Il Mistero dei Tarocchi in digitale

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This is my first thesis project, made in 2009. The aim was to carry inside a theatre a spectacle, of an italian company settled in Genova, that normally is performed outdoors, creating a video-scenography which recalled the same atmospheres.

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“Il teatro si può fare ovunque, anche in teatro”

Emanuele Luzzati

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INTRODUZIONE 7

ANALISI

1_ CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA 8

1.1. Il valore della scenografia 8

1.2 .Teatro classico 10

1.3. Teatro medievale 18

1.4. Teatro moderno 20

1.5. Teatro contemporaneo 28

1.6. Teatro digitale 34

2_REFERENZE 36

2.1. Bob Wilson 36

2.2. Peter Greenaway 42

2.3. Andrea Liberovici 46

2.4. Fura dels Baus 54

2.5. Studio Azzurro 62

2.6. Teatro Cinema 68

3_EMANUELE LUZZATI 72

3.1. Biografia 72

3.2. La mostra: “Gianini Luzzati cartoni animati” 76

4_ IL TEATRO DELLA TOSSE 80

4.1. La compagnia 80

4.2. L’innovazione degli spattacoli fuori dal palcoscenico 82

5_ IL MISTERO DEI TARCOCCHI 96

5.1. Lo spettacolo 96

5.2. Il Forte Sperone 100

5.3. Le origini dei Tarocchi 102

INDICE

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PROGETTO

6_ L’IDEA 106

7_ IL LUOGO

8_ I MATERIALI 112

8.1. Elementi della scenografia 112

8.2. Il tulle Gobelin 114

8.3. Il film per retroproiezioni 118

8.4. Il sistema di illuminazione 122

9_ SCHIZZI DEL PROGETTO 124

10_ I RENDER 127

BIBLIOGRAFIA 130

SITOGRAFIA 132

RINGRAZIAMENTI 133

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INTRODUZIONE

Questa tesi nasce dalla volontà di coniugare

la passione per il teatro con gli studi di dise-

gno industriale.

La scelta di lavorare su uno spettacolo del

Teatro della Tosse è avvenuta un po’ per

caso.

Nell’estate del 2008 la compagnia ha ri-

proposto ai parchi di Nervi , uno dei suoi

spettacoli storici più famosi, “il mistero dei

tarocchi”.

Rimasta affascinata della potenza espressiva

e iconografica e dall’atmosfera magica che

erano riusciti a ricreare, decisi che quello

spettacolo poteva essere un buon punto di

partenza per elaborare un progetto che sod-

disfacesse le mie esigenze.

A quel punto bisognava decidere concreta-

mente che direttive avrebbe preso il lavoro.

Dopo aver buttato giù le prime idee, grazie

all’aiuto e ai consigli di chi mi ha seguito in

questo progetto, abbiamo pensato di porci la

“sfida” di riprogettare questo spettacolo in

teatro, poiché per la sua natura è stato scrit-

to per essere rappresentato in spazi parti-

colarmente vasti e articolati (castelli, borghi

medievali, scenografie naturali, suggestive

cornici storiche) tali da consentire di ricreare

il magico labirinto dei tarocchi.

Ipotizzando di proiettare su dei fondali mon-

tati sul palco delle immagini e dei video che

ricreino l’ambiente fantastico dei parchi e dei

castelli e che immergano l’attore (presente

sul palcoscenico) in un’atmosfera “surreale”,

si può trasportare lo spettacolo in un luogo

chiuso mantenendone le peculiarità.

Il fine è quello di far sognare lo spettatore.

La realizzazione dei video da proiettare in

scena, avvenuta dopo un’accurata analisi

delle tecniche scenografiche già esistenti,

dei materiali necessari per la realizzazione

e dei requisiti dello spettacolo, è il risultato

finale di questo progetto.

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ANALISI

1_ CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

1.1 IL VALORE DELLA SCENOGRAFIA

Il teatro, come ogni pratica sociale e collettiva, implica una doppia presenza, quella degli attori e quella degli spettatori. L’incontro, l’unione e lo scambio tra queste due presenze s’inscrive nel-lo spazio. L’arte di organizzare questo spazio è la scenografia.Un’altra caratteristica fondamentale del teatro è quella di presentare una finzione e di fare appel-lo all’immaginario dello spettatore; un’antinomia specifica del teatro fa dello spazio in cui recitano gli attori un luogo che partecipa allo stesso tempo alla realtà e alla finzione: a uno spazio reale (l’area di recitazione dove si spostano gli attori) si sovrap-pone uno spazio fittizio (il luogo immaginario dove hanno vita i personaggi).La scenografia ha inoltre il compito di tracciare e stabilire, in modo allo stesso tempo sensibile e intellegibile, la frontiera simbolica tra finzione e realtà, tra attore e spettatore, in altre parole tra

ciò che è celato e ciò che è mostrato, tra visibile e invisibile.Il teatro è per sua essenza effimero, ma sia in forma di cerimonia religiosa, come nell’antichità greca e nel medioevo, sia in forma di divertimento, come a Roma e nell’Italia del Rinascimento, il te-atro è l’espressione di una civiltà, di una cultura e di un pensiero.Questa forma di espressione è agita per mezzo di un codice di rappresentazione, intellegibile da tutti in un tempo e in un luogo dati. Come le civiltà, i codici si evolvono, si trasformano e a volte scom-paiono. Di una rappresentazione avvenuta in quel tempo e in quello spazio cosa rimane qui e ora? Solo delle tracce, testi, commentari, teatri in rovi-na, disegni, ricordi. L’essenziale, cioè l’attore che recita, il suo corpo nello spazio, la sua voce, gli spettatori, è irrimediabilmente perduto.La scenografia è uno degli strumenti della rap-

CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

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presentazione, a tale titolo esprime una visione del mondo. Dall’origine greca del nostro teatro occidentale la visione del mondo, dunque la sua rappresentazione mentale e poi spaziale, e i co-dici di rappresentazione, si sono evoluti, alcuni sono scomparsi e sono diventati per noi una lingua morta, degli altri sono sopravvissuti e si sono mo-dificati.”

La storia del teatro occidentale si può riassumere nei seguenti periodi:-Teatro classico (greco e romano)-Teatro medioevale-Teatro moderno (dal rinascimento fino al roman- ticismo)-Teatro contemporaneo (dalle prime avanguardie del novecento ai giorni nostri).

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1.2. TEATRO CLASSICO

TEATRO GRECO

Per teatro greco, in letteratura e nella storia del teatro, si intende l’arte teatrale nel periodo della Grecia classica, le forme teatrali che oggi cono-sciamo discendono da quelle che si praticavano e che vennero perfezionate nella Atene del V secolo a.C. Il teatro greco era il luogo di una cerimonia collettiva di origine religiosa, dove per mezzo di un rituale si manifestava agli spettatori la presenza del dio nascosto.Le feste durante le quali avvenivano ad Atene le rappresentazioni teatrali erano:- le Lenee, feste popolari che si tenevano in inver-no, caratterizzate dalla rappresentazione di com-medie e a volte di tragedie.- le Dionisie, che si dividevano in Grandi Dionisie e Dionisie rurali. Le prime erano le feste più impor-tanti, celebrate all’inizio della primavera, in cui ve-nivano messe in scena sia tragedie sia commedie, e a cui potevano assistere i cittadini di tutte le città

della Grecia (ad eccezione, si può supporre, delle città nemiche di Atene), organizzate dallo Stato, erano finanziate dai cittadini più abbienti. Le Dioni-sie rurali erano invece feste di minore importanza, organizzate durante l’inverno nei paesi attorno ad Atene, aperte solo ai cittadini ateniesi e nelle quali venivano rappresentate solo commedie.A grandi linee, la codificazione rituale dovette av-venire in questi termini: il coro, o meglio i due se-micori, celebrando le lodi del dio, venivano ad agire intorno all’altare, (la timelè) in uno spazio semicir-colare che assunse il nome di orchestra (dal greco orkeomai che significa “danzare”). La timelè con-serva comunque il centro dello della rappresen-tazione scenica. Aumentando progressivamente il numero dei personaggi affidati alla sua interpreta-zione si presenta pari passo l’esigenza di un ripa-ro dietro cui l’attore possa celarsi durante i cam-bi d’abito. Questo luogo deputato, costituito agli

ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

Teatro di Epidauro costru-ito da Policleto il Giovane nel 360 a.C.

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inizi da un semplice siparietto, dal termine greco skené (che significa appunto tenda) assumerà la definizione teatrale di “scena” e verrà ad assume-re un ruolo centralizzante nella rappresentazione teatrale, che successivamente verrà sopraelevata sfruttando, in un primo tempo, un rialzo naturale del terreno, o costruendo una pedana in legno. Il rialzo della skené e dello spazio circostante cor-risponde alla esigenza di non confondere le azio-ni degli attori, appunto, in quella fascia che ancor oggi si definisce col termine di proscenio. Questo assetto dello spazio scenico verrà corredato dalla presenza di due corridoi laterali aperti verso l’or-chestra, che servivano per le entrate e le uscite dei semicori e che prendevano il nome di paradoi. Trattandosi quindi di rendere partecipi migliaia di spettatori che dovevano, non solo vedere, ma an-che ascoltare, il problema poteva essere risolto solo con una sopraelevazione del pubblico stesso.

Da questa semplice considerazione nasce la strut-tura plateale ad anfiteatro chiamato oggi “teatro greco”.Il teatro greco si è sviluppato in forma compiuta solo dopo l’età periclea. Gli elementi suoi caratte-ristici sono la cavea, area semicircolare a gradoni, dove sedevano prima due scale laterali e infine, da una serie di scalinate radiali chiamate cunei.Nei primitivi teatri la cavea era formata in terra battuta (teatro di Siracusa, 470 a.C,), solo nel IV secolo a. C. viene realizzata interamente in pie-tra (Teatro di Epidauro, 370 a. C.). L’orchestra è la zona nella quale in origine e durante tutto il perio-do classico agivano i danzatori e i coristi. Più tardi la rappresentazione si sposta in un piano soprae-levato. La skené, in origine era un fondale di tela posto nell’orchestra, di fronte alla cavea, più tardi costruita in legno per accogliere gli attori durante il cambio dei costumi, fu posto dapprima a fianco

ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

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dell’orchestra, poi costruita in muratura, fu posta di fronte alla cavea di modo che la parete sull’or-chestra serviva da fondale. un’ultima modifica portò alla formazione del proskènion che consiste in una articolazione a forma di “U” della skené.I greci inventarono i primi sistemi di “macchine te-atrali” per poter rendere alcuni “effetti speciali”, come lì apparizione del dio dall’alto della scena.L skenè poteva essere alta più di tre metri e per raggiungere tali altezze veniva impiegata una sor-ta di gru chiamata mechàne. Di questo attrezzo scenico dovette molto servirsi Euripide, ce consi-derando la sua abitudine di concludere spesso i suoi lavori con l’apparizione, appunto, del deux ex machina. A differenza del teologheion, che pote-va ritenersi nella stanza una sorta di impalcatura praticabile sovrastante la skené il machàne per-metteva un’entrata in sena dinamica. Questa mac-china prendeva anche il nome di aioréma (elevato-

re) o gheraunòs (grù).Accanto a queste macchine addette alla sopraele-vazione degli attori, va ricordato, inoltre, un altro meccanismo chiamato ad assolvere un diverso compito, si tratta dell’ ekkiclema, sorta di piatta-forma su ruote sulla quale si collocano gli esecu-tori e le vittime e che veniva spinta fuori dalla porta centrale della skené. Il diametro del semicerchio era perciò determinato dalla larghezza della porta e poteva anche raggiungere l’ampiezza di 4 metri.L’anapiesma, invece, era una sorta di botola usata per l’apparizione delle furie o di altri dei sotterra-nei, lo strofeion (o macchina per le apoteosi) per-metteva la trasfigurazione degli eroi in divinità, il keraunoskopeion, era la macchina per fulmini ed il bronteion quella per il tuono. Esistevano anche i periaktoi, scene girevoli poste lateralmente al palcoscenico, formate da prismi triangolari. Ogni facciata aveva dipinto un particolare di scena che

ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

Schema di un teatro-arena.

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legava con la rimanente decorazione. Questi pri-smi ruotavano su di un asse permettendo tre cam-biamenti a vista. Sappiamo anche che, a seconda del genere letterario cambiava la funzione del coro che, nei drammi, era uno solo, mentre nella rap-presentazione della commedia erano due.

ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

Stato attuale del teatro greco di Siracusa,costruito nella prima fase del V se-colo a.C. e rifatto poi nel II secolo a.C.

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

Con il teatro romano si perde l’originario significa-to religioso: non è più l’edificio in cui si svolge una parte delle feste di Dioniso, ma un luogo di piaceri, di spettacoli, di processioni votive e anche un luogo per rappresentare gli spettacoli teatrali di autori come Plauto, Terenzio e Seneca ispirati ai Greci. I primi teatri romani erano costituiti da una scaena, prima in legno e successivamente in pietra, che rappresentava lo sfondo davanti al quale si esibi-vano gli attori, caratterizzata da tre aperture deri-vate dal modello classico. Non esisteva, in origine, uno spazio dedicato al pubblico e questo assisteva allo spettacolo in piedi o, se presenti, su gradinate temporanee di legno allestite appositamente. L’ar-chitetto Vitruvio Pollione, vissuto in epoca augu-stea, nel quinto dei dieci libri della sua opera “De Architectura”, dedica ampio spazio proprio alla de-scrizione dei teatri e alla loro progettazione. Il mo-dello proposto da Vitruvio – e confermato da tutti

i teatri romani giunti fino a noi – si rifà ai canoni classici greci.Vitruvio aveva ben intuito che prima di procedere alla costruzione del teatro, era fondamentale sof-fermarsi sulla scelta del luogo su cui edificarlo, evitando luoghi dalle condizioni salubri non otti-mali: pertanto il sito non doveva essere esposto a mezzogiorno così da evitare che il sole riscaldasse l’aria all’interno della cavità rendendo l’atmosfera incandescente. Fondamentale, ai fini della scelta del luogo idoneo per la costruzione di un teatro, fu la sua conoscenza del sistema di propagazio-ne delle onde sonore, le quali svolgono un ruolo di primaria importanza nello studio dello spazio teatrale. Come accadeva per il teatro greco, così anche per quello romano esisteva un metodo gra-fico e geometrico per determinarne lo sviluppo plano-altimetrico e il relativo proporzionamento. Se le regole progettuali del teatro greco partirono

TEATRO ROMANO

Una ricostruzione in 3d del teatro di Pompeo, eretto in onore dell’omo-nimo console tra il 61 e il 55 a.C.

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

dall’individuazione in pianta di tre quadrati inscritti nella circonferenza che definisce l’orchestra, quel-le relative al teatro romano si basano su quattro triangoli inscritti in quella circonferenza. I Greci, nel delimitare lo spazio riservato al pub-blico (cavea) avevano sempre dato la preferenza a una struttura che si prolungava oltre la metà del cerchio, circondando in parte l’orchestra. Nei tea-tri romani, invece, il luogo per il pubblico aveva una forma rigidamente emiciclica e, in armonia con questo anche l’orchestra (che aveva ormai perdu-to l’importanza teatrale, diventando luogo per gli spettatori più notabili) fu ridotto alla metà.Il pubblico accedeva alle gradinate attraverso gli ingressi posti al piano terreno ed un sistema di salita costituito da rampe e corridoi posti al di sotto della cavea. Da questi delle rampe di scale conclusive (vomitoria) fuoriuscivano a cielo aperto nelle diverse parti della cavea (maenianum, Media

cavea e summa cavea), permettendo una netta di-stinzione fra i diversi settori di posti.La parte più alta delle gradinate culminava in un loggiato coperto che si congiungeva lateralmente con le estremità del proscaenium.L’orchestra, che nel teatro romano perse la sua funzione originale, ospitava i seggi dei personag-gi di rilievo oppure poteva essere allagata in oc-casione di naumachie (vere e proprie ricostruzioni di battaglie navali realmente accadute) o di balletti acquatici. Lateralmente a questa, vi erano i due in-gressi principali per il pubblico, così come accade-va nei teatri classici; in quelli romani, però, a causa di questa nuova impostazione strutturale, i corridoi laterali (parodos) risultavano coperti da una volta a botte in muratura.Il proscaenium, basso e profondo, era ornato sulla fronte con nicchie e colonne ed era chiuso sul retro dal frons scaenæ, riccamente decorato con mar-

Teatro romano a Merida, Spagna.

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

mi, sculture e colonne, che si sviluppava in altezza su più livelli e nella cui parte inferiore si aprivano tre porte monumentali per l’ingresso degli attori. Altre due porte di dimensioni più modeste erano aperte ai lati del proscaenium a chiudere la scena, fino a saldarsi con le gradinate. Convenzionalmen-te questi due ingressi (versuræ) rappresentavano l’uno l’arrivo dal foro e l’altro da fuori città . Il frons scaenæ, la cui altezza corrispondeva all’altezza della cavea era protetto da una tettoia in struttura di legno; da essa veniva steso un telone (velarium) fino al loggiato della cavea per riparare il pubblico dal sole e da leggere piogge.Il teatro assunse, allora l’identità di un complesso edilizio unico e chiuso, caratterizzato da una unica altezza (solitamente di 30-35 metri) che corrispon-deva alla sommità della cavea e del frons scenae, ponendo già le basi per quello che sarà il teatro coperto del periodo moderno.

Un’altra innovazione che avvicina il teatro romano al teatro moderno è l’invenzione di una tenda (au-leum) che, fissata presumibilmente ad una intela-iatura, veniva lasciata cadere in prossimità dell’or-chestra e sollevata di nuovo. Unitamente a questa essi concepirono anche il siparium, una tenda la cui funzione era unicamente quella di coprire parti della facciata dietro gli attori.Naturalmente Vitruvio, che scrisse agli inizi dell’e-tà augustea, ignorava l’aspetto ricco e sfarzoso che avrebbero in seguito assunto le facciate così come ancora oggi le possiamo apprezzare. Gli edifici scenici avevano solitamente forma rettangolare ed erano chiusi lateralmente da due avancorpi che assumevano la forma di vere e proprie torri sce-niche dette tribunalia. In esse venivano ricoverate le attrezzature di scena e, durante gli spettacoli, ospitavano gli attori non in scena.

Il teatro di Marcello a Roma,innalzato nella zona, meridionale del Campo Marzio, risalente al 13 a.C.

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

Vista aerea della città romana di Arles (sud della Francia) in cui domi-nano gli spazi deputati ai “ludi”: L’anfiteatro, il Teatro e il Circo.

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

1.3. TEATRO MEDIEVALE

Nel Medioevo (476 d.C.-1500 ca.) non ci sono spazi specificamente teatrali: il “teatro” non era con-cepito allora né come spettacolo né come avveni-mento autonomo, ma come momento di un rituale quasi sempre a carattere religioso.Il primo luogo scenico del teatro medievale fu dun-que la chiesa. Nel X secolo si iniziarono a musi-care alcuni passi del vangelo, i Tropi, affidandone l’esecuzione a due cori che si scambiavano bat-tute in un dialogo cantato. Questa è l’antifona, un canto liturgico che, esattamente come il ditiram-bo di memoria greca, genererà una nuova forma di teatro, quello liturgico, che avrà origine laddove i tropi, dapprima cantati, divennero rappresentati dagli stessi celebranti. Ben presto questi ultimi, coadiuvati da alcuni ragazzi del coro, daranno cor-po alla narrazione biblica su appositi palchetti di legno, vestiti di costumi appropriati, con lo scopo di donare anche ai fedeli analfabeti la conoscen-

za degli episodi cruciali delle sacre scritture. La chiesa, intesa come spazio architettonico, diventò ben presto un ambiente troppo stretto per lo svol-gimento delle rappresentazioni sacre, sia dal pun-to di vista volumetrico sia dal punto di vista della libertà espressiva.Dalla fine del 1300 si iniziarono a costruire dei “palcoscenici” nei sagrati all’esterno delle chiese e la conseguenza fu proprio la nascita di rappre-sentazioni teatrali con tematiche profane (dal gre-co pro fanòs che significa proprio prima/fuori dal tempio).I fedeli riuniti sul sagrato assistevano ormai alla messinscena di veri e propri ‘”cicli”’ come quello della nascita di Cristo, ovviamente composto da più episodi. A fare da sfondo ad ognuno degli epi-sodi del “ciclo” c’era un’apposita struttura lignea (mansio) cosicché, concluso un episodio, gli attori passavano in un’altra mansio ed iniziavano a reci-

Ipotesi di ricostruzione di una scena medievale a luoghi deputati allestita in una chiesa (ricostruzio-ne basata sulla navata di Southwell Minster, Inghil-terra) (Richard Leacroft).

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

tarne uno nuovo. Le mansiones, dette dagli storici “luoghi deputati”, rappresentavano luoghi diversi dell’azione ed erano compresenti, per cui si è par-lato di “scena multipla simultanea”.Le forme teatrali sono numerose nel Medioevo, vanno dalle rappresentazioni liturgiche e i loro derivati come i misteri e i miracoli, alle forme al-legoriche, come le moralità, o quelle più profane, come le sotties (versione francese della farsa di carattere satirico recitata da attori in costume o da buffoni che rappresenta diversi personaggi di un immaginario popolo pazzo) e le farse. In Francia, ma non soltanto, si cercò di recuperare lo spazio rappresentativo degli antichi teatri romani e ciò aprì la stagione anche del teatro profano medieva-le che ripropose ai cittadini le antiche commedie di Plauto e Terenzio che, in seguito tradotti in lingua volgare dagli Umanisti furono gli spettacoli antesi-gnani del teatro rinascimentale.

Iconografia medievale degli “attori” della scena teatrale.

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

1.4.TEATRO MODERNO

TEATRO RINASCIMENTALE

l teatro rinascimentale (xiV-xVi secolo) è l’insieme dei generi drammaturgici e delle diverse forme di rappresentazione teatrale scritti e praticati in Europa tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna.In questo periodo ci fu una rinascita del teatro, preparata dalla lunga tradizione teatrale medioe-vale che si era manifestata nelle corti, nelle piazze e nelle università in molteplici forme, dalla sacra rappresentazione fino alle commedie colte quat-trocentesche. Vale la pena soffermarci su quello che fu il teatro rinascimentale in Italia, poiché Il Rinascimento fu l’età dell’oro della commedia italiana (anche grazie al recupero e alla traduzio-ne nelle diverse lingue moderne, da parte degli umanisti di numerosi testi classici greci e latini), pertanto i generi sviluppati e proposti -commedia, tragedia, genere pastorale e melodramma- ebbero una notevole influenza sul teatro europeo del se-

colo. Come in epoca romana nel rinascimento lo spettacolo era concepito come divertimento indi-pendente dal rituale religioso e, in modo più ra-dicale, si organizzava a partire dallo sguardo del-lo spettatore. La forma dei testi di quel periodo è stata lentamente elaborata a partire dal XV secolo, per esprimere il pensiero degli umanisti italiani: una nuova concezione del mondo e del posto che l’uomo occupa nel mondo. Agli inizi del XV secolo, in Italia, lo scultore ed architetto Filippo Brunel-leschi aveva messo a punto l’”invenzione “ della prospettiva su basi matematiche. Con la risco-perta dei manoscritti di Vitruvio si incominciò una meditazione sull’architettura classica, sistematiz-zata nella seconda metà del secolo ad opera de domenicano Leon Battista Alberti, autore del De re aedificatoria. Fu una svolta decisiva che modi-ficò radicalmente la percezione dello spazio nella cultura occidentale, anche come forma simboli-

A lato in ordine: scena comica, scena satirica e scena tragica secondo il Serlio.

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ca oltre che come procedimento progettuale. Tale trattato stimolò il desiderio di costruire qualcosa nello stile della scena classica e aprì la strada ad una lunga serie di trattati dello stesso tipo che si occupavano, oltre che di architettura, anche della costruzione teatrale, della prospettiva, dei metodi per i cambiamenti di scena, dell’illuminazione del palco e simili in funzione delle feste di corte e che ebbero materialmente parte importante nell’ela-borazione dei nuovi stili. L’uso di periaktoi, di derivazione classica, si pro-trasse per lungo tempo perché soddisfavano la richiesta di cambiamenti di scena, tale uso fece nascere l’esigenza di mascherarne la parte in alto: da qui nacque l’idea di introdurre bordi di nuvole o cieli, in coppia con il fondo prospettico posto più lontano, dipinto su due grandi telai o fondali che si univano al centro del palcoscenico.La novità del teatro, e più in generale della rap-

presentazione inventata dagli umanisti italiani, potrebbe riassumersi così:il senso proprio dell’im-magine prese il sopravvento sul senso figurato, la rappresentazione cercava di essere una finestra aperta sulla realtà, libera da filtri simbolici, alle-gorici e religiosi, la separazione tra realtà e finzio-ne era data visivamente per mezzo del boccascena e della prospettiva.Esempio perfetto di teatro del periodo umanista è il Teatro Olimpico a Vicenza, progettato dall’archi-tetto Andrea Palladio e inaugurato nel 1585.Sullo schema del teatro romano, l’Olimpico è for-mato da quattro parti: la cavea, l’orchestra, il pro-scenio, inteso alla maniera della piazza dei greci, l’”agorà”, e le scene fisse. La fronte scenica si apre attraverso il grande arco di trionfo, e al di là delle aperture si accede tra le vie di una Tebe im-maginaria dagli scorci assai suggestivi. Gli uomini che vollero questo tempio dell’arte sono presen-

ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

ti e sembrano vegliare sulla sua bellezza eterna, nei panni aulici di guerrieri e senatori dell’antica Roma, mentre sulla sommità dell’arco troneggia-no i rilievi con le fatiche di Ercole, eroe mitico e simbolo delle virtù umane.

Foto dell’interno del Tea-tro Olimpico di Vicenza.

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

TEATRO BAROCCO

Nel periodo barocco (xVii-xViii secolo) le numerose edizioni librarie teatrali e gli scambi culturali de-gli intellettuali, con frequenti viaggi nelle capitali europee, portarono lo spettacolo teatrale ad una forma comune in tutta Europa.La compresenza di due ricerche, l’una nella mu-sica e l’altra nella rappresentazione prospettica, aprì la via al teatro barocco e ne costituì la base. L’omogeneità culturale che si riscontra nelle varie corti europee fu raggiunta attraverso alcuni fatti principali:-durante questo periodo tutti i paesi ruotavano in una orbita comune pur rimanendo l’Italia il mo-dello al quale guardare, ed il divario esistente fra i teatri inglesi, spagnoli e francesi andava colman-dosi;-l’attività teatrale barocca si concentrava nel risol-vere tutti i problemi riguardanti rappresentazioni completamente diverse dalle commedie e tragedie

di ispirazione classica come in Italia, durante il se-dicesimo secolo, i centri più importanti di attività erano i teatri legati alle corti, che godevano dei sussidi del Signore o del Principe, allo stesso tem-po i teatri pubblici adottarono i metodi inventati dai teatri annessi ai palazzi.Il teatro cominciò a rivolgersi ad un pubblico più vasto rispetto a quello privato o di corte.Questo tipo di teatro rese l’allestimento spettaco-lare al centro della rappresentazione, con l’adozio-ne di complicate macchine sceniche che esaltava-no questo aspetto. L’area scenica, che un tempo era limitata, si estese anche in profondità, oltre che in lunghezza, per far posto agli effetti prospet-tici ed alle macchine.La maggior parte dei frontespizi scenici, disegnati nel Seicento, erano semplicemente bidimensio-nali e di forma rettangolare: erano piatte cornici di quadro che racchiudevano il palcoscenico vero

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ANALISI

e proprio, mentre durante il periodo barocco, te-sero sempre più verso la tridimensionalità, con decorazioni e figure in rilievo. Inoltre, benché la forma rettangolare rimanga diffusa, una determi-nata variante attirava molti artisti: la costruzione o di un vero e proprio arco di frontespizio, con la cornice superiore incurvato; alcuni di questi archi erano così profondi da diventare parte di una fac-ciata che guidava gli occhi degli spettatori verso le scene stesse.L’età barocca fu un periodo di attiva progettazione e costruzione teatrale, con la conseguente affer-mazione di un modello di base che, con piccole modifiche, venne accettato universalmente.

CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

Esempio di scenografia di epoca barocca.

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

Il teatro di Bayreuth, Germania, uno dei più bei esempi di teatri in stile barocco d’Europa, in una rico-struzione di una scena in costume per la ripresa di un film.

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ANALISI CENNI STORICI SULLA SCENOGRAFIA

TEATRO NEOCLASSICO-ROMANTICO

Nel periodo neoclassico (XVIII-XIX) si cercò di svuo-tare l’ornamentazione barocca, imponendo sobrie-tà compositiva e maggiore fedeltà storica. Accanto all’accentuazione realistica nel porre attenzione alle scene e ai costumi, si fece strada un’atten-zione anche ai rumori e agli effetti paesaggistici. Al posto di un interno reso per mezzo di quinte “prospettiche” si preferivano interni di camere con maniglie vere e veri soffitti che poggiavano sulle pareti delle stanze. Nella maggior parte dei Paesi la passione per il re-ale e il verosimile prendeva il posto del gusto per lo spettacolo grandioso e ciò condusse ad un genere nuovo di realismo. Ci fu un graduale perfeziona-mento del teatro all’italiana: la sua strutturazione conobbe infatti ingrandimenti della zona scenica, rilevanti progressi sul fronte della scenotecnica e soprattutto dell’illuminotecnica, contribuendo ad una separazione progressiva della scena, intesa

sempre più come scatola ottica nei confronti della sala. Un nuovo sistema di illuminazione, prodotta prima a gas, fu introdotta all’Opéra di Parigi nel 1822, e adottato da tutti i teatri europei verso il 1850. Poi venne l’utilizzazione delle luci della ri-balta e, nella seconda metà del secolo, l’adozione dell’illuminazione elettrica consentì la maggior duttilità di utilizzo. Con il rinnovarsi della tradi-zionale illuminotecnica, ci si accorse immediata-mente dell’inadeguatezza del precedente modo di costruire le scene e si dovettero rivedere gli appa-rati scenografici con un minimo di rilievo. Nel 1802 Franz Ludwing Catel pubblicò uno scritto che of-friva suggerimenti per migliorare la progettazione dei teatri contestando il modello barocco, troppo profondo, e le quinte piatte. Sosteneva la necessi-tà di scene il più possibile “plastiche”, in tal modo la forma ad anfiteatro tornava ad essere attuale. Karl Friedrich Schinkel (1781-1841) sostenitore di

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queste tesi riuscì a far realizzare alcune sue idee nella ricostruzione del Neues Schauspielhaus di Berlino; contrario all’illusionismo barocco fece co-struire la sala per il pubblico a forma di anfiteatro e abolì le quinte a favore di un unico sfondo dipin-to, distante dagli attori, in modo da non far entrare in contatto l’elemento tridimensionale con quello bidimensionale. L’allievo di Schinkel fu Gottfried Semper, autore di numerosi studi che erano anche in rapporto con le idee filosofiche di Richard Wa-gner. Quando nel 1876 fu aperto il Festspielhaus a Bayreuth, l’architetto Oscar Bruckwald, basandosi sulle idee del Semper, abolì la fossa dell’orchestra e sistemò il pubblico ad anfiteatro senza suddivi-sioni marcate nelle varie classi sociali.Intanto Diderot aveva suggerito l’idea di quar-ta parete: “Sia dunque che componiate sia che recitiate,fate conto che lo spettatore non esista. Immaginate sul limite del palcoscenico, un gran

muro che vi separi dalla platea; recitate come se il sipario non si fosse alzato”Il concetto di quarta parete è inerente alla filoso-fia teatrale di Wagner, ma a partire dalla secon-da metà dell’Ottocento, il sipario e la cornice di proscenio erano divenuti elementi essenziali: con l’introduzione dell’oscuramento della sala, il man-tenimento dell’arco scenico fu fondamentale, ma intorno al 1880, le problematiche determinate dal-le discussioni sulle necessarie norme antincendio resero obbligatorio l’uso del sipario metallico tra palcoscenico e sala. La riforma del melodramma operata da Wagner conferiva agli allestimenti un valore decisamente nuovo. Un innegabile merito di Wagner, fu l’aver indivi-duato, anche se limitatamente alla musica, uno dei principi fondamentali della regia moderna, vale a dire il ritmo.

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1.5. TEATRO CONTEMPORANEO

AVANGUARDIE DEL NOVECENTO

Il Novecento si apre con la rivoluzione copernica-na della centralità dell’attore. Il teatro della parola si trasforma in teatro dell’azione fisica, del gesto, dell’emozione interpretativa dell’attore. Si delineò inoltre una nuova figura teatrale, quella del regista che affiancò le classiche componenti di autore e attore. Fra i grandi registi di questo periodo vanno citati l’austriaco Max Reinhardt e il francese Jac-ques Copeau e l’italiano Anton Giulio Bragaglia.La riforma wagneriana, oltre ad influenzare lar-gamente il simbolismo francese, pose nuovi temi operativi che costituirono una solida piattaforma di partenza per un artista come lo scenografo svizze-ro Adolph François Appia, caposaldo della sceno-grafia moderna.Colpito dalla musica di Richard Wagner e dalla sua idea di teatro totale, Appia elaborò una personale visione dell’allestimento scenico, nel quale varie arti devono concorrere per un risultato omoge-

neo e unico: abbandonò così l’idea della centrali-tà della parola dell’attore a scapito dell’apparato scenografico per una totale compenetrazione del movimento del corpo in uno spazio scenico tridi-mensionale (dotato quindi di praticabili) accom-pagnato da musica e da un preciso studio illumi-notecnico volto non a fare da semplice sfondo alla rappresentazione ma a fungere da vero e proprio elemento drammaturgico e significante.Le intuizioni di Appia sull’importanza dell’ele-mento tecnico come fondamentale apporto per la valorizzazione del movimento scenico, sfiorano il concetto di regia, ne consegue che la musica, in fin dei conti, plasma anche lo spazio scenico, reso mutevole dal sollevamento ed abbassamento dei praticabili, oltre che dall’azione del corpo nudo dell’attore. Il più grande estimatore di Appia è senz’altro Edward Gordon Craig, che al contrario di Appia poté dedicarsi più direttamente all’attivi-

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tà teatrale, essendo figlio d’arte ed esercitando la professione di attore sulla scena britannica.Nell’allestimento del Dido and Aenas di Purcell (1900), Craig delineò già un’ importante innova-zione tecnica: quella del colore, scelto con riferi-menti simbolici; vennero utilizzate poche tonali-tà cromatiche o addirittura una sola, come nella scena del secondo atto in cui il grigio del fondale era ripetuto nei costumi con sfumature più o meno scure, sapientemente evidenziate da un’accorta il-luminazione che prevedeva l’abolizione delle luci di ribalta, rimpiazzate da riflettori posti in sala e nella parte alta del palcoscenico, su un provvisorio ponte di luci.L’innovazione delle luci in sala fu quindi in gran parte anticipata da Gordon Craig.Un’altra innovazione introdotta dal famoso sceno-grafo fu il palcoscenico mobile: costruito da volumi geometrici a forma di parallelepipedo, ripetuti an-

che nella zona della soffitta e lambiti lateralmente da paraventi aveva il compito di modificare lo spa-zio scenico in rapporto alla necessità dell’azione.Le concezioni e le riflessioni portate da Craig e Appia interessarono le nuove leve del teatro agli albori della Prima Guerra Mondiale.Nel 1927 Walter Gropius pubblica un grande pro-getto per un teatro totale, in cui il pubblico circon-da una pista centrale. Nel frattempo, in mezzo a tutti questi fermenti, il teatro subì l’influenza di vari momenti dell’avanguardia artistica, ben decisi a combattere con tutte le loro forze il realismo.I movimenti come il futurismo, il cubismo, il co-struttivismo, sfociarono in stimolanti discussioni ed esperimenti, con introduzione di elementi sce-nici e strutture meccaniche a beneficio di una esi-bizione di tipo atletico. Il cubismo spingeva a dare importanza ai piani, il futurismo italiano incorag-giava il semplice ammassamento delle forma. In

Guido Marussic, iii episo-dio per “La nave” di Ga-briele D’Annunzio, 1918

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Russia invece si fece strada una tendenza opposta, che rivalutava la scena dipinta per l’allestimento dei balletti russi, sotto la spinta di Lev Bakst, che si rifaceva al colorismo bizantino. Oltre agli artisti russi quali la Goncarova, Larinov e Posedaiev, Dja-gilev furono invitati a cimentarsi con il teatro rus-so artisti come Picasso, Braque, Matisse ed altri, mentre in Inghilterra si segnalano presenze come Wilkinson, Sheringham, Rutherson e, negli Stati Uniti, Edmond Jones, Simonson, Bel Geddes, Jo Milziner, Oenslanger.

STANISVLASKIJ E LA CRISI DEL REALISMONell’ultimo scorcio dell’Ottocento, il naturalismo trovò un terreno singolarmente fertile in Russia. Nel 1898, dall’incontro tra il regista Konstantin Stanislavskij e lo scrittore Ivanovic Nemiròvic-Dancenko, nasce il Teatro dell’Arte la cui attività, nel giro di pochi anni, avrebbe inserito Mosca tra le

maggiori capitali europee dello spettacolo.Il problema centrale per Stanislavskij, che aveva appreso da Tommaso Salvini i primi rudimenti di regia, consisteva nella necessità di evitare che la recitazione dell’attore, sottoposta ad un lavoro di routine, finisse col cristallizzarsi in un cliché stan-dardizzato. A tale scopo aveva messo a punto un sistema basato su una serie di esercizi psico-fisici mutuati dalla filosofia indiana ed in particolare dallo zen.Il “metodo stanivlaskij”, denominato da egli stesso perezivanie ossia rinvivimento della parte, consen-tirà non di interpretare semplicemente la storia di un personaggio, ma di riviverla di replica in replica con la stessa carica psicologica. Stanivlaskij attri-buisce alla scena una funzione strettamente utili-taristica, auspica l’avvento di un tipo di scenografia plastica meglio rispondente ai suoi principi: “date-mi piuttosto una poltrona in stile, datemi una pie-

Foto di scena de “La créa-tion du monde”, 1923, re-gia scene e costumi di F. Léger.

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tra su cui sedermi e sognare...questi oggetti che noi possiamo toccare e vedere sulla scena...sono molto più necessari ed importanti, sul palcosceni-co, delle tele cariche di colore che non vediamo”. Una delle innovazioni da lui introdotte fu quella del fondale nero di velluto “per nascondere la profon-dità della scena e creare una nera superficie pia-na, monocolore, non a tre, ma a due dimensioni, poiché il pavimento coperto di velluto, le quinte e gli archi cadenti, fatti dello stesso materiale si sa-rebbero fusi con il fondale di velluto nero; ed allora la profondità della scena sarebbe scomparsa” ed ancora: “immaginatevi che su un’enorme foglio nero, quale appariva il boccascena dalla sala degli spettatori, fossero state tracciate delle linee bian-che delimitanti in prospettiva i contorni della stan-za e del suo arredamento, al di là di queste linee si sente dovunque la spaventosa, infinita profondità”. IL

TEATRO POVERO DI GROTOWSKIJerszy Grotowski fu un rivoluzionario nel tea-tro perché provocò un ripensamento del concet-to stesso di teatro e del suo scopo nella cultura contemporanea. Una delle sue idee chiave è la nozione del teatro povero. Con questa espressio-ne egli intendeva un teatro in cui la preoccupazio-ne fondamentale fosse il rapporto dell’attore con il pubblico, non l’allestimento scenico, i costumi, le luci o gli effetti speciali. Nella sua ottica que-ste erano soltanto delle trappole che, se potevano intensificare l’esperienza teatrale, non erano però necessarie ai fini del nucleo del messaggio che il teatro doveva generare. ‘Povero’ significava l’eli-minazione di tutto ciò che non era necessario e che avrebbe lasciato l’attore ‘spogliato’ e vulnerabile. Applicando questo principio al suo ‘laboratorio’ in Polonia, Grotowski si disfece di tutti i costumi e dell’allestimento scenico e preferì lavorare con

Foto di scena de la “Tu-randot”, 1923, regia di A. J. Tairov.

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allestimenti completamente neri e con attori che indossavano costumi di prova totalmente neri, almeno nel processo di prova. Fece eseguire agli attori rigorosi esercizi in modo che assumessero il totale controllo dei loro corpi. L’importante per Grotowski era cosa avrebbe potuto fare l’attore con il suo corpo e la sua voce senza aiuti e unicamente con l’esperienza viscerale con il pubblico. In que-sto senso sovvertì le tradizioni dei costumi esotici e degli allestimenti scenici sbalorditivi che aveva-no guidato la maggior parte del teatro europeo a partire dal XIX secolo. Ciò non significa che nelle esibizioni teatrali pubbliche egli trascurasse com-pletamente le luci e gli allestimenti, ma che questi ultimi erano secondari e tendevano a fungere da complemento alla già esistente eccellenza degli attori. A questo concetto di ‘teatro povero’ Gro-towski (un ateo) aggiunse il concetto di ‘sacerdo-zio’ o sacralità dell’attore. Quando l’attore entrava

nella santità dello spazio scenico in quel momento accadeva qualcosa di speciale, qualcosa di molto simile alla Messa nella Chiesa Cattolica. Era in questo spazio, nella sacra relazione tra l’attore e il pubblico che il pubblico veniva sfidato a pensa-re e ad essere trasformato dal teatro. In tal sen-so Grotowski è stato una delle figure chiave nello sviluppo del teatro politico del XX secolo. Le sue produzioni teatrali spesso contengono temi politici e sociali. L’attore, dipendente solo dai doni naturali della voce e del corpo, poteva consegnare al pub-blico i rituali sacri del teatro e i temi della trasfor-mazione sociale. Il pubblico divenne un pilastro dell’esibizione teatrale, e il teatro diventò più di un semplice intrattenimento: diventò un sentiero verso la comprensione. Il regime di allenamento di Grotowski era designato per:- Eliminare, non insegnare qualcosa (Via Negati-va).

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Scenografia futurista di Giacomo Balla.

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- Intensificare ciò che già esiste.- Creare tutto ciò che è necessario per la rappre-sentazione teatrale nel corpo dell’attore, con il minimo utilizzo di materiale scenico.- Promuovere un rigoroso allenamento fisico e vo-cale degli attori.- Evitare il magnifico se non favorisce la verità.

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Juan Mirò duarante la realizzazione delle scene per “Jeux d’enfant” di G. Bizet, 1932.

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1.6. TEATRO “DIGITALE”

Lo studio e la ricerca della videoscenografia per-mette infinite soluzioni creative grazie all’uso “sa-piente” della tecnologia in relazione al potenziale creativo dei videoartisti che progettano in stretta collaborazione con i direttori artistici e registi. La videoscenografia si propone di creare “ambienta-zioni” a soggetto o astratte di grande effetto sce-nico e coinvolge i performers e gli altri elementi scenici diventandone parte integrante.I dibattiti che sono nati negli anni sull’argomento, sono numerosi e complessi, di seguito sono ripor-tate le parole di Antonio Pizzo, tratte dal suo libro “Teatro e mondo digitale”, per cercare di chiarire il percorso che ci ha portati all’uso di tecnologie digitali nell’ambito del teatro: “La diffusione di Internet e la trasformazione dei PC in dispositivi multimediali hanno coinciso, nella seconda metà degli anni novanta, con l’integrazione tra lo spet-tacolo teatrale e i nuovi strumenti della tecnolo-gia digitale. Il dibattito che ne è conseguito è circa

il tentativo di definire i modi in cui l’avanzamento tecnologico diventi sia evoluzione del linguaggio, sia un’ulteriore modalità di rappresentazione del mondo contemporaneo. (…)L’evento teatrale è sostanzialmente un atto interpretativo e, di con-seguenza, acquista valore solo all’interno della cornice in cui avviene. In quanto fondato sulla re-lazione attore-pubblico, il teatro avviene sempre all’interno di particolari coordinate politiche e so-ciali, non può essere astratto dalle specifiche con-dizioni economiche e dall’evoluzione tecnologica. Proprio quest’ultima appare indissolubilmente le-gata alla pratica teatrale. La macchina è stata ed è oggetto e agente di comunicazione sulla scena. In molti casi l’invenzione tecnologica può essere limi-tata alla sfera della scenotecnica e non costituisce un elemento fondamentale nel progresso del lin-guaggi; in altri casi, e certamente in molti esperi-menti del Futurismo italiano, la presenza di dispo-sitivi meccanici ha assunto i caratteri di una vera

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e propria rivoluzione estetica. Alla stessa stregua le scene contemporanee sperimentano l’innova-zione tecnologica. (…) In alcuni casi l’utilizzo della tecnologia digitale nasce come soluzione pratica a problemi di messa in scena, in altri casi come tentativo di risposta a istanze già poste, come già detto, dalle avanguardie del Novecento, in altri casi ancora mette in discussione la necessità che la rappresentazione debba costituirsi in un luogo determinato.(…) Dunque i tentativi di contaminazione tra spet-tacolo teatrale e tecnologie digitali in questi ultimi decenni, lungi dal definire un “nuovo genere tea-trale”, sono parte di una più ampia e complessa sfida estetica del prossimo millennio, laddove una tecnologia si propone non come un nuovo mezzo di comunicazione ma piuttosto come uno strumento per riaggiornare i media esistenti alla luce di un nuovo luogo dell’evento artistico.”Agli inizi degli anni novanta, alcuni artisti e ri-

cercatori riunitisi all’Università del Kansas (USA) decisero di lavorare alla produzione di uno spet-tacolo che riuscisse a fondere insieme lo spazio e gli attori reali con gli ambienti di realtà virtuale. L’idea di inserire una simile produzione all’interno del cartellone ufficiale dell’University Theatre su-scitò non poche perplessità poiché la relazione tra scena digitale e scena materiale appariva alquan-to improbabile e ardita. In seguito lo spettacolo fu apprezzato e divenne il primo di una serie; ancora adesso viene ricordato come il capostipite degli esperimenti nel settore. Nel seguente capitolo sono trattati sei esempi di come la tecnologia digitali può essere applicata in varie forme d’arte: dagli spettacoli teatrali, all’al-lestimento di mostre alle installazioni per eventi, questa tecnologia permette di realizzare opere di grande effetto.

Il processo di digitalizzazione corrisponde – dal punto di vista tecnologico – alla trasformazione di qualsiasi tipo di informazione (verbale, iconica, audiovisiva o musicale) dal formato analogico a quello digitale. Questo processo implica la rappresentazione delle informazioni attraver-so elementi di codice binario (0/1), che le rendono gesti-bili da un computer.Il rilievo di tale processo non risiede, tuttavia,nella di-mensione tecnologica, ma in quella culturale e nell’im-patto sui processi di produzione, distribuzione e consu-mo dei prodotti mediali.

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2.1. BOB WILSON

BIOGRAFIA

Robert “Bob” Wilson (1941) è un regista e dram-maturgo statunitense.Si può definire come caso di peculiare originalità, quantunque inquadrabile nell’ambito del movi-mento artistico dell’avanguardia americana degli ultimi decenni, maestro della bidimensionalità dello spazio e artefice di un nuovo tempo teatra-le connesso allo slow motion. Nel corso della sua articolata carriera, lavora anche come coreografo, pittore, scultore, video artista, designer di suono e luci. È noto soprattutto per la collaborazioni con Philip Glass in Einstein on the Beach, e con nume-rosi altri artisti, tra i quali William S. Burroughs, Allen Ginsberg, Tom Waits e David Byrne.Wilson, nato a Waco, in Texas, studia Business Administration all’Università del Texas dal 1959 al 1962. Segnano radicalmente la sua vita l’espe-rienza con i bambini disabili e i laboratori di teatro per l’infanzia in cui Wilson fa tesoro della terapia

appresa da Byrd Hoffman. Wilson decide così che il proprio futuro è nelle arti figurative.Si trasferisce a Brooklyn nel 1963, conseguendo una laurea in architettura al Pratt Institute nel 1965. Partecipa alle lezioni di Sibyl Moholy-Nagy (vedova di László Moholy-Nagy), studia pittura con George McNeil, e architettura con Paolo Soleri in Arizona. Nel 1968, Wilson fonda la compagnia di performance sperimentale Byrd Hoffman School of Byrds (intitolata a Miss Hoffman, l’insegnate di danza che lo aveva aiutato a superare l’handicap della balbuzie quando era ragazzo stimolandolo ad eseguire movimenti lenti (slow motion appun-to), consentirà a Robert di imparare a sciogliere la tensione del proprio corpo). Con questa compagnia crea i suoi primi importan-ti lavori, a cominciare da The King of Spain e The Life and Times of Sigmund Freud del 1969. Debutta nell’opera nel 1976, realizzando con Philip Glass

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Einstein on the Beach, capolavoro che rende i due artisti famosi in tutto il mondo.Tra il 1983 e il 1984, Wilson progetta una perfor-mance per le Olimpiadi estive del 1984, CIVIL warS: A Tree Is Best Measured When It Is Down; l’intero lavoro sarebbe dovuto durare ben 12 ore, diviso in 6 parti. La produzione è completata solo parzial-mente - l’intero evento è cancellato dall’Olympic Arts Festival per mancanza di fondi.Nel 1986 la giuria del Premio Pulitzer seleziona all’unanimità CIVIL warS per la sezione teatrale, ma il Consiglio di Supervisione respinge la scelta e quell’anno non assegna alcun premio teatrale.Wilson è noto per avere spesso “forzato” i limiti del teatro. I suoi lavori sono celebri per lo stile au-stero, movimenti molto lenti, e spesso dilatazioni estreme nello spazio e nel tempo. The Life and Ti-mes of Joseph Stalin è una performance di 12 ore, mentre KA MOUNTain and GUARDenia Terrace è

stata allestita sulla vetta di una montagna in Iran per una durata di sette giorni.Oltre al suo lavoro per il palcoscenico, Wilson rea-lizza sculture, disegni e design d’arredamento. Nel 1993 vince il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia per una installazione scultorea. Nel 1997 è invece insignito del Premio Europa per il Teatro.Nel 2004, Ali Hossaini offre a Wilson un contrat-to al canale televisivo Lab Hd. Da allora Wilson ha prodotto decine di video ad alta definizione noti an-che come Voom Portraits. I protagonisti dei filmati hanno svariato dalle famiglie reali alle celebrità di Hollywood, dagli animali ai vincitori di Premi No-bel, ai vagabondi. Wilson è il protagonista del do-cumentario del 2006 di Katharina Otto-Bernstein, Absolute Wilson.Nel 2009 l’artista ha allestito una mostra egizia nelle stalle della Venaria Reale a Torino. Mostra eccezionale basata sui nuovi ritrovamenti nel Mar

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Rosso di ben due città sommerse. Il teatro di Wil-son non racconta, ma surrealisticamente si strut-tura su sequenze di riferimenti visivi e uditivi, pur aprendosi nella sua fase più recente al testo, alla narrazione e all’inevitabile approccio allo spetta-colo totale dell’opera. In Wilson lo spazio non è più diviso in punti bensì in attimi e la lunghezza della scena è misurabile nello spazio dell’ora. Egli è attore di landscape plays ovvero di immensi pa-esaggi statici, colti in un presente continuo, in una chiave assolutamente contemplativa, che sconfina nell’esperienza del sogno, accentuata dalla trance music di compositori come Philip Glass.

Robert Wilson durante la progettazione di uno spat-tacolo.

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VOOM PORTRAITS Palazzo Reale, Milano16 giugno - 4 ottobre 2009

A metà degli anni ’70 Wilson ha iniziato a speri-mentare il videoritratto creando una serie di 100 episodi da 30 secondi noti come Video 50. Nel 2007, dopo oltre due anni di lavoro con VOOM HD Networks, compagnia pionieristica nella ricerca sulle tecnologie per la televisione in alta defini-zione, prendono forma i VOOM Portraits: una serie di video ritratti in alta definizione che ritraggono protagonisti dello star system, gente ordinaria e animali straordinari.I VOOM Portraits sembrerebbero ad un primo sguardo tradizionali ritratti statici. D’improvviso però un battere di ciglia, un movimento del pie-de, un’impercettibile modifica della postura del soggetto cambia radicalmente l’esperienza della percezione. Per l’ideazione dei videoritratti l’ar-tista trae ispirazione da film, arte, avvenimenti storici quasi a creare una serie di “atti unici”. I 24 videoritratti disposti da Wilson nelle 18 sale degli

appartamenti storici di Palazzo Reale, esaltano il contrasto tra l’uso della tecnologia e gli arredi d’epoca delle diverse sale. Le opere si alternano tra ritratti singoli e installazioni complesse che ri-traggono uno stesso soggetto su molteplici scher-mi. I ritratti sono accompagnati da colonne sonore create per l’occasione da musicisti del calibro di Lou Reed, Tom Waits, Bernard Hermann, Michael Galasso, Big Black, Bach reinterpretato da Glenn Gould, Hans Peter Kuhn, Ethel Merman.La mostra a Palazzo Reale presenta per la prima volta al pubblico anche i nuovi ritratti della core-ografa giapponese Suzushi Hanayagi, apposita-mente realizzati da Wilson per questa occasione. La tecnologia rappresenta una componente fonda-mentale nella realizzazione di questi ritratti stra-ordinari per la purezza delle immagini. Il mezzo è il video in alta definizione; la forma si pone tra il video e la fotografia.

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Le opere integrano suggestioni dalla pittura, dal design, dall’architettura, dalla danza, dal teatro, dalla fotografia, dalla televisione, dal cinema e dalla cultura popolare contemporanea. I ritrat-ti sono stati filmati in formato orizzontale per gli schermi televisivi e in formato verticale per i mo-nitor piatti al plasma, con una proporzione di 1:1 tra lo spettatore e il soggetto. Sono ripetuti in loop in modo da non avere un inizio e una fine, creando un’opera d’arte in fotogrammi. Quest’immagine senza interruzione è resa possibile dall’utilizzo di sistemi di registrazione computerizzati apposita-mente creati e integrati negli schermi stessi.

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Sotto e nella pagina accanto: alcun e immagini della mo-stra Voom Portraits.

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ANALISI

2.2. PETER GREENAWAY

BIOGRAFIA

Peter Greenaway (1962) pittore, regista e sceneg-giatore, questo artista è considerato come uno dei più significativi cineasti della cinematografia bri-tannica contemporanea, occupando di diritto un posto centrale nel dibattito sul cinema d’autore. Figlio di un impresario edile e ornitologo dilet-tante, e di una insegnante, Peter John Greenaway nasce a Newport, in Gran Bretagna, trascorre la sua infanzia tra Londra e l’Essex, a contatto con la natura. A dodici anni, dopo aver deciso di diventare un pittore, Peter si iscrive al Walthamstow College of Art. Inizia a interessarsi all’arte cinematografica a sedici anni, dopo aver visto al cinema il film di Ingmar Bergman Il settimo sigillo. Nel 1962, Gree-naway realizza il suo primo cortometraggio: Death of Sentiment. Dopo aver tentato, senza riuscirvi di iscriversi alla scuola di cinema del Royal College of Art, torna alla pittura e nel 1964 espone per la prima volta i suoi lavori nella mostra ‘Ejzen’tejn at

Winter Palace’, allestita alla Lord’s Gallery. Nello stesso periodo, inizia anche a scrivere i suoi pri-mi romanzi, ispirandosi in particolare a Borges e a Italo Calvino. Nel 1965, dopo una breve parente-si come critico cinematografico, inizia a lavorare come montatore al Central Office of Information, un organismo governativo dove rimarrà per circa dieci anni, partecipando alla realizzazione di una ottantina di documentari, tra cui I am going to be an architect a Legend of birds. Sempre in questi anni Greenaway si dedica all’illustrazione di libri e alla scrittura di ben 18 romanzi, per i quali però non troverà un editore. Utilizzando la struttura e i mezzi del Central Office of Information, Greenaway realizza alcuni cortometraggi come Treno (1966), un balletto meccanico dell’ultimo treno a vapore entrato nella stazione di Waterloo, Tree (1966), che mostra un albero rinsecchito circondato dal cemento all’esterno della Royal Festival Hall, e

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ANALISI

Windows (1975) che offre viste di paesaggi inglesi filmati attraverso varie finestre. Nel 1978, il British Film Institute produce il cortometraggio Un viaggio attraverso H (La reincarnazione di un ornitologo), che conquista il premio Hugo al Festival di Chicago. Due anni dopo, raccogliendo diversi lavori pittorici realizzati in varie occasioni e componendo 92 si-tuazioni secondo il sistema della musica aleatoria di John Cage e dello spirito accumulatorio di una enciclopedia, Greenaway riesce a produrre il suo primo lungometraggio: Le cadute (1980), vincitore del premio del British Film Institute e dell’Age d’or a Bruxelles. Greenaway insiste da sempre sul concetto di spe-rimentazione in campo cinematografico, e sul ten-tativo di superare quelli che sono per lui i principali limiti del cinema tradizionale, e cioè la trama nar-rativa, gli attori, la cornice e la macchina da presa. Il ricorso alla tecnologia digitale, anche derivata da

altri media, è vista dal regista come una grande opportunità per approdare a un genere di opera cinematografica non vincolata a un solo punto di vista, ma fruibile in maniera multidimensionale.

Primo piano di Peter Gre-enaway

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ANALISI

Un’idea innovativa e originale. Una rivisitazione in chiave moderna e tecnologica di uno dei più grandi capolavori dell’arte italiana di tutti i tempi. L’even-to “Peter Greenaway - L’Ultima Cena di Leonar-do” inaugurato nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano davanti agli occhi di un pubblico ristretto, ha riscosso un grande successo.Per molti è sicuramente da considerarsi uno de-gli appuntamenti artistici più importanti di Palazzo Reale. Il progetto si avvale delle più avanzate tecnologie applicate all’arte, grazie a un team internazionale di collaboratori coordinato da Change Performing Arts. Hanno tra gli altri collaborato alla sua pro-gettazione e realizzazione: Reinier van Brummelen – direttore della fotografia e storico collaboratore di Peter Greenaway nei suoi progetti cinematogra-fici - la sezione di Change Performing Arts dedi-cata alle arti visive, con il supporto determinante

di Euphon/Mediacontech Group, leader italiano nell’applicazione delle tecnologie digitali al mondo della comunicazione.L’idea nasce dall’amore di Peter Greenaway per l’arte, in particolare quella italiana, e dalla sua passione per il cinema. In perfetto allineamento con lo spirito di Leonardo da Vinci, sempre pronto a ideare nuove invenzioni, l’artista ha voluto sperimentare le possibili appli-cazioni della più moderna tecnologia digitale pro-prio su un dipinto del più eclettico genio italiano di tutti i tempi, creando un vero e proprio evento mul-timediale. Musa ispiratrice della sorprendente rappresentazione l’affresco che rappresenta l’Ul-tima Cena di Gesù, custodito nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano, opera che si presta maggiormente a “sperimentazioni”, considerata la ricchezza di particolari e simboli in esso presenti. Il dipinto esposto nella suggestiva Sala delle Ca-

L’ULTIMA CENA DI LEONARDO 16 aprile - 6 settembre 2008Sala delle Cariatidi, Palazzo Reale, Milano

Un momento della perfor-mance.

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ANALISI

riatidi a Palazzo Reale non è l’originale, ma è una copia perfetta di quello leonardesco. Un vero e pro-prio “clone” con le stesse dimensioni e soprattutto con le stesse caratteristiche di matericità dell’ori-ginale, realizzato per la prima volta grazie a una particolare combinazione di sofisticata tecnologia digitale e di abilità artistica. La rappresentazione durava circa 20 minuti: mu-sica, suoni, luci, ombre ed effetti scenici contri-buivano a far dare vita in modo quasi palpabile al momento dell’ultima cena e ad animare i suoi pro-tagonisti, grazie anche all’abile e sapiente utiliz-zo delle tecniche di regia cinematografica del suo produttore. I visitatori venivano fatti accomodare. All’entrata la luce era soffusa, nel mezzo della sala si trovava un tavolo imbandito, in materiale plasti-co bianco, illuminato dal basso, chiaro riferimen-to a quello dell’ultima cena. Sulla parete di fronte c’era la copia del famoso dipinto di Leonardo.

La sequenza della rappresentazione avveniva nel seguente ordine: prima le luci illuminavano lo sfondo, poi, a turno, le gruppi di discepoli, che assumevano una forma tridimensionale, poi li-nee, mani e altri particolari. Giochi di luce e om-bra a scandire il passare del tempo e sottolineare i momenti più salienti della storia rappresentata nell’opera d’arte. Emergevano così particolari na-scosti, che altrimenti probabilmente non sareb-bero catturati dall’attenzione del visitatore. Dalla parte della parete venivano proiettate immagini di alcune opere di Leonardo e dettagli che sembrano scaturire dall’opera stessa, il tutto arricchito con effetti digitali. A dare un tono ancora più coinvol-gente ed entusiasmante allo spettacolo erano i suoni e le musiche che lo accompagnavano.Così l’arte è diventata spettacolo.

REFERENZE

La locandina dell’evento e, a destra, dettaglio sul gioco di luci.

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2.3. ANDREA LIBEROVICI

BIOGRAFIA

Andrea Liberovici (1962), figlio d’arte. Il padre, Ser-gio, è stato sodale di Italo Calvino nella creazione di un nuovo repertorio di canzone popolare; la ma-dre, Margot Galante Garrone, è cantante, composi-trice e fondatrice-regista del “Gran teatrino la fede delle femmine”.Studia composizione, violino, viola nei conservato-ri di Venezia e Torino, recitazione presso la Scuo-la del Teatro Stabile di Genova e canto con Cathy Berberian per la vocalità del musical. Creatore di musiche e testi fin da giovanissimo scrive musiche di scena per importanti compagnie di teatro di pro-sa, musica per radio, televisione e balletti. In più occasioni è contemporaneamente attore e respon-sabile delle musiche in produzioni teatrali di pri-mo rango. Come compositore, performer e regista elabora una sintesi fra la musica, la scena teatrale e l’immagine.Nel 1996 fonda assieme a Edoardo Sanguineti, Fi-

lippo Garrone ed Ottavia Fusco un gruppo di lavoro, il teatrodelsuono, che si applica alla sperimenta-zione di nuovi motivi delle relazioni musica, poesia, scena e tecnologie della elaborazione del suono e del montaggio.Liberovici per la sua peculiarità e ricerca è stato definito dalla critica come “compositore globale”, definizione sicuramente impegnativa ma che ben sintetizza il suo lavoro.La sua musica e i suoi spettacoli sono stati presen-tati nelle grandi città italiane e a New York, Parigi, Atene e Montreal. Nel corso degli ultimi anni il tea-trodelsuono ha realizzato spettacoli, installazioni e video con artisti tra i più importanti nel panorama italiano e internazionale fra cui Edoardo Sanguine-ti, Peter Greenaway, Aldo Nove, Judith Malina, Vit-torio Gassman, Giorgio Albertazzi, Enrico Ghezzi, Claudia Cardinale e altri artisti.

Primo piano dell’artista.

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CANDIDO Produzione del teatro Stabile di Genova 2004

Apologo, fiaba filosofica o racconto d’avventura, il Candido, pubblicato da Voltaire nel 1759, ha avuto nel corso dei secoli le più disparate interpretazio-ni, ma sempre tese a sottolineare la grande forza comunicativa della sua ironia e la costante attuali-tà del suo assunto narrativo. Scacciato dal castello del suo benefattore per aver rubato un bacio alla di lui figlia Cunegonda, il giovane Candido impara a proprie spese la differenza tra la teoria e la vita, tra gli ottimistici insegnamenti del suo maestro, il filosofo leibniziano Pangloss, e la reale presenza del male in questo mondo. Un viaggio pedagogico il suo, che nello spettacolo in forma di “musical da camera” scritto da Andrea Liberovici e Aldo Nove si articola in dodici stazioni, come una Via Crucis nel corso della quale il centro dell’attenzione si spo-sta da Dio al Viaggio, dall’Amore alla Guerra, dal Tradimento all’Identità, in un ben calibrato diveni-re che si organizza ora intorno ai modelli comu-

nicativi del musical americano (la canzone come apice del sentimento individuale dei personaggi) e ora secondo quelli del “song” europeo (la can-zone come commento dell’azione rappresentata). Ciò che ne sortisce, sottolineano gli autori, è un viaggio virtuale, con un debuttante nell’esistenza, Candido appunto, guidato alla scoperta del mondo e di se stesso dal fallimento dei modelli propostigli da un novello Pangloss, maestro di una molto con-temporanea via al successo individuale e sociale, che sostituisce l’ottimismo filosofico di Leibniz con quello attualissimo e materialisticamente concre-to del venditore merceologico o televisivo.

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Un momento dello spet-tacolo.

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In queste due pagine e nella pagina precedente tre momenti dello spettacolo.

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URFAUST Produzione del Teatro Stabile di Genova in coproduzione con il Teatro Stabile del Veneto2005

Lo spettacolo, seguendo il filone inaugurato con grande fortuna dallo stesso Liberovici con Candido tratto da Voltaire, si avvale di un mix di prosa, mu-sica e apporti multimediali.Con Urfaust Andrea Liberovici sperimenta un per-corso di traduzione dal romanticismo tedesco alla sensibilità del presente. La scena contiene di base due elementi: un grande teatrino di marionette come studio ed ambiente generale di Faust ed un fondale neutro, che serve ad accogliere immagini e altri personaggi questa volta virtuali. Si tratta di una sorta di teatro-film-musical-racconto che ten-de a inseguire ancora una volta il romanticissimo sogno tedesco.Alla vigilia dell’inizio delle prove dello spettacolo che debuttò al Festival di Borgio Verezzi l’8 luglio, con repliche il 9 e il 10, e verrà poi ripreso nella stagione 2005-2006, annota Andrea Liberovici:«Faust, dal mio punto di vista, è un uomo, non una

creazione della fantasia, e come tale ha scelto un suo percorso di apparente conoscenza. Apparen-te perché di fatto lo studio, ovvero la ragione del-la sua vita prima dell’incontro con Mefistofele, lo mantiene, e in qualche modo lo tutela, dal reale. Anche se ovviamente la qualità delle informazioni apprese è diversa, non credo ci sia differenza nel meccanismo psicologico che spinge l’intellettuale a passare la sua vita fra i libri e l’uomo che la fa passare davanti ad una televisione. Ognuno di noi sceglie più o meno liberamente la propria aneste-sia travestendola consciamente o meno da pas-sione e da assoluta verità fino al giorno in cui non appare, come “incidente” nel nostro mondo Mefi-stofele. Da uomo laico non ho mai creduto al diavo-lo. Credo invece nell’incognita che può distruggere e trasformare le nostre “passioni” e convinzioni legata al mistero del vivere che cerchiamo costan-temente di rimuovere o sondare attraverso la logi-

A fianco e nella pagina accanto due scene dellospettacolo.Si nota l’interazione tra gli attori presenti in scena e le videoproiezioni.

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ca. Questa incognita che, a seconda di come siamo fatti, si manifesta ad un certo punto della nostra vita, questo appuntamento a cui sappiamo di dover recarci prima o poi, altro non è che un appunta-mento con la parte di noi stessi meno conosciuta. Per questa ragione Mefistofele, nella mia idea è il doppio di Faust. È Faust giovane, il Faust rimosso da Faust stesso. È il Faust che trascina Faust fuori dal suo studio e lo precipita nella passione e nella ricerca del senso del vivere attraverso il confronto con la vita e non con la sua sublimazione. Marghe-rita diventa di conseguenza strumento utilizzato da Faust per accedere alla conoscenza della sua stessa fragilità. L’amore, come spesso accade non è altro che il ritrovamento di uno specchio in cui guardarsi. Faust osserva il suo candore perduto e, straziato dalla visione di questa perdita lo uccide. In tutto questo percorso di conoscenza Marta è in qualche modo il senso comune, il ventre, la gene-

ratrice del secondo incontro su cui si sviluppa il plot. Marta è l’oggettivo, la terra, il visibile, come la Lattaia di Vermeer è illuminata da una luce incon-taminata e limpida , non c’è nessun problema di rimozione del reale in lei, fa la sua lotta attraverso le avversità della vita semplicemente accettandole ed affrontandole… come una piccola foglia».

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Sopra e nella pagina accanto altre due due scene dello spettacolo.

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2.4. FURA DELS BAUS

LA COMPAGNIA

La Fura dels Baus è il nome di una compagnia te-atrale catalana. Fondato a Barcellona nel 1979 da Marcel•lí Antúnez Roca, Quico Palomar, Carles Padrissa e Pere Tantinya.La compagnia si definisce come un gruppo di te-atro urbano che ricerca uno spazio scenico distin-to da quello tradizionale. La base dei loro lavori è composta da una gamma di espedienti scenici che includono musica, movimento, utilizzo di materiali naturali e industriali, applicazione di nuove tecno-logie, e il coinvolgimento diretto degli spettatori nello spettacolo. Il tutto dominato da una creazio-ne collettiva, in cui l’attore e l’autore sono un’unica entità.Dal 1990 la compagnia ha ampliato il suo proget-to artistico rivolgendosi al teatro di testo (Faust version 3.0 e shadow), al teatro digitale (Faust Shadow, Fmol, Work in progress, B.O.M), ancora al teatro di strada (Furamobile, Inana & Sons),

alla produzione di musuca contemporanea (whi-te Foam), all’opera e alla produzione di eventi a grande partecipazione.La Fura dels Baus ha realizzato inoltre la cerimo-nia di apertura dei Giochi olimpici di Barcellona del 1992.Aziende come Pepsi o Mercedes Benz li hanno im-piegati per “azioni” promozionali.Fedele ai suoi principi di creazione partecipativa, la Fura sviluppa progetti attraverso internet, come “Work in progress 97”, spettacolo nel quale si univano scene che si svolgevano simultaneamen-te in diverse città, in un ambito di teatro digitale. Nell’ottobre 2001 il film Faust 5.0 è stato presenta-to per la prima volta in Spagna. È stata la prima in-cursione nel mondo del cinema per la compagnia. Il film, diretto con il produttore Isidro Ortiz, è stato scelto per la sezione ufficiale del fetival di Venezia, con interpreti Miguel Angel Solà, Eduard Fernan-

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dez e Najwa Nimri. La Fura dels Baus ha anche al suo attivo incisioni musicali come gruppo rock Le rappresentazioni della compagnia catalana, di impianto radicale e anticonformista, sono azioni teatrali estreme, installazioni provocatorie, oppure lavori teatrali più completi, sempre volti alla sti-molazione del pubblico, cercando di provocarne spesso lo shock emotivo. Sono stati denominati dal giornale tedesco Neue Musikzeitung teppisti della subcultura (il termine tedesco, “Subkulturrabauken” è un neologismo). A partire dal 2007, sono presenti al festival del Maggio Musicale Fiorentino dove sono impegnati nell’allestimento di Der Ring des Nibelungen di Ri-chard Wagner nel corso di tre anni: le prime due opere della tetralogia wagneriana (Das Rheingold e Die Walküre) sono andate in sce-na al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino di Fi-renze nel giugno del 2007; la terza giornata (Sieg-

fried) è stata rappresentata nel novembre del 2008 e l’ultima giornata (Götterdämmerung) nel maggio del 2009. Tutte e quattro le opere saranno al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, eseguite dall’Or-chestra del Maggio Musicale Fiorentino diretta da Zubin Mehta.A La Fura dels Baus è stato conferito nel 2008 il Premio Franco Abbiati della Critica Musicale Ita-liana (riconoscimento per la stagione 2007).

Il gruppo agli esordi della loro carriera.

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Durante l’esecuzione di “Boris Godunov”, una versione aggiornata del dramma di Alexander Pushkin, un gruppo di terroristi irrompe nel teatro tenendo il pubblico, gli attori e il personale come ostaggi. E’ questo il punto d’inizio del nuovo spet-tacolo proposto da La Fura dels Baus, ispirato alla presa di ostaggi al Teatro Dubrovka di Mosca nel 2002. Senza voler essere una riflessione politica o sociologica sul fenomeno del terrorismo, l’o-biettivo della rappresentazione è di immergere il pubblico in un’esperienza estrema, riportando alla luce la funzione catartica del teatro e permettere al pubblico di vivere la terribile esperienza di una delle principali paure dell’era contemporanea: il terrorismo. Boris Godunov è anche la storia di una sconfitta. Non la sconfitta dei terroristi, come vogliono le autorità, ma una miserabile e piccola sconfitta: una situazione di crisi risolta nel peggior modo possibile. Il disprezzo della vita umana per

abbracciare interessi politici o religiosi“Il boato di un’esplosione accende l’azione dram-matica. Violenza e brutalità trionfano in un’espe-rienza estrema che non sarà facile dimenticare”.Emilia Costantini, Corriere della SeraLa forza e l’innovazione dello spettacolo stanno nella genialità del far accadere situazioni “al di fuori dello spazio scenico nello spazio scenico”: ovvero, parte degli attori recitavano al di fuori del teatro (i poliziotti, i terroristi che uscivano dalla sala…) e, filmati in tempo reale, venivano “prioet-tati” in sala sul grande telo disposto sul palcosce-nico, così da mescolare il “qui e ora” con la tecnica del video, in uno spazio/luogo senza tempo.

BORIS GUDONOV Teatro dell’Archivolto, Genova6_7 febbraio 2009

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Un momento dello spet-tacolo al Tearo Modena di Genova.

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Due attori sulla scena e la videoproiezione sul fondale alle loro spalle.

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LA DIVINA COMMEDIA Palazzo Pitti, Firenze19 giugno 2002

A la Divina Commedia de La Fura Dels Baus han-no preso parte cinquanta attori, mimi, musicisti, acrobati, tecnici e comparse. Lo spettacolo è du-rato trenta minuti circa, durante i quali si sono al-ternati numerosi artifici scenici di grande effetto visivo e sonoro. La concezione scenica era basata su tre livelli: l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso.Ciascuno di questi livello è stato rappresentato da dei quadri: la caduta dell’Arcangelo e La Discesa all’Inferno ovvero i Peccati Capitali (Inferno); l’E-spiazione dei Peccati e la Resurrezione dell’Anima (Purgatorio); La Lenta Ascensione al Cielo e il Pa-radiso (Paradiso).Nel secondo quadro dell’inferno sette attori han-no indossato altrettanti abiti ispirati ai sette pec-cati capitali. Gli abiti sono stati realizzati da sette fashion designer valenciani.“Abbiamo voluto presentare – ha dichiarato dopo lo spettacolo la compagnia – un ritratto del sin-

golare e affascinante universo proposto da Dante. Abbiamo sempre pensato che la Divina Commedia potesse una volta o l’altra incrociare la nostra tra-iettoria artistica.Di questo straordinario poema ci ha sempre sba-lordito la grande forza simbolica: la concezione circolare dell’inferno, i paesaggi, il suo carattere visionario. Insieme a questa mescolanza di natu-rale e soprannaturale, insieme a questo caos di-vino e trascendente, la Fura ha ritenuto di poter convivere al meglio. L’occhio del nostro teatro si è appuntato sopra l’allucinazione dell’uomo che vive tra terra e cielo, tra Inferno, Purgatorio e Paradi-so. È stato un modo di guardare il peccato senza speranza e, insieme, il celestiale e il sublime. At-traverso questo spettacolo abbiamo voluto fare il nostro viaggio di Dante. E abbiamo voluto farlo provocatoriamente, utilizzando quel segno di fu-turo immediato che è rappresentato dalla moda”.

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La folla presente a Palaz-zo Pitti la sera dello spet-tacolo

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Particolare dello spettacolo: proiezioni di luci sulla facciata del palazzo.

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Altri particolari della performance.

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2.5. STUDIO AZZURRO

IL GRUPPO

Studio Azzurro è un ambito di ricerca artistica, che si esprime con i linguaggi delle nuove tecnologie. E’ stato fondato nel 1982 da Fabio Cirifino (fotogra-fia), Paolo Rosa (arti visive e cinema) e Leonardo Sangiorgi (grafica e animazione). Nel 1995 si è unito al gruppo Stefano Roveda, esperto in sistemi interattivi.Da più di venti anni, Studio Azzurro indaga le pos-sibilità poetiche ed espressive di questi mezzi che così tanto incidono nelle relazioni di questa epo-ca. Attraverso videoambienti, ambienti sensibili e interattivi, performance teatrali e film, ha segnato un percorso che è riconosciuto in tutto il mondo, da numerose e importanti manifestazioni arti-stiche e teatrali. Oltre che in opere sperimentali, l’attività del gruppo si lega ad esperienze più divul-gative come la progettazione di musei e di esposi-zioni tematiche, di riconosciuto valore culturale. In entrambi i casi, ha tentato di costruire un contesto

comunicativo che veda una attiva e significativa partecipazione dello spettatore all’interno di un impianto narrativo, ispirato a una multitestualità e ad una continua oscillazione tra elementi reali e virtuali

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Il team di Studio Azzurro.

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FABRIZIO DE ANDRÉ LA MOSTRA Palazzo Ducale, Genova31 dicembre 2008_21 giugno 2009

Per la grande mostra dedicata a Fabrizio De Andrè a Palazzo Ducale di Genova, Studio Azzurro (in collaborazione con Sp10studio per la parte di allestimento degli spazi espositivi e per la grafica), ha proposto un percorso interattivo attraverso il quale il visitatore può mettersi in relazione con la vita, le opere, la musica e le parole del cantautore ma anche partecipare, con un gesto o un piccolo dono in video, alla narrazione multimediale della mostra. Genova, a dieci anni dalla scomparsa di Fabrizio De André ha voluto rendere omaggio alla sua figura e alla sua opera organizzando una gran-de mostra che ne raccontasse la vita, la musica, le esperienze, le passioni che lo hanno reso unico e universale, interprete e in alcuni casi anticipato-re, dei mutamenti, delle pulsioni e delle trasfor-mazioni della contemporaneità. Il percorso non è stato suddiviso rigidamente per aree tematiche e cronologiche, ma organizzato in modo da rendere

il racconto e la rappresentazione visiva, testuale, musicale, dense di suggestioni ed emozioni per un vasto pubblico, che ha potuto di volta in volta sce-gliere quale immagine di “Faber” sviluppare per sé, in relazione con il proprio vissuto. La mostra ha affrontato i grandi temi della poetica di De An-drè: la società del benessere e il boom economico degli anni ’60, gli emarginati e i vinti, la libertà, l’a-narchia e l’etica, gli scrittori e gli chansonniers, le donne e l’amore, la ricerca musicale e linguistica, l’attualità nella cronaca, i luoghi rappresentativi della sua vita; tutti in modo da dare il senso del-la sua capacità di parlare al singolo ma di essere universale, riconosciuto e amato dalle persone di ogni genere e età. Accanto alla mostra sono sta-te allestite alcune scenografie originali della sue tournèes: i tarocchi giganti, falsi d’autore, le grandi vele e le reti da pesca. Postazioni multimediali permanenti,

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tavoli con touch screen, per approfondire virtual-mente e visivamente testi di Faber e spartiti ori-ginali. Allestita nel Sottoporticato del Palazzo, l’esposi-zione si sviluppa attraverso 5 sale, che via via rac-contano in modo sorprendente e originale i temi conduttori della sua vita e della sua poetica.

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Particolare del touch-screen.

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La “sala della musica” e, sotto, gli schizzi progettuali.

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La sala con il “gioco dei Tarocchi” e lo schizzo di progetto.

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Un particolare della mostra e sotto un ulteriore schizzo della percorso della mostra.

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2.6. TEATRO CINEMA

Nom sono molte le notizie che abbiamo sulla com-pagnia teatrale cilena “Teatro Cinema”, ex Troppa, che si è fatta notare nel panorama europeo grazie a “Gemelos” per la regia di Juan Carlos Zagal.A ventuno anni Zagal inizia a frequentare l’U-niversidad Católica de Chile, in pieno periodo di dittatura militare. Frequenta la Scuola di Teatro, dove conosce Laura Pizarro e Jaime Lorca, con cui fonda una compagnia. Nel 1987, terminati gli stu-di, costituisce il gruppo “La Troppa”, uno dei più importanti ensemble del Sud America. La poetica della compagnia è profondamente influenzata dal clima socio-politico degli anni Ottanta: il senso di contestazione si manifesta negli spettacoli: Santo Patrono (1987), Salomón-Vudú (1988) e Rap del Quijote (1989). Il teatro viene inteso come luogo di incontro tra la scoperta di una forma e l’esplorazione del sentire, come spazio di tensione tra questi estremi. Dopo

lo spettacolo Jesús Betz, nel 2005 la Compagnia si scioglie. Juan Carlos Zagal e Laura Pizarro forma-no il gruppo Teatro Cinema, insieme ad un ampio collettivo di professionisti della scena.

LA COMPAGNIA

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SIN SANGRE versione originale del 2007Tournée:6_7 giugno Napoli Teatro Festival 23_24 giugno Teatro Piccolo, Milano

Sin Sangre debutta al Festival Santiago a Mil (Cile) che mostra un nuovo modo di fare teatro, la cui sfi-da estetica è creare la fusione tra virtuale e mate-riale, usando un linguaggio cinematografico che la rende interessante ed enormemente affascinante. La narrazione diviene, per Juan Carlos Zagal, il simbolo di un inquietante desiderio di ricostru-zione della memoria: un vortice di passioni che si scatenano sotto forma di vendetta, amore, solitu-dine, eternità, fatalità, angoscia. Afferma Zagal: “«Sin sangre è un invito a riflettere sulla nostra terra e la nostra storia, due valori pre-gni di dolore, mistero e bellezza».in Sangre in quattro mesi di rappresentazioni è stato visto da 30 mila spettatori diventando lo spettacolo teatrale più celebrato dalla stampa e dal pubblico. Si è presentata con grande successo in importanti festival tra cui il Festival VIA - Grand Plateau du Théâtre du Manège, Belgio, Festival

Iberoamericano di Bogotá. Inoltre, parteciperà alla programmazione del Festival di Pina Bausch a no-vembre prossimo.Sin Sangre è una produzione Festival Santiago a Mil (Cile) in collaborazione con Salento Negroa-maro, Festival Stgo a Mil e Napoli Teatro Festival con il sostegno del Gobierno del Chile partner IILA Istituto Italo-Latino Americano e ADC artdiffusion.com. Lo spettacolo è basato sul testo omonimo si Ales-sandro Baricco, Senza Sangue.LA STORIA: Un lento pomeriggio nella vecchia fattoria isolata nella campagna di Manuel Roca, viene rotto in maniera violenta dall’irruzione di tre uomini armati. Manuel ordina al figlio e alla pic-cola Nina di nascondersi mentre viene accusato dai tre banditi di aver preso parte alle torture dei prigionieri feriti durante la guerra civile appena conclusa. La vendetta di ieri sembra intrecciarsi

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Un momento dellospettacolo di Sin Sangre.

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con la vendetta di oggi, ma improvvisamente odio, violenza, sangue, lasciano lentamente il passo a una sorta di miracolo purificatore nel bel mezzo dell’orrore. Nelle mani della compagnia cilena, Sin sangre diviene un racconto poetico che con-tiene una forte struttura cinematografica. Questa la sfida di Zagal: rendere, attraverso il teatro, la ricostruzione mentale che elaborano i personaggi nel loro viaggio nel tempo e nello spazio. Passato e presente si fondono attraverso l’utilizzo di linguag-gi narrativi differenti rendendo impercettibile la frontiera tra teatro e cinema. L’illusione di viaggia-re nel tempo, in un andirivieni permanente, dà vita a un racconto allucinante e vertiginoso che sfugge alle quattro pareti della sala.

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Locandina dello spetta-colo.

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Immagini dello spettacolo. L’interazione fra videoproiezioni ed attori in carne ossa rende lo spettacolo quasi “cinematografico”.

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3_EMANUELE LUZZATI

3.1. BIOGRAFIA

Emanuele Luzzati fu scenografo e costumista, illu-stratore e scrittore, ceramista e decoratore, autore di cinema d’animazione e teatro.Nato a Genova nel 1921, nel 1940 è costretto ad ab-bandonare la sua città a causa delle leggi razziali. Trasferitosi a Losanna, studia e si diploma all’Eco-le des Beaux Arts. Nel corso della sua carriera realizza più di cinque-cento scenografie per Prosa, Lirica e Danza nei principali teatri italiani e stranieri, illustra e scri-ve diversi libri dedicati all’infanzia, esegue svariati pannelli, sbalzi ed arazzi collaborando con archi-tetti per arredi navali e locali pubblici.Nel 1972 espone alla Biennale di Venezia nella se-zione Grafica Sperimentale.Dal 1981 al 1984 una sua mostra, intitolata Il sipa-rio magico di Emanuele Luzzati, allestita dall’Uni-versità di Roma a cura di Mara Fazio e Silvia Ca-randini, gira l’Italia e l’estero.

Illustra nel 1988 Le fiabe scelte dei fratelli Grimm per le Edizioni Olivetti, e in seguito, per le Edizioni Nuages, il Candido di Voltaire, il Pinocchio di Col-lodi, Alice nel paese delle meraviglie di Carroll, il Decamerone di Boccaccia e Peter Pan di Nel marzo del 1990 si inaugurano a Reggio Emilia, Cavriago, Sant’Ilario e Montecchio quattro sezioni di una grande mostra dedicata all’opera comples-siva di Luzzati.Avendo ottenuto due Nomination all’Oscar per i suoi film d’animazione La gazza ladra e Pulcinella viene nominato membro dell’ AGI (Alliance Graphi-que Internationale) e dell’Academy of Motion Pic-ture Arts and Sciences .Nel 1992 gli viene conferita dall’Università di Ge-nova, sua città, la laurea honoris causa in Archi-tettura.L’anno dopo viene allestita la mostra Emanue-le Luzzati Scenografo, presso il Centre Georges

Emanuele Luzzati fotografato nel suo studio.

ANALISI EMANUELE LUZZATI

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Pompidou di Parigi a cura dell’Unione dei Teatri d’Europa. L’evento verrà ripreso poi a Roma, Fi-renze, Bellinzona, Milano, Genova, dove la mostra viene arricchita con un’ampia sezione dedicata all’illustrazione, e Salonicco.Nel novembre 1995 riceve il Premio Ubu per la scenografia del Pinocchio prodotto dal Teatro del-la Tosse di Genova di cui, insieme a Tonino Conte e Aldo Trionfo è stato fondatore ed é attualmente direttore artistico.Nel 1997 allestisce per il Comune di Torino, in Piaz-za Carlo Felice (Piazza della Stazione), un grande presepio, mescolando ai personaggi tradizionali le figure delle favole più conosciute.Nel 1998 progetta un parco giochi per bambini per il Comune di Santa Margherita Ligure, ispirato al Flauto Magico di Mozart. Progetta e realizza con modellini, ceramiche e sculture la storia dell’abbazia di Farfa (Rieti) nella

stessa abbazia ristrutturata in occasione del giubi-leo (in collaborazione con Guido Fiorato).Nella casa natale di Mozart a Salisburgo, viene al-lestita la mostra I Mozart di Luzzati.Nel 2000 sono allestite le mostre Emanuele Luz-zati. Viaggio nel Mondo Ebraico al Palazzo della Triennale di Milano e Luzzati-Rodari al Palazzo delle Esposizioni a Roma.Per le Edizioni Laterza esce il volume di Rita Cirio Emanuele Luzzati dipingere il teatro un’intervista su sessant’anni di scene, costumi, incontri.Nello stesso anno con la mostra I Mozart di Luz-zati, viene inaugurato il suo museo permanente a Porta Siberia (Porto Antico).Progetta l’allestimento per il Festival Internazio-nale del Teatro Ragazzi per il Piccolo Teatro di Mi-lano.Il museo a Porta Siberia presenta la seconda mo-stra tematica Luzzati incontra Rossini 1960-2001.

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Riceve inoltre la cittadinanza onoraria della città di Bari e a giugno è nominato dal Presidente Ciampi “Grande Ufficiale della Repubblica”.Nel 2002 disegna le scene per Il Flauto Magico di Mozart allestito al Teatro dell’Opera Carlo Felice di Genova e nel 2003 il museo di Porta Siberia pre-senta una nuova mostra Luzzati e le Ombre.Nel 2004 disegna, per il Corriere della Sera, le Il-lustrazioni dei Cantici della Divina Commedia di Dante Alighieri. Ancora per l’illustrazione, esce la versione in lingua italiana de Il Flauto magico, edi-to da Nugae, Genova.Luzzati è insignito nel 2005 della cittadinanza ono-raria di Calosso, città originaria della sua famiglia in cui, negli anni della guerra, si rifugiò per sfuggi-re alle persecuzioni razziali.L’ultima grande opera in ceramica è realizzata, con Aurelio Caminati e Carlos Carlè, per la pas-seggiata di Albisola: si intitola Onda ed è realizzata

in bianco e blu su gres porcellanato.Dopo i costumi del Don Chisciotte, regia di Scapar-ro e le scene de Il Campiello di Goldoni, crea nel 2006 le scene di Hansel e Gretel di Humperdinck per l’Opera Theatre di Saint Louis.Emanuele Luzzati muore a Genova la sera del 26 gennaio 2007. Il 27 gennaio avrebbe dovuto ricevere il Grifo D’O-ro, massimo riconoscimento della città di Genova.

Nella pagina accanto: Luzzati con una delle sue “crea-zioni”.

ANALISI EMANUELE LUZZATI

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ANALISI EMANUELE LUZZATI

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3.2. LA MOSTRA

“GIANINI LUZZATI CARTONI ANIMATI” Al Museo Luzzati, Porta Siberia, Genova4 aprile – 21 giugno 2009

Questa mostra dedicata al cinema d’animazione ha documentato l’intensa attività di Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati a partire degli anni ’50 fino al 1995:oltre 150 tra tavole originali, storybard, fogli mac-china e sagome i legno.Sono 26 i film di animazione a cui la coppia ha la-vorato a partire dal primo lavoro di 2minuti e 35 dal titolo “I due guerrieri” del 1957 rimasto incompiu-to, fino all’ultimo, “La casa dei suoni”, di 50 minuti tratto da un libro di Antonio Abbado.In tutto si tratta di circa 400 minuti, frutto di una lavorazione fotogramma per fotogramma, dise-gno su disegno, ripresi e montati con la macchina verticale ( che ora si trova in esposizione al Museo Luzzati).Il lavoro di Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati è universalmente riconosciuto e amato, Federico Fellini lo ha perfettamente sintetizzato ammiran-

done “la fantasia figurativa, l’estro umoristico, il senso della fiaba e le geniali soluzioni grafiche”; non per nulla i due artisti sono stati ben due volta candidati all’oscar, per “La gazza ladra” del 1964 e per “Pulcinella” del 1973.L’incontro, alla fine degli anni Cinquanta, tra uno dei grandi direttori della fotografia del cinema ita-liano e il già molto apprezzato illustratore e sceno-grafo teatrale, non avvenne casualmente.A presentarli fu un comune amico, lo scenografo teatrale e cinematografico Gianni Polidori, con-vinto che dal loro incontro sarebbe nato qualcosa. Gianini, a cui si debbono l’animazione, la fotografia e il montaggio di tutti i loro film, comprese subito che lo stile, la poetica e il dinamismo coloristico luzzatiani richiedevano una modalità realizzativa diversa dal disegno animato d’impronta disneya-na allora imperante. Optò dunque per una tecnica poco utilizzata: il découpage.

“Papageo e Papagea”illustrazione per l’anima-zione de Il Flauto Magico,1973.

ANALISI EMANUELE LUZZATI

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Si trattava di disegnare i personaggi in forma di figurine articolate che venivano appoggiate sulla scenografia e animate direttamente sotto la mac-china da presa. Erano burattini bidimensionali che esaltavano le ascendenze teatrali dei personaggi e degli ambienti luzzatiani.La divisione dei compiti fu molto chiara fin dall’i-nizio: una volta stabilito di comune accordo il sog-getto e un abbozzo di sceneggiatura visiva, Luzzati realizzava i personaggi e le scenografie mentre Gianini si occupava della realizzazione vera e pro-pria del film, ovvero la cosiddetta “battitura” della colonna sonora, l’animazione, le riprese, montag-gio e sonorizzazione.L’animazione ancora oggi una disciplina artisti-ca estremamente impegnativa, ma lo era ancora di più prima dell’avvento delle tecnologie digitali. La realizzazione di un film di dieci minuti potevano richiedere più di un anno di lavoro a tempo pieno.

Gianini e luzzati hanno realizzato una quindicina di corto e mediometraggi d’autore, una dozzina di opere su commissione tra titoli di testa cinemato-grafici e televisivi, inserti animati, short pubblici-tari e perfino un documentario animato, “Jerusa-lem”, realizzato nel 1990 per il Museo della Torre di David a Gerusalemme.

Esempio di applicazione della tecnica del decou-page ad un personaggio illustrato.

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Illustrazione per “Pulcinella” del 1973Sopra: illustrazione per “I tre fratelli” del 1979Nella pagina a fianco: bozzet-to che Luzzati realizzò per il carnevale di Fano.

ANALISI EMANUELE LUZZATI

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ANALISI EMANUELE LUZZATI

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Il teatro della Tosse prende il nome dalla sua pri-ma sede, un teatrino di poco più di cento posti in una vecchia strada di Genova che si chiama ap-punto salita della tosse.E’ stato fondato nel 1975 da personalità del tea-tro e della cultura – insieme agli ideatori Tonino Conte ed Emanuele Luzzati, c’erano anche Aldo trionfo, Rita Cirio, Giannino Galloni. Il primo spet-tacolo Ubu re di Alfred Jarry – messo in scena da Tonino Conte con le scene e i costumi di Emanuele Luzzati – fu un grande successo e diventò un po’ il manifesto dei propositi artistici della compagnia che considera il Padre Ubu tra i suoi ispiratori e lasciò la traccia nel simbolo grafico del Teatro. Nelle oltre venti stagioni che seguono, l’attività del Teatro della Tosse si sviluppa soprattutto su due direttrici:-la creazione di un centro di programmazione te-atrale culturale

4_ IL TEATRO DELLA TOSSE

4.1. LA COMPAGNIA

-la realizzazione di spettacoli di propria produzio-neDal 1987 grazie al Comune di Genova, il Teatro della Tosse, dopo molte peregrinazioni e molta ostinazione, ha una sala a misura dei suoi compiti: il teatro di Sant’Agostino, nel cuore della Genova antica, in una zona del centro storico dove sono avvenuti molti e positivi cambiamenti .Il complesso di Sant’Agostino, trasformato in uno spazio teatrale a tre sale, rappresenta il raggiun-gimento di un obiettivo e l’inizio di una nuova fase per il Teatro della Tosse.

Nascono così :

la Sala Aldo Trionfo (500 posti)

la Sala Dino Campana (237 posti)

l’Agorà (150 posti)

Con l’arrivo del direttore organizzativo Antonello

ANALISI IL TEATRO DELLA TOSSE

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Pischedda la stagione 1994/1995 segna l’avvio

dell’attività della multisala a pieno ritmo. A coro-

namento di un successo sempre crescente di pub-

blico e critica arriva nel 1995 il riconoscimento da

parte del Ministero del Turismo e del lo Spettacolo

(ora Ministero per i Beni e le Attività Culturali: il

Teatro della Tosse diventa Teatro Stabile Privato.

Nel 1996 il Teatro della tosse ha ricevuto il Premio

Ubu per l’insieme della sua attività.

ANALISI

Il logo del Teatro della Tosse: l’immagine è quel-la dell’”Ubu Re”, primo spettacolo nonchè simbo-lo della compagnia.

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Oltre alla stagione teatrale nelle tre sale del teatro in Sant’Agostino, il Teatro della Tosse si è distinto negli anni per la sua attività fuori dal palcoscenico. Con gli spettacoli a stazioni della stagione estiva la Compagnia del Teatro della Tosse è riuscita non solo a coniugare perfettamente divertimento e cultura, ma a coinvolgere un pubblico normal-mente non assiduo a teatro e a riportare l’atten-zione pubblica su luoghi normalmente trascurati nonostante la loro bellezza. Appuntamenti ormai consolidati negli anni sono gli spettacoli estivi al Forte Sperone e ad Apricale che, per il ca-rattere culturale e turistico, sono stati inseriti nel progetto regionale “ per la valorizzazione di località e spazi aventi particolare interesse storico ed ambientale, mediante manifestazioni di particolare rilevanza”. L’estrosità del teatro della Tosse in questo tipo di spettacoli si è comunque

4.2. L’INNOVAZIONE DEGLI SPETTACOLI FUORI DAL PALCOSCENICO

potuta dimostrare in molti altri luoghi tra cui Villa Celimontana a Roma, a Torino dove è stata organizzata una festa spettacolo che ha coinvolto il centro della città intorno alle grandi scenografie di Luzzati per il Natale in p.za Carlo Felice, a Pescia nei festeggiamenti per il centenario di Pinocchio.

Gli spettacoli presi in analisi in questa tesi, sono ristretti al territorio ligure, per la volontà di sot-tolineare quelle iniziative che hanno permesso a molti luoghi del territorio genovese di essere rivis-suti e riscoperti dai suoi stessi cittadini.

“Forse un giorno le strade del teatro parleranno del “modulo Conte”. Ricorderanno gli spettacoli che , nel corso degli anni, Tonino Conte e il Teatro della Tosse, con il fondamentale apporto scenografico di Emanuele Luz-zati, hanno rappresentato in luoghi non teatrali, fortezze, piazze, chiese, parchi: spettacoli itineranti a stazioni nar-rative, con il pubblico in processione da una porziuncola teatrale all’altra. Il “modulo Conte” è uno schema che può prescindere dai contenuti. Presuppone un meccani-smo universale come il passepartout, adattabile all’Odis-sea e al Decameron, alle “Vite dei Santi” e al viaggio di

Colombo nel nuovo mondo ( Osvaldo Guerrieri – La Stampa)

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Veduta aerea del borgo di Apricale, una delle “sedi” storiche degli spettacoli fuori dal palcoscenico del Teatro della Tosse.

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I PERSIANI alla Fiumara

“I Persiani” non fu un semplice spettacolo, fu un evento in un ambiente diverso dal teatro e mirato ad animare un’area ex - industriale gli spazi detti della Fiumara, (ex capannoni dell’Ansaldo nuclea-re), tra Sampierdarena e Sestri. Attraverso l’evento teatrale si volle spostare l’attenzione su zone di-menticate e normalmente inaccessibili ai cittadi-ni, ma che ebbero ruoli salienti nella storia della città.

LA FIUMARAL’area del ponente genovese un tempo destinata alle produzioni belliche, negli anni sessanta e set-tanta fu scelta come sede del nucleare. Dopo il re-ferendum dell’86 l’area diventò una silenziosa di-stesa di capannoni e macchinari inutilizzabili (solo dal 1998 con l’approvazione del progetto avvenuto attraverso il piano di riqualificazione urbana PRU, sono iniziati i lavori per la costruzione dell’attuale

centro commerciale/cinema multisala).Fu su questo fascinoso scenario abbandonato e silenzioso che Tonino Conte, sollecitato dall’archi-tetto Giovanni Spalla, immagina la realizzazione della tragedia greca .I Persiani di Eschilo, opera immensa che occupa un posto a parte nella drammaturgia antica, per-ché narra un fatto storico e non mito, e si staglia isolata anche tra i capolavori di ogni epoca, poiché racconta questo fatto storico dal punto di vista dei vinti, degli antagonisti. Il regista intuì che avrebbe avuto bisogno di un al-lestimento adeguato:60 tra attori e mimi, 15 tra costumisti, scenografi e attrezzisti, due gruppi musicali, 10 attori del Teatro della tosse e 18 tecnici, tutti coinvolti in un evento che si prefiggeva di avere una dimensione corale e universale come la guerra.

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LA STORIALa vita di Atene e delle altre città greche scorreva tra guerriciole locali, piccole lotte intestine, e gra-duali conquiste della democrazia, quando tutt’a un tratto sull’intera penisola pendette una minaccia immane: la Persia. La massa amorfa del più vasto impero conosciuto dall’antichità, quello di Dario, che ormai abbracciando tre continenti s’estendeva dal golfo Persico alla Tracia, e dai confini dell’India all’Egitto, a un certo punto si rovesciò sulla piccola e nitida Grecia. A più riprese i Persiani attaccarono i greci, prima divisi e poi uniti contro il colosso: fu il più grande sforzo militare che la storia ricordi sino alle guerre del nostro secolo.E fu il momento eroico dell’Ellade , quello in cuoi i greci, fino ad allora divisi, sentirono improvvisa-mente i vincoli comuni del sangue, della lingua, della religione; una volta tanto si tesero tutti insie-me all’impresa sovrumana. Aiutati dal vento e dal

mare, i greci riuscirono, dopo essere stati attacca-ti, a sconfiggere milletrecento navi persiane.Sull’immensa gesta fiorì subito la leggenda. Si raccontò tra l’altro di un eroe greco che all’abbor-daggio di una nave persiana a Maratona, affer-ratosi col braccio alla sponda del legno nemico, l’ebbe reciso dai difensori; tese l’altro braccio e anche quello gli fu troncato; infine, attaccatosi alla sponda coi denti, non l’abbandonò finché non gli fu mozzo il capo.Questo eroe si chiamava Cinegiro, ed era il fratello di un giovine poeta, combattente anch’esso a ma-ratona e poi a Salamina, di nome Eschilo (525 – 456 a.C.)

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Tonino Conte decise di non limitarsi a rimaneggia-re una traduzione dell’opera: preferì riscriverla. Per esempio, il racconto del messaggero conser-vava solo poche frasi dell’originale eschileo; ma ne preservava lo spirito, il ritmo del gioco orrendo che gli dei giocano con gli uomini. Inventò inoltre un coro di donne che in Eschilo non c’è: sono le madri che piangono i figli svaniti nella guerra; ma il punto di vista femminile, come potenzialità, im-plicito già nei persiani.Gli attori si presentarono in scena con il corpo di-pinto: il rosso del sangue il nero del dolore, in gio-co cromatico di grande potenza.Di forte impatto fu anche l’idea di far comparire l’antico re ormai solo fantasma di se stesso come la sua illuminata regnanza, dall’altro, tra le fiam-me, appeso al soffitto e, proprio come lo descrive Eschilo, intrappolato da una rete di quelle usate un tempo per scaricare le merci.

EVENTI COLLATERALI-Un laboratorio teatrale condotto da Tonino Conte ed Emanuele Luzzati sulle linee del libro “faccia-mo insieme teatro”-Un seminario musicale condotto da Andrea Cec-con per la creazione di un coro non convenzionale-Un seminario con sette scuole superiori del po-nente in collaborazione con la Provincia di Genova sulla storia industriale della città-Due incontri con il pubblico nei quali vennero affrontati dei dibattiti sul futuro della Fiumara e sull’opera di Eschilo-Una mostra fotografica sull’industria alla Fiuma-ra a partire dall’archivio storico Ansaldo-Cultura e spazzatura in collaborazione con l’A-MIU, ovvero una campagna di sensibilizzazione sulla raccolta differenziata, in particolare degli og-getti metallici che come in grande gioco venivano portati dagli spettatori nei capannoni e deposti in una grande gabbia adibita per l’evento.

Particolare del-lo spettacolo: i guerrieri.

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Un momento dello spettacolo, in alto a sinstra il Re sconfitto.

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ODISSEO, ULISSE O NESSUNO diga Foranea del Porto di Genova5_31 luglio 1999

Per la realizzazione di questo spettacolo, il Teatro della Tosse si è spinto oltre la terraferma, sulla diga foranea, un luogo vicino alla città ma an-che al mare aperto.Il posto, raggiungibile solo via mare, con imbarco possibile dal Porto Antico e dalla Stazione marit-tima, ha contribuito a suggerire l’argomento, così legato al mare, di uno spettacolo incentrato sul personaggio universalmente noto di Ulisse.

Ulisse , Odisseo o Nessuno rappresentò la più fa-mose delle avventure, quella di Ulisse, invitando così gli spettatori ad “avventurarsi” in quell’ele-mento che a volte sembra solo l’orizzonte dise-gnato di un paesaggio, il mare. Si aprì per quell’oc-casione un capitolo nuovo del teatro fuori dal palcoscenico, un capitolo particolarmente com-plesso e impegnativo che coinvolse diversi enti, istituzioni e aziende della città di Genova (CARIGE,

San Paolo, Erg, Latte Tigullio), promosso dalla Re-gione Liguria.Quando Tonino Conte scrisse il copione per questo nuovo spettacolo, si ispirò ai Poemi Conviviali del Pascoli che colgono Odisseo nella sua vecchiaia, pronto a ripartire per un nuovo viaggio, quasi inte-riore, verso la sua identità. Nel libretto di pascoli il tema principale è la ricerca di Odisseo del sen-so della vita; il dubbio sulla propria identità viene affrontato dal protagonista ripercorrendo tutte le tappe del suo viaggio giovanile.Eccolo di fronte ai Ciclopi che sono spariti o davanti alle sirene che sono solo due scogli. Odisseo non torva più nessuno, tutti i personaggi che lo avevano accompagnato nelle tappe della sua gioventù non ci sono più.Lo spettacolo della Diga, che mise in gioco circa una ventina di attori, ebbe un meccanismo inter-no simile allo spettacolo dei Persiani piuttosto che

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a quelli del Forte: ogni scena avveniva in maniera consequenziale rispetto alla precedente.Conte decise di utilizzare un linguaggio contem-poraneo seppur rimanendo nell’ambito del poetico con riferimenti a joyce e a dante, cancellando, per quanto possibile, l’aurea classica e un po’ scolasti-ca che si trova nei poemi originali e lavorando mol-to sulla scrittura, inventando così un nuovo Ulisse.In questo spettacolo il pubblico aveva un ruolo preciso, poiché, come spesso accade per questi spettacoli che nascono come “work in progress”, ovviamente tutto può essere modificato nel corso delle repliche; d’altronde, volendo usare parole dello stesso Conte, in realtà l’ultima parte della regia la fanno gli spettatori.

IL DENTE DEL GALLIERA

Il cosiddetto “Dente del Galliera” è una sorta di penisola addossata all’interno della diga foranea, che negli anni ’60 e ’70 ha ospitato un inceneritore ormai da anni in disuso.Il Dente del Galliera si chiama così perché – cre-azione dell’uomo e non della natura – è legato a una precisa epoca storica del Porto di Genova, i decenni d’oro per la città che si collocano a cavallo tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo: è del 1888 la realizzazione della diga foranea costru-ita grazie al grandioso mecenatismo del Duca De Ferrari – Galliera. Egli donò quest’opera alla città di Genova dopo avere diseredato il figlio che aveva aderito al comune di Parigi.Qualche decennio dopo, nel 1905, la Diga venne ampliata ma anche tagliata per consentire un ul-teriore accesso alle navi,. In seguito venne formata la penisola con il trasporto e l’affondamento del materiale di risulta. Questa penisola, ultima nata

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Qui e nella pagina accanto:sopralluoghi allaDiga.

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nella geografia del nostro porto , svolse una sua funzione durante i primi decenni del secolo: ospitò infatti le “bettoline” grandi barche il cui bordo su-pera di poco il livello dell’acqua . le bettoline furo-no indispensabili al rifornimento idrico delle navi di passaggio, fino a che l’acquedotto non arrivò a servire i moli.Durante la guerra il “Dente” era un avamposto mi-litare di cui rimane traccia nelle bitte: su questo tratto di diga esse sono in realtà cannoni piantati fino a metà nel terreno. Nel dopoguerra il dente ospitò l’inceneritore. Perso il suo uso pratico il dente non ha del tutto smesso di essere frequentato dai genovesi, per lo meno da quelli che abitano nel centro storico; nella stagione buona si può pescare, guardare il panorama, godersi un po’ di sole e di mare.Negli ultimi anni il porto Antico di Genova si è aperto a sempre più nuove attività, di cui molte le-

gate al divertimento, alla cultura e al tempo libe-ro, sembra logico pensare che questo strano pog-giolo di Genova affacciato sul mare, con alle spalle lo stesso panorama della città che vedono le navi in partenza, riacquisti una sua funzione , un suo ruolo in una città più cosciente della sua bellezza.

EVENTI COLLATERALIPoiché questo spettacolo si prefiggeva come occa-sione per far conoscere Genova, il suo porto, le sue tante attività turistiche, culturali ed economiche a genovesi e forestieri, con il biglietto dello spettacolo gli spettatori pote-vano aver diritto a delle riduzioni per gli ingressi a varie attività del Porto Antico, quali:l’Acquario, la Città dei bambini, del Museo dell’An-tartide e il Padiglione del mare.

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Lisa Galantini ed altri attori durante le prove dello spettacolo.

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INFERNO al Museo di Sant’Agostino12 marzo_13 aprile 2002

Il progetto che diede vita a questo spettacolo si in-seriva in quello che nel Duemila è stato denomina-to Terzo Percorso I GRANDI LIBRI (Gerusalemme Liberata nel 2001, divina Commedia nel 2002 e Promessi Sposi nel 2003 ), e prosegue la fortunata serie di trasposizioni, dal libro scritto al libro “ani-mato”, iniziate nel 1999 con l’allestimento, sempre nella chiesa di Sant’Agostino, de la Leggenda Au-rea di Jacopo da Varazze.Scrive Conte durante la fase progettuale dello spettacolo:“Quasi tutto il grande teatro, il bel teatro, affonda le sue radici nel romanzo e ancor prima nel mito;con il progetto Grandi Libri non vorremmo soltanto che il libro diventi teatro, ma che il teatro diventi libro.Il nostro progetto, oltre a rendere omaggio a questi affreschi dell’anima che sono i capolavori del mare magnum della letteratura, non metterà in scena

su un tradizionale palcoscenico, spettacoli teatrali fatti di dialoghi, di atti e di intervalli. Ma usufruen-do dello splendido spazio della chiesa di Sant’A-gostino, vi faremo entrare dentro le pagine della Divina Commedia.E’ come se i personaggi, i paesaggi, gli accadimen-ti misteriosi si materializzassero per essere per-corsi, vissuti come se anche noi ne facessimo par-te, per condividerne non solo le visioni, ma anche le emozioni.” Pur rimanendo fedele alle parole del poeta, il regista decise di far scomparire le figure di Dante e Virgilio: erano gli spettatori stessi a “di-ventare” Dante e ad entrare in contatto diretto con quell’universo, come in un viaggio iniziatico fatto in prima persona.Il viaggio cominciava all’aperto, sul sagrato, dove alberi e tronchi invadono la facciata della Chiesa,a simboleggiare la selva oscura. Lì un crescendo di suoni e rumori, guidava gli spettatori all’interno.

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Varcata la porta d’ingresso con l’aiuto di Caron-te , una torma di demoni – cuochi trascinava gli spettatori per poi accompagnarli durante tutti gli episodi. Un succedersi di ambienti sempre diver-si, per lo più chiusi da alte muraglie, ad evocare il senso di spaesamento e della misera dimensione umana: i pentoloni della cucina di Dite, l’amore di Paolo e Francesca, lo strazio di Ugolino, Farinata e Cavalcanti…tutto ciò condotto, sul filo dei versi e del teatro, fino al termine del cammino. Una con-clusione priva di catarsi, dove il pubblico, anziché “riveder le stelle” in una cascata di corpi (mem-bra e braccia sparse, le sculture – personaggio di Danièle Sulewic ) incontra Capaneo, il grande be-stemmiatore, dominante la gradinata che chiude-va il percorso. Alla fine del viaggio la sua invettiva – così come Tonino Conte l’ha voluta riscrivere – riportava a tempi odierni: “forse non esiste infer-no, forse non esiste Dio…e la grande sfera azzurra

su cui abitiamo gira in un’immensa solitudine”. L’edizione critica dell’Inferno, utilizzata per lo spettacolo, è quella curata da Federico Sanguineti e pubblicata dalle edizioni del Galluzzo.

LA CHIESA DI SANT’AGOSTINOLa chiesa di Sant’Agostino venne fatta edificare dagli Agostiniani nell’anno 1260 ed è una delle po-che chiese gotiche sopravvissute a Genova alla co-struzione delle strade “moderne”, che, soprattutto nell’Ottocento, ha visto la demolizione di un gran numero di chiese e conventi.Presenta la tipica facciata a fasce bicrome, in mar-mo bianco e pietra nera di promontorio.Il prospetto, tripartito da lesene, ha un portale ad arco acuto con, nella lunetta, un affresco di G.B. Merano raffigurante Sant’Agostino. E’ inoltre pre-sente un grande loculo aperto sotto un fregio di archetti e due bifore laterali.

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Tre momenti dell’Inferno.

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Particolare importantissimo che rende particolare sia la chiesa che il contesto della piazze prospi-cienti, è lo stupendo campanile posizionato sul lato destro del transetto. La torre campanaria è forma-ta da ordini sovrapposti di bifore e quadrifore e ter-mina con un’alta cuspide e quattro guglie laterali maiolicata (ossia rivestite da piastrelle policrome).L’interno, assai vasto, a tre navate divise da arcate ogivali; queste ultime poggiano su robuste colonne in pietra dipinte a fasce bianco-nere con capitelli cubici.Le navate laterali erano in origine coperte da sof-fitti a travature ma furono rialzate nel 1400, e più tardi, nel ‘600 si dovette provvedere a rifare la co-pertura della navata centrale, oramai pericolante; il coro, invece, ha mantenuto le volte cordonate originali.Il tempio, sconsacrata già a partire dalla fine del Settecento, venne gravemente danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale;

nel dopoguerra fu utilizzato per alcuni decenni come deposito di sculture, frammenti architetto-nici e affreschi staccati provenienti dalle chiese distrutte, che hanno costituito il nucleo del Museo della Scultura di Sant’Agostino. Realizzato alla fine degli anni ‘70 del Novecento su progetto di Franco Albini e Franca Helg, l’edificio museale ha incluso nelle proprie strutture i due chiostri del complesso religioso: il cosiddetto “chiostro triangolare” (risalente al XIV-XV secolo), collocato sul fianco destro della chiesa, con colonne a rocchi e capitelli cubici; e quello settecentesco, rettangolare e più grande, che è stato spostato e completamente ristruttura-to.Oggi la chiesa restaurata è utilizzata come audito-rium, oltre che come sede di spettacoli del vicino Teatro della Tosse.

La facciata e il campaniledel complessodi Sant’Agostino.

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EVENTI COLLATERALI-mostra “l’inferno di topolino” allestita all’interno del Museo di Sant’Agostino e realizzata grazie a Disney Italia-una lezione di teatro per i bambini tenuta dall’at-tore Lello Arena -“Viaggi all’Inferno”, itinerari in città d’arte per vi-sitare opere pittoriche o luoghi danteschi -“In barca con Caronte” l’inferno degli apocrifi sui pescherecci della darsena-“Il girone nei carruggi” una passeggiata per car-ruggi alla scoperta di figure storiche mitologiche che popolano anche l’inferno dantescoE ancora conferenze, visite e incontri.

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La scena finale dello spettacolo sul sagra-to della Chiesa.

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5_IL MISTERO DEI TAROCCHI

“Il mistero dei Tarocchi” è stato presentato per la prima volta a Forte Sperone, sulle alture di Geno-va, nel luglio del 1990.Quest’iniziativa teatrale ricca di interesse e di sug-gestione vedeva come principale promotore l’As-sessorato alla Cultura della Regione Liguria - da cui partì l’idea di far conoscere i Forti attraverso il teatro – con il contributo della Provincia e la colla-borazione del Comune di Genova.Successive repliche sono avvenute sempre al For-te Sperone l’anno successivo (10_27 luglio 1991),a Roma presso la Villa Celimontana (1_12 settem-bre 1993), presso il borgo ligura di Apricale e re-centemente, nell’estate 2008, lo spettacolo è stato proposto ai Parchi di Nervi.

Collocati in 22 postazioni, nei meandri, nelle stan-ze e negli androni del castello, come in un labirin-to, 22 interpreti impersonano i 22 arcani maggiori,

che, con una cadenza che ricorda un carillon o un luna park, ripetono la loro storia o la loro canzone, man mano che il pubblico si raccogli, a gruppi, at-torno a loro, assistendo allo spettacolo e visitando il Forte (o le altre sedi dove lo spettacolo è stato portato) nello stesso tempo. Il Bagatto, prima carta che si incontra, mostra al pubblico la chiave per entrare in questo mondo fantastico e lo indirizza verso le altre ventuno po-stazioni, occupate ognuna da un attore.Ci si può imbattere nella Papessa, che narra in versi la condizione della donna nel medioevo, nel-la Luna, che usa il linguaggio della canzonetta per raccontarsi, nel Papa, che si serve del latino, nella Fortuna, dai toni popolari e ridanciani, nel Carro, nella Morte, nell’Appeso e via via tutti gli altri.Le storie che vengono raccontate prendono spunto dalle figure rappresentate, ma scelgono interpre-tazioni caratterizzate dai singoli attori scelti per i

La scena finale dello spettacolo ai Parchi di Nervi nel luglio 2008.

Nella pagina accanto e in quelle successive:due momenti dellospettacolo.

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5.1. LO SPETTACOLO

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ruoli e sfruttano a pieno le loro migliori doti.In molti casi tengono lontana una lettura esoterica vera e propria.Ogni personaggio alla fine del suo pezzo consegna ad ogni spettatore la carta che lo raffigura, dise-gnata da Emanuele Luzzati: un segnale, un modo per suggerire agli spettatori come proseguire il proprio itinerario, alla fine del quale ognuno do-vrebbe aver completato il proprio mazzo di taroc-chi.Lo spettacolo diventa così anche un gioco in cui il pubblico deve raccogliere l’intero mazzo di carte per poter uscire senza sventure dal “castello delle carte”.L’innovazione di questo spettacolo sta nel fatto che lo spettatore sceglie liberamente l’ordine delle scene, dando allo spettacolo un personale percor-so narrativo, proprio come se sfogliasse un mazzo di carte.

“Il Mistero dei Tarocchi” è stato senza dubbio – per la sua strana combinazione di mistero e di colore, di gioco contemporaneo e di spirito arcaico, di di-vertimento e di inquietudine – uno degli spettacoli del teatro della Tosse che il pubblico ha più amato.

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l complesso dei Forti – tesoro paesaggistico e ar-chitettonico che gli Enti Locali hanno voluto forte-mente riscoprire e valorizzare – si snoda tutt’in-torno alla città e comprende 14 fortificazioni: lo Sperone è una delle più interessanti, per la singo-larità architettonica, la sorprendente varietà degli ambienti, a cui si aggiunge la vista panoramica sulla città a 475 metri di quota.I lavori per la costruzione della fortezza incomin-ciarono nel 1747 ed oggi, lo Sperone così come lo vediamo, non è molto diverso da quello che venne originariamente progettato per difendere i genove-si. Dentro i suoi antri, nelle sue torri, all’interno dei suoi cunicoli, su per le sue ripide rampe rimango-no immutate le sue caratteristiche tecniche e sti-listiche.

5.2. IL FORTE SPERONE

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Vista su Genova dal Forte Sperone.

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Vista aerea del Forte Sperone.

ANALISI IL MISTERO DEI TAROCCHIIL MISTERO DEI TAROCCHI

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5.3. LE ORIGINI DEI TAROCCHI

Le carte dei Tarocchi nascono forse in Italia alla fine del XIV secolo e probabilmente risultarono da una fusione dei naibi fanciulleschi con quelli nu-merali spagnoli. Già nel XV secolo si possono di-stinguere in Italia tre specie di mazzi di tarocchi: i tarocchi di Lombardia o di Venezia, il tarocchino di Bologna, le minchiate di Firenze. I tarocchi vene-ziani, preferiti in Italia e fuori, conservarono sta-bilmente la loro composizione fino ai nostri giorni.Il mazzo comprende 78 carte divise in due gruppi: 22 figure particolari (dette tarocchi, trionfi o arcani maggiori), recanti diverse allegorie, e quattro serie numerali dall’1 al 14, contrassegnate dai denari, dalle coppe, dai bastoni e dalle spade. L’origine di questi segni è oscura: potrebbero rappresentare le quattro classi della società, ossia i commercianti, gli ecclesiastici, gli agricoltori e i guerrieri. Sono pervenuti fino a noi mazzi di tarocchi di fattura italiana dei secoli XV e XVI, notevoli per fantasia,

ricchezza di ornato e finezza di tratto.Sebbene alcuni ritengano che i prodromi dei ta-rocchi siano da ricercare in carte simili diffusesi nell’antico Egitto faraonico o in Cina in India, certa-mente la maggior fioritura per forme d’interpreta-zione simbolica e per livello artistico si ha in italia, Francia e Germania nei secoli XV e XVI, nell’ultimo periodo dell’arte gotica cortese e nel Rinascimen-to, chiamati Carte Saracene o Carte di Lombardia, come ci riferiscono gli inventari dei Duchi d’Orle-ans del 1408 nella prima testimonianza scritta che parli esplicitamente dai Tarocchi.Alcuni studiosi avanzano l’ipotesi che il gioco dei tarocchi, detto anche gioco della corte, sia stato inventato proprio in Lombardia e che si sia diffuso nelle corti dei Duchi D’Este a Ferrara, dei Visconti a Milano e dei Gonzaga a Mantova.Il termine stesso Trionfi ricollega gli arcani mag-giori a eventi ancor più antichi, le giostre e le

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simbologie italiane evidentemente desunte del poemetto de I Trionfi del Petrarca, nel quale si sus-seguono il Trionfo d’Amore (carta VII: gli Amanti) , il trionfo della Morte (carta XIII), quello della Fama (carta XXI), del Tempo (carta XI) e dell’Eternità (carta XIX), mentre il carro trionfale compare nella carta VII; ai trionfi recitati nelle festività presiedeva il re Carnevale che ritroviamo nella carta I e, se fra le carte ve ne sono di chiarissime come la Ruota della Fortuna (carta X), ve ne sono anche di oscure come la Papessa (carta IV), che potrebbero avere una rispondenza in personaggi dell’epoca, poiché nella famiglia Visconti, una papessa esisteva dav-vero.Le giostre e le battaglie della vita reale si conser-vano quindi tramandandosi nel gioco da tavole e le carte, poste una accanto all’altra, formavano una lunga processione, un Trionfo, che narrava per simboli le vicende della società quattrocentesca.

Il fascino delle carte è indubbio, artisti e scrittori si sono spesso ispirati a questo tema, basti citare “Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino, o “Alice nel paese delle meraviglie” di Carroll.Con le carte si possono inventare mille storie, si può predire il futuro, si può anche costruire un ca-stello , un castello di carte attraente e misterioso come il gioco del teatro.L’iconografia a cui fece riferimento Emanuele Luzzati nel disegnare le carte per lo spettacolo (e i costumi), prendeva ispirazione un po’ da tutte le versioni che nei secoli sono state raffigurate, riela-borandole con il suo tratto tipico e fantasioso.

Nelle pagine seguenti sono riportati i tarocchi illustrati da Luzzati.

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ANALISI IL MISTERO DEI TAROCCHI

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PROGETTO L’IDEA

6_L’IDEA

L’idea come già detto è quella di proporre lo spet-tacolo de “Il mistero dei Tarocchi” non più in un luogo all’aperto ma bensì dentro ad una teatro e di rendere la scenografia “digitale”, al servizio delle nostre idee.Nonostante trasportando l’azione al chiuso si perda il carattere itinerante dello spettacolo (gli spettatori infatti sono seduti nelle poltrone e non vagano più per lo spazio scegliendo liberamente che carta ascoltare), si può dimostrare come con delle videoproiezioni pensate in base alle caratte-ristiche dello spettacolo stesso, si possa ricreare l’atmosfera magica di una bosco o di un castello, si possano riprodurre i suoni che si troverebbero in quei luoghi naturali, si possa “catapultare” lo spettatore in un ambiente “al di fuori del teatro”. Sul palco verranno quindi montati dei fondali di telo, un tulle ed uno schermo per retroproiezio-ni. Su questi teli, il cui funzionamento è spiegato

nel prossimo capitolo, vengono proiettate le luci e i video precedentemente realizzati, con dei video-proiettori appositi. Gli attori recitano il proprio mo-nologo posizionati sul palco in mezzo ai due teli, così da essere “immersi” nelle video scenografie e, grazie ad un sofisticato gioco di luci sui teli, es-sere nascosti durante i cambi di scena. Immaginando di dividere i personaggi dei tarocchi in tre gruppi corrispondenti a tre livelli di recitazio-ne (alto-medio-basso), possiamo dare una sorta di struttura alla recitazione e conferirle dianmicità; questo potrà avvenire grazie all’auituo di pratica-bili ed altri elementi della scenografia.Anche giocando sulle infinite possibilità di realiz-zazione dei video si possono sempre variare gli ef-fetti grafici dati alla scena.

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PROGETTO L’IDEA

Schizzo di progetto: vista laterale della sala con i teli, l’attore sul palco e il sistema di luci e proiezioni.

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IL LUOGOPROGETTO

7_IL LUOGO

7.1. DAI PARCHI DI NERVI ALLA SALA TRIONFO

Una delle maggiori “sfide” di questo progetto è stata la volontà di ripensarlo in un ambiente al chiuso, in un teatro precisamente, poiché, come precedentemente detto per la sua natura lo spet-tacolo deve essere rappresentato in spazi parti-colarmente vasti e articolati, tali da consentire di ricreare il magico labirinto dei tarocchi. La sala scelta per la progettazione dello spetta-colo, è la principale sala del teatro della Tosse, la Sala Aldo Trionfo.I PARCHI DI NERVI: I parchi di Nervi comprendono la grande distesa di verde costituita dalle Ville Gro-pallo, Serra e Grimaldi che per complessivi circa 92.000 mq. si estende tra la passeggiata a mare Anita Garibaldi e l’antica strada romana senza soluzioni di continuità. Si tratta di un complesso storico-ambientale di ispirazione romantica dal valore inestimabile che ospita piante esotiche e tropicali oltre alla tipica flora mediterranea. Sce-nografie pittoresche, viali che si aprono ad ogni

curva su nuove prospettive con il mare azzurro sullo sfondo. Qui convivono diverse specie di pian-te, quali agavi, palme di ogni tipo, cedri e arauca-rie. pini marittimi,ulivi ed oleandri. Grandi prati che degradano verso il mare, romanti-ci viali affacciati sull’azzurro mare ligure.Questa splendida cornice è stata lo sfondo sceno-grafico dello spettacolo nella tournèe del 2008.

LA SALA ALDO TRIONFO: Questa sala è dotata di 500 posti, un ampio foyer con ottima visibilità e acustica. Scheda tecnica: Altezza graticcia: 7,30 m.Larghezza: da 12 a 15 m. Profondità: 11,20 m. Altezza palco: 75 cm.Distanza cabina di regia/palco: 50 m.Altre dotazioni: carico luci 100 kw, 76

Una vista dei parchi di Nervi ; Genova

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IL LUOGOPROGETTO

PIanta con misure della Sala Trionfo.

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PROGETTO IL LUOGO

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PROGETTO

Tre immagini della Sala Aldo Trionfo, nella pagina accanto: il palco e la platea;sopra: il sistema di illuminazione.

IL LUOGO

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PROGETTO

8_I MATERIALI

8.1. ELEMENTI DELLA SCENOGRAFIA

IL FONDALE: Il fondale è l’elemento principa-le della scenografia, serve sostanzialmente per dare una chiusura al fondo della scena copren-do il muro di fondo del palcoscenico, ma posso-no essercene più di uno Può essere un semplice sfondo neutro, bianco o nero, oppure colorato, per qualunque azione scenica. Un fondale neutro può essere un’ottima base su cui lavorare poi con le luci. Sono numerosi i materiali con cui è possibile realizzare un fondale: dalla tela bianca o colorata, al PVC, dalla iuta alla tela allo specchio. Nel nostro caso avremo due fondali posti uno davanti all’altro sul palcoscenico, di dimensioni 10X5 m uno, in tul-le (quello anteriore) e l’altro in PVC.Essi saranno appesi al soffitto alla graticcia e fis-sati al suolo.LE QUINTE: le quinte sono elementi verticali che servono a dare una chiusura ai laterali della sce-nografia e per coprire le pareti che costituiscono

i lati del palco. Sono generalmente in stoffa, di tela dipinta o in legno e possono essere sospese alla graticcia o fissate al palcoscenico. Nel nostro caso avremo quattro quinte nere di stoffa che sono quelle già presenti nella sala e che si adeguano alle esigenze dello spettacolo.

I PRATICABILI: il termine praticabile in scenogra-fia può essere utilizzato per definire due cose. La prima è che “può essere praticato” e lo si dice di tutto quello che può essere utilizzato dagli attori (esempio: un balcone su cui si può salire, una fine-stra che può essere spalancata, una cassetto di un mobile che può essere aperto durante lo spettaco-lo…). La seconda è anche, e soprattutto, ladzione delle pedane utilizzate in scenografia. I praticabili sono uno dei principali elementi con cui si compo-ne una scenografia. In questo caso abbiamo una scenografia costruita da soli praticabili circondati

I MATERIALI

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PROGETTO

da un impianto di quinte e due fondali.La funzione dei praticabili nel mio progetto è quel-la di far recitare l’attore su uno dei tre livelli in cui sono stati divisi i personaggi dei tarocchi, nonché lo spazio scenico. I livelli sono: alto, medio e basso. Svariate sono le strutture che possono interagire nella scena per adattarsi a questi livelli immagi-nari, pertanto avremo trapezi e altalene che scen-dono dal soffitto, sistemi di per far “volare” l’attore ecc, per gli attori del livello alto; pedane di altezze variabili o carrucole per il livello medio, mentre l’ultimo livello, quello basso, vedrà gli attori reci-tare direttamente sul suolo del palcoscenico senza niente che li sopraelevi.La divisione è la seguente:livello alto_ sole, mondo, angelo, luna, stelle, giu-stizia, temperanzalivello medio_ papessa, papa, imperatrice, fortuna, forza

I praticabili saranno costruiti in legno, ovvero il materiale più utilizzato per le costruzioni sceno-grafiche, poiché è leggero, maneggevole, resisten-te allo sforzo e all’usura, semplice da modificare

anche su realizzazioni già fatte ed economico.

Schizzo su carta per la realizzazione di praticabili da inserire nella scena.

I MATERIALI

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PROGETTO

8.2. IL TULLE GOBELIN

Nella realizzazione scenografica hanno grande importanza i tessuti trasparenti e semitrasparenti. Questi tessuti, illuminati dal davanti lasciando in ombra quello che c’è dietro, sembrano dei normali fondali, se invece si illumina la parte retrostante e si spegne la luce proveniente dal davanti, il fon-dale sembrerà sparire. In pratica si vedrà quello che “filtra” attraverso i buchi e non la trama del tessuto. Il materiale comunemente utilizzato per alterna-re effetti schermanti ad effetti di trasparenza è il tulle. Il tulle usato in scenografia è totalmente in cotone e si classifica in base alla tramatura: quelli con trame più larghe danno un maggiore effetto di trasparenza, viceversa per quelli a trama più fitta; in ordine di dimensioni della tramatura, andando dal più piccolo al più grande, avremo il tulle scala, il gobelin, il supergobelin, il tulle Cinecittà, l’opera, l’italiano ed infine il veneziano. Ognuno di questi

modelli può essere bianco, grigio o nero. Per que-sto progetto è stato scelto il tulle gobelin grigio, poiché quello bianco riflette meglio le proiezioni ma rimane leggermente più visibile in trasparen-za, il nero è praticamente del tutto invisibile in trasparenza ma le proiezioni risultano più evane-scenti, il grigio di solito è la giusta via di mezzo.. Il tulle gobelin ha una trama fitta a intreccio orto-gonale che ricalca lo schema della tela gobelin, è molto resistente ad eventuali sollecitazioni e viene spesso utilizzato per dare una materia più “inte-ressante” e rendere meno bianchi i fondali di PVC: montati ad una distanza di circa un metro, un me-tro e mezzo e adeguatamente illuminati “ingrigi-scono” i fondali di PVC. L’effetto schermante viene ottenuto oscurando l’area retrostante il fondale di tulle e illuminandolo frontalmente, o proiettando diapositive o filmati comunque sulla parte frontale.

I MATERIALI

Le differenti tipologie di tulle: la differenza tra uno e l’altro sta nel tipo di in-treccio, e quindi nella resa scenografica.

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PROGETTO

Proprietà del tulle gobelin 1080 (B043)Tessuto in pezze faldate Peso al m²: 110 g Composizioni: - 100% cotone Composizioni: - 100% poliestere Ignifugazione: classe 1 Larghezza: 1.080 cm Lunghezza delle pezze: 55 m Lavaggio: esclusivamente lavaggio a secco

Colori bianco nero grigio

Il tessuto viene commercializzato: - in pezze - in tagli su misura - in realizzazioni confezionate su misura

I MATERIALI

Il tulle Gobelin nelle tre varianti di colore.

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PROGETTO

Due esempi di applicazione del tulle gobelin.Sopra: scenografia, di Nicola Rubertelli, per “Gustavo III”di Giuseppe Verdi nell’allestimento del Teatro San Carlo di Napoli.

I MATERIALI

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PROGETTO

Un fondale composito in Tulle Gobelin 1080 su cui è stato dipinto un cielo ed è stato applicato un grande albero dipinto su Tela Sceno Super.Il fondale è illuminato dal retro da un panorama Temporale che diffonde un controluce di grande effetto.Scenografie di Beni Montresor,per la realizzazione del “Werther”,Teatro Carlo Felice di Genova.

I MATERIALI

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PROGETTO I MATERIALI

8.3. IL FILM PER RETRIOPROIEZIONI

Nella scenografia moderna viene fatto uso già da parecchi anni, di svariati tipi di materiali plastici: dai PVC di vari tipi e colori, fino agli specchi in ple-xiglass, passando per i tappeti in linoleum. Di fon-damentale importanza sono i fondali neutri retro illuminabili; il materiale usato principalmente per questo tipo di fondale è il PVC. Quello con cui si realizzano i fondali teatrali è morbido e viene usato praticamente al posto della tela, non avendo una trama, ma essendo costituito da una superficie bianca e unica, il PVC diffonde molto bene la luce e ha una luminosità non ottenibile con la tela. Le ca-ratteristiche qualitative dei film per retroproiezioni vengono valutate essenzialmente con gli indici di: trasparenza, che rileva l’efficienza con cui l’imma-gine retroproiettata viene trasmessa alla visione attraverso lo schermo;densità o fotodiffusione, che indicano la capacità dei film di minimizzare l’effetto “hot spot”, la mac-

chia luminosa che si evidenzia quando il punto di vista è in linea retta, attraverso lo schermo, con la fonte luminosa della proiezione cono visivo, la cui ampiezza indica quanto la pro-iezione è osservabile da posizione angolata senza decadimento della qualità dell’immagine.Pertanto a seconda degli effetti che si vogliono ot-tenere anche nel caso dei film per retroproiezioni esistono diversi modelli, che variano in base alle caratteristiche qualitative ed al colore: avremo i film colorado, nevada, temporale, arizona, cielo, notturno e nebbia. Per questo spettacolo servirà un film di colore non troppo chiaro poiché più è chiaro il materiale con cui è realizzato lo schermo, più luce ambientale raccoglie e, quindi, più la pro-iezione rischia di risultare slavata. Le differenze tra i film Arizona, Notturno e Temporale sono le seguenti:Arizona ha una goffratura (la zigrinatura su uno

I differenti modelli del film per retroproiezioni.

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PROGETTO I MATERIALI

dei due lati del film che serve ad aumentare gli ef-fetti di diffusione e riflessione della luce, e quindi a diminuire l’effetto hot spot) diversa e più efficace di Temporale e Notturno.Arizona è largo 220 cm, Temporale e Notturno 140; ai fini della realizzazione di uno schermo di grandi dimensioni, tuttavia, questa differenza è ininfluen-te, considerando che le saldature sono pratica-mente invisibile già a qualche metro di distanza.Arizona e Temporale sono grigi, quindi, in condi-zioni di non perfetto oscuramento raccolgono un minimo di luce ambientale.Notturno invece è nerastro, e, in assenza di proie-zioni, la presenza sul palcoscenico di uno schermo realizzato con questo materiale è praticamente inavvertibile.A parità di potenza dei proiettori, però, uno scher-mo Arizona risulta essere molto più luminoso, per raggiungere lo stesso risultato con uno schermo

Notturno sono necessari proiettori più potenti. Ciò nonostante, per la realizzazione di alcuni partico-lari effetti in cui lo schermo non deve essere visibi-le, il Notturno è insostituibile. Abbassando o eliminando l’illuminazione frontale del fondale di tulle, questo diventa trasparente e si vede quello che c’è dietro: la retroproiezione sul fondale per retroproiezioni e/o degli attori che si trovano nello spazio scenico tra il fondale in tulle e lo schermo per retroproiezioni o, accompagnata dall’abbassarsi dell’illuminazione frontale del fon-dale in tulle, fa scomparire la presenza di quest’ul-timo e comparire la proiezione o gli attori. L’Arizo-na è quella via di mezzo versatile ed adattabile a situazioni miste con cui si rischia meno di sbaglia-re, pertanto è stato scelto per questo lavoro.

Proiprietà del film Arizona (c041):Peso al m²: 425 g ± 5%

Immagini del film per retroproiezione Arizona, con luce diretta e contro-luce. L’ampiezza del cono di visione e l’attenuazio-ne dell’effetto “hot spot” sono ai massimi livelli del mercato mondiale dei film per retroproiezione.

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Spessore: 315 μ ± 5% Composizione: 100% PVC Ignifugazione: classe 1 Larghezza: 220 cm Lunghezza dei rulli: 62 m

Colori grigio

Il film viene commercializzato: - in rulli - in tagli su misura - in realizzazioni su misura saldate ad alta - frequenza (Schermi, Fondali, ecc.)

Piccoli schermi per retro-proiezioni in Arizonaa per l’allestimento de “I quat-tro rusteghi”.

I MATERIALIPROGETTO

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I MATERIALI

Fondale retroilluminato realizzato con i film Arizona per “Paride ed Elena”, scenografie di Lorenzo Cùtuli.

PROGETTO

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8.4. IL SISTEMA DI ILLUMINZIONE

Una scenografia priva della giusta illuminazione diventa piatta, si notano tutti i difetti di realizzazio-ne, perde insomma gran parte della sua efficacia.Il design delle luci teatrali non è cosa facile, richie-de competenza specifica delle componenti tecni-che, oltre che gusto e sensibilità.Le luci usate per l’illuminazione teatrale sono di diversi tipi, ognuno dei quali è stato creato per ri-solvere uno specifico problema di illuminazione. L’illuminazione dei fondali viene normalmente ot-tenuta disponendo una serie di apparecchi a luce diffusa che vengono montati in batterie di otto, dieci o dodici, sospesi a uno stangone e colorati a gruppi; normalmente con quattro apparecchi si riesce a illuminare uniformemente un fondale di una decina di metri di larghezza. Per avere un’illu-minazione uniforme di un fondale in PVC sarà op-portuno disporre degli apparecchi sia dall’alto che dal basso. Nel progettare una “pianta-luci” sarà

quindi opportuno definire anche il tipo di apparec-chi da montare.

LUCI DIFFUSE (floods): le diffuse si utilizzano prin-cipalmente per illuminare i fondali, dal davanti nel caso di fondali dipinti, o dal retro se si tratta di fondali in PVC. Sono gli apparecchi più semplici: una lampada con uno schermo riflettente senza alcun tipo di lente e regolazione. La superficie che riesce a coprire con la sua luce dipende solo dalla distanza a cui viene posto l’oggetto da illuminare. La potenza di questi apparecchi si aggira in genere fra i 500-750 e i 1000 watt.

PROIETTORI (spots): i cosiddetti proiettori sono gli apparecchi più utilizzati per l’illuminazione te-atrale. Possono essere da 550, 1000 o 2000 watt di potenza. La loro caratteristica principale è la possibilità di regolare la larghezza del raggio di

I MATERIALIPROGETTO

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luce, che però più si allarga più perde di intensità. Il raggio di luce è a forma conica, pertanto la lar-ghezza della superficie illuminata dipende anche dalla distanza del proiettore dall’oggetto.

PROGETTO I MATERIALI

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9_ SCHIZZI DEL PROGETTO

PROGETTO SCHIZZI DEL PROGETTO

Ipotesi di animazione della carta del diavolo: l’attore appartiene al livello “basso”, non è rialzato.Intorno a lui ci sono effetti di fuoco che lo circondano durante tutto il monologo;si sovrappongono sull’attore le immagini dei tarocchi che lui nomina;suoni e voci dai dannati possono accompagnare la recitazione.

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PROGETTO SCHIZZI DEL PROGETTO

Ipotesi di animazione della carta dell’imperatrice: l’attrice sta al centro della scena, su una pedana/ trono (livello mdio). L’effetto che riproduce le stelle circonda l’attrice durante tutto il monologo; compaiono in dissolvenza le il-lustrazioni di Luzzati raffiguranti delle donne quando lei le nomina; le parole “chaive” del monologo compaiono sul fondale mentre l’attrice le pronuncia.

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PROGETTO SCHIZZI DEL PROGETTO

Ipotesi di animazione della carta del sole: l’effetto presente èuna sfera luminosa che si muove nello spazio modicando le sue dimensioni. L’attore appartiene al lterzo livello (alto) perciò recita in alto, a destra o a sinistra, probabilmente appeso con dei cavi o su un praticabile; momenti di buio si altenernano a forti luci.

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PROGETTO I RENDER

10_ I RENDER

Vista frontale della sala con esempio di animazione.

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PROGETTO I RENDER

Particolare della sala dalle quinte: si notano la pedana su cui reciatano gli attori del livello medio e il tulle gobelin che sta sul fondale anteriore. Il tulle ha un effetto schermante nel momento in cui viene illuminato con delle proiezioni.

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PROGETTO I RENDER

Vista totale della sala: con le proiezioni solo sul fondale posteriore il tulle “diventa trasparente” e fa vedere ciò che sta dietro.

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BIBLIOGRAFIA

2003 “Teatro e mondo digitale- attori, scena e pubblico”

Antonio Pizzo Edizioni Marsilio

2007 “Scenografia e scenotecnica per il teatro”

Renato Lori Edizioni Gremese

1966 “Scenografia italiana – dal rinascimento all’età romantica”

Franco Mancini Fratelli Fabbri Editori

2006 “Metamorfosi delle architetture teatrali”

Roberta Baldassarre Gangemo Editore

2002 “Scenografie del teatro occidentale”

traduzione di Guido de Palma Edizioni Bulzoni

2002 “Storia della scenografia – dall’antichità al novecento”

Franco Perrelli Edizioni Carocci

2008 “Luce e ombra - Storia, teorie e pratiche dell’illuminazione teatrale”

Cristina Grazioli Edizioni Laterza

2003 “Atlante iconografico –

spazi e forme dello spettacolo in occidente dal mondo antico a Wagner”

Stefano Mazzoni Edizioni Titivillius

1999 “Un teatro fuori dal teatro – il teatro della tosse dal forte sperone

alla diga”

Cristina Argenti De Ferrari Editore

2001 “Facciamo insieme teatro”

Tonino Conte, Emanuele Luzzati Edizioni Laterza

1990 “Manuale di scenografia – il cinema, la televisione, il teatro”

Vincenzo Del Prato Edizioni La Nuova Italia Scientifica

1930 “La scenografia italiana”

Corrado Ricci Edizioni Fratelli Treves

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Parte del materiale è stato gentilmente concesse dall’ufficio stampa del teatro

della Tosse e dal Museo Luzzati di Porta Siberia, Genova

Fotografie di:

Alessandra Vinotto

Alberto Rizzerio

Voce del video di:

Lisa Galantini

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SITOGRAFIA

http://www.salentonegroamaro.org/comunicati/comunicati_stampa/sin_san-

gre.html

http://www.robertwilson.com

http://www.far.unito.it

http://www.scenografia.rai.it/index.html

http://www.studioazzurro.com/

http://www.lafura.com/web/index.html

http://www.peroni.com/

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RINGRAZIAMENTI

Innanzitutto grazie a chi ha fatto si che questa tesi potesse svilupparsi e crescere, e quindi

grazie a Nima per il suo aiuto e per la sua pazienza, spero un giorno di diventare brava come

te! Ma grazie anche a Marchin’ per gli aiuti preziosi, i consigli, per le serate a casa mia ad

elaborare idee ed in particolare per la serietà con cui affronta il lavoro, non si finisce mai di

imparare da lui. Serena e Massimo, i mei correlatori, vanno ringraziati innanzitutto perchè

hanno avuto fiducia in me nononstante il “panico” iniziale, e poi chiaramente per i loro pareri

esperti e la loro disponibilità. Lisa Galantini, Alesandra Vinotto, Pietro Fabbri, i miei insegnanti

e compagni di recitazione (la Marzia!) hanno in qualche modo contribuito al mio lavoro, oltre

che appartenere a quel mondo che non smetterà mai di farmi sognare: il teatro.

E se si parla di teatro non posso non nominare Tonino Conte e Maria de Barbieri: l’anima del

Teatro della Tosse. Persone stupende e piene di creatività che con affetto mi hanno accolto più

volte nel loro studio per qualche dritta sul lavoro, chi sa se saranno soddisfatti di questa ver-

sione dei Tarocchi! Tutto l’ufficio stampa del Teatro della Tosse va ringraziato per la pazienza

portata durante le numerose ore che mi “piazzavo” tra le loro scrivanie a scartabellare mate-

riale, anche il loro aiuto è stato fondamentale per il mio progetto.

A prescindere dalla tesi in sè mi sorge spontaneo ringraziare tutte quelle persone che hanno

contribuito alla mia crescita e mi hanno accompagnato in questi tre fantastici anni.

E allora grazie ai miei genitori per le persone stupende che siete, per tutto quello che mi avete

insegnato e perchè, per me, siete perfetti. Grazie alle mie sorelle fantastiche, alle soddisfa-

zioni che mi da Benedetta e all’affetto che mi da Giuditta. Gli amici sono qualcosa senza cui

non potrei vivere e senza i quali non sarei quella che sono: grazie Ari perchè sei come sei,

perchè mi fai vedere il lato positivo delle cose (mi mancherai!), grazie ai saggi consigli della

Pepe ma anche a quei due piani di scale che cambiano la serata, grazie alla Cri per i momenti

che abbiamo passato insieme e perchè comunque tu mi conosci troppo bene; grazie Elise,Ila,

Miriam, Nico, Caffa e la Pazi, per i momenti magici che mi regalate. Un pensiero speciale va a

quelle persone incredibili che la mia esperienza in Francia mi ha fatto incontrare, grazie per

avermi cambiata e per avermi fatto scoprire nuovi mondi, credo che il destino ci abbia fatto

incontrare. E naturalmente te Cate sei tra questi, grazie Carlo!

Ed infine grazie a Daniele, quella persona a cui non so dare una definizione, più di un amico,

più di un fidanzato più di un fratello, qualcuno che in questi anni mi ha insegnato tanto, che mi

ha fatto crescere e credere in me stessa, che mi è sempre stato vicino e con cui ho condiviso

dei momenti incredibili, grazie Dani. Direi che posso ritenermi una ragazza fortunata!