Il mito della fenice in oriente

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uccelli, compiva nello stato di sogno o mimandolo con la sua danza rituale l’ascesa lungo il tronco dell’Albero cosmico ed oltre fino al sole, ridiscendendo quindi sulla terra trasfigurato dalla sua luce e reso definitivamente immortale . È soprattutto nelle iconografie asiatiche della fenice che è ancora possibile riconoscere una chiara trac- cia di questa antica origine. Molte sono infatti ancor oggi le immagini o le maschere di fenici antropomorfe che palesemente rinviano a quell’antico costume sciamanico da cui deriva il simbolo della fenice. E molto diffuso risulta l’uso della maschera e del costume della fenice sia nelle danze rituali che nelle sacre pantomime teatrali tut- tora eseguite dall’India al Tibet, dall’Indonesia al Giap- pone, fino alla Mongolia. La fenice condivide con altri animali simbolici puramen- te immaginari la funzione di «simbolo centrale» per la propria categoria. Infatti non solo essa visibilmente riu- nisce in sé le caratteristiche di molte specie di uccelli esi- stenti in natura, dei quali costituisce dunque una sorta di sintesi emblematica e spirituale, ma soprattutto è detto tradizionalmente, in particolare in Cina, ch’essa è in realtà l’origine di tutte le specie esistenti di uccelli, specie che, sempre i cinesi, ritengono non superare il numero di trecentosessanta, proprio come i giorni dell’anno . Una corrispondenza chiaramente solo simbolica, che merite- rebbe comunque di essere approfondita. Diremo soltan- to che per tutte le civiltà antiche le divisioni dell’anno in giorni, settimane, mesi e semestri costituiscono la più usata griglia di corrispondenza fra i principali nomi divi- ni o aspetti della divinità, e le sue esatte corrispondenze temporali e spaziali con la classificazione simbolica delle principali categorie di esseri viventi e non . È questo in effetti lo stesso schema, semplificato, che, come vedremo più avanti, fa sì che i trenta uccelli protagonisti di una famosa narrazione simbolica del Sufismo persiano, si riconoscano tutti, e viceversa, nel Simurgh-fenice il cui nome, scomposto, significa appunto «trenta uccelli». Affrontare nelle pagine che seguono il tema della fenice in Oriente significa fingere di dare per scontata una con- troversia che in realtà tale ancora non è. Ossia l’equiva- lenza o meno del simbolo della fenice, quale lo conoscia- mo da molti secoli in Occidente, con i diversi simboli asiatici in apparenza ad esso corrispondenti. E qui gli stu- O meraviglia! La prima apparizione della Fenice si ebbe in Cina nel profondo della notte. Esattamente nel centro di quel paese cadde una sua piuma, e questo bastò per seminare lo scompiglio in tutti i reami della terra. Ogni uomo si fece di lei un’immagine particolare e conformò la sua azione a quanto di essa poté coglie- re. Quella piuma è ora conservata nei dipinti cinesi, e da questo il detto: «Cerca la sapienza, financo in Cina!». Certo, se l’imma- gine di questa piuma non avesse trovato ulteriore diffusione, il mondo non avrebbe sofferto tanto tumulto. Effetti così straordi- nari sono il segno inconfondibile della sua gloria, e in verità ogni anima fu forgiata a immagine e somiglianza di quella piuma. Ma poiché una qualsiasi descrizione non avrebbe né capo né coda, non è il caso di insistere. (Farìd ad-dìn ‘Axxàr, -) Gli equivalenti orientali della fenice In tutte le tradizioni dell’Eurasia il simbolismo degli uccelli è stato sviluppato per significare gli esseri spiri- tuali che abitano i cieli sopra la terra, esseri considerati come dèi dai cosiddetti «politeismi», e come angeli dalle tre religioni abramiche. Infatti gli uccelli si prestavano a significare perfettamente almeno due caratteristiche fon- damentali di tali esseri, e cioè il loro canto sovraumano, che costituisce una lingua incomprensibile per gli uomi- ni, e la loro natura «alata» che ne fa gli abitanti perfetti del cielo, e quindi anche i mediatori fra questo e la terra . In questo contesto, è lecito chiamare «fenice» quel tipo di uccello, puramente immaginario, che, nelle diverse tra- dizioni, non solo riunisce in sé al massimo grado entram- be queste caratteristiche, ma ne aggiunge delle altre, sem- pre conformi alla sua natura celeste, e più esattamente quelle proprie al sole, di cui la fenice in definitiva è sem- pre un’ipostasi: la natura ignea e luminosa, la «ciclicità» legata non solo ai ritmi diurno/notturno ed annuale, ma anche a quello precessionale, ed infine, soprattutto, l’«immortalità». In realtà è molto verosimile che l’origine della fenice, intesa come visualizzazione dell’immagina- zione creativa , risalga ad un’epoca talmente arcaica da precedere non solo le tre religioni abramiche, ma anche il periodo in cui si svilupparono le diverse tradizioni «poli- teistiche». La fenice in origine altro non fu in realtà che lo stesso re-sacerdote sciamano che, rivestito il costume dell’aquila, eventualmente arricchito dalle parti di altri IL MITO DELLA FENICE IN ORIENTE Alessandro Grossato Scena del banchetto messianico alla fine dei tempi, secondo l’escatologia giudaica; al centro e nella cornice si riconoscono tre fenici i cui tratti ricordano il Senmurv iranico. Miniatura dal manoscritto Laud (Oxford, Bodleian Library, ms. Laud, Or. , fol. b)

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Oriente Occidente

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uccelli, compiva nello stato di sogno o mimandolo con lasua danza rituale l’ascesa lungo il tronco dell’Alberocosmico ed oltre fino al sole, ridiscendendo quindi sullaterra trasfigurato dalla sua luce e reso definitivamenteimmortale. È soprattutto nelle iconografie asiatiche dellafenice che è ancora possibile riconoscere una chiara trac-cia di questa antica origine. Molte sono infatti ancor oggile immagini o le maschere di fenici antropomorfe chepalesemente rinviano a quell’antico costume sciamanicoda cui deriva il simbolo della fenice. E molto diffusorisulta l’uso della maschera e del costume della fenice sianelle danze rituali che nelle sacre pantomime teatrali tut-tora eseguite dall’India al Tibet, dall’Indonesia al Giap-pone, fino alla Mongolia. La fenice condivide con altri animali simbolici puramen-te immaginari la funzione di «simbolo centrale» per lapropria categoria. Infatti non solo essa visibilmente riu-nisce in sé le caratteristiche di molte specie di uccelli esi-stenti in natura, dei quali costituisce dunque una sorta disintesi emblematica e spirituale, ma soprattutto è dettotradizionalmente, in particolare in Cina, ch’essa è inrealtà l’origine di tutte le specie esistenti di uccelli, specieche, sempre i cinesi, ritengono non superare il numero ditrecentosessanta, proprio come i giorni dell’anno. Unacorrispondenza chiaramente solo simbolica, che merite-rebbe comunque di essere approfondita. Diremo soltan-to che per tutte le civiltà antiche le divisioni dell’anno ingiorni, settimane, mesi e semestri costituiscono la piùusata griglia di corrispondenza fra i principali nomi divi-ni o aspetti della divinità, e le sue esatte corrispondenzetemporali e spaziali con la classificazione simbolica delleprincipali categorie di esseri viventi e non. È questo ineffetti lo stesso schema, semplificato, che, come vedremopiù avanti, fa sì che i trenta uccelli protagonisti di unafamosa narrazione simbolica del Sufismo persiano, siriconoscano tutti, e viceversa, nel Simurgh-fenice il cuinome, scomposto, significa appunto «trenta uccelli».Affrontare nelle pagine che seguono il tema della fenicein Oriente significa fingere di dare per scontata una con-troversia che in realtà tale ancora non è. Ossia l’equiva-lenza o meno del simbolo della fenice, quale lo conoscia-mo da molti secoli in Occidente, con i diversi simboliasiatici in apparenza ad esso corrispondenti. E qui gli stu-

O meraviglia! La prima apparizione della Fenice si ebbe in Cinanel profondo della notte. Esattamente nel centro di quel paesecadde una sua piuma, e questo bastò per seminare lo scompiglioin tutti i reami della terra. Ogni uomo si fece di lei un’immagineparticolare e conformò la sua azione a quanto di essa poté coglie-re. Quella piuma è ora conservata nei dipinti cinesi, e da questoil detto: «Cerca la sapienza, financo in Cina!». Certo, se l’imma-gine di questa piuma non avesse trovato ulteriore diffusione, ilmondo non avrebbe sofferto tanto tumulto. Effetti così straordi-nari sono il segno inconfondibile della sua gloria, e in verità ognianima fu forgiata a immagine e somiglianza di quella piuma. Mapoiché una qualsiasi descrizione non avrebbe né capo né coda,non è il caso di insistere.

(Farìd ad-dìn ‘Axxàr, -)

Gli equivalenti orientali della fenice

In tutte le tradizioni dell’Eurasia il simbolismo degliuccelli è stato sviluppato per significare gli esseri spiri-tuali che abitano i cieli sopra la terra, esseri consideraticome dèi dai cosiddetti «politeismi», e come angeli dalletre religioni abramiche. Infatti gli uccelli si prestavano asignificare perfettamente almeno due caratteristiche fon-damentali di tali esseri, e cioè il loro canto sovraumano,che costituisce una lingua incomprensibile per gli uomi-ni, e la loro natura «alata» che ne fa gli abitanti perfettidel cielo, e quindi anche i mediatori fra questo e la terra.In questo contesto, è lecito chiamare «fenice» quel tipodi uccello, puramente immaginario, che, nelle diverse tra-dizioni, non solo riunisce in sé al massimo grado entram-be queste caratteristiche, ma ne aggiunge delle altre, sem-pre conformi alla sua natura celeste, e più esattamentequelle proprie al sole, di cui la fenice in definitiva è sem-pre un’ipostasi: la natura ignea e luminosa, la «ciclicità»legata non solo ai ritmi diurno/notturno ed annuale, maanche a quello precessionale, ed infine, soprattutto,l’«immortalità». In realtà è molto verosimile che l’originedella fenice, intesa come visualizzazione dell’immagina-zione creativa, risalga ad un’epoca talmente arcaica daprecedere non solo le tre religioni abramiche, ma anche ilperiodo in cui si svilupparono le diverse tradizioni «poli-teistiche». La fenice in origine altro non fu in realtà chelo stesso re-sacerdote sciamano che, rivestito il costumedell’aquila, eventualmente arricchito dalle parti di altri

IL MITO DELLA FENICE IN ORIENTE

Alessandro Grossato

Scena del banchetto messianico alla fine dei tempi, secondo l’escatologia giudaica; al centro e nella cornice si riconoscono trefenici i cui tratti ricordano il Senmurv iranico. Miniatura dal manoscritto Laud (Oxford, Bodleian Library,ms. Laud, Or. , fol. b)

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Il Senmurv, l’antica fenice iranica, in realtà un tetramorfo con testadi cane, corpo di leone, ali d’aquila e coda di pavone. Piatto sasanide in argento e oro proveniente dall’India settentrio-nale, VII secolo d.C. circa (Londra, British Museum, donazione del National Art Collections Fund, inv. ANE )

quella indiana e dall’indiana all’islamica. Fino a ricolle-garsi attraverso le vie più impensate a quella fenice chenoi conosciamo, o crediamo di conoscere, in Occidente,frutto in realtà dell’amalgama secolare o millenario dellepiù diverse tradizioni, ovviamente non solo occidentali.Al punto che si può dire – e di questi giorni non è certopoco – che la fenice è uno dei simboli che più unisce datempo, sia sul piano letterario che su quello figurativo,l’Europa all’Asia.Nel mondo asiatico la tipologia della fenice, sia per quan-to riguarda il mito che l’iconografia, si articola in quattroo cinque varianti fondamentali, riconducibili ad altret-tante grandi tradizioni culturali. Partendo ancora unavolta dall’Egitto, ma procedendo da ovest verso est,incontriamo per prima la fenice giudaica, anch’essa sim-bolo non solo del sole ma anche dell’immortalità in quan-to, secondo certe leggende popolari, sarebbe stato il soloanimale del Paradiso a non condividere con Eva il fruttoproibito, e a rimanervi quindi fino alla fine del mondo.Nella vastissima area islamica è invece riscontrabile unasintesi complessa e solo parziale, fra tradizioni di originesia occidentale che orientale, che ha avuto il suo fulcro inPersia, dove già esisteva un importante nucleo leggenda-rio preislamico, dando vita ad almeno tre diverse fenici:il Simurgh8, il Rukh, lo ‘Ankà’. Tutte sono particolar-mente esaltate nella letteratura appartenente al Sufismo,ma, data l’iconoclastia che l’Islam condivide con il Giu-daismo, la sua rappresentazione figurativa è presente solonella pittura persiana ed in quella moghul che da essaderiva e si sviluppa in India, dove si arricchisce di altriinflussi. Se le tradizioni letterarie rivelano una prevalenteascendenza occidentale, l’iconografia delle fenici islami-che, non a caso figurativamente molto vicina a quella deldrago, è invece di più diretto influsso cinese, anche senon mancano altri echi, in particolare indiani. In Indiaessa assume le sembianze del Garuwa indù e buddista,cavalcatura di Vi∑òu, ma il cui mito e la cui iconografiaconservano tracce evidentissime della sua diretta deriva-zione dalla tradizione del volo sciamanico centroasiaticoe paleosiberiano. Un altro ramo di questo antichissimosimbolo eurasiatico si ritrova quindi in Estremo Oriente,dove ogni giorno il sole rinnova il mito di rinascita dellafenice dalle ceneri della notte. Qui si declinano le poche

diosi si dividono. Molti sostengono che in realtà ci tro-viamo dinnanzi a simboli e tradizioni totalmente diversedalla nostra e diverse anche tra loro, salvo poche coinci-denze casuali, in parte forse spiegabili con le comunicaratteristiche immaginative della specie umana; altri checerte somiglianze sono dovute alla trasmissione sia di mitiche di iconografie occidentali più o meno assimilate edeformate; e infine pochi, compreso chi scrive, sono con-vinti che la fenice sia in realtà un simbolo di origine asia-tica, e più precisamente cinese, arrivato solo in seguito, eattraverso molte trasformazioni, anche in Occidente. Unindizio significativo sussiste in tutti quegli autori classiciche, com’è noto, individuano la «terra natale» della feni-ce non tanto in Egitto, bensì in Oriente. Alcuni nell’Ara-bia felix, altri addirittura in India. Non pretendiamo dirisolvere qui la questione, anche se abbiamo alcune con-vinzioni di cui diremo in conclusione. In effetti la feniceè uno dei pochi simboli che, per la sua diffusione,potremmo tranquillamente definire eurasiatici. Questolascia presumere una sua grande antichità. Inoltre, la suacaratteristica precipua di «uccello immaginario», semprecomposto da più parti di diversi altri uccelli, ha determi-nato di fatto storicamente una grande varietà di combi-nazioni nella sua rappresentazione iconografica, a secon-da delle specie di volatili esistenti nelle diverse aree geo-grafico-culturali. E così, anche all’interno di una stessatradizione culturale, come il Giudaismo, l’Iran antico, l’I-slam, l’Induismo, la Cina e il Giappone antichi, esistonoin realtà addirittura più uccelli immaginari, diversamentedenominati, ciascuno dei quali condivide parte dellecaratteristiche che noi occidentali siamo soliti attribuiread una sola fenice. Un fenomeno dovuto non solo alleprecipue modalità secondo le quali funziona l’immagina-rio tradizionale, ma anche al fatto che, storicamente, lediverse culture si sono spesso scambiate più volte lerispettive «fenici», dando talvolta luogo a fenomeni didegradazione e marginalizzazione più o meno accentuatadi tali simboli, non sempre esattamente compresi ed assi-milati. Ed è comunque solo studiando tutte queste tradi-zioni orientali in modo comparato che ci si accorge dicome tutte queste «fenici» trascolorino in realtà l’unanell’altra, e non solo all’interno d’una singola tradizione,ma anche da quella siberiana a quella cinese, da questa a

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varianti significative di una precisa tipologia, che restafedele alla sua originaria concezione e rappresentazionedi un uccello esistente sempre e solo come una coppia dimaschio e femmina. «Ex Oriente Lux» recita l’adagio, inriferimento al moto apparente del sole attorno alla terra.E molto probabilmente anche la fenice, simbolo pereccellenza della luce e del calore solare, ha a sua voltaun’origine asiatica, anzi estremo orientale. Non a caso ilsuo simbolismo ha avuto la massima diffusione in Cina,ed in tutte le aree culturalmente legate ad essa. È questaun’ipotesi già formulata da de Saussure (, p. ), eripresa da altri studiosi, fra i quali il sinologo Willetts(s.d., p. ). In realtà la sua origine potrebbe essere addi-rittura mongolo-siberiana. Come abbiamo esposto già in un’altra nostra opera, tuttii simboli tradizionali, compresi quindi quelli animali,hanno la loro suprema chiave interpretativa nel rapportocon l’uomo. Tradotto in termini ermeneutici questo signi-fica che, per quanto riguarda il mondo delle immagini,cioè dei simboli visivi, le figure chiave sono sempre quel-le a metà strada fra il simbolo animale propriamentedetto e la figura umana. Tale principio vale soprattuttoper quegli animali simbolici di natura puramente mitica,che risultano da un complesso assemblaggio di parti sim-boliche tratte da diverse specie animali esistenti, compre-so l’uomo. Questi animali nelle diverse tradizioni del-l’Eurasia sono in realtà molto pochi, riducendosi il loroelenco a soli cinque: il tetramorfo nelle sue diversevarianti la principale delle quali è la sfinge, il grifone, lafenice, il drago e l’unicorno. Non a caso ciascuno di que-sti animali di pura immaginazione presiede ad una preci-sa zona di confine fra due o più sottocategorie del mondoanimale. Il grifone è infatti a metà strada fra gli uccellirapaci e i carnivori terrestri; il tetramorfo è addirittura ilpunto in cui convergono l’uomo, i volatili, i quadrupedie i rettili; l’unicorno è l’incrocio di almeno tre categoriedi animali erbivori terrestri quali i cervidi, gli equidi e gliovini; il drago risulta da una mescolanza di caratteristicheprese a prestito dai rettili, chirotteri, pesci e anfibi, conl’aggiunta però della caratteristica di emettere fiammedalla bocca. Le varianti di simili creature che in Eurasiale diverse culture hanno espresso sono solo dovute aglioggettivi riferimenti zoologici alle specie che effettiva-

Il Simurgh trasporta il principe Zal sul monte Elbruz. Miniatura dallo Shàh-nàma (Libro dei Re). Da Tabriz,

(Istanbul, Museo Topkapi, Album Sarai, H. , fol. °)

Imperatore sasanide con la veste decorata da Senmurv. Dal rilievo rupestre di Taq-i-Bustan (Iran), V secolo d.C. circa

Ciotola mamelucca decorata con fenici ad ali spiegate, di tipo estremorientale. Ottone incrostato d’argento, inizio XIV secolo(Palermo, Museo della Zisa)

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tradizioni, giungendo talvolta ad alternarlo anche all’in-terno di una sola forma tradizionale. Tali colori sonoappunto il celeste del Benu egizio, che ritroviamo anchenel vessillo medievale inglese della famiglia Verney, e ilrosso la cui diffusione, talvolta mutuato in oro, va da uncapo all’altro dell’Eurasia.Ma tutte queste caratteristiche pur importanti della feni-ce non arrivano ancora a circoscrivere il significato piùalto e più vero che tale animale simbolico per eccellenzaha rivestito nelle culture più arcaiche, e la cui tradizionesi è mantenuta in seguito quasi esclusivamente nelle piùelitarie vie iniziatiche tanto d’Oriente quanto d’Occiden-te, come il Taoismo cinese e l’Alchimia occidentale. Infat-ti la chiave di tutto sta in quella primordiale danza con laquale uno sciamano alato e mascherato da uccello mima-va ad un tempo sia il volo possente dell’aquila che quellopiù alto e divino del sole stesso, e che così «volava» sem-pre più in alto fino a identificarsi e a scomparire in quan-to uomo nella luce e nella fiamma eterna del sole stesso.Già i miti greci di Fetonte e di Icaro, non a caso figlio delprimo architetto e quindi padre della civiltà urbana, rap-presentano il segno eloquente di un grande distacco dellacultura occidentale da tale situazione originaria. Icaroinfatti fallisce e cade nel suo tentativo di raggiungere ilsole. È il segno eloquente che tale privilegiata esperienzaspirituale comincia a diventare impraticabile, e che quin-di lo stesso mito della fenice sta per ridursi superstiziosa-mente a quella semplice curiosità che prima gli autorigreci e poi quelli latini relegheranno geograficamente nel-l’Arabia felix, cioè nella terra degli aromi da cui provienesoprattutto quella mirra che essi bruciano nei sacrifici,senza più ben sapere perché. Sarà necessario l’avventodel Cristianesimo perché la fenice sia restituita anche inOccidente al suo fondamentale referente umano. La feni-ce viene infatti assimilata giustamente al Cristo morto erisorto dalla sua tomba nella luce trasfigurante e abba-gliante del suo corpo di gloria. Ma in Occidente, nono-stante tale esplicita assimilazione ed identificazione, l’ico-nografia della fenice perde pressoché completamentetutti, o quasi, i suoi riferimenti antropomorfi, salvoappunto ritrovarli anche ad abundantiam nella particola-rissima iconografia dell’Ermetismo e dell’Alchimia. Inogni caso proprio questo allontanamento iconico dalla

mente vivevano nelle rispettive aree geografiche. Ciascu-na di queste creature andrebbe studiata con attenzioneprima scomponendola nei suoi elementi principali, equindi riconsiderando profondamente il perché di unsimile assemblaggio, solo in apparenza arbitrario. Fral’altro, probabilmente, non è nemmeno un caso il fattoche tali animali siano cinque, anche se bisogna riconosce-re che in realtà uno di questi, la sfinge, ha avuto una dif-fusione limitata alla sola area mediterranea. In simili crea-ture si condensa, quasi si cristallizza, una plurimillenariatradizione che discendendo dalla più remota preistoriaarriva sino ai nostri giorni. In questi veri e propri «sigil-li» figurativi zoomorfi è infatti condensata la scienza del-l’interpretazione simbolica di tutti gli animali. Se consi-deriamo quindi la fenice, forse l’esempio più largamentediffuso tanto in Oriente quanto in Occidente di tali ani-mali mitici, esso ci appare sempre come la fusione di partisimboliche delle più diverse specie di uccelli, tant’è che leprincipali differenze iconografiche vertono proprio sul-l’uso dell’una piuttosto che dell’altra specie di uccello aseconda dell’area geografica. Ma, così come nel caso deldrago, anche in quello della fenice è presente un elemen-to costante apparentemente estraneo alla natura di qual-sivoglia uccello. E si tratta ancora una volta del fuoco,anzi, per essere più precisi, diversamente dal drago ancorpiù importante del fuoco e più spesso presente in tutte lesue varianti è la connotazione luminosa prima ancora cheignea. Questo perché l’«Uccello» che la fenice esprimesimbolicamente dal mar Mediterraneo all’Oceano india-no è il più grande, più caldo e più luminoso volatile delcielo che l’umanità conosca fin dalle sue proprie origini,il sole. Sole che è anche sempre o la suprema divinità oun’entità divina che ad essa è comunque correlata, più omeno direttamente, e che ne condivide, oltre alla luce e alcalore vivificante, anche un’altra caratteristica essenziale,quella dell’immortalità. Ma di una immortalità che, pro-prio come quella del sole che sorge e tramonta ogni gior-no, si articola nell’alternanza ciclica di vita, morte e resur-rezione, in una continuità assolutamente indefinita. Que-ste due caratteristiche fondamentali della fenice, e cioèquella di essere celeste in quanto divina e la sua identitàcol sole, spiegano anche il perché dei due colori fonda-mentali che questo uccello mitico manterrà nelle diverse

Il principe Zal nutrito dal Simurgh. Miniatura attribuita ad ‘Abd ul-‘Aziz, dallo Shàh-nàma di proprietà dello Shah Tahmap. Da Tabriz, circa (Berlino, Staatliches Museum, fol. v)

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Apparizione del Simurgh alla nascita dell’eroe Rostam. Miniatura indiana da un manoscritto dello Shàh-nàma, XVI secolo (New Delhi, National Museum)

Re Zal fa apparire il Simurgh, bruciandone una penna sul braciere.Miniatura da un manoscritto indiano dello Shàh-nàma,

(Londra, British Library, inv. , Or. , fol. )

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Il Simurgh, qui dal piumaggio completamente dorato, mentreassiste alla nascita dell’eroe Rostam. Da un manoscritto dello Shàh-nàma, XIX secolo, proveniente dall’India settentrionale(Londra, British Library, inv. Or. , fol. v)

Il Simurgh cura le ferite di Rostam, mentre il suo cavallo Rakhshaspetta lì vicino. Miniatura da un manoscritto indiano dello Shàh-nàma, (Londra, British Library, inv. Add. , c-, fol. )

Combattimento fra Esfandiyàr e il Simurgh. Il principe indossaun tipico costume militare mongolo. Miniatura da un manoscrittopersiano dello Shàh-nàma. Shiraz,

(Hazine , fol. °)

Esfandiyàr mentre si accinge a scendere dal suo carro per uccidereil Simurgh. Miniatura dal manoscritto dello Shàh-nàmadi proprietà dello Shah Isma’il II, firmato da Siyavush. Qazvin (Iran) -

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Nel Giudaismo

Per tutta la durata del nostro itinerario verso Oriente,sempre troveremo all’interno di ciascuna tradizione benpiù di un solo uccello simbolico avente caratteristichesimili a quelle della nostra fenice. Così, nel Giudaismo netroviamo almeno tre, in apparenza distinti tra loro abba-stanza nettamente, anche se, in definitiva, quasi del tuttointercambiabili dal punto di vista simbolico. I loro nomiebraici sono rispettivamente Ziz, Malzam e Hol, e tuttidenotano in modo diffuso la loro diretta derivazionedalla tradizione iranica, mentre l’influenza di quella egi-zia è solo marginalmente riconoscibile nell’iconografia. Il nome Ziz è menzionato nel Libro dei Salmi (, ). Sitratta di un uccello gigante, talmente grande da riuscirein teoria a bloccare il sole con la sua apertura alare:

La fenice è chiamata anche «custode della sfera terrestre» perchésegue il sole nel suo giro e dispiegando le ali ghermisce i raggiinfuocati del sole. Se non li intercettasse, né l’uomo né alcun altroessere sopravvivrebbe. Sulla sua ala destra sono scritte a letterecubitali, alte circa quattromila stadi, queste parole: «Non è statala terra a generarmi, e nemmeno i cieli, ma solo le ali di fuoco».Si ciba della manna del cielo e della rugiada della terra. Il suoescremento è un baco il cui escremento è a sua volta il cinnamo-mo, usato da sovrani e principi.

Lo Ziz sarebbe stato creato da Dio assieme a Behemot eLeviathan, ciascuno dei tre essendo a capo, rispettiva-mente, dei tre regni animali dell’aria, della terra e dell’ac-qua:

Il quinto giorno il Santo, sia Egli benedetto, prese luce e acqua ene creò il Leviatano e la sua compagna, oltre a tutti i pesci delmare; poi appese il mondo alle pinne del Leviatano. Rimestòdella fanghiglia e ne fece lo Ziz silvestre e tutti gli uccelli delcielo; poi appese le zampe dello Ziz silvestre alle pinne del Levia-tano, e la testa di fronte al trono della gloria.

È anche detto che lo Ziz fu creato per proteggere tutti gliappartenenti alla classe degli uccelli, e che se non esistes-se, tutti gli uccelli più piccoli sulla terra sarebbero statiprivi di protezione, e quindi uccisi:

Nel mese di Tißri, al tempo dell’equinozio d’autunno, il grande

figura umana fa sì che in Occidente la fenice resti fonda-mentalmente incompresa ed enigmatica nella sua natura.Tutto il contrario avviene in Asia, dove, salvo il Giudai-smo e l’Islam che aborrono per principio qualunqueantropomorfismo, la natura essenzialmente umana dellafenice è tenuta sempre esplicitamente presente in unmodo o in un altro. E se ci trasferiamo anche nella lonta-na Mongolia, troviamo, come agli inizi preistorici di talemito e iconografia, la maschera sciamanica del Garuwa-fenice tutt’oggi indossata ritualmente dal sacerdote perquella stessa danza solare che ancora praticano talunisciamani siberiani, mancesi, e tibetani. In India ilGaruwa-fenice conserva perfettamente riconoscibili nellasua iconografia le caratteristiche dell’uomo-aquila. Seinfatti testa, ali, coda e artigli sono d’aquila, umane resta-no le gambe, le braccia, il torso e le mani, e talvolta,anche se gli esempi sono più rari, la testa, come avvienein Nepal, essendo l’Induismo ed il Buddismo nepalesipiù vicini al retaggio sciamanico che insiste in tutta lavasta area himalayana. E persino in Giappone dove lafenice sembra aver assunto più l’aspetto di un qualunquegallinaceo, di un fagianide o addirittura di un pappagal-lo, a sorpresa ritroviamo nel suo teatro tradizionale losciamano-attore che indossa l’inquietante maschera dellafenice per ripetere dal palcoscenico l’eterna pantomimadell’uomo che vuole ritornare ad essere pura luce. Si puòdire che, paradossalmente, solo con le rappresentazioniteatrali de L’Uccello di fuoco di Igor Strawinskij, l’Occi-dente ha in qualche modo recuperato la situazione origi-nale della messa in azione del mito della fenice. Non acaso grazie alla mediazione di una cultura russa che, aduno sguardo profondo, appare ancora assai più radicatain Asia che in Europa. Ma anche la Cina, che di fenici neconosce addirittura due in quanto coppia di maschio efemmina, così come del resto anche l’unicorno cinese edil drago si presentano appunto a coppie, anche la Cinache pure fra tutte le culture asiatiche ha dato la versionepiù «animale», cioè paradossalmente «naturalistica» diquest’uccello simbolico, riprende nella sua arte figurativail tema tradizionale del «volo sciamanico», questa voltanella variante dell’imperturbabile viaggio dell’immortaletaoista, tranquillamente seduto sul dorso di un’aureafenice.

Fenice su di un’isola, nello stile tipicamente cinese introdotto in Persia dopo l’invasione mongola. Da un manoscritto del Manafi al-Hayawan (L’utilità degli animali) di Abu Sa’idUbayd Allah ibn Bakhtishu. Maragha (Iran), -

(New York, Pierpont Morgan Library)

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Nella maggior parte delle leggende su Ziz risulta evidente la deri-vazione dalla mitologia iranica. Il «cantore e veggente celeste» ènaturalmente il gallo sacro di Avesta (Vendidad , ss.). […] Diorigine iranica è anche l’idea che le ali dello Ziz oscurino il sole.A esso vanno assimilati gli uccelli del sole di Baruc Greco - e iChalkedri in Enoch ; cfr. Bousset, Religion . Molto inte-ressante è il seguente passo di Konen , che precede la descri-zione della creazione di Ziz: «ed Egli creò sulla terra un ’ofan(una sorta di angelo), il cui capo raggiunge le sante zayyot e cheè l’intermediario fra Israele e il suo Padre celeste. Ha nome San-dalfon e con le preghiere intreccia ghirlande (o corone) per lamaestà divina, che si posano sul capo del Signore quando eglipronuncia il santo nome». Quanto qui detto a proposito di San-dalfon è tratto da Zagigah b. Per cogliere il nesso tra San-dalfon e Ziz è però necessario ricordare che Ziz era in origineconsiderato il cantore celeste; perciò egli corrisponde esattamen-te a Sandalfon. A un ciclo affatto diverso di leggende appartienel’immagine di Ziz come uccello gigantesco di cui si ciberanno igiusti nel mondo a venire (ibid., p. , n. ).

Esattamente come la fenice, anche lo Ziz e la sua compa-gna possono vivere un lunghissimo periodo di tempo,addirittura di settemila anni, alla fine del quale, prima dimorire, depongono sulla cima della Montagna cosmicadue sole uova, dalle quali schiuderà la nuova coppia rin-novando il ciclo:

Accade che, appena creata, la femmina di Ziz spiccò il volo eandò a posarsi sul più alto picco della più alta montagna dellaterra. Il posto le piacque e volle invitare Ziz a raggiungerla, percostruire subito il nido assieme a lui. Che fece allora? Un uovo,senza star su tanto a pensarci. L’uovo intempestivo, nato senzanido, rotolò lungo il fianco della montagna, urtò contro una spor-genza della roccia, si ruppe e il suo contenuto sommerse settemi-la valli. Le valli si trasformarono in stupendi laghi, ma l’Eternonon può permettere che un gesto incauto, anche se dettato dallapiù amorosa delle intenzioni, abbia conseguenze tanto gravi perchi da quelle stesse amorose intenzioni non è toccato. Pensò: «Unsolo uovo di questa coppia ha distrutto la vegetazione di settemi-la valli, privando del cibo le creature che avrebbero dovuto abi-tarle. Che cosa accadrebbe se una nidiata di simili animali fosselasciata libera di razzolare per tutto come fanno i pulcini? E checosa diverrebbero il fondo del mare e tutto il resto della terra,una volta che i cuccioli del Leviathan e di Behemoth comincias-sero a giocare e a rincorrersi fra loro?».Così l’Eterno concesse a Ziz e alla sua compagna due sole uovaogni settemila anni, in cambio dell’impegno a far loro trovarepronto un nido adatto. I due grandi uccelli si spengono nelmomento in cui le uova si aprono e la giovane coppia inizia unnuovo ciclo di vita (Limentani , pp. -).

uccello Ziz sbatte le ali e lancia il suo grido, così che gli uccellirapaci, le aquile e gli avvoltoi, si ritraggono e non ardisconopiombare sugli altri per divorarli con tutta la loro avidità (Ginz-berg , pp. -).

Che lo Ziz sia un equivalente della fenice è dimostrato dalfatto che anch’esso è considerato dalla tradizione ebraicala figura centrale di tutti gli uccelli:

Come Leviathan è il re dei pesci, così Ziz ha ricevuto la sovranitàsugli uccelli. Il suo nome deriva dalla varietà di sapori di cui èdotata la sua carne; sa di questo, zeh, e di quest’altro, zeh. Ziz èun animale gigantesco come Leviathan. Le sue zampe poggianosulla terra e il capo giunge a toccare il cielo.Un giorno alcuni naviganti notarono un uccello che stava ritto sulpelo dell’acqua, con le zampe appena coperte dai flutti e il capoche toccava il cielo. Essi pensarono che in quel punto l’acqua nonfosse profonda e s’apprestarono a tuffarsi, quando una voce dal-l’alto li ammonì: «Non scendete dalla vostra nave! Una volta unfalegname lasciò cadere in quel punto la sua scure, e questaimpiegò sette anni per toccare il fondo». L’uccello che i navigan-ti avevano visto altro non era che Ziz. Le sue ali, così immense daoscurare il sole quando si dispiegano, proteggono la terra dalletempeste del meridione; senza il loro ausilio essa non potrebberesistere ai venti che soffiano di laggiù. Una volta un uovo di Zizcadde al suolo e si ruppe; il fluido che ne uscì inondò sessantacittà e l’urto schiantò trecento alberi di cedro. Per fortuna taliincidenti sono rari: di solito l’uccello depone delicatamente l’uo-vo nel nido. Quella sciagura accadde perché l’uovo era marcio el’uccello lo gettò via con noncuranza. Ziz viene anche chiamatoRenanim perché è il cantore celeste. In virtù di questo suo lega-me con le regioni celesti esso è anche detto Sekwi, il veggente, e«figlio del nido», perché i suoi pulcini escono dal guscio senzache la madre covi l’uovo, come dire che nascono direttamente dalnido (ibid., p. ).

L’immortalità di quest’uccello cesserà con la fine deitempi quando Behemot sarà macellato, Leviathan saràsquartato da Ziz, quest’ultimo sarà a sua volta ucciso daMosé, e la carne di tutti e tre sarà servita nel banchettodel Messia:

Al pari di Leviathan, anche Ziz è una prelibatezza destinata aessere ammannita ai giusti alla fine dei giorni, per ricompensarlid’essersi astenuti dal mangiare volatili impuri (ibid., p. ).

È molto importante ricordare che, secondo i Rabbini, ilSimurgh, la fenice iranica che diverrà poi una delle feni-ci islamiche, era l’equivalente simbolico dello Ziz. ScriveGinzberg riguardo a questa derivazione:

Sindbad, o il Mahdi, a cavallo del Simurgh. Manoscritto del periodo gialairide. Tabriz, - circa (Istanbul, Museo Topkapi, H. , fol. r)

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Combattimento tra la fenice e il drago, un soggetto di origine tipicamente cinese. Disegno a penna in nero, con acquerello grigioe grigio-azzurro. Da Herat (Afghanistan), - circa (Istanbul, Museo Topkapi, inv. H. fol. v [n. ])

Teste di fenice e drago affrontate. Disegno a penna in nero, inizi del XV secolo (Istanbul, Museo Topkapi, inv. H. , fol. v [n. ])

Coppia di Simurgh divisi dall’Albero della Vita, raffigurati alla base di un tappeto iraniano con scene di caccia, XVI secolo(Parigi, Musée des arts décoratifs)

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Tra gli uccelli la fenice è il più meraviglioso. Quando Eva offrì atutti gli animali un pezzetto del frutto dell’albero della conoscen-za, la fenice fu l’unico che rifiutò di mangiarlo e venne ricom-pensata con l’immortalità. Quando ha vissuto mille anni si rat-trappisce e perde il piumaggio, finché diventa piccola come unuovo. Che è poi il nucleolo del nuovo uccello.

Secondo la leggenda la fenice era presente sull’Arca diNoè illuminandola tutta e, poiché a differenza degli altrianimali non mangiava nulla, Noè la benedisse dicendo:«Dio voglia che tu non muoia mai».Le fonti più antiche chiamano la fenice Hol, riconoscen-do un riferimento a tale uccello in Giobbe, , : «Iomorrò nel mio nido, e moltiplicherò i miei giorni come lafenice». La descrizione più completa della fenice ebrai-ca è contenuta senz’altro nel Libro dei segreti di Enoch(cap. ):

Spiriti volanti con forma di due uccelli, l’uno come il Fenice, l’al-tro come il Chalkedri, le loro forme (sono) di leoni, le zampe ela coda e la testa di coccodrillo, il loro aspetto è di porpora comel’arcobaleno delle nubi, la loro grandezza è di novecento misure,le loro ali (sono) di angeli e dodici ali (ha) ciascuno di essi che tirail carro del sole, portando la rugiada e il calore e come il Signoreordina così lo fanno voltare e discende e sale nel cielo e sulla terracon la luce dei suoi raggi.

Enoch dunque descrive la fenice come avente le zampe ela coda del leone e la testa del coccodrillo. Dettagli chericordano nitidamente la rappresentazione sia testualeche iconografica del Simurgh iranico, che ritroviamo adesempio nell’arte sasanide. Sporadiche sono le tracce iconografiche che Ziz, Hol eMalzam hanno lasciato dietro di sé, ad esempio in unaminiatura eseguita ad Ulm, in Germania, nel , raffi-gurante il banchetto messianico e i tre animali mitologiciZiz, Leviathan e Behemot. Una tradizione iconografica, che non collima esattamen-te con le descrizioni testuali, è quella che si ritrova negliamuleti gnostici provenienti dall’Egitto, il cui uso eraufficialmente proibito e quindi clandestino, ma abba-stanza diffuso. Non bisogna infatti dimenticare che, inlinea di principio, il Giudaismo proibisce la produzione el’uso idolatra delle immagini. Il principale studioso dellasimbologia giudaica, Goodenough (, pp. -),

Vi è un altro uccello gigantesco citato varie volte nelTalmud: il suo nome è Bar Yokni che significa «Figliodel Nido». Taluni identificano quest’uccello con lostruzzo citato in Giobbe , , poiché la femmina dellostruzzo non cova le uova ma si limita a deporle nel nido,altri invece lo collegano con l’iranico Verethraghna(nome che significa «Vittoria») menzionato nell’Ave-stà (Ya©t Varharan ), ma giacché in alcuni testi si diceche la carne del Bar Yokni sarà servita nel banchetto deiGiusti, Ginzberg commenta dicendo che «era naturaleche gli scritti successivi identificassero Bar Yokni conZiz».Il nome Malzam è una parola d’origine assai oscura cheritroviamo in ‘Alfa’ Bet’ de-Ben Sira’ e Bere’©it Rabbati.Infatti la maggior parte delle leggende che riguardano lafenice si sono sviluppate ai margini della Torah, in parti-colare nei Midrashim. Secondo la variante midrashica delGenesi, Eva, dopo aver mangiato la mela, divenne gelosadell’innocenza e dell’immortalità degli altri animali. Cosìli persuase tutti a mangiare di quel frutto, e quindi a con-dividere la sua disgrazia agli occhi di Dio. Così sintetizzal’episodio Louis Ginzberg:

Non ancora paga, ella diede del frutto a tutti gli altri esseri viven-ti perché fossero anch’essi soggetti alla morte. Tutti ne mangiaro-no e tutti sono mortali, ad eccezione dell’uccello Malzam, cherifiutò il frutto con queste parole: «Non ti è bastato aver peccatocontro Dio, arrecando ad altri la morte? Devi proprio venire dame e cercare di persuadermi a disobbedire al comandamento diDio, affinché io mangi e ne muoia? Non lo farò mai». Allora siudì una voce dal cielo dire ad Adamo ed Eva: «Il comando erastato dato a voi, ma non l’avete ascoltato. L’avete trasgredito eavete cercato di persuadere l’uccello Malzam, che non ha cedu-to perché ha avuto timore di Me, sebbene a lui non avessi impo-sto alcun divieto. Perciò non sentirà mai il sapore della morte, nélui né i suoi discendenti – vivranno tutti per l’eternità nel paradi-so» (Ginzberg , p. ).

Solo la fenice si rifiutò dunque di infrangere la legge divi-na. Allora Dio premiò quest’uccello lasciandolo nel Para-diso terrestre trasformato in una città murata, la miticacittà di Luz, a vivere in pace per mille anni. Poiché, allafine di ogni millennio, la fenice «muore» consunta dalfuoco ma poi rinasce, i Rabbi, come del resto i Padri dellaChiesa, la citavano come prova della rigenerazione deigiusti nel mondo a venire:

Simurgh all’attacco di una creatura composita, dalla testa d’elefante. Tappeto di «caccia» moghul, inizio del XVII secolo(Boston, Museum of Fine Arts)

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segnala che sul rovescio di molti di questi amuleti, usatiabitualmente dagli ebrei, ci sono talvolta delle figure diuccelli dal lungo becco e dalle lunghe gambe, quindi deitrampolieri, il più delle volte rappresentati nell’atto didivorare serpenti. Egli inoltre conviene con un altro stu-dioso, Bonner, che quando la testa dell’uccello appareradiata, ci troviamo dinnanzi ad una fenice. Raffiguratada sola, talvolta al fianco o al di sopra di un altare, essa,così come l’Ibis, secondo Goodenough sarebbe comun-que sempre intesa nella sua associazione mitica e simbo-lica con il dio egizio Thoth, nemico giurato del serpen-te che attaccò, sempre secondo il mito, l’occhio diHorus.

Nell’area islamica

Come avviene anche per le altre due tradizioni abrami-che, Giudaismo e Cristianesimo, anche per l’Islam lafenice svolge uno strano ruolo di permanenza di un sim-bolo e di un mito di per sé poco consono alla dimensio-ne religiosa di queste tre fedi. In definitiva si tratta infat-ti di un’eredità assai antica, risalente ad un periodo cheprecede addirittura la forma religiosa propriamente dettain quanto tale. C’è da chiedersi allora il perché dellasopravvivenza e financo della vitalità della fenice in que-ste tre tradizioni, due delle quali, il Giudaismo e l’Islam,sono oltretutto caratterizzate da una forte iconoclastia. Aguardar bene la sopravvivenza della fenice è dovuta fon-damentalmente a due buone ragioni: l’importante ruoloch’essa mantiene negli esoterismi giudaico, cristiano edislamico; l’insostituibile capacità che essa ha, più di qua-lunque altro mito o simbolo, di esprimere efficacementeil senso ultimo e più elevato della funzione regale. Questidue aspetti finiscono in realtà con il coincidere molto piùprofondamente di quanto possa sembrare. Proprio laforma religiosa in quanto tale ci ha abituati a distinguere,più di quanto non facciano le altre tradizioni orientali, ilmomento politico da quello spirituale, anche se solo l’uo-mo moderno e contemporaneo ha finito con il separaredel tutto il sacro dal profano. Ma, in tutte le società tra-dizionali, religiose o non, il potere politico si è sempreespresso nella forma monarchica o imperiale che non può

Il Simurgh-‘Ankà’, sovrastato da un’upupa. Da un esemplare delle ‘Aja’ib al-makluqat wa-ghara’ib al-mawjudat (Meravigliedelle cose create e aspetti meravigliosi delle cose esistenti), operageografica di al-Qazwini (-), XVII secolo (ms. P, fol. b)

Garuwa indiano interpretato come dèmone. Si riconoscono tutti gli elementi del costume sciamanico, dal copricapo cornuto al campanello sul petto. Miniatura del pittore Kalender. Turchia, XVII secolo (Istanbul, Museo Topkapi)

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mai essere completamente disgiunta dalla sua dimensio-ne sacra. Se in Cina ed India imperatori e re hanno con-tinuato fino a poco tempo fa a fregiarsi ostentatamentedel simbolo della fenice, anche nelle tre religioni abrami-che, nonostante tutto, la fenice mantiene salda, anche sesporadica, la sua naturale connessione con prodigiosità,ciclicità e splendore del potere regio in tutte le suevarianti. Così avviene anche per il Simurgh nell’Islam, lacui leggenda consente di mantenere come esemplare ilriferimento alla forma della sovranità iranica. Anche se laragione profonda di tale esemplarità diviene consapevolesolo nell’esoterismo islamico, al punto che il simbolodella fenice torna ad essere associato all’archetipo sciitadel sovrano nascosto ma occultamente sempre presenteed agente. Certo il senso più puro di tale simbolo vieneespresso solo nella letteratura arabo-persiana, che si ispi-ra più o meno direttamente al Sufismo, dove la fenicealtro non è che lo spirito immortale risiedente in ciascunessere umano, e che s’identifica non solo con quello spi-rito mohammadiano che precede la Creazione, ma addi-rittura con la stessa «essenza Divina». Per ogni uccello-anima, impigliato nelle reti del mondo sensibile, esistel’uccello inaccessibile che è simbolo di Dio, la feniceappunto (‘Ankà’, o Simurgh o Sa„na). A ciascun uomospetta dunque la scelta di «spiccare il volo», sia caval-cando la fenice sia facendosi ghermire dai suoi artigli, orestare per sempre legato ai laccioli del mondo. In defi-nitiva si tratta ancora dell’antico volo sciamanico, questavolta del tutto interiorizzato e compiuto con l’ausiliodella sola contemplazione illuminata dall’iniziazione. Sipuò comprendere allora quanto facile e naturale siastato il reciproco riconoscimento di simboli e riti fra sufie sciamani all’epoca delle invasioni turco-mongole cheben lungi dall’estinguere queste tradizioni, anzi le rinvi-gorirono, arricchendole di quanto essi stessi avevanopotuto assorbire a questo riguardo dalla cultura cineseed indiana.Come si è visto, le fenici del Giudaismo derivano in granparte dalla tradizione iranica, ed in misura minore daquelle egizia e greco-romana. Assai più complessa è lasituazione di quelle conosciute dall’Islam, che, per la suaespansione dal Maghreb alla Cina, e per l’apporto datodalle invasioni turco-mongole, finirà con il fare proprie

Garuwa in forma di pappagallo, ma dall’orecchio umano. Disegnodi un rilievo buddista proveniente da Kankali Tila, Mathura, UttarPradesh (India), I-II secolo. d.C. (Museo di Lucknow)

Garuwa. Sigillo in steatite proveniente da Mohra Moradu, Taxila (Pakistan), V secolo d.C.

Garuwa antropomorfo in bronzo. India settentrionale, XVII secolo(collezione Andrea Filippi, Ethnologica, Forlì)

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Vi∑òu e la sua sposa Lak∑mì a cavallo del Garuwa. Guazzo su carta, XIX secolo

Ha®sa-Garuwa con due teste dal becco fiammeggiante, corpo di cigno e quattro mani femminili sporgenti dalle ali. Miniatura tantrica indiana, XIX secolo

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ancor più vivacemente molte delle tradizioni classiche,giudaico-cristiane, africane, iraniche, indiane ed estremoorientali relative a questi uccelli immaginari, talora fon-dendole, altre volte mantenendole distinte. Talché ancoroggi non disponiamo di uno studio veramente compren-sivo sull’argomento. È comunque del tutto verosimile chemolte di queste tradizioni, in particolare quelle confluite,fra l’altro, nelle Mille e una notte, fossero giunte già nel-l’Arabia preislamica lungo la cosiddetta Rotta delle Spe-zie, che attraversava tutto l’Oceano indiano ed il mardella Cina. È quindi assai probabile che la convinzioneespressa da molti eruditi greci, ripresa quindi da quelliromani ed ebrei, che la penisola arabica fosse addirittural’habitat originario della fenice, sia dovuta al fatto che giàin antico la cosiddetta Arabia felix era il terminale princi-pale per le culture del Mediterraneo di un patrimonioleggendario sviluppatosi da tempo molto più ad oriente,come gli storici e geografi arabi riconosceranno, e comequeste stesse leggende dicono esplicitamente, facendodell’India la vera terra della fenice, ovvero del Simurgh,o Simurgh-‘Ankà’. Ma procediamo con ordine.Si è detto dell’importanza che ha, anche per la fenice isla-mica, l’eredità iranica. Data la sua complessità, ne ricor-deremo brevemente le caratteristiche essenziali. Il Simur-gh è citato nell’Avestà (Ya©t , e , ) col nome diSa„na meregha e nei testi mediopersiani col nome diSenmurv. Sempre nell’Avestà (Ya©t , ) è descritto illuogo in cui sorge il nido del Sa„na: in mezzo al mare pri-mordiale (Vourukasha) sorge l’Albero primordiale, l’o-rigine di tutte le piante, descritto nell’Avestà comel’«Albero di tutti i semi di tutte le piante medicinali».Sopra quest’Albero cosmico, vi è il nido del leggendariouccello Sa„na (Senmurv in Pahlavi, Simurgh in Persiano).Quando l’uccello lascia l’albero lo scuote cosicché i semivanno in tutte le direzioni. L’uccello Chamrosh sta sem-pre nelle vicinanze, e raccoglie le sementi che cadono dal-l’albero. L’immagine canonica del Simurgh, come emble-ma di regalità, si delinea in epoca sasanide (- secolid.C.), e compare soprattutto sugli abiti del sovrano, comead esempio nel grande rilievo rupestre di Taq-i-Bustan (secolo d.C. circa), ma anche su ciotole, vasi preziosi, emattonelle di terracotta. Nell’iconografia si presentaquasi sempre come un cane-pesce alato, talvolta con un

Vi∑òu in maestà sul Garuwa. Imponente scultura in pietra da Belahan, (Giava, Museo di Mojokento)

Garuwa bicefalo. Dipinto parietale risalente alla dinastia Sui (- d.C.) nella grotta a Kizil (Cina)

Garuwa antropomorfo e orante. Scultura in pietra, VI-VII secolo,Changu Narayan (Nepal)

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Vi∑òu a cavallo del Garuwa. Scultura in pietra a Changu Narayan(Nepal), VIII-IX secolo

Garuwa posato su di una ninfea, con le mani atteggiate a difesa.Statua in legno policromo da Bali, XX secolo (collezione Alessandro Grossato)

La stessa immagine, vista dal retro, mostra appieno il colore rosso-fuoco del suo piumaggio da fenice

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lare, persino in Occidente, dalla descrizione che ne feceil sufi persiano Farìd ad-dìn ‘Axxàr (-) nella suaopera Il verbo degli uccelli. In essa è narrata la ricerca delmitico Simurgh da parte di tutte le specie di uccelli, chesi ridurranno infine a trenta. Essi sono alla ricerca di unsovrano e l’upupa li istruisce:

Noi abbiamo un re senza rivali che vive oltre la montagna di Qâf.Il suo nome è Simurgh, ed è il sovrano di tutti gli uccelli. Egli ciè vicino, ma noi siamo ad una distanza infinita da lui. La suadimora è protetta da gloria inviolata, il suo nome non è accessi-bile ad ogni lingua! Più di centomila veli celano lui, che è oltre laluce e la tenebra. Non esiste nessuno nei due mondi che abbial’ardire di contrastarlo; egli è, in eterno, assoluto sovrano e viveimmerso nella pienezza della sua maestà.Come potrebbe l’intelletto di un uccello volare là ov’egli risiede?Quando mai scienza o ragione potranno giungere alla sua dimo-ra? Non si conoscono vie che conducano a lui, eppure senza dilui non è possibile vivere! Infinite creature si tormentano neldesiderio di lui, ma anche l’anima più pura è impotente a descri-verlo e l’intelletto è incapace di percepirlo: per questo anima eintelletto annichilirono nello stupore, accecati dai suoi attributi.Non v’è saggio che abbia percepito la sua assoluta perfezione, néveggente che abbia contemplato la sua bellezza. Il creato nonebbe mai modo di penetrare una simile perfezione e la sapienzane perse le tracce e la vista si confuse. Ma se tu smettessi di deli-rare capiresti che le creature del mondo partecipano della suaperfezione e della sua bellezza.

Fatto di estremo interesse, fin dall’inizio si fa esplicitoriferimento alla Cina come vero paese d’origine dellafenice:

O meraviglia! La prima apparizione di Simurgh si ebbe in Cinanel profondo della notte. Esattamente nel centro di quel paesecadde una sua piuma, e questo bastò per seminare lo scompiglioin tutti i reami della terra. Ogni uomo si fece di lei un’immagineparticolare e conformò la sua azione a quanto di essa poté coglie-re. Quella piuma è ora conservata nei dipinti cinesi, e da questoil detto: «Cerca la sapienza, financo in Cina!». Certo, se l’im-magine di questa piuma non avesse trovato ulteriore diffusione,il mondo non avrebbe sofferto tanto tumulto. Effetti così straor-dinari sono il segno inconfondibile della sua gloria, e in veritàogni anima fu forgiata a immagine e somiglianza di quellapiuma. Ma poiché una qualsiasi descrizione non avrebbe nécapo né coda, non è il caso di insistere.

Tutti gli uccelli quindi partono alla ricerca del Simurgh,ma solo trenta uccelli, letteralmente sì-murgh in Persiano,

volto umano, per indicare il suo dominio su terra, acquae aria, esattamente come la triade di animali immaginariche abbiamo visto presenti nel Giudaismo, e che, come siè detto, deriva appunto da un prototipo iranico. Ancheil Senmurv sembra che fosse associato con il dio iranicodella Vittoria (Verethragha).Dopo l’avvento dell’Islam, il Simurgh viene descrittoprincipalmente nel Shàh-nàma (Libro dei re), un poemaepico che narra dei leggendari re di Persia, scritto da Fir-dusi (/-/). In quest’opera, che, con l’occasio-ne, riprende vari temi mitici e simbolici importanti delladefunta tradizione iranica affinché non vadano del tuttodimenticati e perduti, il Simurgh fa la sua apparizionediverse volte. La prima quando rapisce e porta nel suonido l’infante Zal che è stato abbandonato dal padre per-ché nato con i capelli bianchi. Inizialmente vuol darlo inpasto ai suoi nidiacei, ma poi, impietosito, lo alleva «inse-gnandogli la lingua del suo paese e coltivando la sua intel-ligenza». Quando Zal è cresciuto ed è diventato un gran-de e potente guerriero suo padre lo rivuole indietro masfortunatamente egli non può raggiungere il regno deglidei. Il Simurgh ha pietà di lui e Zal viene riportato nelmondo degli uomini. Ma prima di andarsene il Simurghdona a Zal una delle sue penne da usare in caso di estre-mo bisogno: se gettata nel fuoco essa ha il potere di farapparire Simurgh all’istante. Questa penna servirà a Zalper far apparire il Simurgh, durante il difficile parto disuo figlio Rostam, da parte di sua moglie Rudabeh, edanche questa è una scena molto celebrata nelle miniatureislamiche. L’ultima volta che il Simurgh appare nello Shàh-nàma èquando Rostam affronta il nemico Esfandiyàr e vienemortalmente ferito. Il Simurgh cura le ferite di Rostam (ilsuo tocco è in grado di guarire anche le ferite mortali) elo aiuta a uccidere Esfandiyàr, con uno stratagemma: ilprincipe va nel campo di battaglia assieme al Simurgh evestito con una armatura lucidata a specchio, in modotale che Esfandiyàr viene accecato dal riflesso dell’abba-gliante luce della fenice e cade da cavallo. Allora Rostamlo uccide con due frecce fatte con due piume del Simur-gh, mentre, secondo alcune versioni più tarde, anchel’uccello viene ucciso da Esfandiyàr.Il mitico uccello Simurgh venne quindi reso assai popo-

Roc ritratto nell’atto di sollevare un elefante. Illustrazione dell’Ornithologica () di Ulisse Aldrovandi

Garuwa con le mani in atteggiamento difensivo. Statua in legno policromo, posta all’angolo di un tempiobuddista a protezione del tetto. Zona imprecisata del Ladakh

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Simurgh solleva nove elefanti. Guazzo su carta, XIX secolo (collezione Ajit Mookerjee, New Delhi)

Vi∑òu sul Garuwa affronta Çiva a cavallo del toro Nandin, particolare dalla storia di U∑à e Aòirudda. Dipinto su cotone, XVIII secolo (Parigi, Musée Guimet)

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alla fine delle Sette Valli mistiche giungono alla metaagognata e qui, dice l’autore, «conobbero un’ineffabilepresenza, posta al di là dei confini dell’intelletto». Gliuccelli si identificano nella fenice al punto tale da smarri-re se stessi, ed annullarsi così in lei:

Finalmente il fulgido sole dell’intimità rifulse su di loro e i suoiraggi vennero riflessi dallo specchio delle loro anime. Nell’imma-gine del volto di Simurgh contemplarono il mondo e dal mondovidero emergere il volto di Simurgh. Osservando più attentamen-te si accorsero che i trenta uccelli altri non erano che Simurgh, eche Simurgh era i trenta uccelli: e ne furono tutti stravolti e sba-lorditi né potevano comprendere cosa fossero divenuti. Infatti,volgendo nuovamente lo sguardo verso Simurgh, videro i trentauccelli, e guardando ancora se stessi rividero lui. E se guardavanoda una parte e dall’altra al contempo, null’altro appariva che ununico Simurgh. O meraviglia, questo era quello e quello era que-sto! Quando mai nel mondo si era assistito a un simile prodigio?Gli uccelli, sgomenti e confusi, rimasero un poco a pensare pursenza pensieri, ma non venendo a capo di nulla interrogaronosenza parole quell’augusta presenza, implorando la spiegazione diquesto assoluto mistero per cui il «noi» e il «tu» apparivano uniti. E giunse senza parole la risposta di quella presenza: «Noi siamouno specchio grande come il sole e chiunque in esso si guardi,vede l’immagine di se stesso, del corpo e dell’anima. Poiché voiqui arrivaste in trenta, nello specchio apparite trenta, ma se fostedi più non temete di mostrarvi! Per quanto siate mutati, vedretevoi stessi, e in verità voi avete visto esattamente voi stessi. Chi maipotrà spingere il suo sguardo sino a Noi? Quando mai una for-mica potrà contemplare le Pleiadi o sollevare un incudine, oppu-re una zanzara trascinare un elefante?Quanto sin qui avete visto o conosciuto, in realtà non accade, equanto avete detto e udito non è che pura illusione. E neppuremai sono esistite le valli attraverso le quali faticosamente avanza-ste o le stazioni ove virilmente poteste maturare. In realtà voi tuttiavete marciato senza mai deviare dall’alveo della Nostra Azione eavete sostato nelle profonde valli delle Nostre Qualità. Voi sietetrenta uccelli in preda allo stupore, ormai privi del cuore, dell’a-nima e della serenità, ma Noi siamo oltre e prima di voi, giacchéformiamo l’essenza di Simurgh. Annullatevi in Noi, nella gloriaeterna, e in Noi troverete la porta di voi stessi».E gli uccelli si annullarono eternamente in lui: l’ombra si dissolsenel sole, e così sia.

Ciascuno di questi uccelli presenta delle caratteristichesimboliche o delle qualità che lo rendono significativo sulpiano spirituale. Il più interessante a questo riguardo èsenz’altro il pappagallo, che giunge addirittura a descri-versi come l’equivalente del profeta al Khidr fra gli uccel-li per via del colore verde:

Io sono il Khizr degli uccelli e di verde m’ammanto a somiglian-za di lui, affinché possa un giorno dissetarmi con la sua acqua.Cammino per la via come un folle, vagando senza meta, ma nonho forze bastanti per raggiungere la corte di Simurgh: a me bastaqualche sorso della sorgente di Khizr. Se un giorno troverò trac-cia dell’acqua di vita, nella mia schiavitù sarò re.

In un altro capitolo (cap. della Seconda serie di dialo-ghi), intitolato La morte della fenice, troviamo una lungaed interessante digressione sulla fenice in India:

La fenice è uno strano e affascinante uccello che vive nelle terred’India. Possiede un becco lunghissimo che è provvisto come ilflauto di numerosi fori, non meno di cento. Vive priva di compa-gno e anzi la solitudine è la sua ragion d’essere. Da ogni foro delsuo becco sgorga una diversa melodia, tra le cui note si cela unarcano. Quando da quei fori s’innalza il suo triste lamento, pescie uccelli diventano inquieti per lei, tutte le belve si placano e per-dono quasi coscienza per la dolcezza di quel canto. Un filosofoche un tempo fu intimo amico della fenice, venne iniziato da leialla scienza della musica.Ella, che vive quasi mille anni, presagisce il momento della morte equando sta per giungere, rassegnata, raduna attorno a sé della ster-paglia, poi vola su quella pira e, inquieta, canta a se stessa lugubrinenie. Da ognuno dei fori del suo becco pare che sgorghi un diver-so lamento di morte, che sale dal profondo della sua anima incon-taminata: come esperto menestrello, modula arie diverse e, mentrecanta, trema come una foglia nell’angoscia della morte.Al suono di quel flauto lamentoso, belve e uccelli vengono a leiper ascoltarla, dimentichi come per incanto delle cose delmondo, e a migliaia le muoiono dinnanzi, sopraffatti dalla penaper la sua triste sorte, e infiniti altri cadono in profondo deliquio,incapaci di sostenere la malinconia del suo canto. Davvero èstraordinario quel giorno! Mentre diffonde il suo struggentelamento pare che la fenice trasudi sangue, poi quando è giuntal’ora della morte, ella agita furiosamente le ali e le piume da cuisi sprigionano scintille, e in breve tempo è avvolta dal fuoco. L’in-cendio si propaga agli sterpi che bruciano lentamente finchétutto, e legno e uccello, si trasforma in ardenti tizzoni che benpresto si riducono in cenere. Quando si è spenta anche l’ultimabrace, una nuova fenice sorge dalle ceneri.Mai una creatura mortale poté, come la fenice, rinascere o parto-rire dopo la morte. Ebbene, anche se ti fosse concesso di viverequanto una fenice, dopo infiniti dolori dovresti ugualmentemorire. La fenice per mille anni ha vagato per il mondo piangen-do su sé stessa, levando il suo doloroso lamento in perfetta soli-tudine. In nessuna parte del mondo, infatti, strinse legami e mainutrì affetto per alcuno. La morte infine le rende giustizia, spar-gendo al vento le sue ceneri.Nessuno potrà sottrarsi agli artigli della morte, ricordalo, e allo-ra liberati dall’inganno! Ma sebbene nel mondo non esistano

to un flagello. È a uno dei cosiddetti Profeti dell’«inter-vallo» (fatra) che è tradizionalmente attribuito il meritodi aver messo fine ai danni provocati da quest’uccello.Con l’avvento dell’Islam l’‘Ankà’ venne assimilato alSimurgh iranico (nei testi si trova infatti spesso la deno-minazione di Simurgh-‘Ankà’ e, secondo Pellat (),probabilmente anche al Garuwa indiano. Particolarmente interessante è il fatto che un gruppo set-tario sciita, i Shumaytiyya, inserì la fenice fra gli attributiprincipali dell’Imam duodecimano nascosto. Il che dimo-stra, ancora una volta, la stretta connessione che collegatale simbolo a taluni aspetti fondamentali della funzioneregale, in questo caso ai cicli di manifestazione e di occul-tamento dei rappresentanti del potere considerato legitti-mo da questo o quel gruppo religioso, da questa o quelladinastia. A questo proposito vale la pena ricordare che,secondo alcuni autori coevi, i sovrani appartenenti alladinastia dei Fatimidi avrebbero posseduto alcuni esem-plari di fenici nei propri giardini zoologici. Sulla base diquanto detto, si tratta di un evidente fraintendimentodell’importanza simbolica che anche tale dinastia attri-buiva alla fenice in relazione ad un proprio legittimoesercizio della sovranità. Col tempo, la progressiva degra-dazione di questo simbolo indusse diversi autori a cerca-re di fornirne una precisa descrizione naturalistica e aritenere che si trattasse di una specie realmente esistitama estinta. Con l’aumentare degli scambi mercantili tra la Persia e laCina, ma anche fra la Persia e l’India, s’incrementaronoanche gli scambi culturali di motivi iconografici e simbo-lici. Così, ad esempio, si può notare che nei moltissimimanoscritti persiani illustrati risalenti al - secolo,così come nelle ciotole la classica iconografia persiana delSimurgh (con la testa di un cane, quattro ali, la coda dipavone e gli artigli di leone) risulta completamente stra-volta dagli influssi delle iconografie cinese, indiana, ecc.Prevale soprattutto il motivo iconografico del fenghuangcinese, che vedremo nel capitolo dedicato all’EstremoOriente, la cui immagine probabilmente era giunta inPersia attraverso i disegni delle fenici spesso presenti suitessuti di seta e sulle ceramiche recate dai mercanti. Unmotivo che perdurerà nei tappeti persiani e moghul. Più marginale è il ruolo simbolico del Roc, in lingua

creature immortali, nessuno giunge, anche se sembra incredibile,preparato alla morte! Benché la morte sia con noi aspra e crude-le, è necessario porgerle il collo: infiniti sono i nostri travagli, maquesto in verità è fra tutti il più duro.

Lo stesso riferimento al magico canto della fenice si ritro-va in una lirica di Sohravardi, un maestro sufi del

secolo, intitolata L’incantesimo di Simurgh:

Sappi che tutti i colori derivano da Simurgh, sebbene essa stessa sia priva di colore […].Tutta la conoscenza deriva dal canto di Simurgh. I meravigliosi strumenti musicali, come l’organo e altri, sono stati prodotti tramite la sua eco e le sue risonanze […]. Il suo nutrimento è il fuoco […].

Nell’opera di Sohravardi, intitolata l’Intelletto Rosso,l’autore incontra un uomo dal volto e dalla barba rossache dice di venire dal monte Qâf, la sede mitica delSimurgh, e gli narra del suo nido sull’Albero Tûbâ, che èl’albero origine di tutte le piante e i frutti del mondo:

Rispose: «Il Simurgh ha il nido sull’Albero Tûbâ. All’alba ilSimurgh esce dal suo nido ed apre di nuovo le penne sulla terra.È per effetto delle sue penne che appaiono i frutti sugli alberi esulle piante della terra. […]».Chiesi al Vecchio: «Sembra dunque che nel mondo ci sia semprestato quello stesso Simurgh?»Rispose: «Colui che non sa così pensa. Ma invece, in ogni tempoun Simurgh scende dall’Albero Tûbâ sulla terra, e quello che èsulla terra contemporaneamente d’un tratto scompare […]. Men-tre l’uno viene sulla terra l’altro va verso le Dodici Officine».

Facendo ora un passo indietro, è comunque l’‘Ankà’ lapiù antica fenice conosciuta dagli Arabi, e fin dall’etàpreislamica. Viene descritta come una sorta di airone,esattamente come il Benu egizio, ed è anzi assai probabi-le che l’‘Ankà’ derivi proprio dal Benu, come del restomolti altri elementi del pantheon sincretico degli Arabipreislamici. È quindi assai probabile che tale leggendasia stata direttamente all’origine della convinzione diffu-sa fra gli autori greci e latini che la terra d’origine dellafenice fosse appunto l’Arabia. Esso riceve la sua consa-crazione in un hadith, riportato da Ibn ‘Abbâs, dal qualerisulta che, creato da Allah, l’‘Ankà’ dotato primitiva-mente di tutte le perfezioni, a un certo punto era divenu-

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araba Rukh, un uccello che rapisce gli uomini, gettarocce sulle navi, depone uova grandi come cupole che sipossono rompere solo a colpi di ascia, e con le cui pennesi possono fare enormi barili. Egli è, in definitiva, moltopiù un semplice «uccello gigante» piuttosto che una verafenice. Di fatto, spesso viene comunque assimilato alSimurgh. In esso si può sostanzialmente riconoscere, siadal punto di vista mitico che iconografico, un’antica madeformata assimilazione del Garuwa indiano in epocapreislamica, ovvero la sua interpretazione degradata nontanto come un importante simbolo dell’Induismo e delBuddismo, bensì come un uccello realmente esistente. Ènoto nella letteratura araba a partire da Jâhiz (morto nel) in poi, e compare, ad esempio, nei celeberrimi rac-conti de Le mille e una notte, nelle Meraviglie delle cosecreate e aspetti meravigliosi delle cose esistenti, opera geo-grafica di al-Qazwini (-), ne I viaggi di Ibn Bat-tuta ( secolo), e in numerose altre opere. Il Rukh ècitato ne Le mille e una notte precisamente in quattrooccasioni (notti , , e ). I due episodi più noti sonoquelli che vedono per protagonista Sindbad il marinaio.Nel primo episodio Sindbad, durante il suo secondoviaggio, si ritrova solo su di un isola deserta imprecisata egli appare un oggetto bianco gigantesco:

Era una grande cupola, molto alta e con una grande circonferen-za: […] cinquanta passi abbondanti. […] a un tratto l’aria diven-ne buia e il sole, nascondendosi, sparì dalla vista: pensai che sulsole fosse passata una nuvola ma, dato che eravamo d’estate, mimeravigliai e, alzata la testa mentre stavo guardando, vidi unuccello di grande mole, con ali larghe, che volava nell’aria: eraesso che aveva coperto l’occhio del sole nascondendolo all’isola.Perciò il mio stupore fu ancora più grande, e mi ricordai di unastoria che i viaggiatori e i viandanti mi avevano raccontato e cioèche in certe isole vi era un uccello smisurato chiamato ar-Rukh,che cibava i suoi piccoli di elefanti; constatai allora che la cupolache avevo visto non era altro che un uovo del Rukh: mi meravi-gliai perciò di quanto aveva creato Iddio altissimo. Mentre stavocosì pensando, ecco quell’uccello si posò sulla cupola per covarlacon le sue ali e stese le sue zampe dietro a sé in terra mettendovi-si a dormire sopra. […] mi legai alle zampe di quell’uccello […].Quando albeggiò e si fece giorno, l’uccello si alzò dall’uovo,emise un alto grido e si levò in aria portandomi via tanto in altoche credetti di essere giunto alla volta celeste; ma in seguito siabbassò fino a scendere a terra posandosi su un luogo alto ed ele-vato. Giunto a terra mi affrettai a sciogliere il legame: avevo timo-re dell’uccello, ma esso non si accorse di me. […] Il Rukh afferrò

Garuwa antropomorfo, in atteggiamento di orante dinanzi al tempio di Vi∑òu a Patan (Nepal). Bronzo dorato, XVIII secolo

Gaòwabheruòwa a due teste come appariva nello stemma del regno del Mysore

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Ancora sappiate che quelle isole che sono cotanto verso il mez-zodì, le navi non vi vanno volentieri per l’acqua che corre cosìforte. Dicomi certi mercanti che vi sono iti, che v’à uccelli grifo-ni, e questi uccelli apaiono certa parte dell’anno, ma non sonocosì fatti come si dice di qua, cioè mezzo uccello e mezzo lione,ma sono fatti come aguglie, e sono grandi com’io vi dirò. Eglipigliano l’alifante e pòrtallo su in aire, e poscia i lasciano cadere,e quelli si disfa tutto; poscia si pasce sopra lui. Ancora diconoquelli che l’ànno veduti, che l’alie sue sono sì grandi che cuopro-no .. passi, e le penne sono lunghe .. passi, e sono grossecome si conviene a quella lunghezza. Quello ch’io n’ò veduto diquesti uccelli, io il vi dirò in altro luogo […].Elli ànno sì divisate || bestie e uccelli ch’è una maraviglia. Quellidi quella isola sì cchiamano quello uccello ruc, ma per la gran-dezza sua noi crediamo sia grifone.

Nel commento di Giovan Battista Ramusio a questo epi-sodio è detto che anche il Gran Khan, avendo udito ilracconto di Marco Polo, si fece procurare subito unapenna di quell’uccello. Anche il frate domenicano Jour-dain Catalani, nel suo Mirabilia descripta (), cita ilmitico uccello Roc: «in ista Yndia termia sunt aves quae-dam quae Roc vocantur, ita magnae quod de facili elevantunum elephantem in aere». Una interessante dicitura èriportata poi nel Mappamondo di fra’ Mauro. Presso l’i-sola di Diab fra’ Mauro scrive che i marinai di una naveverso il videro

uno ovo de uno oselo nominato chrocho, el qual ovo era de lagrandeça de una bota d’anfora; e la grandeça del oselo era tantache da un piço del ala a laltro si disse esser passa; e con granfacilità lieva uno elefante e ogni altro grande animal e fa grandanno a li habitanti del paese e velocissimo nel suo volare.

Riguardo al Roc scrive giustamente Rudolf Wittkower(, p. ) che:

Questa leggenda ha la sua origine mitologica nell’uccello solareGaruda, e la trasformazione del Garuda cosmologico nelmostruoso Roc la si può tracciare e seguirne le migrazioni dal-l’India attraverso la Persia fino al mondo arabo, quando il Roccomparve persino nella letteratura scientifica.

nei suoi artigli qualcosa da terra e volò via verso la volta del cielo.Guardando con attenzione quello che aveva afferrato vidi congrande stupore che l’uccello aveva agguantato un serpente grossoe smisurato con cui se n’era andato in direzione del mare.

Nel suo quinto viaggio Sindbad s’imbatte nuovamente inun’isola deserta dove giace abbandonato un uovo gigan-tesco di Rukh ed invano tenta di impedire che l’uovovenga rotto dai suoi compagni di viaggio:

Quando il Rukh giunse e vide che il suo uovo era stato rotto, ciseguì e cacciò un grido contro di noi. Giunse la sua femmina, etutti e due cominciarono a volteggiare sulla nave, urlando con unverso che era più forte del tuono. […] essi ci inseguivano, por-tando ognuno nelle zampe un macigno del monte. Il Rukhmaschio lanciò su di noi quello che aveva. […] la femmina delRukh lanciò a sua volta su di noi il macigno che era più piccolodel primo, ma che, secondo il destino, cadde sulla poppa e lasquarciò facendo volare il timone in moltissimi pezzi. Tutti quel-li che si trovavano sulla nave finirono in mare.

Il Rukh viene descritto come una montagna in mezzo almare da Ibn Battuta, uno storico arabo del secolo,che asserisce di aver visto l’enorme uccello mentre navi-gava nel mar della Cina:

Al quarantatreesimo giorno di navigazione, dopo spuntata l’au-rora, ci apparve in mare una montagna, distante da noi circa diecimiglia, verso la quale ci portava il vento. I marinai si stupirono:«Non ci troviamo vicini a terra, né si conosce alcuna montagnache sorga dal mare, e se il vento ci sbatte a quella volta, siamoperduti». Così tutti ricorsero ad atti di umiliazione e devozione,rinnovarono il pentimento dei loro peccati, rivolsero supplicipreghiere a Dio e impetrarono l’intercessione del suo Profeta. Imercanti fecero voti di grande elemosine, che io annotai loro dimia mano in un registro. Il vento si calmò un poco, e al levar delsole vedemmo quella montagna che si era innalzata nell’aria, eche si era fatta luce tra essa e la superficie del mare, con nostragran meraviglia. Vidi allora i marinai piangere e dirsi l’un l’altroaddio, e chiesto cosa avessero risposero: «Quello che ci parve unmonte è il Rukh, e se ci vede ci fa perire». Eravamo allora a unadistanza di meno di dieci miglia da lui. Poi Iddio ci fece la graziadi un buon vento, che ci distolse da quella direzione, e noi non lovedemmo più, né potemmo conoscere la sua vera forma.

Anche Marco Polo cita il leggendario Rukh nel suo Milio-ne riportando i racconti dei mercanti che sono stati inalcune isole situate fra il Madagascar e l’India (cap. ,-):

Chog Tse, tavolo rituale pieghevole tibetano in lacca rossa cinesecon decorazioni in foglia d’oro. Il coperchio è decorato con un fenghuang e quattro pipistrelli, nel classico stile cinese, XIX secolo (collezione Andrea Filippi, Ethnologica, Forlì)

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Nell’India interna ed esterna

Identificato fin dall’epoca vedica con i raggi del sole, ilGaruwa è l’equivalente indù della fenice. Nell’Atharva-veda viene infatti descritto come un’aquila rossa (, ,) e come «l’Aquila divina che corre sul dorso del Cielo»(, , ). In un passo del Mahàbhàrata (, , -) egliviene descritto come un uccello immensamente grande eforte, uguale per il suo splendore al dio del fuoco Agni:

Egli è così splendente che al momento della sua nascita gli dei loadorarono scambiandolo per Agni. Egli è virile e lascivo e pren-de a piacere la forma ch’egli desidera. Egli va dove vuole. È ter-rificante come l’attizzatoio arrossato del sacrificio. I suoi occhisono rossi e lucenti come il lampo. Egli splende come il fuoco chedistruggerà il mondo alla fine dei tempi.

Il termine Garuwa deriverebbe dalla radice grì, chesignifica «parola». Un significato che va in parallelo conla definizione tradizionale secondo la quale «il tripliceVeda, che si dice sia un uccello, reca su di sé Vi∑òu, il diodel sacrificio» (Daniélou , p. ). Così lo descrive laGaruwa Upani∑ad, :

La triplice parola magica è la tua testa. Gli inni del Sàmavedasono i tuoi occhi. Il tuo cuore è costituito dagli altri inni. Gli innidel Vàmadeva formano il tuo corpo. La Bœhad e Rathàntara sonole tue ali. I canti rituali sono la tua coda. Le altre parole sacresono le tue membra e la tua schiena. I versi della Yajurveda sonoi tuoi talloni. Quelli dell’Atharva, le altre parti del tuo corpo. Letue ali sono possenti, o Garutmàn! Slanciandoti verso il Paradi-so tu fori il cielo.

Quest’altro passo dimostra invece quanto simile sia lafunzione cosmologica del Garuwa indù a quella dello Zizebraico, e di altre fenici:

Questo uccello è capace di arrestare con il vento delle sue ali larotazione dei tre mondi (Mahàbhàrata, , , ).

I miti a lui legati si sviluppano più estesamente sia nelMahàbhàrata (, , ; , -) che nei Puràòa.Secondo tali narrazioni, egli sarebbe nato da un uovodeposto da una delle due mogli del Œsi Kaçyapa. Quan-do l’uovo si schiuse apparve un giovane di meraviglioso

aspetto, ma con i piedi deformati ad artiglio. Dall’altramoglie del Œsi nacquero mille piccoli serpenti, capostipi-ti di tutti i rettili della terra, futuri irriducibili avversaridel Garuwa. In un episodio del Bhàgavatapuràòa (cap.), il Garuwa lotta contro il terribile serpente Kàliya:

All’inizio di ogni mese tutti i serpenti solevano ricevere un’offer-ta sotto un albero […] e ognuno dei serpenti, per proteggere sestesso, soleva donare una parte della propria offerta al nobileSuparòa [«Quello dalle belle penne» epiteto di Garuwa] all’ini-zio di ogni quindicina lunare. Ma Kàliya, figlio di Kadrù, erapieno di orgoglio per la tossicità del suo veleno, e disprezzandoGaruwa si mangiò anche la sua parte di offerta. Quando il Signo-re Garuwa amato dal Signore Vi∑òu venne a saperlo si adirò evolò veloce da Kàliya per ucciderlo. […] piombò su di lui conun fiero assalto e molto velocemente colpì il figlio di Kadrù conl’ala sinistra che risplendeva come l’oro.

Garuwa è chiamato spesso Nàgàntaka, ovvero il«Distruttore di serpenti». Spesso però il serpente fem-mina viene solo afferrato e sollevato in alto nel cielo: è iltema del ratto della Nàgì o Nàginì. Il Garuwa non rapi-sce il serpente per distruggerlo, ma, come ha messo inluce A.K. Coomaraswamy (), per «spogliare» il ser-pente o la serpentessa della sua pelle e conferirgli e ricon-ferirgli quella natura splendente e luminosa che sta nelprofondo di tutti gli esseri manifestati. In questa immagi-ne è dunque contenuta la chiave del significato piùprofondo dell’eviterna lotta fra il Garuwa e il serpente.La differenza fra questi due punti di vista, secondo i qualisi può considerare l’opposizione fra il Garuwa e il nàgao la nàgì, corrisponde anche esattamente alla differenzache esiste nell’Induismo fra il punto di vista vishnuita equello shivaita. Un altro importante mito che riguarda il Garuwa è certa-mente quello in cui egli «ruba» agli dei l’amœita, ossia labevanda d’immortalità, conservata nel Cielo di Indra, ilpiù alto di tutti (Mahàbhàrata, Adiparva, e ). Lo faper ottenere la liberazione di sua madre Vinatà, prigio-niera di Kadrù, l’altra sposa di suo padre, nonché proge-nitrice di tutti i serpenti. Garuwa riesce a sottrarre il net-tare degli dei, nonostante essi avessero messo ogni tipo didifesa, ma lo pone di fronte ai serpenti su di un letto disteli acuminati. Così, nel leccarlo, i serpenti acquisisconoper sempre la lingua biforcuta. Successivamente il dio

Khyung tibetano. Dipinto contemporaneo del pittore tradizionaleRomio Shrestha

Khyung nero tantrico. Da una thangka tibetana del XIX secolo

Khyung. Da una thangka tibetana contemporanea

Due fenici arcaiche con il tipico becco girato all’indietro: [a.] da uno tsun conservato al Museo dell’Università della Pennsylvania e da un chih del British Museum; [b.] da un ricamo su seta, VI-IV secolo a.C. conservato al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo

[c.] Due motivi decorativi a forma di fenice: da un vaso riportato alla luce nel nella Provincia di Liaoing; [d.] due versioni del carattere wang («imperatore») dai vasi Zhouconservati al Museo nazionale di storia cinese di Pechino

[a.] [b.]

[c.] [d.]

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Coppia di fenici maschio e femmina, da una enciclopedia cinese,XVII secolo

Disegno di un dipinto su seta, raffigurante una figura femminile e una fenice che lotta con un drago, proveniente da Changsha,periodo degli Stati Combattenti (- a.C.) (Pechino, Museo nazionale di storia cinese)

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Fenice. Placca traforata in caolinite, risalente alla cultura Longshan(- a.C. circa). Dalla tomba di Sunjiagang (Lixian) nello Hunan

Puntale in bronzo raffigurante un uomo-uccello trovato in una tomba a Sanxingdui, XII secolo a.C.

Giacca festiva con drago e fenici, di una bambina di stirpe Han,Cina, XIX secolo (Venezia, Museo d’arte orientale, inv. [deposito])

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testi ha il viso bianco e le ali d’un rosso scarlatto, oppureha tutto il corpo di colore bianco e rosso. Le braccia, poi,possono essere addirittura quattro, due per tenere unombrello e una tazza di ambrosia, e due in atteggiamen-to di adorazione. A riprova che la sua immagine, come inaltri rari casi nell’Induismo, non è di quelle canonizzabi-li in senso stretto, e resta sempre potenzialmente poli-morfa e policroma. Di fatto l’iconografia tradizionale lorappresenta spesso come uno straordinario uomo-aqui-la di cui vengono più o meno accentuati, a seconda delluogo e del periodo, i tratti antropomorfi. Più raramente,assume l’aspetto di un pappagallo, fra gli esempi sculto-rei più antichi, nell’architrave mediana del toraòa orien-tale dello Stùpa I a Sàñcì del secolo a.C. o nel pan-nagàçana di un rilievo Mathurà conservato al Museo diLucknow nel quale l’unico elemento antropomorfo èdato dall’evidente orecchio umano sulla testa del pappa-gallo. Come uomo-pappagallo è raffigurato in taluneminiature nelle quali, oltre alla forma del becco, anche ilcolore verde del suo piumaggio lo connotano chiaramen-te come tale. La sua impressionante immagine è statacontinuamente ripresa attraverso i secoli, con notevolivariazioni stilistiche, in tutte le regioni dell’India siainterna che esterna, in immagini sia fisse e di notevolidimensioni o mobili e molto piccole, adatte al cultodomestico, sia plastiche eseguite in pietra, stucco, metal-lo, legno (soprattutto in Indonesia), che dipinte su pare-te o miniate.Sicuramente la sua leggenda, di origine indù, ma fattapropria anche da Jainismo e Buddismo, è alla base diquella del Rukh islamico, e, come si è detto più sopra, hamodificato in parte quella del Simurgh, specie dal puntodi vista iconografico. Grazie alla diffusione del Buddismoin Asia centrale ed estremo orientale, è entrato a far partedelle iconografie di molte altre culture diverse da quellaindiana, raggiungendo addirittura il Giappone e la Mon-golia. L’arrivo del Garuwa in Indonesia (paese del quale costi-tuisce tutt’ora l’emblema nazionale) risale al secolod.C., al seguito di commercianti e navigatori provenientidall’India meridionale, che recavano con sé il corpus leg-gendario dell’Induismo, in particolare i Puràòa, conte-nenti la storia mitica delle origini degli dei e dell’umanità.

Indra riesce a recuperare il nettare, restituendolo agli dei. Il Garuwa prima ancora di divenire la cavalcatura (vàha-na) del dio Vi∑òu e della sua sposa Lak∑mì, è la sintesiemblematica di tutte le figure divine del pantheon indù,tradizionalmente descritte come simili agli uccelli, cosìcome invece i serpenti (nàga) simboleggiano gli Asura, ecioè gli avversari per eccellenza dei Deva. Egli è quindi,sia dal punto di vista mitologico che iconografico, il sigil-lo della lotta senza fine fra demonico e divino nel Cosmomanifestato. Da un punto di vista più esoterico, che siritrova anche nel Lamaismo tibetano, egli è soprattuttoVinàyaka, cioè «Colui che rimuove gli ostacoli» che sifrappongono alla conoscenza suprema, e quindi alla libe-razione. Sempre da questo punto di vista, il Garuwaviene assimilato al lampo dell’illuminazione intellettuale,che si precipita come un rapace su colui che realizza l’il-luminazione suprema, sollevandolo quindi con i propri«artigli» fino al cielo più alto, ove risiede la luce eternadivina. Per lo stesso motivo, egli è stato preso a simbo-lo per eccellenza della sovranità regale da diverse dinastiee monarchi indù sia in India che in altre aree geograficheinfluenzate dall’Induismo o dal Buddismo. Infatti, secon-do la tradizione sia indù che buddista, il vero sovranopuò essere solo colui che ha compiuto sia l’ascesa che laridiscesa spirituale lungo l’asse di luce che attraversa tuttii piani del Cosmo. È facile riconoscere in queste conce-zioni la più arcaica simbologia del volo sciamanico degliantichi capi politici e spirituali. Sempre in connessionecon il significato realizzativo che detiene il Garuwa, sispiega anche il fatto, solo apparentemente contradditto-rio, che pur essendo egli la cavalcatura di Vi∑òu, vieneconsiderato una manifestazione di «Rudra-Çiva» (cfr.Agni Puràòa , p. ), proprio per la sua funzione didistruttore che consiste, in realtà, nella prerogativa segre-ta di trasformare in luce tutto ciò che afferra, scendendoprecipitosamente, come il lampo che egli è detto padro-neggiare con maestria, dal cielo sulla terra. La Parameçvara Samhità (, , -) lo descrivecome enorme ed aggressivo, dal colore complessivo dora-to, con la testa d’aquila, un becco rosso e delle ali piu-mate, un largo ventre e due braccia simili a quelle di unuomo. Quando trasporta Vi∑òu sulla sua schiena, le manidevono fare da supporto ai piedi del dio. Secondo altri

Disegno dello stesso stendardo funerario, nel quale si riconosce più facilmente lo schema dei tre mondi (Terra, Atmosfera, Cielo)secondo il quale sono suddivise le diverse scene

Coppia di fenici affrontate poste al centro dello stendardo funerario a «T» proveniente dalla tomba I a Mawangdui (Hunan);le scene descrivono le diverse tappe del destino postumo della defunta. Pittura su seta, II secolo a.C.

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La dea Hàrìtì, riconoscibile dal bambino in braccio, a cavallo di una fenice. Inchiostro su carta, dinastia Tang (fine del IX secolo)(Londra, British Museum, Stein Collection, Stein Painting , Ch. )

Il Bodhisattva Avalokiteçvara, reggente con la mano destra la sfera del sole e con la sinistra la luna. All’interno della sferasolare si riconosce una fenice, di tipo cinese. Cinque Dinastie o Song del Nord, fine del X secolo. Inchiostro su seta (Londra, British Museum, Stein Collection, Stein Painting , Ch. Xl. )

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Si sviluppò così una letteratura locale, che fin nel primosuo testo, l’Àdiparva, contiene il racconto delle impresedel Garuwa. Anche in Indonesia il simbolo del Garuwaentra ben presto a far parte dei paraphernalia dei sovranilocali che vengono quindi riconosciuti come manifesta-zioni semidivine dello stesso Vi∑òu, e le sue prime raffi-gurazioni nei templi risalgono già all’ secolo, intensifi-candosi subito dopo la fine del . Giustamente famosa èquella del tempio Caòwi Belahan ( secolo), a Giava,oggi conservata nel museo di Mojokorto. Molto notesono anche le splendide maschere rituali in legno prove-nienti da Bali, che ricalcano l’iconografia delle statue diGaruwa affisse nei templi balinesi, sempre con le ali spie-gate di un intenso e brillante colore rosso vermiglio, arimarcarne l’aspetto di fenici, e con un caratteristico beccodai denti aguzzi, che non ha corrispettivi nel mondo ani-male in nessuna specie di volatile, se non quelli risalentialla preistoria, come il famoso Archaeopterix! E per con-cludere non si può non accennare alle marionette del«Wayang Golek», il teatro delle marionette indonesiano,fra le quali compare anche il personaggio di Garuwa.In India esiste un altro uccello mitico, apparentato sia alGaruwa che al Rukh in quanto divoratore di elefanti: ilGaòwabheruòwa. Il suo nome significa «Che ha terribi-li ganasce». In genere è raffigurato quasi sempre di colo-re bianco, con una cresta rossa e degli elefanti nel becco,fra gli artigli e persino fra le lunghe piume della coda.Un’eco indonesiana di quest’uccello prodigioso è stataraccolta dal Pigafetta, che scrive:

Anco ne dissero che sotto Giava Maggiore, verso la tramontana,nel golfo de la Cina, la quale li antichi chiamano Signo Magno,trovarsi un arbore grandissimo nel quale abitano uccelli dettigaruda, tanto grandi che portano un bufalo e uno elefante alluogo ove è l’arbore.

Quest’uccello, essendo il simbolo per eccellenza di forzae potenza, appare raffigurato, sempre di colore biancoma stavolta con due teste e con caratteristiche anserine,in alcuni stemmi reali indù, come ad esempio quelli del-l’antico regno di Vijayanagara e quello del regno delMysore, soppresso solo nel . Costituisce inoltre unmotivo ornamentale ricorrente nei gioielli dell’India delSud, almeno fino al periodo Nayaka.

I guardiani dei quattro «palazzi del cielo» e le costellazioni ad essi attribuite. Esisteva anche un quinto «palazzo», quello centrale, che comprendeva la Stella Polare, l’Orsa Maggiore e altre stelle circumpolari sempre visibili

Il Buddha mentre chiama a testimonianza della sua Illuminazionela terra e il cielo, significato dal sole; al centro della sfera di luce si riconosce una fenice, dinastia Tang (-), inchiostro su seta(Londra, British Museum, Stein Collection, Stein Painting & ,Ch. xxii. )

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Fenice, particolare di un pilone di Kiuhien (Sechuan), d.C. circa(Han orientali)

Specchio di bronzo con coppia di fenici maschio e femmina in composizione con fiori, dinastia Song (-) (Roma, Museo nazionale d’arte orientale, dono di Antonia Gisondi, inv. /)

Specchio in bronzo con i quattro animali guardiani detti «Si Ling»:la fenice, in alto, indicante l’estate e il meridione, il drago la primavera e l’oriente, la tartaruga avvolta dal serpente l’inverno e il settentrione, la tigre l’autunno e l’occidente, dinastia Tang (-)

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Placca in nefrite verde in forma di drago e fenice, periodo degli Stati Combattenti (- a.C.) (Bath, Museum of East Asian arts, inv. PE )

Frammento di laterizio raffigurante una fenice con una perla nel becco, cavalcata da una figura umana, probabilmente un immortale, epoca degli Stati Combattenti, Regno di Qin (- a.C.) (Museo civico di Xianyang)

Lastra di argilla, proveniente da una cappella funeraria,secondo la tradizione esistente a Ching-ping-hsien,Shangtung, tarda dinastia Han ( d.C. circa) (New York, The Metropolitan Museum of Art)Intero (a sinistra) e particolare raffigurante una coppia di fenici, maschio e femmina, e fra loro una figura umana vestita da fenice,

probabilmente l’anima del defunto, danzante sul tetto della dimora di Xiwangmu, la Regina Madre dell’Occidente

Lastra di terracotta del II secolo risalente agli Han orientali, raffigurante un edificio imponentecon sopra una fenice, simbolo di buon auspicio

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Fenice. Ceramica con invetriatura turchese. Statuetta originariamente collocata a protezione di un tetto (Monaco di baviera, Staatliches Museum für Völkerkunde)

Arazzo di seta tipo Kesi, con fenici, pavoni e leoni. Cina, epoca della dinastia Qing (-), XVIII secolo (Roma, Museo nazionale d’arte orientale, inv. /)

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che, lo «tsam Garuwa» è chiamato il «Signore delleQuattro Montagne». Non a caso questa montagna èanche la dimora dell’Uccello di Tuono (Han garid) chesi manifesta sotto forma di Garuwa, equivalente al fen-ghuang cinese che, come vedremo nel prossimo capitolo,secondo la cosmologia cinese domina proprio il quadran-te meridionale. Ritornando brevemente allo Spirito delBogdo Ula, le maschere mongole che lo rappresentanohanno sempre corna di toro verdi, capelli rossi fiammeg-gianti e due serpenti nel becco. Il colore del viso è aran-cione e dei gioielli gli coronano la testa. Assieme allamaschera va indossato un costume con delle manichelunghe che sembrano delle ali e tutto contornato da bordirossi e blu (i colori predominanti nella fenice). Come sipuò notare questo costume è assai simile a quello deglisciamani siberiani. Abbiamo già ricordato come in tutta l’Eurasia i miti dellaregalità comportino spesso un simbolismo legato alleaquile o alle fenici, in quanto questi uccelli sono conside-rati messaggeri della divinità suprema, e quindi segnodell’approvazione celeste. Secondo i Mongoli, un’aquiladalle ali d’oro avrebbe dato loro le yasa, le leggi fonda-mentali della vita nelle steppe, e li avrebbe aiutati a fon-dare l’impero mongolico insediando sul trono ChinggisKhan.

In Estremo Oriente

Secondo de Saussure () l’origine della fenice occi-dentale sarebbe da ricercare in Cina. In effetti le radicidella fenice cinese, che, come in altre tradizioni, si iden-tifica con un’intera «famiglia» di uccelli immaginari, sonoestremamente antiche, soprattutto dal punto di vista figu-rativo, poiché affondano addirittura nella protostoria. Esono radici che ci conducono direttamente all’importan-za che rivestiva allora, più in generale, tutto il complessosimbolismo degli uccelli, fantastici e non, ancora stretta-mente legato al rito ancestrale del «volo sciamanico».Purtroppo, gran parte degli studi dedicati ai complessimotivi simbolici che decorano i bronzi rituali risalentialle dinastie Shang (- secoli a.C.) e Zhou (/- a.C.), si sono concentrati più sull’evoluzione stilistica,

Nell’interpretazione buddista, è detto che i serpenti e glialtri rettili che il Garuwa ghermisce e distrugge, altro nonsono che l’oscurità dell’ignoranza colpevole e altri vinco-li e legami negativi nei quali ogni singolo essere è avvi-luppato a causa delle azioni negative compiute nella vitapresente e in quelle passate. Egli è quindi consideratonon solo uno degli otto guardiani del Buddha, ma addi-rittura una diretta manifestazione di quest’ultimo, identi-ficazione che viene particolarmente sviluppata in tutte levie realizzative del Buddismo tantrico, compresa quellapiù riservata dello Dzog chen. Con il Buddismo il Garuwadiventa la cavalcatura di Vajarapàòi, la controparte deldio indù Indra, e di Amoghasiddhi (il quinto dhyàni-buddha). Il Garuwa gioca inoltre un importante ruolonel Buddismo tibetano, a causa della sua identificazionecon il mito locale dell’uccello Khyung. Questi si presentasimile al Garuwa con becco, ali, coda e artigli da uccelloe corpo umano, ma in testa ha due corna, un gioiellod’oro preso dal regno dei Nàga, e i capelli che vannoverso l’alto come fiamme. Talvolta sta su di un disco sola-re o seduto su di un loto rosa, stringendo fra gli artiglidue serpenti. Il Garuwa nero, in tibetano khyung nag po,è usato dai lama per trasmutare i vari veleni dell’esisten-za mondana, specialmente quelli inoculati dai serpenti.Khyung inoltre protegge le quattro direzioni dello spazioe appare in compagnia degli spiriti delle montagne sacredurante le danze rituali Bon, la religione pre-buddista delTibet. Esiste inoltre una sua forma particolare, nota comeTsogyel Khyung, di colore blu scuro, in cui si manifestaYeshé Tsogyel.Sempre in Tibet, che è un’area di influenza cinese oltreche indiana, troviamo spesso artisticamente riprodottoanche il motivo estremo orientale del fenghuang, soprat-tutto sul mobilio e altri oggetti, quale simbolo di felicità,specie se unito al pipistrello (fu) che in cinese ha la stes-sa pronuncia della parola «fortuna».In Mongolia, ultima propaggine nord-orientale dell’areadi influenza indiana, che si interseca peraltro con quellacinese e con i residui assai vitali del locale sciamanismo,il Garuwa rappresenta lo «Spirito del Bogdo Ula», unadelle quattro Montagne sacre e precisamente quella postaa sud della moderna capitale Ulaanbaatar. Presso i bud-disti mongolo-tibetani, impregnati di credenze sciamani-

Vaso in ceramica con l’imboccatura a forma di testa di fenice, dinastia Tang (-) (Pechino, Museo del Palazzo della Città Proibita)

Vaso meiping a forma di fenice, fine dinastia Yuan-inizi Ming(seconda metà XIV secolo), con coperchio di fattura europea, l’originale essendo andato perduto (Napoli, Museo nazionale della ceramica Duca di Martina, inv. D.M. )

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che non sui loro reali contenuti e relativi contesti.Manca quindi uno studio veramente definitivo sul mate-riale archeologico cinese più antico, che ci consenta unapuntuale ricostruzione di tutte le tappe di sviluppo eadattamento del simbolo della fenice in Cina. Ne possia-mo dare qui solo una breve sintesi. Si è già ricordato chemolti studiosi ritengono assolutamente improprio ricono-scere una vera fenice nel feng cinese, che sarebbe solo«un uccello fantastico tradizionalmente descritto comeun incrocio variopinto tra un pavone e un fagiano». Adogni modo, il carattere pittografico da cui deriverà poi l’i-deogramma corrispondente a feng, che può significareanche «vento», appare già nelle più antiche testimonian-ze della scrittura cinese, le ossa oracolari del periodoShang. Ed in questo contesto sembrerebbe venire intesoprincipalmente come la manifestazione di uno «spiritodel vento». Con le dinastie Shang e Zhou prende svilup-po anche un altro uccello immaginario assimilabile allafenice, il lung, che secondo il mito sarebbe in grado diascendere dalla terra al cielo, per raggiungervi la dimoradi Shang Ti, la Divinità suprema. È in particolare con ladinastia Zhou che i motivi simbolici ornitomorfi prendo-no nuovo vigore, divenendo da periferici addirittura cen-trali nelle decorazioni dei vasi. In alcuni casi, essi pre-sentano delle caratteristiche, come la doppia cresta e lacoda divisa, che diverranno più tardi tipiche del fen-ghuang, la classica fenice cinese, rendendola assoluta-mente inconfondibile. In altri essi sono in modo assaisignificativo associati all’ideogramma wang, «imperato-re», forse alludendo allo spirito ancestrale della dinastia.Nei secoli successivi, al feng andrà infatti quasi sempreaggiunta la sua simmetrica controparte femminile, huang,i due termini venendo quindi tradizionalmente fusi inquello «coniugale» di fenghuang. Diversamente dalletradizioni occidentali, le fenici cinesi sono così rappre-sentate quasi sempre in coppia, e qualche volta persinoin gruppi più numerosi. Ma quel che potrebbe sembrare,almeno ad un osservatore superficiale, come una sorta disemplice connotazione naturalistica estesa a degli anima-li immaginari, considerato che quasi tutti gli animali esi-stenti in natura sono generalmente maschio e femmina,ha in realtà ben altre ragioni. Vi si deve innanzitutto rico-noscere una puntuale applicazione della legge tradiziona-

le di «polarità del simbolo», che, a sua volta, altro non èche un’applicazione più particolare di quella legge della«dualità cosmica», che i cinesi considerano fondamenta-le, e che esprimono con il famoso binomio yin-yang.Oltre a questo, vi è quindi tutta una serie di altre motiva-zioni simboliche secondarie, che sarebbe qui troppolungo prendere in considerazione. Particolarmente signi-ficativa ci sembra quella che rinvia al simbolismo lumi-noso e soprattutto solare di quest’uccello, secondo diver-se combinazioni. Da un lato vi è infatti un marcato riferi-mento alla coppia luni-solare che si divide l’illuminazio-ne del giorno e della notte, dall’altro il riferimento sem-bra essere alle due coppie simmetriche costituite daiquattro momenti cruciali del sole ai solstizi ed agli equi-nozi. Nella tradizione cinese esistono comunque, comevedremo, molte altre applicazioni secondarie di tale sim-bolo.Il motivo della fenice mantiene costantemente la suaimportanza in tutti i periodi successivi, noti come Prima-vere e Autunni (- a.C.), e degli Stati Combattenti(- a.C.). Il miglior esempio figurativo di quest’ulti-mo periodo, è un dipinto su seta del secolo a.C., pro-veniente dalla tomba di Changsha nell’Hunan, nel qualeè raffigurata una dama sorvolata da una fenice, che com-batte con un drago. In effetti il tema, più o meno stilizza-to, della lotta della fenice con il drago, senz’altro allusivodell’opposizione più generale fra luce ed oscurità, resteràuna delle più tipiche e frequenti raffigurazioni dell’artecinese, arrivando fino ai nostri giorni. D’altra parte, esi-ste anche un’importante variante ierogamica dell’usoabbinato di questi due simboli, perché l’emblema del fen-ghuang sarà sempre più spesso usato per rappresentarel’imperatrice, e quello del drago l’imperatore. Così, adesempio, ritroviamo questi simboli ricamati sulle vesti deimembri della famiglia imperiale, compresi gli eredi altrono. Sarà comunque a partire dalla dinastia Han (

a.C.- d.C.) che il motivo della fenice comparirà sem-pre più spesso. Lastre di terracotta e mattoni risalenti alperiodo degli Han orientali presentano motivi di fenicemaschio e femmina. Talvolta invece un’unica fenice com-pare sul tetto degli edifici ad indicare che in quella casaregna la concordia e la pace, o anche sopra le tegole aprotezione contro gli incendi. Due fenici maschio e fem-

Candeliere a forma di fenice. Ceramica, epoca Ming (-)(Istanbul, Museo Topkapi)

Vaso policromo, lavorato a traforo, con fenice su di una nube,periodo Wanli (-) (Pechino, Museo del Palazzo della Città Proibita)

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mina affrontate compaiono nel famoso stendardo funera-rio di Mawangdui del secolo a.C., dove segnano sim-bolicamente il punto di passaggio dello spirito delladefunta, dal rischioso mondo psichico intermedio a quel-lo celeste e divino. Sempre del periodo Han, nella zonadello Szechwan, sono state trovate lastre decorate di altaqualità artistica provenienti da una tomba sul FenghuangShan (Monte della fenice) presso Chêng-tu. Nei periodiseguenti, in particolar modo durante le dinastie Tang(-), Song (-) e Yuan (-) il motivodella fenice continuerà ad abbondare su specchi, giade,ceramiche e sete che, esportate in Occidente, andrannoad influenzare a loro volta la produzione tessile, soprat-tutto veneziana. Di particolare importanza è il ruolo sia cosmogonico checosmologico attribuito tradizionalmente al fenghuang.Secondo la cosmogonia cinese Pan Ku, ovvero l’Architet-to dell’Universo, aveva per compagni un drago, una feni-ce e una tartaruga, ovvero i progenitori di tutte le specieanimali. Nello Huainanzi (, -) vi è a questo riguar-do un passaggio molto interessante, a conferma del fattoche gli animali mitici, specie quelli del tipo del tetra-morfo, sono considerati tradizionalmente come l’originedi tutti gli altri animali. In esso infatti la nascita di tutte lespecie viene attribuita a cinque draghi diversi, uno percategoria, e nella sezione dedicata agli uccelli, è scrittoche il fenghuang diede vita all’uccello luan niao, cheSterckx identifica addirittura con il Simurgh:

L’Eccellenza alata diede vita al Dragone Volante. Il DragoneVolante diede vita alla fenice (fenghuang). La fenice diede vita alsimurgh (luan niao) e il simurgh diede vita agli uccelli comuni. Ingenerale tutte le creature piumate sono nate dai comuni uccelli(Sterckx , p. ).

Nello Shuowen jiezi (, ), la fenice appare come unanimale composito:

Davanti è un cigno, dietro un unicorno; ha collo di serpente ecoda di pesce, gola di gru e guance di anatra mandarina; ha stri-sce di drago, dorso di tigre, mandibole di rondine e becco digallo. Le sue piume sono di cinque colori. Si alza in volo dalloStato dell’uomo esemplare ad Oriente, si libra fin aldilà dei quat-tro Mari, supera il monte Kunlun, si disseta presso il Dizhu, sipulisce le piume presso le Ruoshui; al tramonto la sua dimora

Vaso cinese con fenice e drago. Ceramica bianca e blu, secondametà del XVIII secolo (Venezia, Museo d’arte orientale, sala , inv.)

Arazzo in seta con la celebrazione del compleanno di Xiwangmu,la Regina Madre dell’Occidente. A destra della regina vola la fenice che le fa da cavalcatura. Dinastia Ming (Pechino, Museo del Palazzo della Città Proibita)

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Particolare di un cielo di baldacchino processionale, con due fenici maschio e femmina ruotanti attorno ad una peonia.Cina, XVI-XVII secolo (Chiavari, Museo diocesano)

Fenice-Garuwa, con due serpenti nel becco, dinastia Sui (- d.C). Dipinto parietale nella grotta n. a Kizil (Cina)

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sono le caverne dei venti. La sua apparizione è segno di pace nelTianxia (p. ).

Dunque il fenghuang era considerato a tutti gli effetti l’a-nimale centrale fra tutti i volatili. Nel Kin King, opera del secolo dedicata all’ornitologia, è precisato che il fen-ghuang è il capostipite di ciascuna delle trecentosessantaspecie di uccelli. Secondo il Lun Yü Tseh Shwai Shing,il corpo della fenice sarebbe addirittura strutturato incorrispondenza del modello del Cosmo: la sua testa è ilCielo, l’occhio il sole, la schiena la Luna, le ali il Vento, ipiedi la Terra e la coda la Trama dell’Universo. Numero-sissimi sono gli specchi nei quali il fenghuang comparecome uno dei quattro animali guardiani («Si Ling»),dotati di proprietà soprannaturali, descritti nel Li chi: ilDrago, la Tartaruga, l’Unicorno, e, appunto, la Fenice.Secondo la cosmologia cinese, questi animali sono in cor-rispondenza simbolica anche con le quattro costellazioniprincipali del cielo, chiamate i Quattro Spiriti («SiShen»), e che sono: il Drago Verde, la Fenice Vermiglia,la Tigre Bianca e la Testuggine Nera, chiamata ancheGuerriero Nero. Nel Lunheng jiaoshi (, -) trovia-mo scritto che: «Il Cielo contiene le essenze delle quattrocostellazioni e le fa scendere giù per produrre i corpi deiquattro animali celesti». Intermediari fra il cielo e laterra questi animali mitologici rappresentano, sul pianoorizzontale, i quattro quadranti dello spazio. Il termineusato nei testi Han e nelle iscrizioni sugli specchi perdenominare l’Uccello Rosso del Quadrante Meridionale,che corrisponde all’estate, è chu niao. Il Willetts a questoriguardo scrive che

riferendoci a questa creatura […] le abbiamo dato il nome diFenice, com’è d’uso; ma in realtà «Fenice» è la traduzione con-venzionale non di chu niao, ma del termine in cinese classico fênghuang, che designa un uccello mitologico. Dunque chu niao è lostesso che fêng huang, e il termine «Fenice» può essere corretta-mente usato nei due casi (Willetts s.d., p. ).

Un’ulteriore prova dell’equivalenza simbolica fra il fen-ghuang e il chu niao, almeno nel contesto astronomico, civiene da quanto scrive un taoista del secolo a.C.,Hokuanzu: «La fenice (fenghuang) è l’uccello del “cuoredella quaglia”; è l’essenza del principio yang». Ma la feni-

Immortale a cavallo di una fenice. Statuetta originariamente collocata a protezione di un tetto.Ceramica con invetriatura gialla e nera (Monaco di Baviera, Staatliches Museum für Völkerkunde)

Disegno di due fenici affrontate, del tipo luan. Dal catalogoGuyutupu, XII secolo (Hargett , p. )

Disegno dal Chin shih so che riproduce un bassorilievo della dinastia Han, raffigurante parte della costellazione dell’OrsaMaggiore in forma di carro, sul quale siede un funzionario della Corte del Grande Orso, alla sua sinistra vola una fenice e alla sua destra un drago

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Fum Hoam (Fenghuang), l’Uccello Reale. Da Athanasius Kircher, La Chine illustrée deplusieurs monuments tant sacrés que profanes, et de quantité de recherches de la nature & de l’art, Amsterdam, Jean Jansson à Waesberger,

Xiwangmu, la Regina Madre dell’Occidente a cavallo della fenice. Da una stampa popolarecinese

Il Dio del Tuono in una stampa popolare cinesedella fine del XIX secolo. La sua immagine ricordamolto da vicino il Garuwa indiano (Roy , p. )

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Coppia di fenici maschio e femmina in volo ai lati del sole. Arazzo cinese del XVI secolo

Fenice. Kakemono dipinto su seta da Tosa Mitsuoki (-),esponente della scuola Tosa (Milano, Fototeca storica nazionale Ando Gilardi)

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occidentali all’interno del mare), sempre contenuta nelloShanhai jing, assieme al fenghuang troviamo descrittoanche il mitico uccello luan, simbolicamente non trop-po dissimile, ad esempio per la sua associazione all’Albe-ro del Mondo:

A ovest di Kaiming vi sono fenici e uccelli luan; hanno tutti deiserpenti sul capo e sotto le zampe. Sul petto hanno un serpenterosso. A nord di Kaiming vi sono shirou, alberi che danno perle,giada venata e pietre yuqi, e l’albero dell’immortalità. Tutte le feni-ci e i luan hanno uno scudo (fa) sul capo […] (ibid., pp. -).

Troviamo citato l’uccello luan o luanniao anche nelloShuowen jiezi, una sorta di dizionario etimologico com-pilato da Xu Shen (-):

[il luan è] l’essenza dello Spirito Incarnato. Il suo colore è quel-lo della carne, con disegni pentacromatici, e la sua sembianzaassomiglia a quella di un uccello. Il suo canto include le cinquenote. Quando viene composto un inno musicale esso appare. Glielementi semantici [dei caratteri di luan] vengono dalla parola«uccello»; l’elemento fonetico è luan. Durante il Regno dell’Im-peratore Chen della Dinastia Zhou, [le tribù di] Di e Qiang glioffrirono un luan come tributo.

Il luan presenta dunque in definitiva quasi le stessecaratteristiche peculiari del fenghuang, come le cinquenote musicali del suo canto e i cinque colori, e vienedefinito dagli scrittori cinesi successivi come un uccello«di buon auspicio» (ruiniao). Secondo Carl Hentze(, p. ) l’uccello luan sarebbe inoltre connesso alculto dei defunti, in quanto simbolo della parte piùnobile dell’anima.La fenice è considerata un simbolo di pace e di buongoverno legato all’impero, caratteristica questa rilevatada quasi tutti gli antichi testi cinesi. Per questo il fen-ghuang, analogamente all’unicorno (qilin), rappresental’animale più bello e più buono, e appare soltanto quan-do il paese è ben governato, o quando ci vive un santo.Nel Furui zhi (Trattato sui prodigi) di Shen Yue (-)è scritto:

La fenice è un uccello benevolo […]. Ha la testa simile a quelladi un serpente, il dorso e l’addome squamati come la tartaruga, il

ce, assieme al drago, è anche in rapporto con l’Orsa Mag-giore, o per meglio dire con la stella Polare, come risulta daun bassorilievo della dinastia Han. Frequentissima inoltreè l’immagine della Regina Madre dell’Occidente (Xiwang-mu) che celebra il suo compleanno sul monte Kunlun, checavalca una fenice, o siede su di un cocchio trainato dafenici, per recare doni preziosi, come la giada bianca opesche considerate frutti di immortalità e longevità, agliimperatori della Cina, giungendo appunto da Ovest (tal-volta si parla espressamente del deserto dei Gobi).Per quanto riguarda l’aspetto esteriore del fenghuang,quale è generalmente descritto nei testi e riprodotto siada artisti che da artigiani, di solito lo si vede raffiguratocon la testa piccola, il collo lungo, la coda con tre o cin-que piume, il becco spesso aperto o che stringe una perla,le zampe molto simili a quelle della gru, ma con speronie artigli da rapace. È detto che il fenghuang ha le piumedi cinque colori, e che su tutto il suo corpo ci sono icaratteri che indicano i cinque precetti fondamentali: sulcapo la virtù, sulle ali la giustizia, sul dorso i riti, sul pettol’umanità, e sul ventre la sincerità. Troviamo questo elen-co di caratteristiche ad esempio nello Shanhai jing (Librodei monti e dei mari), nella sezione intitolata Haineijing(Libro dei paesi all’interno del mare):

I segni sulla testa dell’uccello feng dicono «virtù» (de); i segnisulle ali dicono «accordo» (shun); i segni sul petto dicono «uma-nità» (ren); i segni sul corpo dicono «giustizia» (yi). La sua com-parsa significa armonia nel Tianxia […] (ibid., p. ).

Nel primo libro dello Shanhai jing, si trova descrittaanche la dimora del fenghuang, situata nei Monti meri-dionali:

li più a est [dal monte Daoguo] sorge il monte detto Danxue[Cavità del Cinabro]. In alto vi sono molti metalli e giada. Làsgorga il fiume Dan, che scorre verso sud e si getta nel Bohai. C’èun uccello simile al pollo, con piumaggio variegato di cinquecolori. È chiamato fenghuang. I segni che reca sul capo dicono de[virtù]; quelli sulle ali dicono yi [giustizia]; quelli sul dorso dico-no li [ritualità]; quelli sul petto dicono ren [umanità]; quelli sulventre dicono xin [sincerità]. [v.] Questo uccello beve e si nutresecondo natura, canta e danza spontaneamente, e la sua com-parsa significa pace nel Tianxia (Fracasso , pp. -).

Nella sezione denominata Hainei xijing (Libro dei paesi

ShØ, strumento musicale con cassa armonica in lacca nera, decorata con due HØØ in makie, periodo Edo (-) (Venezia, Museo d’arte orientale, sala , inv. )

HØØ sopra il tetto di un Mikoshi, carro processionale che contiene l’effigie di una divinità e che viene portato a spalla dai devoti durante le feste shintoiste. Grafica contemporanea

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collo di una gru e il becco di una gallina, mentre la coda è comequella di un pesce e il petto è quello di un cigno. Ha la testa blue le ali unite. [Il suo corpo presenta i caratteri che indicano le suestraordinarie virtù:] sulla testa appare il carattere de (virtù), suldorso ren (benevolenza); sulla testa porta il carattere yi (rettitu-dine), tiene nel grembo il carattere xin (sincerità), mentre coi suoipassi forma il carattere zheng (ordine) e alla coda è legato il carat-tere wu (combattimento) […]. Quando distende il collo e sbattelievemente le ali, brillano i suoi cinque colori. È in grado di faralzare gli otto venti e di far scendere le piogge stagionali, nelcibarsi osserva il cerimoniale, ha portamento ed eleganza, ovun-que vada profonde i principi della civiltà, mentre lascia la felicitànei luoghi che ha appena abbandonato, non vaga senza meta masceglie sempre i luoghi in cui fermarsi […]. Soltanto la fenice èin grado di raggiungere le diecimila cose, comunicare con le divi-nità, pervenire alla perfezione reale e armonizzare suoni e virtù,instaurare i principi della civiltà e predisporre lo stato al com-battimento per poi fondare l’impero. Perciò il sovrano [ottiene]i segni della fenice: quando riceve il primo segno, la fenice glipassa accanto, quando riceve il secondo segno, essa si libra sopradi lui, quando riceve il terzo, gli si posa, quando riceve il quarto,risiede in quel luogo primavera e autunno, e quando ottiene ilquinto segno, essa vive nello Stato per sempre (Shen Yue ,pp. -).

Narra Shen Yue nella sua Storia della Dinastia Liu Song,che le fenici avrebbero fatto la loro prima comparsadurante il regno del mitico imperatore Huangdi:

Mentre [Huangdi] attraversava in barca il fiume Xuanhu, nelpunto di confluenza con il fiume Lao si adunarono fenici maschie femmine; non si nutrivano di insetti né calpestavano l’erba.Alcune cercarono riparo nel giardino orientale dell’Imperatore,altre costruirono il nido sul Padiglione dei Quattro Pilastri, men-tre altre ancora si misero a cantare presso la corte; i maschi gor-gheggiavano mentre le femmine danzavano […]. Nell’autunnodel quindicesimo anno di regno, nel giorno del gengshen del set-timo mese, giunsero nuovamente le fenici (ibid., p. ).

E sempre nello stesso testo:

Tian Lao [ministro dell’Imperatore Huangdi] rispose: «Mi èstato insegnato che quando regna la pace e il sovrano si prodiganella sua opera civilizzatrice, nel suo regno giungono le fenici e vidimorano. Quando invece in un paese vige il disordine e il sovrano predili-ge le attività belliche, le fenici se ne vanno. Ora le fenici stannovolando sui confini orientali, cantano e le loro arie sono in armo-nia con il Cielo. A giudicare da ciò, pare che il Cielo stia impar-tendo degli insegnamenti solenni a Vostra Maestà; Vostra Maestànon deve disobbedire» (ibid., p. ).

Immortale che cavalca una fenice. Teiera con supporto ligneo,periodo Edo (XIX secolo), manifattura di Kyoto (Venezia, Museo d’arte orientale, inv. /)

Coppia di HØØ maschio e femmina, le fenici giapponesi, dipinte ailati del sole assieme ad altri animali mitologici, su di un ventagliousato per il teatro NØ, periodo Tokugawa (-)

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base al canto della fenice: sei sarebbero derivati dallemelodie della fenice maschio e sei dalla femmina. Inun’ode perduta dello Shijing, citata nello Xunzi, si diceche il canto della fenice somiglia a quello del flautoxiao. Nel Trattato sui prodigi invece è detto che «il suorichiamo nel tono basso è simile al suono di un gong, neltono alto a un tamburo», e Shen Yue individua ben novevarianti nelle melodie intonate dal mitico uccello. In untesto d’epoca Han, citato da Sterckx (, p. ), è spe-cificato il verso del fenghuang: «la fenice maschio intonatsit-tsit, la femmina tsjuk-tsjuk. Nel tono basso il suocanto corrisponde a quello della campana, nel tono alto aquello di un tamburo». Non va infine dimenticato che la fenice acquista la suamaggiore valenza simbolica nel Taoismo. I taoisti la chia-mano l’«uccello del cinabro» (tanniao), in riferimentonon solo al suo colore rosso, ma soprattutto identifican-do la sua natura spirituale con quella del cinabro, unasostanza considerata sorgente d’immortalità, sia in sensoletterale per l’alchimia esterna, che solo simbolico perquella interna. Spesso la vediamo così cavalcata da unoxianren («Immortale»), tema di diretta derivazione scia-manica. Ecco ad esempio un episodio significativo, checompare in un racconto di Pu Sung Ling (-), con-tenuto nel Pai Yü Yü:

[…] A un tratto la fenice, librandosi dal pantano a forma di para-sole cinese, venne giù. Il ragazzo [Pai] la prese e disse a Wu: «Lastrada è oscura e assai difficile percorrerla. Potrete assidervi suquesto uccello che farà la strada per voi» […]. Wu fece come gliera stato detto e […] l’uccello dopo aver emesso un grido si slan-ciò a volo nello spazio […]. [In seguito Wu raggiunge con la feni-ce la Porta del Cielo, entra nel Palazzo della Luna e incontra Pai,che in realtà è un immortale; tornato sulla terra dopo qualcheanno abbandona la famiglia per seguire la via ascetica e divieneimmortale anch’egli].

Anche in Giappone, dove si fondono tradizioni d’originecinese ed indiana, la fenice, detta HØØ ma anche Karura,evidente deformazione del termine sànscrito Garuwa, ècostituita da una coppia di maschio (HØ) e femmina (Ø).Simbolo del sole, ma anche della fedeltà e dell’obbedien-za, la si ritrova, con caratteristiche più marcatamenteaquiline che in Cina, in dipinti su carta, stoffe, statue,decorazioni di armi ed armature, strumenti musicali, ven-

Com’è annotato in molti testi cinesi, sporadiche appari-zioni di fenici si ebbero anche durante i regni degli impe-ratori Shi, Ku, Yao e Shun, e particolarmente durante ilregno di Chen della dinastia degli Zhou occidentali, finoalla famosa apparizione che avvenne in coincidenza dellanascita di Confucio ( a.C.). Dopo tale data, simili pro-digi si fecero sempre più rari: Shen Yue descrive una solaapparizione durante il regno dell’imperatore Guangwu(-), della dinastia Han posteriore, ed una nel Periododei tre regni con l’imperatore Wen di Wei (-).Anche nello Zhuangzi è detto:

Mentre Kong-zi si recava al paese di Chu, il pazzo di Chu, Jie Yupassò davanti alla sua porta dicendo: «Oh Fenice! Oh Fenice!Com’è decaduta la tua virtù!Non si può contare sull’avvenire; non si può risalire al passato. Quando il mondo è in ordine, il Santo compie la sua missione. Quando il mondo è in disordine, il Santo preserva la sua vita. Oggi si cerca solo di evitare la tortura: la felicità è più leggera di una piuma; nessuno sa afferrarla» (Zhuangzi, cap. , p. ).

E Shen Yue nel suo Furui zhi ribadisce:

La Tradizione del Classico dei Mutamenti recita: «Ovunque, incielo e in terra, tutte le cose sono in comunicazione, l’uomo sag-gio e i virtuosi sono gloriosi, come responsi alla virtù del sovranosi riuniscono le fenici e gioiscono le moltitudini, che non ci saran-no più calamità» (Shen Yue , p. ).

Un’altra caratteristica fondamentale del fenghuang è ilsuo canto in rapporto sia con la musica, che con gli stru-menti musicali destinati a produrla. La fenice è infattil’emblema di Nügua, la prima imperatrice secondo ilmito, la quale, fra le altre cose, inventò anche il cheng,uno strumento musicale a fiato a forma di fenice, cheimita il suo canto sovrannaturale. Esiste un precisolegame sia simbolico che rituale tra il fenghuang e gli stru-menti musicali a fiato. Nel Lüshi Chunqiu, testo risalen-te al periodo degli Stati Combattenti compilato nel

a.C., viene narrato come l’imperatore Giallo ordinò alministro Lin Lun di creare il flauto a dodici toni (tong) in

Karura (deformazione di Garuwa) con perla nel becco. Maschera antropomorfa, in legno laccato e dipinto, del teatro giapponese Gigaku, epoca Nara (VIII secolo) (Parigi, Musée Guimet)

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Brucia profumi in bronzo dorato a forma di HØØ. Opera di Shôdô Sasaki (-) (Tokyo, Museo nazionale d’arte moderna)

Il padiglione d’oro in fiamme (). Opera di Kawabata Ryushi (-). Si noti la statua dello HØØ sulla sommità del tetto, e come l’andamento impresso alle fiamme e al fumo ricordi intenzionalmente corpo alato, collo e testa della fenice (Tokyo, Museo nazionale d’arte moderna)

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nuovo corpo, un corpo magico in forma di animale»(Eliade , p. ). Tre sono le categorie principali dianimali in cui lo sciamano si metamorfosa, in corrispon-denza con i «Tre Mondi» infero, umano e supero: il ser-pente, la renna o cervo, e l’uccello. Per tutti i popolisiberiani, così come per i turco-mongoli, l’aquila è l’uc-cello del sole. E si tratta certo di un’«aquila-fenice», poi-ché le sue penne d’oro o di ferro sono tradizionalmenteassociate con le origini del fuoco. In realtà, poi, aquila esciamano sono in definitiva la stessa cosa. Essa è infatticonsiderata la genitrice del primo sciamano, ed ha unruolo centrale anche nel corso dell’iniziazione sciamani-ca. Il viaggio che lo sciamano compie sotto forma d’aqui-la è quindi il più importante di tutti, poiché si svolge indirezione ascendente, lungo la verticale di quell’Alberodel Mondo sulla cui cima, in corrispondenza del sole, l’a-quila costruisce il suo nido. I miti e l’iconografia sia d’O-riente che d’Occidente pongono sempre la fenice, cir-confusa dei suoi raggi luminosi, sulla cima dell’Alberodel Mondo, posto a sua volta sulla vetta della Montagnacosmica. Abbiamo più volte accennato nelle pagine che precedonocome la struttura del costume sciamanico tenda spesso aricordare la forma stilizzata di un uccello. Le stesse cal-zature artigliate possono imitare le zampe di un volatile.Talvolta sulla pelle del costume sono cuciti dei fiocchiche stanno a significare le sue piume. Esse possono allu-dere al cigno e all’oca o all’anitra selvatica, tre uccelli sim-bolicamente intercambiabili123, ma soprattutto all’aquila.In realtà l’uccello mitico della tradizione sciamanica, pro-babile prototipo di quello che sarà poi noto come «feni-ce» nel mondo classico, è uno strano uccello a due teste,una di cigno e l’altra di aquila. Anche fra le decorazio-ni usate dagli sciamani siberiani sul loro costume, è fre-quente la figura molto schematizzata dell’aquila, spessometallica. Ad essa sono agganciati nastri, pendenti elunghe pellicce. Come sappiamo si tratta di simboli diserpenti, ed è tanto più interessante questo loro abbi-namento con la figura dell’aquila. Infatti l’aquila ed il ser-pente sono anche le principali cavalcature dello sciamanonei suoi due viaggi verticali, verso l’alto con l’una, e versoil basso con l’altro. Il che ci riporta al tema mitico ed ico-nografico dell’aquila-fenice, che come il Garuwa rapisce

za in quel periodo del Buddismo, trasmesso per mezzodei monaci cinesi, indiani e dell’Asia meridionale. Questiarrivarono allora in Giappone, accompagnati da artistiche trasmisero un repertorio artistico costituito dallevarie tradizioni culturali presenti lungo la Via della Seta.Queste maschere, per i loro elementi stilistici e iconogra-fici, non dimostrano solamente l’influenza della Cina maanche quella dell’Asia centrale. L’attore che indossa lamaschera e il costume completo del Karura diventava,esattamente come il prototipo mitico indù e buddista, unuomo-uccello dal corpo umano dorato, ma con le ali e ilgrifo di un’aquila. Una sopravvivenza fin troppo eviden-te dell’antico costume e rito sciamanico.

La fenice e lo sciamano

Non potremmo concludere questo nostro studio senzariprendere brevemente il filo conduttore che ci ha guida-ti lungo tutto il suo corso, durante il quale abbiamo cer-cato di porre in evidenza la probabile derivazione delsimbolo eurasiatico della fenice dal complesso mitico,simbolico e rituale nel quale si inseriva, in origine, il volodi ascesa verso il sole dello sciamano preistorico. Unadelle più antiche esperienze spirituali dell’umanità. Liritroviamo, infine, significativamente assieme ed affronta-ti, la fenice e lo sciamano, rivestito del suo costume com-pleto, raffigurati in un frammento di tessuto appartenen-te alla cultura dell’Altai, risalente al - secolo avantiCristo. Un’immagine assai bella, che è stata già variamen-te interpretata, ma di cui ci sembra che solo una sia lagiusta chiave di lettura. La fenice vi è ritratta forse nelmomento in cui sta per prendere il volo assieme allo scia-mano, associandolo a quel viaggio verticale che conduceall’immortalità. Perché un unico filo conduttore lega edunisce, sub specie lucis, tutte le diverse metamorfosi dellosciamano, dalla trasparenza del suo scheletro e dei suoiorgani interni, alla ricomposizione dell’androgino graziealla sua metà invisibile, e dall’identificazione con l’aquila-fenice solare fino a questa assimilazione finale alla lucedel sole. Come correttamente aveva intuito Mircea Elia-de, «È chiaro che grazie a tutti questi avvenimenti ilcostume sciamanico tende a fornire allo sciamano un

tagli, paraventi, mobilio, oggettistica, sul tetto dei carriprocessionali (mikoshi), ma soprattutto, proprio come inCina, sopra i tetti degli edifici. Ne troviamo un esempiosul tetto del ricostruito Padiglione d’oro di Kyoto, anda-to a fuoco nel . Ecco come la ricorda lo scrittoreYukio Mishima, che alla distruzione di quest’edificio hadedicato un suo famoso romanzo:

Spesso pensavo anche alla fenice d’oro e di rame che coronava iltetto, esposta da anni ed anni alle intemperie. Quel misteriosoemblema non cantava al sorgere dell’alba, né mai sbatteva le ali,indubbiamente dimentico della sua natura d’uccello. Era tuttaviaun errore pensare che non volasse: gli altri uccelli volano nell’a-ria, ma quella fenice d’oro volava nell’eternità sulle sue ali splen-denti. Il tempo aveva colpito quelle ali, le aveva colpite e poi nellasua corsa era passato oltre: la fenice era rimasta immobilizzatanell’atto del volo, con una luce d’ira negli occhi, le ali ferme amezz’aria, irte le piume della coda, puntando spavalda i suoimagnifici artigli dorati (Mishima , p. ).

Col nome di Karura è nota soprattutto una maschera risa-lente all’antica tradizione teatrale monastica buddista,chiamata Gigaku, proveniente dall’India e giunta in Cinae poi in Giappone nel secolo. Questa forma teatraleaveva fondamentalmente tre personaggi di repertorio: unuccello, un leone ed il signore di Wu. Le maschere delKarura, scolpite nel legno e dipinte con lacche dai colorivivaci, di cui resta traccia anche negli esemplari più anti-chi, raffigurano un tipo di fenice molto antropomorfizza-ta, e dalle caratteristiche che ricordano più spesso quelledi un pappagallo verde piuttosto che di un’aquila. Ha unlungo becco adunco che tiene stretta una perla, simbolod’immortalità, e delle piume rosse che formano sia unapiccola cresta che una sorta di bargigli pendenti dalll’at-taccatura superiore del becco. L’espressione conferitaglidagli intagliatori è quasi sempre feroce o semplicementegrottesca, volutamente caricaturale. Le rappresentazionidel teatro Gigaku univano infatti l’arte del mimo, ledanze mascherate e la musica, e, nonostante il loro carat-tere in apparenza profano, erano strettamente legate airiti dei grandi templi buddisti. Il Karura è presente nelpantheon buddhista giapponese come una delle otto divi-nità protettrici del Buddha. Lo troviamo infatti rappre-sentato, ad esempio, da una grande statua nel tempioSanjusangendo a Kyoto. Esso testimonia la forte influen-

Disegno dei due padiglioni effimeri, takamikura e michodaicon sopra le due HØØ maschio e femmina; essi vengono eretti in occasione della consacrazione della nuova coppia imperiale del Giappone (Maraini , p. )

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in volo i serpenti, e più in particolare quelli femmina. Untema che, come si è visto, è fra quelli più vastamente dif-fusi in Asia, e non solo. Ma il simbolo della fenice in Asianon è rimasto, come in Occidente, solo morta iconogra-fia. Da secoli o millenni l’attore e il danzatore indù, indo-nesiano, tibetano, mongolo e giapponese ne rivestonoritualmente maschera e costume, sempre consapevoli delsuo significato.

Frammento di tappezzeria con fenice e sciamano affrontati. Cultura dell’Altai, V-IV secolo a.C. (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage, inv. GE /)

Vaso d’oro con fenici, dalla collezione siberiana di Pietro il Grande, di datazione incerta tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C.(San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage, inv. Z-)

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Disegno ricostruttivo del frammento di tappezzeria a p.

Aquila-fenice cavalcata dallo sciamano. Legno e cuoio, Negidal,Distretto di Udsky, foce del fiume Amgun, tardo XIX-inizio XX

(San Pietroburgo, Russian museum of ethnography, Siberiancollection, inv. -)

Aquila con serpenti, usata dallo sciamano per invocare Buga, la Regina dell’Universo. Ferro con pellicce e nastri di cuoio, da Evenk, regione di Ilimpian, fine XIX-inizio XX secolo (San Pietroburgo, Russian museum of ethnography, Siberiancollection, inv. -)

Aquila a due teste. Amuleto in legno rappresentante lo spiritoguida dello sciamano. Yakuzia (Siberia Orientale), fine XIX-inizioXX secolo (San Pietroburgo, Russian museum of ethnography,Siberian collection, inv. -)

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l’interpretazione data dal Sufismo il termine «Rukh» sarebbe simbolica-mente assimilabile alla parola araba «ruh» che significa «Spirito». Si tratta di un tipico errore di fraintendimento del simbolo, nel quale incor-sero, di frequente, anche molti eruditi greci e romani. In quest’opera geografica è citato il Simurg-‘Ankà’ che vive mille e sette-cento anni allo scadere dei quali accende un rogo e si brucia. Le mille e una notte, vol. , pp. -. Ibid., p. . Gabrieli , pp. -. Polo , pp. -. Citato nell’edizione del Milione del : Polo , p. . Del resto nella nostra letteratura, vi è un altro accenno ad una meraviglio-sa piuma (questa volta d’angelo) nella novella del Boccaccio intitolata: «FrateCipolla e la penna dell’Agnolo Gabriello» (Decameron, , ). Cordier , p. . La capacità di afferrare elefanti e portarli in aria è,come vedremo nella sezione indiana, una caratteristica tipica del Garuwa edel Gaòwabheruòwa. Isola che il Cerulli ha identificato con al-Diyâb di Dimaßqî, ma che per que-sti comprende Mogadiscio, Sofala e Soqotra, cfr. Cerulli -. Citato da G.R. Cardona nell’Indice ragionato dell’edizione toscana del Tre-cento del Milione di Marco Polo a cura di V. Bertolucci Pizzorusso: Polo ,pp. -. Sull’identificazione del Roc con il Garuwa indiano si veda Mitra -,p. . Il suo nome vedico, che ricorda quello dell’iranico Sa„na (vedi più sopra p.), al quale è del resto direttamente connesso, è «Çyena Gàrutman», ripor-tato ad esempio in Œgveda , , , quando Indra è abbandonato da tutti glidei, e il Çyena lo soccorre recandogli la «bevanda d’immortalità». In altri dueinni (Œgveda , e ) assistiamo invece alla sua consacrazione di traslato-re presso gli dei di tutte le libagioni sacrificali. Così, nel Puràòa che porta il suo nome, Garuwa spiega agli uomini l’origi-ne dell’Universo. Citato in Doniger O’Flaherty , pp. -. Nella tradizione popolare gli viene per questo motivo attribuito il potere diguarire dal morso dei serpenti anche solo abbracciando una statua del dio. Questa «Principessa serpente» per gli indù rappresenta la forma più espli-cita della Çakti, la potenza divina declinata al femminile, presente in tutti glienti manifestati. Nell’uomo essa è kuòwalini ovvero quel serpente psichicoavvolto nel mùlàdhàra cakra che si può far risalire fino alla sommità del cra-nio mediante le pratiche esoteriche dell’Haxhayoga. Sull’iconografia dellaNàgì vedi Grossato , pp. -. È detto che ogniqualvolta Vi∑òu si sveglia lo trova già pronto per esseremontato (Daniélou , p. ). Tutta l’iconografia relativa al cosiddetto «ratto dell’aquila», così ampia-mente diffusa da un capo all’altro dell’Eurasia, e nella quale rientra anchequella più rara del «ratto della fenice», ha in realtà sempre questo precisosignificato spirituale fin dalla sua forma più antica che è propriamente indù eche si presenta, come abbiamo visto, sotto forma di ratto della donna-ser-pente, in sanscrito nàgì. È questo anche il vero significato del «mandato celeste» degli imperatoricinesi, e quindi della loro stretta associazione simbolica con la fenice. Si veda l’esempio di Tukàràma (-), un bottegaio del Maharashtrache abbandonò la famiglia per dedicarsi interamente alla preghiera e compo-se dei versi, uno dei quali dice: «Vola mio cuore, uccello regale». La tradizio-ne vuole che alla sua morte, il dio Vi∑òu discese dal cielo sul Garuwa e fecesalire il suo devoto per portarlo in Paradiso. Le caratteristiche iconiche del rapace, possono in realtà ricordare dappres-so anche il falco o il nibbio.

Farìd ad-dìn ‘Axxàr , pp. -. Il che dimostra non solo una sorprendente consapevolezza storica e cultu-rale, ma soprattutto un riconoscimento del patrimonio spirituale d’una tradi-zione, quella estremo orientale, così diversa e lontana da quella islamica. Di notevole interesse anche questa frase. Se da un lato, il più importante,essa si riferisce in primo luogo al fatto che ogni uomo, a seconda del suo svi-luppo intellettuale, ha una comprensione più o meno profonda del signifi-cato spirituale di questo simbolo, dall’altro certo è anche la semplice con-statazione «erudita» del fatto, già evidente nella cultura dell’epoca ma forseanche prima, che ogni popolo ne ha sviluppato una sua propria specificavariante. Nell’interpretazione data correntemente dal Sufismo, questo hadith delprofeta Muhammad si riferirebbe precisamente alla ricerca, senza pregiudizireligiosi (cioè exoterici) della dottrina esoterica ed iniziatica financo in Cina,se necessario. L’importanza della penna o piuma della fenice, dalla quale essa può «rina-scere» come dalle propri ceneri, e alla quale sono comunque attribuite diver-se virtù miracolose, ricorre in varie tradizioni. Considerato che, essenzial-mente, la fenice è un «uccello di fuoco», pars pro toto qualunque sua parte èquindi uno «sbaffo» in cui è del tutto presente il principio di quella fiamma. Farìd ad-dìn ‘Axxàr , pp. -. Le Sette Valli rappresentano ciascuna una tappa dell’iter iniziatico e sono:ricerca, amore, conoscenza, distacco, unificazione, stupore e annientamento. Farìd ad-dìn ‘Axxàr , pp. -. L’importanza del simbolismo del pappagallo è riconosciuta non solo nell’I-slam ma ancor di più in India, da dove certamente tale simbolismo proviene.Nell’Induismo il pappagallo è la cavalcatura del dio dell’Amore, Kàma. Ed èper questo motivo che talune significative varianti iconografiche della feniceindiana, il Garuwa, si presentano con l’aspetto di un pappagallo dal piumag-gio verde, un’iconografia che, come vedremo, è arrivata e si è mantenuta finoad oggi nella tradizione di certe maschere teatrali giapponesi. È notevolericordare che queste caratteristiche simboliche del pappagallo sono arrivateper qualche via anche in Occidente, e si ritrovano ad esempio sia nell’operadi Rabelais che ne Il flauto magico di Mozart. Il profeta al Khidr è considerato nell’Islam come un alter ego del profetaElia, ma in talune narrazioni le due figure spirituali sono compresenti e quin-di mantenute. In quanto assimilato al profeta Elia, al Khidr condivide la suasimbologia «ignea» e «solare», che ne fa un perfetto equivalente del simbolodella fenice ed anche del suo prototipo sciamanico per via sia del tema del-l’ascensione in cielo che di quello dell’immortalità. Cfr. Grossato . Citato da Farìd ad-dìn ‘Axxàr , p. . Ibid., pp. -. Citato in Corbin , p. . Citato in Bausani , pp. -. Le «Dodici Officine» sarebbero il Ple-roma Angelico. Il nome ‘Ankà’ deriverebbe dal termine arabo ‘anq, ovvero il collare dipiume bianche che si trova attorno al collo dell’uccello e che risulta essere lacaratteristica principale della fenice araba, come testimonia anche Gaio Pli-nio Secondo nel libro della sua Historia Naturalis: «La fenice d’Arabia […].Si narra che abbia le dimensioni di un’aquila con un bagliore d’oro intorno alcollo […]» (cit. in Murgia , p. ). Ad esempio nell’Epistola dell’Uccello di al-Ghazâlî l’‘Ankà’ è posta sullostesso piano del Simurgh persiano. In alcune miniature persiane è riconoscibile il Garuwa indiano, addiritturanella sua variante, sviluppatasi nell’arte indonesiana. L’origine del nome sarebbe, secondo alcuni, l’egiziano rh, un piviere(Vanellus cristatus) spesso raffigurato sui monumenti; per altri si tratterebbeinvece di una corruzione dal greco rúnkhos, che significa «becco». Secondo

Sul simbolismo degli uccelli in generale, vedi Charbonneau-Lassay ,Chevalier e Gheerbrant , Cattabiani , Zambon . Sull’immaginazione creativa vedi Corbin . Sulla natura essenzialmente antropomorfa di tutto il simbolismo tradiziona-le eurasiatico, vedi Grossato . Sulla nozione di simbolo centrale vedi Grossato , pp. -. Le specie di uccelli attualmente conosciute nel mondo sono circa novemila. Vi è una traccia di ciò nell’attribuzione che tradizionalmente viene fatta diuna data specie d’uccello, o altro animale, alle diverse figure divine, e chesopravvive anche nel Cristianesimo con taluni attributi animali propri a diver-se figure di Santi del calendario. Come ricorda sinteticamente Jean-Paul Roux, ma trascurando stranamentela Cina, l’aquila-fenice è l’«uccello leggendario di tutta l’Asia, il simurg del-l’Iran, il rokh degli Arabi, garuda degli Indiani (quest’ultimo, ben introdottonelle steppe e spesso citato)» (Roux , p. ). In realtà bisognerebbe sempre dire la Simurgh, perché questo nome è digenere femminile. Si può peraltro notare che lo sviluppo della figura dell’angelo in queste duetradizioni, come del resto nel Cristianesimo, ha in parte ripreso i più arcaiciriferimenti mitici e simbolici sia alla fenice che al «volo sciamanico». Il pro-totipo ebraico dell’angelo cristiano è il Kerubim veterotestamentario, la cuitrasposizione iconografica, probabilmente solo a decorazione dell’Arca dellaLegge prima del Cristianesimo, è quella di una testa umana circondata dadiverse ali fiammeggianti; è il tipo appunto attribuito da diverse tradizioniaffacciatesi sul Mediterraneo, compresa quella ebraica, alla fenice, un uccellotutto di fiamma, della natura del sole, immortale. Cfr. Grossato , pp. -. Ginzberg , p. . E questi tre animali mitologici erano anche la decorazione preferita dai Rab-bini che vivevano in Germania. Essi adempiono quindi a quel ruolo di «simbolo centrale» per le rispettivecategorie, di cui si diceva nell’introduzione, ad un tempo sintesi ed origine ditutte le specie animali. Citato da Busi , p. . Questo termine designa di solito il gallo selvatico, ma Ginzberg (vol. , p., nota ) dice che qui dev’essere identificato con Ziz, sebbene nella leg-genda di Salomone designa un uccello completamente diverso. Da notare che Sandalfon è anche citato nella letteratura del Maaseh Merka-vah come un angelo di fuoco che i mistici incontrano al termine della loroascesa e per questo è da taluni identificato con il profeta Elia. In realtà questo essere «che uccide i nemici» oltre all’aspetto di uccelloassume varie sembianze: vento, toro, cavallo, cammello, cinghiale, montone,daino e persino di uomo. Ma è sotto forma di corvo che esercita appieno lasua potenza magica e dissemina il terrore fra le fila nemiche. D’altra parte nonva dimenticato che il corvo è anche un simbolo solare in molte tradizioni,come quella cinese e quella greca, che lo considera l’emblema del dio Apol-lo. Alberti , pp. -. Ginzberg , n. , p. . Sull’identificazione di Bar Yokni con Ziz vedianche Windischman , pp. -. È interessante ricordare che la parola luz, che in ebraico significa «man-dorlo», è connessa tradizionalmente, proprio come la fenice, sia con l’idea diimmortalità che di sopravvivenza oltre la morte. Cfr. Guénon , p. . Cfr. Ginzberg , n. , p. . Ibid., p. . Graves e Patai , p. . Il termine ebraico hol alcuni lo traducono con «palma». Del resto anche ilgreco phoinix può significare sia «fenice» che «dattero» (sia il frutto che l’al-

bero). Tale sinonimia è probabilmente originata dalla credenza, sia greca cheebraica, che la palma fosse propriamente l’albero prediletto dalla fenice, e chequindi ne condividesse selettivamente certe prerogative simboliche. Ginzberg afferma (Ginzberg , nota ) che l’etimologia della parola«Chalkedri» è assai oscura, e che il Bousset «suppone però che tale terminesia di origine iranica». Sacchi , p. . Si tratta di amuleti aventi, per così dire, un carattere oltre che sincretisticoanche internazionale, se si considera che tali gemme o pietre semiprezioseabbinano ad immagini prevalentemente egizie, brevi iscrizioni in caratterigreci, nomi angelici ebraici, e molto altro ancora. Gli amuleti esaminati da Goodenough sono soprattutto quelli appartenen-ti alla collezione Bonner, e da questi pubblicati (Bonner ). Bonner rico-nosce in tali uccelli prevalentemente degli ibis e delle cicogne. Goodenough , p. ; Bonner , pp. ss., figg. -. Assimilato a sua volta, in questo contesto estremamente sincretistico, sia aldio greco Hermes, che al nome divino Iao e all’Arcangelo Michaël. ScriveGoodenough: «Perciò sembra ovvia la confluenza di Thoth nel Giudaismo(che dovremmo aspettarci sulla base degli stessi scritti ermetici), e mi sembrache questo sia stato fatto sia dagli Ebrei che dai pagani». Su questa base,appare dunque probabile che si debbano riconoscere degli Ibis-Fenici anchenella decorazione di alcune antiche Sinagoghe: «Se possiamo presumere chequesto simbolo sia stato accettato e assimilato da un buon numero di Ebrei,diventa significativo che in sinagoghe come quelle di Beth Alpha e HammamLif, siano stati trovati raffigurati principalmente trampolieri. Nel fare similidisegni i toni mistici probabilmente accompagnano il senso della protezionedel simbolo come tale. Ma negli amuleti ci sembra di vedere una penetrazio-ne dentro la vita degli Ebrei» (Goodenough , p. ). Come vedremo, questa caratteristica di «divoratore di serpenti» è propriaanche del Garuwa, la fenice indù e buddista. In particolare si veda il trattato di Ibn ‘Arabî Risàlat al-ittizàd al-kawnì(noto come il Libro dell’albero e dei quattro uccelli), in cui si dà l’interpreta-zione esoterica del simbolismo del corvo, della colomba, dell’aquila e dellafenice, poste sull’Albero del Mondo. Cfr. Grill . Sul complesso simbolismo dell’uccello-anima nella vasta letteratura delSufismo persiano si veda in particolare Bausani , pp. -. Questa parola è etimologicamente identica al sanscrito çyenà che significa«aquila» o «falco». Identificato ora col mar Nero ora con il lago d’Aral. Il Chamrosh vive (come Simurgh) in cima al monte Alburz; assieme a luisono citati altri tre animali fantastici: il pesce-serpente Kar, il più grande degliesseri creati da Ahuramazda, che corrisponderebbe al Leviathan; l’asino a trezampe, chiamato Khara, che sta in mezzo all’oceano (Yasna , ), ed è ametà fra Behemot e Leviathan; il toro Hadhayosh, che prepara il cibo d’im-mortalità, che è anch’egli una sorta di Behemot (cfr. Avestà, Bundahis -). Come lo Ziz nella tradizione ebraica, il Chamrosh, essendo consideratoil capostipite di tutti gli uccelli, è anche il guardiano protettore di tutta l’avi-fauna esistente sulla terra. Come ricorda Borges «Il Thalaba () di Southey e la Tentazione diSant’Antonio () di Flaubert parlano del Simorg Anka; Flaubert lo abbas-sa a servitore della regina Belkis e lo descrive come un uccello di piumaggioaranciato e metallico, dalla testina umana, provvisto di quattro ali, di artiglidi avvoltoio e di un’immensa coda di pavone» (Borges , p. ). Sull’iconografia del Senmurv si veda Harper , Schmidt e Trever . Cfr. nota . In Iran ancor oggi si tramandano oralmente fiabe che hanno per protago-nisti principi dello Shàh-nàma, il Simurgh e l’Albero della Vita (di solito unmelograno, simbolo per eccellenza d’immortalità).

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Per l’iconografia di Garuwa si veda soprattutto Grunwedel , Rao ,Banerjea . Cfr. Liebert , p. . Citato in Bausani , p. . Queste costituiscono certamente il ricordo del coronamento di un più anti-co costume sciamanico, e si ritrovano anche nelle maschere mongole. Il terzo Dalai Lama si premurò di «convertire» al Buddismo tibetano gli deicorrispondenti alle quattro montagne sacre. Anche il dio del Tuono appare in Cina e in Giappone con le sembianze delGaruwa indiano. Quest’uccello è descritto come un’enorme aquila che può coprire con le aliil sole e la luna ed è rappresentato con un serpente nel becco. All’estremo opposto della «Via delle Steppe», troviamo che anche il popo-lo ungherese ritiene di esser stato guidato nella sua migrazione verso ovest daun’aquila divina. Secondo Paper (, p. , nota ), la protostoria cinese si estende finoall’ secolo a.C. Cfr. ancora Paper: «Gli storici dell’arte specializzati in manufatti cinesi,specialmente bronzi antichi, si concentrano sulla decorazione dal punto divista dello sviluppo stilistico. Così facendo, molti allievi hanno ignorato ilcontenuto e il contesto delle decorazioni, vedendo i motivi decorativi soltan-to come dei semplici disegni astratti» (Paper , p. ). Paper (ibid., p. ), che in realtà riferisce qui l’opinione, datata, di W.P.Yetts . Come ricorda Volker (, p. ), i fagiani sono ben presenti nelnord della Cina, così come in Giappone, dove, secondo lo Shintoismo, sonoconsiderati i messaggeri delle divinità. Sulle decorazioni dei vasi cinesi dell’età del bronzo, vedi in particolareLoehr . Sia la doppia cresta che la coda divisa ci sembrano alludere alla forma sfran-giata della fiamma secondo un tipico stilema cinese, che ritroviamo, ad esem-pio, nella forma e nella decorazione di alcuni antichi stendardi e vessilli. Tale termine «coniugale» restituisce così, almeno linguisticamente, quel-l’androginia spirituale che è una caratteristica precipua e fondamentale,anche se non sempre così evidente, della fenice sia orientale che occidentale,perché legata alla sua natura «angelica» ed informale, e quindi essenzialmen-te asessuata. Anche nei tessuti islamici, specie centroasiatici, appare di frequente il temadegli uccelli affrontati all’Albero della Vita. Un tema che, almeno in parte, ècertamente di antica tradizione mesopotamica e quindi iranica, ma che inrealtà, come ha dimostrato Leroi-Gourhan, ha un’origine ancora più antica,preistorica, ed orientale. Tale iconografia potrebbe essere quindi direttamen-te all’origine del raddoppiamento della fenice in Cina. Va ricordato che, ingenerale, gli animali affrontati all’Albero della Vita alludono sempre alla riso-luzione delle dualità cosmiche (giorno-notte, luce-oscurità, maschio-femmi-na, ecc.) nell’elemento centrale ed assiale costituito appunto dall’Albero. Ad esempio, non è da escludere che tale sdoppiamento derivi non tanto damotivazioni naturalistiche, o dalla sola applicazione della legge relativa all’e-quilibrio delle dualità cosmiche, bensì soprattutto dalla tradizione simbolicamolto più antica, e anch’essa di origine sciamanica, dell’uccello a due teste. Come si è visto, tale tema ha influenzato anche l’arte della miniatura nellaPersia islamica, e non solo. Cfr. Curatola . È per questo motivo che il simbolo della fenice compare ancor oggi in Cinasoprattutto in occasione dei matrimoni: troviamo infatti una fenice sulla tortanuziale, ma anche ricamata sul copriletto, a simboleggiare l’amore coniugalee per augurare concordia fra gli sposi. Si veda lo studio di Larre e Rochat de la Vallée . In questo testo per indicare la fenice viene usato un carattere più arcaico(peng) che significa «uccello gigantesco». Cfr. anche nota .

Questo dato conferma perfettamente la nostra ipotesi secondo la quale,tradizionalmente, gli animali mitici sono considerati i precursori di tutti glialtri animali realmente esistenti nelle rispettive categorie (volatili, quadrupe-di, pesci, ecc.). Cfr. Grossato , § , pp. -. Citato in Sterckx , p. . Il Willetts aggiunge che, «Il Fuoco, per motivi evidenti, corrisponde nellacosmogonia cinese all’Estate; esiste quindi un nesso nascosto, oltre a quelloevidente del colore, fra il Fuoco e l’Uccello rosso» (Willetts s.d., p. ). Citato in Willetts (s.d., p. ), il quale commenta: «Abbiamo così in uncolpo solo la probabile equazione fenghuang = quaglia = chu niao […] Fenghuang è lo stesso che Uccello Rosso, quello che regna sul quadrante meridio-nale, l’essenza di Yang, il cui elemento è il Fuoco. Il nome di fenice può adat-tarsi ad ambedue questi esseri». Va infatti precisato che, astronomicamente,per i cinesi il settore centrale dei tre gruppi duodeni che costituiscono il Qua-drante Meridionale si chiama appunto «cuore della quaglia». Nella variante vietnamita della fenice cinese, nota come Phoung, il petto èdi rondine. Essi simboleggiano i cinque elementi e le cinque direzioni dello spazio:legno Est azzurro, fuoco Sud rosso, metallo Ovest bianco, acqua Nord neroe terra Centro giallo. Come abbiamo visto nella tradizione ebraica, anche in Cina la fenice nonbeve e non mangia nulla (Chuxue ji, , ). Il luan è connesso con lo sciamano e la divinazione: infatti l’uomo cheinterroga gli spiriti con una tavoletta è chiamato luansheng (uomo-luan). Il Kaiming è un animale simile a una tigre con nove teste, tutte con voltoumano, ed è posto a guardia di nove porte sulla cima monte Kunlun. Chishen è un essere sconosciuto del quale non si sa nulla se non che il suocolore è rosso. Citato in Hargett , p. . Le cinque note (wuyin) corrispondono ai cinque toni della scala pentatoni-ca cinese: gong, shang, jue, zhi, yu. Granet scrive che: «Lo cheng, che serve ancora ai nostri giorni per accom-pagnare danze sessuali, esiste in due forme: c’è uno cheng maschio e unocheng femmina; in ambedue i casi, la disposizione delle canne è fatta, ci vienedetto, per rappresentare le due ali di un uccello (fenice o fagiano). Quando sidanza al suono dello cheng, è in realtà la coppia di fenici o di fagiani a dan-zare: è lo cheng che danza e che viene danzato (poiché gli esecutori danzanosuonando lo cheng)» (Granet , pp. -). In Giappone gli esemplaridello strumento musicale chiamato shô vengono spesso decorati con l’imma-gine di due fenici, maschio e femmina. Oltre agli strumenti a fiato, esiste anche una specie di cetra chiamata chin,uno strumento a cinque corde, che poi divennero sette, le cui due aperturecentrali venivano chiamate rispettivamente lo «stagno del drago», che simbo-leggiava gli otto venti, e lo «stagno della fenice», che rappresentava le quat-tro stagioni. Lo fece costruire Chi Ta, il ministro dell’imperatore Yen Ti (Cfr.Schneider , pp. -). È proprio il caso di dire, data l’opposizione sim-bolica fra la fenice e il drago, che tale strumento era in grado di esprimere, siamusicalmente che simbolicamente, una perfetta concordia discors. Sempre Schneider (, p. ) descrive uno strumento musicale a fiatodell’antica Cina che si chiama fong syao, le cui dieci canne formano le ali dellafenice, e che corrisponderebbe al cosiddetto «flauto di Pan». Non a caso alcuni tamburi giapponesi sono decorati col simbolo della feni-ce. Tutte queste corrispondenze simboliche riguardanti sia le note che glistrumenti musicali asiatici, sono di grande interesse, e meriterebbero benaltro approfondimento. «La fenice sopraggiunge tuttavia nel Taoismo in un periodo precedente iTang, ma in un diverso contesto: quello dei riti dello Zhengyi in rapporto conla pratica della “marcia sulla rete” (bugang), dove si trova una fenice a nove

teste incaricata di richiamare la forza della Stella polare per distruggere leimpurità» (Despeux , p. ). La fenice è anche uno dei sei animali cherappresentano i sei organi interni (ibid., p. ). Citato in Donà , p. . Un esempio tra i più famosi è quello del tempio Byodo-in (), nella regio-ne di Uji, che è anche chiamato «Palazzo della fenice», sia perché la sua formaricorda quella del mitico uccello sia perché un paio di fenici adornano il tetto. Gli sciamani Yakuti rappresenterebbero sul loro costume uno scheletrocompleto di uccello fatto di ossa di ferro, ma è più probabile che si tratti inrealtà anche in questo caso dello scheletro trasparente dello sciamano, che èappunto, come si è detto, un uomo-uccello. Si noti che sono le stesse categorie, ad esempio, dello Ziz, del Behemot edel Leviathan per la tradizione ebraica. Non a caso Prometeo, che secondo il mito occidentale ruba il fuoco aglidei, viene punito proprio dall’aquila di Zeus. Scrive Eliade nel capitolo dedicato al simbolismo ornitologico: «Abbiamoincontrate le piume di uccelli un po’ dappertutto, nelle descrizioni dei costu-mi sciamanici; non solo: la stessa struttura dei costumi cerca di riprodurre ilpiù fedelmente possibile la forma di un uccello […]. Si cerca soprattutto dirappresentare l’aquila […]. Anche quando il costume non presenta una strut-tura visibilmente ornitomorfa […] s’incontra un’acconciatura della testa conpiume tale da far pensare ad un uccello. Lo sciamano mongolo ha delle “ali”sulle spalle e si sente trasformato in uccello quando indossa il costume […].È così che in una leggenda, una donna-sciamano spicca il volo dopo che ellaha ottenuto la piuma magica» (Eliade , pp. -). Oltre al cigno e all’aquila dorata, il gufo nero o bruno. Ed anche questo dell’uccello bicefalo sarà, come sappiamo, un simbolodestinato ad una grande fortuna, non solo iconografica, in tutta l’Eurasia. Come scrive Manabu Waida: «Anche se è ancora incerto che lo sciamani-smo abbia avuto origine nell’età paleolitica, gli uccelli occupano indubbia-mente un posto molto importante nel mondo spirituale dei cacciatori in gene-rale, e in particolare di quelli dell’Eurasia settentrionale, dove lo sciamanismoè stato una forza magico-religiosa dominante. In effetti, lo sciamano dell’Asiacentrale e della Siberia riceve aiuto dagli spiriti degli animali selvatici e degliuccelli quando intraprende il suo viaggio estatico. Gli spiriti degli uccelli(specialmente quelli di anatre, aquile, civette e corvi) scendono dal cielo edentrano nel corpo dello sciamano per ispirarlo quando egli batte il suo tam-buro indossando il costume sciamanico da uccello. Altrimenti, entrano nelsuo tamburo o si poggiano sul suo costume sciamanico. È proprio allora chesi verifica l’estasi sciamanica. Nella sua esperienza interiore, lo sciamano ètrasformato in un essere spirituale, un uccello. Si muove, canta e vola comeun uccello; la sua anima lascia il corpo e sale verso i cieli, accompagnata daspiriti-uccelli. Questo motivo dello spirito-uccello che ascende è stato rivalo-rizzato dal Taoismo su di un piano spirituale nuovo: nel Chuang-tzu ( seco-lo a.C.), per esempio, compare un enorme uccello di nome P’eng come sim-bolo dello spirito ascendente che gode di libertà assoluta ed è emancipato daivalori e dai problemi mondani. Tra gli Iakuti, i Tungusi e i Dolgani quandouno sciamano muore è costume erigere sulla sua tomba pali o pertiche con unuccello di legno ad ogni estremità. L’uccello simboleggia l’anima dello scia-mano morto» (Waida , p. ). Oggetti che rappresentano questi animali erano spesso offerte o regali chevenivano attaccati all’immagine in metallo del dio-aquila in segno di gratitu-dine per delle guarigioni ottenute dallo sciamano.

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