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Il mito e l’epica Il mito greco Laura Orvieto l La nascita delle Muse* Vai Roberto Piumini l Prometeo Vai L’epica classica Iliade l Priamo e Achille Vai Odissea l Le Sirene Vai Eneide l Eurialo e Niso Vai * L’Editore non è riuscito a individuare gli aventi diritto, ed è disponibile alla corresponsione dell’equo compenso di norma.

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Il mito e l’epica

Il mito greco

Laura Orvieto l La nascita delle Muse* Vai ���Roberto Piumini l Prometeo Vai ���

L’epica classica

Iliade l Priamo e Achille Vai ���Odissea l Le Sirene Vai ���Eneide l Eurialo e Niso Vai ���

* L’Editore non è riuscito a individuare gli aventi diritto, ed èdisponibile alla corresponsione dell’equo compenso di norma.

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Erano nove sorelle, figlie di Zeus. La loro madre si chiamava Armonia.Occhi celesti e bruni e neri; capelli biondissimi quasi d’argento, e d’orovivo, e castani, e rosso cupo, e nero azzurro; persone snelle, agili, slan-

I protagonisti dei miti greci sono divinità ed eroi.Gli antichi Greci adoravano molti dei. Essi venivano immaginati consembianze umane perfette: nella maggior parte dei casi, erano bellissimied eternamente giovani; tutti avevano poteri straordinari e si nutrivano solodi nettare e ambrosia, alimenti divini proibiti ai mortali. Oltre all’aspetto, gli dei assomigliavano agli uomini anche per il carattere: potevano essere,infatti, saggi e generosi, ma anche litigiosi e vendicativi. Talvolta litigi e vendette si consumavano solo tra divinità, ma in altri casi coinvolgevano gli uomini, con tremende conseguenze per questi ultimi.Gli dei incarnavano elementi e forze della Natura, come il mare, il fulmine e ilterremoto; sentimenti, come l’amore o la discordia; virtù, come l’intelligenzae l’astuzia; abilità, come la lavorazione dei metalli e la medicina.Le divinità più importanti erano dodici e risiedevano sull’Olimpo, un monte dellaTessaglia dove, secondo il mito, si trovava la loro dimora. Tra questi dei maggiorivi erano Zeus, re dell’Olimpo, padrone del fulmine e supremo giudice; Era, suasorella e moglie, protettrice dei matrimoni e della maternità; Apollo, dio delSole, delle arti e della medicina; sua sorella Artemide, dea della Luna, dellacaccia e dei boschi; Ares, dio della guerra; Afrodite, dea della bellezza e dellafertilità; Atena, dea dell’intelligenza, della strategia bellica e dei mestieri.Oltre agli dei dell’Olimpo, ve ne erano molti altri, come ad esempioPoseidone, fratello di Zeus, dio del mare e dei terremoti, e Ade, anch’eglifratello di Zeus, padrone dell’Oltretomba.Gli dei erano variamente imparentati tra loro; molti erano figli che Zeusaveva concepito con altre dee, suscitando la gelosia di Era. Ad esempio,Apollo e Artemide erano figli di Zeus e della dea Latona, che Era perseguitòdurante la gravidanza e il parto.Quando invece Zeus si univa con donne mortali, nascevano eroi o donne daldestino grandioso e tragico, come ad esempio Eracle, Perseo e la bellissimaElena.Nonostante i loro grandi poteri, anche gli dei erano sottomessi a una forzasuperiore: il Fato, o destino, a cui nessuno, mortale o immortale, potevasottrarsi.Nei miti più antichi, le Muse erano cantatrici divine che con le loro soavimelodie rallegravano gli dei dell’Olimpo, ma erano anche le dee del Pensieroin ogni sua forma: saggezza, storia, matematica, astronomia, eloquenza.Successivamente a ciascuna di esse venne attribuita un’arte specifica, ed è a quest’ultima tradizione che si è ispirata la scrittrice Laura Orvieto per la suariscrittura del mito.

La nascita delle Musedalla scrittrice Laura OrvietoMito greco raccontato

Armonia era una dea,figlia di Ares e di Afro-dite.

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ciate, sottili. Nessuna somigliava all’altra, e tutte erano tanto belle chenon si poteva dire quale lo fosse di più.

La prima che nacque, il primo giorno, fu Callìope. E la seconda che nacque, il secondo giorno, fu Clio.Le chiamarono così, con nomi greci, perché le nove fanciulle erano

tutte greche.Callìope, appena nata, si guardò intorno per vedere il mondo.Vide nel mondo la gran vita perenne; e uomini che pensavano, com-

battevano, inventavano cose nuove, soffrivano, morivano per dare a sée agli altri più luce, più grandezza, più ricchezza, più spazio e più gioia.Combattevano per vincere i mostri dell’acqua, della terra e dell’aria, eil caos che continuamente minacciava di distruggerli. Questa lotta sarebbedurata all’infinito: Calliope lo vedeva e lo sapeva.

Guardò e guardò, coi suoi grandi occhi azzurri. E poi disse:«Io canterò le storie degli eroi. Di quelli che affrontano i mostri del-

l’acqua, della terra e dell’aria, di quelli che combattono e vincono peruna causa, di quelli che muoiono per dare al mondo più luce, più gioia,più altezza e più giustizia. In poesia le canterò, e insegnerò ai poeti acantarle, perché non voglio che le grandi imprese degli eroi, e i loronomi gloriosi, vadano perduti come il fumo nell’aria o la schiuma nel-l’acqua. Voglio che i nipoti possano ricordare gli avi quando da secolisaranno morti, e si esaltino nelle loro imprese, e i migliori e più fortisiano incitati a mettersi in gara con loro, come se fossero vivi. Così essisaranno grandi luci, come fari che illuminano le vite e le vie degli uomininuovi nei nuovi cammini. Canterò le grandi imprese, e insegnerò aipoeti a cantarle».

Così disse Callìope. E all’orizzonte, laggiù, lontano, apparvero e pas-sarono grandi ombre maestose, che irraggiavano bagliori luminosi, scin-tillii d’armi, fosforescenze di pensiero. Erano le ombre degli eroi, cheCallìope vedeva: i passati, i presenti, i futuri: e tutti eran come se fos-sero sempre vivi nel tempo e nello spazio.

E Clio, la seconda sorella, guardò intorno ella pure, coi suoi grandiocchi color pervinca. Guardò intorno a lungo, pensosa. E poi disse:

«Ma quante cose, quante cose io vedo nel mondo, oltre alle impresedegli eroi! Vedo le madri che allevano con pena e con gioia i loro pic-cini, popoli interi che vivono una loro vita e ognuna è diversa dalle altre,fiumane di gente che lavora, combatte, obbedisce, soffre e muore, ognunacon le sue gioie e i suoi dolori, le sue grandezze e le sue miserie. Comeuna immensa foresta che è fatta di tanti alberi diversi, e ogni albero èimportante per formare la grande foresta, come un prato verdissimodel quale non si vedono i confini, e che pure è fatto di innumerevoli filid’erba, e ogni filo è uno, con la sua vita e la sua morte, così sono i popoli:noi vediamo il grande prato, e sappiamo che ognuna delle esistenze chelo compongono è un mondo con le sue grandezze e le sue miserie, lesue lotte, le sue sconfitte e le sue vittorie.

«Sì, io canterò le storie dei popoli. Voglio raccontarle tutte, coi loro

Come la maggior partedelle divinità greche, leMuse erano bellissime econservavano in eternola loro giovinezza.

Gli dei nascevano giàadulti e dotati di poterisoprannaturali.

Gli uomini che Callìopeosserva sono gli eroi, chesecondo la mitologia grecaabitarono il mondo inepoche remote.

Calliope è la musa dellapoesia epica, che cele -bra e rende eterne leimprese degli eroi.

Anche Clio guarda ilmondo in cui vivono imortali, ma vede altrecose: le vicende deipopoli, le storie dellagente comune.

Clio è la musa dellastoria, che insegna agliuomini a ricordare i fattidel passato, a compren-derne le ragioni e aimparare da essi, pervivere sempre meglio.

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usi e costumi, le rivoluzioni, le leggi, le conquiste. Tutte le storie dellastoria del mondo io voglio raccontare, perché le nuove genti le ascol-tino e sappiano e si esaltino, e imparino. Imparino a vivere sempremeglio, ricordando i fatti degli antichi e i perché delle cose».

Così disse Clio: all’orizzonte si videro innumerevoli ombre che pas-savano; non finivano mai. E Callìope e Clio, la prima e la seconda dellenove sorelle, si amarono, e cantarono molte volte insieme.

Ecco, il terzo giorno nacque la terza sorella, e il quarto giorno laquarta. La terza sorella la chiamarono Tersìcore, e la quarta sorella lachiamarono Eutèrpe. Tersìcore vide quello che facevano le sue sorellemaggiori e ammirò la loro opera: poi guardò il lavoro degli uomini nelmondo. E disse:

«Sì, mi piace quello che fanno le mie sorelle. Ma sono cose troppodifficili per me. Io voglio un’altra cosa.

«Io voglio ballare. Inventerò tutti i balli, tanti, diversi e belli: alcunili insegnerò ai contadini per le feste della mietitura, per quelle dellavendemmia e per quelle della primavera, e altri li insegnerò ai re ealle regine e alle giovani principesse e ai principi per le cerimonie dicorte. Inventerò danze solenni, per i cortei religiosi, altre vivaci, perle nozze e conviti; danze leggere per le riunioni dei giovani, e altrelente, dolenti, che accompagneranno gli eroi alla loro tomba. Tuttala vita degli uomini, dalla nascita alla morte, io l’accompagnerò conle mie danze, e sarà più armoniosa: insegnerò ai giovani a essere piùbelli, alle fanciulle a diventare più agili e graziose, e coi bambini faròil girotondo».

Ecco parlò Eutèrpe, nata appena un giorno dopo di Tersícore. Eutèrpedisse:

«Io ti amo, o Tersìcore, e mi piace stare con te. E perciò io ti accom-pagnerò con la musica. E con la musica dirò agli uomini quello che leparole non sanno esprimere: risveglierò i loro sentimenti più nascosti,li esalterò e li placherò, li farò fremere e piangere, darò incanti miste-riosi e rapimenti ineffabili. Al suono della musica partiranno lieti perardue imprese e gloriose; celebreranno i loro riti nuziali, che commo-veranno le giovani spose fin nel profondo; e accompagneranno, lenti, iloro prodi alla tomba.

«Le madri col canto culleranno i bimbi appena nati: e i bimbi sorri-deranno alla vita sentendo il canto della mamma. I contadini e i refesteggeranno con la musica gli abbondanti raccolti e i lauti banchetti:con essa i soldati e le vergini accompagneranno le loro marce militarie i candidi cortei, e per essa tutto, nel mondo, diventerà più vivo, piùarmonioso, e misterioso e bello».

Così disse e diede al mondo la musica.Mentre ella parlava, le piccole foglie della foresta e gli atomi dell’aria

e le acque dei ruscelli e dei fiumi cominciarono a cantare. Fu prima unbisbiglio, poi un mormorio, poi una sinfonia piena e solenne e travol-gente, che riempì la terra e il cielo, e penetrò in ogni fibra, come se una

Tersìcore è la musa delladanza, che rende la vitapiù armoniosa e accom-pagna eventi lieti etristi.

Eutèrpe è la musa dellamusica.

Con la musica, Eutèrperallegra, emoziona escuote gli animi dei mor-tali.

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vita nuova si aggiungesse all’antica. Fu un incanto e un delirio, e gioiaineffabile.

E Tersìcore aveva i capelli biondi con riflessi d’argento, ma Eutèrpeli aveva d’oro vivo, come se fossero fatti di raggi di sole.

Il quinto giorno nacque la quinta sorella, e la chiamarono Melpò-mene. Questa non somigliava per nulla alle altre, e faceva anzi con-trasto con tutte.

Era bruna e severa, aveva i capelli nero azzurro con riflessi rossi, dirame, e gli occhi neri e profondi: dava una impressione di tragica gran-dezza, e la sua vista turbava stranamente chi la vedeva.

Melpòmene, appena venuta al mondo, si guardò intorno, e disse:«A me piacciono i racconti di cose terribili, quelli che fanno venire

i brividi e non lasciano dormire. Mi piacerà far rappresentare questevicende sulla scena, come se fossero vere, ma non saranno vere: e sic-come saranno passate attraverso un’anima d’artista, che io avrò ispi-rato, così anche se faranno piangere non faranno soffrire, anzi darannogioia: e nell’anima di chi ascolta spalancheranno profondità ignorate,pensieri nuovi, orizzonti non prima sognati. E tutti andranno nei mieiteatri e ascolteranno gli attori recitare, tanto la scena sarà appassio-nante; e staranno lì intenti senza fiatare, tutti presi dall’azione che sisvolge, finta ma vera, davanti a loro. Sul teatro gli eroi e le eroine vivrannole loro tragiche vicende e spasimeranno, diranno le loro angosce e rive-leranno i sentimenti che provano, e poi moriranno: e gli spettatori fre-meranno d’orrore e saranno sconvolti fin nel profondo: sconvolti eppurerapiti dalla grandezza dell’arte. Sì, questo mi piace. E vorrò intorno ame grandi poeti, attori incomparabili, che scriveranno cose profonde ebelle, e più belle ancora sembreranno, quando saranno recitate sullascena. Queste sono le cose che io farò».

Così disse Melpòmene, che aveva gli occhi neri come carboni, e icapelli nero azzurro, con riflessi rossi, di sangue.

E mentre Melpòmene parlava, ecco apparivano all’orizzonte bagliorisanguigni, si udivano sospiri e grida e cozzar di spade; ed ella guardavae ascoltava intenta, presa anche lei dalla sua finzione.

Ma intanto era venuto il sesto giorno e la sesta sorella, ecco, eraapparsa anche lei.

E questa sesta sorella, che nacque il sesto giorno, non aveva affattol’aspetto tragico, ma i suoi capelli erano castani con riflessi d’oro bru-nito, e i suoi occhi parevano pieni di pagliuzze d’oro. La bocca sorri-deva e gli occhi ridevano. La chiamarono Talìa.

E Talìa, sorridente e maliziosetta, disse: «A me le cose terribili nonpiacciono: oh non mi ci diverto per niente! Anche a me piacciono i fattie le belle invenzioni rappresentate sulla scena, mi appassiona il teatro,e godrò di sentire recitare gli attori quando diranno cose finte che sem-breranno vere, ma le cose tragiche io non le posso sopportare. Vogliocommedie allegre, che ci sia qualche volta da piangere ma più spessoda ridere, e che tutto vada poi a finir bene. Così si resta contenti, si torna

Melpòmene è la musadella tragedia, e con lesue parole definisce lecaratteristiche principalidi questo genere tea-trale: farà piangere, masolleciterà pensieri nu -ovi e profondi, emozioniintense e tumultuose.

Talìa è la musa dellacommedia. Anche lei,come la sorella Melpò-mene, indica le caratte-ristiche del genere: lecommedie saranno alle -gre, faranno ridere glispettatori e avranno unlieto fine.

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a casa tranquilli e di buon umore, si dorme bene e si vive meglio. Perciògli artisti che io ispirerò scriveranno belle commedie divertenti, qualchevolta anche satiriche e qualche volta anche serie, ma non mai una tra-gedia: queste commedie io le farò recitare da bravi attori comici, e lagente desidererà sempre molto di sentirle. Rideranno, mi ringrazie-ranno e mi applaudiranno. Sì, la commedia mi piace assai: io proteg-gerò i poeti che comicizzano la vita, e farò recitare quello che scrivono».

Così disse Talìa, che era una fanciulla lieta e ridente.Ecco, adesso erano nate sei sorelle, ed erano tutte belle.E la settima sorella, che nacque il settimo giorno, la chiamarono

Polínnia.Aveva gli occhi color di viola, pieni di pagliuzze d’argento, e i capelli

di un biondo pallido pallido. Ma quando si accendeva, i capelli di Polìnniaprendevano riflessi d’oro e di fiamma, e quando era malinconica gliocchi le diventavano color d’ombra, come il cielo azzurro quando spa-risce il sole.

E anche Polìnnia, come le sue sorelle, si guardò intorno, a lungo.Disse: «Io guardo il mondo, e vedo tante cose. Ma poi guardo la mia

anima, e ne vedo di più. Perché la mia anima è come uno specchio cheriflette le cose viventi: le riflette e le moltiplica; è come un raggio cherivela cose invisibili a occhi umani, e i pensieri più profondamentenascosti. È come una corda tesa, che vibra se il vento o anche solo unsospiro la tocchi. Quello che la mia anima vede io lo dirò: quello che lamia anima sente io lo canterò. I dolori che fanno piangere e quegli altriche fanno soffrire e non si può piangere, e le gioie che rendono leggeral’anima e luminosa, e i sentimenti che ci fanno fremere e ci portano lon-tano come se non si fosse più noi, e le infinite vibrazioni del pensiero edell’essere, tutte queste cose io le esprimerò con parole che saranno sin-ghiozzi, lucide frecce, spasimi acuti, melodie cullanti, brividi esaltanti.Le esprimerò, e le farò esprimere ai poeti, ai veri poeti. Poiché la loroanima ha mille corde, vibranti come mille mondi, essi ascolteranno laloro anima, e quello che essa suggerirà essi diranno. Canteranno quelloche la loro anima canta dentro, e gli uomini ascolteranno intenti».

Così disse Polìnnia dalle mille voci, che aveva un’anima tesa e melo-diosa come un’arpa eolia.

Poi venne l’ottavo giorno, e nacque l’ottava sorella. Questa la chia-marono Èrato.

E appena Èrato nacque, le fiorirono intorno innumerevoli rose, tutterosse di fiamma, fra innumerevoli spine acute e pungenti; e un piccoloadorabile bambino alato le volò accanto sorridendo maliziosamente.

Èrato si guardò intorno, guardò il bambino, sorrise e pianse. Poi disse:«Io canterò l’amore. Senza amore il mondo è freddo e deserto e

morto, e l’anima vuota e sconsolata e desolata. Io canterò l’amore, lucee fuoco del mondo e dell’anima».

Così disse Èrato, che aveva gli occhi dolci e ardenti, e la sua bellezzaera ardente e strana. Quando ella cantava l’amore il suo fascino era

Polìnnia è la musa dellapoesia lirica, quella cheesprime sentimenti, pen -sieri ed emozioni del-l’artista, che dà voce eforma al suo mondo inte-riore.

Èrato è la musa dellapoesia d’amore, un sen-timento meravigliosocome una rosa rossa, macome la rosa ricco dispine, cioè di dolori.

Le rose rosso fiamma, lespine, il bambino alato:sono tutti indizi cheanticipano ciò che Èratosta per dire.

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irresistibile, l’aria intorno diventava dolce e tenera e ardente e tumul-tuosa, tutta luce e vibrazione appassionata: lei stessa era vita e luce eardore, e incantava e rapiva ogni essere vivente.

Adesso non mancava più che la nona sorella, che era l’ultima. Ementre le altre erano nate di mattina, come Tersìcore e Eutèrpe, oquando il sole era alto nel cielo, come Callíope e Clío, o quando stavaper tramontare, rosso fra rosse nubi, come Melpòmene, questa nonasorella nacque nel mezzo della notte, quando già le stelle splendevanochiare nel cielo, come fari che accennassero e chiamassero verso di loro:splendevano lucenti ed eterne, come infinite parole dell’infinito uni-verso. E questa nona sorella, che nacque ultima, nel cuore della notte,la chiamarono Urània.

Urània non guardò la terra, ma alzò gli occhi verso il cielo.E disse: «Io, Urània, non vedrò le grandezze e le miserie della terra,

ma guarderò il cielo e studierò le stelle. Sì, le stelle saranno il mio regno,che è infinito e lucente e magnifico. Lontana dagli uomini, vedendo sololuci eterne, io studierò le vie degli astri e il corso delle stelle e le loroleggi, e saprò e dirò di loro cose non mai sapute, meravigliose, e dellaluna e del sole. Sì, io vivrò con le stelle, io, Urània».

E Urània aveva i capelli color sole e luna, era più alta di tutte le suesorelle, e i suoi occhi parevano un cielo notturno.

Ed era bellissima: tutte le nove sorelle erano bellissime.E le nove sorelle, le Muse, si presero per mano, e cantarono e dan-

zarono; e tutti accorsero a guardarle, perché l’armonia di tutte loroinsieme dava beatitudine.

Zeus loro padre si rallegrò per avere dato al mondo quelle belle ecare figlie, perché dovunque esse apparissero la terra si allietava, ognunodimenticava i suoi dolori e i pensieri tristi: anche le cose più tremende,quando c’erano loro, non facevano più male. Ascoltandole si scordavaogni pena, e l’anima era rapita lontana da se stessa, in un mondo ignotoe luminoso, in un’aria dolce e serena e piena di letizia.

(L. Orvieto, Storie di bambini molto antichi, Milano, Mondadori, 1971)

Ed ecco, infine, l’ultimasorella: è Urània, musadell’astronomia.

Le muse, cioè le arti,consolano i mortali erendono la vita più dolcee lieta.

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Fin da quando era piccolo, Prometeo aveva sentito dire da suo padreGiapeto, e dagli altri Titani1:

«Non fidarti di Zeus2, Prometeo. Guarda sempre più in alto di lui,oppure più in basso».

Prometeo aveva tenuto conto di quel consiglio, ma poiché a guar-dare più in alto di Zeus non riusciva, guardò più in basso, e vide l’uomo.

Anche Prometeo era mortale, anche se di gran forza e sapienza, egli spiaceva vedere gli uomini sbandare di qua e di là sulla terra, rudi eselvaggi, poco più che animali: era convinto che c’era del buono nel-l’umanità, e che bisognava aiutarla.

Così cominciò ad aggirarsi per la terra, e ad insegnare agli uominile arti della caccia e della pesca, della costruzione dei vasi e della tessi-tura; e insegnava loro anche le regole della vita in comune, quelle almenoche bastavano per impedire agli uomini di scannarsi a vicenda. E unpo’ perché Prometeo era buon maestro, un po’ perché gli uomini sape-vano imparare, ci fu tra la gente più ordine e pace, si videro cose decentie si ascoltarono parole ben dette: insomma si cominciò a vedere e gustarela civiltà.

A quel punto Zeus si infastidì.«Prometeo!» diceva apparendogli in sonno, qualche volta anche nelle

veglie. «Prometeo, se gli uomini sono uomini e gli Dei sono Dei, biso-gnerà che ci sia qualche differenza fra loro! Non esagerare dunque conla sapienza, Prometeo...»

Prometeo, senza esagerare, continuava l’opera sua: gli piaceva troppo

Il mito è una forma di narrazione anonima e popolare elaborata all’interno di società antichissime e tramandata oralmente per molti secoli.Con i racconti mitici gli uomini antichi cercarono di trovare una rispostafantastica e simbolica a quesiti grandi e complessi (ad esempio: come si èformato il mondo? chi fa sorgere il sole? quando è nato l’uomo?) per i qualinon disponevano di conoscenze scientifiche e razionali.Ogni popolo, nella sua fase più antica, ha elaborato una propria mitologia,cioè un insieme di miti. Per la cultura occidentale la mitologia più familiare è quella del mondo greco.Il racconto che ti proponiamo è la rielaborazione in stile moderno dell’anticomito greco di Prometeo, benefattore dell’umanità.

Prometeodallo scrittore Roberto PiuminiMito greco raccontato

Zeus teme che gli uominipossano progredire ec -cessivamente, e farsi ve -nire la tentazione di sfi-dare gli dei.

1. Giapeto... Titani: i Titani erano divi-nità antichissime. Figli di Urano e di Gea,erano stati scacciati dal loro padre, madopo che il più piccolo tra loro, Crono,riuscì a detronizzare Urano, presero il

potere. Furono a loro volta sconfitti daZeus, figlio di Crono, quando questicacciò il padre. Giapeto e Crono eranofratelli, quindi Prometeo e Zeus eranocugini.

2. Zeus: nella mitologia greca era il re ditutti gli dei. Superbo, potente e perma-loso, era capace di gesti di grande gene-rosità, ma anche di estrema ferocia neiconfronti di chi gli disobbediva.

Il ruolo di benefattoredi Prometeo emerge inmolti antichi miti greci.

I miti che raccontanol’origine delle città, delleusanze e delle abitudinisi chiamano “eziologici”:il mito di Prometeo ap -partiene a questa cate-goria in quanto raccontain forma simbolica lanascita della civiltà.

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vedere lo sguardo degli uomini illuminarsi di nuove idee, e sentire laloro voce tentare nuove parole.

Così andò per anni e anni, finché, a causa del miglioramento degliuomini, l’ira di Zeus colpì il mondo: un diluvio si scatenò, così lungo eterribile, che quasi ogni uomo morì.

Non tutti, però: Deucalione, figlio di Prometeo, e Pirra, sua sposa,riuscirono a salvarsi e a continuare la specie. Il fatto è che Deucalione,buon allievo del padre, era stato il primo a saper costruire una barcarobusta, e l’aveva appena finita quando il diluvio mandato da Zeus colpiil mondo: così vi montò, e con Pirra vagò per nova giorni sulla turbo-lenza del nuovo oceano, finche l’acqua calò e la barca approdò sul monteParnaso3.

Tutto intorno era da rifare da capo. Per fortuna, non soltanto Pro-meteo era dalla loro parte: anche altri Dei, affezionati agli uomini, aiu-tarono i due naufraghi, ed Ermes4 più di tutti. Il Dio volò sul Parnasoe disse ai due sposi:

«Volete gente? Ne volete tanta? Non dovete fare altro che gettaredietro le spalle le ossa di vostra madre».

«Nostra madre? Come possiamo?» chiese Pirra stupefatta, e dispe-rata, perché quello che il Dio chiedeva non era possibile.

Ma Deucalione, dopo aver meditato, disse:«Ecco cosa intendeva Ermes: la terra è nostra madre. E le ossa di lei

che dobbiamo gettare, sono le pietre!»Così andarono su un’altura e gettarono dietro le spalle moltissime

pietre: e dalle pietre gettate da Deucalione nascevano uomini; da quellegettate da Pirra nascevano donne. E donne e uomini si accoppiarono,e nacquero molti bambini, così l’umanità tornava ad esistere, salvatadalla distruzione di Zeus.

Quando Prometeo lo seppe ne gioì.“Però, dovremo essere più prudenti”, disse fra sé. “Non converrà

rivelare agli uomini le arti e le scienze tutte in una volta: questo provo-cherebbe di nuovo l’ira di Zeus. Gliene darò una alla volta, lentamente,in modo che gli Dei si abituino un poco alla volta all’immagine mutantedell’uomo...”

Prometeo prese a girare, e tornò ad insegnare agli uomini ciò che giàaveva insegnato: ma piano piano, senza fretta, una parola alla volta, inmodo che imparassero bene il sapore e masticassero a lungo il signifi-cato.

Venne però un inverno molto freddo. Gli uomini sapevano coprirsicon pelli di animale o ripararsi in una grotta: ma non conoscevano ilfuoco e rischiavano di morire.

Non era tempo di prudenza: Prometeo salì fino all’Olimpo e chiesea Zeus di poter portare il fuoco agli uomini.

3. Parnaso: monte situato nei pressi di Delfi, al centro dellaGrecia. Gli antichi Greci lo avevano consacrato ad Apollo e alleMuse delle arti.

4. Ermes: figlio di Zeus e di Maia, era il messaggero degli dei eprotettore dei ladri, dei viaggiatori e dei mercanti.

Il mito del diluvio, sca-tenato dagli dei perpunire gli uomini, com-pare in molti raccontiantichi: ad esempio, losi trova anche nellaBibbia, e prima ancoranella mitologia sumera.

Molti antichi popoliassociavano alla Terral’idea della fertilità,della maternità, dellaforza rigeneratrice.

La scoperta del fuoco,che ha rappresentatouna tappa fondamentalenella storia del pro-gresso umano, è trattatain molti miti. Per gliantichi Greci, il fuoco erastato donato agli uominida Prometeo contro ilvolere di Zeus.

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«Il fuoco? Ma con il fuoco si scotteranno!» tuonò Zeus e rideva ter-ribilmente.

«Si scalderanno, Zeus», disse paziente Prometeo. «E se qualcuno siscotterà, si ungerà con l’unguento e il dolore gli passerà».

Ma Zeus continuava a ridere:«No, Prometeo! Non è ancora tornato il momento di restituire il

fuoco agli uomini... Non vedi? Le poche capanne che hanno sono dilegno, e andrebbero in fiamme! E poi, Prometeo, il fumo del fuoco saleal cielo: e il pensiero degli uomini, vedendolo, potrebbe ricominciare asalire quassù, e farsi importuno...»

Invano Prometeo tentò di convincere Zeus. Prima di tornare fra gliuomini bussò al portone della grande fucina di Efesto5, il fabbro del-l’Olimpo. Qui bruciava un fuoco eterno, con il quale il Dio fondeva imetalli per le sue opere stupende.

«Vengo a farti una domanda, Efesto», disse Prometeo.«Falla, figlio di Climene», disse il Dio, che stava forgiando una spada

per Achille6.«Dimmi, Efesto: è possibile trasportare il fuoco?»«È difficile», rispose il Dio. «E tu sai che nessuno, per volere di Zeus,

lo può trasportare...»«Ma se si potesse, lo si trasporterebbe in pesanti vasi di bronzo?»

chiese Prometeo tranquillamente.«Non sarebbe necessario», disse sorridendo Efesto. «Cresce sulle pen-

dici dell’Olimpo, giù verso il mare, un giunco che ha una polpa parti-colare: se si fa seccare e si accende, essa brucia per lunghissimo tempo,protetta dal vento e dalla pioggia...»

A Prometeo bastò: scese dall’Olimpo e raccolse uno di quei giunchi;poi lo dipinse di nero perché sembrasse un bastone da viaggio, e tornòda Efesto.

«Hai finito la spada di Achille, possente Dio?» gli chiese. «Sono tor-nato per ammirarla, perché quando venni, qualche giorno fa, l’impu-gnatura era ancora grezza».

Efesto, che amava l’opera sua, levò da un gran cesto la spada lucentedi Achille, e tenendola per la lama nelle grandi mani callose, ne mostròogni ornamento a Prometeo.

Prometeo, chino in avanti, ammirava ed ascoltava con attenzione leparole del Dio: ma intanto, dietro a sé, teneva la punta del finto bastonenella fornace.

Quando uscì dalla fucina, un barlume di fuoco rosato brillava nelcavo del giunco: con quello Prometeo abbandonò l’Olimpo. In ognigrotta di uomini che incontrava, in ogni capanna di legno o di paglia,entrava a dare il fuoco, e a raccomandare di essere prudenti.

5. Efesto: figlio di Zeus e di sua moglieEra, Efesto era stato scagliato giù dallavetta del monte Olimpo appena nato, acausa del suo brutto aspetto. Allevatodalle divinità marine, era diventato un

provetto fabbro e, una volta riammessotra gli altri dei, era diventato il dio deimetalli e delle fucine.6. Achille: figlio della dea del mare Tetie del mortale Peleo, Achille è uno degli

eroi più celebri della mitologia greca.Valoroso, fortissimo e invulnerabile,tranne che nel tallone, combatté perdieci anni la guerra di Troia, e proprio lìvenne ucciso.

Il furbo Prometeo ha giàescogitato il piano perrubare il fuoco.

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Così gli uomini si poterono scaldare, e passarono quell’inverno tre-mendo: e il fuoco rimase in loro possesso, perché lo conservavano comeil bene più caro.

Ed ecco che una notte, guardando il mondo dall’alto dell’Olimpo,Zeus vide un bosco bruciare.

Allora radunò tutti gli Dei, e tuonò:«Chi ha portato il fuoco agli uomini?»Gli Dei si guardavano l’un l’altro e rispondevano:«Io no».«Io nemmeno».«Non me lo sarei mai sognato...»«Non sarà uscita qualche scintilla dalla tua fucina, Efesto?» domandò

Zeus.«Le scintille, se anche fossero uscite, sarebbero andate in alto, e non

laggiù fra gli uomini», rispose Efesto. «E io come tutti ho rispettato latua volontà: così dissi anche a Prometeo, quando venne a farmi visita».

«Cosa? Prometeo ti visitò?» fece Zeus, accigliandosi.E il Dio del fuoco raccontò ogni cosa, compresa la faccenda del

giunco: e Zeus comprese come aveva potuto il fuoco arrivare fino agliuomini.

Si inferocì, maltrattando Efesto e ordinandogli di restare dieci annichiuso nella fucina, poi gridò:

«Trovatemi Prometeo, quel ladro ribelle! Terribile sarà la sua puni-zione!»

Prometeo fu cercato: ma non si trovava, perché sapendo di aver disob-bedito a Zeus in modo grave, si teneva nascosto su un’isoletta del mareEgeo.

«Allora, avete scovato Prometeo?» tuonava Zeus, e la sua ira, invecedi diminuire con il tempo, aumentava.

Finalmente Ermes ebbe l’idea giusta: mise in giro la voce, per maree per terra, che i pescatori di Delo avevano dimenticato come si tessonole reti per prendere il pesce.

Ed ecco, dopo tre mesi che quella favola girava, arriva a Delo ungran vecchione con un cappuccio, e si reca al porto, dove sono stese lereti a due metri d’altezza. E il gran vecchio va sotto le reti, e le guardae dice:

«Non mi sembra che siano così mal fatte...» Ma in quel momento lereti gli cadono addosso ed Ermes, che le ha manovrate, grida:

«Certo, Prometeo! Non lasciano scappare i pesci grossi!»Così Prometeo fu consegnato all’ira di Zeus, che fu davvero tremenda.

Il Dio lo incatenò su una rupe del lontano Caucaso, e diede ordine adun’aquila di andare ogni giorno a rodergli il fegato.

Per molto tempo Prometeo restò lassù, gridando nel silenzio del Cau-caso al suo regolare tormento. Ogni giorno, infatti, il fegato laceratodall’aquila tornava a formarsi...

Terribile era la condanna di Zeus, e lo sarebbe stata in eterno se un

L’ira di Zeus era tre-menda, nessuno potevafermarla né opporsi aessa.

Anche se Ermes, in pas-sato, aveva aiutato gliuomini insieme a Pro-meteo, non poteva di -sobbedire a Zeus: perciòescogita il piano per cat-turare il Titano.

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giorno, passando il fortissimo Eracle7 da quelle parti, non avesse sen-tito le urla di Prometeo.

In venti balzi possenti Eracle fu sulla rupe, e vide l’aquila che facevail suo strazio: allora aspettò che si alzasse in volo e le staccò netta la testacon un disco di pietra. Poi prese la catena che legava Prometeo e lastrappò dalla roccia come si toglie un cucchiaio dalla panna.

«Ti ringrazio, Eracle», disse Prometeo mettendosi a sedere con unamano sul ventre. «Ma non temi di chiamare su di te la vendetta di Zeus?»

Eracle rise, e la sua risata rimbombò tra le montagne del Caucaso.«Sai cosa mi disse, un giorno, il mio saggio maestro Chirone8?»

domandò.«Che cosa ti disse?» fece Prometeo, respirando con piacere l’aria fine

della montagna.«Così mi disse Chirone: “Quanto a Zeus, Eracle, ricorda di guar-

dare sempre più in alto di lui, oppure più in basso!”»E riprese a ridere, nel gran silenzio del Caucaso. E Prometeo rideva

con lui.(R. Piumini, Il circo di Zeus, © 1986, 2003, 2005 Edizioni EL,

San Dorligo della Valle, Trieste)

7. Eracle: figlio di Zeus e di Alcmena, èprobabilmente l’eroe più celebre dellamitologia greca. Al suo nome sono legatele celebri “dodici fatiche”, tra cui l’ucci-sione del terribile leone di Nemea, cuistrappò la pelle che costituì, da quelmomento, il suo mantello. La liberazione

di Prometeo è una delle tante impreseche gli vengono attribuite.8. Chirone: era un centauro, creatura concorpo di cavallo e busto di uomo. Saggioe sapiente, fu il maestro di molti eroi dellamitologia greca, tra i quali Eracle, Giasonee Achille. Venne ferito accidentalmente

da una freccia avvelenata di Eracle che lofaceva soffrire moltissimo. Allora desideròmorire ma, essendo immortale, dovevatrovare qualcuno a cui cedere l’immorta-lità. Prometeo si offrì e così Chirone potétrovare riposo mentre Prometeo salì sul-l’Olimpo insieme agli altri dei.

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L’autoreOmero è uno dei poeti più celebri della storia dellaletteratura, ma è anche uno dei più misteriosi.Antiche leggende hanno tramandato l’immagine diun vecchio cantore cieco, vissuto tra il IX e l’VIIIsecolo a. C, che vagava da una città all’altra dellaGrecia raccontando le sue magnifiche storie.La tradizione gli attribuisce due grandi poemi, Iliadee Odissea, ma in realtà non si hanno documentistorici che provano la sua esistenza. L’assenza dinotizie certe ha provocato un dibattito noto come“questione omerica”. Gli studiosi si domandano,infatti, se questo poeta sia realmente esistito, e seabbia davvero scritto, e quando, i due poemi. Il dibat-tito dura tuttora e, nonostante rimangano ancoradubbi, gli studiosi concordano ormai su un punto:chiunque sia l’autore dell’Iliade e dell’Odissea, loha fatto raccogliendo e trascrivendo miti che, primadi essere messi per iscritto, erano stati tramandatiper secoli in forma orale.

L’IliadeChe cos’è l’Iliade. L’Iliade è un poema in 24 libri (ocanti) scritti in greco antico nell’VIII secolo a. C.Prende il nome da Ilo, mitico fondatore di Troia, enarra una parte della guerra che gli Achei mosserocontro Troia, per conquistarla e distruggerla. Insieme all’Odissea, è un testo fondamentale perla letteratura occidentale, preso a modello e con-siderato fonte inesauribile di ispirazione da poetie scrittori del passato e contemporanei.

La guerra di Troia nella storia. L’esistenza storicadella città di Troia è stata provata dall’archeologodilettante Einrich Schliemann, che alla fine del-l’Ottocento ne individuò e portò alla luce i resti neipressi di Hissarlik, una località dell’odierna Turchia.Grazie a questa straordinaria scoperta, e ad altresuccessive, gli studiosi hanno potuto dare una col-locazione storica alla guerra narrata nell’Iliade: essasi svolse intorno al 1250 a. C. per ragioni com-merciali. Troia, infatti, si trovava sullo stretto deiDardanelli, una posizione strategica eccezionaleper controllare i traffici e gli scambi tra Asia edEuropa; gli Achei conquistarono e distrussero lacittà per impadronirsi delle sue ricchezze e per sot-trarle il monopolio dei commerci con l’Oriente.

La guerra di Troia nel mito. Secondo il mito, invece,

la causa della guerra di Troia fu Elena, la donna piùbella del mondo. Figlia di Zeus e di una mortale,ella era diventata moglie di Menelao re di Sparta;tutti i principi Achei avevano giurato di combatterecontro chiunque avesse cercato di sedurla e allon-tanarla dal marito. Purtroppo, però, ciò avvenne acausa di una disputa tra gli dei.Durante il banchetto nuziale tra la dea del mareTeti e il mortale Peleo, la dea della discordia gettòsul tavolo una mela con la scritta “alla più bella”.Ne nacque un litigio fra tre dee bellissime: Era,regina dell’Olimpo; Atena, dea dell’intelligenza; Afro-dite, dea della bellezza e della fertilità, ognuna dellequali desiderava ricevere per sé la mela. Per allon-tanare il litigio dall’Olimpo, Zeus stabilì che giudicedella gara sarebbe stato Paride, giovane principetroiano, il quale scelse Afrodite poiché gli avevapromesso che avrebbe ricevuto, in cambio, la donnapiù bella del mondo: Elena, per l’appunto.Così, quando Paride fu inviato dal re Priamo suopadre alla corte di Sparta, per svolgere una mis-sione diplomatica, Afrodite incantò Elena e la indussead abbandonare la casa e il marito per seguire ilgiovane principe a Troia.

L’Iliade di Omero

Omero.

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L’offesa era gravissima. Menelao chiamò a raccoltai principi achei e ricordò loro l’antico giuramento,cui nessuno si sottrasse. Agamennone, fratello diMenelao e re di Micene, si mise alla testa di un eser-cito e di una flotta come mai si erano visti prima:così armati, gli Achei navigarono verso Troia e lamisero sotto assedio.La guerra durò dieci anni, durante i quali molti eroiachei e troiani vi persero la vita senza che nessunoriuscisse a prevalere. Anche gli dei presero partealla guerra, favorendo ora l’una ora l’altra parte.Alla fine, Troia fu presa con l’inganno: l’eroe acheoOdisseo, noto per la sua astuzia, fece costruire ungigantesco cavallo, al cui interno si nascosero i piùvalorosi tra i guerrieri achei. Il cavallo venne postodavanti alle mura di Troia, gli Achei sgombraronoil loro accampamento e finsero di essersene andati.In realtà, si appostarono dietro un’isola e atteseroche i Troiani, felici per la fine della guerra, condu-cessero in città il cavallo come offerta votiva alladea Atena. Durante la notte, i guerrieri nascosti nelcavallo uscirono, lanciarono segnali ai loro com-pagni sulle navi e tutti insieme saccheggiarono eincendiarono la città, uccisero gli uomini, preserocome schiave le donne. La trama dell’Iliade. Il poema narra la storia dicinquantuno giorni del decimo e ultimo annodella guerra di Troia. L’argomento centrale dellanarrazione è l’ira di Achille, il più forte guerrieroacheo, invulnerabile in tutto il corpo tranne chenel tallone.Dopo un furioso litigio con Agamennone, Achilleabbandona il campo di battaglia giurando di nonprendervi più parte. Le sorti della guerra volgonoquindi in favore dei Troiani, che ricevono anchel’aiuto di Zeus. Il re degli dei, infatti, ha promessoalla madre di Achille, la dea Teti, di far pagare adAgamennone e a tutti gli Achei l’offesa fatta al figlio.Durante le operazioni militari, gli Achei subisconogravi perdite soprattutto a causa di Ettore, il piùvaloroso tra i principi troiani. Patroclo, amico fra-terno di Achille, lo prega di ritornare a combattere,ma poiché questi rifiuta gli chiede in prestito l’ar-matura splendente, forgiata dal dio Efesto. QuandoPatroclo appare sul campo i Troiani fuggono,temendo che Achille sia tornato, ma Ettore loaffronta in duello e grazie all’aiuto del dio Apollolo uccide, spogliandolo delle armi.

Il dolore di Achille è immenso, la sua rabbia tre-menda: l’eroe giura che la sua vendetta sarà san-guinosa e terribile. Achille riprende dunque il com-battimento, seminando panico e strage senza sosta;come una belva assetata di sangue, cerca Ettore inogni dove. Infine, i due restano soli a fronteggiarsi.In un primo momento Ettore è preso dal panico esi dà alla fuga, ma poi si ferma e affronta il nemico,ben sapendo che la sua ora è giunta, perché anchegli dei lo hanno abbandonato.Dopo aver ucciso Ettore, Achille ne lega il corpo alsuo carro da guerra e lo trascina per il campo, facen-done scempio. Poi si ritira nell’accampamento acheo,dove hanno inizio i riti e i giochi funebri in onoredi Patroclo.Il re Priamo, però, non può sopportare che Ettore,suo figlio prediletto, resti privo di sepoltura. Perciò,con l’aiuto degli dei, si reca nella tenda di Achilleoffrendo all’eroe un enorme riscatto. Colpito dalcoraggio del vecchio re, e impietosito dalla suadebolezza, Achille accetta il riscatto, restituisce ilcorpo e offre una tregua di dodici giorni. L’Iliade siconclude con i funerali dell’eroe troiano.

Menelao e Patroclo, copia romana dell’originalegreco della metà del III secolo circa.

Il Sole 24ore S.p.A. 2006

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Il grande Priamo entrò non visto, ed avvicinatosiabbracciò le ginocchia di Achille, baciò le sue manitremende, omicide, che a lui tanti figli avevano ucciso.

480 Come quando grave follia colpisce un uomo, che al suo paeseuccide qualcuno ed emigra in terra straniera,in casa d’un ricco, e chi lo vede prova stupore,così Achille ebbe un sussulto, quando vide Priamo simile a un dio;anche gli altri1 stupirono, si guardarono tra loro.

485 Priamo, in atto di supplice2, gli rivolse questo discorso:«Ricordati del padre tuo, Achille pari agli dei,come me avanti negli anni, sulla soglia triste della vecchiaia:forse anche a lui danno guai i popoli intornoaccerchiandolo, e non c’è nessuno a stornare da lui la rovina.

490 Eppure tuo padre, sapendo che tu sei vivo,gioisce nell’animo suo, e spera di giorno in giornodi vedere suo figlio tornare da Troia;infelice davvero sono io, che nella vasta Troia ho generatofigli meravigliosi, e non me ne resta nessuno.

495 Ne avevo cinquanta, quando arrivarono i figli degli Achei:diciannove m’erano nati tutti da uno stesso ventre,gli altri me li partorivano donne diverse nella mia casa.Alla maggior parte Ares violento ha fiaccato i ginocchi;e quello che per me era unico, che salvava la città e la gente,

500 tu proprio adesso l’hai ucciso, mentre combatteva per la patria,Ettore: ora vengo per lui fino alle navi degli Acheia riscattarlo da te, e porto un compenso ricchissimo.Su, Achille, rispetta gli dei ed abbi pietà di me,nel ricordo di tuo padre: ancora più degno di pietà sono io,

505 ho sopportato quello che al mondo nessun altro mortale,di portare la mano alla bocca dell’uccisore di mio figlio».

Disse così, ed in lui stimolò il desiderio di piangere il padre:allora afferrò la sua mano e scansò dolcemente il vecchio.Immersi entrambi nel ricordo, l’uno per Ettore massacratore

510 piangeva a dirotto prostrato ai piedi di Achille,

L’episodio che ti presentiamo si colloca nella parte finale del poema. Il vecchio re Priamo si reca nella tenda di Achille per implorare larestituzione del corpo di Ettore.

Priamo e Achille(Iliade, Libro XXIV, vv. 477-590)

Priamo si umilia difronte ad Achille, che haucciso molti suoi figli,pur di riavere il corpo diEttore. Achille si stu-pisce nel vedere Priamo,come chi vede un omi-cida che, fuggito dallasua terra, chiede ospi-talità e perdono a unpotente straniero.

1. gli altri: nella tenda di Achille vi erano altri compagnid’arme.

2. supplice: in questo momento, Priamo è costretto a umiliarsie a supplicare Achille, e pertanto gli si presenta chino a terra.

Il vecchio re tenta diimpietosire Achille ricor-dandogli il padre Peleo.

Ettore era il f iglio piùamato perché meglio diogni altro difendevaTroia e il suo popolodagli Achei.

Secondo la religionegreca, non seppellire imorti era sacrilegio:perciò Priamo invitaAchille a rispettare leleggi divine.

Il discorso di Priamo hacolpito nel segno: ripen-sando al padre, Achillesi commuove.

L’epica classica

Guida alla lettura

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mentre Achille piangeva suo padre, ma a trattianche Patroclo: il loro lamento echeggiava per la casa.Ma quando il divino Achille fu sazio di pianto,gli svanì quella voglia dal corpo e dal cuore,

515 s’alzò di scatto dal seggio, sollevò per la mano il vecchio,mosso a pietà dalla sua testa bianca, dal suo mento bianco,e, articolando la voce, gli diceva parole che volano:«Infelice, molti affanni davvero hai patito in cuor tuo.Come hai osato recarti da solo alle navi degli Achei,

520 al cospetto dell’uomo che numerosi e gagliardifigli t’ha ucciso? Hai un cuore forte come l’acciaio!Ma su, riposati su questo seggio, ed anche se afflitti,lasciamo comunque dormire nel cuore i dolori;dal lamento che ci raggela non viene un guadagno:

525 gli dei stabilirono questo per gl’infelici mortali,vivere in mezzo agli affanni; loro invece sono sereni.Due giare sono piantate sulla soglia di Zeus, piene di doniche egli largisce, l’una di mali, l’altra di beni:l’uomo cui dà mescolando Zeus che gode del fulmine,

530 s’imbatte ora in un male, altra volta in un bene;ma colui cui dà soltanto sciagure, lo fa miserabile,una fame tremenda lo spinge su tutta la terra divina,se ne va disprezzato sia dagli uomini che dagli dei.Così gli dei anche a Peleo dettero splendidi doni

535 fin dalla nascita: primeggiava fra tutti gli uominiper felicità e ricchezza, regnava sopra i Mirmidoni,e a lui che era un mortale dettero in moglie una dea.Ma il dio anche a lui diede un male, perché mancò in casa suauna discendenza di figli eredi al potere,

540 ma generò un solo figlio destinato a morte precoce;né l’accompagno nella vecchiaia, perché lontano dalla mia patriame ne sto qui a Troia, a te e ai tuoi figli portando sciagura.Sentiamo dire che anche tu, vecchio, eri felice in passato:fra quanti racchiude da un lato Lesbo, terra di Macare,

545 dall’altro lato la Frigia e l’Ellesponto infinito3,dicono, vecchio, che tu primeggiassi per ricchezza e per figli.Ma da quando i Celesti t’hanno mandato questa rovina,ci sono intorno alla tua città soltanto battaglie e massacri.Sii forte, non abbandonarti troppo al dolore in cuor tuo:

550 non ne trarrai un guadagno a disperarti per il tuo figliolo,né potrai farlo rivivere, piuttosto ne avrai altro male!».

Gli rispondeva allora il vecchio Priamo simile a un dio:«Non invitarmi a sedere, alunno di Zeus, fino a quandoEttore sta nella tenda privo di esequie, restituiscilo invece

3. Lesbo... infinito: Lesbo è un’isola prossima alle coste del-l’Asia Minore, Macare ne era il leggendario re; la Frigia è la

regione dell’Asia Minore in cui si trovava Troia; l’Ellesponto,infine, è l’odierno Stretto dei Dardanelli.

Priamo incalza Achilleinsistendo con la suarichiesta.

Achille sa di esseredestinato a morire a Tro -ia, senza rivedere suopadre. E così, infatti,sarà: il mito raccontache prima dell’incendiodi Troia Achille vieneucciso da una freccia diParide.

Achille loda il coraggiodi Priamo e gli offre ilproprio conforto conalcune argomentazioni:• i mortali condividonoun medesimo destino disofferenza;• gli dei distribuisconogioie e disgrazie: la feli-cità di avere figli, maanche la disgrazia diperderli in guerra;• davvero sfortunato èchi riceve solo disgraziedagli dei.

Achille conclude il suodiscorso invitando Pri a -mo a non disperarsi più,dal momento che questonon farà tornare in vitaEttore.

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555 al più presto, ch’io lo riveda con i miei occhi; tu accettail grande riscatto che porto: possa goderne,e ritornare nella tua patria, dato che prima di tuttom’hai lasciato in vita, a vedere la luce del sole».

A lui, guardandolo storto, disse Achille, veloce nei piedi:560 «Non continuare, vecchio, a irritarmi: io stesso penso

a liberare Ettore, è venuta da me portavoce di Zeusla madre che m’ha partorito, la figlia del vecchio del mare.Anche su te vedo chiaro, Priamo, tu non m’inganni,che un dio t’ha scortato alle rapide navi degli Achei.

565 Nessuno, nemmeno nel fiore della giovinezza, oserebbe venirequi al campo: non sfuggirebbe alle guardie, né facilmentepotrebbe spostare la spranga della mia porta.Smetti dunque di tormentarmi l’anima con i dolori,potrei, vecchio, non tollerarti più nella tenda,

570 benché supplice, e venir meno al comando di Zeus».Disse così, il vecchio ebbe paura e obbedì all’ordine suo.

Il Pelide4 balzò come un leone fuori la porta della sua tenda,non da solo, anche i due scudieri uscirono con lui,l’eroe Automedonte ed Alcimo, che Achille stimava

575 più degli altri compagni, dopo la morte di Patroclo,i quali sciolsero allora muli e cavalli dal giogo,fecero entrare l’araldo, il banditore del vecchio,lo fecero sedere; poi dal carro ben lucidatoscaricarono l’immenso riscatto del corpo di Ettore.

580 Ma vi lasciarono dentro due mantelli e un chitone5 ben lavorato,per restituire il morto dopo averlo vestito.Chiamate poi le ancelle, ordinò di lavarlo e di ungerloportatolo altrove, perché Priamo non vedesse il figlio,se mai non riuscisse a trattenere lo sdegno nel cuore adirato,

585 alla vista del figlio, e ad Achille montasse la furia,e l’ammazzasse, venendo meno al comando di Zeus.Quando poi le donne lo ebbero lavato ed unto di olio,e gli misero indosso il chitone ed un bel mantello,Achille stesso l’alzò, l’adagiò sopra la bara,

590 i compagni quindi lo posero sopra il carro ben lucidato.(Omero, Iliade, trad. it. di G. Cerri, Milano, Rizzoli, 1996)

4. Pelide: patronimico di Achille, figlio di Peleo.5. chitone: corta tunica senza maniche, fermate sulle spalle da fibbie.

Ora Achille si è irritato,e risponde male a Pria -mo, dicendogli che:• sua madre Teti gliaveva già imposto direstituire il corpo diEttore;• il vecchio re è statoaiutato da un dio, nonsi è certo introdottonella tenda di Achille dasolo.

La durezza di Achillespaventa Priamo, cheora tace.

Achille ordina che ilcorpo di Ettore vengaricomposto, ma fa allon-tanare Priamo nel timoreche, a quella vista, il revendicarsi.

In segno di estremoomaggio al nemico scon -fitto, è lo stesso Achillea depositare il corpo diEttore sul carro.

L’epica classica

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L’autoreSu Omero, vedi le notizie riportate nell’episodioPriamo e Achille tratto dall’Iliade.

L’OdisseaChe cos’è l’Odissea. L’Odissea è un poema in 24libri scritto in greco antico intorno all’VIII secolo a. C., ma forse risalente a molto tempo prima.L’opera prende il nome da Odisseo (Ulisse per iLatini), l’eroe della mitologia greca celebre per ilsuo valore e per la sua astuzia. Insieme all’Iliade, èun testo fondamentale per la letteratura occiden-tale, preso a modello e considerato fonte inesauri-bile di ispirazione da poeti e scrittori del passato econtemporanei.

La trama. Odisseo, re di Itaca e valoroso guerrieroacheo, si imbarca per tornare nella sua patria dopoaver combattuto per dieci anni a Troia. La guerraè stata vinta anche per merito suo, poiché a lui sideve l’invenzione del gigantesco cavallo grazie alquale, con l’inganno, i guerrieri achei sono riuscitia espugnare la città.Il viaggio di ritorno si rivela però lunghissimo, pienodi pericoli e ostacolato dall’ira del dio Nettuno, acui Odisseo aveva accecato il figlio, il ciclope Poli-femo.Nel corso delle sue peregrinazioni nel Mediter-raneo, l’eroe incontra molti personaggi magici omostruosi: da alcuni di essi riceve aiuto, da altriinvece deve difendersi. Ogni incontro rappresentauna prova che l’eroe deve superare utilizzando le

sue doti di astuzia, intelligenza e coraggio.Infine, dopo dieci anni di viaggio e venti di assenza,Odisseo sbarca finalmente sulle coste di Itaca, soloe misero come un povero viandante.Data la sua lunghissima assenza, a Itaca tutti lo cre-dono morto. Solo sua moglie Penelope continuaad aspettarlo, respingendo le offerte di matrimoniodei Proci, giovani e arroganti principi che spadro-neggiano nella reggia e ne consumano le ricchezze.L’unico conforto di Penelope è il giovane figlio Tele-maco, che era appena un bimbo quando il padreera partito per Troia, e che come lei ne attende ilritorno. La dea Atena, che protegge Odisseo, lo avvisa delpericolo rappresentato dai Proci e gli suggerisce dinon recarsi subito alla reggia, ma di incontrare Tele-maco in un luogo appartato, progettando con lui lariscossa. D’accordo con il figlio, dunque, Odisseo sitraveste da mendicante e, così camuffato, si pre-senta alla reggia, dove i Proci lo insultano e lo deri-dono. Per poco, però.Su consiglio di Atena, infatti, Penelope indice unagara: chi riuscirà a tendere l’arco di Odisseo e ascagliare una freccia, diventerà il suo sposo. Mentrei Proci falliscono la gara, il mendicante, con sor-presa di tutti, riesce nell’impresa. A quel punto,Odisseo svela la sua identità e con l’aiuto di Tele-maco uccide i Proci. L’eroe può così riprendere ilsuo posto nella reggia a fianco della sua sposa e,grazie a un nuovo intervento di Atena, stipula lapace con i parenti dei Proci. Il poema si concludecon la ritrovata pace tra Odisseo e il suo popolo.

L’Odissea di Omero

Terra deiLotofagi

Terradei Ciconi

TROIAIsola dei

Feaci

ITACA

Averno

Isola diCirce

Isola delSole

Terra deiCiclopi

Sirene,Scilla eCariddi

Terra deiLestrigoni

Isola di Ogigia

I viaggi di OdisseoGraffito s.r.l. - Cusano Milanino (MI)

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L’epica classica

E lei1 si avviò per l’isola2, chiara fra le dee:io invece tornai sulla nave, ordinai ai compagni

145 di imbarcarsi anche loro e di sciogliere a poppa le gomene3.Subito essi salirono e presero posto agli scalmi4,e sedendo in fila battevano l’acqua canuta5 coi remi.Poi, dietro la nave dalla prora turchinaCirce dai riccioli belli, dea tremenda con voce umana,

150 ci inviò il vento propizio che gonfia la vela, valente compagno.Dopo che disponemmo i singoli attrezzi dentro la nave,sedemmo: la governavano il vento e il pilota.Allora col cuore angosciato io dissi ai compagni:

«O cari, non devono saperle uno o due soli155 le predizioni che Circe mi disse, chiara fra le dee,

ma io voglio dirvele, perché conosciutele o noi moriamoo scampiamo, schivando la morte e il destino.Anzitutto ci esorta a fuggire il cantoe il prato fiorito6 delle divine Sirene.

160 Esortava che ne udissi io solo la voce. Legatemi dunquein un nodo difficile, perché lì resti saldo,ritto sulla scassa7 dell’albero: ad esso sian strette le funi.Se vi scongiuro e comando di sciogliermi,allora dovete legarmi con funi più numerose».

165 Dicendo così io spiegavo ogni cosa ai compagni:intanto la solida nave rapidamente arrivòall’isola delle Sirene: la spingeva un vento propizio.Subito dopo il vento cessò, successe una calmasenza bava di vento, un dio assopiva le onde.

Una parte delle avventure di Odisseo è narrata in prima persona dall’eroe. Tra queste, vi è l’incontro con le Sirene, creature marine dotate di un cantomagico e ipnotico che spinge qualunque marinaio lo ascolti a gettarsi inmare. Odisseo è stato avvisato dalla maga Circe, che lo ha ospitato per unanno sulla sua isola, del pericolo rappresentato dalle Sirene. La maga hasuggerito a Odisseo di ascoltarne il canto, raccomandandogli però alcuneprecauzioni essenziali per la sua salvezza. Odisseo segue fedelmente le istruzioni di Circe, dimostrandosi molto prudente: in questo modo, riescea soddisfare la curiosità di ascoltare il canto delle Sirene senza mettere in pericolo la propria vita o quella dei compagni.

Le Sirene(Odissea, Libro XII, vv. 143-200)

Odisseo riprende il maredopo la sosta di un annonell’isola di Circe.

Secondo gli antichi Greciogni forza naturale eracomandata da un dio: inquesto caso, Circe evocail vento che favorisce lanavigazione.

1. lei: la maga Circe.2. l’isola: Odisseo si trova ancora sull’i-sola di Circe.3. gomene: cavi di canapa usati perormeggiare le navi. Odisseo, quindi, è

pronto per partire.4. scalmi: parti di legno o di metallo sucui poggia o viene legato il remo.5. acqua canuta: acqua bianca di spumaper gli spruzzi sollevati dai remi.

6. prato fiorito: l’isola delle Sirene si pre-senta invitante come il loro canto.7. scassa: l’alloggio dell’albero, situatonella parte inferiore dello scafo dellanave.

Per prima cosa, Circe haraccomandato a Odisseodi badare al pericolorappresentato dalle Sire -ne. Tuttavia, la dea hasuggerito a Odisseo diascoltarne il canto, pro-teggendosi con uno stra -tagemma.

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170 I compagni, levatisi e piegate le vele,le deposero nella nave ben cava e postisiai remi imbiancavano l’acqua con gli abeti piallati8.Io invece, tagliato col bronzo aguzzo un grandedisco di cera a pezzetti, li premevo con le mani robuste.

175 Subito la cera cedette, sollecitata dalla gran forzae dal raggio del Sole, del signore Iperionide9:la spalmai sulle orecchie a tutti i compagni, uno a uno.Essi poi mi legarono per le mani ed i piediritto sulla scassa dell’albero, ad esso eran strette le funi,

180 e sedutisi battevano l’acqua canuta coi remi.Ma appena distammo quanto basta per sentire chi grida10,benché noi corressimo, non sfuggì ad esse la nave veloceche s’appressava e intonarono un limpido canto:

«Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei,185 e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce.

Nessuno mai è passato di qui con la nera navesenza ascoltare dalla nostra bocca il suono di miele,ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose.Perché conosciamo le pene che nella Troade vasta

190 soffrirono Argivi11 e Troiani per volontà degli dèi;conosciamo quello che accade sulla terra ferace12».

Così dissero, cantando con bella voce: e il mio cuorevoleva ascoltare e ordinai ai compagni di sciogliermi,facendo segno cogli occhi: ma essi curvi remavano.

195 Subito Perimede ed Euriloco alzatisimi legarono e strinsero di più con le funi.Ma quando le superarono e più non s’udivala voce delle Sirene né il loro canto,subito i fedeli compagni la cera levarono

200 che gli spalmai sulle orecchie, e dalle funi mi sciolsero.(Omero, Odissea, trad. it. di G. A. Privitera, Milano,

Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, 1981)

8. abeti piallati: i remi.9. Iperionide: epiteto attribuito al dio Sole.10. distammo... chi grida: appena fummo

a portata di voce dell’isola delle Sirene.11. Argivi: altro nome con cui nei poemiomerici vengono chiamati i Greci.

12. ferace: fertile.

Odisseo si dispone adascoltare il canto delleSirene prendendo molteprecauzioni: la cera perturare le orecchie deisuoi marinai, robustefuni per legare se stessoall’albero maestro.

Le Sirene sanno qual èil punto debole di ogniuomo: per Odisseo è ildesiderio di conoscenza,e perciò lo seducono conla promessa che graziea loro potrà sapere «piùcose».

Lo stratagemma di O dis -seo funziona.

Secondo alcuni studiosi,le Sirene rappresente-rebbero i molti pericolidella navigazione.

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L’epica classica

L’Eneide di Virgilio

CRETApestilenza

TRACIAPolidoro

TROIA

DELOOracolodi Apollo

EPIROEleno

STROFADIArpie

DREPANOAnchise

CUMASibilla

Tempio diMinerva

Terra deiCiclopi

GAETA

CARTAGINEDidone

Monte ERICE

Capo PALINURO

Foce del TEVERE

I viaggi di Enea

L’autorePublio Virgilio Marone nacque ad Andes, nei pressidi Mantova, nel 70 a. C. In gioventù si trasferì aRoma per studiare e, in seguito, vi si stabilì defini-tivamente.Nella grande città, a quel tempo capitale di un vastoimpero, entrò a far parte di un gruppo di intellet-tuali e artisti protetti da Mecenate, amico dell’im-peratore Augusto.Grazie al favore di Mecenate e di Augusto, Virgiliopoté dedicarsi pienamente all’arte. Scrisse così lepoesie delle Bucoliche, ambientate in campagna, eil poemetto Georgiche, sempre di argomento cam-pestre. Iniziò il suo capolavoro, l’Eneide, su richiestadi Augusto, che desiderava celebrare la potenzae la forza di Roma in un grande poema epico.Virgilio lavorò all’opera per dieci anni, ma non riuscìa terminarla a causa di una grave malattia che locondusse alla morte nel 19 a. C. Il poeta aveva ordi-nato di distruggere il manoscritto in caso di unasua morte prematura, ma l’imperatore Augustoordinò ugualmente la sua pubblicazione.

L’EneideChe cos’è l’Eneide. L’Eneide è un poema in dodicilibri scritto in latino. Per la sua composizione, Vir-gilio si ispirò ai più grandi poemi della cultura greca,l’Iliade e l’Odissea, che per i Romani erano esempidi grandissimo valore letterario. L’opera prende ilnome da Enea, l’eroe troiano che secondo anticheleggende avrebbe dato origine alla stirpe dei Romani.

La trama dell’opera. Enea, principe troiano, è riu-scito a sfuggire all’incendio e al saccheggio dellasua città. Insieme con il vecchio padre Anchise,con il figlioletto Ascanio e con altri Troiani soprav-vissuti, prende la via del mare. Il Fato (o destino),infatti, gli ha prescritto di trovare una terra dovefondare una nuova città destinata a regnare sulmondo intero. Il viaggio di Enea è lungo, costellatodi pericoli e ostacolato da Giunone, regina degli dei,che odia i Troiani e teme la stirpe dei discendentidi Enea. Tra le varie tappe del viaggio vi è Carta-gine, patria della regina Didone, che accoglie i pro-fughi e si innamora di Enea. Anche se l’eroe ricambiaquesto sentimento, il suo Fato non gli permette direstare. Perciò l’eroe riprende la navigazione, mentreDidone, disperata, si suicida.I Troiani approdano finalmente sulle coste delLazio, la meta prescritta dal Fato. Enea vieneaccolto benevolmente dal re dei Latini, che gli pro-mette in sposa la figlia Lavinia, ma Turno, re deiRutuli e promesso sposo della fanciulla, dichiaraguerra ai nuovi arrivati. Anche i Latini, istigati daGiunone, prendono le armi contro i Troiani.Divampa così un conflitto nel quale perdono lavita molti valorosi soldati di entrambi gli schiera-menti. Infine, Enea e Turno si affrontano in unduello decisivo cui assistono gli dei: mentre Gioveplaca l’odio di Giunone contro i Troiani e le imponedi non tentare più di ostacolare i voleri del Fato,Enea sconfigge e uccide Turno, ponendo fine allaguerra.

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Intanto, mentre il grosso dell’esercito indugia1 schierato in campo,cavalieri mandati in avanscoperta dalla città latinasi recavano da Turno per portare le risposte del re:

370 trecento, tutti armati di scudo e guidati da Volcente2.Ormai vicini al campo, già sotto le mura,scorgono da lontano i due piegare verso un sentiero a sinistra:aveva tradito l’incauto3 Eurialo il bagliore dell’elmo,luccicante nell’ombra della notte ai raggi della luna.

375 Non passa inosservato. Dalla sua schiera Volcente grida:«Fermi, uomini; che fate per strada in armi?chi siete? dove andate?» Non rispondono,affidandosi alla notte, e nel bosco tentano in fretta la fuga.In ogni luogo, dove a loro è noto un bivio, i cavalieri

380 fanno barriera e di guardie circondano qualsiasi varco.Era la selva vasta, irta di cespugli e d’elci nere4

e d’ogni parte assiepata di densi rovi;solo qualche sentiero biancheggiava fra l’intrico dei passaggi.L’oscurità dei rami e il peso del bottino impacciano

385 Eurialo e il timore l’inganna sulla retta via.Niso s’allontana. Imprudentemente5 oltrepassa i nemicie i luoghi che dal nome d’Alba6 furono chiamati Albani(allora a pascoli incolti li possedeva il re Latino),quando s’arresta, volgendosi invano a cercare l’amico:

390 «Eurialo, ahimè, dove mai t’ho lasciato?dove ti cerco?» Rifacendo tutto il tortuoso camminodell’ingannevole selva7 e scrutando le orme dei suoi passi,

L’episodio si colloca nell’ambito della guerra fra i Troiani e le popolazioni delLazio, i Latini e i Rutuli. Durante una pausa nei combattimenti, Enea lascial’accampamento per cercare aiuti presso altri popoli della zona, ma i Rutuliapprofittano della sua assenza per attaccare. Eurialo e Niso, due valorosiTroiani legati da profonda amicizia, tentano una sortita notturna peravvisare Enea del pericolo. I due attraversano il campo nemico e,approfittando dell’oscurità, fanno strage di Rutuli. All’alba, carichi di armi e di bottino, si rimettono in marcia, ma vengono avvistati da un reparto della cavalleria nemica. Ecco che cosa accade in quel momento.

Eurialo e Niso(Eneide, Libro IX, vv. 367-449)

L’episodio inizia con unadescrizione della situa-zione complessiva.

Eurialo e Niso si stannoallontanando dal camponemico, ma lo splen-dente elmo di Eurialo,illuminato dalla luna,emana un bagliore cheviene avvistato dai cava-lieri nemici.

1. indugia: attende.2. Volcente: generale latino, guida ilreparto di cavalleria.3. incauto: poco prudente. Eurialo nonaveva pensato che l’elmo splendente

avrebbe potuto essere visto da lontano.4. elci nere: querce scure.5. imprudentemente: senza prudenza,perché non si accerta che l’amico sia conlui.

6. Alba: località presso il campo troianoche il re Latino utilizzava come pascoloper il bestiame.7. ingannevole selva: il bosco è «ingan-nevole» perché buio e fitto di vegetazione.

I cavalieri latini cono-scono bene il territorioe bloccano le possibilivie di fuga dei dueTroiani.

Non appena si accorgedell’assenza di Eurialo,Niso torna sui suoi passiper cercarlo.

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lo percorre a ritroso, errando8 tra le macchie silenziose.Ode i cavalli, ode lo strepito e i richiami degli inseguitori:

395 non passa molto tempo, quando alle orecchie gli giunge un gridoe vede Eurialo sopraffatto ormai, per l’insidia dei luoghie della notte, per lo sconcerto dell’assalto improvviso,travolto da tutta la schiera, mentre invano tenta di difendersi.Che fare? con che forze, con quali armi potrà mai

400 salvare il giovane? o dovrà gettarsi tra le spadepronto a morire, affrettando nel sangue una fine gloriosa?Ritratto come un lampo il braccio per vibrare l’asta,in alto volge lo sguardo alla luna e così prega:«O dea9, che sei ornamento degli astri e custode dei boschi,

405 o figlia di Latona, assistimi propizia in questa impresa.Se mai Irtaco, il padre mio, per me ai tuoi altariportò doni ed io li accrebbi con le mie cacce,appendendoli alla volta o fissandoli ai frontoni del tuo tempio10,fa’ ch’io sgomini quella schiera, guida il volo dei miei strali11».

410 Detto questo, con la forza di tutto il corpo scaglia il ferro:l’asta volando fende le ombre della nottee colpisce la schiena di Sulmone, che volgeva il dorso;lì s’infrange e con le schegge del legno gli trapassa il cuore.Stramazza esangue, vomitando sangue a caldi fiotti

415 dal petto, e scuote i fianchi in lunghe convulsioni.Scrutano12 tutt’intorno. E Niso, imbaldanzito,levandolo sopra l’orecchio scaglia un altro dardo.Mentre s’affannano13, stridendo l’asta attraversa le tempiedi Tago e arroventata s’arresta nel cervello trafitto.

420 S’agita come una furia Volcente, ma non v’è luogo in cui scorgal’autore del colpo o dove possa sfogare la sua rabbia.«Pagherai intanto tu, col tuo caldo sanguelo scotto per entrambi», grida e, spada in pugno,si getta contro Eurialo. Sbigottito, come un folle allora Niso,

425 che più a lungo non può celarsi nelle tenebree sopportare simile dolore, lancia un urlo.«Io, io, sono io che ho colpito, contro di me rivolgete il ferro,o Rùtuli! la colpa è mia; nulla ha osato costui,né l’avrebbe potuto (chiamo a testimoni cielo e stelle);

430 ha solo amato troppo l’infelice amico suo».Così gridava, ma la spada spinta a tutta forzatrafigge a Eurialo il costato, rompendo il suo candido petto.Cade riverso nella morte, scorre il sangueper il bel corpo e, reclinando, il capo s’abbandona sulla spalla:

8. errando: vagando senza una direzioneprecisa.9. dea: Diana, figlia di Latona e sorella diApollo, protettrice della caccia, dei boschi,degli arcieri.

10. appendendoli... tempio: poiché Dianaera la dea della caccia, era usanza pressoi Greci e i Romani offrire una parte dellaselvaggina cacciata al tempio della dea.11. strali: frecce.

12. Scrutano: i cavalieri rutuli si guardanointorno per capire da dove sia partito il colpo.13. s’affannano: i cavalieri si agitano, cer-cando di individuare il luogo da cui è par-tita la freccia.

La situazione è dram-matica, ma Niso nonesita. Invocando l’aiutodi Diana si prepara adaiutare l’amico, bensapendo che i nemicisono troppo numerosiper poter essere sopraf-fatti.

Con un formidabile tirodel suo arco Niso uccideun soldato nemico. Lamorte del soldato vienedescritta con crudo rea-lismo: in questo modo,il poeta esprime il suoorrore nei confrontidella violenza generatadalla guerra.

Volcente non riesce acapire da dove proven-gano le frecce. Rab-bioso, rivolge la suafuria contro Eurialo.

Niso esce dal nascon -diglio in un tentativoestremo di salvare l’a-mico.

Eurialo muore, trafittodalla spada di Volcente.

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435 come un fiore purpureo14 che, reciso dall’aratro,langue morendo, o come i papaveri che chinano il caposul collo stanco, quando la pioggia li opprime.Niso allora si getta nella mischia e cerca in mezzo a tuttisolo Volcente, solo di Volcente si dà cura.

440 I nemici gli si stringono intorno, tentano con ogni mezzodi respingerlo, ma lui imperterrito li incalza, ruotacome un fulmine la spada, finché in gola del Rùtulo che gridanon la immerge, togliendo, ormai morente, la vita al nemico.Ma poi, trafitto, sull’amico esanime si getta

445 e nella placida morte trova alfine riposo.Fortunati entrambi! Se qualche potere possiedono i miei versi,

mai verrà giorno che alla memoria del tempo vi sottragga,finché i discendenti di Enea la rupe immobile del Campidogliodomineranno15 e il padre dei Romani16 avrà impero sul mondo.

(Virgilio, Eneide, trad. it. di M. Ramous, Venezia, Marsilio, 1998)

Virgilio descrive la mortedi Eurialo con una deli-cata e commovente simi-litudine che paragona ilgiovane soldato a unfiore abbattuto dallapioggia.

Con questi ultimi versi ilpoeta celebra la gloriadei due giovani eroi eassegna alla sua poesial’importante funzione ditramandare nei secoli illoro ricordo.

14. purpureo: di colore rosso acceso, comeil sangue.15. finché... domineranno: fino a che i

Romani, discendenti di Enea, dimorerannosul colle del Campidoglio. Oggi il colle èsede del Quirinale, la residenza del Pre-

sidente della Repubblica.16. padre dei Romani: il Senato, la piùimportante istituzione della Roma antica.