IL MONDIALE DI PUTIN - uniroma1.it...La Russia di Vladimir Putin, a suo modo, un ‘Nuovo Mondo’...

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89 RIVISTA ITALIANA DI INTELLIGENCE «Sarà davvero strano l’avvicinamento al prossimo Mondiale di calcio...». E come potrebbe essere altrimenti, considerato che la Nazionale italiana non sarà tra le protagoniste di Russia 2018... Un evento straordinario per un’infinità di ragioni: dal significato squisitamente sportivo in sé alle implicazioni geopolitiche che derivano dal luogo dove l’evento si svolgerà. La Russia di Vladimir Putin, a suo modo, un ‘Nuovo Mondo’ ancora tutto da decifrare per i canoni di comprensione ‘occidentale’. Una terra sconfinata e complessa che, grazie all’ormai imminente rassegna iridata del pallone, si consegna – senza se e senza ma – all’ingranaggio ipercapitalista filosoficamente vessato fino al 1989. Ma forse mai sufficientemente metabolizzato da una fetta della popolazione a tutt’oggi ancorata alle tradizioni della fu Unione Sovietica. F RANCESCO R EPICE IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN S arà davvero strano l’avvicinamento al prossimo Mondiale di calcio, inusuale per lo meno: senza la possibilità di scatenare il ‘Cittì’ che alberga in ognuno di noi; senza poter vibrare d’emozione, almeno in questa pagana ricorrenza, per la nostra Bandiera. La Russia sarà ancor più lontana di quanto non cer- tifichino le migliaia di chilometri che da essa ci separano. La Russia, che la generazione dei ragazzi degli anni Sessanta e Settanta è stata abituata a vedere come un ‘modello’ o come il ‘regno del male’ in quel mondo spaccato a metà che la memoria ha riposto in un angolo recondito della nostra esistenza, ma che forse, nei fatti, rimane tale per tanti motivi. Il Novecento e il Duemila, così lontani ma anche così vicini da poterli fotografare in uno scatto immortale: l’immagine di Pietro Mennea che alza il dito indice alla fine di un 200 metri olimpico sul tartan dello stadio di Mosca dopo una rimonta mozzafiato, come a dire «il numero uno sono io», rappresenta il picco emotivo di un’edizione dei giochi – quella del 1980 – che in quel momento tutti, ma davvero tutti, dimenticarono essere monca, innaturale, anacronistica, come del resto quella di quattro anni più tardi a Los Angeles, che incoronò Carl Lewis come «il figlio del vento».

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89RIVISTA ITALIANA DI INTELLIGENCE

«Sarà davvero strano l’avvicinamento al prossimo Mondiale di calcio...». E comepotrebbe essere altrimenti, considerato che la Nazionale italiana non sarà tra leprotagoniste di Russia 2018... Un evento straordinario per un’infinità di ragioni:dal significato squisitamente sportivo in sé alle implicazioni geopolitiche chederivano dal luogo dove l’evento si svolgerà. La Russia di Vladimir Putin, a suomodo, un ‘Nuovo Mondo’ ancora tutto da decifrare per i canoni di comprensione‘occidentale’. Una terra sconfinata e complessa che, grazie all’ormai imminenterassegna iridata del pallone, si consegna – senza se e senza ma – all’ingranaggioipercapitalista filosoficamente vessato fino al 1989. Ma forse mai sufficientementemetabolizzato da una fetta della popolazione a tutt’oggi ancorata alle tradizionidella fu Unione Sovietica.

FRANCESCO REPICE

IL MONDIALEDELLA RUSSIADI PUTIN

Sarà davvero strano l’avvicinamento al prossimo Mondiale di calcio, inusuale

per lo meno: senza la possibilità di scatenare il ‘Cittì’ che alberga in ognuno

di noi; senza poter vibrare d’emozione, almeno in questa pagana ricorrenza,

per la nostra Bandiera. La Russia sarà ancor più lontana di quanto non cer-

tifichino le migliaia di chilometri che da essa ci separano. La Russia, che la

generazione dei ragazzi degli anni Sessanta e Settanta è stata abituata a vedere come

un ‘modello’ o come il ‘regno del male’ in quel mondo spaccato a metà che la memoria

ha riposto in un angolo recondito della nostra esistenza, ma che forse, nei fatti, rimane

tale per tanti motivi.

Il Novecento e il Duemila, così lontani ma anche così vicini da poterli fotografare in uno

scatto immortale: l’immagine di Pietro Mennea che alza il dito indice alla fine di un 200

metri olimpico sul tartan dello stadio di Mosca dopo una rimonta mozzafiato, come a

dire «il numero uno sono io», rappresenta il picco emotivo di un’edizione dei giochi –

quella del 1980 – che in quel momento tutti, ma davvero tutti, dimenticarono essere

monca, innaturale, anacronistica, come del resto quella di quattro anni più tardi a Los

Angeles, che incoronò Carl Lewis come «il figlio del vento».

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Mosca, la capitale dell’Unione Sovietica: un territorio sterminato,

migliaia di chilometri prima e dopo gli Urali, con un orizzonte al

limite dell’affaccio sul mare che approda in Giappone a est; una

striscia di ghiaccio tra la penisola scandinava e l’Alaska a nord;

infinite distese di steppa e deserto prima dell’ortodossia medio-

rientale a sud e un’area ammortizzata da una schiera di nazioni

‘alleate’ a separarlo dagli effimeri bagliori dell’Occidente. Stirpi

mongole, siberiane o uzbeke poco avrebbero compreso quattro

anni più tardi dello scintillìo stars and stripes dei giochi hollywoo-

diani. Al meglio furono invece rappresentate dall’essenziale e au-

stero rigore sovietico, imperniato sul risultato squisitamente

sportivo piuttosto che sullo spettacolo, con le necessarie ecce-

zioni dovute alle parate militari sulla Piazza Rossa degne, come

detto, della più riconoscibile rappresentazione berlinese del

1936. Da allora a oggi il contesto storico-politico è radicalmente

mutato, ma la necessità di propagandare la bontà di un regime

– a prescindere dal suo segno politico – è rimasta sostanzial-

mente inalterata. Allora come oggi ‘l’uomo solo al comando’, l’in-

carnazione del potere ovunque esso rivolga il suo sguardo, ha

bisogno di essere condiviso attraverso i mezzi di comunicazione

mai come oggi ‘di massa’. Nuovi assetti, vecchi sistemi. Se è vero

come è vero che Yelena Isinbayeva, regina incontrastata del salto

con l’asta per quasi un decennio, venne arruolata da Vladimir

Putin poco prima dei Giochi invernali di Sochi per divulgare la

giustezza della norma che escludeva gli atleti omosessuali dalle

competizioni olimpiche. Il solo associare un nome prestigioso

dello sport a una legge discriminatoria ha avuto il potere di sca-

tenare un dibattito furioso tra gli ammiratori incondizionati del

presidente russo e i suoi più feroci oppositori. Il Cremlino come

icona di un nazionalismo di ritorno scevro da lacciuoli ideologici

ma, se possibile, incatenato a un’immagine anacronistica dello

sport ‘virile’ e ‘normale’ e quindi capace di solleticare gli istinti

del qualunquismo più becero, non a caso, in balìa del fascino e

del carisma di Vladimir Putin. Per queste evidenti ragioni, la pros-

sima kermesse mondiale va considerata come un veicolo pub-

blicitario irrinunciabile per l’attuale regime. Ma, al tempo stesso,

l’irripetibile occasione per gli oppositori dell’attuale amministra-

zione di divulgare il loro dissenso e renderlo fruibile all’intero

pianeta. Non è certo una novità: un’arma a doppio taglio che l’in-

telligence russa sta da anni studiando per sfruttarne le enormi

potenzialità propagandistiche.

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IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN

Altre storie. Altri tempi, d’accordo. Contestualizzando, però, ci si ac-

corge che forse il leit motiv geopolitico dell’imminente Mondiale di

calcio in Russia non differisce così tanto dalle motivazioni che per-

suasero i Comitati olimpici del 1980 e del 1984 a indicare in Mosca e

Los Angeles le megalopoli più adatte a ospitare quelle edizioni dei

giochi a cinque cerchi.

Con qualche differenza nel merito.

Allora, in piena Guerra fredda, l’assegnazione salomonica delle ras-

segne olimpiche servì in qualche modo a esaltare l’equidistanza del

governo mondiale dello sport rispetto ai due blocchi contrapposti; al-

lora, in un pianeta letteralmente diviso in due, si preferì distribuire

meriti e colpe badando a un perfetto dosaggio dei giudizi, persino nel

più antisportivo dei comportamenti: il boicottaggio.

Oggi, in un mondo dove certi concetti politici, economici, sociali e

culturali non trovano, se non altro in apparenza, dimore dove svilup-

pare le loro ancora – almeno in qualche caso – valide motivazioni, il

criterio della scelta appare appaltato a fattori, se possibile, ancor più

identificabili e vincolanti rispetto al passato: potenza economica equi-

vale a potenza politica, senza lo spauracchio di un conflitto bellico

mondiale sia ben inteso, ma con una contrapposizione sotterranea,

se possibile più cruenta di una minaccia nucleare, fortunatamente

fino a oggi mai diventata realtà.

Le Olimpiadi del 1980, i Giochi invernali del 2014, il Mondiale di calcio

del 2018: Mosca, Sochi, la Russia intera sotto i riflettori del pianeta.

Appuntamenti scanditi da una storia spesso controversa, di certo mai

compresa a pieno, altrettanto difficile da interpretare e riportare fe-

delmente nonostante i mezzi di comunicazione globali e sofisticatis-

simi a disposizione di chi è chiamato a informare su questi eventi a

loro modo epocali. A vent’anni dalla fine del XX secolo, la Russia do-

veva contrabbandare al mondo l’immagine di un sistema che di lì a

poco si sarebbe sgretolato come un muro infracidito dall’inesorabile

scorrere del tempo e delle stagioni. Un cliché classico, persino banale.

Che ricalcava, in modo uguale e contrario, la straordinaria mise en scène

delle Olimpiadi di Berlino del 1936 che Leni Riefenstahl offrì in dono

ad Adolf Hitler nel momento più fulgido del nazionalsocialismo.

Nel 1980 Mosca apparve agli occhi dei telespettatori asciutta sintesi

di organizzazione e dedizione allo sport senza concessioni allo show bu-

siness, imperante al di qua della Cortina di ferro, in quello che si usava

definire ‘il mondo libero’, schiavizzato però dalla dittatura del super-

capitalismo senza o con pochissime regole in grado di arginarne la

portata distruttiva.

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FRANCESCO REPICE

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In questo senso, Putin sembra aver assimilato al meglio gli insegnamenti

di quei leader che hanno fatto della prudenza la loro arma di dissuasione

e neutralizzazione più efficace nei confronti degli attacchi provenienti dal-

l’esterno: «la Russia non boicotterà i Giochi invernali di Pyeongchang» ha

rassicurato recentemente lo stesso Putin, quasi a voler smussare gli angoli

acutissimi di una polemica tra la Duma – il Parlamento di Mosca – e il Cio

responsabile dell’esclusione degli atleti russi dalle prossime Olimpiadi in-

vernali per quello che, semplificando, è stato definito «doping di Stato»,

ovvero la manipolazione dei dati sui controlli effettuati dagli atleti russi ai

Giochi invernali di Sochi. Una dichiarazione distensiva che ha fatto seguito

alla dura presa di posizione della Camera Bassa ai danni del rapporto della

Commissione Schmid e che tuonava più o meno così: «Basta accuse infon-

date contro i nostri atleti e niente interferenze politiche nello sport che

deve rimanere separato dalla politica». Non solo.

È stata sempre la Duma ad affondare il colpo sul Cio, sull’Unesco e sul-

l’Agenzia mondiale antidoping Wada, definendo le conclusioni riportate

nel rapporto della Commissione «assolutamente ingiustificate e persino

in violazione dei diritti umani e civili degli atleti umiliati solo perché orgo-

gliosi di rappresentare il loro paese».

Per il vecchio, ma allo stesso tempo attualissimo, concetto ‘del bastone e

della carota’, il Presidente ha voluto poi sfruttare l’ennesima occasione per

tornare sulla vicenda e togliersi quel sassolino dalla scarpa che tanto fa-

stidio gli stava arrecando. E così, nel bel mezzo della tradizionale confe-

renza stampa di fine anno (2017) ha tuonato: «L’ex responsabile del nostro

antidoping, Grigory Chernyshenko (la talpa che diede l’avvio all’indagine

del Cio e che ora gode della protezione Usa, n.d.A.) sta lavorando sotto il

controllo dei Servizi segreti statunitensi e anche sotto la costrizione della

Wada e dello stesso Cio. Il tutto, non a caso, alimentato alla vigilia delle

elezioni presidenziali del prossimo marzo».

Come non apprezzare allora, la scaltrezza politica e diplomatica di Putin

che, grazie ai suoi interventi, ‘morbido’ prima e sferzante poi, si è elevato

al ruolo di mediatore tra il Parlamento di Mosca e il governo mondiale dello

sport? Come poter immaginare, infatti, che la Duma abbia potuto alzare i

toni nei confronti di istituzioni così autorevoli – come Cio, Unesco e Wada

– senza che il Presidente ne fosse informato con largo anticipo al fine di

esercitare in seguito il suo ruolo di mediazione tra le forze in campo come

una ‘forza terza’ altrettanto autorevole ed equilibrata? Sono tutte tessere

di un mosaico teso a disegnare lo scenario plausibile di un approdo tra i

più sereni al Mondiale di calcio 2018 e della preparazione più idonea pos-

sibile alle elezioni presidenziali che confermano al Cremlino Vladimir Putin.

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IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN

MOSCA & WASHINGTON UNITED

Sotto un profilo geopolitico, l’ormai imminente campionato mon-

diale di calcio è soprattutto un vero e proprio punto di svolta e di

discontinuità rispetto al passato. Di fatto, un evento sportivo senza

contrapposizioni politiche – e tantomeno ideologiche – da poter

celebrare in perfetta unione di intenti tra le due superpotenze. Con

un duplice obiettivo: la gestione degli introiti pubblicitari e, come

già argomentato, la diffusione dell’immagine della Russia nel

mondo. Qualcosa di sicuramente più complicato da realizzare se

alla Casa Bianca non fosse cambiato l’inquilino a seguito delle ul-

time elezioni. Donald Trump sembra essere entrato perfettamente

in sintonia con Vladimir Putin; tutto il ‘feeling’ che non si era creato

con Barak Obama sembra invece governare il rapporto tra i due lea-

der. Il clima politico è radicalmente mutato rispetto al recente pas-

sato e certo non bastano la crisi nord-coreana e l’esclusione da

parte del Comitato olimpico internazionale (Cio) degli atleti russi

dalle Olimpiadi invernali a infrangere la collaborazione tra il Crem-

lino e la Casa Bianca imperniata sulla assai simile visione del

mondo tra Putin e Trump.

La domanda è: sarà sufficiente questa nuova ‘alleanza’ a impedire

che le critiche al Cremlino, certamente in arrivo da ambiti dell’Oc-

cidente, avvelenino il clima del Mondiale 2018?

I precedenti ci raccontano che le analisi politiche sull’impatto di

un evento sportivo nei paesi che lo hanno ospitato sono arrivate a

tempo scaduto: quindi assai dopo la celebrazione dell’evento

stesso. Valga, su tutti, l’esempio del mondiale di calcio del 1978

quando la notizia della mancata stretta di mano tra molti calciatori

della Selección del Flaco Menotti e il generale Videla al momento

in cui l’Argentina si consacrò campeón del mundo al Monumental

di Buenos Aires, fu divulgata con un certo ritardo. E assai poca eco

trovarono gli avvertimenti che anticiparono quel Mondiale sotto

forma di proteste formali nelle più alte istituzioni planetarie dello

sport e della politica; oppure attraverso gli scritti di innumerevoli

giornalisti sudamericani e non; o anche negli accorati appelli degli

intellettuali latino-americani a disertare il Mondiale organizzato in

un paese in cui si faceva scempio dei più elementari diritti umani.

Una lezione che arriva da lontano e che estende il suo avvertimento

ai giorni nostri, come a voler ammonire sulle conseguenze, anche

postume, di certi clamorosi errori di diplomazia politica.

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Insomma, non è possibile non riconoscere a Vladimir Putin il merito

di aver restituito alla sua nazione – con modalità che sarà la Storia a

giudicare – un prestigio che sembrava essere stato inesorabilmente

cancellato dalla resa culturale ed economica senza condizioni del mar-

xismo al cospetto del capitalismo imperante nel ‘mondo libero’.

È nei vuoti di potere, nei periodi di grande incertezza, che si affermano

le personalità più forti. Quelle capaci di assemblare i metodi del pas-

sato, plasmandoli sulle necessità emergenti e avvertite dal popolo:

dallo spirito nazionalista, al sogno della ricchezza e della potenza. I si-

stemi di un tempo trascorso adattati ai desideri basici e primordiali

della contemporaneità. E tra quei sistemi v’è la gestione delle fonti in-

formative o il tentativo di interpretarle – e in qualche caso persino di

orientarle – per raggiungere gli obiettivi fissati in agenda: magari

un’edizione delle Olimpiadi oppure di un Mondiale di calcio. E tuttavia,

come detto, certe differenze tra Est e Ovest permangono nonostante i

cambiamenti epocali degli ultimi trent’anni. Basti pensare a come l’ele-

zione di Donald Trump abbia scatenato le critiche di mondi trasversali,

dalla cultura, alla finanza, per finire allo sport, e come queste siano

state amplificate nel resoconto giornalistico anche degli ultimi giorni

in cui, ad esempio, Lindsey Vonn, acclamatissima fuoriclasse dello sci

alpino statunitense, non ha avuto esitazioni ad affermare: «Gareggerò

per rappresentare il mio paese e i miei connazionali, non certo Donald

Trump». Sarebbero state certe esternazioni tollerate alla medesima ma-

niera in Russia? Ora? Sotto il regime vigente? Anche a questo interro-

gativo, la Storia ha ampiamente risposto.

IL MONDIALE PIÙ RICCO DI SEMPRE

Tutte le nazionali che disputeranno il Mondiale di calcio della prossima

estate avranno comunque la possibilità, relativamente al piazzamento

di ognuna, di spartirsi una torta superiore al mezzo miliardo di dollari.

Certo non briciole, ma altrettanto sicuramente una parte relativamente

trascurabile rispetto all’enorme quantità di denaro che sarà capace di

garantire, ora e in un immediato futuro, la partnership di sponsor riu-

niti dalla Fifa a sostegno di Russia 2018.

Tutto quanto sostenuto fino a questo momento può essere, ovvia-

mente, più o meno discutibile. La politica, come lo sport, si presta alle

interpretazioni più diverse; tantissimi sono i punti di vista e, soprat-

tutto, tutti rispettabili. Se poi il binomio politica / sport entra in stret-

tissima relazione, per le ragioni che abbiamo qui cercato di spiegare,

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IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN

Al resto, penserà la capacità del leader russo di gestire i canali

informativi tipici del mondo globalizzato. Quelle stesse fonti che,

in maniera piuttosto circostanziata, stanno cercando di rendere

accessibile alla pubblica opinione, interna e internazionale, il dis-

senso di una (non si sa quanto considerevole) parte del popolo

russo nei confronti di Putin. Non è raro, infatti, imbattersi in in-

chieste di stimatissimi organi d’informazione, scritta e televisiva,

che raccontano di manifestazioni di piazza anti-Putin corredate

dalle testimonianze di giornalisti e oppositori al regime scampati

– a loro dire – alla furia del Cremlino e che in questi anni – sem-

pre a loro dire – ha mietuto vittime illustri tra altri giornalisti e

oppositori al regime.

Da tutto ciò si desume come il mondo della comunicazione rive-

sta un ruolo fondamentale in vista di eventi sportivi della portata

politica di un’Olimpiade o di un Mondiale di calcio.

Diverso è il modo di gestire le informazioni in relazione ai sog-

getti nazionali, alle personalità dei leader, alla storia e alle tradi-

zioni politiche e culturali di quei paesi che quegli eventi hanno

l’onore e l’onere di organizzare, prima, e ospitare, poi.

Ed è proprio in quest’ambito che le differenze tra l’Occidente e

la Russia rimangono praticamente le stesse rispetto agli anni

della Guerra fredda, seppur nelle riconosciute affinità tra Putin e

Trump. Di come sportivi di vertice russi abbiano accolto positi-

vamente le leggi omofobe del Cremlino in occasione dei Giochi

invernali di Sochi, abbiamo già parlato. Da una parte certi endor-

sement possono essere stati in qualche modo ‘imbeccati’; dall’altra

sarebbe intellettualmente disonesto non riconoscere come l’at-

tuale amministrazione sia stata capace di intercettare tutta la fru-

strazione di quei milioni di cittadini russi a seguito della caduta

del sistema politico-economico che aveva fatto del loro paese

una potenza riconosciuta e temuta a livello planetario. Il passag-

gio dall’economia di stato al libero mercato ha segnato profon-

damente la popolazione dalla fine degli anni Ottanta all’inizio del

nuovo millennio. Una fase difficilissima da superare. Uno spazio

temporale caratterizzato dalla piaga di una nuova e, fino a quel

momento, sconosciuta povertà per un numero impressionante

di persone catapultate di colpo da un sistema iperprotettivo a

uno supercompetitivo senza disporre dei più elementari mezzi

per poterlo affrontare. Da qui, la necessità ‘dell’uomo forte’ che

superasse la dicotomia Gorbaciov / Eltsin e che restituisse orgo-

glio e forza alla ‘Grande Madre Russia’.

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FRANCESCO REPICE

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Proviamo a immaginare allora una catena, i cui anelli finiscono

per solidarizzare incuranti della loro grandezza, della lega di

cui sono formati, della ruggine che hanno dovuto sopportare

e della diversità della mano che li ha realizzati. E riusciranno a

congiungersi grazie al collante più resistente conosciuto in na-

tura: il denaro. Non c’è confine di lingua, razza, religione, credo

religioso o politico, storia, tradizione, guerra e contrapposi-

zione di ogni genere in grado di poter disinnescare la forza di-

rompente del denaro. Il denaro unisce ciò che, naturalmente,

sarebbe destinato a restare diviso. Nazioni lontanissime, per

un’infinità di ragioni, supereranno ogni ostacolo di slancio gra-

zie al miraggio del denaro; che poi tanto miraggio non è più,

vista la frequenza e la consistenza con cui riesce a materializ-

zarsi grazie alle ‘tecniche’ del nuovo mondo globalizzato.

Come d’incanto, Russia, Usa, Corea del Sud, Cina, Qatar hanno

trovato il modo di fondersi in un unico monolitico blocco d’ac-

ciaio per dar vita al più seguito evento sportivo del mondo.

L’ultimo anello in ordine di apparizione della catena citata è

Hisense: fondata in Cina nel 1969, è un’azienda che si occupa

della costruzione e vendita di elettrodomestici, radio, televi-

sori, frigoriferi, condizionatori d’aria, smartphone ecc. Nel 2016

ha fatturato 13 miliardi di dollari; conta su una forza lavoro di

75.000 persone e i suoi prodotti sono i più venduti in 130 paesi

del mondo. Eppure i rapporti diplomatici tra Cina, Russia e

Corea del Sud hanno recentemente conosciuto una fase di

grande difficoltà proprio a seguito della crisi nordcoreana, con

Mosca e Pechino sullo stesso fronte di persuasione nei con-

fronti di Seul affinché non ceda alle lusinghe guerrafondaie di

Donald Trump contro il dittatore di Pyong Yang. È bastato che

la Fifa illustrasse i suoi ambiziosi programmi calcistici e offrisse

l’opportunità di sponsorizzare la Coppa del Mondo anche a Hi-

sense, perché ogni diffidenza svanisse come una nuvola spaz-

zata da un vento di tramontana. E ancora, cosa può tenere

insieme Coca Cola, McDonald’s e Visa a un colosso dell’avia-

zione civile (partner del Mondiale anch’esso, s’intende) come

Qatar Airways? Il quesito non è poi di così facile soluzione, spe-

cie se si tiene conto delle parole pronunciate dal presidente

della Federcalcio tedesca, Reinhard Grindel, il 5 giugno 2017:

«Su una cosa la comunità calcistica deve essere d’accordo: i

tornei più importanti non si possono giocare in quei paesi che

sostengono attivamente il terrorismo».

97RIVISTA ITALIANA DI INTELLIGENCE

IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN

ecco che il tema diventa oggetto di grande dibattito, sempre, ovvia-

mente, all’interno dei confini del buonsenso e sulla base di fatti certi

dai quali partire per elaborare una teoria.

C’è comunque un limite oggettivo: quello ricavabile dai movimenti

finanziari che non lasciano adito a dubbi o a teorie e che dimostrano,

al di là di ogni ragionevole dubbio, come un evento sportivo della

portata di un Mondiale di calcio sia motivo di grande interesse per

un regime di qualunque segno politico, specie se nelle condizioni di

manovrare i grandi gruppi economici che lo gestiscono. E questo è

sicuramente il caso della Russia. Cina, Qatar, Usa, Russia, Corea del

Sud: un sistema di sponsorizzazione garantito dalla e alla Fifa, assai

complesso con la divisione in macro-regioni per tutti i continenti del

pianeta. Coca Cola, McDonald’s, Gruppo Wanda, Visa, Qatar Airways,

Hyundai / Kia, Adidas, Budweiser e, soprattutto, Gazprom e Hisense.

La Gazprom Group è l’azienda di Stato del gas che fattura 180 mi-

liardi di dollari l’anno e che da tempo è diventata il main sponsor della

Champions League, il torneo internazionale per club più importante

del mondo. Essa vanta la rete di condutture sotterranee e sottoma-

rine più lunga del pianeta (158.200 km!) e controlla molti consigli di

amministrazione di società agricole, mediatiche, bancarie e assicu-

rative. Un colosso finanziario spaventoso che Boris Eltsin privatizzò

– con modalità piuttosto grossolane – agli inizi degli anni Novanta

e che, alla fine di quel decennio, attraversò i marosi di scandali che

costarono miliardi di dollari agli investitori ‘interni’ ed ‘esterni’ e che,

agli inizi del nuovo millennio, Putin rivoltò dalle fondamenta sfrut-

tandolo anche nei recenti contenziosi con Ucraina e Bielorussia.

Troppo lungo e complicato sarebbe entrare nei meandri di queste

acrobazie finanziarie di regime che hanno segnato la Russia dalla

caduta del Muro a oggi e che l’hanno – di fatto – disegnata e co-

struita per come la conosciamo alla vigilia del Mondiale di calcio.

Resta comunque poco contestabile il fatto che Putin possa esercitare

su Gazprom un’influenza di una certa importanza. Grazie a sistemi

che qualcuno contesta apertamente e altri, altrettanto apertamente,

esaltano per i risultati che Gazprom è riuscita a ottenere imponen-

dosi come terza azienda mondiale nel settore. Forse anche in virtù

della presenza e dell’influenza del ‘Signore del Cremlino’. Del resto,

sono fisiologicamente riconosciuti, politicamente parlando, l’effica-

cia e il pragmatismo dell’Uomo solo al comando: colui, cioè, che è

potenzialmente in grado di bypassare lacci e lacciuoli burocratici che

altri paesi, governati da regimi democratici di più solida tradizione,

devono necessariamente rispettare.

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Sono i soldi a muovere il pallone? O è piuttosto il pallone a muo-

vere i soldi? Perché se è vero che il denaro orienta il governo mon-

diale del pallone, è altrettanto vero che se quel pallone non venisse

preso a calci dai sapienti piedi dei fuoriclasse non sposterebbe

nemmeno un centesimo e non arricchirebbe nessuno.

Ci si chiedeva un tempo se dovesse essere la politica a guidare le

scelte economiche di una nazione o, viceversa, l’economia a orien-

tare i governanti nelle loro scelte politiche. Nessuno ha mai saputo

rispondere ‘per esteso’. Nel senso che nessuna teoria è riuscita mai

a imporsi sull’altra, nessuna tesi ha mai avuto la soddisfazione di

confrontarsi con la sua naturale antitesi. È stata la Storia, però, a

emettere il suo verdetto. Inappellabile? Peggio ancora: giusto? Il

desiderio di giustizia, forse, è solo un anelito umano governato

dallo scorrere del tempo. Ciò che così è, un giorno forse non sarà.

E allora meglio pensare, o illudersi, che saranno una finta, un drib-

bling, un gol o una gran parata a liberarci dall’angoscia di dover ri-

spondere a domande così difficili

99RIVISTA ITALIANA DI INTELLIGENCE

IL MONDIALE DELLA RUSSIA DI PUTIN

Già da tempo la decisione sul mondiale del 2022 in Qatar era

stata presa. E a pochi giorni da quelle dichiarazioni, il Paris

Saint-Germain, di proprietà del fondo del Qatar, è riuscito a

strappare Neymar Junior al Barcellona, ovviamente a suon di

miliardi. Uno degli uomini di sport più ammirati nel mondo,

con molti meno anni di Messi e Cristiano Ronaldo. Una stella

luminosissima del firmamento calcistico, capace di infiam-

mare le folle con le sue giocate fantasmagoriche. Il numero

10 della nazionale di calcio brasiliana. Il simbolo del pallone.

Chi se non lui a veicolare questo sport verso un mondiale che

sarebbe (e sarà) tra i più controversi di sempre, come sottoli-

neato da Reinhard Grindel?

E qui il discorso porterebbe lontano, verso orizzonti e obiettivi

sensibilissimi che, però, hanno l’indubbio merito di riportarci,

per paradosso, al punto di partenza. A quelle paure inascol-

tate e a quegli avvertimenti ignorati di quei tanti – o pochis-

simi, forse – che hanno avuto il coraggio e la forza di alzare la

loro voce in difesa di un’idea: quella che lo sport è nato per

unire genti diverse e non con l’obiettivo del guadagno.

IN CONCLUSIONE

Eppure, nonostante tutto, alla fine sarà la magia del calcio a

sovrastare ogni interesse, a sottomettere ogni mira finanziaria,

a far passare in secondo piano i pur mastodontici movimenti

economici. Basteranno un assolo di Leo Messi, un diagonale

di Cristiano Ronaldo, una finta di ’O Ney , o anche di un astro

nascente che, ancora senza nome, grazie al suo talento co-

mincerà a diffondere la sua luce proprio in occasione del mon-

diale, a catturare l’emozione degli uomini offuscando tutto il

resto. O, per lo meno, quel resto che con una partita di calcio

non ha nulla a che fare. La partita di calcio: una liturgia pa-

gana che, per circa 90 minuti, non ammette incursioni bla-

sfeme. Su quell’immacolata distesa verde deve rotolare solo

un pallone e il calpestìo dev’essere solo quello dei tacchetti

indossati dai calciatori e dagli arbitri. Tutto ciò che spiove sul

campo, fatta eccezione per i colori e i suoni dei tifosi, è ‘altro’

dal calcio, anche se il calcio medesimo si offre di ospitarlo.

Resta solo da definire un confine, una missione quasi impos-

sibile per l’evanescenza e la sottigliezza del confine stesso.

98 GNOSIS 1/2018

FRANCESCO REPICE