: realizzeranno a giugno a Roma la “Manifestazione della Pace” con

grande schieramento di mezzi; stanno inondando gli ambienti giovanili con il

giornale giovanile “Pattuglia” che si articola in supplementi vari» e, conclude,

«fino ad oggi il Centro Nazionale dei Gruppi Giovanili ha fatto quello che ha

potuto, realizzando abbastanza, pur tra i difetti e le pecche che possono essergli

attribuiti. Pressoché tutto è stato lasciato alla sua completa iniziativa e nella

deficienza dei messi finanziari, alla quale ho cercato di porre rimedio»488.

Sempre Dall'Oglio, una quindicina di giorni più tardi, avvertirà i

delegati giovanili provinciali che la petizione contro il Patto Atlantico, lanciata

dai due maggiori partiti della sinistra italiana489, seppur «per forma e sostanza

alquanto timida», è pur sempre «una idea di Stalin»490.

L'ultima grande iniziativa dell'Alleanza giovanile sarà appunto la

Marcia della Pace di Roma, il 10 luglio 1949, proprio alla vigilia del dibattito

parlamentare sulla ratifica del trattato istitutivo dell'Alleanza Atlantica, con un

polemico intervento di Nenni che fece esplicito riferimento ai tribunali del

popolo di fronte a cui sarebbero stati tradotti un giorno i violatori della

Costituzione repubblicana, causando tra l'altro una minacciosa reazione del

questore della capitale Saverio Polito491. Dopo tale manifestazione l'Alleanza 488ASILS, Dc, Sp, s.5 f.4, Verbale della riunione della Segreteria nazionale del 2 gennaio

1949.489Sulla petizione si veda G. Vecchio, Guerra fredda e rilancio del pacifismo in Italia (1948-

1949), cit. pp. 327-329.490ADCRE, f. D5, b. “Movimento Giovanile”, Circolare di Cesare Dall'Oglio, 20 gennaio

1949.491G. Vecchio, Pacifisti e obiettori nell'Italia di De Gasperi 1948-1953, Studium, Roma

1993, pp. 85-86.

185

giovanile perde tuttavia man mano incisività e mordente soprattutto a causa

della ricostituzione, nell'aprile 1949, della Federazione giovanile comunista492.

Le preoccupazioni però arrivano non solo dalle sinistre ma un nuovo

fronte si apre a destra, in particolare nei confronti del Movimento sociale

italiano. «Non possiamo ignorare – nota Dall'Oglio – alcuni suoi successi tra gli

studenti medi e nelle Università»493. È un problema, questo, continua il delegato

nazionale, che va «attentamente considerato»494 e va «affrontato con risolutezza

e tempestività: anche da parte del Governo che dovrebbe impedire certe

manifestazioni e certi “richiami” al passato. Organizzativamente il MSI non fa

distinzione tra adulti e giovani essendo la maggior parte dei suoi aderenti

costituita da quest'ultimi»495. «Per l'Azione» analizza, per esempio, l'uscita de la

«Fiamma», un numero unico edito a cura del Raggruppamento studenti e

lavoratori del Msi di Napoli ritrovandovi «tutti i vecchi detriti della retorica

dannunziana, che ci ha rintronato le orecchie per il ventennio»; «È vero –

proseguono i redattori – che il fascismo è come tale, decantato nella società

italiana. Ma la sua sostanza profonda, l'attivismo, è ancora molto forte. Prova ne

è il successo del comunismo. L'attivismo polemico, dogmatico, superficiale

trova eco profondo in una gioventù che non sa più pensare, che non vuole più

pensare, ma abbandonarsi a un mito, a un capo che la lanci nella violenza e

nell'azione. Per questo il MSI è un pericolo»496.

Il tono del dibattito con i giovani del Msi è ben espresso d'altronde in

uno scambio di lettere apparso su «Per l'Azione» nell'estate del 1952. In tale

occasione un gruppo di studenti missini di Cagliari scrive alla rivista che si sono

decisi ad inviare una lettera alla redazione «per dirvi innanzitutto di smetterla di

492R. Trivelli, La gioventù comunista, cit., p. 123.493ASILS, Dc, Sp, s.5 f.4, Verbale della riunione della Segreteria nazionale del 7 aprile 1949.494ASILS, FG, b.26 f.1, Relazione generale sui Gruppi giovanili, Roma marzo 1949.495ASILS, Dc, Sp, s.5 f.4, Verbale della riunione della Segreteria nazionale del 23 aprile

1949.496Movimento Sociale Italiano, in «Per l'Azione», n.7, s.d.

186

prendervela sempre col M.S.I., dato che i vostri giornali e in particolare Per

l'Azione, non fanno altro che insultarci. Noi siamo nel M.S.I. e non bastate né

voi né i vostri giornali per toglierci dalla mente e dal cuore quel meraviglioso

partito che si chiama M.S.I. Perché vi accanite sempre contro di noi anziché

prendervela contro i comunisti, veri nemici dell'Italia e del popolo italiano. […]

Anche se ci chiamate nostalgici, noi non lo siamo affatto, perché il M.S.I., come

voi dite, è composto da quattro ragazzi, mentre il vostro partito è composto

proprio di fascisti, perché vi sono persone dabbene e attempate. Invece di

perseguitarci continuamente, perché non marciate al nostro fianco, affinché i

comunisti, che vogliono cedere l'Italia ai russi, vengano dispersi per sempre? Se

questo non verrà fatto, anziché marciare con noi su Roma, come voi dite, come

voi dite (e noi non ne abbiamo intenzione) marceranno i comunisti, come già

marciarono su Trieste»497. La secca risposta di «Per l'Azione» è che «vivamente

interessati, abbiamo chiesto ad un bravissimo grafologo di analizzare la scrittura

della lettera prevenutaci. Ecco l'analisi grafologica del soggetto: intelligenza

mediocre, scarsa attitudine alla riflessione, razionalità quasi interamente

dominata dalla emotività psichica, larvata tendenza alla paranoia»498.

Il peso avuto dai giovani nella fase di formazione del Msi appare assai

evidente sin dagli esordi del partito. Se infatti questo sorge ufficialmente con

l'Appello agli italiani e i Dieci punti del 26 dicembre 1946, già il 9 gennaio

1947 «La Rivolta Ideale», settimanale ufficioso della nuova formazione politica,

497Lettere al direttore, in «Per l'Azione», n. 6-7, giugno-luglio 1952.498Ibidem. Ma si legga anche la lettera che Bartolomeo Zanega, vice delegato nazionale dei

Raggruppamenti giovanili del Msi in cui, pur denunciando «le tante menzogne elettorali nei nostri confronti» espresse dalla Dc, considera “amici” Ciccardini e Grassini, i quali gli rispondono che «può anche essere vero che nel MSI i nostri coetanei sono al potere. Sarà senz'altro così. Noi crediamo però (con l'accoramento dei coetanei) questo: finché voi sarete chiusi nel “muro di gelo” a contemplare la vostra sofferenza, finché non affronterete la realtà sociale con schemi nuovi che siano vostri, ma che tengono insieme le esperienze passate, “fasciste ed antifasciste”, non sarete mai forza politica, ma soldati di ventura che si battono bravamente per i gruppi sociali in pericolo»; cfr. Scrive un giovane del M.S.I., «Per l'Azione», n.1, gennaio 1952.

187

annuncia che si è costituito un Fronte giovanile missino, cui si invitano ad

aderire soprattutto gli ex combattenti. Ne possono far parte, aggiunge poi «La

Rivolta Ideale» del 6 febbraio, tutti coloro che hanno meno di 21 anni: lo scopo

è raccogliere intorno al Msi forze fresche. Lo stesso 6 febbraio il settimanale

missino rende noto che si è formata anche una segreteria nazionale dei Nuclei

universitari. Il 9 ottobre lo stesso periodico proclama che il Msi «è il partito

della gioventù», perché «giovane nelle persone dei suoi dirigenti, nei suoi

programmi politici, nel suo stile». In novembre il Fronte giovanile, guidato da

Marcello Perina, e i Nuclei universitari, retti da Mario Romani, vengono

unificati nel Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori, che rimarrà fino ai

primi anni Settanta l'organizzazione ufficiale del Msi operante nell'ambito nelle

nuove generazioni.

È comunque nelle università che i neofascisti mietono fin dall'inizio i

maggiori consensi. Per gli studenti universitari, così come per coloro che

ricoprono incarichi dirigenti, il limite d'età statutario è fissato a 25 anni, il che

consente una una permanenza più prolungata dei militanti in ambito giovanile.

La prima partecipazione missina alle elezioni per gli Organismi rappresentativi

si registra a Roma nell'aprile 1947: in alcune facoltà viene presentata una lista

che ha già per simbolo una caravella, emblema destinato a dare il nome al più

importante gruppo del Fuan. Nello stesso periodo si segnala la presenza di

studenti missini attivi negli atenei di Firenze e di Napoli. Alla attiva presenza

neofascista nelle università italiane dedica infatti un lungo articolo il delegato

Cud Agostino Greggi. A suo avviso

la necessità di uno studio sul neo-fascismo e sul fascismo si è

imposta a noi dei GG.GG. dalle affermazioni che il movimento

neofascista è riuscito a cogliere in questi ultimi mesi nelle elezioni

per gli organismi rappresentativi, elezioni che costituiscono un

188

indizio abbastanza esatto della mentalità e degli orientamenti della

gioventù universitaria italiana. Non saranno certo i 200 votanti

M.S.I. della Facoltà di Ingegneria di Roma, o i votanti che

riescono ad inserire il M.S.I. come quarta forza universitaria

nell'Ateneo napoletano, o i votanti di varie sedi universitarie che

riescono a mandare al Congresso Universitario di Perugia 11

delegati su 250, che spianteranno la democrazia in Italia: ma quei

voti sono un indizio di un danno grave perché sono voti dei

giovani e sono voti di giovani universitari, futura classe dirigente

del paese. […] Occorre qui chiaramente denunciare una grave

colpa dell'antifascismo: di quell'antifascismo che non capì che non

era colpa dei giovani, strappati in massa dal chiuso del loro

ambiente famigliare dalle organizzazioni giovanili fasciste, aver

creduto alla sola alternativa dottrinale e politica che fu loro offerta

od essersi generosamente sacrificati per un ideale che in molti di

loro era veramente e puramente sentito. […] Di questa fallita

esperienza, delle ragioni di una erronea impostazione, delle cause

di quel fallimento non si discute oggi molto e non si ha chiara

coscienza tra i giovani del neo-fascismo […] Alcuni universitari

M.S.I. chiedevano tempo fa ove fosse una differenza od un

contrasto tra cattolicesimo e fascismo. Non si tratta di differenza o

contrasto: si tratta di un abisso499.

In diversi contributi apparsi tra il 1949 e il 1952, un intellettuale

comunista come Ruggero Zangrandi pone il dito nella piaga, precisando che si

era pur sempre di fronte a una minoranza, per quanto consistente e

preoccupante: i giovani studenti guardavano a destra perché delusi dalla

mediocre democrazia realizzata in Italia, ritenuta non rispondente alla proprie

idealità e al proprio romanticismo, o perché condizionati da diversi altri fattori:

499A. Greggi, Il neo-fascismo dei giovani universitari, in «Per l'Azione», n.2-3, 30 maggio 1949.

189

il peso costituito dalla propria provenienza sociale (il ceto medio), la cattiva

educazione ricevuta in una scuola ancora ispirata ai modelli fascisti, la

spontanea opposizione ai governanti, l'incertezza della «lotta per la vita» specie

in tempo di dopoguerra, l'eredità delle vicende del 1943-45 che avevano

coinvolto tanti giovanissimi restati poi privi di punti di riferimento e di

chiarezze500.

Per Aldo Tartaglini su «Per l'Azione», il problema universitario deriva

anche da un certo élitarismo delle università, ancora legate a metodi e abitudini

pre-fasciste; per questo «con la impostazione di un programma assistenziale che

risponda allo spirito del precetto costituzionale, l'Università, che pareva

ambiente refrattario all'ordine nuovo dei tempi attuali, tende ad adeguare la sua

funzione e a tornare così, come dovrebbe sempre essere, centro di interesse, di

orientamento e di guida a tutto il Paese; infatti con l'Università effettivamente

aperta a tutti, a spregio di ogni privilegiata posizione sociale, si giunge

facilmente a dare stabilità a una élite nuova»501; «forse a qualcuno sembrerà

strano o per lo meno esagerato se noi riconosciamo agli universitari la qualità di

uomini della frontiera. Può infatti essere ignorato da molti quanto è stato fatto

da essi per conquistare e mantenere una maggioranza in un ambiente sfiduciato,

quanti altri mai, in un istituto sfasato nel corpo della vita nazionale, fra giovani

in cui stride il contrasto fra la futura posizione nella società e l'attuale

cinismo»502.

500R. Zangrandi, Gioventù perduta?, in «Rinascita», febbraio 1949, pp. 66-68; Id., Indagine sulla crisi delle nuove generazioni, ibid., febbraio 1952, pp. 87-91, citati in G. Vecchio, I cattolici italiani e la questione giovanile negli anni Cinquanta: spunti per una ricerca, in A. Carera, M. Taccolini, R. Canetta (a cura di), Temi e questioni di storia economia e sociale in età moderna e contemporanea. Studi in onore di Sergio Zaninelli, Vita e Pensiero, Milano 1999, p. 537.

501A. Tartaglini, L'assistenza agli universitari, in «Per l'Azione», n.18, luglio-agosto 1950.502A. Tartaglini, Uomini di frontiera, in «Per l'Azione», n.1, gennaio-febbraio 1951.

190

3.3 Da Sorrento a Ostia.

Nel marzo del 1949, scrivendo a Gonella, Dall'Oglio sottolinea il fatto

che «il grave problema posto immediatamente da noi dopo le elezioni del 18

aprile fu di non lasciare disperdere tante energie non solo negli aderenti, ma di

quei quadri che si erano rivelati efficienti durante la campagna elettorale,

attraverso la organizzazione delle manifestazioni di massa. Problema che

dobbiamo avere il coraggio di dire non è stato ancora risolto e tuttora aperto:

fino a quando, però?»503. Il delegato nazionale proseguiva nella propria lettera

scrivendo che «se non si agisce nel senso di dare ad essi motivi di attività e di

lavoro è difficile dire quanti, a lungo andare, non diverranno preda di una grave

sensazione di sfiducia, o si lasceranno prendere da posizioni di sterile critica

nella vita del Partito, fenomeno questo attualmente ristretto a pochissimi e

localizzati elementi, i quali non trovano ancora rispondenza alla periferia, nel

suo buon senso ancora poco accessibile agli eccessi dell'astrattismo»504.

Il IV Convegno nazionale dei Gruppi giovanili, svoltosi a Sorrento dal

20 al 22 dicembre 1949, riconferma comunque Dall'Oglio delegato nazionale

(con 42 voti contro i 37 di Baget Bozzo)505; il clima congressuale è assai teso e,

come ricorda Andreotti, a Sorrento «si erano udite parole […] verso i mobili

antichi» dalle inflessioni assai aspre506. Mentre Dall'Oglio, nella propria

relazione introduttiva al convegno, oltre ad una accurata cronistoria degli

avvenimenti, individua le prospettive nuove dei Gruppi giovanili, l'opposizione

– che oltre a Baget Bozzo comprende nuovi quadri emergenti come Morlino,

Galloni e Ciccardini – pone l'accento su un radicale «ricomiciamento»

503ASILS, FG, b.26 f.1, Relazione generale sui Gruppi giovanili, Roma marzo 1949.504Ibidem.505F. Malgeri (a cura di), Storia della Democrazia cristiana, vol. II, De Gasperi e l'età del

centrismo 1948-1954, cit., p. 225.506G. Andreotti, De Gasperi e il suo tempo, cit., p. 398.

191

dell'attività dei Gruppi, sia pure nel quadro delle strutture ormai consolidate.

Ciccardini sottolinea che i Gruppi giovanili non sono, a suo avviso, «la

specificazione organizzativa del Partito, bensì uno strumento, cioè una funzione

specifica per insegnare un metodo di formazione»507; i Gruppi devono

rappresentare «uno strumento valido per risolvere la mancanza di dialogo –

nota: del partito con i giovani –. Il nostro compito è quello di creare una grande

opera di formazione della gioventù democratica non quello di fare un inutile

proselitismo del linguaggio politico»508. Anche Morlino, con un excursus

storico, parte dal Congresso di Assisi «ad Assisi ci incontrammo dopo la guerra

e ci ritrovammo con la pretesa di voler trasformare il mondo», passando da

quello di Firenze in cui «si credette ancora di avere come Gruppi Giovanili il

compito di modificare il volto del Partito» per arrivare a Sorrento dove «si è

mosso sul piano della concretezza poiché la preoccupazione unica e costante di

tutti è stata soltanto quella di ricercare il contenuto più proprio dell'azione dei

G.G»509. Per Baget Bozzo «le voci circa una subordinazione che noi faremmo

dei G.G. a una determinata corrente del Partito non hanno il minimo

fondamento e sono false e tendenziose» ma «bisogna scegliere tra impostazione

vecchia e nuova, e il convegno darà – ne siamo sicuri – un risultato positivo

poiché dal contrasto uscirà la collaborazione fraterna di tutti per portare più

vivo alla D.C. il consenso della gioventù e l'impegno profondo dell'amore dei

giovani alla democrazia e alla libertà, nella luce dei principi cristiani»510.

Il 5 gennaio 1950 Malfatti rileva «la mancanza di organicità e la

nebulosità degli indirizzi adottati per il passato (specie nel campo della

preparazione sociale), e la sonnolenza che molte volte ha caratterizzato l'attività

del Centro Nazionale quasi che non si fosse profondamente convinti della

507De Stefanis, La gioventù democristiana, cit., p. 327.508Ibidem509Ibidem.510Ibidem.

192

ragion d'essere dei Gruppi Giovanili»511 e si domanda: «Perché, malgrado

questa apparente unanimità, il più delle volte il contrasto non si aggiorna, e

persistono le ragioni del dibattito?»512.

Il nuovo Esecutivo nazionale viene formato il 5 febbraio 1950 con

Signorello quale direttore di «Per l'Azione» e vice Delegato nazionale, Luigi

Galdo vice Delegato nazionale, Aldo Tartaglini incaricato Cud, Ettore Ponti per

l'organizzazione, Ciccardini per la preparazione sociale, Morlino per i problemi

della gioventù, Antonio Calcara per i problemi del lavoro, Enrico Esposito per

gli studenti medi, Nobili per i rapporti con l'estero513. Gli effetti del nuovo

equilibrio si avvertono chiaramente nella impostazione più agile di «Per

l'Azione», diretto da Signorello fino all'estate del 1950, con l'attenzione più viva

verso i problemi europei ed internazionali e con una più ampia apertura

culturale e con una sempre maggiore prevalenza dei contributi di elementi vicini

a Baget Bozzo. Mentre Malfatti assumeva la direzione di «Per l'Azione»,

sostituendo Nobili che aveva a sua volta momentaneamente sostituito

Signorello, ne veniva mutata la stessa impostazione grafica, avviando un

processo di affinamento estetico ispirato al «Politecnico» di Vittorini, veniva

avviata una nuova iniziativa nel settore degli studenti medi, puntando, secondo

una precisa direttiva del Centro nazionale dei Gruppi, sui «giovanissimi»514, e

convocando a Sorrento per il 27-28-29 dicembre 1950 il I° Convegno nazionale

degli Studenti medi515; veniva avviata, inoltre, una Commissione nazionale per

511I Gruppi Giovanili come strumento di maturazione, in «Politica sociale», 5 gennaio 1950.512Ibidem.513ADCRE, f. D11, b. “Gruppi giovanili e studenti medi anni '50 e '60”, Circolare di Cesare

Dall'Oglio, 10 febbraio 1950.514M.I. Gaeta, P. Luzzatto, L'organizzazione del Movimento giovanile della Democrazia

cristiana (1949-1958), in C. Vallauri, L'arcipelago democratico. Organizzazione e struttura dei partiti italiani negli anni del centrismo (1949-1958), vol. I, Bulzoni, Roma 1981, p. 256.

515ADCRE, f. D11, b. “Gruppi giovanili e studenti medi anni '50 e '60”, Circolare di Enrico Esposito, 14 dicembre 1950. Sul Convegno si legga E.E., Studenti medi a Sorrento, in «Per l'Azione», n.18, luglio-agosto 1950.

193

lo studio dei problemi giovanili del lavoro, guidata da Gianaldo Arnaud di

Torino e Ubaldo Mora di Bologna, al fine di lanciare un dibattito nazionale sulla

legge sull'apprendistato, sulla scia di quella lanciata dalla Gioc nel 1948-49516.

Coglie subito tale sollecitazione, ad esempio, «Azione giovanile»,

bollettino dei Gruppi giovanili di Ferrara proponendo i punti fondamentali che

una legge dovrebbe contenere per tutelare effettivamente i giovani:

l'obbligo fatto al datore di lavoro di provvedere all'addestramento

dell'apprendista ed alla sua qualificazione, affidandolo ad operai

abili ed adatti all'insegnamento, di corrispondergli una equa

retribuzione, di provvedere o contribuire all'istituzione di corsi di

formazione professionale che si svolgano durante le ore di lavoro,

di assumere un numero proporzionato di apprendisti; che questi

non vengano sottoposti a lavori insalubri o superiori alle loro forze,

o siano adibiti a lavori contrari alla qualifica che essi intendono

raggiungere. Deve essere garantita una efficace assistenza sanitaria

con visite mediche periodiche per tutti, ed un minimo di 20 giorni

di ferie annuali. Venga fissato un tempo massimo di durata

dell'apprendistato e un orario di lavoro, in qualsiasi caso non

superiore alle 8 ore giornaliere, compresa la partecipazione ai corsi

professionali. Sarà necessario soprattutto fissare delle sanzioni

penali a carico dei datori di lavoro che contravvengano alle

suddette disposizioni, affinché anche questa nuova legge non resti

lettera morta517.

Si prendeva, infine, atto, della «campagna di vitalizzazione» del partito

516ADCRE, f. D11, b. “Gruppi giovanili e studenti medi anni '50 e '60”, Circolare di Cesare Dall'Oglio, 10 febbraio 1950. Per l'inchiesta della Gioc sull'apprendistato si veda F. Piva, “La gioventù cattolica in cammino...”. Memoria e storia del gruppo dirigente (1946-1954), Franco Angeli, Milano 2003, pp. 295-298.

517Tutelare l'apprendistato, in «Azione giovanile», s.d.

194

in procinto di essere lanciata da Mariano Rumor518 e che aveva quale obiettivo

essenziale quello di creare nelle sezioni e negli altri organi territoriali quadri

dirigenti qualificati, campagna che Rumor spiegherà nell'ottobre sulle pagine di

«Per l'Azione» chiedendo l'impegno dei giovani:

è in errore chi crede sia sufficiente alla vita del partito il fatto che

esso abbia le più grandi responsabilità nella vita nazionale […]

Accanto al paese legale c'è un paese reale: il paese in cui vivono e

in cui, più spesso ancora, lottano per vivere gli individui singoli, la

povera gente, i contadini, gli operai, gli intellettuali, gli impiegati.

Essi formano le comunità di base della vita nazionale; a queste si

deve volgere l'attenzione del partito per osservare, studiare,

comprendere i loro problemi, dare ad essi una soluzione e con

questa una speranza e un ideale democratico, essere presente

costantemente in mezzo ad essi con una costante capacità di

comprensione e di determinazione. […] La campagna di

vitalizzazione è tutta qui, nello sforzo politico e organizzativo per

arrivare a dare rappresentanza omogenea, organizzazione politica,

giustificazione storica al paese reale519.

L'iniziativa di Rumor era mirata a stabilire un contatto più stretto del

centro con la periferia del partito, con l'obiettivo di dare a questo collegamento

un contenuto non soltanto organizzativo, ma soprattutto politico, nella ricerca di

una reale interpretazione delle aspirazioni della società locale e di cogliere gli

stimoli e gli impulsi provenienti dalle nuove leve militanti nella Dc per

518Rumor era in quel periodo dirigente organizzativo del partito e lanciò il suo programma di «vitalizzazione» nella riunione della Direzione dell'8-9 settembre 1950, in Atti e documenti della Democrazia cristiana. 1943-1967, vol.I, Cinque Lune, Roma 1968, pp. 483-484. Sulla campagna si veda M. Rumor, Memorie, a cura di E. Reato e F. Malgeri, Neri Pozza, Vicenza 1991, pp. 42-48.

519N. Guiso, Struttura e organizzazione, in Studi sulla Democrazia cristiana 1943-1981, «Quaderni della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli», n.21, 1982, p. 3.

195

trasformare il partito in una «fucina di idee e di uomini»520.

Intanto, nel partito, prendeva corpo l'idea di istituire, tramite la

creazione di un apposito Ufficio scuole e corsi, una Scuola centrale del partito.

L'istituzione di tale scuola è un'iniziativa fortemente voluta dal segretario

Gonella, il quale insiste sull'importanza dell'aspetto organizzativo e sulla

necessità del partito di avere, soprattutto nelle periferie, delle strutture stabili e

permanenti, ponendo altresì l'accento sulla necessità di una «rapida formazione

dei nuovi organizzatori e propagandisti permanenti»521.

Nel novembre 1951 Gonella comunica l'imminente avvio di corsi per

propagandisti e organizzatori. Il segretario del partito raccomanda ai dirigenti

periferici di segnalare alla direzione del partito i nominativi di elementi,

preferibilmente giovani e particolarmente affidabili, da inserire nel corso che la

direzione stava mettendo a punto. Gonella fornisce alcune indicazioni di

massima per la selezione dei futuri allievi, i quali saranno scelti dai segretari

provinciali: valutate le qualità morali e lo spirito di dedizione al partito, gli

allievi devono essere scelti preferibilmente fra i giovani di età compresa fra i

venti e i trentacinque anni fra studenti, laureati, ma anche operai e contadini che

abbiano particolari abitudini alla propaganda “di ambiente”: «Sono pure da

preferire – chiarisce Gonella – coloro che non abbiano particolari oneri di

famiglia e possono impegnarsi a lavorare per il partito, sia nella provincia di

residenza che in altra provincia, per un periodo da sei mesi a due anni. La loro

attività dovrebbe essere esclusiva e retribuita»522.

L'Ateneo di studi politici della Dc inizia i suoi corsi il 29 gennaio del

1952; questi si basano su uno schema di lezioni volte a «ribadire i principi

essenziali della Dc; a chiarire i problemi più urgenti e gravi della politica interna

520M. Rumor, Memorie, cit.521ASILS, Dc, Sp, b.10 f.1, Circolare n. 81/51 del 28 settembre 1951.522ASILS, Dc, Sp, b.10 f.1, Circolare n. 101/51 del 28 settembre 1951.

196

ed estera; a documentare l'attività del parlamento e del Governo; a suggerire

alcuni elementi di critica contro il marxismo, il fascismo ecc..»523. Tutti gli

allievi vengono quotidianamente esercitati a parlare al microfono, a svolgere

schemi di comizi, a improvvisare interventi estemporanei. Oltre all'orario diurno

in cui avevano luogo le regolari lezioni, era previsto, ogni sera, l'intervento di

membri del partito, del governo o di parlamentari Dc per l'approfondimento di

temi prestabiliti. I corsi prevedevano inoltre una assistenza religiosa che in

questo primo periodo ha il patrocinio diretto di monsignor Pavan, monsignor

Bentivoglio e padre Gino del Bono. Ad ogni partecipante viene inoltre

corrisposta una borsa di studio di 10000 lire524.

L'Ateneo ha anche una sede estiva a Canazei, che comincia la sua

attività il 1° agosto 1952. Presso questa sede, fino al 10 settembre, si svolgono 4

corsi della durata di dieci giorni: per assistenti elettorali, assistenti organizzativi,

assistenti propagandisti, assistenti Movimento giovanile e femminile525.

Nell'ambito del progetto di «vitalizzazione» del partito, su proposta di

Ciccardini, venne avviata una discussione all'interno dei Centri di preparazione

sociale su dieci temi su cui concentrare l'analisi: società e stato fino al fascismo;

strumenti moderni di una democrazia popolare: i partiti nello Stato; venti

settembre, diciotto aprile: i cattolici nella vita dello Stato italiano; agonia della

libertà; un problema nazionale: il Mezzogiorno; le autonomie locali; la lotta per

la emancipazione delle classi lavoratrici; la crisi della civiltà occidentale:

l'ideologia comunista; aspetti di rinnovamento democratico: la resistenza; una

uscita di sicurezza: l'Europa526. Ciccardini intende soffermarsi in particolare

sull'ultimo punto, la questione europea, segnalando a tutti i delegati provinciali

523ASILS, Dc, Sp, b.10 f.1, Circolare n. 117/51 del 6 febbraio 1951.524Ibidem.525ASILS, Dc, Sp, b.10 f.1, Circolare n. 139/51 del 15 settembre 1952.526ADCRE, f. D11, b. “Gruppi giovanili e studenti medi anni '50 e '60”, Circolare di Cesare

Dall'Oglio, 10 febbraio 1950.

197

di mappare e informare la dirigenza centrale sull'entità locale e sulle eventuali

attività portate avanti dai Partigiani della Pace.

La dizione di «Partigiani della Pace» era stata usata per la prima volta in

occasione del Congresso mondiale della pace svoltosi a Parigi dal 20 al 24

aprile 1949; la prima iniziativa destinata a sfociare nel movimento dei Partigiani

della Pace si era tenuta in Polonia a Wroclaw (Bratislava) con il Congresso

mondiale degli intellettuali per la pace dal 25 al 28 agosto 1948; in questa

occasione erano presenti più di cinquecento intellettuali fra cui Picasso, Jorge

Amado, Quasimodo e Guttuso e molti altri artisti, letterati e scienziati;

nonostante i presenti costituissero un'entità eterogenea, rispecchiando correnti di

pensiero e ideologie difficilmente componibili, era innegabile l'influenza dei

vari partiti comunisti e in particolare dell'Urss che intendeva mantenere uno

stretto controllo sull'iniziativa come d'altronde la loro nascita nasceva

ufficialmente all'insegna dell'antiatlantismo527.

Nel febbraio 1950 la Spes invia a tutti i delegati provinciali giovanili un

opuscolo intitolato I partigiani della pace e la politica di guerra russa, opuscolo

«da studiare e diffondere, – scrive Tupini – da illustrare al più presto in ogni

riunione zonale e sezionale, provinciale»528 e al cui interno vi si segnala come

«con grande scalpore il partito comunista italiano prosegue, anzi intensifica la

campagna a favore dei cosiddetti Partigiani della pace» e che «nel quadro di

questa campagna, le amministrazioni comunali socialcomuniste hanno cercato

di far discutere e approvare dai Consigli Comunali una mozione che

intenderebbe stabilire gli «impegni di pace». Abbiamo già altre volte detto e

provato che lo scopo di tutto questo movimento non è richiamare l'opinione

pubblica alla necessità di una politica di pace, ma di suscitare una atmosfera

527G. Vecchio, Pacifisti e obiettori nell'Italia di De Gasperi, cit. pp. 61-72.528ADCRE, f. D11, b. “Gruppi giovanili e studenti medi anni '50 e '60”, Circolare di Giorgio

Tupini, 18 febbraio 1950.

198

favorevole all'URSS di cui si tenta invano di giustificare la politica

imperialista»529.

All'interno dell'opuscolo il discorso si sviluppa intorno a sei punti

principali: il primo, l'asservimento alla Russia del Pci; il secondo, un'analisi

della dottrina marxista-leninista; il terzo, una panoramica sul rafforzamento

della preparazione militare russa prima e soprattutto dopo la stipulazione del

Patto Atlantico; il quarto, il contemporaneo al rafforzamento militare e la

effettiva espansione territoriale sovietica; il quinto, una spiegazione della

strategia per la rivoluzione mondiale; il sesto, un'esortazione ai paesi dell'area

occidentale a difendere le libertà democratiche. «La rivoluzione mondiale

comunista – è l'allarme lanciato – è dunque in atto»; «oggi dunque il problema

fondamentale della Russia è quello della lotta mondiale che essa cerca di

polarizzare sul binomio guerra-pace. Essa deve però giustificare le conquiste,

valorizzarle agli occhi di tutti i comunisti. Ed ecco la sua tattica: presentare i

paesi occidentali come fomentatori di guerra e nascondere sotto l'illusorio manto

della volontà di pace, la sua volontà di conquista. In questo senso l'attività dei

partigiani della pace viene ad essere un altro elemento che dovrebbe

giustificare l'ingrandimento territoriale, presentandolo come una esigenza di

salvezza dietro la quale dovrebbero sfociare e allontanarsi, come cose di poco

conto, gli episodi di intolleranza, di violenza, di oppressione, gli stessi

presupposti economici e sociali del comunismo»530.

Alla notizia, riportata da «l'Unità» il 31 marzo 1950, di un imminente

sbarco di armi americane a Trieste531, e del conseguente annuncio di una nuova e

più intensa fase propagandistica dei Partigiani della Pace deciso dal Comitato

529Democrazia Cristiana S.P.E.S. Centrale, I partigiani della pace e la politica di guerra russa, Istituto grafico italiano, Roma 1950. Si legga a proposito anche M. D'Erme, Chi sono i partigiani della pace, in «Per l'Azione», n.1, gennaio 1952.

530Ibidem.531Il primo carico di armi diretto al popolo di Trieste, in «l'Unità», 31 marzo 1950.

199

nazionale dell'organizzazione532, Tupini scrive ancora a tutti i delegati giovanili

provinciali invitandoli a continuare a «controllare l'attività che sarà svolta a

riguardo dal P.C.I. e a prendere tutte le iniziative di propaganda ritenute

opportune richiamando gli argomenti tante volte svolti dai quotidiani del

Partito» e che nei comizi «il tema della difesa della Patria e della vera pace,

dovrà essere convenientemente illustrato»533.

Nel gennaio 1950, a sei mesi dallo scoppio del conflitto in Corea, De

Gasperi, durante un incontro dei Gruppi giovanili del Lazio, aveva lanciato un

monito: «Pace con tutti. Ma la pace a chi la vuole», non con chi riabilita metodi

e istituti che portarono «non per caso ma per logica fatale» alla catastrofe. Il

«nazionalismo comunista» che Giuliano Pajetta esprime su «Pattuglia»,

continua De Gasperi, «questo richiamarsi ad una impostazione che venga dal

fuori», testimonia che il nazionalismo fascista e quello comunista arrivino infine

a toccarsi in una «collusione di estremismi»: «bisogna essere attenti ai piccoli

giornali, perché è la che si agitano le idee». «Quindi massima comprensione –

concludeva De Gasperi – per i casi personali, massima comprensione per il

passato, ma anche massima precauzione per l'avvenire»534. Dal canto suo

Gonella, durante un incontro degli universitari membri dei Cud dell'Umbria e

delle Marche, avvertiva che «ci sono due forme di fedeltà alla Nazione, di cui

una è vera e l'altra è illusoria», che «il patriottismo antidemocratico non è vero

patriottismo» e che ai giovani non si chiedevano «tessere di partito:

domandiamo solo un certificato di fedeltà alla Patria, nello spirito di una

Democrazia nazionale perché cristiana»535.

532L'arrivo di armi straniere chiami alla lotta per la pace!, in «l'Unità», 31 marzo 1950.533ADCRE, f. D11, b. “Gruppi giovanili e studenti medi anni '50 e '60”, Circolare di Giorgio

Tupini, 2 aprile 1950.534La guerra, il fascismo, i giovani, in «Per l'Azione», n.1, gennaio 1951. De Gasperi si

riferisce alle osservazioni fatte da G. Pajetta, Lettera alle nuove reclute, in «Pattuglia», a. V, n. 49, 10 dicembre 1950.

535Discorso ai giovani, in «Per l'Azione», n.1, gennaio 1951.

200

Le preoccupazioni di molti prendono forma allo scoppio del conflitto in

Corea536; proprio ad esso è dedicato l'editoriale di Ciccardini nel numero del

luglio-agosto di «Per l'Azione». «Abbiamo un estremo bisogno di pace» scrive

il responsabile alla preparazione sociale, domandandosi «qual'è il contributo più

forte che possiamo dare noi come generazione perché la pace si salvi come

premessa del nostro lavoro? È senz'altro l'unità. L'unità nella difesa dei valori

essenziali, l'unità nell'accettazione dei doveri di ogni cittadino, l'unità nell'animo

di difendere il proprio paese. Quando i giovani comunisti di Genova si

dichiarano pronti a lottare contro il proprio paese essi sono solo dei traditori

della patria, ma anche traditori di se stessi e della loro età. Non possono e non

sanno difendere il loro Paese perché sono già vecchi, già marci, già superati»537.

«Questa – conclude – è la nuova occasione storica per ricostruire su una base

più sincera ed idonea l'unità degli sforzi e degli ideali che fu il grande

patrimonio dell'esperienza resistenziale»538.

A Genova, infatti, migliaia di staffette comuniste avevano sfilato il 10

giugno 1950, per la pace e contro le armi atomiche539; «la maschera degli

imperialisti americani è finalmente caduta» scriveva Ugo Pecchioli della Fgci su

«Pattuglia» commentando lo scoppio del conflitto in Corea, e «i nemici

dell'umanità non si limitano a preparare la guerra, ma la fanno»540. «Quale dei

suoi errori – si chiedeva dal canto proprio «Per l'Azione» – l'America sta

scontando in Asia? L'aver sostenuto dei governi corrotti e reazionari, deboli.

536Sulla «spirale psicologica» innescata dal conflitto in Corea, soprattutto in regioni “rosse” come l'Emilia Romagna e in relazione alla situazione formatasi dopo le elezioni del 1948, mi permetto di rinviare ad A. Montanari, «Bianchi di paura». La Democrazia cristiana in Emilia Romagna e l'offensiva comunista dal 18 aprile 1948 ai fatti di Modena, in «RS-Ricerche Storiche», 122/2016, pp. 57-72.

537B. Ciccardini, I giovani, i partiti, la patria, in «Per l'Azione», n.18, luglio-agosto 1950.538Ibidem.539Genova per la pace, in «Pattuglia», n.27, 2 luglio 1950. 540U. Pecchioli, La pace in pericolo, in «Pattuglia», n.28, 9 luglio 1950.

201

Non ci si difende da una dittatura sostenendone un'altra»541.

Nell'inverno dello stesso anno, dal 16 ottobre al 17 novembre, viene

promosso dal Comitato italiano dei Partigiani della Pace un «Mese degli

studenti per l'Italia e per la Pace» tramite un appello rivolto agli ambienti

studenteschi di tutte le fazioni politiche:

Ancora una volta, da un ceto politico che condanna l'Italia alle vie

dell'umiliazione e del disastro nazionale, dai suoi fogli di stampa,

dalla sua radio, dai suoi uomini di governo, si levano voci

insensate e criminali volte a contrapporre italiani contro italiani, a

discriminare il popolo in opposte fazioni. Ancora una volta non per

la Patria ma al servizio di un fanatismo settario, vi chiamano alla

guerra, contro popoli pacifici che nessuna minaccia rivolgono alla

nostra indipendenza nazionale. […] Uniti nell'adesione all'Appello

di Stoccolma per l'interdizione dell'arma atomica, in un dibattito

fraterno sui temi proposti al Congresso Mondiale della pace, la

gioventù studentesca italiana farà risuonare alta la sua voce

patriottica542.

Naturalmente la guerra in Corea aveva, per certi versi, complicato pure

la situazione governativa; l'attenzione agli orientamenti dell'opinione pubblica

era naturalmente elevata ed incideva notevolmente sul dibattito interno al

partito. Il senatore Vincenzo Menghi in una riunione del gruppo senatoriale

democristiano si mostrava assai preoccupato circa l'esistenza o meno di un

sentito consenso e di una “adesione morale” dell'opinione pubblica italiana alla

scelta atlantica. Contro la propaganda neutralistica portata avanti dal Pci

occorreva dunque, secondo il senatore Bosco, sul piano della politica estera,

rafforzare l'azione propagandistica democristiana, rivolgendosi prevalentemente

541Senza titolo, in «Per l'Azione», a. III, n.18, luglio-agosto 1950.542Un “Mese degli studenti per l'Italia e per la Pace”, in «Pattuglia», n.42, 22 ottobre 1950.

202

ai giovani543.

Sulla base di questa impostazione occorreva fornire all'opinione

pubblica in genere ma soprattutto alle nuove generazioni delle nuove idee-forza,

dei nuovi miti capaci di mobilitarle, di suscitare entusiasmo e consenso. In un

interessante documento preparato dalla dirigenza del partito in vista del

congresso nazionale dei giovani democristiani previsto per il 26-27-28 gennaio

1951, viene presentata un'analisi schematica ma accurata sulla condizione della

gioventù italiana. Dopo aver distinto le diverse categorie e l'azione di

mobilitazione e di penetrazione svolta dai partiti avversari e dopo aver

sottolineato alcune deficienze nell'esercizio di una pedagogia democratica da

parte del partito cattolico, sono delineate le possibili linee direttive su cui il

partito stesso avrebbe potuto contare per un'efficiente azione di proselitismo. In

particolare si doveva fare appello al sentimento nazionale, anche assumendo un

tono, si legge esplicitamente nello schema, «che in altri momenti o in diverso

ambiente potrebbe essere eccessivo». La convinzione che le giovani generazioni

fossero in larga parte sensibili alle tematiche ed ai miti nazionalisti, spinge

certamente nella direzione di una difesa decisa dell'interesse nazionale ma porta

anche ad elaborare le scelte sovranazionali in chiave ideologica proponendo

l'idea di una identificazione tra interesse nazionale e appartenenza atlantica. Per

«smascherare» la propaganda dei partigiani della pace occorre dunque

«contrapporre la comunità atlantica», concepita come strumento di difesa della

comunità italica544.

All'interno di questa strategia sta ovviamente anche un irrigidimento,

ancora più marcato, nei confronti degli avversari della Fgci. Per De Gasperi, gli

543Asils, Fgpdc Senato, verbali assemblea, sc.1, fasc.2, intervento del senatore G. Bosco nella seduta del gruppo senatoriale Dc del 10 febbraio 1951, in P. Acanfora, Miti e ideologia nella politica estera Dc., cit., p. 61.

544Asils, Dc, Cn, sc.8, fasc.117, Schema per il congresso nazionale dei giovani Dc del 19-21 gennaio 1951, in ivi, p. 62.

203

inviti che il settimanale dei giovani comunisti rivolge ai Gruppi giovanili di

contribuire con alcuni articoli a un dibattito sulla pace altro non sono che

«agguati»545 e i Partigiani della Pace su «Per l'Azione» diventano la «colomba di

Troia» al servizio dell'Urss546. La pace proposta dal Pci inoltre è per Malfatti,

nuovo direttore di «Per l'Azione» nel nuovo Esecutivo nominato del 9-10

settembre 1950547, la «pace moscovita»548: «Sulla assenza e sull'obiettivo

tradimento di tanta parte della gioventù, specula la Federazione giovanile

comunista – sintetizza Malfatti – tentando di portare il disinteresse e l'abulia ad

assumere, se non altro in senso negativo, un preciso significato di scelta politica.

Di qui le grandi direttive attraverso le quali si svolge oggi l'azione dei giovani

comunisti: allargare i legami con tutta la gioventù, aumentare maggiormente

dubbi e incertezze tra la gioventù»549.

3.4 Il Congresso giovanile di Ostia. Malfatti delegato nazionale.

Nonostante le promesse di ripartenza organizzativa e politica e la

volontà di Dall'Oglio di tenere «lontana dai Gruppi Giovanili la polemica

interna di Partito»550, il fragile equilibrio interno realizzato dopo Sorrento non

dura che una manciata di mesi.

Nel luglio 1950 l'Esecutivo nazionale aveva visto le dimissioni di Galdo

545La guerra, il fascismo e i giovani, in «Per l'Azione», n.1, gennaio 1951.546La colomba di Troia, in «Per l'Azione», n.7, settembre-ottobre 1951.547Il nuovo Esecutivo prevedeva Nando Clemente come vice delegato nazionale, Malfatti alla

direzione di «Per l'Azione» e all'attività formativa, Ciccardini alla preparazione sociale, Enzo Russo ai problemi dei lavoratori, Aldo Tartaglini responsabile Cud, Enrico Esposito agli Studenti medi, Nobili ai rapporti con l'estero; ADCRE, f. D11, b. “Gruppi giovanili e studenti medi anni '50 e '60”, Circolare di Cesare Dall'Oglio, 9 ottobre 1950.

548F.M. Malfatti, Il V Convegno nazionale, in «Per l'Azione», n.2, febbraio 1951.549Ibidem.550ADCRE, f. D11, b. “Gruppi giovanili e studenti medi anni '50 e '60”, Circolare di Cesare

Dall'Oglio, 1 marzo 1949.

204

da vice delegato nazionale; anche Ponti – con una lettera a Dall'Oglio in cui

sottolineava la propria «delusione […] causata dagli atteggiamenti che sono

stati assunti in seno di Comitato Nazionale e che hanno confermato che le

contrapposizioni di tendenza siano ancora vive in seno ai Gruppi Giovanili»551 –

aveva rassegnato le dimissioni da responsabile organizzazione; ancora più

rumore avevano suscitato le dimissioni, comunicate anch'esse con una lettera a

Dall'Oglio, di Signorello da vice delegato nazionale e da direttore di «Per

l'Azione»552.

L'irrigidimento delle posizioni, evidente soprattutto nel continuo

richiamo all'unità, e le pressioni per una maggiore autonomia da parte dei

Gruppi giovanili. confermano una caratteristica distintiva della prassi politica

democristiana. In questi anni, cioè, vengono gettate le basi per la

sperimentazione di un modello di partito di tipo federativo in cui le correnti

acquistano un ruolo centrale destinato a rafforzarsi nel tempo ed in cui la

dialettica appare la misura migliore, seppur paradossale, per armonizzare le

diversità interpretandole come il riflesso della complessità dell'Italia postbellica.

Dal 1953 in poi, con l'avvento della seconda generazione alla guida

della Dc non cambierà soltanto la composizione della dirigenza, ma il modo

stesso di interpretare il ruolo e le funzioni del partito. Il dato generazionale, per

evidenziare l'aspetto che più ci interessa in questa sede, intersecherà, fino a

551«I fatti, chè sui fatti si fanno le valutazioni politiche, hanno dimostrato che le posizioni di Sorrento sono ancora in piedi»; cfr. ASILS, FG, b.26 f.1, Lettera di Ettore Ponti a Cesare Dall'Oglio, 14 luglio 1950.

552Scrive Signorello: «La discussione per la scelta dei nuovi membri dell'Esecutivo Nazionale, che ha in pratica ridotto le possibilità di lavoro del Comitato Nazionale, si è svolta, ancora una volta, su di un piano di distinzioni politiche, che ritengo estremamente nocive per la funzionalità dei gruppi giovanili. Dopo Sorrento ognuno di noi prese l'impegno di lavorare per lo sganciamento dei gruppi giovanili dalle alternative politiche che caratterizzavano la vita del Partito, per porli così sul piano di una chiara e realistica politica giovanile. […] appare evidente la mentalità di voler confondere i gruppi giovanili con questa o con quella tendenza del Partito»; ASILS, FG, b.26 f.1, Lettera di Nicola Signorello a Cesare Dall'Oglio, 14 luglio 1950.

205

sovrapporsi a essa, la questione della successione interna, influenzando gli

equilibri della formazione e conferendo un significato diverso all'azione dei più

giovani. Gli anni del confronto fra De Gasperi e Dossetti sono ancora anni di un

rapporto “fluido”. Le accresciute tensioni tra le generazioni si riflettono sulla

vita dei Gruppi giovanili in due direzioni. Da un lato, i nuovi toni della

dialettica generazionale consentono ai giovani di ritagliarsi spazi di autonomia

ideologica maggiori; dall'altro la ferma volontà di ricondurre la dialettica al

rispetto della disciplina statutaria ne limita i margini di manovra. Se la nomina

di Dossetti alla vice-segreteria politica della DC nel 1950 permette a De Gasperi

di smorzare il potenziale rinnovatore della principale forma di opposizione

interna, la riconferma di Dall'Oglio a delegato nazionale a Sorrento, assicurava

che l'azione dei giovani fosse in linea con le direttive della dirigenza. La lettura

dei verbali delle riunioni del Consiglio nazionale, della Direzione centrale e

della Segreteria politica è a questo proposito indicativa dello spazio che il

partito intende continuare a riservare ai giovani e dello sforzo compiuto affinché

essi siano pienamente inseriti nelle sue strutture553.

Viene infine convocati – il 26-27-28 gennaio 1951 – un Convegno

nazionale della gioventù democristiana a Roma, e il V Convegno nazionale dei

Gruppi giovanili, a Ostia, per il 17-18 febbraio 1951.

In vista del primo incontro, il 2 gennaio – come si diceva – viene

553Si legga, ad esempio, l'intervento di Gonella durante la riunione del Consiglio nazionale del 14-16 gennaio 1951: «Vogliamo aiutare i nostri giovani a uscire dall'isolamento e dall'incomprensione; vogliamo integrarli nella nostra società nuova. Anzi, ne devono essere l'avanguardia. Bisogna salvarli dalle illusorie suggestioni di un passato travolto, facendo ad essi comprendere che non si nasce democratici ma democratici si diventa, perché la democrazia è il regime delle virtù sociali. La gioventù delle scuole, la gioventù operaia, contadina e artigiana, cresciuta nel culto dei valori cristiani, potrà meglio comprendere al nostro fianco quanto nobile sia, nel rispetto delle tradizioni nazionali, il servizio ad una patria rinnovata nella giustizia per tutti. La nostra democrazia nazionale irrobustita dal culto cristiano della Patria, può esercitare un fascino suggestivo sulla gioventù che riflette e si prepara con entusiasmo ai suoi compiti di domani»; V. Capperucci, I giovani della Democrazia cristiana da De Gasperi a Fanfani, cit., p. 49.

206

presentato in Direzione nazionale un documento riservato nella cui prima viene

presa in considerazione la gioventù italiana nel suo complesso. Secondo tale

documento, i giovani influenzati dagli ambienti cattolici sono «solo in parte

pienamente sensibili alla democrazia. Al contrario, i valori di Patria sono in essa

assai radicati, e così pure, come è ovvio, è ben compresa la posizione dell'Italia

rispetto all'Oriente»554. La gioventù influenzata dalla propaganda delle sinistre,

«fino a che sarà sottoposta alla attuale massiccia propaganda, sia di disfattismo

(vedi ad es. “La nostra bandiera” di Genova e l'impegno a non combattere

contro la Russia), che di falso pacifismo (Partigiani della pace), è difficile dire

sino a qual punto sia recuperabile, e quale atteggiamento potrà prendere in un

deprecabile domani»555. Per quanto riguarda invece la «gioventù comunque

influenzata dal MSI ed in genere da ambienti di neo-fascismo e di destra

antidemocratica: si tratta per lo più di due categorie di giovani»: «La prima

comprende quelli che andarono dalla parte della Repubblica Sociale, soprattutto

dal punto di vista ideologico (“l'onore” ecc), e che pertanto furono numerosi

anche nel sud Italia, occupato esclusivamente dagli Anglo-Americani; i giovani

di famiglie legate al regime fascista, e per benefici che allora ne trassero (piccoli

gerarchetti locali, impiegati nella milizia ecc), e di cui oggi più non godono; e

perchè ne rimpiangono la protezione allora data ai propri interessi economici

(ambienti della borghesia)»; «l'altra categoria di giovani comprende i

“giovanissimi”, quelli non in possesso di una diretta esperienza e valutazione

degli avvenimenti 1940-1944. Su di essi è dimostrato che può fare presa

un'abile propaganda riabilitatrice del fascismo e del suo esasperato

nazionalismo, la quale speculi sulle difficoltà in cui è risorto e si è affermato il

sistema democratico in Italia»556. Verso di essi «un adeguato tono nella

554ASILS, Dc, Cn, s.8, fasc.117, Schema per il congresso nazionale dei giovani Dc del 19-21 gennaio 1951.

555Ibidem.556Ibidem.

207

propaganda (vedensi i discorsi dell'on. De Gasperi e dell'on. Gonella ai giovani)

opportunamente capillarizzata, può molto, soprattutto nella grande massa dei

giovanissimi, ancora “terra di nessuno”, come dimostrato dalla relativamente

facile affermazione del nostro “Movimento studenti medi”»557. In ultima istanza

si prende in analisi la «gioventù scettica, indifferente, senza fiducia: è

rappresentata in primo luogo dalla massa dei giovani disoccupati, senza

mestiere, senza prospettiva alcuna per il proprio avvenire, tolti quelli – e non

sono i più – che reagiscono alla loro situazione di difficoltà, orientandosi verso

movimenti di estrema. Si pensi alle nuove unità lavorative disoccupate, che si

sommano ogni anno; ai diplomati e ai laureati, specie nel sud-Italia, che non

hanno sbocchi innanzi a se. È difficile pensare a rivolgere con vera efficacia una

parola come Partito, e sperare che abbia positivo effetto, se in questi giovani

non è accompagnata almeno dalla sensazione che, pur nelle difficoltà obiettive,

c'è uno specifico interessamento ed una costante preoccupazione a loro

riguardo»558.

Nella seconda parte del documento viene invece fatta luce sui Gruppi

giovanili. Innanzitutto, si nota, «le polemiche interne, e l'eccessivo

interessamento dei quadri dei GG alle questioni politiche generali, si sono svolti

a scapito di una costante e maggiore sensibilità ai problemi della gioventù, e a

danno di una impostazione larga di orientamento. Il difetto è di solito più

marcato in proporzione diretta con l'età del singolo giovane. I giovanissimi – e

ben lo ha rilevato il Convegno Nazionale degli Studenti Medi – sono

maggiormente sensibili ai problemi giovanili ed all'azione di conquista»559. In

secondo luogo «il fenomeno sopra accennato si spiega anche col fatto che il

Partito – pur avendo via via assorbito e valorizzato, in grandissimo numero,

557Ibidem.558Ibidem.559Ibidem.

208

singole energie di giovani – non ha avuto una organica “politica giovanile”, cioè

nei confronti dei problemi della gioventù come tale, in tutti i suoi diversi aspetti,

politica giovanile che i GG. avrebbero dovuto valorizzare sul terreno della

propaganda tra le masse dei giovani, svolgendo opera di conquista. Il Partito

non si è attrezzato, intesa l'espressione nel senso più largo, per arrivare,

direttamente o indirettamente, a contatto con il singolo giovane, col venire

incontro alle singole esigenze, per educarle al tempo stesso alla democrazia in

generale ed ai nostri principi in particolare» e si conclude che «non è affrettato

correre ai ripari, in questo momento in cui molto i partiti si sono interessati ai

giovani, per ristabilire un perduto equilibrio di forma»560.

Occorre, infine, «smascherare la propaganda dei Partigiani della Pace,

porre in evidenza l'imperialismo sovietico che se ne serve; contrapporre la

comunità atlantica che si erge a difesa, il posto dell'Italia, ed il dovere dei

giovani verso la Patria in un deprecabile domani, stigmatizzando le posizioni

disfattiste, di falso pacifismo e di neutralismo; al tempo stesso occorre dare la

convinzione alle masse giovanili, le quali, in parole povere, compiono oggi non

molto entusiasticamente il servizio militare del tempo di pace, che la DC fa di

tutto affinché la pace sia salvaguardata e la guerra tenuta lontana ad ogni

modo»; il Congresso dei Gruppi giovanili «dovrà evitare accuratamente ogni

dispersione verso i problemi dei G.G. e della loro funzionalità. L'obiettivo è di

sensibilizzare ai problemi della gioventù italiana»561.

Lanciando la propria candidatura a delegato nazionale, Baget Bozzo

tratteggia invece sulle pagine dalle colonne di «Per l'Azione» una continuità

nell'azione giovanile: con il congresso che si stava per celebrare si avrebbe, a

suo avviso, finalmente dato risposta alle esigenze nate con il primo congresso

dei giovani del 1945: «I Gruppi Giovanili – scrive – nacquero carichi nel grande

560Ibidem.561Ibidem.

209

mito nazionale della resistenza»; tale mito, nel suo significato politico profondo,

«rappresentava l'inserimento risolutore della generazione giovane nel dialogo

delle generazioni precedenti»562. Il processo di consolidamento della democrazia

in Italia, prosegue Baget Bozzo, «non parve ai giovani tanto come il fondarsi di

un nuovo ordine di cose, quanto di stabilirsi nell'ordine antico e per di più in

tono minore» e fu questo «un equivoco doloroso e radicale tra la democrazia

cristiana e la gioventù italiana»; la democrazia, continua, «apparve dunque

innanzitutto come un ritorno al prefascismo» mentre la Dc «non apparve carica

di nuove realtà e aperta a nuove possibilità, ma solo come ritorno a un

clericalismo più vieto e sorpassato»563.

La sua candidatura a delegato nazionale viene però considerata troppo

dirompente per l'organizzazione giovanile e il Partito: appigliandosi dunque a

un articolo dello Statuto, che vietava la candidatura a chi avesse già compiuto

25 anni, gli viene impedito di candidarsi564; al suo posto, per la corrente

dossettiana, viene avanzato il nome di Malfatti565. L'incontro di Ostia viene

aperto da Gonella con un accorato discorso che dall'analisi della condizione

della gioventù italiana si ampliava per alcune considerazioni sulla situazione

internazionale.

562G. Baget-Bozzo, Aprire il dialogo, in «Per l'Azione», n.1, gennaio 1951.563Ibidem.564ASILS, FG, b.26 f.1, Relazione generale sui Gruppi giovanili, Roma marzo 1949.565Da un'informativa riservata a Gonella apprendiamo la situazione finale alla vigilia di

Ostia: «la situazione e lo schieramento prevedibili si presentano oggi come segue: circa 75 delegati presenti e votanti divisi in tre gruppi: gruppo dossettiano: circa trenta elementi, disposti a votare F. Malfatti o chiunque altro venga indicato o presentato come candidato del gruppo; gruppo di N. Signorello: egualmente di circa trenta elementi secondo alcuni, di non più di diciotto secondo altri, decisi a sostenere solo il loro candidato; gli incerti: da 15 a 30 elementi (circa), non di Roma, non schierati, più o meno orientabili verso l'uno o l'altro dei gruppi. […] l'esito è senza dubbio incerto (qualcuno, Tartaglini ad esempio, ritiene che dovrebbero vincere i dossettiani) […] i due gruppi dei dossettiani e di Signorello, pur avendo qualche caratteristica in comune […] hanno natura diversa: infatti il gruppo dei dossettiani è un vero e proprio gruppo di corrente, mentre quello di Signorello è un gruppo a carattere personale»; ASILS, FG, b.26, f.3, Convegno dei Gruppi giovanili. Nota riservata per l'on. Segretario politico.

210

Noi usciamo dall'età del superuomo. Vi ricordate la famosa opera di

Nietzche: «Al di là del bene e del male»? Noi abbiamo conosciuto

la gioventù ammaliata da Nietzche, ammaliata dal canto dal

filosofo. Oggi non resta che il gregge, indifferente, credulo, e

disposto a servire. Scomparso l'oppressore, sono rimasti gli spiriti

oppressi, sono rimasti coloro che sarebbero ancora disposti a farsi

opprimere. Finché resta questo gregge, la democrazia non può

porre radici. E noi lavoriamo proprio per eliminare questo gregge, e

perciò siamo convinti di lavorare veramente per il progresso e

l'elevazione della società. […] è evidente che i fini generali di una

politica della gioventù italiana e cristiana devono essere

dell'integrità della Patria, la difesa delle libertà democratiche, la

difesa del progresso sociale. […] noi non abbiamo ereditato l'Italia

di Vittorio Veneto, ma l'Italia dell'8 settembre. Ora viviamo

giornate e settimane difficili per la difesa della sicurezza esterna e

della sicurezza interna contro avversari che parlano di libertà, di

pace, di ordine, mentre intendono organizzare agitazioni, rivolte e

dittature, mentre intendono servirsi della legge per spegnere i diritti

e per piegare le istituzioni democratiche, servirsi della democrazia

per uccidere la democrazia. In questo gennaio 1951, epoca storica

dei destini del mondo, il primo dovere dei giovani che militano in

un partito è il dovere di lavorare per l'integrità della Patria, per

presidiarne la sicurezza esterna attraverso il riarmo e la sicurezza

interna attraverso la difesa civile contro tutti i sabotatori. […] Il

Patto Atlantico, al quale abbiamo aderito, non è stato inventato

dall'America, ma dalla Russia che, attraverso il Cominform, ha dato

vita a una coalizione di Stati contro i quali si imponeva e si impone

una posizione di difesa delle Nazioni occidentali566.

Il congresso di Ostia vede la vittoria di Malfatti, eletto delegato

566Gioventù cristiana nella società cristiana, in «Per l'Azione», n.2, febbraio 1951.

211

nazionale, e di Baget Bozzo, nominato direttore di «Per l'Azione». Il 24 marzo

viene poi composto il nuovo esecutivo nazionale: vice delegato nazionale e

delegato ai problemi dei lavoratori diventa Vincenzo Russo; vice delegato

nazionale e delegato ai problemi degli studenti universitari, Aldo Tartaglini;

all'organizzazione Salvatore Bruno; alla preparazione sociale Ciccardini; Enrico

Esposito agli studenti medi; Luciano Dal Falco ai problemi della gioventù;

Franco Nobili rappresentante nelle Nei567.

In seguito alle dimissioni di Dal Falco, eletto dal Consiglio nazionale

della Dc nella Direzione, nel novembre del '51 viene composto un nuovo

Esecutivo nazionale giovanile, con l'immissione di nuove figure dirigenti:

Vincenzo Russo diviene vice delegato nazionale e incaricato per la preparazione

sociale, Tartaglini vice delegato nazionale e incaricato Cud, Bruno responsabile

organizzazione, Esposito ai problemi della gioventù, Ciccardini alla stampa e

propaganda, Corrado Guerzoni agli studenti medi, Umberto Zappulli ai quadri,

Romano Arfelli ai lavoratori, Franco Nobili ai rapporti con l'estero; Ciccardini

sostituisce infine Baget Bozzo alla guida di «Per l'Azione»568.

Dall'elezione di Malfatti del 1951 al 1953 assistiamo a un

irrobustimento dell'organizzazione giovanile, prevalentemente finalizzato alla

formazione e qualificazione dei giovani iscritti e alla costruzione di una struttura

capillare che avrebbe dovuto svolgere un'azione particolarmente efficiente nei

periodi pre-elettorali. A tale scopo di particolare rilevanza la creazione delle “tre

sere sezionali” indirizzati alla «formazione ideologica dei giovani

simpatizzanti»569 e, nel 1952, all'uscita in allegato a «Per l'Azione», di tre

voluminosi opuscoli da discutere durante tali “tre sere”: La Riforma agraria, La

567ADCER, b.9, f. Segreteria politica anno 1950, circolare di F.M. Malfatti, 24 marzo 1951.568Gruppi Giovanili, in «Bollettino della Direzione centrale della Democrazia Cristiana», a.V,

n.11-12, 15 dicembre 1951.569ADCRE, f. D11, b. “Gruppi giovanili e studenti medi anni '50 e '60”, Circolare di Franco

Maria Malfatti, 8 gennaio 1952.

212

Rivoluzione in Italia: Pace e Guerra e La Solidarietà giovanile570.

Le premesse di una nuova linea di lavoro erano comunque state offerte

da Morlino già nel febbraio del 1951: è il celebre passaggio in cui, su «Per

l'Azione», viene teorizzata la “terza generazione”.

Dopo la prima e la seconda incarnazione della democrazia

cristiana vi è ancora luogo per l'avvento di una terza generazione

cristiana. La prima generazione va risolvendo il compito storico

dell'inserimento dei cattolici nella vita politica italiana, mediante la

assunzione di tutti i termini di questa vita. Essa si qualifica come il

gruppo dirigente dei cattolici organizzati con un rigoroso

galantomismo individuale conduce la battaglia per la difesa del

metodo democratico. Gli si è affiancata una seconda generazione

con l'impegno di inserire il mondo cattolico nella dialettica della

vita pubblica italiana, modificando le strutture su cui poggiano i

termini dello stato storico. Questo gruppo dirigente si qualifica

nella ricerca delle risultanti della sociologia cattolica, nelle

tecniche e negli oggetti dell'azione politica, articolata attraverso un

partito assembleare, che operi da mediatore per una democrazia

sostanziale. In questa opera vi è posto per preparare un terzo

gruppo dirigente, che sulla base di una metodologia e di un

linguaggio comune elabori una teoria cristiana della politica che

animi un partito-cantiere per la edificazione della disgregazione

della realtà italiana di una società comunitaria e paternalistica.

Sulla base di questa precisa fisionomizzazione, la terza

generazione può iniziare un colloquio, e fissare di volta in volta la

linea di sintesi con le precedenti generazioni. Impegnata nel Paese

alla difesa della democrazia, ingaggiata nel partito per la

campagna di vitalizzazione, essa si apre con un afflato di

solidarietà al mondo della gioventù italiana, affinché insieme con

570Le 3 sere, in «Per l'Azione», a. V, n. 5, maggio 1952.

213

essa, dopo che gli altri ne avran posto le indispensabili premesse

storiche con l'urgenza che i tempi richiedono, inizi la costruzione

della società nuova, nella quale solo può trovare un contenuto

l'anelito di speranza. Dopo la generazione formatasi

nell'astensionismo e nell'individualismo del mondo liberale, dopo

la generazione formatasi alla macchia della dittatura, questa è la

prima generazione che si può sviluppare incardinata nella stessa

realtà umana che domani dovrà guidare, che di questa realtà può

assumere ed informare progressivamente i motivi, che in contatto

con questa realtà può darsi un metodo e sviluppare un

linguaggio571.

In questa prospettiva acquista particolare significato l'impegno con cui,

già a partire dal 1951, i giovani sostengono la campagna per le consultazioni

elettorali previste per il giugno 1953 nella convinzione che la difesa del

centrismo democratico rappresenti l'ultima garanzia contro le politiche

“catastrofiche” dei comunisti e delle forze più autoritarie. La sconfitta della

collaborazione tra partiti moderati equivarrebbe, nell'analisi dei giovani Dc, ad

aprire la strada ad una guerra inevitabile. Una eventuale affermazione del Pci

scatenerebbe poi la pericolosa alterazione degli equilibri interni ed esterni,

mentre il successo dei monarchico-fascisti, implicando l'esclusione di larghi

strati popolari dall'arena politica, innescherebbe la spirale di una nuova guerra

civile. Nella mozione approvata al termine della riunione del Comitato

nazionale dei Gruppi, svoltosi ad Assisi il 4 e 5 ottobre 1951, viene così fissato

l'obiettivo verso cui ogni azione deve tendere:

Il Comitato Nazionale del Mg approva la linea formativa e politica

del Delegato e dell'Esecutivo Nazionale. Tutti gli sforzi del

Movimento devono tendere alla prova del 1953, a tal fine la difesa

571T. Morlino, Terza generazione, in «Per l'Azione», n.2, febbraio 1951.

214

del centrismo democratico, della linea politica di De Gasperi e

dell'equilibrio democratico in Italia va salvaguardata dagli attacchi

e dalle false soluzioni disgregatrici ed anarchiche della destra

monarchica e reazionaria e della sinistra socialcomunista.

L'adesione dei giovani al centrismo democratico ha un maggior

valore nella misura in cui essa si articola su motivi fondamentali

che hanno presieduto alla nascita e alla formazione della nostra

generazione: il patrimonio di volontà riformatrice e di progresso

sociale della resistenza. La vittoria della democrazia nel 1953 sarà

la vittoria della Pace, perché soltanto nello Stato democratico oggi

v'è la salvezza della pace civile. E i giovani d.c. credono

fermamente che la democrazia e la pace sono l'unica possibilità di

partenza al moto espansivo della società nazionale ed

internazionale. È perciò nella prospettiva della difesa democratica

del '53 che il Comitato Nazionale decide di proseguire l'opera di

formazione impostata nello studio e nella conoscenza delle

strutture nazionali attraverso gli strumenti di ricerca e di inchiesta,

perché crede che questa è la via per darsi gli strumenti di un'azione

rivoluzionaria, che sola potrà dare alla difesa del centrismo la pace

e la democrazia il suo vero ed unico significato storico572.

572La Mozione, in «Impegno giovanile», 15 ottobre 1952. Le linee di azione erano d'altronde già state formulate nella riunione del Consiglio nazionale dell'8-9 settembre 1951: «1) Funzione specifica dei GG.GG. è quella di formare i quadri giovanili per una penetrazione democratica negli ambienti giovanili italiani. La prima garanzia per l'espletamento di questa specifica funzione è l'autonomia e il potenziamento del Movimento giovanile, strumento primario di autoformazione democratica della Gioventù democristiana. Questa azione essenziale per il Movimento Giovanile si realizza: a) curando la formazione dei giovani di base sì da renderli pronti ad assolvere ad una funzione di guida politica nell'ambiente giovanile locale. Formazione che dovrà avvenire secondo l'approvata linea politica della solidarietà giovanile, del servizio sociale giovanile, dello studio delle situazioni locali economiche e politiche: b) curando al massimo la formazione ideologica di nuclei dirigenti capace di determinare una penetrazione culturale e politica negli ambienti della gioventù studiosa. c) mediante la vitalizzazione dei G.G. Ed una più intensa azione organizzativa onde poter contare su di un'organizzazione che anche capillarmente sappia assolvere al suo specifico compito di guida dell'ambiente giovanile. 2) Il Comitato Nazionale, avendo con ciò fissato con chiarezza i compiti che spettano al Movimento Giovanile, ritiene che altri strumenti indiretti debbano affiancarsi ai Gruppi Giovanili, per poter realizzare al massimo grado l'opera di aggancio alla democrazia delle nuove

215

Sul degasperismo della terza generazione è illuminante un articolo di

Ciccardini nel 1952: «De Gasperi – scrive – opera sulla situazione post-fascista

essenzialmente come restauratore dello stato, mettendo in atto una condizione

necessaria al processo espansivo della società»573. De Gasperi, continua

Ciccardini, «offre alla società nazionale una nuova prospettiva di inquadramento

con la creazione del blocco democratico. Il primo compito è quello di restaurare

lo Stato distrutto nella ingloriosa fine dell'avventura fascista» e «l'unica

alternativa a De Gasperi esistente in Italia è quella di Togliatti, l'unica

alternativa allo Stato il comunismo»574.

Lo stesso 1951 è, però, l'anno cruciale dell'annuncia del ritiro dalle

scene politiche di Dossetti. «Rossena seconda», tra il 30 agosto e il 2 settembre,

vede un numero più vasto di partecipanti575 rispetto a «Rossena prima»576; tra

generazioni. Pertanto il Centro Nazionale ritiene che un vasto fronte democratico giovanile, costituito da associazioni nazionali giovanili ricreative, culturali, sportive, assistenziali ecc. debba essere al più presto realizzato, e che alla sua costituzione e direzione debbano impegnarsi al massimo grado, per l'espletamento della loro specifica funzione di quadri politici della gioventù italiana, i Gruppi Giovanili della DC. 3) Il Comitato Nazionale ritiene altresì che sia necessario porre in atto una organica politica giovanile in sede governativa e parlamentare, onde portare a soluzione i più urgenti problemi giovanili oggi sul tappeto, dalla disoccupazione giovanile, all'organizzazione dello sport popolare. L'obiettivo politico verso il quale bisogna indirizzare ogni atto, interno ed esterno di partito è il 1953. In tal senso il Comitato Nazionale ritiene che l'urgenza dell'attuazione dei punti 1,2,3 onde garantire l'adesione agli istituti democratici dei più larghi strati della gioventù italiana. Adesione che potrà inoltre realizzarsi a patto di una politica di assoluta e ferma intransigenza nei confronti dei movimenti antinazionali comunista e fascista, unica premessa per la costruzione in libertà e democrazia di un mondo più giusto e più sereno»; Risoluzione, in «Per l'Azione», n.7, settembre-ottobre 1951.

573B. Ciccardini, Alcide De Gasperi o dello Stato in Italia, in «Per l'Azione», n.5, maggio 1952.

574Ibidem.575Presenti, fra gli altri Giovanni Galloni, Franco Maria Malfatti, Arnaldo Forlani, Franco

Boiardi, Piero Morselli, Giuseppe Alberigo, Gian Maria Capuani, Giuseppe Lazzati, Gianni Baget Bozzo, Angelo Gaiotti, Luciano Dal Falco, Paolo Barbi, Giovanni Giraudo, Achille Ardigò e Salvatore Fangareggi.

576G. Tassani, Dossetti a Rossena negli appunti di Alberigo, Ardigò e Gaiotti, in R. Villa (a cura di), Dossetti a Rossena. I piani e i tempi dell'impegno politico, Aliberti, Reggio Emilia 2008, pp. 61-76.

216

questi i leader dei Gruppi giovanili, che erano stati impegnati, dall'1° al 15

agosto577, nella vacanza-studio di Merano. L'incontro di Merano, secondo Baget

Bozzo, «grazie alla mediazione del pensiero di Balbo, consentì di ristabilire alla

dirigenza giovanile Dc quell'unità di linguaggio che lo scioglimento del

dossettismo aveva posto in crisi. […] Il movimento giovanile democristiano

poteva, ora, assolvere a quella funzione di elaboratore ideologico del partito, cui

aveva adempiuto sino ad allora la corrente dossettiana»578.

La relazione che Baget tenne al Convegno di Merano, riporta De

Stefanis, partiva da una definizione della natura umana, rigorosamente coerente

alla dottrina tradizionale cattolica, e quindi portante, sul piano storico,

all'ammissione della possibilità di regressi storici; l'unica garanzia di ottimismo,

per i cristiani, era data dalla Grazia, dalla Chiesa, sua depositaria; in una

brillante analisi venivano demoliti gli errori correnti, fra cui, non solo quello del

ritorno a Cristo, e quello fatalistico, ma anche quello maritaniano: «è dolorosa

ma necessaria una critica a Maritain il quale, per una fiducia esagerata nella

bontà della natura umana che non tiene conto del peccato originale, afferma che

la crisi di questo mondo è crisi di coscienza. L'opera politica del cristiano viene

così impostata: il mondo in crisi prepara un mondo migliore; la natura umana è

cresciuta nel secolo della tecnica. Mentre, secondo il De corruptione entis non è

necessario che il posto di un organismo malato sia preso da un altro sano, tutto

Umanesimo integrale è pervaso da impostazione ottimistica di fiducia. È

possibile che il nostro tempo dia origine ad un tempo migliore. Possibile, ma

non necessario; se fosse necessario si cadrebbe in un determinismo luterano».

La lunga analisi, successiva, dell'evoluzione della società moderna, portava

Baget a saldare, paradossalmente, il ragionamento teologico con la tematica

leninista, condannando, alla fine, sia l'eresia faustiana dell'azione che il sistema

577Attività dei G.G., in «Per l'Azione», n. 6, luglio-agosto 1951.578G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano al potere, cit., pp. 368-369.

217

economico capitalistico. Le altre relazioni (Ciccardini, Andreatta, Morlino,

Filippo Ponti, Ardigò), esplicitarono ed approfondirono questo tema. Il grande

sforzo di sintesi allora compiuto ebbe un'importanza fondamentale, e fornisce la

chiave per comprendere, non solo alcune peculiari vicende personali, ma anche

per avvertire le ragioni di due atteggiamenti di fondo dei Gruppi giovanili: il

senso di superiorità alla cultura «laica», insieme alla capacità di assorbire molti

elementi staccati, che giungeva fino alla riproposizione del Sillabo come

modello ispiratore dell'ideologia nuova; la tendenza spontanea a distinguere

piani e competenze, non in senso astratto, ma come espedienti per conciliare

urgenze operative immediate e convinzioni ideologiche579.

Ricorda Giovanni Di Capua, all'epoca delegato regionale per l'Emilia

Romagna dei Gruppi giovanili: «A Merano, nel settembre 1951, ad un convegno

di studio promosso dagli universitari democristiani, dopo intense giornate di

riflessioni e confidenze che dovevano dischiudere un'amicizia fraterna prima

ancora che una comunanza di idee, maturò l'idea di fare del bollettino

ciclostilato fiorentino qualcosa di più: uno strumento di penetrazione politica in

altri atenei ed in altri settori. Così, un mese più tardi nacque San Marco, la

prima rivista di Pistelli, edita dalla Editrice Universitaria»; «San Marco»,

conclude Di Capua, «diventava la rivista della sinistra in un movimento che già

si collocava a sinistra nel partito»580.

A Merano – cui seguirà, nel 1951, un altro simile appuntamento a

Canazei – con una partecipazione allargata ad ambienti estranei ai Gruppi

giovanili, come alcuni giovani dell'Università Cattolica, fra cui Ruggero Orfei,

Paolo Prodi e Edmondo d'Alfonso, i Gruppi giovanili intendono offrire un

termine unificante delle varie scoperte culturali compiute negli anni precedenti:

579C. De Stefanis, La gioventù democristiana, cit., pp. 329-330.580G. Di Capua, Nicola Pistelli, Editrice Politica, Firenze 1969, pp. 12-13.

218

il meridionalismo di Dorso581, l'operaismo di Gramsci, l'analisi dell'avvento del

fascismo, il cattolicesimo di Mounier, Maritain e Suhard: «La crisi che travaglia

il nostro mondo moderno – sostiene Grassini – è una crisi che involge tutto il

sistema nelle sue strutture, non soltanto in determinati settori sia pur importanti.

Ed il suo perdurare ed accrescersi man mano che ci si allontana dalla guerra (da

quella guerreggiata in tutti i fronti), mostra quale fosse l'acume del card. Suhard

nell'affermare che (la crisi) supera di gran lunga la portata delle cause che l'han

provocata»582. «La questione meridionale – scrive invece Morlino – costituisce

un teorema permanente nel quale incidono e reclamano una soluzione tutti i

termini del sistema politico italiano. Il libro del Dorso rappresenta il testo

centrale dello svolgimento della letteratura sulla questione meridionale»583;

«Quando La Rivoluzione meridionale vide per la prima volta la luce – aggiunge

Ugo Pesce – nella edizione Gobetti del 1925 pochi furono gli elogi, molte le

critiche. […] Dalle insufficienze diremmo quasi costituzionali del Stato storico

parallelamente alle quali il Dorso poneva le insufficienze dei partiti storici,

dall'immobilismo della vecchia classe dirigente meridionale «governativa a

vita» nasceva un definizione politica della questione del Mezzogiorno ed una

risoluzione rivoluzionaria»584.

Nel luglio del '52 la linea di Merano sarebbe poi stata approfondita in un

convegno informale tenutosi a Bologna a cui interverranno gli esponenti

dossettiani dei gruppi giovanili e un membro del gruppo di lavoro di Balbo,

Ubaldo Scassellati.

Questa tensione culturale e ideale manifestata dal nuovo gruppo

dirigente giovanile evidenzia anche una particolare attenzione ad un

581Ugo Pesce, Guido Dorso, in «Per l'Azione», n.4, aprile 1952.582F. Grassini, «Agonia della Chiesa?» del card. Suhard, n.7, settembre-ottobre 1951.583T. Morlino, La rivoluzione meridionale, in «Per l'Azione», n.4, maggio 1951.584Ugo Pesce, Guido Dorso, in «Per l'Azione», n.4, aprile 1952.

219

meridionalismo nuovo585, attento ai problemi e alle cose, ancorato ad una

prospettiva riformistica per le vecchie e arcaiche strutture economiche, sociali e

culturali del Mezzogiorno, che sembravano perpetuare vecchi e logori miti, in

uno sterile compiacimento. Signorello stesso, d'altronde, aveva sottolineato nel

suo intervento al Convegno di Roma del gennaio che il problema del

Mezzogiorno era da considerare il problema nazionale più impellente586.

Proprio per rivitalizzare i Gruppi giovanili e dare continuità al lavoro al

di fuori delle campagne elettorali, si era organizzato un convegno al Sud, a

Salerno, il 5 e 6 maggio 1951 – dopo il quale ai giovani campani, lucani e

calabresi era stato richiesto uno sforzo di studio dei problemi sociali, politici

economici del Mezzogiorno d'Italia587 – convegno che aveva visto gli interventi

di Malfatti, Morlino e Russo588.

Morlino è parte non trascurabile di quella esperienza. Un suo articolo,

apparso su «Per l'Azione» del novembre-dicembre 1950, si distingue proprio per

la capacità di esprimere i segni di un meridionalismo maturo e di grande respiro.

Prendendo lo spunto dal volume L'oro di Napoli di Giuseppe Marotta, Morlino

manifesta le proprie riserve sulla compiaciuta complicità dello scrittore per una

Napoli «chiusa nella meccanica riproduzione di schemi di vita residuati del

tempo andato»589. Non era più il tempo di attardarsi in questo atteggiamento. A

Morlino preme, al contrario, la realtà di una città che aveva perduto ogni

rapporto con il suo «contado», che aveva perduto la sua funzione di punto di

riferimento politico, culturale ed economico del Mezzogiorno. Aveva toccato il

fondo di un «processo polverizzatore», che l'aveva condotta alla «disgregazione

585Si veda ad esempio S. D'Elia, Panorama di partenza del carrefour molisano, in «Per l'Azione», n.8, novembre 1951.

586N. Signorello, A piccoli passi, cit., p. 77.587F.M. Malfatti, Elezioni amministrative. Continuità di un lavoro, in «Per l'Azione», n.4,

maggio 1951.588Il Convegno di Salerno, in «Per l'Azione», a. IV, n. 4, maggio 1951.589T. Morlino, Regista per Napoli, in «Per l'Azione», n.20, novembre-dicembre 1950.

220

sociale»:

Napoli è “disgregazione sociale” nella sciatteria dei suoi vicoli

veri, nonostante la retorica di un falso verismo; nella meschineria

pretenziosa dei nuovi rioni, che hanno sostituito i vecchi quartieri;

nella vantata truffaldineria, che paralizza come una tabe ogni sua

attività; nel cronachismo pettegolo, che, in nome di una mal

perseguita tradizione, caratterizza, salvo fuggevoli eccezioni, la

stampa locale; nell'isolazionismo dell'alta cultura che, esaurendosi

nel tecnicismo e soprattutto nel carrierismo, rinuncia a dare un tono

alla vita cittadina; nel paganesimo operante. Napoli è

“disgregazione sociale” anzitutto in quel rassegnato e rialimentato

senso di nobiltà decaduta per un indefinito fato, contro il quale non

si sa nemmeno imprecare, tanto che si finisce per amarlo, per

sentirlo come la migliore, quasi cerata, conclusione del proprio

destino. [bisogna costruire] la Napoli di un nuovo Mezzogiorno

[…] una equipe culturale che parta da una revisione seria e

profonda di tutti gli aspetti della città, ne indaghi l'origine e ne

ritrovi la via della nuova costruzione. […] la validità della Dc e la

sua funzione veramente originale e rivoluzionaria590.

Il recupero del meridionalismo di cui si è fatto cenno si rivolge anche al

mondo universitario con il lancio, nell'estate del 1951, di un'inchiesta sul Sud

Italia che dedichi ampio spazio alla situazione degli atenei nel Meridione591.

Tartaglini sostiene infatti che «per quanto riguarda le Università, il Mezzogiorno

590Ibidem.591«Primo settore sarà l'ambiente. Esso verrà analizzato in tutti i suoi particolari con

riferimento alla sua evoluzione storica, alle influenze subite e imprese dalle diverse categorie sociali che lo hanno popolato e quindi caratterizzato, e in conclusione alla sua attuale struttura sociale. […] Il secondo settore dell'indagine sarà l'Istituto Universitario. Questa parte del lavoro sarà di natura più propriamente tecnica e particolare […] L'ultima parte dell'inchiesta […] sarà rivolta alla composizione sociale del corpo studentesco e del corpo accademico meridionali»; R. Romagnoli, I termini dell'inchiesta meridionale, in «Per l'Azione», n.6, luglio-agosto 1951.

221

è una terra da redenzione. Le Università e gli Universitari del Meridione

attendono da tempo di essere sollevati dal livello attuale che è quello di una

insufficiente dotazione degli Istituti e di difficili condizioni materiali di studio

per gli studenti»592. Medici e chimici, a suo avviso, «escono dalle Università del

Sud con un dottorato conseguito mediante studi teorici, quasi senza alcuna

pratica sperimentale, mentre peraltro la laurea in legge di regola è così facile e

insignificante che tranne in casi eccezionali essa induce semplicemente a

carriere nell'Amministrazione Statale: la burocrazia italiana ha la sua origine

naturale e tradizionale nelle Università del Mezzogiorno!»; la situazione

insomma è grave anche perché «dalla provincia solo i ricchi possono affluire

nelle sedi di Ateneo» e «questo circolo vizioso fa parte della crisi del meridione

e tocca in particolare la crisi della classe dirigente meridionale, classe dirigente

stanca ed immobilista, conservatrice e reazionaria»593.

L'attenzione al mondo universitario è legata anche ai risultati del IV

Congresso dell'Unuri di Viareggio che aveva visto la vittoria dell'Intesa, ovvero

dell'Unione universitaria (Cud-Fuci) insieme all'Unione goliardica italiana,

confermando i risultati del III Congresso nazionale di Perugia del 1948594. «Al

Paese, - questo il commento di Tupini – che ha seguito poco e distrattamente la

crisi morale e politica, l'evoluzione, le prese di posizione dei giovani, dovete

dire che la gioventù italiana non è soltanto quella che si immerge

nell'indifferentismo, verso ogni interesse collettivo, verso ogni convinzione

morale, religiosa e politica, che campa la sua vita tra un film, una partita di

calcio ed un cocktail»595. Presidente del gruppo nazionale dell'Intesa

universitaria sarà nominato Amedeo Delladio; nel comitato direttivo figureranno

592A. Tartaglini, Università meridionali, in «Per l'Azione», n.4, maggio 1951.593Ibidem.594Il Congresso dell'UNURI, in «Per l'Azione», n.1, gennaio 1951.595G. Tupini, Universitari, in «Per l'Azione», n.2, febbraio 1951.

222

Paolo Cabras, Emilio de Feo e Aldo Tartaglini596.

3.5 L'esperienza del «San Marco»

Nell'estate del 1951, come si diceva, si svolsero a Merano due convegni

di studio riservati ai dirigenti del settore degli studenti medi e a quello degli

universitari.

In quella sede Pistelli portò il contributo della sua esperienza locale,

dove non «Cronache sociali», ma un gruppo di giovani, impegnati nel lavoro

del partito, si era affermato nel dibattito fra gli universitari rovesciando

l'egemonia tradizionale dei comunisti e dei gruppi goliardi laici, a sua volta

assumendo la leadership della gioventù cattolica, altrove decisamente

controllata dalla Fuci. Pistelli militava nella corrente gronchiana, ma non era

stato insensibile al discorso dossettiano, apprezzandone particolarmente la

metodologia597. Ricco di letture laiche, oltre che di riflessioni sulla sociologia

cattolica, cultore del dialogo come mezzo per operare sintesi e compiere scelte

che incontrassero l'adesione, strumento primo per creare la democrazia, Pistelli

colpì, a Merano, per la sua statura politica598.

Pistelli spiegò che aveva dato vita ad un bollettino ciclostilato che

fungesse da collegamento fra gli universitari democristiani, ma che era deciso

ad elevarne il tono, allargandone l'attenzione verso questioni meno

specialistiche. Sosteneva infatti Pistelli che

se per stampa universitaria si intendono quei periodici in cui pulsa

596Il gruppo dell'Intesa universitaria al Consiglio nazionale universitario, in «Azione universitaria», n.2, 30 aprile 1951. Interessante commento ai risultati di Viareggio è in A. Tartaglini, Risultato positivo di un congresso, in «Per l'Azione», n.2, febbraio 1951.

597Così L. Merli, Antologia del “San Marco”, Roma, Ebe 1972, p. 13.598Ivi, p. 14.

223

la vita di un singolo Ateneo e in cui si rispecchia il tono culturale e

lo sforzo costruttivo della gioventù studiosa che si forma in una

determinata università, l'Italia ne è priva. […] I motivi di questa

carenza sono evidenti: un giornale significa il bisogno di dire

qualcosa agli altri e, di conseguenza, implica l'avere qualcosa da

dire; e la gioventù universitaria italiana, come tale, ha poco da dire.

Manca alle Università italiane la sostanza di centro culturale

perché mancano le premesse necessarie: la cultura italiana

imbastardita dall'esperienza involutiva e sterilizzatrice del

ventennio fascista si trova ancora in crisi e soffre per la lacuna di

quel personale dirigente che sarebbe giunto a maturazione nel

periodo che va dal 1925 al 1945 se le Università fasciste non

avessero sfornato intere generazioni gonfie di retorica ma incapaci

di svolgere funzione culturale599.

Colleghi di altre università sollecitarono dunque Pistelli a Merano a fare

del «San Marco», il cui nome derivava da quello della piazza in cui aveva sede

l'ateneo fiorentino, una rivista appunto meno fiorentina e più legata ai problemi

posti agli universitari democristiani dalla democrazia rappresentativa d'ateneo.

Pistelli a Merano promise che si sarebbe presto mosso nella direzione indicata

ma che, frattanto, avrebbe sperimentato una collaborazione con alcuni elementi

di altre università per verificarne la capacità contributiva sul piano della linea

della rivista, oltre che il tasso di diffusione che a questa si sarebbe stati capaci di

assicurare fuori Firenze.

Col numero di ottobre del 1951 il «San Marco» si estese dunque ad altre

università – cominciando da Bologna, Siena, Macerata – ai gruppi giovanili,

all'ambiente operaio, tentando di diventare il «bollettino degli universitari e dei

giovani operai e contadini», giacché si sentiva che la Democrazia cristiana non

era e non doveva diventare estranea alla classi popolari e le leve giovanili del

599N. Pistelli, La stampa universitaria in Italia, in «Per l'Azione», n. 6-7, giugno-luglio 1952.

224

partito non dovevano ridursi a delle élites intellettuali600. Fu così che la rivista

divenne adulta, si trasformò nel contenuto e nella forma, si inserì fra le più

seguite pubblicazioni politiche giovanili, si propose come un momento di

crescita della terza generazione democristiana601.

La rivista fu subito polemica. Inizialmente soprattutto verso i fascisti e

le destre, la cui forza stava crescendo negli atenei. Il declino del centrismo stava

infatti coincidendo con l'ascesa delle destre. La consultazione amministrativa

della primavera aveva evidenziato una crescita monarco-fascista piuttosto

preoccupante, oltre che al sud, al nord e risultava difficile, in casa

democristiana, parlare di dirette responsabilità, mentre risultava più comodo

spiegarsi il fenomeno in termini generici di velleitarismo nostalgico.

Pistelli cercò di approfondire l'indagine e nel contempo di fissare un

metro di valutazione più serio. Nel primo numero della nuova serie del «San

Marco», intese affrontare il problema della responsabilità collettiva,

implicitamente investendo con una critica di fondo le tesi semplicistiche sulle

quali si costruiva il giudizio sull'avanzata delle destre in Italia e le cause che lo

determinavano. In una nota significativamente intitolata «La colpa di tutti»

osservava:

Data la difficoltà a concepire le situazioni politiche e sociali si

ricorre naturalmente alla puntualizzazione di esse mediante

l'incarnazione nell'uomo politico più caratterizzante, gli si scarica

addosso tutto il bene o tutto il male e poi si fanno riposare le

meningi con la soddisfazione della nozione acquisita. Se questo

accade per gli uomini politici in genere, assai maggiore sviluppo

assume il fenomeno nei rispetti dei dittatori che già di per sé stessi,

sia per loro natura che per intenzione personale, presentano un

600G. Di Capua, Nicola Pistelli, cit., p. 13.601L. Merli, Antologia del “San Marco”, cit., p. 15.

225

simbolismo assai più pregnante nei rispetti della loro epoca storica

e del loro ambiente politico. Difatti dopo il crollo politico o la

morte di un dittatore una massa urlante si affolla attorno alla sua

fossa per scaraventarvi dentro ogni responsabilità, convinta che le

zolle che ricopriranno la cassa ristabiliranno di nuovo le

distinzione fra il bene e il male, tra il criminale e le vittime,

ridonando a chi rimane una limpida verginità politica602.

La riflessione di Pistelli aveva evidente riferimento alla posizione dei

cattolici dinanzi al fascismo ed al nazismo e, ora, dinanzi alla ripresa in forze

delle destre, ma restava come metro permanente di giudizio quando Pistelli

aggiungeva:

Non è il singolo che fa la storia, sono sempre i popoli. Il singolo

on è che l'antenna sensibile che ha saputo captare il ritmo della vita

sociale, il tono dei desideri politici ed inserirsi in esso; e se rimane

chiaro che la responsabilità del capo è politica e quella dei popoli è

morale, rimane chiaro altresì che l'avvento di un dittatore denunzia

sempre una colpa sociale, è il frutto di una serie di errori dei

singoli. Talvolta si potrebbe persino affermare che il dittatore è la

prima vittima di questa colpa di tutti603.

Dal discorso generale Pistelli passava a quello particolare, contingente:

«Oggi noi stiamo scontando con la nostra lotta non gli errori di pochi uomini

dell'alta finanza o dell'alta politica, ma gli errori di tutta una società, di intere

classi sociali che non hanno capito come l'accumularsi di tanti piccoli egoismi e

di tante singole ottusità crei, alle lunghe, un costume ed una mentalità sotto i

quali matura la reazione»604.

602N. Pistelli, La colpa di tutti, in «San Marco», ottobre 1951.603Ibidem.604Ibidem.

226

E qui la «reazione» andava intesa in una duplice direzione: nei confronti

del comunismo, alimentato appunto dai denunciati egoismi; e nei confronti delle

destre, che solo attorno a quegli egoismi circoscrivevano il loro credo politico.

Per Pistelli occorreva introdurre nella vita pubblica un nuovo metodo col quale

misurare l'azione dei politici; egli, infatti, concludeva che «dopo avere tante

volte detto che la democrazia è il regime in cui tutti hanno diritti, bisogna anche

dire che la democrazia è il regime in cui tutti hanno responsabilità»605.

Da un punto di vista interno di partito, quelle annotazioni servivano ad

indicare ai giovani un metodo di interpretazione dei fatti, della storia e della

politica più rigoroso e un metodo di lotta politica più oggettivo e realistico.

Perciò Pistelli insisteva sulla responsabilità, sui doveri prima che sui diritti. Da

un punto di vista più generale, le annotazioni pistelliane dischiudevano un

dialogo con altre forze politiche. Non a caso fu «San Marco», di lì a poco, ad

inaugurare la serie dei confronti fra giovani democristiani e comunisti. Il

concetto era, in sintesi, che se offese venivano alla democrazia, la colpa andava

fatta ricadere anche su chi, potendolo o dovendolo, non aveva accresciuto i

margini dell'organizzazione democratica della società606.

Al problema del comunismo «San Marco» dedicò moltissima

attenzione. Per la penna di Pietro Ugolini comparvero, nei primi tre numeri, tre

lunghi capitoli di una complessa analisi dei precedenti storici e dell'esperienza

del comunismo, nonché delle ragioni della sua espansione. Nell'estate del 1952,

quando si era in piena discussione sul grande balzo in avanti compiuto dalle

destre nelle elezioni amministrative nel centro-sud e si delineava una tendenza a

costituire giunte comunali e provinciali fra democristiani e monarco-fascisti

secondo la teoria del «caso per caso» stabilita dal segretario Gonella, apparve

sulla rivista fiorentina un altro studio di Ugolini, questa volta limitato al

605Ibidem.606L. Merli, Antologia del “San Marco”, cit., p. 19.

227

comunismo italiano ed al ruolo che questo pensava di possedere. Per tutto il

1952 ed i primi dell'anno successivo, sino alla vigilia della prova elettorale del 7

giugno 1953, vi fu sul «San Marco» uno scambio di lettere fra giovani

democristiani ed esponenti di primo piano del comunismo, scambio che

proliferò sulle colonne di altre riviste, da «Per l'Azione» alle comuniste

«Incontri oggi» e «Rinascita».

Man mano che «San Marco» procedeva in questa sua riflessione sul

comunismo italiano contemporaneo, cresceva nei suoi confronti l'attenzione di

intellettuali comunisti e cattolici, che vi individuarono una interessantissima

iniziativa culturale siano a quel momento da nessun altro sperimentata. Lucio

Lombardo Radice, ad esempio, tenne a dichiarare:

è un fatto che Enrico Berlinguer, Ruggero Zangrandi ed io, e con

noi tanti altri comunisti della terza e della seconda generazione, e

anche della prima (compreso – credo – lo stesso Palmiro Togliatti)

seguiamo con interesse ciò che si dice su Per l'Azione e su San

Marco, e troviamo in queste pubblicazioni quello che non troviamo

sugli organi ufficiali della Dc: troviamo alcuni elementi comuni di

formazione ideale, la base per un colloquio che non sia una rissa,

per uno scambio di idee e non di invettive. I nostri studi sulle

strutture sociali italiane, in generale la nostra tematica e la nostra

problematica hanno delle strette affinità. È indubbio che esiste una

curiosità, a volte un'attrazione e, perché no?, un'amicizia reciproca:

è indubbio che sentiamo il bisogno di conoscerci e di discutere, in

privato e in pubblico607.

Il dialogo con i comunisti fu inaugurato da Franco Maria Malfatti con

una nota comparsa su «San Marco» sotto forma di lettera al direttore,

607L. Lombardo Radice, Una trincea rivoluzionaria o un argine per la conservazione?, in «San Marco», febbraio 1953.

228

prefiggendosi di avviare una discussione senza avere la pretesa di risultare

conclusiva. Il tema era quello dei rapporti fra cultura e comunismo, che a quel

tempo esercitava un certo fascino sulle nuove generazioni, attratte dal moto di

rinnovamento culturale promosso dai marxisti. Malfatti osservava che è

«incontestabile che nella piattezza del nostro mondo culturale, che vede ancora

in Papini un avanguardista e in padre Lombardi un filosofo, o per contro

nell'astratta accademia dei professori gli interpreti ufficiali della cultura

ufficiale, od ancora, nel provincialismo triste e strapaesano degli intellettuali, i

tutori dei valori della stirpe, l'impegno comunista possa trovare con facilità

adepti e si presenti spesso come un'ancora di salvezza»608.

Riprendendo una polemica sui trascorsi fascisti di alcuni autorevoli

esponenti marxisti e che sullo stesso in «San Marco» era stata sottolineata

ponendo, per esempio, a fronte testi scritti da Davide Lajolo ai tempi della

guerra fascista in Spagna con altri più recenti, dal deputato piemontese vergati

con fideismo comunista, e tutti intonati al culto del capo, Malfatti teneva bene a

chiarire che «qui interessa cominciare a vedere se la cultura comunista è la

soluzione. Perché, in via di esempio, anche i ludi juveniles o i littoriali, anche i

premi Cremona di pittura, con la retorica del pane fecondato dal sudore della

fronte e difeso dalla spada, con l'oscena mostra di smisurati toraci che

testimoniavano la validità della stirpe, furono per alcuni la soluzione della

cultura impegnata, per alcuni che oggi vediamo sempre impegnati, ma in

opposta direzione»609.

Naturalmente non si voleva fissare un'equiparazione tra intellettuali

fascisti e intellettuali comunisti, né limitarsi a ricordare i trascorsi di alcuni

esponenti alla moda della cultura marxista, ma soltanto fissare un principio.

Malfatti, infatti, sottolineava: «Eppure né i littoriali né i premi Cremona

608F.M. Malfatti, Cultura e comunismo, in «San Marco», aprile 1952.609Ibidem.

229

sappiamo che furono le soluzioni. E non lo furono non solo per il loro contenuto

fascista, non solo perché quei toraci erano di camerati e non della gioventù del

Komonsol, non solo perché erano brutti toraci, per reazionari o progressivi che

potessero essere, ma perché non erano un fatto culturale, erano propaganda»610.

Da un esame della condizione dell'arte in Unione sovietica e dei giudizi

su di essa dati dalla cultura ufficiale dell'Urss, Malfatti ricavava l'impressione

che potesse trattarsi di arte educativa, ma non esaltante sul piano estetico, anzi

decisamente brutta. Sicché pareva logico al delegato nazionale dei giovani

democristiani chiedersi

se vi sia qualcosa di errato nel rapporto cultura-realtà posto dai

comunisti, che invalidi dalle origini – quale poi che possa essere la

produzione della singola personalità artistica – la soluzione di

questo tipo di cultura impegnata. Ora il rapporto marxista tra

cultura (o ideologia) e realtà, consiste nella riduzione di quella a

questa, considerata però l'ultima nella sua accezione particolare di

realtà politica. O in altri termini il rapporto tra la struttura (l'insieme

dei rapporti di produzione) e la sovrastruttura (qui intesa come

ideologia) sta nei termini di nomi, cioè per dirla con Marx

(prefazione alla Critica della economia politica): «L'insieme di

questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica

della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una

sovrastuttura giuridica e politica, e alla quale corrispondono

forme determinate della coscienza sociale»611.

Malfatti passava quindi a rilevare l'esistenza di due diverse

interpretazioni, sempre da parte di marxisti, dell'assunto marxiano. Scrive infatti

che

610Ibidem.611Ibidem.

230

di questo rapporto ci è dato dai marxisti stessi una interpretazione

meccanicistica, deterministica, l'interpretazione che poi fu detta del

marxismo volgare: la sovrastruttura, cioè, e quindi anche

l'ideologia (la cultura) prodotto meccanico ed inerte di un dato

rapporto strutturale di produzione. In tal modo la sovrastruttura, e

quindi l'ideologia, non diviene che un accessorio di lusso,

innegabile perché esiste, ma nella sua passività inutile. Ma del

rapporto in questione dalla corrente più vitale del marxismo, la

corrente del marxismo-leninismo, è stata data una diversa

interpretazione, volontaristica e dialettica. La sovrastruttura cioè

prodotta da un determinato rapporto strutturale di produzione può

reagire dialetticamente a questo, acquistando con ciò la sua

autonomia612.

E poiché pareva a Malfatti naturale presupporre una equazione fra

cultura ed economia, quale condizione per l'esistenza stessa di qualsivoglia

espressione culturale, egli era indotto a rilevare che

viene spontaneo però di domandarsi se questa soluzione dialettica

sia di per sé sufficiente a salvare la cultura. E non pare, per il

realizzato storicismo assoluto che si compie nel marxismo, per la

riduzione cioè di cui si è parlato più sopra di ideologia a realtà

politica, di filosofia a storia, di storia a politica, di filosofia a

politica. Donde la frase di Engels «il movimento operaio tedesco è

l'erede della filosofia classica tedesca», mi pare che abbia un

valore assai più grande di quel generalmente si ritiene, il valore

cioè proprio di erede, che subentra in toto al de cuius, il valore in

altri termini del passaggio della speculazione all'azione,

dell'interpretazione del mondo nel suo mutamento. Con il che però

612Ibidem.

231

due sole strade si aprono per la cultura (per la cultura valida,

s'intende): o la sua vanificazione totale, per il fatto che

l'intellettuale saluta con l'addio, mia bella addio, ché l'armata se ne

va, e quindi parte e si fa rivoluzionario nel concreto, cioè uomo di

partito, politico, ecc., oppure la strada della subalternità rispetto al

partito del proletariato, del fiancheggiamento della cultura

all'azione del partito, inteso il fiancheggiamento nel senso di

divulgazione pedagogica e propagandistica. Che, nell'impossibilità

della prima strada, sembra essere la soluzione realizzata dal

marxismo-leninismo613.

La conclusione cui Malfatti perveniva era rigorosamente coerente con la

premessa. Egli affermava che «ora mi sembra che proprio qui si constata il

valore non risolutivo della soluzione culturale comunista. Una soluzione cioè

nella quale la cultura mantiene una autonomia di funzione fittizia, risolvendosi

invece solo nella divulgazione pedagogica e nella propaganda»614.

Alle contestazioni di Malfatti si incaricò di rispondere sullo stesso «San

Marco» un intellettuale comunista allora sulla cresta dell'onda, Ruggero

Zangrandi. Egli negò che la cultura abbisognasse in via preliminare di

autonomia, ma anzi affermò che la autonomia della cultura

sempre meno sembra appagare l'esigenza ideale e pratica della

gioventù. In tempi normali, infatti – se così si può dire – quando

una società e un regime politico-economico (come ad esempio la

società borghese ed il regime capitalistico) sono nella loro

maturità, compiono uno sviluppo, realizzano – pur se con

ingiustizie, oppressioni e anche lotte marginali – un certo

equilibrio, almeno intrinseco al proprio sistema, gli intellettuali e

quindi i giovani che si avviano ad esserlo, provenendo quasi tutti

613Ibidem.614Ibidem.

232

dalla classe dominante o entrando a farne parte nel momento in cui

si qualificano, possono appagarsi dell'autonomia della cultura. E,

anzi, spesso, se ne fanno un'arma per non soggiacere a talune

pretese o invadenze della politica, per sottrarsi e distinguersi

rispetto a certi obblighi giuridici o morali (quasi a rivendicare una

condizione a sé, corporativa se non di classe) e magari, talvolta,

solo per non vedere. Quando però una determinata società, come

oggi quella borghese, entra in una crisi di fondo che coinvolge tutti

gli aspetti della vita (e che si sia a questo punto Malfatti e i giovani

dc non sembrano negare), quando cioè tutto diviene precario e la

coscienza comune avverte che si è a un trapasso, che qualcosa di

nuovo sta per accadere, o occorre che accada, allora anche gli

intellettuali e soprattutto i giovani intellettuali sentono che

l'autonomia della cultura non regge più e non basta a preservarli,

non foss'altro che dall'imperativo morale di rendersi conto – se non

di intervenire e di contribuire – del rinnovamento generale, che una

società ormai agonizzante annuncia e reclama insieme615.

Zangrandi era consapevole della validità delle principali asserzioni di

Malfatti e cercò, perciò, o di ridimensionarle, o di vanificarle. Cominciò col

sostenere che, in fondo, l'autonomia poteva essere invocata da intellettuali di

quart'ordine, interessati a difendere il loro particolare solo perché coscienti di

non essere socialmente utili, e passò quindi ad ammettere che in Urss potessero

insorgere degenerazioni a forme di deteriore propagandismo di alcune

espressioni caratterizzate sul piano artistico o che alcune opere potessero

senz'altro giudicarsi brutte, benché politicamente impegnate, ma tutto ciò per

giungere al punto centrale della sua tesi: «La subordinazione della cultura alla

politica non è invenzione nostra ma è sempre esistita – a nostro modo di vedere

– per cui si tratta, semmai, con il marxismo, di subordinare la cultura a un'altra

615R. Zangrandi, Cultura e comunismo, in «San Marco», ottobre 1952.

233

politica, che non sarà più quella della borghesia, ma quella di tutte le classi

lavoratrici, dell'intera collettività nazionale: e nel cambio penso che, tutto

sommato, ci si guadagni»616.

Poiché però a Zangrandi, e ai dirigenti comunisti, non solo giovanili,

premeva mantenere aperto il dialogo con dei democristiani, che non avevano

difficoltà a misurarsi con dei marxisti, il discorso veniva spostato di un altro

piano, da quello teorico a quello pratico: con una proposta di dialogo sui

problemi presenti nella società nazionale e sui quali tutti i movimenti giovanili,

probabilmente, potevano trovare giudizi comuni. Tra questi problemi Zangrandi

indicava lo studio, il rinnovamento della cultura, l'occupazione professionale, lo

sport, la ferma militare. E dalla convinzione che da un maggiore peso dei

giovani nella vita nazionale potevano forse derivare migliori condizioni

generali, Zangrandi passava a riproporre un singolare argomento:

per quale motivo, ad esempio, i giovani sino a 21 anni non

dovrebbero avere una rappresentanza e non sono elettori? Ecco un

problema comune e squisitamente politico che tutti i movimenti

giovanili potevano affrontare insieme? Leggevo giorni or sono,

sulla rivista di Igino Giordani La via, la proposta di una madre

perché sia conferito al genitore un voto multiplo in ragione dei figli

minorenni che ha a carico: proposta originale ma interessante, che

tutti i movimenti giovanili potrebbero, ad esempio, far propria617.

E sull'auspicio all'unità giovanile sui problemi di comune interesse

Zangrandi concludeva la sua lettera al direttore, auspicando la caduta di

innaturali barriere e preclusioni reciproche. A Malfatti restava abbondante

materia di replica618. Innanzitutto premeva al delegato nazionale dei giovani 616Ibidem.617Ibidem.618Per quanto riguarda l'unità delle nuove generazioni, Malfatti aveva già risposto nell'estate

234

democristiani notare che «il problema dell'autonomia della cultura, quand'anche

non interessasse che chi scrive, esiste ed ha un suo valore»619, ma il punto

centrale, indipendentemente dalle evasioni e dalle diversioni comuniste,

comprese quelle di Zangrandi, il quale si era preoccupato di sfuggire al quesito

principale di Malfatti, comune del resto a chi non accettasse il dogma del

partito-tutto, era che

quando si afferma l'autonomia della cultura, non si vuole che

rispettare il principio secondo il quale non la politica, ma la cultura,

cioè la filosofia, la morale, il diritto, la scienza, l'arte sono le

componenti del progresso della società civile. È compito della

politica di esprimere questo progresso, di rimuoverne gli ostacoli,

di favorirne lo sviluppo, di conservarne i risultati, non di assorbire

il campo della filosofia, del diritto, dell'arte ecc. Perché riducendo

tutta la realtà alla politica si uccide la possibilità di sviluppo della

realtà, la possibilità di nuovo, il pensiero, e co ciò la stessa

azione620.

Questa concezione della vita, prima ancora che della politica, non ha

obiettivi punti di contatto con l'interpretazione che Zangrandi dava della cultura

e del ruolo dell'intellettuale nella società. Malfatti non aveva, perciò, alcuna

del 1952 a un articolo di Zangrandi apparso su «Rinascita» nel marzo dello stesso anno. Malfatti aveva scritto che «non è dubbio che esistono problemi comuni a tutta la gioventù che non hanno un diretto significato politico (l'amore, per esempio), ma è altrettanto chiaro che sarebbe ridicolo se i movimenti giovanili di partito cercassero in questi problemi comuni della gioventù la materia per un incontro unitario delle giovani generazioni. […] è evidente che il discorso sulla politica giovanile per quello che direttamente ci interessa sui Gruppi Giovanili, non è che una piccola parte del discorso generale, ma anche qui ove non si voglia trovare il termine del dialogo nell'amore, nelle case dello studente o nelle goliardie di Addio Giovinezza, abbiamo la possibilità di esprimere uguali giudizi politici? Evidentemente no, perché voi non concordate con la nostra linea di politica estera ed interna, noi non concordiamo con la vostra»; cfr. F.M. Malfatti, Risposta a Rinascita, in «Per l'Azione», n. 6-7, giugno-luglio 1952.

619F.M. Malfatti, Cultura e comunismo, in «San Marco», novembre-dicembre 1952.620Ibidem.

235

difficoltà a riconoscere la validità degli incontri fra giovani su problemi di

comune interesse, cosa che del resto si era già realizzata ed è sempre ripetibile

quando le generali impostazioni politiche vi restino estranee, ma insisteva che la

demarcazione fra democristiani e comunisti restava sul terreno suo proprio:

quello della politica. E qui precisava: «il discorso politico, a meno che non

voglia essere mistificatorio o che si riveli a breve termine illusorio, non può che

essere sui problemi politici nazionali ed internazionali che sono sul tappeto,

anzi oggi non può che essere sui questi problemi e sui connessi problemi

ideologici»621.

Dunque il dialogo diventava concreto se rapportato al confronto sui

giudizi politici, i quali, in quel contesto politico nazionale ed internazionale (il

Pci non conosceva altra linea che il frontismo; la guerra di Corea valeva come

divisione verticale fra anti e filo sovietici in Italia e nel mondo), non avevano

alcuna possibilità di coincidere. Se, come teneva a ricordare ad ogni momento

Zangrandi, il posto dell'intellettuale era nella politica, ebbene, a maggior

ragione, chi nella politica ci stava, come ci stavano i giovani democristiani,

doveva fare il proprio mestiere. Se i comunisti ritenevano di possedere la

soluzione per i problemi del mondo, come potevano pretendere di discutere coi

democristiani che, non solo quella soluzione non possedevano, ma neppure

pensavano di averne da proporre un'altra di carattere universale?

E qui la rappresentanza ufficiale della gioventù democristiana impediva

a Malfatti qualsivoglia prosecuzione di un dialogo politico. Ma il discorso

poteva benissimo continuare, e a farlo era Pistelli, avendo per interlocutore un

intellettuale comunista di chiara fama. E si fece anche più concreto e prossimo

alle possibilità operative dei giovani negli anni cinquanta in Italia.

Sul numero di febbraio del 1953, il «San Marco» ospitò uno scritto di

621Ibidem.

236

Lucio Lombardo Radice, il quale spostò l'obiettivo dal tema dell'unità

generazionale su questioni specifiche a quello del comune impegno per il

rinnovamento democratico del paese. Ricordata l'esperienza della Resistenza

che aveva visto accomunati giovani di diversa estrazione ideologica, Lombardo

Radice così pose la questione dell'unità giovanile:

i problemi che la storia ha proposto una volta, come essenziali,

centrali, si ripropongono necessariamente ad ogni nuova

generazione, fino a che non siano risolti. Il problema di una vera

rivoluzione democratica italiana, della modificazione radicale delle

strutture italiane, e dell'unità popolare sotto la guida operaia come

strumento di questa rivoluzione, che è stato posto dalla Resistenza,

non può più essere eliminato dalla vita italiana, non può più essere

soffocato nelle coscienze delle nuove generazioni. Che nel mondo

cattolico, malgrado Gedda e padre Lombardi, la politica, la

propaganda, la strategia che questi nomi rappresentano, il

movimento giovanile democristiano ponga al centro della sua

attenzione i problemi della rivoluzione italiana come rivoluzione

sociale, è una delle tante conferme della asserita forza delle cose622.

Lombardo Radice valutava, tuttavia, la posizione dei giovani

democristiani come valida non in sé, ma finalizzata all'unità con gli altri

movimenti giovanili, di cui quello comunista, in quanto considerato

aprioristicamente come il rappresentante della classe operaia, finiva con l'essere

concepito come l'egemone. Non altrimenti si spiega l'insistenza di Lombardo

Radice, come di altri suoi compagni, sui pericoli cui erano da giudicarsi

obiettivamente esposte anche le punte più avanzate della gioventù, se fossero

rimaste disancorate da una unità di fondo col movimento comunista e operaio.

622L. Lombardo Radice, Una trincea rivoluzionaria o un argine per la conservazione?, in «San Marco», febbraio 1953.

237

L'argomentazione di Radice era che «l'esperienza, in particolare quella fascista,

ha insegnato ai gruppi conservatori più intelligenti che il miglior modo di

contenere la gioventù desiderosa di rinnovamento sociale dentro il recinto della

conservazione dei privilegi è quello di dare ad essa l'illusione di una funzione

rivoluzionaria»623.

L'osservazione di Lombardo Radice era che «la fraseologia e la tematica

rivoluzionaria come copertura di una politica conservatrice e reazionaria non è

una novità per il movimento operaio»; quello del ricorso alla terminologia

rivoluzionaria da parte di forze di copertura della borghesia «è un vecchio

nemico, il più pericoloso forse. Noi lo usiamo chiamare: socialdemocrazia,

riferendoci all'aspetto storicamente più importante della manovra conservatrice

per legare a sé una parte delle forze sociali della rivoluzione, per farne un argine

alla rivoluzione stessa. Ma l'elemento fondamentale della manovra

socialdemocratica si ripresenta nelle forme più diverse: dal fascismo di sinistra

a certe tendenze cristiano-sociali»624.

La critica di Lombardo Radice si rivolgeva direttamente ai giovani del

«San Marco», e a Pistelli in particolare, cui si contestava di proclamarsi

rivoluzionario accettando nel contempo la guida di gruppi conservatori, una

contraddizione che il direttore di «Incontri» riteneva potesse discendere dal

legame con la gerarchia che i giovani democristiani, come nel passato gli

esponenti della sinistra cristiana, pareva intendessero mantenere. Sicché restava

a Radice concludere auspicando, nella eventualità di una tale scelta da parte

degli interlocutori cattolici, «un nuovo costume, di collaborazione anche nel

dissenso, di incontro anche nella politica vedendo nell'incontro, nella

circolazione delle idee, nella collaborazione, l'unica grande speranza di uno

623Ibidem.624Ibidem.

238

sviluppo non tragico, non catastrofico della nostra storia»625.

Pistelli prendeva atto che per Radice la terza generazione democristiana

restava un fatto interessante dello schieramento politico italiano, ma anche un

fenomeno di conservazione intelligente finché fosse rimasto come articolazione

interna della Democrazia cristiana; ne derivava che, per il rappresentante del

Pci, «l'unico schieramento che può far assumere alla terza generazione un

valore realmente rivoluzionario è costituito dalle file del Partito comunista»626.

A questo proposito Pistelli era fermo e respingeva non senza ironia

quella valutazione con una esplicita denuncia di incapacità interpretativa a

carico dei comunisti. Notava Pistelli che «è chiaro che non accettiamo questo

giudizio: non foss'altro, per salvare la nostra buona fede di conservatori. In

cambio, diamo un giudizio sul giudizio: i comunisti hanno esaurito i loro

schemi di classificazione, vi sono delle realtà – e noi ci riteniamo una di quelle

– che rimangono al di fuori della gamma di possibilità previste dal marxismo-

leninismo e pertanto vengono qualificate per analogia»627.

Dopo essersi soffermato ad analizzare il significato di alcuni giudizi

marxisti ed il valore di alcuni approfondimenti di Marx sulla società capitalista

dell'Inghilterra anglicana e quello della sperimentazione di Lenin nel vivo della

rivoluzione, Pistelli osservava però che

né Marx né Lenin, che io sappia, hanno dedicato particolari studi al

cattolicesimo – non chiedo di più – come fatto storico; esso è stato

liquidato, senza un minimo di indagine specifica, mediante la

estensione ad esso delle conclusioni cui si era pervenuti in base

all'esame del protestantesimo: procedimento che, ancora appena

comprensibile in sede di giudizio mistico, diviene inammissibile

625Ibidem.626N. Pistelli, Risposta a Radice, in «San Marco», febbraio 1953.627Ibidem.

239

proprio in sede di giudizio scientifico, vale a dire in sede di

categoria di giudizi che il marxismo vanta come quella in cui si

manifesta la sua superiorità storica628.

Per non limitarsi ad una critica sui santi padri del marxismo-leninismo e

dimostrare come tutte le intelligenze più vive del movimento comunista fossero

rimaste ancorate ad un metodo interpretativo discutibile, improprio ed erroneo,

Pistelli richiamava a quel punto l'esperienza ed i giudizi gramsciani, pur tanto

interessanti da essere studiati con attenzione proprio dai giovani democristiani:

sull'argomento si soffermo Gramsci, ma anch'egli, in definitiva,

risulta handicappato dalla tradizione marxista in materia e gravato,

per di più della eredità delle correnti laicali italiane: sì che, mentre

rimane innegabile la validità culturale di certe sue acute disamine

del mondo morale e della composizione sociale di certo clero del

sud e, in genere, dei suoi rilievi su fatti di costume del mondo

cattolico, la sua intuizione storica si sfoca rapidamente durante i

tentati giudizi di sintesi sulla chiesa, rimasta sempre al di fuori

della sua capacità di comprensione629.

Per rendere comprensibile il «fenomeno» della terza generazione

democristiana, Pistelli invitava i suoi interlocutori a tenere a mente che «la

nostra posizione politica è caratterizzata, assai prima che dallo studio delle

strutture o dalla affinità di tematica con i comunisti, dalla nostra stretta

ortodossia a quel cattolicesimo rimasto sinora estremamente estraneo alla

intelligenza marxista»630.

La conclusione di Pistelli, come già quella di Malfatti, era che non vi

628Ibidem.629Ibidem.630Ibidem.

240

fosse possibilità di intesa politica coi comunisti, ma che «è necessario che

ognuno abbia il coraggio di essere se stesso e persegua fino alle ultime

conseguenze le possibilità di chiarificazione offerte dal processo dialettico»631.

Esisteva però un modo per non chiudere un colloquio e per fare capire

che la incomunicabilità fosse in realtà legata anche a fattori contingenti. Pistelli

si espresse in questi termini:

racconta chi c'è stato che talvolta, durante qualche stanca nottata di

pausa della guerra di posizione del '15-18, dalle ravvicinate e

sanguinose trincee del Podgora o dell'Adamello, la sentinella

italiana e quella austriaca si aiutassero a vicenda a passare le ore

della viglia parlando l'un l'altra, attraverso i reticolati, della fattoria

lasciata nella verde piana emiliana e del villaggio alpino sulle

montagne della Baviera, o magari della ragazza conosciuta in

licenza al Konzerhaus di Vienna; ma al giorno dopo, ripreso colle

prime luci dell'alba il bombardamento delle artiglierie, erano

fucilate. Perché, a parte tutto, c'era la guerra632.

Ecco, a parte ogni altra disposizione individuale, fra democristiani e

comunisti c'era la guerra, che non lasciava spazio alle amicizie personali, né alla

distensione. Ma – e qui stava il valore della parabola di Pistelli – le guerre sono

fatte dagli uomini e non sono, perciò, eterne.

A Pistelli premeva comunque soprattutto definire la connotazione

politica del gruppo che si riconosceva nella sua rivista; più che lo scambio

polemico con i rappresentanti del Pci, gli interessava scavare al di dentro della

Democrazia cristiana. Vi sono, a questo proposito, sul «San Marco», note come

Interclassismo (dicembre 1951), Carta d'identità (agosto-settembre 1952),

631Ibidem.632Ibidem.

241

L'epoca del centesimino e della libertà (ottobre 1952) e Figli di nessuno

(novembre-dicembre 1952), che costituiscono un elevatissimo contributo per

l'elaborazione di una linea politica ed ideologica originali.

I dibattiti del «San Marco» e di «Per l'Azione» coi comunisti valsero

anche a concentrare sui giovani democristiani l'attenzione di altri ambienti

culturali e politici. Per i liberali de «Il Mondo», ad esempio, essi costituivano

una vera e propria scoperta. E fu proprio il settimanale di Pannunzio, con un

servizio di Paolo Glorioso, a dare della terza generazione un giudizio lapidario,

definendo i suoi leaders i «giacobini della Dc». Così Glorioso vedeva, ai primi

del 1953, i giovani democristiani:

una chiara e sentita posizione antifascista, un mal dissimulato

rancore per tutto ciò che sa di liberale, una profonda e sempre mal

dissimulata ammirazione per i comunisti, questa è la prima

impressione che si riceve a parlare con loro. […] La bontà di questi

giovani sta nell'impegno e nella serietà con la quale affrontano i

problemi, anche i più concreti del paese. Vi è il soffio di un

pensiero veramente rivoluzionario, per lo meno come tendenza o

aspirazione633.

Premeva in realtà a Pistelli fissare un indirizzo più moderno alla Dc,

ideologico e pratico. Perciò egli partiva col mettere in discussione il tradizionale

interclassismo, riconoscendo, tuttavia che in virtù di esso «il partito ha

dominato nel dopoguerra perché, nel generale frazionamento, si era coagulato

non su una precisa teoria economica, che avrebbe diviso, ma su una generica

impostazione etico-sociale che univa»634.

633P. Glorioso, I giacobini della Dc, in «Il Mondo», 10 gennaio 1953. La risposta di Malfatti appare su «Il Mondo» il 24 gennaio dello stesso anno e viene pubblicata anche su «Per l'Azione»; cfr. I giacobini al Mondo, in «Per l'Azione», n.1-2, gennaio-febbraio 1953.

634N. Pistelli, Interclassismo, in «San Marco», dicembre 1951.

242

Pistelli però riscontrava nella realtà del paese una condizione

inaccettabile e da modificare e chiedeva: «è cristiana, è democratica l'attuale

struttura della società e le classi che la dirigono, determinano e sfruttano? No:

una società che regola il volume della produzione e della manodopera occupata

su un calcolo privato di convenienza, non è né cristiana, né democratica»635.

A giudizio di Pistelli «è ovvio pertanto che di fronte ad essa la posizione

di un partito democratico cristiano si trovi automaticamente determinata:

riformista sul piano tattico, rivoluzionaria sul piano politico delle méte»636.

635Ibidem.636Ibidem.

243

Capitolo IVVerso sinistra. I Gruppi giovanili e La Base (1952-1955)

4.1 Il VI Convegno nazionale di Modena: dai «Gruppi giovanili» al «Movimento giovanile»

Le consultazioni elettorali del 7 giugno 1953 – com'è noto – hanno un

esito importante per la successiva storia italiana e segnano il tramonto di una

politica che, nata in un determinato quadro interno e internazionale, risulta ora

con evidenza non più capace di offrire risposte alla società. Nonostante la Dc

riaffermi il suo primato nel sistema politico italiano «quell'assestamento

definitivo intorno al polo democristiano che il risultato elettorale imponeva non

era facile da tradurre nelle formule parlamentari e di governo»637 e il centrismo

si ritrova in balia delle «imboscate di monarchici e missini»638.

Malfatti avverte già nella propria relazione introduttiva ai lavori del VI

Convegno nazionale dei Gruppi giovanili Dc (Modena, 6-8 marzo 1953) –

convegno che lo conferma delegato nazionale – la carica di drammaticità che le

elezioni del giugno successivo avrebbero immesso nel futuro politico italiano;

profonda è a suo avviso la preoccupazione dei giovani per gli inquietanti segnali

di sbandamento a destra e per l'esile equilibrio che mette in dubbio ogni disegno

di sviluppo della società639.

Su tale linea Malfatti svolge dunque la propria relazione introduttiva

all'incontro di Modena che si apre la sera del 6 marzo con un intervento del

segretario politico Gonella, il quale, in questa occasione, sostiene contro il

637P. Craveri, De Gasperi, Il Mulino, Bologna 2006, p. 611.638S. Colarizi, Storia dei partiti nell'Italia repubblicana, Laterza, Roma-Bari 1996, p.175.639Per le vicende congressuali si veda G. Tassani, La terza generazione. Da Dossetti a De

Gasperi, tra stato e rivoluzione, Edizioni Lavoro, Roma 1988, pp. 128-131.

244

delegato uscente la candidatura di Enrico Esposito. Domenica 8 marzo, dopo le

conclusioni del dibattito, presieduto dal vice segretario Ravaioli, avvengono le

elezioni del delegato nazionale e del comitato nazionale. Le prime registrano 51

voti per Malfatti contro 23 per Esposito, mentre in comitato nazionale la

maggioranza elegge 17 candidati contro 4 della minoranza: Russo, Pesce,

Morlino, Lombardi, Ciccardini, Rubino, Zappulli, Clemente, Guerzoni, Fala,

Favero, Palanchi, Garzeri, Boiardi, Muccio, Sarti, Grassini per la maggioranza;

Lazzaro, Amendola, Marabini e Zattoni per la minoranza640. Modena mostra che

i tempi sono cambiati: si affaccia ora una nuova leva giovanile e la stessa

dizione «Gruppi giovanili» tenderà, d'ora in poi, a lasciare il posto a quella di

«Movimento giovanile», che diverrà quella ufficiale.

Lo sbandamento a destra della politica italiana diviene ancora una volta

il nodo centrale attorno al quale Malfatti svolge la propria relazione nella

riunione della Segreteria della Dc immediatamente successiva all'incontro di

Modena, il 12 marzo641. Tale impostazione d'altronde segue quella adottata da

«Per l'Azione», schieratasi apertamente contro l'apertura a destra già nel 1952,

in occasione delle elezioni amministrative, e in particolar modo a Roma, dove

tale pericoloso scivolamento aveva assunto il nome di «operazione Sturzo».

Il Movimento giovanile aveva d'altronde vissuto in prima linea quella

640I risultati del Convegno nazionale dei giovani di Modena, in «Il Popolo», 10 marzo 1953.641Le destre, secondo Malfatti, continuano ad affermare che «in caso di non raggiungimento

del quorum, la Democrazia Cristiana potrà sempre formare una maggioranza con il PNM. Essa rappresenterebbe l'entrata in crisi del sistema costituzionale oggi in atto in Italia. Non dobbiamo permettere che i fascisti e i monarchici in particolare tentino di indebolire lo schieramento democratico, onde aprirsi la porta per un loro ritorno al potere. Ai giovani che cadono nell'inganno fascista, dobbiamo fare di tutto per far aprire gli occhi; è una lotta dura quella di questi giorni. Ma è una lotta dalla quale dipende la sopravvivenza o il declino della democrazia in Italia». Nello stesso intervento Malfatti analizza anche la tattica elettorale del Pci sostenendo che «i comunisti stanno seguendo una tattica assai pericolosa, quella di addormentare l'opinione pubblica […] è chiara la manovra dei comunisti: sdrammatizzare la lotta elettorale, dare per scontata la vittoria dei partiti del Centro democratico, diffondere nell'opinione pubblica non comunista un pericoloso ottimismo»; ASILS, Dc, Sp, s.4 f.4, Verbale della riunione della Segreteria del 12 marzo 1953.

245

tornata elettorale. Le amministrative al centro-sud del 27 maggio 1952 avevano

visto infatti 468 giovani, in maggioranza provenienti dalle “zone bianche” del

nord Italia, formati dalla Spes e inviati come attivisti a sostegno dei comitati

provinciali meridionali. Nel gennaio del 1952, come si diceva, Gonella aveva

fondato la prima scuola di partito chiamata “Ateneo di studi politici”, con sede

nella foresteria dell'ex Foro Mussolini e affidata all'on. Francesco Franceschini;

qui avvenivano corsi di formazione brevi, della durata compresa fra gli otto

giorni e le tre settimane, dove venivano formati gli addetti alla segreteria,

esperti in propaganda, organizzazione e in problemi elettorali.

Già nel 1953 Ciccardini, in un articolo dedicato all'operato di De

Gasperi, aveva esplicitamente affermato che «la presentazione delle liste per le

elezioni amministrative a Roma e nel Sud ha sembrato riproporre, con fasi

altamente drammatiche, i termini dell'equilibrio democratico in Italia», che «lo

svolgersi della vicenda elettorale ha chiaramente dimostrato la estrema

pericolosità di ogni fatto passo in quella direzione» e infine che «il terremoto

che ne sarebbe derivato all'interno delle forze democratiche, la rottura dell'unità,

ormai tradizionale dei cattolici, la liquidazione di una politica centrista avrebbe

segnato la fine di ogni possibilità di resistenza delle forze democratiche»642.

642B. Ciccardini, Alcide De Gasperi o dello Stato in Italia, in «Per l'Azione», n. 5, maggio 1952. Continuava Ciccardini sostenendo che «De Gasperi opera sulla situazione post-fascista essenzialmente come restauratore dello Stato, mettendo in atto una condizione necessaria al processo espansivo della società. […] Alcide De Gasperi offre alla società nazionale una nuova prospettiva di inquadramento con la creazione del blocco democratico. […] l'unica alternativa a De Gasperi esistente in Italia è quella di Togliatti, l'unica alternativa allo Stato, il comunismo. […] La politica sovietica gioca ormai, dopo l'arresto posto alla sua espansione militare con la guerra di Corea, soprattutto la carta della disgregazione del mondo democratico. Per questo il Cominform è stato messo in secondo piano ed ha invece assunto un ruolo preminente nella politica sovietica il Comitato dei Partigiani della Pace». Concentrandosi poi sulla figura di Achille Lauro, Ciccardini proseguiva chiedendosi: «In questa situazione cosa offre Lauro agi italiani? (Dico Lauro perché l'unica forma di fascismo possibile non è quella vagheggiata dai reduci di Salò, ma il monarco-fascismo) Lauro offre di restringere a destra a resistenza al comunismo, basandola su motivi nazionalisti e isolando l'Italia dal più grande movimento di resistenza al comunismo del mondo occidentale. Questa posizione di destra che molti credono essere

246

Significativamente lo stesso «Per l'Azione» riportava, da «Gioventù»,

periodico della Giac, un articolo del presidente dei giovani di Azione cattolica,

Carlo Carretto, dal titolo La violenza, in cui venivano condannati «i prepotenti, i

fascisti nell'anima, i paternalisti: i veri disastri dell'umanità», i quali si sentono

direttamente investiti da Dio lavorando come se la salvezza debba ruotare

attorno a loro643. La posizione di Carretto veniva infatti da «Per l'Azione»

sostenuta nella comune battaglia contro il pericolo clerico-conservatore;

l'avanzata di tali forze reazionarie, e il peso che possono far valere durante le

tornate elettorali, è sottolineato dalla rivista del Movimento giovanile in diverse

occasioni. A titolo di esempio basta riportare ciò che, secondo «Per l'Azione», è

avvenuto in Umbria, dove «i contatti avuti dalla D.C. o direttamente o

indirettamente attraverso i Comitati Civici con certe forze politiche ed

economiche, l'incertezza sino alla fine di come si sarebbe scesi nella lotta, se da

soli, se apparentati con chi o se fusi in un'unica lista, hanno creato nell'elettorato

una grande incertezza e sfiducia nella vittoria. A questo si deve ancora, per un

esame obiettivo, aggiungere l'effetto pernicioso che ha avuto in una regione

laica e anticlericale la partecipazione troppo aperta ed attiva dei Civici e del

Clero nella impostazione della lotta elettorale e nella propaganda politica»644.

Il lasso di tempo che corre fra le elezioni del 1952 e il Convegno di “più forte”, “più dura”, è enormemente più debole. Essa lascia scoperete e in piena crisi di coscienza le forze di tradizione liberale e socialdemocratica, che sarebbero facilmente egemonizzate dal comunismo. Spostato l'asse politico sul fascismo, tutte le forze antifasciste sono buttate di violenza in braccio la comunismo, il quale farebbe di tutto per togliere loro ogni scrupolo. Se il blocco di Lauro conquistasse anche la metà degli italiani, l'altra metà finirebbe anche contro coscienza in bocca a Togliatti. Unica soluzione: la guerra civile come in Spagna, come in Grecia». Franco Pecci è ancora più esplicito: «Probabilmente alla base del movimento “laurino” sta la politica cantieristica e marinara del Governo. Queste forze, ora chiamate “forze nazionali”, ieri U.Q., l'altro ieri fascismo, potrebbero mutare etichetta ma non muterebbero il loro contenuto reazionario e conservatore contro la democrazia e la libertà, per uno Stato interamente servo loro»; cfr. F. Pecci, I monarchici e lo Stato democratico, in «Per l'Azione», n.8-9, agosto-settembre 1952.

643C. Carretto, La violenza, in «Per l'Azione», n.5, maggio 1952644Lettera dall'Umbria ex verde, in «Per l'Azione», n.6-7, giugno-luglio 1952.

247

Modena segna indubbiamente uno dei periodi più vivaci per il Movimento

giovanile e per la stessa «Per l'Azione»; lo scontro con la dirigenza

democristiana si fa via via più aspro e circostanziato, tramite un tono “alto” a

dimostrazione dell'avvenuta maturazione del pensiero di molti giovani Dc, in

particolar modo di alcune figure della nuova leva giovanile.

Come ricorda Beppe Chiarante, Malfatti, fin dal 1952, aveva infatti

raccolto intorno a sé un gruppo dirigente qualificato, formato in parte da alcuni

esponenti “storici” dei Gruppi giovanili, come Baget Bozzo e Ciccardini,

affiancando però a loro quadri di indubbia capacità provenienti dalla periferia

come Guerzoni, che sarà anni dopo il segretario personale di Aldo Moro, o un

giovanissimo Ugo Baduel che vent'anni dopo diverrà, come redattore de

«l'Unità», il giornalista di fiducia di Enrico Berlinguer per tutto il periodo della

sua segreteria, fino alla morte. A partire dal 1952 anche lo stesso Chiarante e

Lucio Magri cominciano a frequentare assiduamente le riunioni del Movimento

giovanile in piazza delle Cinque Lune: ricorda Chiarante che «l'ambiente del

movimento giovanile democristiano era, in quel momento, particolarmente

vivace. La cultura politica che vi circolava si era sempre più allontanata dagli

schemi della tradizionale dottrina sociale cattolica arricchendosi di nuovi

contributi. La stessa eredità del dossettismo si incontrava con l’apertura a una

nuova lettura critica della storia e della società italiane, soprattutto attraverso la

chiave offerta da Gramsci (le cui opere, via via pubblicate proprio in quegli

anni, venivano lette anche da tanti giovani cattolici con avidità) e mediante la

riscoperta di Piero Gobetti, di Dorso, di Salvemini, delle maggiori personalità

dell’antifascismo negli anni della clandestinità e dell’esilio»645. Dal 1952,

645Fondo Franco Boiardi depositato presso l'Istituto storico della Resistenza e dell'età contemporanea di Reggio Emilia (Istoreco), d'ora in poi FFB, G. Chiarante, La politica italiana degli anni Cinquanta, dattiloscritto, s.d. Vale la pensa riportare qui per intero il memoriale di Chiarante che prosegue in questo modo: «Inoltre nella fase di incertezza e di crisi che si era aperta dopo il ritiro di Dossetti, e che era aggravata dall’offensiva dell’integralismo geddiano, a differenza della generazione adulta che aveva trovato un

248

insomma, ricorda ancora Chiarante, nuovi giovani quadri iniziavano a prendere

«parte attivamente alle iniziative dei Gruppi giovanili, che erano impegnati in

prima linea nella battaglia contro l’indirizzo integralista di Luigi Gedda e contro

la destra che anche all’interno della Dc sosteneva un’apertura verso monarchici

e neofascisti, usciti rafforzati dalle elezioni amministrative del 1952 nel Centro-

Sud. Il momento politico appariva indubbiamente difficile. Era infatti la vecchia approdo soddisfacente nell’attivismo quotidiano e nella battaglia di Iniziativa democratica per conquistare il controllo del partito, il movimento giovanile era percorso da inquietudini più profonde e si apriva alle sollecitazioni del nuovo e alla ricerca di prospettive più avanzate. […] Nei nostri viaggi a Roma io e Lucio Magri alloggiavamo, generalmente, in via della Chiesa Nuova, in un appartamento preso in affitto dai giovani Dc e che era contiguo a quello che, fino a poco tempo prima, aveva ospitato Dossetti e gli altri “professionisti” in quella che era stata chiamata la Comunità del Porcellino. Di rado, quando potevamo contare su un rimborso viaggi un po’ meno risicato, ci prendevamo il lusso di pernottare in qualche albergo delle vicinanze, come il Senato in piazza del Pantheon o il Santa Chiara: che a quel tempo, in verità, avevano prezzi davvero accessibili. A via della Chiesa Nuova, a pranzo nelle trattorie dei dintorni, nella sede dei Gruppi giovanili di piazza delle Cinque Lune (e nei numerosi incontri e convegni di studio organizzati in quel periodo) facemmo la conoscenza, oltre che dei dirigenti e dei più stretti collaboratori del movimento giovanile che già ho ricordato, di numerosi giovani, intellettuali e politici, che si sarebbero poi fatti un nome in vari campi: da Raniero La Valle a Piero Pratesi, da Wladimiro Dorigo a Nicola Pistelli, da Gino Giugni a Guido Bodrato, da Achille Ardigò a Giovanni Di Capua, da Beniamino Andreatta a Paolo Valmarana, da Pier Antonio Graziani a Franco Salvi, da Edoardo Speranza a Ernesto Guido Laura. Era per noi l’incontro con un ambiente, non solo politico ma culturale e umano, ben più ricco e vivace di quello bergamasco. Entrammo anche in contatto con quegli esponenti dell’ex Partito della sinistra cristiana che, distaccandosi da Franco Rodano, avevano lasciato il Pci dopo la scomunica contro i comunisti: ossia Felice Balbo, Ubaldo Scassellati, Mario Motta, Sandro Fè d’Ostiani, Giorgio Ceriani Sebregondi. […] Verso la fine del 1952 Malfatti propose sia a me che a Magri di trasferirci a Roma e di entrare nell’esecutivo dei Gruppi giovanili. Benché l’ambiente romano e un impegno politico nazionale fossero particolarmente attraenti, tanto più per due giovani che venivano da una città come Bergamo che nonostante l’influsso culturale della vicina Milano era ancora molto provinciale, rispondemmo negativamente: e accettammo, per il momento, solo un incarico a tempo parziale nel gruppo dirigente, rinviando a dopo una decisione definitiva e un impegno a tempo pieno. Ciò per diversi motivi. Per quel che mi riguarda in quel frangente io ero particolarmente assorbito dagli studi universitari anche perché volevo recuperare il tempo perduto fra il 1948 e il 1949, quando una grave malattia mi aveva costretto prima a un ricovero in ospedale e poi a una lunga convalescenza. Finito il liceo e conseguita la maturità classica nel luglio 1948, avevo deciso - come già ho accennato - di iscrivermi a filosofia, all’Università statale di Milano. Nella scelta degli studi universitari avevo preso in considerazione solo un’altra ipotesi: quella di iscrivermi a fisica. L’incertezza non era casuale: fisica e filosofia erano infatti - sia pure su piani assai diversi - le discipline che in quel momento più di altre sembravano in grado di dare una risposta ai grandi interrogativi

249

Italia che aveva portato al fascismo, e che non era certo scomparsa nonostante

la guerra e la Resistenza, che cercava di rialzare la testa»646.

A riprova del fermento che stava investendo le generazioni più giovani

si legga un verbale della questura di Modena datato 14 ottobre 1952. La

questura informa del proposito di alcuni giovani democristiani di pubblicare un

giornale di sinistra per combattere «i politicanti di professione, cioè coloro che

si preoccuperebbero solo delle cariche, senza interessarsi delle vere e trascurate

necessità del popolo»647. Come si legge nel verbale, «questi giovani

democristiani sarebbero particolarmente critici verso la politica economica del

governo». La Questura informava che già due riunioni erano state tenute da

questo gruppo e che il prossimo incontro sarebbe avvenuto il prossimo mese. Il

giornale avrebbe dovuto chiamarsi «Vent'anni» e tra i collaboratori vi erano

anche elementi di altre città, come Bologna, fra cui Achille Ardigò e «un certo

avv. Galloni, entrambi esponenti della sinistra democristiana». Nel documento

si legge: «Unica preoccupazione di questo nucleo democristiano di sinistra è il

possibile danno che ne deriverebbe alla stessa Democrazia cristiana. Tutti i

predetti giovani sono consapevoli che la progettata pubblicazione

provocherebbe la loro immediata espulsione dalla Dc, cosa alla quale sarebbero

già rassegnati. Il problema che però suscita le maggiori preoccupazioni e che

sulla realtà del mondo. Portai a termine gli studi filosofici con risultati eccellenti, prendendo o trenta o trenta e lode in tutti gli esami, eccetto un ventotto in latino; e alla fine del 1952 stavo lavorando, con un maestro come Antonio Banfi, per preparare la tesi su un argomento molto impegnativo, ossia sull’opera di Niccolò Cusano e sulle origini del pensiero scientifico nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento. Rinviai perciò alla conclusione degli studi universitari una risposta all’invito di Malfatti di trasferirmi a Roma: avevo promesso a me stesso e alla mia famiglia di laurearmi prima di iniziare un lavoro a tempo pieno. Anche Lucio, che oltretutto era più giovane di me, decise di rinviare». Di Ugo Baduel si legga, fra i primissimi scritti, un interessante dialogo con Paolo Ungari della Gioventù liberale sul ruolo degli studenti medi: U. Baduel, Costume studentesco e abitudini liberali, in «Per l'Azione», n.5-7, maggio-luglio 1957.

646FFB, G. Chiarante, La politica italiana degli anni Cinquanta, dattiloscritto, s.d.647APCIG, Fondo Mosca, Rapporti con altri partiti, Dc (1944-1953), cit. in M.C. Mattesini,

La Base. Un laboratorio di idee per la Democrazia cristiana, Studium, Roma 2012, p. 37.

250

finora rimane insoluto, è quello del finanziamento. In questi giorni gli

organizzatori si sarebbero rivolti a banche e a qualche importante azienda per

ottenere commesse di pubblicità»648.

Difficile dire se «Per l'Azione» nel suo anno migliore, il 1952, con il

suo tono alto abbia direttamente spronato Pci e Fgci a dotarsi di un mensile

politico culturale giovanile di similare livello: certo è che il primo numero di

«Incontri oggi», che formalmente ha vita autonoma dalla Fgci e annovera tra i

suoi redattori anche socialisti e indipendenti649, esce nel dicembre dello stesso

anno, mantenendo un'attenzione costante ai giovani e al mondo cattolico e, in

questo, ai giovani democristiani. Sono gli stessi redattori di «Incontri oggi»,

d'altronde, a scrivere che «Per l'Azione» si è col tempi trasformato da «scialbo

bollettino organizzativo in una rivista politica e culturale di altissimo livello»,

prima fra le riviste cattoliche che «dopo la liquidazione del C.L.N., polemizzi

contro l'anticomunismo volgare»650.

La sensibilità del direttore del nuovo mensile, Lucio Lombardo Radice,

fa si che Pistelli, il giovane direttore che ha realizzato sul «San Marco» il

confronto Zangrandi-Malfatti, sia il primo Dc interpellato e invitato a

intervenire su «Incontri oggi» nel gennaio 1953651; tale tentativo di dialogo si

infrange però quasi immediatamente alla luce dei risultati delle elezioni del

giugno. Scrive infatti Malfatti che su «Incontri oggi» Renzo Trivelli, dirigente

della Fgci,

con una lettera al Direttore, pone il problema degli attuali limiti di

648Ibidem.649Direttore Lucio Lombardo Radice, vice direttore Renzo Nanni, in comitato di redazione:

Giuseppe Bartolucci, Alberto Mario Cirese, Franco Di Tondo, Mario Gallo, Giandomenico Giagni, Carlo Lizzani, Ugo Pecchioli, Giovanni Pirelli, Marcello Venturoli, Renzo Vespignani, Ruggero Zangrandi. «Incontri oggi» nella sua prima serie ebbe vita sino alla primavera del '55; nella nuova serie solo dal novembre '55 alla primavera '56.

650Cronache della “terza generazione”, in «Incontri oggi», a.III, n.1, novembre 1955.651N. Pistelli, Un incontro che non convince, in «Incontri oggi», a.I, n.2, gennaio 1953.

251

queste riviste, che consistono nell'aver cercato fino ad oggi l'unità

dei giovani col semplice espediente dell'incontro, della

conversazione, senza mai entrare nel merito dei problemi e senza

chiarire a sufficienza le ragioni culturali e politiche dei suoi

redattori. […] Ora non saremmo intervenuti nella questione se non

fossimo diventati una specie di banco di prova delle capacità

polemiche di Incontri. Che dice di noi Lucio Lombardo Radice?

Due cose: «I giovani degasperiani che tanto ci interessavano prima

del 7 giugno tacciono, o cercano affannosamente di elaborare una

nuova teorica (come vedremo tra un momento), dopo che il voto

popolare ha rotto in mille pezzi il barocco edificio della loro

ideologia clerico-rivoluzionaria». E più avanti aggiunge: «Che

dicono ai “loro” giovani e a loro stessi i Malfatti, i Pistelli, i

Ciccardini, i teorici del “degasperismo” come “supplenza

borghese” che apre la via, organicamente, alle riforme di struttura

ecc. ecc.? Il Ciccardini nella Presentazione di una nuova rivista

(Terza generazione) […] considera il 7 di giugno come una crisi

che mette in forse le basi stesse della società italiana, come l'inizio

di un periodo oscuro […] L'autocritica manca, o viene evitata» […]

se noi dopo il 7 giugno viviamo tra i cocci barocchi del nostro

malfondato castello ideologico, Lucio Lombardo Radice vive

ancora con il suo fumo e senza l'arrosto652.

La sconfitta elettorale del 7 giugno 1953, oltre a mostrare i segni

evidenti di una crisi del sistema, funge all'interno della Dc da amplificatore di

un marcato dissenso all'interno del quale si inseriscono alcune personalità del

Movimento giovanile. I risultati del giugno 1953 non segnano solo infatti il

tramonto della centralità di De Gasperi, ma determinano anche la mancata

stabilizzazione della formula centrista, riproponendo appunto il tema della

652F.M. Malfatti, L'arrosto di Lombardo e il fumo di Radice, in «Per l'Azione», n.11-12, novembre-dicembre 1953.

252

ricerca di alleanze a destra e a sinistra. Vengono meno, cioè, gli elementi sui

quali, a partire dal Convegno di Modena che aveva visto l'affermazione della

terza generazione alla guida del Movimento, era stata costruita la sintesi politica

ed ideologica dei giovani. Negli anni di passaggio dal degasperismo al post-

degasperismo, dunque, la linea politica del Movimento oscilla tra la scelta di

rinnovare la fedeltà agli ideali del leader trentino e la necessità di evitare

l'eccessivo isolamento all'interno del partito. È comunque grande

l'insoddisfazione espressa da alcuni dirigenti; Guerzoni, ad esempio, scrive

quanto sia evidente ormai che, soprattutto alla luce dei risultati elettorali, «i

giovani appartengono a questo anonimo e sconosciuto paese reale, fatto di

mancanze di prospettive e di sviluppo, sacrificato da una società chiusa e a

struttura semi-feudale, mortificato da una cultura che non passa attraverso di

esso, legato da un formalismo religioso che talvolta uccide le prospettive

spirituali»653. I giovani, nelle elezioni del 1953, secondo le tesi dei dirigenti del

Movimento giovanile, pur votando numerosi per la sinistra e in maggioranza per

il centro, non si erano però riconosciuti nelle parti esistenti, cioè nelle proposte

programmatiche, ideologiche e culturali delle forze schierate in campo.

Occorre comunque prendere atto che, secondo i redattori di «Per

l'Azione», «il voto dei giovani cattolici per la D.C. è un voto a sinistra, nel senso

che essa testimonia una volontà di rinnovamento nazionale e non la ricerca di

una semplice garanzia dal pericolo comunista»654. Ma non solo: le elezioni del

653C. Guerzoni, Editoriale, in «Per l'Azione», n.5-7, maggio-luglio 1953.654L'oggi dei giovani, in «Per l'Azione», n.11-12, novembre-dicembre 1953. Il cambio di rotta

e la tendenza a sinistra è notato anche dai membri della Fgci. In un documento riservato inviato a Luigi Longo firmato da Ugo Pecchioli si sostiene che «è stato già rilevato come la “tendenza a sinistra” messa in evidenza, tra le giovani generazioni cattoliche, dal voto del 7 giugno, sia il risultato di un processo che, se trova le sua basi nelle aggravate condizioni economiche e sociali dei giovani, non ha mancato di manifestarsi anche nel campo dei loro orientamenti ideali e culturali. […] Comune è la posizione antifascista, il richiamo ai valori della Resistenza, l'aspirazione alla libertà, sia in campo politico, sia in campo culturale. […] Comune è la convinzione che spetta ai giovani, in quanto generazione, una funzione particolare di rinnovamento della vita e della cultura nazionale»; cfr. APCIG, carte Fgci, b.

253

1953 hanno, come scrive Chiarante, messo in luce lo stallo creato dalla

divisione del mondo in due blocchi e, in Italia,

arroccata sulle proprie posizioni ciascuna delle due parti è portata a

riferire ai propri interessi di sopravvivenza e di affermazione e a

valutare così, in chiave politica, ogni iniziativa umana, su qualsiasi

piano di vita della società essa si verifichi. […] Perciò, quando la

matrice ideologica rimane immutata, quando la spiritualità e la

morale, incapaci di rinnovarsi, degradano nel costume, quando una

cultura senza sviluppo stancamente si ripete o i fermenti nuovi che

ribollono in essa non trovano espressione che in manifestazioni

individualistiche, quando non maturano nuove dirigenze sociali e

non si delineano nuove iniziative economiche, la politica stessa

perde la possibilità di esercitare la sua funzione, si esaurisce nel

gioco di potenza delle formazioni contrapposte, si avvilisce a

propaganda655.

La conclusione cui giunge Zappulli è che

l'espressione politica dei giovani, manifestata attraverso il voto, è

stata sostanzialmente di natura diversa da quella delle leve anziane:

una denuncia della inadeguatezza delle strutture della società,

causa prima del mancato inserimento della giovane generazione

nella società stessa e nello Stato; una accusa allo Stato di non saper

corrispondere alle istanze della gioventù, garantendo un ricambio

automatico nel campo del lavoro e dell'occupazione intellettuale.

[…] pertanto l'azione nostra deve continuamente allargare i propri

margini, per garantire la più ampia rappresentanza politica alla

nostra organizzazione giovanile656.

1954/2, f. 0423-2559, Lettera di Ugo Pecchioli a Luigi Longo, 18 luglio 1953.655G. Chiarante, Il vizio politicistico, in «Per l'Azione», n.5-7, maggio-luglio 1953.656U. Zappulli, Editoriale, in «Per l'Azione», n.8-10, agosto-ottobre 1953.

254

L'ingresso nel Movimento giovanile di nuovi elementi come Magri,

Chiarante, Di Capua, Boiardi e Zappulli, i quali successivamente si sarebbero

avvicinati alla corrente di Base, incide in modo significativo in direzione di

spazi politici meno angusti.

In occasione del Comitato nazionale del Movimento giovanile, il 7

novembre 1954, Magri è molto esplicito nel dichiarare l'impossibilità di

continuare ad accettare l'immobilismo centrista e la necessità di aprire il dialogo

alle forze politiche della sinistra, instaurando con esse un rapporto non

sociologico, non riformistico e non velleitariamente proselistico657. Le

discussioni interne al Movimento giovanile, infatti, non riguardano la legge

maggioritaria, la cosiddetta “legge truffa”. Sono legate, piuttosto, ad un diverso

modo di interpretare la situazione italiana e all'interpretazione della politica

degasperiana come un'esperienza conservativa oppure come un'esperienza che

poteva aprire nuove soluzioni.

Un'altra rivista, a questo punto, già si era proposta di rompere questo

immobilismo: «Lo Spettatore Italiano». Uscita dal 1948 al 1954, tra i cui

collaboratori figuravano anche ex militanti della Sinistra cristiana, essa nasceva

con lo scopo di suggerire una politica non più chiusa nelle strettoie

dell'ideologismo e nella cecità che chiudeva in modo pregiudiziale il dialogo e il

confronto; «Lo Spettatore Italiano» ambiva ad avviare l'apertura di una nuova

fase politica che facesse dell'incontro e della collaborazione fra cattolici e

comunisti il nerbo della proposta658.

Ad accogliere tali stimoli, come quelli offerti da «Lo Spettatore

Italiano», sono proprio alcuni quadri del Movimento giovanile. Il progressivo

allineamento di Malfatti alla linea moderata della dirigenza, soprattutto in

657M.C. Mattesini, La Base, cit., pp. 38-39.658G. La Bella, Lo Spettatore Italiano 1948-1954, Morcelliana, Brescia 1986.

255

rapporto alla graduale apertura a sinistra sostenuta dalle minoranze, sembra

bloccare infatti la politica giovanile all'interno di un sistema che ne vuole

depotenziare la portata innovatrice. Una via d'uscita può essere il sottrarre

l'azione giovanile al controllo dei partiti: è la strada percorsa, ad esempio, dai

redattori di «Terza generazione».

«La politica era tutto» è il titolo che inaugura il numero di presentazione

della nuova rivista, nell'agosto del 1953, a due mesi dalle elezioni del 7 giugno.

Il titolo, e la rivista in generale, contengono innanzitutto una posizione

polemica, di rifiuto della politica esistente, e quindi di rifiuto della cultura e

della ideologia delle generazioni precedenti: di quella fascista come di quella

antifascista659. Scrivono i redattori:

Abbiamo soltanto una ipotesi di lavoro: che oggi, nella società

nazionale, esista una zona di umanità, ricca di desideri e di

speranze, che non trova udienza nelle forme e negli istituti

esistenti. Questi esclusi non sono più, ormai, soltanto coloro che lo

furono per definizione, dal sorgere dell'età moderna, i

sociologicamente esclusi, gli operai e, in forma diversa, i contadini.

Ma sono anche molti altri, e sempre di più, man mano che la

situazione di crisi si aggrava – giovani, intellettuali, imprenditori,

ridotti al margine dalla situazione, disgregati e muti660.

Il direttore della rivista, Ciccardini, classe 1928, che ha lasciato «Per

l'Azione» e il Movimento giovanile nel giugno del 1953661, nell'articolo di

apertura, ricorda come sia nata l'idea di una terza generazione, terza dopo quella

fascista e quella antifascista: il termine si riferisce alla sua esperienza nel 659Una ricostruzione della rivista, seppur parziale e realizzata da uno dei redattori, è C.

Leonardi, «Terza generazione»: dall'utopia alla profezia, in «Renovatio. Rivista di teologia e cultura», a.VIII, n.3, luglio-settembre 1973, pp. 363-434.

660Editoriale, in «Terza generazione», numero di «Presentazione», agosto 1953.661Arrivederci Bartolo, in «Per l'Azione», n.5-7, maggio-luglio 1953.

256

Movimento giovanile, con la convinzione di dover fare da sé, data la crisi non

superabile delle istituzioni esistenti e l'idea che la cultura non è più in grado di

fornire strumenti d'azione. La gioventù, per Ciccardini, non può più riconoscersi

in nessuna parte: ai giovani resta la sola speranza e solo con la tensione verso il

futuro si possono creare soluzioni e risposte nuove662. Scrive Ciccardini:

Nel 1945 noi entrammo giovanissimi nella politica. Credo che

questo non sia un fatto normale: forse i giovani dovrebbero trovare

la loro maturità altrove che non nella politica, affinché possano in

essa portare quello che li contraddistingue dalle altre generazioni, e

non correre il rischio di essere modellati dalle soluzioni già

precostituite. […] Ma l'antifascismo (ché questa era la politica del

'45) non poteva avere le risposte a tanta domanda. Esso era una

ribellione, ma non aveva maturato soluzioni nuove e valide a

risolvere i problemi da cui era nato. […] La Democrazia Cristiana

vede scemare le sue possibilità di mediare la situazione e di

mantenere una linea di composizione semplice delle esigenze in

campo.

In un clima politico decisamente diverso rispetto a quello confuso e

gravido di aspettative dell'immediato dopoguerra, all'indomani dell'arretramento

della Dc nelle elezioni politiche del 1953, di fronte alla tentazione della classe

dirigente democristiana di realizzare un'apertura a destra, i giovani della nuova

leva cattolica furono indotti a prospettare un superamento della formula

centrista guardando oltre i confini del proprio partito. In quel quadro Ciccardini

ripropose la questione dell'insufficienza dell'antifascismo a risolvere quella che

veniva percepita come l'irrisolta crisi del rapporto Stato-società. Intervenendo

nel dibattito sul fascismo promosso dalla sua rivista, Ciccardini tenta di andare

662B. Ciccardini, La politica era tutto, in «Terza generazione», numero di «Presentazione», agosto 1953.

257

alle origini del problema, sostenendo che la costruzione di una nuova

prospettiva politica si era scontrata nell'immediato dopoguerra, e si scontrava

tutt'ora, con l'esistenza di un problema irrisolto della storia nazionale: il

«problema del fascismo»663. Il giudizio sul fascismo costituiva, a suo dire, il

banco di prova delle generazioni. Per i giovani, la prima guerra mondiale aveva

rappresentato veramente la «fine di un'epoca di civilità» e aveva mostrato

l'insufficienza delle soluzioni tentate dalle vecchie classi dirigenti liberali. Per

loro, dunque, il fascismo era stato considerato come la sola risposta possibile a

quella crisi epocale. Al contrario, l'antifascismo si era limitato a guidicare il

fascismo esclusivamente come «forza bruta», trascurando completamente le

modificazioni di ordine psicologico e culturale prodotte dalla crisi in milioni di

individui. In conseguenza di questo deficit di analisi, l'antifascismo aveva dato

vita a un'opposizione esclusivamente politica al fascismo, che non solo non

aveva retto all'urto della sua forza militare nel 1925-1926, ma aveva dato vita, in

seguito, a una coalizione eterogenea ed effimera, che non era sopravvissuta alla

scomparsa dell'avversario. Incapace di realizzare un «positivo e totale

superamento del fascismo», l'antifascismo non aveva saputo tramutare la crisi di

regime in un'autentica occasione di rinnovamento. Perciò, la costruzione della

democrazia si era risolta in una mera «restaurazione prefascista». In questo

senso, il nuovo Stato repubblicano, per non aver saputo innovare nella

tradizione, si era sviluppato all'insegna non già della «continuità», come

sostenevano alcuni, ma dalla «restaurazione».

La constatazione dei limiti politici dell'antifascismo e dell'ordinamento

da esso realizzato rendeva più che mai attuale, anzi «vitale», la «costruzione di

una linea post-fascista» attraverso un'aggregazione generazionale transpartitica,

663B. Ciccardini, Il fascismo esame di coscienza delle generazioni, in «Terza generazione», a.I, n.3, dicembre 1953, in C. Casucci (a cura di), Il fascismo. Antologia di scritti critici, Il Mulino, Bologna 1961, pp. 387-392..

258

che avrebbe costituito la sola possibilità di superare assetti politici e sociali

giudicati inadeguati a governare la società.

Nella «Presentazione», all'articolo di Ciccardini fanno seguito quattro

interventi: di Baldo Scassellati, Baget Bozzo, Gino Giugni e Felice Balbo.

Giugni e Balbo non sarebbero più comparsi nella rivista, mentre Scassellati e

Baget avranno un ruolo importante. La rivista inizia poi le pubblicazioni con il

primo numero nell'ottobre del 1953 con un'attività che durerà circa un anno e

mezzo, fino al novembre del 1954, 12 numeri in 10 fascicoli in tutto. Se, come

si diceva, Scassellati avrà ruolo importante, con l'avvio di una ricerca introno al

concetto filosofico fondamentale della rivista, «il problema della generazione»,

un contributo importante è anche quello di Ugolini che, uscito dal Partito

comunista e assolutamente critico verso la riforma agraria del 1948, cerca di

elaborare una linea solutiva per il mondo rurale italiano. La sua collaborazione

inizia con un saggio su Siena e, nel terzo numero, con una inchiesta: Coreno

Ausonio, provincia di Frosinone, un paese di contadini sulle montane tra Gaeta

e Montecassino. La cessazione della rivista suscita in ogni caso un commento

non certo positivo di Malfatti che, significativamente dalle pagine di «Incontri

oggi», la considera anzi «un fatto positivo. Positivo perché questa posizione non

aveva saputo chiarire con sufficiente precisione il posto che faceva alla lotta

politica organizzata e rischiava di essere intesa come posizione populistico-

anarchicheggiante» e che, a suo avviso, nelle pagine «Terza generazione» «al

ragionamento venisse sostituito il gorgheggio verbalistico» e che «è prevalso

più il gusto inconcludente della polemica per la polemica che il necessario

approfondimento»664.

La breve vita di «Terza generazione» testimonia quanto la candidatura

di Iniziativa democratica alla guida della Dc e la nascita di vere e proprie

664I movimenti giovanili nel 1955, in «Incontri oggi», a.III, n.2, dicembre 1955.

259

correnti strutturate contribuiscano a restringere ulteriormente lo spazio dei

giovani in generale, e del Movimento giovanile in particolare, all'interno del

partito, accentuando, allo stesso tempo, le differenze tra le posizioni del

delegato nazionale con la minoranza. In questa direzione un ruolo decisivo

viene giocato dal cambiamento della strategia organizzativa determinato dalla

nomina di Fanfani alla segreteria politica. La nuova dirigenza punta, infatti, al

rafforzamento del partito, potenziando i legami con le organizzazioni collaterali

ma cercando di rovesciare il rapporto di forza a proprio vantaggio.

Il Congresso di Napoli del 26-30 giugno 1954, e la successiva morte di

De Gasperi il 19 agosto, aprono anche per i giovani una nuova fase che la

storiografia ha definito come quella del «tramonto delle autonomie giovanili e

dell'avanzata degli apparati»665. All'autoritarismo fanfaniano e al progetto di

costituzione del partito pesante i giovani reagiscono alimentando e sostenendo

iniziative di opposizione alla linea del nuovo segretario, appoggiando, e in

alcuni casi partecipando attivamente, alla nascita di vere e proprie correnti

politiche, si pensi alla composizione de La Base o all'esperienza dei periodici

«Prospettive» e «Stato democratico».

La distanza da Fanfani prende le mosse dalla celebrazione della figura

di De Gasperi. Incontrammo De Gasperi e lo riconoscemmo maestro è il titolo 665G. Negri, P. Ungari, L'avanzata degli apparati e il tramonto delle autonomie giovanili, in

A. Spreafico, J. La Palombara, Elezioni e comportamento politico in Italia, Comunità, Milano 1963. Scrive «Incontri oggi»: «Con il 7 giugno si apre per il movimento giovanile d.c. un nuovo periodo di storia di circa un anno. Al centro dei nuovi interessi è la preparazione al Congresso nazionale della Democrazia cristiana […] Molto vivacemente vengono respinte le accuse di astrattezza rivolte al movimento da alcuni dirigenti del partito, e si coglie l'occasione per proporre all'attenzione della d.c. le esigenze economiche e sociali oltre che ideali dei giovani. Il governo Pella viene attaccato esplicitamente, così come l'alleanza con i monarchici per le elezioni comunali a Castellammare, mentre caldo consenso trovano le posizioni di La Pira a favore degli operai della Pignone. Vivace la polemica contro i fascisti ed i monarchici mentre viene rivendicata una continuità ideale con la Resistenza. […] Ma con questo al Congresso di Napoli i Gruppi giovanili in quanto tali risultano completamente assenti e si identificano di fatto con “Iniziativa Democratica”»; cfr. Cronache della “terza generazione”, in «Incontri oggi», a.III, n.1, novembre 1955.

260

dell'articolo di Vittorio Boni pubblicato su «Impegno giovanile» in occasione

del primo anniversario della morte del leader trentino. Nel ricordo dei giovani,

l'incontro con lo statista che aveva guidato e retto le sorti del Paese e del partito

rappresenta l'occasione storica offerta loro per garantire la validità politica della

nuova generazione, la misura con la quale valutare la propria capacità

democratica. Scrive Boni che

usciti tutti, anche i più giovani di noi, dalla esperienza della

Resistenza, vedevamo nella nostra tensione morale, la carica

rivoluzionaria che portavamo e che avevamo ricevuto come

patrimonio ideale dagli uomini della generazione anti-fascista,

dalla seconda generazione, annullarsi a poco a poco nel gioco delle

tendenze […] Sparivano a poco a poco innanzi ai nostri occhi gli

uomini che erano la generazione prima di noi; si ritiravano

dall'impegno politico coloro che avevano dato vita a Cronache

sociali ed alle nostre più sofferte esperienze […] Fu allora che

incontrammo realmente Alcide De Gasperi, fu allora che

riuscimmo a comprendere la Sua volontà e la Sua statura politica.

Nella nostra affannata ricerca di possibilità solutive incontrammo

De Gasperi e lo riconoscemmo come Maestro666.

Nella nuova situazione politica interna ed internazionale i giovani

tornano agli insegnamenti che quell'incontro ha loro lasciato: lo sforzo e

l'impegno di vedere realizzato uno Stato veramente democratico,

salvaguardando la preziosa e indispensabile unità delle forze cattoliche. Il

recupero della laicità del partito dei cattolici nella sua accezione degasperiana, e

la difesa della democrazia, inducono la terza generazione a rivalutare anche

l'esperienza resistenziale nella sua portata rivoluzionaria e nel suo significato

666V. Boni, Incontrammo De Gasperi e lo riconoscemmo come maestro, in «Impegno giovanile», 10 agosto 1955.

261

morale. La Resistenza resta un momento fondamentale della storia d'Italia, il

momento in cui viene posto in termini nuovi il problema dello Stato, della sua

costituzione e della sua legittimazione popolare, il momento in cui gli «umili»

diventano i più coraggiosi ribelli e si esprime al meglio la volontà di progresso e

di espansione di tutte le forze politiche. Proprio ai giovani spetta dunque il

compito di evitare che questa memoria si perda o, ancora peggio, venga

utilizzata in senso strumentale da chi è interessato alla conservazione e allo

stallo del sistema. I giovani devono mantenere in vita i valori spirituali della

Resistenza nel suo aspetto di giusta lotta per la difesa della dignità umana.

Occorre, a questo punto, come sostiene Chiarante alla fine del 1953,

che si formino nuove dirigenze che organicamente esprimano le

forze sociali rimaste sinora ai margini della storia […] Di fronte al

cadere delle vecchie illusioni, vi è, specie nel mondo giovanile, un

fermentare di nuove iniziative che, su piani diversi, hanno il

significato comune di ricercare la via per lo sviluppo della società

nazionale. E chi si muove sul terreno della politica non può che

augurarsi che tali iniziative fioriscano e lo sviluppo riprenda,

perché solo in tal caso anche al politico di tipo nuovo sarà possibile

superare quelle situazioni bloccate di fronte alle quali la sua azione

oggi necessariamente si arresta667.

4.2 La Base e il Movimento giovanile

Dal febbraio 1954, in preparazione al Congresso di Napoli, un gruppo

di appartenenti al Movimento giovanile si stabilisce in un appartamento in

affitto nella zona di piazza Mazzini, a Roma668. I nomi sono quelli di Magri,

667G. Chiarante, Il vizio policistico, in «Per l'Azione», n.11-12, novembre-dicembre 1953.668La ricostruzione della preparazione al Congresso di Napoli è in G. Chiarante, Tra De

262

Chiarante, Di Capua, Boiardi. Con l'arrivo di Zappulli e Paglietti, si viene così a

creare la corrente di «sinistra» nell'ambito della direzione del Movimento

giovanile. Altri dirigenti – come Speranza, Grassini, Ernesto Guido Laura –

sono invece su posizioni più moderate e fanno ormai riferimento a Malfatti,

sempre più vicino a Fanfani. Nei mesi che li separano dal congresso, gli

appartenenti del gruppo di piazza Mazzini mettono in piedi una fittissima

attività nazionale, organizzando una serie di riunioni regionali e provinciali, che

li porta in quasi tutta Italia, con l'impegno di espandere l'iniziativa della sinistra

di Base.

Nel vuoto lasciato dalla fine del dossettismo e dallo spostamento verso

il centro di Iniziativa democratica sorgevano, infatti, soprattutto ad opera dei

quadri più giovani, esperienze simili a quella promossa in Piemonte e

Lombardia con il convegno di Belgirate, sul lago Maggiore, del 29 settembre

1953. In quell'occasione un gruppo di «scontenti»669 provenienti per lo più dalle

file partigiane e dall'esperienza dossettiana, aveva dato vita al gruppo de La

Base, per mobilitare la periferia Dc sui valori della Resistenza e del

popolarismo cattolico: i nomi principali sono quelli di Giovanni Marcora,

imprenditore edile e segretario milanese della Federazione volontari per la

libertà, Aristide Marchetti, sindaco di Laveno Mombello in provincia di Varese,

don Federico Mercalli, Bruno Bossi e quelli di Capuani e Uggeri, a cui si

Gasperi e Togliatti, cit., pp. 68-73.669In tale modo sono definiti in G. Galli, P. Facchi, La sinistra democristiana. Storia e

ideologia, Feltrinelli, Milano 1962, p. 136, che racconta l'intera genesi della corrente. Secondo Baget-Bozzo «la riunione nasceva dal disagio sorto fra gli ex-dossettiani per il fatto che gli esponenti della corrente di Iniziativa democratica collaboravano al governo Pella senza cercare un ruolo autonomo di qualificazione»; cfr. G. Baget-Bozzo, Il partito cristiano al potere, cit. p 537. Il testo fondamentale per analizzare le vicende della corrente è M.C. Mattesini, La Base, cit. Un altro testo di riferimento si può considerare G.M. Capuani, C. Malacrida, L'autonomia politica dei cattolici. Dal dossettismo alla Base: 1950-1954, Interlinea, Novara 2002, pp. 29-56. Per un quadro breve ma dettagliato del programma politico della corrente al momento della sua nascita si veda anche G. Di Capua, Cuore a sinistra, occhio al centro, Ebe, Roma 1992, pp. 23-24.

263

aggiungono quelli di Boiardi e Di Capua670.

Per circa dieci mesi dal settembre 1953 La Base svilupperà insomma

una coraggiosa battaglia di idee, si opporrà a ogni apertura a destra, solleciterà

un deciso rinnovamento della Dc, si qualificherà su posizioni nettamente

riformistiche in materia economica, sociale, istituzionale e in politica estera e,

per quanto riguarda le alleanze, avrà «un'importanza decisiva nel portare la Dc

all'apertura a sinistra verso il PSI»671.

La corrente di Belgirate, appena sorta, sentendo subito l'esigenza di un

potenziamento organizzativo proprio in vista del congresso di Napoli dell'anno

successivo, e di un ampliamento dei propri contatti politici, intensifica i rapporti

con diversi soggetti. Dopo Belgirate, Giovanni Marcora, il principale animatore

del movimento, sviluppa relazioni con i più combattivi esponenti della sinistra

democratico-cristiana, molti dei quali provenienti o ancora appartenenti al

Movimento giovanile, da Galloni a Granelli, da Arnaud a Carlo Donat-Cattin,

da Chiarante a Magri fino a rappresentanti del clero di periferia: si stabilisce un

contatto con don Mazzolari, che collaborerà all'omonima rivista con alcuni

articoli e si terrà poi ben presente l'attività del «gruppo Boiardi» di Reggio

Emilia. L'iniziativa di Belgirate suscita largo interesse anche all'Università

Cattolica e raccoglie il consenso attivo di molti giovani tra cui Riccardo Misasi,

Gerardo Bianco e Ciriaco De Mita. Da quell'appartamento di Roma nel 1954,

dunque, il neonato gruppo giovanile basista stabilisce una fitta serie di rapporti:

a Venezia con la cerchia facente capo a Vincenzo Gagliardi e soprattutto a

Dorigo, a Firenze con quella di Pistelli, a Torino con quella di Arnaud,

quest'ultimo già colpito, nel marzo dell'anno precedente, insieme a Sarti di

Cuneo, da un deferimento presso il Collegio centrale dei probiviri della Dc per

670FFB, Intervista a Giovanni Di Capua, (s.d.), p. 3.671L. Granelli, «La Base»: «Prospettive» e «Stato democratico», in Il Parlamento italiano,

Vol. XVII, Nuova Cei, Milano 1991, p. 408.

264

aver pubblicato e fatto pubblicare, a detta della Direzione, alcuni «indegni

articoli» su «Gioventù d'oggi», il mensile dei Gruppi giovanili del Piemonte di

cui era direttore672.

Il risultato più importante di quei viaggi – al di là dei contatti di partito

e di corrente – è la presa di coscienza personale delle profonde trasformazioni

che sul piano economico, sociale, civile iniziano a cambiare il volto del paese.

Si sta infatti ormai concludendo la ricostruzione del dopoguerra; si avvia,

invece, quello che sarebbe stato, fino ai primi anni Sessanta, lo sviluppo

febbrile del cosiddetto miracolo italiano, con un processo di modernizzazione

che procede a un ritmo mai conosciuto in Italia, ma con i prezzi e le

contraddizioni di un profondo sconvolgimento sociale.

Il congresso di Napoli, dunque, aveva acquistato agli occhi di tutti

un'importanza centrale. In questa assise i basisti si alleano, quasi per necessità

visto lo stato embrionale del progetto politico, con l'Iniziativa democratica di

Fanfani. La linea di conduzione della campagna congressuale (illustrata da

Galloni in più di un editoriale pubblicato su «La Base»673) era imperniata sulla

proposta di un'alleanza attraverso un'unica lista di tutte le sinistre, da Iniziativa

democratica fino al gruppo di Gronchi e a quello di Forze sociali sostenuto dalla

Cisl e dalle Acli. Il progetto basista, però, non trova accoglienza positiva e si

arriverà all'apertura del Congresso in una situazione in cui era sostanzialmente

672ASILS, Dc, Dn, s.31, f.21, Verbale della riunione del 28 marzo 1953. Il verbale stabilisce che «i dibattiti interni del Partito possono e debbono trovare la loro sede più appropriata ed anzi l'unica sede legittima, nelle Assemblee Sezionali Provinciali e Nazionali del Partito stesso ed ogni evasione da questi limiti di naturale e statutaria competenza rappresenta un virtuale tentativo di insubordinazione e comporta il pericolo di gravi e non sempre prevedibili ripercussioni ai danni del Partito. […] In ogni caso la dialettica del Partito non deve immiserirsi negli inutili e gretti personalismi, ma deve essere mantenuto su un piano cavalleresco di reciproco rispetto fra le parti in contesa ed entro limiti di moderazione e consapevolezza»; cfr. Collegio centrale dei probiviri, in «Bollettino della Direzione centrale della Democrazia Cristiana», a. VII, n.9-10, 15 novembre 1953.

673Si veda, ad esempio, G. Galloni, Al Congresso di Napoli unità delle sinistre, in «La Base», 10 giugno 1954.

265

deciso che la nuova maggioranza si sarebbe fondata su Iniziativa e Base e

avrebbe compreso anche una larghissima parte dei Gruppi giovanili. Secondo

Boiardi, l'equilibrio costituitosi intorno a Fanfani porterà inoltre ad alcune

risistemazioni interne al partito, alla fine di alcune vecchie correnti e

l'affermazione delle nuove: i gronchiani che «rinunciarono a presentare una

lista, morirono come corrente e rimasero solo come nome»674; la loro lista non

viene quindi presentata quando i giovani, guidati da Malfatti, e La Base,

stringono l'accordo con Fanfani, motivando politicamente la loro scelta con il

rifiuto temporaneo dell'apertura verso il Psi, ipotizzata da Gronchi675. La Base,

dunque, per ora si assestava su posizioni di attesa: scriverà Boiardi che «questi

due raggruppamenti non erano del tutto contrari all'apertura a sinistra, ma

ritenevano che andasse maturata lentamente e così come prima lo slogan era

“conservare lo Stato per la rivoluzione”, a Napoli era quello di “conservare il

centrismo e Scelba per preparare l'apertura a sinistra”»676. L'alleanza si rivelerà

comunque scelta proficua permettendo l'elezione nel Consiglio nazionale dei

basisti Camillo Ripamonti, Leandro Rampa, Galloni e Chiarante. A Napoli, al

termine dei lavori congressuali, Fanfani risulterà quarto, dopo De Gasperi,

Scelba ed Emilio Colombo677; visto il declino ormai irreversibile dei primi due,

la realtà è il passaggio di consegne come segretario da De Gasperi a Fanfani

sostenuto da Iniziativa democratica entro la quale si erano ormai raccolti molti

esponenti della cosiddetta “seconda generazione” democratico-cristiana,

segnando una sorta di confluenza ideale tra l'eredità dossettiana e quella

degasperiana.

Nonostante l'alleanza durante il congresso, dopo Napoli l'azione delle

674F. Boiardi, La Dc e le sue correnti, in «Problemi del socialismo», marzo 1959, p. 202.675 G. Galli, Storia della D.C., Laterza, Roma-Bari 1978, p. 169.676F. Boiardi, Dossetti e la crisi dei cattolici, Parenti, Firenze 1956, pp. 200-201.677Per tutti gli interventi dei relatori, le mozioni approvate e i consiglieri nazionali eletti si

veda I congressi nazionali della Democrazia Cristiana, Cinque Lune, Roma 1959, pp. 473-571.

266

correnti di sinistra della Dc si differenzia in modo netto. I gronchiani svolgono

un'attività solo a livello parlamentare, mentre le loro superstiti adesioni

finiscono per essere attratte da La Base, che tende a rafforzarsi nelle

organizzazioni locali del partito come condizionatrice a sinistra della

maggioranza fanfaniana e, particolarmente a Milano, come gruppo direttamente

legato a Mattei di cui questi si avvale quando deve trattare con Fanfani,

diventato il 16 luglio segretario politico della Dc. Ma fin dai primi atti appare

chiaro che i dirigenti di Iniziativa, e in particolare il suo leader, non intendevano

in alcun modo lasciarsi condizionare: loro obiettivo sarà d'ora in poi impedire la

formazione a sinistra di un forte blocco che, insieme a una certa carica ideale

abbia un preciso disegno politico (l'intesa col Psi) e possa operare in

collegamento con importanti centri di potere (l'Eni di Mattei, ad esempio).

Gli eventi che vanno dal V congresso Dc di Napoli all'VIII convegno

nazionale giovanile (Firenze, giugno 1955) sono come inscritti in un «piano

inclinato», ove la «mutazione genetica» della Dc con l'andata al comando della

«seconda generazione», quella di Iniziativa democratica, contribuisce ad

accelerare le differenziazioni e, in una parte consistente, anche la dispersione di

un patrimonio politico-culturale di generazione. Di fronte a un segretario,

Fanfani, autoritario e organizzativista, accusato di voler usare il Movimento

giovanile solo in senso attivistico-propagandistico, stanno ormai questi giovani

che, in vario e articolato modo, gli si oppongono da «sinistra».

L'ultimo numero de «La Base» esce il 30 luglio 1954. Non è una

chiusura imposta dall'altro, anche se nelle prime settimane di quello stesso anno

la Direzione democristiana aveva affermato l'inammissibilità che su problemi di

primaria importanza fossero espresse tesi non in linea col partito678. Nonostante

678La Direzione, infatti, riteneva «assolutamente al di fuori di una seria vita democratica del Partito, la tendenza che va diffondendosi, di iniziative da parte di singoli o di gruppi di iscritti per la pubblicazione di fogli periodici rivolti soprattutto ad una polemica interna che assume talvolta asprezze tali da essere giustificata soltanto se fosse rivolta contro i nostri

267

l'ingresso nel partito della seconda generazione di Iniziativa democratica e di

alcuni elementi della terza, la Democrazia cristiana stentava a rinnovarsi e

l'attivismo fanfaniano non si traduceva, per i basisti, nella costruzione di un

moderno partito. A giudizio della Base era mancata, dopo il 7 giugno 1953 e il

Congresso di Napoli, una riflessione profonda che non si riducesse unicamente

alla difesa dell'unità del partito. Questo irrigidimento era d'altronde presente

anche nel mondo cattolico. Nel 1954 Mazzolari tornava ad essere oggetto delle

attenzioni del Sant'Uffizio: il 28 giugno il cardinale Giuseppe Pizzardo gli

aveva vietato di predicare al di fuori della propria parrocchia. Un altro

intervento punitivo fu rivolto contro don Milani, trasferito da Calenzano nel

piccolo centro di Barbiana. Infine il presidente della Giac, Mario Rossi, era

costretto alle dimissioni. Per quanto riguarda il Movimento giovanile,

l'irrigidimento era palpabile: oltre al già citato deferimento ai probiviri di

Arnaud, all'inizio del 1955 la Direzione, dopo la relazione di Fanfani sulle

«questioni disciplinari», decide anche il deferimento di Amos Ciabattoni, reo,

insieme al delegato regionale del Lazio Signorello, di aver diffuso un

documento riservato assai critico sulla Dc e sul Movimento giovanile679 di cui è

più violenti avversari. È urgente ricordare a tutti che la stampa di Partito per svolgere un'azione costruttiva deve essere legata a precise responsabilità di organi di Partito e mai alla fluida responsabilità di uno o pochi iscritti che agiscono senza un preciso mandato ufficiale»; ASILS, Dc, Dn, s.28, f.22, Verbale della riunione del 2 agosto 1954.

679Nel documento firmato da Ciabattoni si sosteneva che «Da lungo tempo andava maturando la grave crisi del Movimento giovanile. Anzi, per usare una espressione più aderente alla realtà, da parecchio si sentiva l'esigenza di concludere, con grande cautela, ma ad ogni costo, il travaglio del Movimento giovanile. Dopo gli ultimi avvenimenti politici, infatti, si era maggiormente acuito il contrasto e il distacco tra il centro Nazionale e la Periferia (ciò anche per esplicita ammissione degli stessi Dirigenti Nazionali) e l'immobilismo tradizionale non trovava, ormai, più scusanti. […] I numerosi “ma che succede” e i “ma che cose dobbiamo fare” della periferia crediamo debbano essere tacciati. Non in un modo qualsiasi. Ma nell'unico modo dovuto: con poche parole e molti fatti, e soprattutto idee molto chiare. Non vorremmo si dimenticasse, nel frattempo, la precisa funzione del “reggente”: organizzare entro novanta giorni il convegno. Senza cioè possibilità di impostazioni determinate, avendo il Comitato affermato a maggioranza che resta valido l'impegno di sottoporre alla discussione del Convegno nazionale la linea politica e organizzativa fino ad oggi seguita dalla Direzione del Movimento. […] Alcune esigenze:

268

venuta in possesso «l'Unità» che «ne ha tratto motivo per critiche al partito»680.

Sul caso Rossi si esprime anche il quindicinale della Base con un

articolo di Dorigo e con una lettera di Magri. Questa l'interpretazione del primo:

Il prof. Gedda sta giocando grosso e con l'avventato dilettantismo

che distingue il suo comportamento in ogni campo ha voluto ad

ogni costo far precipitare la situazione: si tratta, com'è chiaro, di

una incosciente sfida alla stragrande maggioranza dei cattolici, i

quali sanno vedere nel provvedimento preso nei riguardi generali

della Gioventù cattolica lo squillo d'allarme più prepotente. […]

Non è difficile né azzardato infatti collegare il siluramento di

Rossi, come già quello di Carretto e dei suoi immediati

collaboratori nell'ottobre del 1952, con la tenace, consapevole e

logica resistenza della Gioventù d'Azione cattolica, in tutti i suoi

quadri centrali e periferici, ad un andazzo che, precostituendo

illecitamente in sede religiosa e con strumenti religiosi (tale è

l'Azione Cattolica) scelte politiche di enorme portata, vuole

imporre alla Dc, attraverso vie e uomini ben noti nella Dc, quella

vera e propria strada sull'abisso alla quale l'apertura a destra e

l'alleanza con le destre reazionarie monarchico-fasciste ci

inchioderebbe senza possibilità di ritorno681.

Nella rubrica della rivista, Voci dalla base, si rendeva noto che la

concreto programma di lavoro con scopi determinati chiaramente e scadenze precise cui legare la fiducia ai Dirigenti Nazionali e all'Esecutivo in carica […] Indipendenza del Movimento giovanile DC da ogni forma di “corrente” interna di Partito. […] Garanzia di libera azione al di fuori della semplice organizzazione del Partito. […] già nel Comitato Nazionale di Anzio del febbraio 1954, l'esigenza di una totale revisione della linea politica e organizzativa del Movimento era apparsa evidente. […] è cosa nota se si afferma che il nuovo Esecutivo non ha risolto nessun problema. I gruppi giovanili debbono infine rappresentare il punto di contatto più facile e più vicino con tutte le organizzazioni giovanili operanti»; cfr. ASILS, Dc, Dn, s.31, f.21, Verbale della riunione del 7 gennaio 1955.

680 Ibidem.681W. Dorigo, La sostituzione di Rossi alla Giac, in «La Base», n.7, 5 aprile 1954.

269

maggior parte delle lettere pervenute alla redazione conteneva pareri simili a

quelli espressi da Dorigo. Nella sua lettera Magri analizza invece il

comportamento della stampa di destra sul “caso Rossi”:

I quotidiani della destra hanno voluto affrontare la questione nel

suo complessivo significato, anche religioso. Ed è questo molto

significativo perché rivela l'intenzione precisa di compiere una

identificazione semplice tra una determinata linea politica e la

stessa ortodossia religiosa. È tutto lo zelo dei cattolici ferventi, la

assillante preoccupazione per la salvezza della dottrina, la smania

dell'ortodossia che, con un evidente equivoco delle competenze e

di capacità i commentatori politici dei giornali reazionari invocano

contro il modernismo e il deviazionismo in cui “necessariamente”

cadono, a loro avviso, i giovani682.

In un documento “riservato” firmato Berlinguer, segretario della Fgci, e

inviato a Luigi Longo, viene notato come proprio il caso Rossi abbia aperto un

interessante dibattito «nonostante l'ingiunzione al silenzio dell'Osservatore

Romano, sul periodico cattolico milanese La Base», «che si propone

evidentemente di coordinare il movimento di diffuso malcontento esistente

contro Gedda e di raggrupparlo attorno al gruppo più avanzato dei cattolici

milanesi, così come ci è stato indicato in un colloquio che abbiamo avuto»683. È

682L. Magri, Nessuna complicità dei giovani, in «La Base», n.9, 5 maggio 1954. 683APCIG, carte Fgci, b. 1954/2, f. 0423-2559, Note sul nostro lavoro verso i giovani

cattolici, s.d. «La linea di azione che ci siamo fissati – prosegue il documento – nei giorni della crisi della Giac ci pare oggi ancora valida: appunto perché tra i giovani della sinistra cattolica vi è confusione e talvolta indecisione e timidezza, appunto perché vi è una situazione tale da prestarsi alle manovre degli ecclesiastici e di taluni uomini politici democristiani, occorre intervenire dall'esterno e dall'interno per rendere più rapido il processo di chiarificazione, per rendere più rapido il processo di chiarificazione, per incoraggiarli a resistere e a lottare dentro le fila del movimento democristiano. Un'azione più ampia verso al gioventù cattolica veniva iniziata dopo le note vicende della destituzione del dott. Rossi e della direzione centrale della GIAC. In questa occasione il Comitato Centrale, molte Federazioni e numerosi circoli svilupparono un lavoro di orientamento e di

270

ancora Berlinguer, cogliendo l'occasione del “caso Rossi”, a scrivere a tutte le

sezioni italiane della Fgci indicando che

la crisi della GIAC è uno degli aspetti del disorientamento

esistente nel mondo cattolico in generale nel quale si

combattono interessi diversi. Ad esempio vi è già fra i

dirigenti giovanili ed anche tra alcuni anziani e sacerdoti la

preoccupazioni di trovare un accordo con noi. Per quanto

riguarda i dirigenti diocesani noi abbiamo notizia che hanno

espresso solidarietà al Rossi quelli del Piemonte, della

Lombardia, del Veneto, dell'Emilia Romagna, di Siena, di

Perugia e di Napoli. Posizioni di solidarietà si sono avute

nella FUCI, nei Gruppi giovanili DC, tra i giovani delle

ACLI e della CISL […] la crisi della GIAC non ci ha preso

alla sprovvista in quanto i motivi di contrasto, seppur in

modo impreciso, li avevamo analizzati e non si può escludere

che in parte al maturarsi dei contrasti tra i giovani cattolici

abbia contribuito anche l'azione unitaria che da tempo

andavamo sviluppando. La nostra posizione dopo la crisi di

direzione è stata di simpatia e di cautela al centro e su scala

provinciale, ricercando il contatto e la discussione, e di

aperto intervento alla base, nel senso che abbiamo indicato la

necessità che i giovani comunisti si recassero negli oratori

informazione verso la gioventù cattolica. Il risultato del lavoro svolto in questo periodo aveva anche un valore interno: infatti una maggiore sensibilità della gioventù comunista per il lavoro verso la gioventù cattolica è stata segnalata dopo questo periodo quasi ovunque. Il 18-19 giugno si riuniva a Perugia il Comitato Centrale della FGCI che, sulla base delle ultime nostre esperienze e delle indicazioni fornite dal compagno Togliatti al Comitato Centrale del Partito, impegnava tutta l'organizzazione della gioventù comunista a intensificare il lavoro per l'intesa fra la gioventù comunista e la gioventù cattolica. Nel corso di questi mesi, nonostante il massiccio intervento delle gerarchie ecclesiastiche e dei dirigenti fanfaniani della DC, si avevano numerosi casi di collaborazione su problemi diversi e in numerose città tra giovani dell'A.C. e democristiani e la gioventù comunista. Significative sono le adesioni di giovani dirigenti cattolici alla lotta in difesa della pace, contro la CED e il riarmo tedesco a Reggio Emilia, Ferrara, Ravenna, Forlì, Siena, Trento, Bari, Messina, Rovigo».

271

della GIAC per discutere la questione684.

Quella che doveva essere una temporanea chiusura estiva, era divenuta

per «La Base» una chiusura comunque definitiva. Qualche settimana più tardi

veniva a mancare De Gasperi. Con la morte del leader trentino mutavano anche

i rapporti di forza all'interno del partito; il successo di Iniziativa democratica si

era tradotto nella vittoria di una corrente piuttosto che in un profondo

cambiamento. Dietro la chiusura de «La Base» c'erano senza ombra di dubbio

le pressioni di Fanfani, che avevano costretto i basisti a chiudere l'omonimo

quindicinale e inaugurare una nuova esperienza editoriale, «Prospettive», come

mezzo per difendere i valori dell'antifascismo, del rinnovamento del partito,

della costruzione dello Stato democratico, della lotta ai monopoli e di un

diverso anticomunismo. «Senza la collaborazione fra masse cattoliche e masse

comuniste – scrivono ad esempio già nel secondo numero i redattori – la

Resistenza non avrebbe avuto, come invece ha avuto, il significato di un

risveglio della coscienza nazionale per la edificazione di un nuovo Stato»; «ora,

nello escludere il comunismo italiano e nel mantenerlo fuori dallo Stato –

proseguono – bisogna obiettivamente tenere conto che si esclude una forza

componente della sua costituzione»685.

Il primo numero di «Prospettive» esce il 10 novembre 1954 e si

presenta come un allegato della precedente rivista; solo successivamente

sarebbe diventato un vero e proprio quindicinale. In «Prospettive» si avverte

senza dubbio un climax politico e polemico nel linguaggio e nei contenuti;

«Prospettive» rappresenta, in un certo senso, un salto di qualità, una

maturazione e una concretezza maggiori nei confronti, soprattutto, delle

problematiche che investono le masse proletarie e contadine. Vi si trova inoltre 684APCIG, carte Fgci, b. 1954/2, f. 0423-2559, Lettera di Enrico Berlinguer alle sezioni della

Fgci, s.d. 685Provvedimenti anticomunisti, in «La Base», n.2-3, 25 dicembre 1954.

272

un'attenzione costante al partito socialista e alla sua evoluzione democratica e

autonomista.

Nello stesso luglio del 1954, inoltre, mese della chiusura de «La Base»,

iniziano ad incrinarsi i rapporti di forza uscita dal Congresso della Dc di Napoli.

Fino a Napoli aveva infatti retto l'accordo fra le due ali della maggioranza che

dirigeva il movimento giovanile: quella iniziativista che faceva capo a Malfatti

e quella più orientata a sinistra di cui Boiardi, Magri e Chiarante erano a quel

punto i maggiori esponenti. Malfatti, però, come già notato, si stava sempre più

avvicinando alle posizioni di Fanfani e il suo ingresso nella direzione come

membro eletto nel Consiglio nazionale del 16 luglio 1954 (e non semplicemente

come rappresentante dei gruppi giovanili), era il preludio all'assunzione di

incarichi direttivi nell'organizzazione del partito. Ciò comportava la sua

sostituzione, a breve scadenza, come responsabile del Movimento giovanile e

quindi la convocazione del convegno nazionale dei delegati provinciali per

l'elezione del suo successore.

La segreteria seguiva la situazione con non poca preoccupazione, dati i

diversi segnali che davano la sinistra in maggioranza. La tensione all'interno dei

Gruppi giovanili, viste le pesanti pressioni e intromissioni da parte del partito,

cresce fino a portare, durante la riunione del Consiglio nazionale del 7

novembre 1954, alle dimissioni di Malfatti; l'ex leader astutamente decide lo

scioglimento contemporaneo dell'esecutivo e propone, come soluzione di

compromesso fino all'elezione nel prossimo comitato nazionale, una gestione di

tipo commissariale affidata al delegato provinciale di Cremona, Arnaldo

Ferragni, posizionato in modo intermedio fra i due gruppi686 e che dimostra fin

686Si legga, viste le interessanti riflessioni sul post 7 giugno, l'intervento di Malfatti: «Dal 7 giugno in avanti, la gioventù democristiana è entrata in quest'ordine di idee; bene l'attuale formula di governo, ma non è attraverso questa che si risolvono i problemi reali del Paese; bene alla ripresa del Partito, ma senza una linea politica un nuovo 18 aprile non è ipotizzabile nel Paese. Si tratta del problema della sinistra, scontato il fatto che la gioventù democristiana non ha prospettive a destra, e non si pone il problema della destra se non per

273

da subito la volontà di mantenere un certo equilibrio politico almeno fino al

Convegno nazionale687. L'Esecutivo nazionale risulta composto da: Nello

Vincelli (organizzazione), Antonio Aurigemma (attività di base), Celso

Destefanis (preprazione sociale e formazione dirigenti), Dante Monda

(problemi della gioventù), Elio Borgogno (lavoratori), Ernesto G. Laura

(direttore di «Impegno giovanile»), Vittorio Caruso (Cud e studenti medi),

Emilio Giussani (preparazione dirigenti lavoratori), Claudio Triscoli (ufficio

inchieste), Franco Nobili (rapporti con l'estero)688.

Accettate le condizioni poste da Malfatti, il 29 maggio 1955, due

settimane prima il congresso di Firenze, la Base organizza a Mestre un

convegno, con una partecipazione molto ampia di parlamentari e dirigenti di

partito, con la presenza dei due consiglieri nazionali Galloni e Chiarante oltre a

esponenti ormai affermati, come Granelli e Boiardi, e quella di numerosi

rappresentanti del mondo contadino di varie province italiane, proprio al fine di

discutere di patti agrari, che rappresentano in primo luogo, il test di verifica

della volontà riformatrice della Dc su un tema per essa centrale quale la difesa

del proprio naturale retroterra contadino, e, in secondo luogo, l'occasione di

scontro al momento politicamente più rilevante con Fanfani. «Il Convegno»,

come commenta «Prospettive», «ha costituito il coronamento di quel vasto ed

rifiutarla. Si tratta di quel travaglio che “Lo Spettatore Italiano” definisce: fare positivamente i conti con la sinistra. […] È un problema troppo grande e troppo importante perché ci si debba permettere di sollevarlo nel M.G. bisogna passare dalla politica giovanile alla concreta elaborazione di una linea politica generale»; ASILS, Dc, Sp, s.55 f.12, Relazione sull'attività del Movimento giovanile dal 1° novembre ad oggi, (s.d.).

687Si leggano, ad esempio, le sue dichiarazioni durante la riunione della Segreteria politica del 30 novembre 1954: «Bartolo Ciccardini, Franco Grassini, Adriano Paglietti, Lucio Magri hanno lasciato un'importante impronta delle loro attività. […] Nel corso di tutto questo lavoro, elemento prezioso capace di omogeneizzare tutta la base fu la rivista “Per l'Azione”, la cui efficacia ed importanza un giudizio spassionato ancora oggi conferma non solo nei riguardi del MG ma anche del Partito e di tutta la vita politica italiana»; cfr. ASILS, Dc, Sp, s.41 f.30, Verbale della riunione del 30 novembre 1954.

688ASILS, Dc, Sp, s.55 f.12, Relazione sull'attività del Movimento giovanile dal 1° novembre ad oggi, (s.d.).

274

unanime moto di reazione che il compromesso governativo in materia di

contratti agrari, studiato nel febbraio scorso dal Presidente Scelba»; «il

problema dei patti agrari non è che in realtà il sintomo di una crisi più vasta che

investe tutto l'attuale equilibrio politico»689. Scrive Chiarante:

l'urgenza – da noi sottolineata del dibattito – di uscire dalla gabbia

del centrismo per perseguire una più ampia dialettica parlamentare

che consentisse convergenze anche con le forze dell'opposizione di

sinistra sugli obiettivi di riforma e di sviluppo della società italiana

che la stessa crescita economica ormai in atto proponeva come

improcrastinabili. Era il tema, in sostanza, dell'avvio dell'«apertura

a sinistra» […] Ricordo ancora l'entusiasmo con cui il convegno

approvò la mozione conclusiva, che sintetizzava questa

impostazione e chiedeva una soluzione parlamentare che, anche con

l'appoggio di voti provenienti dall'opposizione, confermasse il

principio della «giusta causa permanente» per la disciplina dei

contratti in agricoltura […] Per la Sinistra di base fu un grande

successo690.

Il convegno di tutti i delegati provinciali convocato per il 10 giugno

1955 presso il Teatro del Rondò di Bacco in Palazzo Pitti a Firenze allo scopo di

eleggere il nuovo delegato nazionale viene visto allora dalla segreteria come

l'occasione più propizia per rovesciare l'orientamento che era venuto prevalendo

fra i quadri giovanili e tamponare la crescita esponenziale della Sinistra di

base691. Ecco come Chiarante ricorda la scelta dei candidati:689Venezia: un appassionato convegno sui “patti agrari”, in «Prospettive», 30 maggio 1955.690 G. Chiarante, Tra De Gasperi e Togliatti, cit., p. 105. 691Nel 1981 scrive Boiardi che Fanfani si dimostrava «irremovibile, incapace di qualunque

mediazione, aveva assunto un ruolo di “sergente di ferro”, pronto a ricorrere a misure disciplinari pur di tagliare le opposizioni interne. […] Furono mesi difficili. Lo scontro interno era diventato sempre più acuto. Come membro dell'esecutivo nazionale dei Gruppi giovanili mi trovavo ogni giorno alle prese con i “veti” che provenivano a ogni iniziativa del “sergente”. Veniva sempre Rumor a comunicarceli, vice segretario nazionale della Dc,

275

A Firenze la sinistra giunse […] con tre candidati in pectore:

Franco Boiardi, di Reggio Emilia, che era certamente il più

popolare; e Adriano Paglietti di Roma e Dante Monda di Latina,

che disponevano di un minor consenso personale ma, avendo una

posizione meno di punta, potevano sperare di raccogliere qualche

voto anche nell'area più moderata […] Dopo una serie di contatti

personali decidemmo, al termine di un dibattito molto sereno in cui

valutammo le diverse ipotesi, di procedere alla scelta mediante

votazione segreta. Prevalse Boiardi, che fu perciò accettato come

candidato di tutta la sinistra692.

A Firenze, dunque, nel congresso aperto dal discorso del sindaco della

città La Pira693 e alla presenza di una delegazione ufficiale dei giovani del Psi694,

si sfidano per la carica di delegato nazionale Boiardi e Laura, candidato dal

centro dopo aver battuto diversi nominativi (dal fiorentino Speranza, che aveva

preferito però tenersi in disparte, al giovanissimo Celso Destefanis). Durante i

lavori congressuali Boiardi preferisce, nel proprio intervento, partire da

un'analisi della realtà di base del Movimento giovanile, illustrando

successivamente i rapporti fra queste e le cellule periferiche del Partito,

affermando l'illusorietà delle strade extra politiche, proponendo uno

sganciamento delle strutture periferiche dalle parrocchie, chiamando al

confronto con la gioventù operaia e ritornando ancora una volta alle elezioni del

1953: «I giovani – sostiene – hanno votato la misura del proprio travaglio, la

triste condizione di esclusi, l'affannosa ricerca di strade nuove, e la loro è stata

cercando, con molti sorrisi, di farci capire che la “buriana” sarebbe passata e che dovevamo avere pazienza»; cfr. F. Boiardi, Quando uscii dalla Dc, in «Il Crescione», a.1, n.1, dicembre 1981, p. 3.

692 G. Chiarante, Tra De Gasperi e Togliatti, cit., p. 108.693Si è iniziato a Firenze il Congresso Giovanile DC, in «Il Popolo», 11 giugno 1955.694Fervida vitalità dei Gruppi giovanili DC, in «Il Popolo», 12 giugno 1955.

276

una scelta politica, il loro è stato un atteggiamento consapevole, acerbamente

critico, contro l'attuale stato di cose»695. Conclude, infine, con un richiamo alla

Resistenza che, a suo avviso, «non può essere utilizzata polemicamente per

alimentare le tensioni sociali», «per difendere o avversare un governo»696.

Durante il VII Congresso provinciale del 20 marzo 1955 dei Gruppi giovanili

reggiani d'altronde aveva già anticipato la sua presa di posizione in tal senso:

Si conclude un'esperienza, e si debbono gettare le basi per un nuovo

tipo di lavoro […] il 7 giugno, mettendo in crisi il centrismo

degasperiano, ponendo ai politici il problema delle alternative,

convinse i giovani che l'involuzione democratica sarebbe stata

scongiurata nella misura in cui si stabilisse una linea di sviluppo

attorno alla quale coagulare tutte le forze socialiste […] Da allora

parecchi avvenimento hanno reso più chiara o più confusa la

situazione politica […] ma una cosa diventava presto definitiva: la

volontà della Dc di chiudere la questione delle alternative, pur

riconoscendo le insufficienze del centrismo a risolvere in modo

omogeneo e soddisfacente i problemi del Paese. Questo è il risultato

equivoco e nello stesso tempo positivo del congresso di Napoli. La

sua sostanziale positività sta nell'impegno a chiarire le

contraddizioni interne del Partito per dar vita ad una linea politica

omogenea al mondo cattolico ed al sistema democratico. Però al

Congresso di Napoli il numero notevole di giovani presenti come

delegati dimostrava che in realtà il Movimento giovanile non esiste

più; aveva compiuto il suo definitivo atto di crescita fondendosi col

Partito. A Napoli […] si è esaurita la funzione nel campo giovanile,

di una generazione che ivi consumava la sua esperienza su basi

dossettiane697.

695C. De Stefanis, La gioventù democristiana, cit., p. 342.696Ibidem.697ADCRE, busta Delegazione Boiardi e il reggente Fangareggi, VII Congresso provinciale

dei Gruppi giovanili (s.d).

277

A determinare chi sarebbe stato il nuovo delegato nazionale saranno,

però, soprattutto le manovre della segreteria, e personalmente di Mariano

Rumor, che condizioneranno in modo decisivo le scelte di molti delegati

provinciali. La vittoria di Laura è, infatti, una vittoria di misura: 42 voti contro

37 a Boiardi698. Secondo Chiarante «va notato – per capire il contesto in cui si

svolgeva il convegno – che la candidatura di Laura era stata firmata da 46

delegati, quella di Boiardi solo da 26. Nel segreto dell'urna c'era dunque stato

un notevole spostamento a favore del candidato della sinistra. Ai fini dell'esito

del voto furono inoltre considerate valide numerose schede con il nome di

Laura che in realtà sarebbero state più che contestabili perché recavano palesi

segni di riconoscimento»699.

Ancora diversi anni dopo, Boiardi, in una testimonianza del 1983 sulla

sua mancata elezione, così si esprime a proposito del clima in cui si tenne quel

convegno nazionale e delle pressioni che ne determinarono il risultato:

Fanfani aveva spedito a Firenze, con ordini precisi, il solito Rumor.

Convocato in disparte Rumor mi chiedeva cosa avrei desiderato in

698Si legga sui risultati del Convegno di Firenze anche la ricostruzione che ne fa «Incontri oggi»: «Il gruppo direzionale guidato da Malfatti, da parte sua, ha avuto l'abilità di proporre come tema politico principale l'apertura a sinistra che è stata presentata sia dal relatore Sarti sia da Malfatti come una esigenza nobile e giusta ma non accettabile sul piano della pratica attuazione che con molte (troppe) riserve. Il Partito Socialista e più ancora i giovani socialisti non sarebbero maturi per il dialogo, secondo Malfatti. E questo per un verso, perché dall'altro tale dialogo rappresenterebbe per le masse cattoliche ancora uno “spirito eversivo” difficilmente controllabile». A queste pregiudiziali anticomuniste gli esponenti della minoranza «hanno risposto sostenendo la necessità di iniziare subito il dialogo organizzando come del resto era già avvenuto in molte città, dei dibattiti e degli incontri con i giovani socialisti» ma, benché la loro tattica sia stata abbastanza prudente, essi non riuscirono a far eleggere Boiardi, e «ciò demoralizzò particolarmente la parte più avanzata dei GG, che non riportava nella propria provincia neppure il ricordo di una generosa battaglia perduta con onore»; cfr. Cronache dalla “terza generazione”, in «Incontri oggi», a.III, n.1, novembre 1955.

699 G. Chiarante, Tra De Gasperi e Togliatti, cit., p. 109. Il congresso è anche descritto in G. Galli, Storia della D.C., cit., p. 176.

278

cambio della rinuncia alla candidatura, dicendosi garante delle più

ampie concessioni. C'ero rimasto male: era un mercato

inaccettabile […] dopo due giorni, allo spoglio delle schede,

risultava che ero andato in minoranza […] le schede segnate, per

riconoscere i votanti, sui quali Rumor aveva agito con lusinghe o

con ricatti, erano più di quindici. E c'erano stati altri brogli. Se ne

parla ancora, sorridendo, con alcuni delegati provinciali coi quali

qualche volta mi incontro. Il tempo garantisce, sul piano politico,

tutte le impunità. Del resto, pur essendo stato messo a conoscenza

subito delle più scoperte irregolarità, non potevo certo impugnare i

risultati. Ne sarebbe derivato uno scandalo di proporzioni nazionali

[…] Mi aveva tuttavia turbato il primo incontro della lotta senza

scrupoli che, per me in modo inatteso e sorprendente, era in atto nel

partito, fino al punto di sconvolgere le regole democratiche700.

4.3 Il gruppo basista del Movimento giovanile da Colombaia a Helsinki

Il gruppo basista del Movimento giovanile, nonostante la sconfitta

fiorentina, continua la propria battaglia. La distanza che ormai li separa da

Fanfani era risultata maggiormente evidente a tutti nell'aprile, in occasione delle

celebrazioni del decennale della Resistenza. Il Movimento giovanile celebra la

Liberazione il 25 aprile con un incontro nazionale a Reggio Emilia, alla

presenza di circa 15 mila giovani701, in cui il discorso principale viene tenuto il

giorno precedente proprio da Fanfani. Il leader aretino delude molti dei giovani

presenti, passando sotto silenzio la Resistenza e occupandosi solo delle

700 F. Boiardi, Quando uscii dalla DC, in «L'Almanacco», 3/1983, p. 72. Lo statuto del movimento giovanile prevedeva infatti l'elezione del delegato nazionale da parte dei delegati provinciali, indipendentemente dal numero degli iscritti alle varie organizzazioni. Il voto era dunque limitato a una base molto ristretta e facilmente manipolabile.

701Il dato è riportato in De Stefanis, La gioventù democristiana, cit., p. 341.

279

«realizzazioni» della Dc702. Annota Rumor nel proprio diario:

Il Segretario ebbe un'idea a mio avviso non felice: decise di

collocare la celebrazione nazionale a Reggio Emilia. Forse pensava

di sfidare in una loro roccaforte i comunisti, forse pensava di

ricollegarsi alla immagine resistenziale di Dossetti […] Ma il clima

non era fervido come speravo […] come prese la parola, spuntò

sotto il palco un cartello con scritto vi solo un nome: «Dossetti!»

che suonava manifestamente come un momento polemico e

provocatorio. Vidi che Fanfani se ne irritò, vi alluse con una battuta

di esaltazione di Don Giuseppe, ma credo che la sorpresa influì sul

discorso piuttosto abborracciato, teso a sottolineare temi di attualità

in cui la celebrazione della Resistenza entrava con una certa fatica

e senza soverchio calore. Partii da Reggio Emilia amareggiato: ero

convinto che si era sciupata un'occasione per ripristinare

l'immagine resistenziale della Democrazia cristiana703.

Per Ermes Grappi, segretario reggiano della Fgci, invece, la scelta di

Fanfani era stata dettata proprio dalla vivacità dei fermenti fra i giovani cattolici

e dalla volontà sua e della direzione di reprimere le correnti dissidenti che essi

animano: «la manifestazione nazionale dei giovani Dc […] ci ha fornito

l'occasione di scorgere l'abisso che separa Fanfani dai giovani Dc soprattutto

nella interpretazione e nella fedeltà alla Resistenza»704. 702Sembra qui di rileggere le annotazioni fatte da Enrico Mattei, rappresentante della Dc nel

Corpo volontari della Libertà, durante il primo congresso della Dc a Roma, il 24 aprile 1946. In tale occasione, dopo aver ricordato il significato e il consistente apporto dei cattolici alla lotta antifascista, si era lamentato della scarsa attenzione dimostrata dal partito e dal mondo cattolico verso quelle importanti pagine della sua origine. Di fatto la sua relazione non venne edita negli atti di quel congresso e soltanto nel 1976 venne pubblicata; tale vicenda è riportata in S. Tramontin, I cattolici e la Resistenza, in «Storia contemporanea», 1(1996), p. 63.

703M. Rumor, Memorie (1943-1970), a cura di E. Reato e F. Malgeri, Neri Pozza,Vicenza 1991, pp. 231-232.

704APCIRE, Verbale della riunione del comitato federale tenuta il 30/04/1955, intervento di Ermes Grappi. Si leggano, a proposito, anche le dichiarazioni di Berlinguer di circa sei mesi prima: «I militanti del movimento giovanile democristiano si sono conquistati nel

280

Nota polemicamente «Prospettive» che

Un vivo interesse hanno suscitato negli osservatori politici e nella

stampa sia di partito che indipendente i due discorsi pronunciati

dall'on. Fanfani il 23 e il 24 aprile rispettivamente a Palermo e a

Reggio Emilia […] apparse a molti commentatori politici come

mondo giovanile italiano fama non illegittima per lacune loro doti e qualità. […] Si deve dare atto ai giovani democristiani dello sforzo di serietà attraverso il quale sono pervenuti ad individuare, studiare ed approfondire alcuni grandi e decisivi problemi della nostra vita nazionale, dell'acutezza delle loro analisi sulla storia recente dell'Italia (fascismo e Resistenza), del loro conseguente atteggiamento di insofferenza verso la demagogia, la superficialità, la faciloneria di chi crede di risolvere questioni oggettive gravi e complesse con qualche formuletta di propaganda. […] Ecco un primo e non marginale aspetto di quella che abbiamo definito una incompatibilità di costume tra l'on. Fanfani ed il movimento giovanile del suo partito. […] Il giudizio che la nuova generazione democristiana è pervenuta ad esprimere sul significato storico e sulla natura politica e sociale del fenomeno fascista è senza dubbio un giudizio serio e notevolmente vicino, nella sostanza, a quello espresso dalle rappresentanza qualificate del movimento operaio italiano. […] Evidente è nei giovani democristiani l'attaccamento anche sentimentale alla Resistenza […] Note sono anche le posizioni di aperta avversione dei giovani democristiani verso ogni patto politico con le forze monarchiche e fasciste, la forte campagna condotta su questo tema dopo l'episodio di Castellammare, le polemiche con Togni e con la destra democristiana. […] Un movimento giovanile è concepibile per Fanfani soltanto sul piano del galoppinaggio, soltanto se ridotto a mero strumento attivistico del Partito, non più come forza di elaborazione e di iniziativa politica autonoma»; cfr. E. Berlinguer, Amintore Fanfani e i giovani democristiani, in «Incontri oggi», n.11-12, novembre-dicembre 1954, pp.5-10. Si legga, d'altronde, ciò che notava il segretario provinciale del Pci di Reggio Emilia: «Il processo di formazione di nuovi orientamenti fra i cattolici, acceleratosi dopo il 7 giugno scorso, ha raggiunto nella provincia di Reggio Emilia (sia per l'ampiezza e la vivacità del dibattito e, soprattutto, per i risultati concreti sul terreno delle iniziative unitarie di massa) un largo schieramento di forze che va dai d.c. ai comunisti, da quale molti anni non si verificava. […] Il centro del dibattito e delle iniziative si manifesta nel campo dei giovani cattolici […] Rifiutano, ribattendole vivacemente, le tesi reazionarie e sanfediste, mentre aderiscono e prendono parte attiva alle iniziative unitarie per le manifestazioni celebrative del «Decennale della Resistenza» e sottoscrivono, insieme ai giovani europeisti, socialisti e comunisti, un documento col quale si impegnano a celebrare quelle ricorrenze e si recano, sempre insieme agli altri giovani, in pellegrinaggio per rendere omaggio a Cervi, in occasione del decimo anniversario del barbaro eccidio dei suoi sette eroici figli […] Gli attuali fermenti che si manifestano tra i giovani cattolici di Reggio non sono certamente estranei alla influenza di Dossetti. […] I primi a reagire sono stati i campioni della destra estrema della D.C. reggiana. Questi hanno cercato di porsi sul piano paternalistico, giudicando l'atteggiamento dei giovani come una specie di «mal giovanile» che essi stessi avevano passato a loro volta e li consigliavano a rimanere più calmi e ad agitarsi di meno […] Preoccupate per l'ampiezza del movimento, le alte gerarchie della diocesi hanno deciso

281

l'espressione più scoperta della volontà di Fanfani di portare la

Democrazia Cristiana a riconquistare la maggioranza assoluta in

Parlamento […] Esiste però un altro aspetto della questione che ci

pare più importante e su cui vorremmo richiamare l'attenzione di

tutti gli amici. Ci sembra cioè che sussista oggi il pericolo concreto

di tendere in anticipo tutte le energie del partito verso una grande

vittoria elettorale […] e di sottovalutare correlativamente la

possibilità di promuovere entro l'ambito dell'attuale legislatura

un'azione parlamentare e governativa più aperta e costruttiva di

quella che si è potuto svolgere sinora. […] la ricerca di nuove

alleanze che consentano di uscire dalle secche in cui la politica

italiana si è andata arenando comporta notevoli rischi, e può perciò

sembrare più facile giudicare senz'altro in modo negativo l'attuale

composizione parlamentare e rivolgere tutte le speranze alla

prossima legislatura705.

Due mesi dopo quel 25 aprile e due settimane dopo il Convegno di

Firenze che li aveva visti uscire sconfitti, Boiardi, Chiarante e Zappulli fra il 22

e il 29 giugno 1955 si recano a Helsinki in Finlandia, al Congresso mondiale dei

Partigiani della pace, svolto sul tema La costruzione dell'Europa e il disarmo

atomico generale706; pur non essendo un'emanazione diretta dei partiti

comunisti, la partecipazione all'iniziativa stava a indicare senza dubbio un

atteggiamento di disponibilità a un aperto dialogo con tale area politica. A

Helsinki sono presenti infatti fra gli oltre cento italiani anche dirigenti di

di intervenire con tutto il loro peso e con estrema violenza per stroncare in modo deciso ogni fermento»; cfr. O. Boni, Forze cattoliche alla ricerca di nuovi orientamenti nella provincia di Reggio Emilia, in «Rinascita», a.10, n.3, marzo 1954.

705L'on. Fanfani e le elezioni generali, in «Prospettive», 10 maggio 1955.706G. Tassani, La terza generazione, cit., p. 281. L'opuscolo citato dall'autore riporta il

messaggio a Helsinki di Pietro Nenni e i testi degli interventi dei delegati italiani: Sereni, Zappulli, Franco Antonicelli, Ugo Bartesaghi, don Andrea Gaggero, nonché i testi delle sette commissioni di lavoro internazionali. Sull'argomento si legga anche S. Cerrai, I partigiani della pace. Tra utopia e sogno egemonico, Libreria Universitaria, Padova 2011.

282

primissimo piano del Pci come Giuliano Pajetta, Emilio Sereni, Armando

Cossutta, Luciano Barca707. Con Boiardi, Chiarante e Zappulli è presente anche

Ugo Bartesaghi, che aveva abbandonato la Dc dopo il dissenso espresso in

Parlamento, alla fine del 1954, sull'adesione dell'Italia al trattato politico-

militare che istituiva l'Unione europea occidentale. Ricorda Boiardi:

Sia pure come osservatori, a Helsinki avevamo preparato un

intervento (letto in aula da Zappulli) con forti rilevazioni critiche,

ma aperto a una corretta valutazione dei temi all'ordine del giorno.

Era stato un successo, anche se non avevamo certo mascherato i

dissensi. L'intervento, tradotto simultaneamente in molte lingue,

era stato, da noi tre, molto curato, perché non volevamo che si

prestasse a false interpretazioni […] la traduzione in francese, nel

corso di una lunga notte «bianca», era stata di Franco Fortini

(presente con noi al congresso), la traduzione in russo di Ilija

Ehremburg, in tedesco di Huwe Johnsonn e in arabo di Emilio

Sereni708.

707ADCIS, Dn, s.23 f. 276, “Assemblea mondiale della pace” - Helsinki – (Finlandia) – 22-29 giugno 1955. Il nome di Sereni rimane strettamente legato al suo impegno a sostegno della cosiddetta «lotta per la pace» portata avanti dai Partigiani della pace. A dispetto del suo appassionato impegno il movimento era comunque ormai entrato nella fase del suo declino, che non sarebbe stato fermato né dal Congresso dei Popoli per la Pace, tenutosi a Vienna nel 1952, né dall'assemblea di Helsinki; così G. Vecchio, Emilio Sereni, comunista. Note per una biografia, in E. Bernardi (a cura di), Emilio Sereni. Lettere (1945-1956), Rubbettino, Soveria Mannelli 2011, pp. 406-411.

708F. Boiardi, Quando uscii dalla DC, in «L'Almanacco», cit., p.72. Emilio Sereni ebbe un ruolo predominante entro il movimento dei Partigiani della Pace fin dal Congresso di Bratislava del 1948, creando non pochi problemi all'interno della DC. Cfr. G. Vecchio, Pacifisti e obiettori nell'Italia di De Gasperi, cit., p. 66. Scriverà poi Boiardi nel 1986 su Huwe Johnson: «Aveva lavorato con me per una notte alla traduzione in tedesco di un mio testo, eravamo diventati amici in quelle notti bianche di fine giugno che si trascorrevano lungo le strade, ai margini di boschi e laghi che lambivano la città; non mi aspettavo che dalle sua mani un capolavoro come le “Congetture”, un punto d'arrivo eccezionale del gusto del romanzo mitteleuropeo»; cfr. V. Caruso, Speranze di Pace. Scritti di politica internazionale. Introduzione di Ciriaco de Mita, Franco Boiardi, Salvatore Fangareggi, Analisi, Bologna 1986, p. 18.

283

La delegazione italiana è tenuta sotto vigilissima osservazione dalla

Direzione nazionale della Dc. In un documento catalogato come «strettamente

riservato» e ad essa inviato, fitte pagine sono dedicate alle biografie e alle

carriere politiche e professionali degli italiani a Helsinki, a qualsiasi partito

appartengano: un ampio dossier è dedicato a Bartesaghi e alle sue attività

propagandistiche. È lui, secondo l'autore del documento, con il contributo di

don Andrea Gaggero, ad aver «circuito» Boiardi, Chiarante e soprattutto

Zappulli, che «ora è pieno di furore sovietico», il quale discorso durante

l'Assemblea era stato «preventivamente revisionato da Bartesaghi e Pajetta»709.

Il 2 luglio la Direzione affronta il caso del viaggio in Finlandia dei

democristiani. Per Fanfani è giunto il momento di «passare da enunciati

teologici e morali ad azioni concrete. Non si può minimizzare […] Anche

quando li mandiamo come giornalisti siamo noi i responsabili, sono in mala

fede e si nascondono dietro il nascondiglio del giornalismo». Per Ceschi «non si

può continuare ad essere deboli» e i democristiani ad Helsinki sono «gente di

poca fede, scettica e disorientata»; Magrì conclude sostenendo che «ci sono

nostri giovani per i quali il comunismo è l'avvenire; abbiamo il dovere di

coscienza di essere energici, perché non possiamo favorire il dilagare di simili

impostazioni»710. Il giorno seguente l'Assemblea di Helsinki è ancora al centro

del dibattito in Direzione. Fanfani è categorico: «non si deve favorire la

permanenza o l'immissione di elementi nocivi al Partito». Per Zaccagnini

«queste manifestazioni sono possibili perché grande è il disorientamento.

Dobbiamo in Direzione fare un ampio esame politico. Per difendere il Partito si

possono adottare anche le più drastiche decisioni però bisogna dire esattamente

le nostre linee politiche, riaprire il discorso politico del Partito dall'interno».

709ADCIS, Dn, s.23 f. 276, “Assemblea mondiale della pace” - Helsinki – (Finlandia) – 22-29 giugno 1955.

710ADCIS, Dn, s.23 f. 277, Verbale della riunione della Direzione nazionale del 2 luglio 1955.

284

Zaccagnini «ritiene largamente recuperabili molti amici chiarendoci

ideologicamente e politicamente attraverso un'ampia discussione». Fanfani, in

conclusione, è ancora più categorico: «Siamo di fronte a un gruppo dirigente in

mala fede»711.

Ma nonostante l'atteggiamento assai prudente dal gruppo basista, al loro

ritorno in Italia le reazioni saranno anche più aspre di quelle previste e temute.

Il 10 novembre 1954, come si diceva, era uscito il primo numero di

«Prospettive» e nei suoi 13 numeri usciti fino al luglio '55 la rivista desterà

parecchie preoccupazioni, prima fra tutte quella dell'arcivescovo di Milano

Giovanni Battista Montini712. «Prospettive» dunque attirerà negativamente su di

sé l'attenzione in più occasioni; una, in particolare, porterà a conseguenze che

qui ci interessano. Il 26 marzo 1955, nell'osteria «Vezzosi» di Colombaia di

Secchia, una frazione di Carpineti nel reggiano, il segretario della sezione della

Dc di Casina Afro Rossi e il presidente degli uomini di Azione cattolica di

Casina Giovanni Munarini rimangono uccisi da alcuni colpi di fucile esplosi in

direzione dei partecipanti ad una cena celebrativa della vittoria riportata dalla

lista «bonomiana» nell'elezione per il Consiglio per la mutua dei coltivatori

diretti713. Rimangono gravemente feriti Gianpio Longagnani, segretario della Dc

di Vezzano, e Umberto Gandini, rappresentante del Pli di Carpineti. La stampa

nazionale mette immediatamente in risalto la vicenda714 e pure «L'Osservatore

711ADCIS, Dn, s.23 f. 278, Verbale della riunione della Direzione nazionale del 3 luglio 1955.712A suo giudizio «meritavano attenta sorveglianza» i periodici de La Base, «Adesso» di don

Primo Mazzolari e il «Dibattito politico» di Mario Melloni e Ugo Bartesaghi poiché «potevano disorientare i fedeli e in particolar modo i giovani e i sacerdoti»; cfr. E Versace, Montini e l'apertura a sinistra. Il falso mito del “vescovo progressista”, Guerini e Associati, Milano 2007, p. 90.

713Sui fatti di Colombaia mi permetto di rimandare ad A. Montanari, 1955. Cattolici e comunisti a Reggio Emilia: la tragedia di Colombaia di Secchia, in «RS-Ricerche Storiche», 121/2016, pp. 47-55.

714 Si veda, ad esempio Due democristiani uccisi a fucilate durante lo svolgimento di una festa, in «Il Messaggero», 28 marzo 1955; Una criminale sparatoria provoca due morti nel borgo di Colombaia di Secchia in provincia di Reggio E., in «l'Unità», 28 marzo 1955; Grave attentato politico in un paese del reggiano, in «il Resto del Carlino», 27 marzo

285

Romano» dedica ampio spazio al «sanguinoso episodio della lotta politica»715.

«Il Popolo» non ha dubbi: l'aggressione ai democristiani di Colombaia è stata

premeditata.

Era un segno di volontà quello dei contadini della frazione di

Colombaia, particolarmente indicativo perché espresso in una zona

dove sembrava ormai acquisito il monopolio dell'intolleranza

faziosa. […] Per quanto edotti della persistente faziosità di talune

situazioni locali si stenta a credere che, dopo dieci anni di civili

competizioni democratiche, dei lavoratori possano essere colpiti

per il solo fatto di professare una convinzione e di porsi al servizio

del Paese. […] Che l'aggressione freddamente premeditata sia

avvenuta senza il più lontano pretesto lo dimostra il modo con cui

essa è stata compiuta: gli assassini protetti dall'ombra della sera

hanno puntato i fucili contro i contadini, sparando all'impazzata sul

gruppo riunito»716.

La conclusione a cui si giunge, nonostante il colpevole non sia ancora

stato identificato, è che si tratti di omicidi «politici». Il 28 marzo, ai funerali

delle vittime partecipano esponenti locali e nazionali della Dc e delle gerarchie

ecclesiastiche: il vescovo Socche, il segretario provinciale della Dc Corghi, il

vice-segretario nazionale della Dc Rumor, Paolo Bonomi presidente della

Coldiretti, oltre a sottosegretari e rappresentanti nazionali delle Acli, della Cisl,

1955; Due democristiani assassinati in una trattoria del Reggiano, in «Nuova Stampa Sera», 28-29 marzo 1955. Ricorda Danilo Morini: «Il fatto suscitò clamore nazionale: tutti i quotidiani nazionali inviarono importanti giornalisti a seguire il caso; ricordo Mario Cervi del Corriere della Sera e Gigi Ghibutti de La Stampa. Da Roma venne inviato un alto dirigente della Polizia di Stato, il questore Agnesina»; cfr. D. Morini, Franco Boiardi e il movimento giovanile DC a Reggio Emilia, in Franco Boiardi, un intellettuale scomodo, Comune di Reggio Emilia, Reggio Emilia 2012, p. 38.

715Sanguinoso episodio della lotta politica in Romagna, in «L'Osservatore Romano», 28-29 marzo 1955.

716La suprema testimonianza, in «Il Popolo», 28 marzo 1955.

286

di Confindustria e di altri partiti717.

Il 1° aprile l'assassino ha finalmente un nome e un volto: il reo-confesso

è Guerrino Costi, un mezzadro ed ex partigiano, iscritto al federazione locale

del Pci. Nella sua abitazione viene trovata l'arma del delitto, un fucile inglese

residuato di guerra. A questo punto la campagna stampa a livello nazionale si fa

violentissima: «La responsabilità morale grava sul Pci»718 sintetizza la diocesi di

Reggio; la «Gazzetta di Reggio» ipotizza «eventuali connivenze»719; «La

propaganda rossa in provincia di Reggio Emilia ha creato il clima per il duplice

omicidio» scrive «Il Messaggero»720. «Il Popolo di Milano» sostiene che

Guerrino Costi, che con fredda determinazione e premeditazione ha

consumato la strage orrenda, riaprendo il capitolo sanguinoso dei

delitti politici in cui ormai tanto sangue innocente è stato versato

[…] è ormai nel fondo agghiacciante della sua criminalità […]

L'ideologia totalitaria arma la mano dei sicari e l'attività

antireligiosa fa dell'uomo una belva contro il fratello […] Perché

ha sparato? Il Costi ha nettamente affermato: «Ce l'avevo col prete

e coi democristiani che, tramite i signori ed il parroco, volevano

aprire a Colombaia una sezione della Democrazia cristiana»721.

A quel punto, anche «Prospettive» si inserisce nel dibattito. «Non ci si

illuda – avevano già i redattori scritto nel febbraio – perciò di costringerci a

sacrificare il nostro impegno di democratici e di antifascisti col cercar di ridurre

tutta la politica italiana all'alternativa fra comunismo e anticomunismo […]

717 Per l'elenco completo dei partecipanti si veda Il Tricolore sulle bare, in «La Libertà», 3 aprile 1955.

718 Il comunista Costi ha ucciso per odio, in «La Libertà», 10 aprile 1955.719 L'ex partigiano comunista Guerrino Costi è l'autore dell'assassinio di Colombaia, in «La

Gazzetta di Reggio», 1 aprile 1955.720La propaganda rossa ha creato a Reggio Emilia il clima per il duplice omicidio, in «Il

Messaggero», 4 aprile 1955. 721 L'assassino di Colombaia ha confessato ieri, in «Il Popolo di Milano», 2 aprile 1955.

287

Anzi, di fronte alla prospettiva di una reviviscenza fascista, sotto qualunque

forma si presenti, noi siamo pronti – e con noi ogni vero democratico – a

riprendere la lotta accanto a coloro a fianco dei quali abbiamo già combattuto

dieci anni fa. Chi ha orecchio per intendere intenda»722. Avevano continuato

nello stesso numero i redattori: «È tempo, per il bene generale, di incominciare

a considerare i comunisti non già come gli emissari del demonio, contro i quali

bisogna schierarsi anche quando le loro proposte sono giuste, ma come una

forza politica con cui, pur dissentendo circa le mete finali, è possibile giungere

ad una proficua collaborazione in ordine ai singoli problemi»723.

Le ire di Fanfani per tali articoli si erano scatenate nella riunione di

Direzione: i redattori di «Prospettive» sono «infiltrati al soldo del Pci» e

«democristiani ancora per poco»724.

In un articolo non firmato riguardante Colombaia, la cui paternità è

attribuibile allo stesso Boiardi725 o di Capua726, viene fatto notare come

non risultano essere molti coloro che hanno saputo trarre

insegnamento dagli eventi. Infatti, è stata montata tutta una

campagna di stampa, avvelenata dall'odio inculcato negli anni

precedenti, che ha seguito quella o quell'altra direzione, ma, che in

sostanza, riducendo tutta la propria azione ad un'opera di

discriminazione tra coloro che avevano in tasca una tessera di un

colore e quelli che l'avevano di un altro […] La stampa

«indipendente» si è lanciata contro il «terrorismo rosso» per una

condanna del «ritorno del mitra» come arma di conquista, facendo

di comunisti, socialisti, democratici, partigiani tutto un fascio di

722Una china pericolosa, in «La Base», n.2, 10 febbraio 1955. 723Andreotti contro l'immobilismo, in «Prospettive»,10 febbraio 1955.724 ASILS, Dc, Dn, s.31, f.23, Verbale della riunione del 14 febbraio 1955.725F. Boiardi, Quando uscii dalla DC, in «L'Almanacco», cit., p.73.726FFB, Intervista a Giovanni Di Capua, (s.d.), p. 6. Anche in G. Baget-Bozzo, Il partito

cristiano e l'apertura a sinistra, cit., p. 55, l'autore sostiene che «è notorio che l'autore del pezzo incriminato su Colombaia sia Giovanni Di Capua».

288

«delinquenti», di «terroristi» […] Il grande schieramento

anticomunista che si è creato attorno all'episodio non si risolve a

favore della parte cui i caduti od i feriti appartenevano, ma a favore

di quella borghesia agraria che detiene praticamente le leve

economiche della regione e quotidianamente minaccia le istituzioni

democratiche faticosamente conquistate727.

Nel numero successivo di «Prospettive», una lettera al direttore

sottolinea come «l'episodio di Colombaia è talmente lontano oggi dalla nostra

attenzione che sarebbe giustificato non parlarne più» ma purtroppo «l'on.

Fanfani con scarso buon gusto» continua a farne «elemento di fondo dei suoi

discorsi di celebrazione del decennale della Resistenza». Rivolgersi all'intera

Direzione del Pci come reali mandanti degli omicidi è una «infantile accusa»:

se poi si volesse ancora insistere su questo tasto sostenendo che

l'assassino di Colombaia è l'ultima conseguenza della «politica di

odio seminato dai comunisti in Emilia» nei primi anni della

liberazione, non possiamo non rilevare come questa sia un'arma a

doppio taglio qualora si consideri lo stato di tensione e di aperti

contrasti che si è creato di nuovo nelle campagne per la

preparazione e lo svolgimento delle elezioni per le Casse Mutue

sotto la regia dei Coltivatori Diretti che, essendo una

organizzazione di parte, non raccoglie certo plebiscitari consensi

malgrado i risultati di dette elezioni non certo chiare in tutti i loro

punti728.

Gli articoli provocano immediatamente l'intervento irato del vescovo di

Reggio. Su «La Libertà» Beniamino Socche scrive che

727Ritorno di violenza a Colombaia di Carpineti, in «Prospettive», 20 aprile 1955.728Ancora su Colombaia, in «Prospettive», 10 maggio 1955.

289

ci sono nella nostra Italia associazioni, uomini a Dio consacrati,

fedeli e cosiddetti anche apostoli di azione, i quali vanno

insegnando che noi dobbiamo rimanere passivi e solo in posizione

di difesa […] chi, per amore del quieto vivere, non combatte così

l'errore, non è altro che un vile traditore, chiunque sia e qualunque

posto occupi, e qualunque associazione, comunità, azione,

movimenti, giornale o periodico diriga […] Guai a voi scribi e

farisei ipocriti... perché siete simili ai sepolcri imbiancati...e di

dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità... Guai a voi scribi e

farisei ipocriti...serpenti, razza di vipere, come sfuggirete al

giudizio della Geenna? (Matt. 23-8-39)729.

Don Wilson Pignagnoli, direttore del settimanale, sullo stesso numero, è

assai più circostanziato: «L'articolo di «Prospettive» offende profondamente

quei cattolici che hanno manifestato la loro esecrazione per il vile attentato di

Colombaia e che in questo scritto anonimo vengono dipinti come «rissosi» e

«criminali» […] Mi dispiace che a scrivere queste cose sia stata una rivista che

è scritta da cattolici; mi spiace perché tutta la impostazione, la tecnica di

linguaggio e le idee sono prettamente marxiste»730.

Anche Umberto Gandini, iscritto al Pli e ferito durante i fatti di

Colombaia, scrive al settimanale diocesano accusando i redattori di

«Prospettive» di essere «comunisti in missione di infiltrazione, evidentemente

quanto grottescamente camuffati»731.

Il caso Colombaia finisce anche in Parlamento. Due interpellanze al

Presidente del Consiglio e al Ministro dell'Interno, una presentata dalla Dc a

firma Pasquale Marconi e una dal Pci a firma, tra i tanti, di Nilde Iotti,

chiedono, ovviamente da posizioni e considerazioni opposte, che venga fatta

729 Atteggiamenti pericolosi, in «La Libertà», 15 maggio 1955.730 È ora di smetterla!, in «La Libertà», 15 maggio 1955.731 U. Gandini, Sul delitto di Colombaia, in «La Libertà», 12 giugno 1955.

290

luce sulla vicenda di Colombaia e sul clima politico infuocato venutosi a creare

a Reggio Emilia732.

Se la posizione appena descritta sui fatti di Colombaia aveva

gravemente compromesso la situazione per i redattori di «Prospettive», la

partecipazione di alcuni di loro al convegno di Helsinki dovette apparire come

l'ennesima provocazione.

L'8 luglio 1955 si riunisce la direzione nazionale della Dc: principale

argomento di discussione è la nomina di 37 sottosegretari del neonato governo

Segni. È anche l'occasione propizia per energiche misure disciplinari.

Convinta che a rendere più efficace e chiara la propria azione la

Democrazia Cristiana deve svolgerla autonomamente, al di fuori di

ogni confusione e collusione con movimenti di altra ispirazione, la

Direzione ha deplorato la partecipazione non autorizzata degli

iscritti Umberto Zappulli, Franco Boiardi e Giuseppe Chiarante al

Congresso dei partigiani della pace di Helsinki e, tenuto conto del

732Marconi chiede «sapere se dopo la strage di Carpineti che si rivela come la conseguenza manifesta della propaganda comunista non ritenga di poter prendere o di dover proporre al Parlamento provvedimenti adeguati che servano a stroncare una attività più criminosa che politica e a soddisfare le legittime aspirazioni dei cittadini a un clima di tranquillità e sicurezza», cfr. ADCRE, busta Colombaia 1955, Testo di una interpellanza (s.d.). Il Pci «sulla situazione determinatasi nella provincia di Reggio Emilia, in seguito alla campagna di denigrazione e di calunnia che, partendo da un delittuoso caso di aberrazione individuale, tende ancora una volta a creare un clima di odio e di persecuzione nei confronti del movimento popolare, e per sapere se non ritenga di prendere provvedimenti adeguati a far cessare questa indegna speculazione che offende i sentimenti delle operose popolazioni emiliane», cfr. ADCRE, busta Colombaia 1955, La reazione dei comunisti (s.d.). Il Pci è comunque costretto ad accusare il colpo. Nella riunione del Comitato federale di Reggio Emilia del 22 aprile, infatti, il segretario Onder Boni deve ammettere che «la cosa è capitata nel momento opportuno per loro e nella zona in cui essi sono particolarmente attivi, dopo una lunga campagna di “preparazione degli animi” del vescovo e dei gerarchi d.c. L'avversario è riuscito a realizzare in parte alcuni suoi obiettivi. A bloccare, ad esempio, per alcune settimane la nostra attività, ad indebolire la campagna in difesa della pace, a stroncare i contatti, i colloqui e le iniziative unitarie. […] Dobbiamo riconoscere che i clericali una volta scatenata la campagna sanno continuarla», cfr. APCIRE, busta Verbali comitato federale 1955, Verbale della riunione del comitato federale, 30 aprile 1955.

291

diverso comportamento di ciascuno, ha deliberato di comminare la

sanzione disciplinare della sospensione dal Partito per dodici mesi

allo Zappulli, per mesi quattro al Boiardi e al Chiarante […] La

Direzione […] deve riconoscere che il periodico quindicinale

Prospettive edito a Milano è in contrasto con gli orientamenti e il

prestigio della Democrazia cristiana. Rilevando che il suo direttore

responsabile, Aristide Marchetti, è iscritto alla Democrazia

cristiana, ne ha deliberato l'espulsione dal partito e nel contempo ha

diffidato formalmente gli iscritti alla Democrazia cristiana dal

collaborare ulteriormente a tale periodico733.

Annota Luciano Dal Falco nel proprio diario l'8 luglio a proposito di

tale riunione:

Fanfani […] ha affrontato tutto il problema della disciplina interna

della DC. Ha detto che una nuova pagina si apre. Ha fatto il duro.

Ha parlato di Togni cui affidare un ufficio anticomunista. Ha detto

che lui difenderà la pelle degli italiani anche «con il mitra», se sarà

necessario, e che l'Italia non sarà mai consegnata al comunismo.

Ha mostrato una forte preoccupazione per gli sbandamenti

ideologici paracomunisti che serpeggiano nel nostro partito, specie

fra i giovani. Ha delineato orizzonti di «durezza anticomunista»

tali da essere considerato da noi della Direzione un capo violento e

deciso734.

Documenti americani, da poco resi pubblici, mostrano come

componenti cattoliche come «La Base» avessero provocato preoccupazioni

oltreoceano, tant'è vero che esponenti della sinistra democristiana e

733 Un'azione unitaria e concorde a sostegno del nuovo Governo, in «Il Popolo di Milano», 9 luglio 1955. Durante la stessa seduta vengono anche invitati i redattori del mensile «Forze sociali» a sospendere immediatamente le pubblicazioni.

734 L. Dal Falco, Diario politico di un democristiano, a cura di F. Malgeri, Rubbettino-Istituto Luigi Sturzo, Soveria Mannelli 2008, p. 259.

292

pubblicazioni come «Il ribelle e il conformista»735 e «Prospettive» venivano

tenuti sotto osservazione. La Cia e il Dipartimento di Stato individuavano infatti

in Fanfani il loro interlocutore in Italia, e su di lui molte furono le pressioni

dell'ambasciatrice Clare Boothe Luce perché procedesse con procedimenti

disciplinari e poi all'espulsione dei dissidenti dalla Dc736. La richiesta americana

di provvedimenti disciplinari era rivolta in particolare a Chiarante «del quale

l'ambasciata romana sottolineava a Washington la pericolosità sia per la politica

centrista sia per quella proatlantica, non solo a causa della sua visione

neutralista, ma specialmente per la sua appartenenza all'ala più estrema della

sinistra di Base, quella del gruppo di Bergamo, da sempre interessato al dialogo

col mondo comunista»737.

Il commento de «l'Avanti» sulle «sanzioni della direzione centrale

contro quei gruppi del partito che più tenacemente e più audacemente spingono

sulla strada della apertura a sinistra» è incredulo: «nessuno potrà credere che la

maggiore o minore ortodossia di una frase o di un articolo possa condurre alla

sconfessione di un pensiero e di un indirizzo largamente condivisi all'interno di

un partito»738.

Su «l'Unità», invece, si notano le «misure repressive dell'on. Fanfani»

contro una «protesta che sottolinea sia il carattere antidemocratico di quelle

735La nascita e lo sviluppo della rivista è in G. Chiarante, Tra De Gasperi e Togliatti, cit., pp. 95-100. Secondo l'autore si trattò del «punto massimo dell'influenza delle idee di sinistra tra i giovani Dc e – al di là di quello che fu il destino personale dei suoi promotori, che seguirono strade diverse – seminò stimoli e fermenti che non mancarono di riemergere nelle esperienze successive, sia nel periodo del primo centro-sinistra sia in quello del “compromesso storico” [...] Il titolo riprendeva nella prima parte («Il Ribelle») quello della rivista clandestina promossa dal partigiano cattolico bresciano Teresio Olivelli, ucciso dai tedeschi. La seconda parte («il Conformista») faceva invece riferimento alla palude del moderatismo cattolico e ai suoi inevitabili sbocchi conservatori – ma non mancava, naturalmente, anche un'allusione al famoso romanzo di Moravia, uscito da pochi anni».

736 D. Saresella, Cattolici a sinistra, Laterza, Bari-Roma 2012, p. 104.737A. Ballarin Denti, La strategia anticomunista americana e la sinistra dc durante la prima

amministrazione Eisenhower, in «Studi storici», luglio-settembre 2005, p. 690.738Il PSI al centro del dibattito, in «Avanti!», 16 luglio 1955.

293

misure sul piano interno di partito sia il loro significato politico più generale, in

concomitanza con gli orientamenti di Fanfani in favore della destra interna ed

esterna alla DC»739.

Anche dall'interno del Movimento giovanile si alza fortissima una voce

di protesta: Dorigo sul «Popolo del Veneto» scrive che «dopo le gravi

deliberazioni della Direzione i democratici cristiani attendono dai probiviri le

garanzie della libertà politica del partito»; si tratta, per Dorigo, di «un gesto

inatteso e ingiustificabile che, se eretto a sistema, trasformerebbe la D.C. in una

consorteria politica in cui domina incontrastata la legge della forza»740. Si

chiede ancora Dorigo:

è questa la democrazia? Non mette conto sottolineare la personalità

democratica di Aristide Marchetti, direttore di «Prospettive»,

sindaco di Laveno Mondello (un Comune strappato alle sinistre),

eroico partigiano, vecchio militante del partito, che ha letto sui

giornali, fra gli sghignazzi della stampa fascista, la propria inopinata

espulsione. […] Non ricorda l'on. Fanfani di essersi servito degli

organizzatissimi novantamila voti de «La Base» per imporre il

sistema maggioritario e per vincere il Congresso741?

Uggeri su «Il Popolo lombardo» nota invece che

si è tirato in ballo, ad esempio, e come argomento fondamentale, il

tema dell'unità del partito. Ma sembra che con le misure

disciplinari questo obiettivo debba essere perseguito? A parte il

fatto che su questo terreno gran parte dei leader della D.C.

compreso il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto essere

espulsa dal Partito. Anzi è più facile che l'effetto ottenuto sia quello

739Duro attacco dei partigiani d.c. a Fanfani, in «l'Unità», 16 luglio 1955.740Dopo le gravi deliberazioni della Direzione, in «Il Popolo del Veneto», 15 luglio 1955.741W. Dorigo, La voce del diritto, in «Il Popolo del Veneto», 15 luglio 1955.

294

di esasperare le parti, che le sanzioni vengano adottate sotto

l'impulso di improvvise reazioni e perciò appaiono dettate da

manie di potenza e di comando742.

Galloni e Ripamonti, consiglieri nazionali eletti nella lista della Base,

scrivono immediatamente a Fanfani che

Il drastico provvedimento di diffida preso dalla Direzione della D.C.

uscita dalla maggioranza del Congresso di Napoli nei confronti di

“Prospettive” e la espulsione del suo direttore mostrano chiaramente

che l'attuale linea politica di tale maggioranza diverge da quella

concordata in sede congressuale e pertanto i consiglieri nazionali

della “Base” prendono atto della nuova situazione; per cui ritengono

di non poter fare ulteriormente parte del gruppo della maggioranza

consigliare743.

Anche nella riunione della Direzione del 19 luglio viene trattato il “caso

Prospettive”. In questa occasione Zoli «non ritiene che la Direzione possa

adottare provvedimenti disciplinari nei confronti di un consigliere nazionale»;

Fanfani difende le proprie scelte e pensa infatti «che non si tratti di problemi

disciplinari, ma di tutela e difesa del Partito […] Marchetti e i suoi collaboratori

lavorano per un Ente che dipende dallo Stato ma fa politica contro la DC. […]

Ci sono organi pagati dal Partito che anche nell'occasione hanno letteralmente

vomitato contro il Partito (Popolo Veneto, Popolo Lombardo). Non possiamo

ammettere che coi denari del partito ci si serva contro il Partito»; Gui obietta

che «se il Collegio dei Probiviri fosse stato presente […] avrebbe forse

sollevato qualche obiezione anche sulla tempistica e sugli articoli su Oggi di

742I. Uggeri, Prospettive nazionali del “caso Marchetti”, in «Il Popolo lombardo», 16 luglio 1955.

743ASILS, Dc, Dn, s.24, f.282, Verbale della riunione del 19 luglio 1955.

295

Andreotti»; per Magrì «la confusione nel nostro campo è notevole e l'opinione

pubblica ci guarda con disorientamento. […] Si tratta di minoranze sparute che

vanno individuate e colpite»; Zaccagnini nota come «abbiamo ereditato un

partito in vera anarchia»; conclude Fanfani sostenendo che «i direttori di tutti i

giornali periferici ufficiali dovranno essere nominati dalla direzione»744.

Con il 1955, e i fatti fin qui analizzati, si chiude l'eredità della terza

generazione e inizia la ricerca di uno spazio che, quasi privo di autonomia ed in

frequente conflitto con la dirigenza emersa dal Congresso di Napoli, punti a

potenziare il contatto con le periferie e con le forze che cooperano alla difesa

dello Stato democratico. Prenderà corpo nei giovani democristiani la ricerca di

una terza via che chiude a destra almeno quanto apre a sinistra. Eppure,

nonostante la ricchezza di contenuti lasciati in eredità dalla terza, la quarta

generazione fallirà nel tentativo di tradurre queste linee teoriche in azione

politica concreta.

744Ibidem.

296

Conclusioni

Al termine del lavoro di ricerca sembra possibile trarre una serie di

brevi conclusioni le quali, questo è l'auspicio, possono rappresentare future

linee di ricerca e approfondimento.

Credo che una riflessione significativa possa riguardare la vivacità

intellettuale di molte giovani figure politiche di cui qui si è cercato di

tratteggiare i primi passi. Va allora sottolineata la serie di riviste e periodici che

scaturirono da questa stagione, da questi primi anni di vita dell'Italia

repubblicana. «La Punta», innanzitutto, che, clandestina, da una Roma ancora

occupata dalle truppe tedesche, vivendo vicissitudini ancora tutte da studiare,

attraversa le linee di combattimento per arrivare a Firenze, poi a Bologna e

Modena, scritta e pensata da personalità di diverse estrazioni, sensibilità,

esperienze personali, di vita e di studio. Non solo; «La Punta», una volta

terminata la guerra, prosegue il proprio percorso dibattendo sul referendum

sull'ordinamento costituzionale, sui beni della ex Gioventù italiana del littorio,

sui primi provvedimenti dei governi a guida democristiana, arrivando quasi alle

porte delle decisive elezioni politiche del 1948. Un'esperienza, dunque, quella

de «La Punta», estremamente significativa dal punto di vista dell'editoria

giovanile, editoria giovanile ancora non sufficientemente studiata sia in questo

caso specifico, sia a livello più generale.

Si è citato il caso de «La Punta» ma si sarebbe potuto fare l'esempio di

altre esperienze editoriali purtroppo troppo brevemente analizzate in questo

lavoro di ricerca. «Per l'Azione», ad esempio, che dal 1948 rappresentò una vera

e propria palestra di elaborazione intellettuale per molte figure che andranno a

costituire buona parte della classe dirigente degli anni successivi; si potrebbe

297

fare l'esempio del «San Marco», la quale, tramite la penna del proprio direttore

Pistelli, tentò un arduo – e forse, agli occhi odierni, precoce – dialogo con il

«contromondo» comunista; si sarebbe potuto citare il ventaglio di riviste del

«dissenso» come, tra le tante, «Prospettive», colpita duramente da Fanfani per i

giudizi verso l'operato del neo segretario e per la non certo nascosta volontà,

lampante dalla lettura di molte pagine, di aprire al centro-sinistra.

Un'altra serie di riflessioni, derivanti da passaggi qui solo brevemente

analizzati, ma che meriterebbero adeguato approfondimento, riguarda la serie di

relazioni internazionali portate avanti non solo dal Movimento giovanile, o a cui

il Movimento giovanile prese parte, ma che percorrono l'esperienza della

gioventù (in senso lato) del frangente storico preso qui in considerazione. Si è

voluto chiudere questa ricerca studiando le conseguenze di uno di questi

appuntamenti internazionali, l'assemblea dei Partigiani della pace di Helsinki,

proprio per mettere in risalto quanto l'attenzione ai problemi del Mondo e

dell'Europa fosse viva nelle coscienze di un'intera generazione, quanto fosse

sentito poi il tema della pace e dell'energia atomica. La vicenda di Helsinki

rispecchia anche quanto poi questa attenzione internazionale avesse ricadute

sulla politica italiana, sulle scelte personali dei protagonisti, sul futuro di diverse

carriere politiche. La rilevanza di questi fermenti internazionali, soprattutto se

concentrata in ambienti cattolici e il particolar modo all'interno del Movimento

giovanile Dc, è d'altronde ben sottolineata dall'attenzione che il mondo

comunista rivolse ad essi; credo di aver sufficientemente sottolineato, tramite

gli interventi del giovane Berlinguer, quanto fossero puntati i suoi riflettori su

tale fenomeno in un contesto, ricordiamolo, assai teso come i primi anni

Cinquanta, nel pieno della Guerra fredda.

La vivacità intellettuale e l'attenzione ai fenomeni internazionali

sembrano essere, in conclusione, i due elementi probabilmente più interessanti

298

emersi da questa ricerca. Entrambi, come si diceva, necessitano di un ulteriore

approfondimento, in particolar modo andrebbero posti in relazione con, nel caso

in cui vi siano, analoghi fermenti giovanili provenienti da altri ambienti politici.

Un approfondimento che, nel silenzio della storiografia, potrebbe aprire nuovi e

rilevanti scenari di comprensione.

299

Fonti archivistiche - abbreviazioni

ADCER Fondo Comitato regionale della Democrazia cristiana dell'Emilia

Romagna (Bologna)

ADCPG Fondo Comitato provinciale della Democrazia cristiana di Perugia

ADCRE Fondo Comitato provinciale della Democrazia cristiana di Reggio

Emilia

APCIG Archivio del Partito comunista italiano, Istituto Gramsci (Roma)

APCIRE Fondo Federazione provinciale del Partito comunista di Reggio

Emilia

ASILS Archivio storico dell'Istituto Luigi Sturzo (Roma)

FG Fondo Guido Gonella

CA Fondo Giulio Andreotti

CS Fondo Giuseppe Spataro

DC Archivio della Democrazia cristiana

Cn Comitato nazionale

Congr Congressi nazionali

Dn Direzione nazionale

Sp Segreteria politica

FFB Fondo Franco Boiardi

300

Fonti a stampa

«L'Almanacco»

«Avanti!»

«Avvenire»

«Azione fucina»

«Azione giovanile»

«La Base»

«Corrente cristiana»

«Il Crescione»

«Cronache sociali»

«Democrazia Cristiana. Bollettino della Direzione del Partito»

«Il Domani»

«Il Giorno»

«Impegno giovanile»

«Incontri oggi»

«La Libertà»

«Il Messaggero»

«L'Osservatore Romano»

«Pattuglia»

«Per l'Azione»

301

«Politica d'Oggi»

«Politica Sociale»

«Il Popolo»

«Il Popolo del Veneto»

«Popolo e libertà»

«Problemi del socialismo»

«Prospettive»

«La Punta»

«Rinascita»

«San Marco»

«La Sorgente»

«Terza generazione»

«l'Unità»

«Via Emilia»

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