IL MONDIALE DI PUTIN - uniroma1.it...La Russia di Vladimir Putin, a suo modo, un ‘Nuovo Mondo’...
Transcript of IL MONDIALE DI PUTIN - uniroma1.it...La Russia di Vladimir Putin, a suo modo, un ‘Nuovo Mondo’...
89RIVISTA ITALIANA DI INTELLIGENCE
«Sarà davvero strano l’avvicinamento al prossimo Mondiale di calcio...». E comepotrebbe essere altrimenti, considerato che la Nazionale italiana non sarà tra leprotagoniste di Russia 2018... Un evento straordinario per un’infinità di ragioni:dal significato squisitamente sportivo in sé alle implicazioni geopolitiche chederivano dal luogo dove l’evento si svolgerà. La Russia di Vladimir Putin, a suomodo, un ‘Nuovo Mondo’ ancora tutto da decifrare per i canoni di comprensione‘occidentale’. Una terra sconfinata e complessa che, grazie all’ormai imminenterassegna iridata del pallone, si consegna – senza se e senza ma – all’ingranaggioipercapitalista filosoficamente vessato fino al 1989. Ma forse mai sufficientementemetabolizzato da una fetta della popolazione a tutt’oggi ancorata alle tradizionidella fu Unione Sovietica.
FRANCESCO REPICE
IL MONDIALEDELLA RUSSIADI PUTIN
Sarà davvero strano l’avvicinamento al prossimo Mondiale di calcio, inusuale
per lo meno: senza la possibilità di scatenare il ‘Cittì’ che alberga in ognuno
di noi; senza poter vibrare d’emozione, almeno in questa pagana ricorrenza,
per la nostra Bandiera. La Russia sarà ancor più lontana di quanto non cer-
tifichino le migliaia di chilometri che da essa ci separano. La Russia, che la
generazione dei ragazzi degli anni Sessanta e Settanta è stata abituata a vedere come
un ‘modello’ o come il ‘regno del male’ in quel mondo spaccato a metà che la memoria
ha riposto in un angolo recondito della nostra esistenza, ma che forse, nei fatti, rimane
tale per tanti motivi.
Il Novecento e il Duemila, così lontani ma anche così vicini da poterli fotografare in uno
scatto immortale: l’immagine di Pietro Mennea che alza il dito indice alla fine di un 200
metri olimpico sul tartan dello stadio di Mosca dopo una rimonta mozzafiato, come a
dire «il numero uno sono io», rappresenta il picco emotivo di un’edizione dei giochi –
quella del 1980 – che in quel momento tutti, ma davvero tutti, dimenticarono essere
monca, innaturale, anacronistica, come del resto quella di quattro anni più tardi a Los
Angeles, che incoronò Carl Lewis come «il figlio del vento».
Mosca, la capitale dell’Unione Sovietica: un territorio sterminato,
migliaia di chilometri prima e dopo gli Urali, con un orizzonte al
limite dell’affaccio sul mare che approda in Giappone a est; una
striscia di ghiaccio tra la penisola scandinava e l’Alaska a nord;
infinite distese di steppa e deserto prima dell’ortodossia medio-
rientale a sud e un’area ammortizzata da una schiera di nazioni
‘alleate’ a separarlo dagli effimeri bagliori dell’Occidente. Stirpi
mongole, siberiane o uzbeke poco avrebbero compreso quattro
anni più tardi dello scintillìo stars and stripes dei giochi hollywoo-
diani. Al meglio furono invece rappresentate dall’essenziale e au-
stero rigore sovietico, imperniato sul risultato squisitamente
sportivo piuttosto che sullo spettacolo, con le necessarie ecce-
zioni dovute alle parate militari sulla Piazza Rossa degne, come
detto, della più riconoscibile rappresentazione berlinese del
1936. Da allora a oggi il contesto storico-politico è radicalmente
mutato, ma la necessità di propagandare la bontà di un regime
– a prescindere dal suo segno politico – è rimasta sostanzial-
mente inalterata. Allora come oggi ‘l’uomo solo al comando’, l’in-
carnazione del potere ovunque esso rivolga il suo sguardo, ha
bisogno di essere condiviso attraverso i mezzi di comunicazione
mai come oggi ‘di massa’. Nuovi assetti, vecchi sistemi. Se è vero
come è vero che Yelena Isinbayeva, regina incontrastata del salto
con l’asta per quasi un decennio, venne arruolata da Vladimir
Putin poco prima dei Giochi invernali di Sochi per divulgare la
giustezza della norma che escludeva gli atleti omosessuali dalle
competizioni olimpiche. Il solo associare un nome prestigioso
dello sport a una legge discriminatoria ha avuto il potere di sca-
tenare un dibattito furioso tra gli ammiratori incondizionati del
presidente russo e i suoi più feroci oppositori. Il Cremlino come
icona di un nazionalismo di ritorno scevro da lacciuoli ideologici
ma, se possibile, incatenato a un’immagine anacronistica dello
sport ‘virile’ e ‘normale’ e quindi capace di solleticare gli istinti
del qualunquismo più becero, non a caso, in balìa del fascino e
del carisma di Vladimir Putin. Per queste evidenti ragioni, la pros-
sima kermesse mondiale va considerata come un veicolo pub-
blicitario irrinunciabile per l’attuale regime. Ma, al tempo stesso,
l’irripetibile occasione per gli oppositori dell’attuale amministra-
zione di divulgare il loro dissenso e renderlo fruibile all’intero
pianeta. Non è certo una novità: un’arma a doppio taglio che l’in-
telligence russa sta da anni studiando per sfruttarne le enormi
potenzialità propagandistiche.
91RIVISTA ITALIANA DI INTELLIGENCE
IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN
Altre storie. Altri tempi, d’accordo. Contestualizzando, però, ci si ac-
corge che forse il leit motiv geopolitico dell’imminente Mondiale di
calcio in Russia non differisce così tanto dalle motivazioni che per-
suasero i Comitati olimpici del 1980 e del 1984 a indicare in Mosca e
Los Angeles le megalopoli più adatte a ospitare quelle edizioni dei
giochi a cinque cerchi.
Con qualche differenza nel merito.
Allora, in piena Guerra fredda, l’assegnazione salomonica delle ras-
segne olimpiche servì in qualche modo a esaltare l’equidistanza del
governo mondiale dello sport rispetto ai due blocchi contrapposti; al-
lora, in un pianeta letteralmente diviso in due, si preferì distribuire
meriti e colpe badando a un perfetto dosaggio dei giudizi, persino nel
più antisportivo dei comportamenti: il boicottaggio.
Oggi, in un mondo dove certi concetti politici, economici, sociali e
culturali non trovano, se non altro in apparenza, dimore dove svilup-
pare le loro ancora – almeno in qualche caso – valide motivazioni, il
criterio della scelta appare appaltato a fattori, se possibile, ancor più
identificabili e vincolanti rispetto al passato: potenza economica equi-
vale a potenza politica, senza lo spauracchio di un conflitto bellico
mondiale sia ben inteso, ma con una contrapposizione sotterranea,
se possibile più cruenta di una minaccia nucleare, fortunatamente
fino a oggi mai diventata realtà.
Le Olimpiadi del 1980, i Giochi invernali del 2014, il Mondiale di calcio
del 2018: Mosca, Sochi, la Russia intera sotto i riflettori del pianeta.
Appuntamenti scanditi da una storia spesso controversa, di certo mai
compresa a pieno, altrettanto difficile da interpretare e riportare fe-
delmente nonostante i mezzi di comunicazione globali e sofisticatis-
simi a disposizione di chi è chiamato a informare su questi eventi a
loro modo epocali. A vent’anni dalla fine del XX secolo, la Russia do-
veva contrabbandare al mondo l’immagine di un sistema che di lì a
poco si sarebbe sgretolato come un muro infracidito dall’inesorabile
scorrere del tempo e delle stagioni. Un cliché classico, persino banale.
Che ricalcava, in modo uguale e contrario, la straordinaria mise en scène
delle Olimpiadi di Berlino del 1936 che Leni Riefenstahl offrì in dono
ad Adolf Hitler nel momento più fulgido del nazionalsocialismo.
Nel 1980 Mosca apparve agli occhi dei telespettatori asciutta sintesi
di organizzazione e dedizione allo sport senza concessioni allo show bu-
siness, imperante al di qua della Cortina di ferro, in quello che si usava
definire ‘il mondo libero’, schiavizzato però dalla dittatura del super-
capitalismo senza o con pochissime regole in grado di arginarne la
portata distruttiva.
90 GNOSIS 1/2018
FRANCESCO REPICE
In questo senso, Putin sembra aver assimilato al meglio gli insegnamenti
di quei leader che hanno fatto della prudenza la loro arma di dissuasione
e neutralizzazione più efficace nei confronti degli attacchi provenienti dal-
l’esterno: «la Russia non boicotterà i Giochi invernali di Pyeongchang» ha
rassicurato recentemente lo stesso Putin, quasi a voler smussare gli angoli
acutissimi di una polemica tra la Duma – il Parlamento di Mosca – e il Cio
responsabile dell’esclusione degli atleti russi dalle prossime Olimpiadi in-
vernali per quello che, semplificando, è stato definito «doping di Stato»,
ovvero la manipolazione dei dati sui controlli effettuati dagli atleti russi ai
Giochi invernali di Sochi. Una dichiarazione distensiva che ha fatto seguito
alla dura presa di posizione della Camera Bassa ai danni del rapporto della
Commissione Schmid e che tuonava più o meno così: «Basta accuse infon-
date contro i nostri atleti e niente interferenze politiche nello sport che
deve rimanere separato dalla politica». Non solo.
È stata sempre la Duma ad affondare il colpo sul Cio, sull’Unesco e sul-
l’Agenzia mondiale antidoping Wada, definendo le conclusioni riportate
nel rapporto della Commissione «assolutamente ingiustificate e persino
in violazione dei diritti umani e civili degli atleti umiliati solo perché orgo-
gliosi di rappresentare il loro paese».
Per il vecchio, ma allo stesso tempo attualissimo, concetto ‘del bastone e
della carota’, il Presidente ha voluto poi sfruttare l’ennesima occasione per
tornare sulla vicenda e togliersi quel sassolino dalla scarpa che tanto fa-
stidio gli stava arrecando. E così, nel bel mezzo della tradizionale confe-
renza stampa di fine anno (2017) ha tuonato: «L’ex responsabile del nostro
antidoping, Grigory Chernyshenko (la talpa che diede l’avvio all’indagine
del Cio e che ora gode della protezione Usa, n.d.A.) sta lavorando sotto il
controllo dei Servizi segreti statunitensi e anche sotto la costrizione della
Wada e dello stesso Cio. Il tutto, non a caso, alimentato alla vigilia delle
elezioni presidenziali del prossimo marzo».
Come non apprezzare allora, la scaltrezza politica e diplomatica di Putin
che, grazie ai suoi interventi, ‘morbido’ prima e sferzante poi, si è elevato
al ruolo di mediatore tra il Parlamento di Mosca e il governo mondiale dello
sport? Come poter immaginare, infatti, che la Duma abbia potuto alzare i
toni nei confronti di istituzioni così autorevoli – come Cio, Unesco e Wada
– senza che il Presidente ne fosse informato con largo anticipo al fine di
esercitare in seguito il suo ruolo di mediazione tra le forze in campo come
una ‘forza terza’ altrettanto autorevole ed equilibrata? Sono tutte tessere
di un mosaico teso a disegnare lo scenario plausibile di un approdo tra i
più sereni al Mondiale di calcio 2018 e della preparazione più idonea pos-
sibile alle elezioni presidenziali che confermano al Cremlino Vladimir Putin.
93RIVISTA ITALIANA DI INTELLIGENCE
IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN
MOSCA & WASHINGTON UNITED
Sotto un profilo geopolitico, l’ormai imminente campionato mon-
diale di calcio è soprattutto un vero e proprio punto di svolta e di
discontinuità rispetto al passato. Di fatto, un evento sportivo senza
contrapposizioni politiche – e tantomeno ideologiche – da poter
celebrare in perfetta unione di intenti tra le due superpotenze. Con
un duplice obiettivo: la gestione degli introiti pubblicitari e, come
già argomentato, la diffusione dell’immagine della Russia nel
mondo. Qualcosa di sicuramente più complicato da realizzare se
alla Casa Bianca non fosse cambiato l’inquilino a seguito delle ul-
time elezioni. Donald Trump sembra essere entrato perfettamente
in sintonia con Vladimir Putin; tutto il ‘feeling’ che non si era creato
con Barak Obama sembra invece governare il rapporto tra i due lea-
der. Il clima politico è radicalmente mutato rispetto al recente pas-
sato e certo non bastano la crisi nord-coreana e l’esclusione da
parte del Comitato olimpico internazionale (Cio) degli atleti russi
dalle Olimpiadi invernali a infrangere la collaborazione tra il Crem-
lino e la Casa Bianca imperniata sulla assai simile visione del
mondo tra Putin e Trump.
La domanda è: sarà sufficiente questa nuova ‘alleanza’ a impedire
che le critiche al Cremlino, certamente in arrivo da ambiti dell’Oc-
cidente, avvelenino il clima del Mondiale 2018?
I precedenti ci raccontano che le analisi politiche sull’impatto di
un evento sportivo nei paesi che lo hanno ospitato sono arrivate a
tempo scaduto: quindi assai dopo la celebrazione dell’evento
stesso. Valga, su tutti, l’esempio del mondiale di calcio del 1978
quando la notizia della mancata stretta di mano tra molti calciatori
della Selección del Flaco Menotti e il generale Videla al momento
in cui l’Argentina si consacrò campeón del mundo al Monumental
di Buenos Aires, fu divulgata con un certo ritardo. E assai poca eco
trovarono gli avvertimenti che anticiparono quel Mondiale sotto
forma di proteste formali nelle più alte istituzioni planetarie dello
sport e della politica; oppure attraverso gli scritti di innumerevoli
giornalisti sudamericani e non; o anche negli accorati appelli degli
intellettuali latino-americani a disertare il Mondiale organizzato in
un paese in cui si faceva scempio dei più elementari diritti umani.
Una lezione che arriva da lontano e che estende il suo avvertimento
ai giorni nostri, come a voler ammonire sulle conseguenze, anche
postume, di certi clamorosi errori di diplomazia politica.
92 GNOSIS 1/2018
FRANCESCO REPICE
Insomma, non è possibile non riconoscere a Vladimir Putin il merito
di aver restituito alla sua nazione – con modalità che sarà la Storia a
giudicare – un prestigio che sembrava essere stato inesorabilmente
cancellato dalla resa culturale ed economica senza condizioni del mar-
xismo al cospetto del capitalismo imperante nel ‘mondo libero’.
È nei vuoti di potere, nei periodi di grande incertezza, che si affermano
le personalità più forti. Quelle capaci di assemblare i metodi del pas-
sato, plasmandoli sulle necessità emergenti e avvertite dal popolo:
dallo spirito nazionalista, al sogno della ricchezza e della potenza. I si-
stemi di un tempo trascorso adattati ai desideri basici e primordiali
della contemporaneità. E tra quei sistemi v’è la gestione delle fonti in-
formative o il tentativo di interpretarle – e in qualche caso persino di
orientarle – per raggiungere gli obiettivi fissati in agenda: magari
un’edizione delle Olimpiadi oppure di un Mondiale di calcio. E tuttavia,
come detto, certe differenze tra Est e Ovest permangono nonostante i
cambiamenti epocali degli ultimi trent’anni. Basti pensare a come l’ele-
zione di Donald Trump abbia scatenato le critiche di mondi trasversali,
dalla cultura, alla finanza, per finire allo sport, e come queste siano
state amplificate nel resoconto giornalistico anche degli ultimi giorni
in cui, ad esempio, Lindsey Vonn, acclamatissima fuoriclasse dello sci
alpino statunitense, non ha avuto esitazioni ad affermare: «Gareggerò
per rappresentare il mio paese e i miei connazionali, non certo Donald
Trump». Sarebbero state certe esternazioni tollerate alla medesima ma-
niera in Russia? Ora? Sotto il regime vigente? Anche a questo interro-
gativo, la Storia ha ampiamente risposto.
IL MONDIALE PIÙ RICCO DI SEMPRE
Tutte le nazionali che disputeranno il Mondiale di calcio della prossima
estate avranno comunque la possibilità, relativamente al piazzamento
di ognuna, di spartirsi una torta superiore al mezzo miliardo di dollari.
Certo non briciole, ma altrettanto sicuramente una parte relativamente
trascurabile rispetto all’enorme quantità di denaro che sarà capace di
garantire, ora e in un immediato futuro, la partnership di sponsor riu-
niti dalla Fifa a sostegno di Russia 2018.
Tutto quanto sostenuto fino a questo momento può essere, ovvia-
mente, più o meno discutibile. La politica, come lo sport, si presta alle
interpretazioni più diverse; tantissimi sono i punti di vista e, soprat-
tutto, tutti rispettabili. Se poi il binomio politica / sport entra in stret-
tissima relazione, per le ragioni che abbiamo qui cercato di spiegare,
95RIVISTA ITALIANA DI INTELLIGENCE
IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN
Al resto, penserà la capacità del leader russo di gestire i canali
informativi tipici del mondo globalizzato. Quelle stesse fonti che,
in maniera piuttosto circostanziata, stanno cercando di rendere
accessibile alla pubblica opinione, interna e internazionale, il dis-
senso di una (non si sa quanto considerevole) parte del popolo
russo nei confronti di Putin. Non è raro, infatti, imbattersi in in-
chieste di stimatissimi organi d’informazione, scritta e televisiva,
che raccontano di manifestazioni di piazza anti-Putin corredate
dalle testimonianze di giornalisti e oppositori al regime scampati
– a loro dire – alla furia del Cremlino e che in questi anni – sem-
pre a loro dire – ha mietuto vittime illustri tra altri giornalisti e
oppositori al regime.
Da tutto ciò si desume come il mondo della comunicazione rive-
sta un ruolo fondamentale in vista di eventi sportivi della portata
politica di un’Olimpiade o di un Mondiale di calcio.
Diverso è il modo di gestire le informazioni in relazione ai sog-
getti nazionali, alle personalità dei leader, alla storia e alle tradi-
zioni politiche e culturali di quei paesi che quegli eventi hanno
l’onore e l’onere di organizzare, prima, e ospitare, poi.
Ed è proprio in quest’ambito che le differenze tra l’Occidente e
la Russia rimangono praticamente le stesse rispetto agli anni
della Guerra fredda, seppur nelle riconosciute affinità tra Putin e
Trump. Di come sportivi di vertice russi abbiano accolto positi-
vamente le leggi omofobe del Cremlino in occasione dei Giochi
invernali di Sochi, abbiamo già parlato. Da una parte certi endor-
sement possono essere stati in qualche modo ‘imbeccati’; dall’altra
sarebbe intellettualmente disonesto non riconoscere come l’at-
tuale amministrazione sia stata capace di intercettare tutta la fru-
strazione di quei milioni di cittadini russi a seguito della caduta
del sistema politico-economico che aveva fatto del loro paese
una potenza riconosciuta e temuta a livello planetario. Il passag-
gio dall’economia di stato al libero mercato ha segnato profon-
damente la popolazione dalla fine degli anni Ottanta all’inizio del
nuovo millennio. Una fase difficilissima da superare. Uno spazio
temporale caratterizzato dalla piaga di una nuova e, fino a quel
momento, sconosciuta povertà per un numero impressionante
di persone catapultate di colpo da un sistema iperprotettivo a
uno supercompetitivo senza disporre dei più elementari mezzi
per poterlo affrontare. Da qui, la necessità ‘dell’uomo forte’ che
superasse la dicotomia Gorbaciov / Eltsin e che restituisse orgo-
glio e forza alla ‘Grande Madre Russia’.
94 GNOSIS 1/2018
FRANCESCO REPICE
Proviamo a immaginare allora una catena, i cui anelli finiscono
per solidarizzare incuranti della loro grandezza, della lega di
cui sono formati, della ruggine che hanno dovuto sopportare
e della diversità della mano che li ha realizzati. E riusciranno a
congiungersi grazie al collante più resistente conosciuto in na-
tura: il denaro. Non c’è confine di lingua, razza, religione, credo
religioso o politico, storia, tradizione, guerra e contrapposi-
zione di ogni genere in grado di poter disinnescare la forza di-
rompente del denaro. Il denaro unisce ciò che, naturalmente,
sarebbe destinato a restare diviso. Nazioni lontanissime, per
un’infinità di ragioni, supereranno ogni ostacolo di slancio gra-
zie al miraggio del denaro; che poi tanto miraggio non è più,
vista la frequenza e la consistenza con cui riesce a materializ-
zarsi grazie alle ‘tecniche’ del nuovo mondo globalizzato.
Come d’incanto, Russia, Usa, Corea del Sud, Cina, Qatar hanno
trovato il modo di fondersi in un unico monolitico blocco d’ac-
ciaio per dar vita al più seguito evento sportivo del mondo.
L’ultimo anello in ordine di apparizione della catena citata è
Hisense: fondata in Cina nel 1969, è un’azienda che si occupa
della costruzione e vendita di elettrodomestici, radio, televi-
sori, frigoriferi, condizionatori d’aria, smartphone ecc. Nel 2016
ha fatturato 13 miliardi di dollari; conta su una forza lavoro di
75.000 persone e i suoi prodotti sono i più venduti in 130 paesi
del mondo. Eppure i rapporti diplomatici tra Cina, Russia e
Corea del Sud hanno recentemente conosciuto una fase di
grande difficoltà proprio a seguito della crisi nordcoreana, con
Mosca e Pechino sullo stesso fronte di persuasione nei con-
fronti di Seul affinché non ceda alle lusinghe guerrafondaie di
Donald Trump contro il dittatore di Pyong Yang. È bastato che
la Fifa illustrasse i suoi ambiziosi programmi calcistici e offrisse
l’opportunità di sponsorizzare la Coppa del Mondo anche a Hi-
sense, perché ogni diffidenza svanisse come una nuvola spaz-
zata da un vento di tramontana. E ancora, cosa può tenere
insieme Coca Cola, McDonald’s e Visa a un colosso dell’avia-
zione civile (partner del Mondiale anch’esso, s’intende) come
Qatar Airways? Il quesito non è poi di così facile soluzione, spe-
cie se si tiene conto delle parole pronunciate dal presidente
della Federcalcio tedesca, Reinhard Grindel, il 5 giugno 2017:
«Su una cosa la comunità calcistica deve essere d’accordo: i
tornei più importanti non si possono giocare in quei paesi che
sostengono attivamente il terrorismo».
97RIVISTA ITALIANA DI INTELLIGENCE
IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN
ecco che il tema diventa oggetto di grande dibattito, sempre, ovvia-
mente, all’interno dei confini del buonsenso e sulla base di fatti certi
dai quali partire per elaborare una teoria.
C’è comunque un limite oggettivo: quello ricavabile dai movimenti
finanziari che non lasciano adito a dubbi o a teorie e che dimostrano,
al di là di ogni ragionevole dubbio, come un evento sportivo della
portata di un Mondiale di calcio sia motivo di grande interesse per
un regime di qualunque segno politico, specie se nelle condizioni di
manovrare i grandi gruppi economici che lo gestiscono. E questo è
sicuramente il caso della Russia. Cina, Qatar, Usa, Russia, Corea del
Sud: un sistema di sponsorizzazione garantito dalla e alla Fifa, assai
complesso con la divisione in macro-regioni per tutti i continenti del
pianeta. Coca Cola, McDonald’s, Gruppo Wanda, Visa, Qatar Airways,
Hyundai / Kia, Adidas, Budweiser e, soprattutto, Gazprom e Hisense.
La Gazprom Group è l’azienda di Stato del gas che fattura 180 mi-
liardi di dollari l’anno e che da tempo è diventata il main sponsor della
Champions League, il torneo internazionale per club più importante
del mondo. Essa vanta la rete di condutture sotterranee e sottoma-
rine più lunga del pianeta (158.200 km!) e controlla molti consigli di
amministrazione di società agricole, mediatiche, bancarie e assicu-
rative. Un colosso finanziario spaventoso che Boris Eltsin privatizzò
– con modalità piuttosto grossolane – agli inizi degli anni Novanta
e che, alla fine di quel decennio, attraversò i marosi di scandali che
costarono miliardi di dollari agli investitori ‘interni’ ed ‘esterni’ e che,
agli inizi del nuovo millennio, Putin rivoltò dalle fondamenta sfrut-
tandolo anche nei recenti contenziosi con Ucraina e Bielorussia.
Troppo lungo e complicato sarebbe entrare nei meandri di queste
acrobazie finanziarie di regime che hanno segnato la Russia dalla
caduta del Muro a oggi e che l’hanno – di fatto – disegnata e co-
struita per come la conosciamo alla vigilia del Mondiale di calcio.
Resta comunque poco contestabile il fatto che Putin possa esercitare
su Gazprom un’influenza di una certa importanza. Grazie a sistemi
che qualcuno contesta apertamente e altri, altrettanto apertamente,
esaltano per i risultati che Gazprom è riuscita a ottenere imponen-
dosi come terza azienda mondiale nel settore. Forse anche in virtù
della presenza e dell’influenza del ‘Signore del Cremlino’. Del resto,
sono fisiologicamente riconosciuti, politicamente parlando, l’effica-
cia e il pragmatismo dell’Uomo solo al comando: colui, cioè, che è
potenzialmente in grado di bypassare lacci e lacciuoli burocratici che
altri paesi, governati da regimi democratici di più solida tradizione,
devono necessariamente rispettare.
96 GNOSIS 1/2018
FRANCESCO REPICE
Sono i soldi a muovere il pallone? O è piuttosto il pallone a muo-
vere i soldi? Perché se è vero che il denaro orienta il governo mon-
diale del pallone, è altrettanto vero che se quel pallone non venisse
preso a calci dai sapienti piedi dei fuoriclasse non sposterebbe
nemmeno un centesimo e non arricchirebbe nessuno.
Ci si chiedeva un tempo se dovesse essere la politica a guidare le
scelte economiche di una nazione o, viceversa, l’economia a orien-
tare i governanti nelle loro scelte politiche. Nessuno ha mai saputo
rispondere ‘per esteso’. Nel senso che nessuna teoria è riuscita mai
a imporsi sull’altra, nessuna tesi ha mai avuto la soddisfazione di
confrontarsi con la sua naturale antitesi. È stata la Storia, però, a
emettere il suo verdetto. Inappellabile? Peggio ancora: giusto? Il
desiderio di giustizia, forse, è solo un anelito umano governato
dallo scorrere del tempo. Ciò che così è, un giorno forse non sarà.
E allora meglio pensare, o illudersi, che saranno una finta, un drib-
bling, un gol o una gran parata a liberarci dall’angoscia di dover ri-
spondere a domande così difficili
99RIVISTA ITALIANA DI INTELLIGENCE
IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN
Già da tempo la decisione sul mondiale del 2022 in Qatar era
stata presa. E a pochi giorni da quelle dichiarazioni, il Paris
Saint-Germain, di proprietà del fondo del Qatar, è riuscito a
strappare Neymar Junior al Barcellona, ovviamente a suon di
miliardi. Uno degli uomini di sport più ammirati nel mondo,
con molti meno anni di Messi e Cristiano Ronaldo. Una stella
luminosissima del firmamento calcistico, capace di infiam-
mare le folle con le sue giocate fantasmagoriche. Il numero
10 della nazionale di calcio brasiliana. Il simbolo del pallone.
Chi se non lui a veicolare questo sport verso un mondiale che
sarebbe (e sarà) tra i più controversi di sempre, come sottoli-
neato da Reinhard Grindel?
E qui il discorso porterebbe lontano, verso orizzonti e obiettivi
sensibilissimi che, però, hanno l’indubbio merito di riportarci,
per paradosso, al punto di partenza. A quelle paure inascol-
tate e a quegli avvertimenti ignorati di quei tanti – o pochis-
simi, forse – che hanno avuto il coraggio e la forza di alzare la
loro voce in difesa di un’idea: quella che lo sport è nato per
unire genti diverse e non con l’obiettivo del guadagno.
IN CONCLUSIONE
Eppure, nonostante tutto, alla fine sarà la magia del calcio a
sovrastare ogni interesse, a sottomettere ogni mira finanziaria,
a far passare in secondo piano i pur mastodontici movimenti
economici. Basteranno un assolo di Leo Messi, un diagonale
di Cristiano Ronaldo, una finta di ’O Ney , o anche di un astro
nascente che, ancora senza nome, grazie al suo talento co-
mincerà a diffondere la sua luce proprio in occasione del mon-
diale, a catturare l’emozione degli uomini offuscando tutto il
resto. O, per lo meno, quel resto che con una partita di calcio
non ha nulla a che fare. La partita di calcio: una liturgia pa-
gana che, per circa 90 minuti, non ammette incursioni bla-
sfeme. Su quell’immacolata distesa verde deve rotolare solo
un pallone e il calpestìo dev’essere solo quello dei tacchetti
indossati dai calciatori e dagli arbitri. Tutto ciò che spiove sul
campo, fatta eccezione per i colori e i suoni dei tifosi, è ‘altro’
dal calcio, anche se il calcio medesimo si offre di ospitarlo.
Resta solo da definire un confine, una missione quasi impos-
sibile per l’evanescenza e la sottigliezza del confine stesso.
98 GNOSIS 1/2018
FRANCESCO REPICE