IL MONDO DI MARCANTONIO C - Bollettino d'Arte...di un Marcantonio lavorante "sotto il tetto stesso...

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L'attribuzione d"ei disegni del British a Dome- nico Tintoretto è ormai certa in quanto, per la maggior parte di essi abbiano trovato il rife- rimento alle fonti, ai documenti, alle tele esi- stenti dell'artista. La mancanza di una parti- colare e approfondita conoscenza delle opere pittoriche di Domenico non aveva permesso fino ad oggi la discriminazione dei disegni di J acopo e di Domenico al quale s'era tentati in certi casi di riconoscere una felice intui- zione che lo mettesse quasi a pari del primo. 22) I) PROSOOCIMO ZABEO, Elogio a Giacomo Robusti recitato all' Imperiale Regia Accademia di Belle Arti, Venezia, T ip. Bernardi, pago 57. 2) R. Archivio di Stato di Venezia. Canc. Francesco Erizzo n. 187. 3) Ecco le parole del testamento: "a bas:z;an mio giouane lasso quatro pezi di rilieuo cioè una testa del uitelo una figura intiera et doi torsi a Sua e1etion tutti li designi che hara scritto bastian e tutti quelli che hauera scritto Zuane, al detto bastian lasso anchora schizzi, dal natural nO . cento cinquanta di Homini et Cinquanta de done a sua eletion ". (R. Archivio di Stato di Venezia. Canc. Francesco Eri:z;:z;o, pago 57). 4) R. TOZZI, Notizie biografiche su Domenico Tintoretto in Rivista di Venezia, giugno 1933. s) RrOOLFI CARLO, Le meraviglie, Venezia 1648, Gio. Batt. Sgaua, pago 26g. 6) HAoELN (D. Von), Archiv. Beitr. z. G. Veneto Kunst, Berlin 19II, pago 126. 7) S. COLVIN, Tintoretto at the British Museum in Burlington Magazine, 1909-10, pago 189 a 200 e 254 a 261. 8) ARETINO PIETRO in Lettere, t. IV, pago 18. 9) ZANETTI VINCENZO, Piccola Guida di Murano e delle sue officine, Venezia 1869; NARATOVICH, pago 102; PITTALUGA MARY in Bollettino d'Arte, luglio 1934, pag·34· IO) RrOOLFI CARLO, Le meraviglie, Venezia 1648, Gio. Battista Sgaua, parte II, pago 265; BOSCHINI MARco, Le ricche Minere della pittura veneziana, Venezia 1724; Accertata la paternità dei disegni del Bri- tish, stupisce il fatto di non aver trovato in essi la firma Il Zuane tt, con la quale secondo quanto appare dal suo testamento, Domenico aveva contrassegnato i suoi studi. Fu forse soppressa per ragioni commerciali. Questa serie di disegni, che forma un gruppo ben distinto, comprovato da opere e documenti permetterà anche l'attribuzione a Domenico di parecchi studi di figura, di CUl Cl occuperemo altra volta. RosANNA TOZZI FRANCESCO NICOLINI, Sestier di Castello, Scuola Grande di S. Marco, pago 68; ZANETTI A. MARIA, Della Pittura Veneziana, Venezia 1771. Il) R. Archivio di Stato di Venezia. Scuola Grande di S. Marco noto 25 a carte 273 e 274. 12) R. Archivio di Stato di Venezia. Scuola Grande di S. Marco noto 26 a carte 3. 13) M. BOSCHINI, Le ricche Minere della pittura v.eneziana, Venezia 1674, Tip. Nicolini, Sestier di Castello, pago 6g. 14) HAoELN, op. cit., tav. 72. IS) C. RroOLFI, op. cit., val. II, pago 267. 16) G. CAMPORl, Gli artisti italiani e stranieri negli stati estensi, Catalogo storico corredato di documenti inediti, Modena 1855, pago 409. 17) RrOOLFI CARLO, op. cit., vol. II, pago 265. 18) HAoELN (D. Von), Some Paintings and Drawings by Tintorett-o in Burlington Magazine, 1926, val. XLVIII, pago II6. 19) "In San Jacopo di Rialto evvi il Santo tentato da' Demoni sotto varie forme con i ritratti di Silvestro Nicolino da i tre Delfini, e Giovanni dal Ponte Orefici in un canto molto naturali" (v. RmOLFI, op. cit.). 20) V. COLVIN, op. cito 21) E questo diciamo per lo slancio creativo, che manca ai disegni del genere che conosciamo. 22) L' Hadeln infatti, nella sua opera sui disegni veneziani, ha assegnato a Domenico alcuni studi, a causa della inferiore qualità artistica rispetto a quelli di Jacopo. IL MONDO DI MARCANTONIO C ON L'INCISIONE della Lucrezia, se- condo la tradizione che risale al Vasari, Marcantonio Raimondi si sarebbe presentato a Raffaello, e la prova sarebbe stata così sqddi- sfacente da indurre ìl Sanzio "a mettere fuori in istampa alcuni disegni di cose sue tt. Altrove il Vasari scrive che Raffaello, avendo veduto "lo andare nelle stampe d'Alberto Durero, volonteroso ancor egli di mostrare quel che in tale arte poteva, fece studiare Marco Antonio Bolognese in questa pratica infinitamente tt. Come si debbono intendere tali parole? Mar- cantonio, sappiamo bene, arrivÒ a Roma che era già un intagliatore provetto, non solo, ma si era ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

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L'attribuzione d"ei disegni del British a Dome­nico Tintoretto è ormai certa in quanto, per la maggior parte di essi abbiano trovato il rife­rimento alle fonti, ai documenti, alle tele esi­stenti dell'artista. La mancanza di una parti­colare e approfondita conoscenza delle opere pittoriche di Domenico non aveva permesso fino ad oggi la discriminazione dei disegni di J acopo e di Domenico al quale s'era tentati in certi casi di riconoscere una felice intui­zione che lo mettesse quasi a pari del primo. 22)

I) PROSOOCIMO ZABEO, Elogio a Giacomo Robusti recitato all' Imperiale Regia Accademia di Belle Arti, Venezia, T ip. Bernardi, pago 57.

2) R. Archivio di Stato di Venezia. Canc. Francesco Erizzo n. 187.

3) Ecco le parole del testamento: "a bas:z;an mio giouane lasso quatro pezi di rilieuo cioè una testa del uitelo una figura intiera et doi torsi a Sua e1etion tutti li designi che hara scritto bastian e tutti quelli che hauera scritto Zuane, al detto bastian lasso anchora schizzi, dal natural nO. cento cinquanta di Homini et Cinquanta de done a sua eletion ". (R. Archivio di Stato di Venezia. Canc. Francesco Eri:z;:z;o, pago 57).

4) R. TOZZI, Notizie biografiche su Domenico Tintoretto in Rivista di Venezia, giugno 1933.

s) RrOOLFI CARLO, Le meraviglie, Venezia 1648, Gio. Batt. Sgaua, pago 26g.

6) HAoELN (D. Von), Archiv. Beitr. z. G. Veneto Kunst, Berlin 19II, pago 126.

7) S. COLVIN, Tintoretto at the British Museum in Burlington Magazine, 1909-10, pago 189 a 200 e 254 a 261.

8) ARETINO PIETRO in Lettere, t. IV, pago 18. 9) ZANETTI VINCENZO, Piccola Guida di Murano e

delle sue officine, Venezia 1869; NARATOVICH, pago 102; PITTALUGA MARY in Bollettino d'Arte, luglio 1934, pag·34·

IO) RrOOLFI CARLO, Le meraviglie, Venezia 1648, Gio. Battista Sgaua, parte II, pago 265; BOSCHINI MARco, Le ricche Minere della pittura veneziana, Venezia 1724;

Accertata la paternità dei disegni del Bri­tish, stupisce il fatto di non aver trovato in essi la firma Il Zuane tt, con la quale secondo quanto appare dal suo testamento, Domenico aveva contrassegnato i suoi studi. Fu forse soppressa per ragioni commerciali.

Questa serie di disegni, che forma un gruppo ben distinto, comprovato da opere e documenti permetterà anche l'attribuzione a Domenico di parecchi studi di figura, di CUl Cl occuperemo altra volta. RosANNA TOZZI

FRANCESCO NICOLINI, Sestier di Castello, Scuola Grande di S. Marco, pago 68; ZANETTI A. MARIA, Della Pittura Veneziana, Venezia 1771.

Il) R. Archivio di Stato di Venezia. Scuola Grande di S. Marco noto 25 a carte 273 e 274.

12) R. Archivio di Stato di Venezia. Scuola Grande di S. Marco noto 26 a carte 3.

13) M. BOSCHINI, Le ricche Minere della pittura v.eneziana, Venezia 1674, Tip. Nicolini, Sestier di Castello, pago 6g.

14) HAoELN, op. cit., tav. 72. IS) C. RroOLFI, op. cit., val. II, pago 267. 16) G. CAMPORl, Gli artisti italiani e stranieri negli

stati estensi, Catalogo storico corredato di documenti inediti, Modena 1855, pago 409.

17) RrOOLFI CARLO, op. cit., vol. II, pago 265. 18) HAoELN (D. Von), Some Paintings and Drawings

by Tintorett-o in Burlington Magazine, 1926, val. XLVIII, pago II6.

19) "In San Jacopo di Rialto evvi il Santo tentato da' Demoni sotto varie forme con i ritratti di Silvestro Nicolino da i tre Delfini, e Giovanni dal Ponte Orefici in un canto molto naturali" (v. RmOLFI, op. cit.).

20) V. COLVIN, op. cito 21) E questo diciamo per lo slancio creativo, che manca

ai disegni del genere che conosciamo. 22) L' Hadeln infatti, nella sua opera sui disegni

veneziani, ha assegnato a Domenico alcuni studi, a causa della inferiore qualità artistica rispetto a quelli di Jacopo.

IL MONDO DI MARCANTONIO

C ON L'INCISIONE della Lucrezia, se­condo la tradizione che risale al Vasari,

Marcantonio Raimondi si sarebbe presentato a Raffaello, e la prova sarebbe stata così sqddi­sfacente da indurre ìl Sanzio "a mettere fuori in istampa alcuni disegni di cose sue tt. Altrove il Vasari scrive che Raffaello, avendo veduto

"lo andare nelle stampe d'Alberto Durero, volonteroso ancor egli di mostrare quel che in tale arte poteva, fece studiare Marco Antonio Bolognese in questa pratica infinitamente tt. Come si debbono intendere tali parole? Mar­cantonio, sappiamo bene, arrivÒ a Roma che era già un intagliatore provetto, non solo, ma si era

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ROMA, R. GABINETTO DELLE STAMPE - MARCANTONIO RAIMONDI: LUCREZIA (Fot. Nazionale)

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ROMA, R. GABINETTO DELLE STAMPE - MARCANTONIO RAIMONDI: DIDONE (Fot. Nazionale)

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GEROLAMO MOCETTO: GIUDITTA

anche conquistata una certa fama. A Bologna nel 1504, Giovanni Achillini, detto il Filoteo, gli aveva dedicato i noti versi del Viridario: ,)

Consacro ancor Marcantonio Raimondo Che imita degli antichi le sante orme, Col disegno e il bolin molto è profondo Come si vedon sue vaghe e riche forme Hamme re tratto in rame como io scrivo Ch' en dubio di noi pende quale è vivo,

e a Venezia, un paio d'anni dopo, i fratelli de Jesu avevano pubblicato con successo i dicias­sette rami che egli aveva tratti dalle xilografie della Vita della Vergine di Alberto Durer. Non potè essere dunque Raffaello a farlo "studiare

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in questa pratica". :gg1i piuttosto si sarà sottoposto a studiare "infinitamente" i disegni di Raffaello, fornitigli sottomano dal Baviera. Sperava così di rendersi degno del grande modello.

Uscito da opposte e svariate esperienze, Marcantonio tendeva ad una nuova orga­nizzazione del suo linguaggio. Con la Lucrezia quella organizzazione era com­piuta. Raffaello poteva dunque fidarsi, e i rami che Marcantonio incominciò subito ad incidere, uno dopo l'altro, dai disegni del Sanzio, e che il Baviera stampava al torchio, coltivando una sua piccola indu­stria, furono" di maniera tale intagliati" , dice lo storico, "che ne stupì tutta Roma ".

Ma i rapporti di Marcantonio con Raffaello non dovettero essere, come si crede, d' intesa e di collaborazione. Pochi rami, evidentemente, furono eseguiti per incarico, oppure solo col consenso di Raf­faello, quei pochi, cioè, che recano inciso anche il nome del pittore, o giù di lì. Il resto non era che il frutto di una intesa fra Marcantonio e il Baviera, della quale Raffaello si disinteressava completamente. Solo così si può spiegare l'arbitrio delle frequenti contaminazioni.

Come avrebbe potuto Raffaello auto­rizzare, per esempio, la stampa della sua Pietà (Bartsch 35) con tanto di paese nordico nello sfondo? 2) Raffaello aveva

un debole pel Baviera, che gli teneva in ordine lo studio e metteva le mani in tutte le sue cose. 3) Lasciava quindi che si giovasse, d'accordo con Marcantonio, dei suoi fondi di magazzino. Il mito di Raffaello fornitore quo­tidiano di disegni a Marcantonio deve cadere per sempre, così come deve cadere il romanzetto di un Marcantonio lavorante "sotto il tetto stesso di Raffaello " , nel noto palazzo in Borgo, romanzetto fantasticato dal Delaborde, nono­stante il documento pubblicato dall' Armellini (Un censimento della città di Roma sotto il pon­tificato di Leone X , Roma 1882) e a lui pure noto, nel quale è detto esplicitamente che Marcan­tonio abitò dal 1513 al 1518 una casa nella

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circoscrizione parrocchiale di S. Salvatore alle Cupelle.

Così pure bisogna rettificare il concetto che tal une incisioni, sol perchè eseguite sui " primi pensieri" di Raffaello, sieno anteriori ai dipinti a cui si riferiscono: escluso il rapporto diretto, bisogna ammettere che i disegni arrivassero a Marcantonio quando il Baviera li poteva consi­derare abbandonati per sempre, e spesso, quindi, a quadro finito.

È questo il caso, per esempio, del Gesù morto con le Marie in pianto (B. 37), condotto su uno dei più antichi "pensieri" per la Deposizione di Atalanta Ba­glioni, prima della risolu­zione mantegnesca,4) e della Madonna sulle nuvole (B. 53), incisa su un disegno della Madonna di Foligno oggi con­servato al Museo Britannico.5)

Altri disegni, poi, attribuiti a Raffaello, si può dire che non sieno mai usciti dalla sua immaginazione. La famosa Venere che si asciuga il piede (B. 297), per esempio, gene­ralmente considerata come una delle più squisite inter­pretazioni raffaellesche di Marcantonio, non è che una delle sue tante composizioni "antologiche,,: la figura di Venere è derivata, con una delle solite varianti, da una statua antica, la stessa che Maerten Van Heemkerk di­segnò in tre pose nel suo album di Berlino (I, fol. 25 v.) e l'Amore, che ritroveremo in controparte in uno dei due amorini che conducono la Danza dei Putti (B. 217), è uno dei consueti adattamenti da putti di diversa prove­menza.

più belle di Marcantonio, quest' incisione che in un primo tempo farebbe pensare agli affreschi di Giorgione pel Fondaco dei Tede­schi e un cui disegno, proveniente dalla Coli. Grahl di Dresda, è attribuito invece a Raffaello, è anch'essa il risultato della com­binazione di elementi diversi tratti dalla sta­tuaria antica. La figura di Venere è derivata con piccolissime varianti da un antico gruppo marmoreo di Vene re e Mercurio 6) mentre l'Amore è desunto per la parte superiore da un putto dei Trofei di Mario e per la parte inferiore da un'antica statua di Cupido. ,)

Caso analogo è quello della Venere con Amore in una nic­chia (B. 311). Bella fra le MARCANTONIO RAIMONDI: LA TENTAZIONE DI EVA

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celebre Afrodite al bagno del Museo di Napoli, visto però attraverso una variante della stessa collezione romana da cui proviene la prima, va­riante in cui Venere si diverte a togliere 1'arco e le frecce ad Amore. 9) Nell' incisione di Marcantonio 1'Amore che era al suolo è trasportato in alto e piantato su un piedi­stallo. Raffaello non c'entra più. IO)

MARCANTONIO RAIMONDI: LA PIETÀ "DAL BRACCIO NUDO ..

Ma i sospetti potrebbero spingersi molto più in là. Chi penserebbe per esempio che l'Adamo della Tentazione (B. I) è studiato su un'antica statua di Ganimede, II) con la variante quasi unica della gamba sinistra che, sempre nella stessa posizione, è acca­vallata alla destra? Forse lo studio originario è di Raf­faello (vedi schizzo a lui attribuito in Oxford), ma che questi, a un certo punto, non c'entri più è dimostrato dalla presenza del paesag­gio nordico dello sfondo. D'altra parte nella variante dei piedi si nota quel vezzo bolognese e franciano di atteggiare i piedi in movi­menti preziosi ed armonici di danza, vezzo che qui si

o dunque Marcantonio derivò direttamente le figure dalle statue, oppure si servì di disegni che Raffaello aveva tratti dalle statue medesime (e che il Baviera aveva trovati fra le carte del pittore), completandoli ed atteggiandoli poi a suo modo. B)

Noi vogliamo ammettere che anche la Venere accosciata (B. 313), stampa che deve conside­rarsi tra le prime romane, e non bolognesi, di Marcantonio, sia stata eseguita su un disegno di Raffaello. Ma la "composizione" non può essere che di Marcantonio. II nudo è quello della

riscontra pure nella figura di Eva e che ha anch' esso, alquanto manierato, origine dalla statuaria antica. 12)

Certo Marcantonio, stabilitosi a Roma, fu subito preso da Raffaello e su lui affinò ed approfondì le sue conoscenze e le sue esperienze di stile, giungendo come incisore a risultati che nessuno aveva toccati prima di lui; ma non è vero che si sia messo supinamente a servizio del grande pittore.

Subito dopo la Lucrezia, condotta su uno schizzo fornitogli forse dal Baviera e da lui

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completato poi con elementi mantegneschi, lo vedremo già prendersi la prima libertà con la Didone (B. 187). Questa stampa, che non rag­giunge la purezza dell'altra, si pensava potesse essere stata eseguita anche prima, sempre su disegno di Raffaello; ma essa in effetti non è che un' imitazione di Marcantonio, una sua ingenua "composizione" ottenuta con gli stessi elementi di cui si era servito per la Lucrezia. Si osservi bene quest'ultima, e si veda come i suoi piedi corrispondano perfettamente a quelli della schiava nella Giuditta di Andrea Mantegna, che Marcantonio doveva aver de­sunti certamente dalla nota stampa di Gero­lamo Mocetto (B. 1). Ebbene, anche i piedi di Didone sono presi da quelli di Giuditta e della sua schiava e tutte e due le stampe di Marcantonio si può dÌIe che sieno ispi­rate, nella loro metà inferiore, al disegno mantegnesco attraverso la stampa del Mocetto. Si spiega così r inferiorità della Didone, ma­nipolazione tutta raimondesca, completata da uno sfondo per metà leydiano e per metà dureriano.

Di manipolazioni di tal genere, quali più, quali meno felici, quali troppo scoperte, quali dissimulate fino alla trasfigurazione, Marcan­tonio ne compirà per tutta la vita. Raffaello sì, fino a che si tratta di fare vera e propria opera di riproduzione, se no anche Raffaello può essere ripreso aggiustato e completato a talento dell' incisore, il quale, si capisce, non vuoI rima­nere soltanto tale. Egli pure ha le sue ambizioni, e non potendo, più per accidia che per incapa­cità, nutrirle del proprio, le nutre del bene trovato per via. Instancabile e facile disegna­tore, desideroso di penetrare, attraverso il dise­gno, sempre più addentro al segreto della forma, Marcantonio accresce ogni giorno la mole dei suoi studi dei suoi appunti delle sue annota­zioni, ed oltre a servirsene per uso proprio, ne fornisce di continuo ai suoi scolari. Accanto a Raffaello, così, e nonostante la compiacenza provvidenziale del Baviera, continuano a vivere nella sua bottega immagini di artisti cono­sciuti altrove e in altri tempi, dal Mantegna al Francia al Diirer al Buonarroto. Ancora nel 1523 il cartone di Pisa di Michelangelo

servÌIà ad uno scolaro di Marcaptonio, Ago­stino Veneziano, per incidere il più vasto ed importante dei suoi rami (B. 423); ancora più in là il medesimo cartone verrà in soccorso dello stesso Marcantonio per lo Stregozzo.

MARCANTONIO RAIMONDI: VENERE E AMORE IN UNA NICCHIA

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MARCANTONIO RAIMONDI : IL GIOVANE DALLA CORNUCOPIA

Questo lavoratore senza requie era in fondo un pigro. I fantasmi apparivano alla sua mente chiari e ben compiuti nella loro ideale autono­mia; ma al momento di realizzarli egli aspettava che le singole parti di essi si identificassero paci­ficamente con le forme vaganti nel museo della sua memoria, in quel museo in cui tutto tro­vava posto, senza preoccupazione alcuna di incompatibilità. Una fiutatina alle cartelle e l'opera era fatta. Accadeva così che il lavoro iniziato nello spirito dell'artista trovasse poi il suo compimento all' infuori di esso. La fantasia dava la mano all'abilità, scaltrendosi sempre più nella pratica dell'adattamento e della sutura, e i risultati che ne derivavano a volta erano fel ici, a volte naturalmente no. Quanta differenza tra Il Satira e il fanciullo (B. 281), così compatto ed univoco nella sua espressione, nonostante la visibilità di certe commessure nel putto, deri­vante da modelli differenti, e un aggregato

puramente meccanico come Il giovinetto dalla lanterna (B. 384)! Quanta differenza fra questo giovinetto e quell' Uomo dormente sul margine del bosco (B. 438), dal quale, pur essendo chia­ramente individuabili gli elementi franciani, dureriani e raffaelleschi di cui l'incisore si è giovato (si noti la figura dell'uomo dormente desunta da uno dei quattro scomparti della volta della Stanza di Eliodoro), traspare un im­pegno stilistico più profondo, una più avanzata elaborazione della forma!

Resta sempre però, nella maggior parte di codeste composizioni, il problema del significato e del perchè, il problema cioè della necessità fantastica. Che cosa voleva dire Marcantonio con quest'uomo dormente, con quel giovinetto dalla lanterna, con la Donna della mezzaluna (B. 354), con l'Uomo dalle due trombette (B. 356), ecc. ? Esprimersi e nulla più? Veder rivivere innanzi a sè, nella originalità del

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1inguaggio, ciò che gli stava dentro e che, nella sua inerzia, gli pesava'? Che cosa voleva dire prima con le sue composizioni bolognesi e che vuoi dire infine con lo Stregozzo'?

Un'altra figura di quella fonte inesauribile che era il cartone di Pisa, "scuola del mondo ,,, come disse il Cellini, attendeva di essere utiliz­zata da Marcantonio, ed ecco che egli la chiama in vita nel suo Stregozzo, detto altrimenti la Carcassa (B. 426).

I! soggetto è noto: ci troviamo, si sa, di fronte ad una delle più romantiche concezioni del clas­sico Cinquecento: su uno sfondo di canne palu­stri che ricorda in certo senso la Zuffa degli Dei marini di Andrea Mantegna e dal quale si leva, starnazzando le ali, uno stuolo di anitre, procede una mostruosa carcassa cavalcata da una strega.

I! macabro carro di trionfo è preceduto da due uomini nudi che brandiscono giganteschi ossa mi. Avanti a tutti, a cavallo di un capro uni­corno, è un giovinetto nudo che soffia in una buccina e ai due lati della carcassa sono un altro capro e un ariete chimerico sormontato da un uomo nudo carponi. La strega, con la lunga chioma al vento, abbassa una mano adunca su un gruppo di bimbi terrorizzati, mentre con l'altra regge un vaso esalante miasmi letali.

Giunto alla piena maturità del suo talento, con un corredo sbalorditivo di esperienze e di annotazioni, Marcantonio ha voluto sbizzar­rirsi in questa vasta e allucinante composizione, in cui alcuni credono di vedere un'allegoria della Malaria, 13) mettendovi tutto se stesso. E dicendo se stesso diciamo anche ciò che egli aveva saputo raccogliere intorno a sè.

Osservare, studiare, annotare, riempire la car­tella di disegni propri od altrui e un bel giorno estrarne due tre quattro figure, di provenienza diversissima, e metterle insieme, atteggiandole secondo un principio di euritmia formale, vuoto per solito di psicologia ed aperto alle più I ate interpretazioni mitologiche: questo, come abbia­mo già osservato a proposito di Marte, Venere e A more e dell' Incendio sul lago, questo era per Marcantonio comporre, e questo aveva for­mato il suo diletto giovanile e l'ammirazione del suo maestro bolognese Francesco Francia.

MARCANTONIO RAIMONDI: IL SATIRO E IL FANCIULLO

Erano nati così i Due uomini nudi in piedi (B. 385), la Donna che s'incorona fra due uomini nudi (B. 399), Orfeo ed Euridice (B. 282), il Concerto (B. 398), l'Uomo che mostra alla donna un'ascia (B. 380), il Giudizio di Paride (B. 339), il S. Giorgio che uccide il drago (B. 98), l'Uomo dalla cornucopia (B. 360), in un primo tempo; le Tre figure attorno a un serpente (B. 396), Apollo, Giacinto e Amore (B. 348), Venere, Vulcano e Amore (B. 326), ecc., in un secondo tempo, con elementi derivati e dalla statuaria antica e da autori diversi, fra cui specialmente, nel periodo bolognese, Andrea Mantegna, Fran­cesco Francia, T imoteo Vite, Jacopo Ripanda.

Di questo genere di composizione, in cui è sempre da ammirare il modo ingegnoso come son risolti i rapporti fra le diverse parti e realiz­zatl l necessari adattamenti, fa parte lo Stre­gozzo, eseguito probabilmente dopo la morte di Raffaello.

Lo Stregozzo reca, in un secondo stato, le iniziali di Agostino Veneziano, al quale è comu­nemente attribuito. E l'attribuzione, oltre che

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MARCANTONIO RAIMONDI: IL FUSTIGATORE DELLA FORTUNA MARCANTONTO RAIMONDI: LA FORZA

ulla firma, è basata sui soliti criteri estrinseci, n nchè ul fatto che Ago tino ebbe parùcolare vaghe~ d'incidere, dice il Vasari, li ignudi ecchi e ossame di morti", come nella Visita al

cimitero (B. 407) e pecialmente negli Scheletri

(B. 424), che firmò apertamente, Il Augustinus Venetus De Musis faciebat 1518 II" Orbene, se ci sono stampe atte a dissuaderci dall'at­tribuire lo Stregozzo ad Agostino, son pro­prio queste, animate da uno spirito tutt'affatto diverso da quello cbe pervade lo Stregozzo.·4> D'altra parte, se ancora si poteva assegnare ad Agostino questa stampa quando in essa si voleva vedere la riproduzione di un disegno di Raffaello o di Michelangelo, non lo si può più ora che essa ci appare per quella che è, per una cioè delle Il composizioni 11 tanto care allo spi­rito di Marcantonio, ottenuta con elementi disparati che Agostino non avrebbe mai saputo coordinare, ritoccare, adattare e sottoporre a una legge suprema di armonia, in cui l'origine retorica ed antologica della I( composizione 11

è vittoriosamente trascesa dall'unità ideale della forma. lsl

Tre dei nudi in corsa che precedono e se­guono la carcassa dello Stregozzo sono presi, come dicevamo, da una figura del cartone di Pisa, quella che il Vasari propriamente descrive

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MARCANTONIO RAIMONDI: L'UOMO DALLE DUE TROMBETTE

"coi panni avvolti,,; il quarto nudo, quello seminascosto, con un piede al2;ato come a sfer­rare un calcio, è preso dallo stesso bassorilievo da cui deriva il Sacrificio di Priapo del Maestro B. nel Dado (B. 27); la strega infine è desunta dal Durer (B. 54), il quale dal canto suo l'aveva derivata dal Mantegna, copiando in controparte, con varianti minime, la figura urlante dell' In­vidia nella celebre stampa della Zuffa degli Dei marini (B. 18). Marcantonio però restituisce alla strega, che il Durer aveva ringiovanita, le mammelle cascanti dell' Invidia mantegnesca.

La disinvoltura ed abilità con cui Marcan­tonio utilÌ2;za i suoi appunti è strabiliante. Il modello morto, disegnato, cioè, od inciso da altri sulla carta, diviene per lui qualcosa di vivo, come una persona in carne ed ossa, da poter girare, distendere, scorciare, articolare a piacere. Egli prende, è vero, la strega del Diirer, ma ne solleva le ginocchia e ne gira il torso, metten­dola tutta di profilo e portando in avanti il braccio che nel modello era steso all' indietro.

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MARCANTONIO RAIMONDI L'UOMO DORMENTE SUL MARGINE DEL BOSCO

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MARCANTONIO RAIMONDI: LO STREGO:z.:z.O

Allo stesso modo deriva, come sappiamo, il busto di Marte nudo dall'uomo coll' indice teso nel cartone di Pisa di Michelangelo, men­tre sull'unico modello dell'uomo nudo Il coi panni avvolti 11 dello stesso cartone, compone poi i tre nudi fuggenti del suo S tregozzo, lascian­done uno, quello col bambino sul braccio, im­mutato, ed invertendo negli altri l'ordine delle gambe.

Gl' incisori non avevano avuto mai scrupolo di appropriarsi di cose altrui, nè i derubati se ne erarro mai rammaricati. Era un costume al quale non si sottraevano neppure geni di fertilissima in entiva. li DUrer, per esempio, non si era peritato di comporre il suo stupendo Grande Ercole (Gli effetti della gelosia), con elementi presi in gran parte dal Mantegna. l 6) Nè egli tesso sì sarebbe probabilmente lagnato delle

pie che Marcantonio aveva ese.,auite della sua Vita della Vergine, se Marcanronio, invece di

ntraffargli anche la firma, avesse segnato la ca lta, me poi fu obbligato a fare, con le sue proprie ìni::iali . Copiare sì, ma firmare le

pie, per impedire che sieno scambiate con gli originali! Casi del genere si potrebbero citare a migliaia sull'esempio della letteratura del tempo in cui si imitava, si traduceva i riface senza crupolo, e c era chi, come

il Vida. da nsigli sul modo di rubare

dal greco e dal latino ed aveva parole di com­misera2;ione per coloro che non sapevano scegliersi un modello.

Ed ecco definito il mondo di Marcantonio: mondo derivato e riflesso nelle sue singole parti, mondo di origine rapsodistica, che dà, per­cosso punto per punto, suoni differenti e che sarebbe destinato a rimanere sul piano del dilet­tantismo se l'autore non riuscisse a purificarlo ed elevarlo nell'espressione; 17) mondo di belle nudità, di rapporti euritmici, di simboli più o meno oscuri; mondo visivo e letterario a un tempo, nel quale l'autore crede con l'ingenuità di un fanciullo e che per meglio definirsi non aspetta, dopo le prove bolognesi, veneziane e fiorentine, se non di potersi stabilire in un ambiente saturo di erudizione e di classicismo come quello di Roma.

In codesto mondo, pur giovandosi di accatti d'ogni sorta, Marcantonio si muove con una certa libertà, perchè non ha conti da rendere a nessuno e non corre il rischio, come quando è incaricato di riprodurre il Martirio di San Lorenzo (B. 104) di Baccio Bandinelli, di andare a finire in prigione per infedeltà. 18)

Qui Marcantonio vive della sua ricchezza, una ricchezza accumulata per istrada, ma della cui origine e del cui uso nessuno può fargli runprovero. ALFREDO PETRUCCI

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I ) GIOVANNI FILOTEO ACHILLINI, El Viridario, Bolo­gna MDXIII. Il poemetto, pubblicato nel 1513, era stato scritto nove anni prima.

. ) Il paesaggio dello sfondo è preso dalla piccola Maddalena nel deserto di Luca di Leyda (B. 173).

3) Il Baviera, dal Vasari qualificato ti garzone" di Raffaello, fu persona di fiducia del sommo pittore, e ti aveva cura d'una sua donna la quale Raffaello amò fino alla morte II" Uno strumento pubblicato prima dall' Amati (Il Buonarroti, tomo I, quad. III) e poi da altri, ci rivelò il suo vero nome: ti messer Baviero de' Carocci da Parma pittore II' Lo strumento è del novem­bre 1515 e riguarda una vendita di case fatta al Baviero in nome e vece di Raffaello assente. Tra i testimoni della vendita figura Marcantonio Raimondi. Questo mostra quale affiatamento dovesse esservi fra il Baviero e Marcantonio.

Non si sa se poter identificare questo Baviero con quello segnalato dal Bertolotti (Artisti bolognesi, ferra­resi et alcuni altri del già Stato Pontificio di Roma, Bolo­gna 1885), nato però, sembrerebbe, a Bologna e ivi ammogliatosi nel 1543.

4) Oltre che nel disegno dell' Ashmoleum Museum di Oxford, di cui parla il Passavant, questa stampa ha riscontro nel disegno del Louvre ripassato a penna in un secondo tempo. Essa fu ricopiata da Marco Dente, da Agostino Veneziano e da un terzo incisore che spinse la contraffazione fino ad incidere anche la tavoletta, nella quale Agostino, quando cominciò a far raccolta di lastre altrui, introdusse le sue iniziali.

Per altri disegni a noi giunti re,lativi a stampe di Marcantonio cfr. M. A. HIND, Marcantonio Raimondi, in The print-collectors quarterly, ottobre 1913.

5) Sono pochissime le stampe di Marcantonio che non presentano notevoli differen2;e dai dipinti. Tra queste è la Galatea (B. 350), la quale sembra eseguita sul dipinto definitivo della Farnesina, anzichè su uno dei soliti ti primi pensieri" di Raffaello. Ciò fa supporre al Delaborde che Raffaello avrebbe egli stesso fatto una copia disegnata del suo dipinto, per fornirla a Mar­cantonio. Bisogna proprio pensare che Marcantonio non sapesse tenere il lapis in mano e che Raffaello non avesse altro da fare!

6) Vedi la riproduzione datane, nella stessa posizione, in Antiquarum Statuarum Urbis Romae ..• lcones, Romae, ex typis Gottifredi de Scaichis, MDCXXI (n. 22: ti Mercuris mulierem amplexantis statua in aedibus Farnesianis ,,).

La Venere della stampa di Marcantonio si vedrà poi riprodotta in un dipinto di Gerolamo da Treviso il Giovane. Anche il Giudizio di Paride, attribuito a Giro­lamo dal Fiocco e pubblicato dal Coletti (La Critica d'Arte, a. I, f. IV), è copiato da una delle più celebri stampe di Marcantonio (B. 20).

7) Come sopra (n. 63: ti in aedibus G. B. Luragi ,,). 8) Che Raffaello, spirito curiosissimo, si fermasse a

studiare tutto, l'antico e i l moderno, e all'occorrenza se ne servisse, non è un mistero. Nè deve scandalÌ2;zare il

vedere come l'angiolo da lui dipinto ai piedi della Madonna di Foligno riproduca perfettamente il Cupido di un antico gruppo marmoreo (vedi la riproduzione datane nell'opera sopra citata: n. 65: ti Veneris et Cupidinis statua in aedibus cuiusdam mercatoris Florentinis in banchis ,,).

9) Come sopra (n. 28: ti Venus in aedibus Card. Far­nesij ,,). Lo stesso gruppo marmoreo si vede riprodotto in un disegno della ColI. Pio.

IO) Per le derivazioni dall'antico, vedi H . THODE, Die Antiken in den Stichen Marcanton's, Leipzig 1881. Ma H. Thode si limita alle derivazioni integrali, sul tipo dell'Apollo di Belvedere, del Marco Aurelio, delle nume­rose figure desunte dal sarcofago detto delle Muse nella Galleria Giustiniani (ora a Vienna, Museo del Belve­dere) e dal sarcofago detto delle nozze in S. Lorenzo fuori le mura, ecc., senza fermarsi ad indagare le derivazioni parziali e le utili2;2;a2;ioni rapsodistiche, proprie dello spirito personale di Marcantonio.

Per l'Arianna dormente (B. 126), detta anche Cleo­patra, è interessante osservare come la statua antica in Vaticano da cui essa è derivata, statua che attirò anche l'attenzione di Merten Heernsckerk e di altri disegna­tori, sia potuta servire in pieno Ottocento a Lorenzo Bartolini per il suo gruppo Venere e Cupido (Prop. Romanelli, Firenze).

Il) Vedi la riproduzione datane, nella stessa posizione, nella raccolta di cui alla nota 6 (n. 45, ti Ganimedis figura in viridario Cardinalis de Medicis Il)'

12) Le gambe di questo nudo femminile ritorneranno in un'altra composizione romana di Marcantonio, Orfeo ed Euridice (B. 295), composizione più povera di risultati, ma nata da un' identica posizione spirituale.

L'incisione di Orfeo ed Euridice si credeva fatta prima su disegno del Sodoma e poi su disegno del Peruz2;i. E nessuno notò che un pezzo di essa è preso dal Francia e un altro dall'Eva della Tentazione. Si tratta dunque di una delle soli te composizioni di Marcantonio. Il Bar­tsch sospettò che il disegno fosse di Marcantonio, ma disse la lastra incisa ti dans le gotit de ses premières manières '" senza osservare non tanto la derivazione della figura di Euridice da un'altra stampa romana di Marcantonio e il gesto delle sue mani ispirato alla Venere Capitolina, quanto lo stile nuovo dell' incisione a ti contorni aperti II" Per questo e per altri riferimenti vedi il nostro articolo: Disegni e stampe di Marcantonio (Bollettino rf Arte, marzo 1937-XV, n. 9).

13) L'interpretazione è di M. A. Gruyer (Raphiiel et l'antiquité, Pari s, II). Vedi anche: E. TIEZE-CONRAT, Die Graphischen Kunste, 1936, 2.

14) Gli Scheletri riproducono un disegno del Rosso Fiorentino, conservato agli Uffizi. La variante di Marco Dente (B. 425) riprodurrebbe invece un disegno di Baccio Bandinelli, pure agli Uffizi . Una stampa che per invenzione sta fra i Due uomini in un cimitero e gli Sche­letri, è il Cimitero di Giorgio Ghisi (B. 6g), tratto da un disegno di G. B. Bertano e scricchiolante anch'esso di ossa umane. L'ideale di costoro, che sembra giustificare

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l'asserzione di Aristotele secondo cui (Poet., c. IV, 3) mostri e cadaveri, per ripugnanti che sieno, fa piacere vederli fedelmente riprodotti, è ben diverso da quello di Marcantonio. Altrettanto diverso è lo spirito infor­matore di certe allegorie, per lo più posteriori , sul tipo di quella Uccelliera della morte che il Bartsch (n. 36) considera come i l pezzo capitale di G. B. del Moro e che si vorrebbe invece incisa dal Cimerlino, su disegni prevalentemente giorgioneschi.

'5) Nè si esaurisce qui, con lo Stregozzo, il numero delle lastre di Marcantonio di cui Agostino ebbe ad appropriarsi, app:mendovi le sue iniziali. Tutta l'opera di Agostino, ove si voglia giungere ad una definitiva sistemazione dell'attività di Marcantonio e della sua scuola, va a questo riguardo riveduta. Probabilmente i l Veneziano, dopo il Sacco di Roma, seguì prima a Man­tova e poi a Bologna il maestro, e quando questi ebbe cessato di vivere ne raccolse l'eredità, con la quale se ne tornò a Roma. Da questo punto cominciamo a vedere rami su rami con le iniziali di Agostino.

A non voler essere troppo severi si può pensare che con quelle iniziali il Veneziano abbia voluto dichiarare soltanto la sua qualità di editore delle stampe che un tempo erano state del maestro. Ma la cosa, a ben guar­darla, non appare così semplice. Il monogramma di Agostino, sia che risulti inscritto nella solita tavoletta, sia che si veda inciso fuori, non è spesso che una trasfor­mazione di quello preesistente del maestro, come può osservarsi, per esempio, in certe prove del Baccanale (B. 240) e del Ritratto di Carlo V (B. 499), che mostrano ancora sotto la raschiatura le tracce del monogramma originale.

Il ritratto di Carlo V poi ci rivela fino a qual punto arrivava la spregiudicatezza di Agostino. La stampa de­scritta dal Bartsch reca in margine l' iscrizione seguente: " Progenies divum Quintus sic Carolus... aet. suae

XXXVI - an no M. D. XXXVI Il' Ebbene, in una copia in controparte che Bartel Beham, altro allievo di Mar­cantonio, fece del rame del maestro (Pauli go), si legge: " ... aet. suae XXXI - anno M. D . XXXI ". Il rame di Marcantonio, dunque, per essere stato copiato nel 1531 doveva avere già visto la luce. Probabilmente esso ricor­dava allo sfortunato incisore il Sacco di Roma. Ma Ago­stino, ripubblicando più tardi la lastra, cambiava la data e portava l' Imperatore da trentun anni a trentasei, senza però cambiargli un solo pelo. Se gli fosse toccato, campando, di ristampare il ritratto nel 1550, quando anche Enea Vico fece il suo tanto noto, Agostino avrebbe portato gli anni dell' Imperatore a cinquanta, ma il viso, possiamo esserne ben certi,glielo avrebbe lasciato intatto!

Altrettanto dicasi del Ritratto del re Ferdinando (B. 500), che nella controcopia del Beham (Pauli 91) ha ventun anno e nella contraffazione di Agostino ne ha trentatrè, senza però essere mutato in nulla.

,6) Vedi il Grand' Ercole. Questa magnifica stampa del Dilrer, che va anche sotto il nome di Effetti della Gelosia (B. 73), non fu conosciuta da Marcantonio se non a Venezia e dovette essere per lui una rivelazione. Da essa è preso il gruppo di alberelli nel centro di Marte, Venere e Amore, gruppo che si ritrova ancora ne L'uomo e la donna delle palle (B. 377). Da essa sono derivate talune parti del Satira sorpreso con la Ninfa (B. 279), ecc. Da essa infine è presa di sana pianta la Forza (B. 375), la cui figura il Dilrer aveva a sua volta derivata dalla mantegnesa Morte di Orfeo (PASS., V, 47, 120, OTTLEY, I, pago 403. Prova al Museo di Amburgo, proveniente dalla ColI. Riccardi di Firenze. Disegno originale attribuito al Mantegna presso la contessa di Rosebery).

'7) Le conclusioni sul linguaggio di Marcantonio saranno date in un altro nostro articolo.

, 8) Il Vasari ci riferisce che Baccio Bandinelli ebbe a querelarsi con Clemente VII, il quale gli diede torto.

NOTIZIE: IL RIORDINAMENTO DELLA PINACOTECA DEL MUSEO NAZIONALE DI NAPOLI

I LAVORI di riordinamento s' iniziarono nel febbraio del 1930 con la revisione degli inventari, il prosegui­

mento della compilazione dei cataloghi, la formazione dello schedario generale - consultabile dal pubblico in segreteria - nonchè con la distribuzione del vasto materiale in quattro sezioni: I) opere da esporre al pubblico; 2) opere da conservare quali documenti per lo studio della storia dell 'arte (archivio di 2" scelta); 3) opere decorative costituenti un fondo di riserva per even­tuali scambi e per adornare ambienti; 4) opere di scarto.

Un lungo lavoro di esame, riassetto e restauro del materiale pittorico portò il numero dei quadri da esporre a 451 , mentre il catalogo del 1928, ne contava 389.

Furono restaurati dipinti di grande valore e ormai con­siderati perduti, quali il Riuatlo di Paolo III del Tiziano (n. 1I35) e l'altro Ritratto tizianesco, del card. Bembo

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(n. 1136), non mai esposti in questo secolo. Come anche i due Ritratti virili del Parmigianino (n. 752 e Il 38), la tavoletta del Pacchia (n. 510), il Ritratto di pontefice del Pulzone (n. 729), la Madonna delle Grazie, tavola di Bottega raffaellesca (n. 734), il Presepe di polidoro da Caravaggio (n. 741), la grande tavola della Deposizione di Andrea da Salerno (n. 774), il S. Francesco del Mu­ziano (n. 608), il Cristo davanti a Erode dello Schiavone (n. 858), due belle tele di Bernardo Cavallino (n. 522 e 523), una assai rara di Aniello Falcone (n. 520), un ignoto Jan Both (n. 673), quattro paesi del Civetta (n. 654, 674, 675, 678), tre tele di Sebastiano Ricci, e varie altre del Giordano e di minori cinque e secentisti napoletani.

Furono restaurati anche la grande pala dell' Ortolano (n. 73), il S . Antonio Abate del Correggio (n. 105) e il Ritratto del card. Farnese, ascritto a Raffaello, ma quasi

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